IL CONTRASTO TRA IL 1929-30 ED IL
1999-2000
di
Kurt Richebächer
LA
PEGGIORE DELLA STORIA
La
contrazione economica iniziata nel 1929 è stata la peggiore della storia,
tuttavia, nonostante le dimensioni e l'importanza di un evento di questo genere,
bisogna sottolineare quanto siano generalmente limitate le conoscenze del suo
decorso e delle cause che l'hanno provocata e con ogni probabilità, ciò è
dovuto prevalentemente alla convinzione dominante secondo cui le banche centrali
ed i governi odierni, oltre a possedere maggiore buon senso, utilizzano
strumenti migliori per mantenere ogni cosa sotto controllo. Perchè mai
preoccuparsi delle follie che di tanto in tanto avvengono nella storia umana?
Per spiegare l'eccezionale gravità della Grande Depressione degli anni 20 vi
sono due ipotesi diametralmente opposte; la prima, strettamente legata agli
economisti più eminenti della scuola austriaca (Mises, Hayek), considera la
Depressione come il prodotto inevitabile e disastroso delle
conseguenze insostenibili e devastanti sull'economia e sul sistema
finanziario provocate dagli eccessi finanziari e monetari che si sono verificati
tra il 1927-29. Secondo questo punto di vista la gravità di ogni depressione è
largamente predeterminata dalle dimensioni delle conseguenze negative che si
sono accumulate durante il boom che la precede. Tale punto di vista, era
dominante tra gli economisti di tutti i paesi fin dagli inizi degli anni 60, ma
un libro, apparso nel 1963, cambiò radicalmente questa opinione, per lo meno
tra gli economisti americani; si trattava della ormai classica "Monetary
History of the United States" di Milton Friedman ed Anna Schwartz, nella
quale veniva affermato categoricamente che negli anni 20 né l' inflazione e
nemmeno eccessi di moneta o di credito potevano aver causato il collasso
economico avvenuto tra il 1929 ed il 1933, ma, partendo da tale tesi, per questi
autori la causa principale della Grande Depressione è da ricercare negli errori
politici fatti durante quegli anni. Riportiamo un passaggio decisivo di questo
libro:
"Il
collasso monetario dal 1929 al 1933 non fu la conseguenza inevitabile di ciò
che era avvenuto precedentemente, ma il risultato delle politiche seguite
durante quel periodo. Come è stato già sottolineato, in quegli anni potevano
essere adottate politiche alternative che avrebbero potuto rallentare la debàcle
monetaria. Sebbene il Reserve System proclamava
di seguire una politica di moneta a buon mercato in realtà adottava una
politica di stretta eccessiva.
Queste
opinioni circa il ruolo della politica monetaria nel provocare la depressione si
sono poi ampiamente diffuse tra la massa degli economisti americani sino a
costituire la spiegazione 'ufficiale' della Grande Depressione. Una conclusione
importante per il futuro, inerente a tale approccio monetarista, consisteva nel
messaggio confortante secondo il quale tutto ciò che serve per prevenire le
gravi depressioni che seguono il boom è una sufficiente disponibilità di
moneta. Sicuramente questa è una asserzione di fondamentale importanza
poichè sta alla base delle opinioni ottimistiche sull'economia americana che
prevalgono attualmente. Considerando che l'economia era ancora in fase di boom
nonchè il regnante ottimismo circa le sue prospettive, bisogna riconoscere che
nei mesi di Ottobre e Novembre del 1929 la Federal Reserve reagì con prontezza
ammirevole di fronte al crollo borsistico. Il 25 Ottobre, il giorno dopo il
Venerdì Nero, ridusse immediatamente il tasso di sconto praticato dalle banche
sugli anticipi dati sulle entrate future di attività industriali e commerciali
dal 5 e 3/8 al 5 %. Il 1 Novembre, quando il panico delle vendite durava da
appena una settimana, la Fed ridusse drasticamente il tasso di sconto al 5% e
due settimane dopo al 4,5%. Movimenti seguiti da una sequenza di tagli ulteriori
fino al 4% del 21 Novembre. Tuttavia l'economia crollò incredibilmente
in modo generalizzato e con una rapidità mai vista, come una castello di carte.
LA
FUNZIONE DEL CROLLO
Abbiamo
sempre sostenuto la spiegazione della Grande Depressione avanzata dalla teoria
austriaca e tra le varie considerazioni che depongono a suo favore, quella che
ci appare determinante è la immediatezza e le dimensioni straordinarie del
crollo economico. Consideriamo infatti che nel 1930 il PIL cadde improvvisamente
del 9%, un tipo di collasso che può avvenire solamente in una economia
pesantemente squilibrata e quindi altamente vulnerabile. La notevole contrazione
della massa monetaria pari al 42%, cui Milton Friedman attribuisce la
Depressione solo a partire dagli inizi del 1930, ha luogo solo a partire dalla
seconda parte del 1930, dunque non ha preceduto ma ha coinciso con il crollo
economico che è stato preceduto unicamente dalla fase iniziale del crollo della
Borsa. Finora la controversia più importante tra gli economisti americani ha
riguardato proprio il ruolo del crollo della Borsa nel provocare il disastro
dell'economia e della finanza. E'
stato stimato che il crollo borsistico abbia determinato una distruzione di
ricchezza pari a circa 85 miliardi di dollari. Nella prima ondata del crollo,
tra la fine di Ottobre ed i primi di Novembre del 29, le perdite di capitale
ammontarono a circa 25 miliardi di dollari, a fronte di una contrazione dello
stock di moneta in senso lato di 13 miliardi di dollari tra gli inizi del 1930 e
la fine del 1933. Ma per Milton Friedman la contrazione nell'offerta di moneta
fu il solo e decisivo meccanismo che spinse l'economia in una profonda e
protratta depressione e tale contrazione monetaria, secondo il suo punto di
vista, non ha altra causa se non quella conseguente alle politiche errate
applicate dalla Fed. Lungi da noi voler mettere in discussione l'importanza
decisiva che ha avuto la drastica contrazione monetaria che è seguita in quegli
anni, ma è evidente che sfida ogni logica disattendere la rapida ed enorme
distruzione di ricchezza avvenuta precedentemente in Borsa per considerala quasi
come un fenomeno praticamente irrilevante. Nel meccanismo previsto dalla teoria
austriaca l'espansione del mercato azionario ha agito prolungando il boom grazie
ad un ondata di ricchezza gonfiata rispetto ai consumi, allorchè i prezzi delle
azioni crollarono, questo elemento artificiale dei consumi è evaporato con
effetti immediati e pesantemente negativi sulla crescita economica del 1930. In
realtà l'unica vittima di un crollo di questo genere non è stata solo la
ricchezza individuale ma anche la liquidità generale. E' un grosso errore
valutare la liquidità solo dai mutamenti dello stock di moneta, molto più
importante è la liquidità degli asset,
presenti sui mercati soprattutto degli asset
finanziari. In periodi di disponibilità di moneta, tassi di interesse bassi
e mercati in espansione, le corporations, le istituzioni finanziarie ed i
consumatori tendono a ridurre i loro saldi attivi a favore degli asset finanziari, che vengono considerati, in condizioni di mercato
in rialzo, come asset altamente
liquidi. Finchè l'offerta di moneta cresceva, il vasto stock di azioni detenute
rappresentava realmente per i suoi possessori, degli asset altamente liquidi, ma il crollo dei prezzi azionari ha
improvvisamente trasformato questo enorme stock azionario in una massa di asset
privi di liquidità che potevano essere liquidati solamente con pesanti perdite.
Considerando l'ammontare di ricchezza e di liquidità andate distrutte, non
abbiamo il benchè minimo dubbio che il crollo del mercato azionario sia stato
il fenomeno più importante e la causa immediata della depressione che ne è
seguita, la cui dinamica sarebbe stata sicuramente diversa da quanto accaduto se
non si fosse verificata la catastrofe della Borsa. Ma tutto ciò implica,
invece, che la Grande Depressione ha principalmente avuto origine dagli eccessi
del boom precedente.
DISPUTE
SULLA CAUSA
Tenendo
presente quest'ultima asserzione, abbiamo fatto un confronto tra gli eventi e
gli eccessi tra la fine degli anni 20 e l'inizio degli anni 90. Come si possono
confrontare la natura e le dimensioni degli eccessi monetari e del credito nei
due periodi? Prima di esaminare le differenze più marcate, osserviamo
innanzitutto un importante fattore comune: in entrambe i periodi la creazione di
credito si è verificata prevalentemente al di fuori del sistema bancario,
attraverso il mercato dei titoli ed il mercato monetario. Un'altra cosa in
comune è la completa assenza di ricorso al credito da parte del Governo
Federale. Tutti i debiti e le concessioni di credito che si verificarono furono
a carico del settore privato, ossia delle imprese e dei consumatori. Dobbiamo
sottolineare inoltre, che il credito è il fattore meno considerato nei libri di
storia americana degli anni 20 infatti nel loro voluminoso "Monetary
History of the Unites States", Friedman e Schwartz non riportano nemmeno un
grafico sull’aumento del credito, mentre vi si trovano pagine e pagine di
grafici dettagliati sulla crescita della massa monetaria addirittura mese per
mese. Gli autori non menzionano nemmeno i debiti spaventosi contratti dai
brokers per speculare in borsa, che, nel settembre 1929, hanno raggiunto la
punta massima di 8,5 miliardi di dollari. L'indebitamento al consumo sottoforma
di prestiti rateali giocò un ruolo determinante nel favorire la crescita dei
consumi negli anni 20, ma non esitono statistiche relative alle loro dimensioni
ed alle fonti del loro finanziamento. Come è stato spiegato in precedenti
articoli, una misura critica dell' "eccesso" di credito è la crescita
del credito rapportata alla crescita simultanea del PIL nominale come
denominatore statistico della crescita dell'attività economica. Durante i
quattro anni che vanno dalla fine del 1925 alla fine del 1929, il PIL degli
Stati Uniti aumentò di 13,9 miliardi di dollari o del 15,3% (da 90,5 miliardi a
104,4 miliardi di dollari). In questo stesso periodo le corporations emisero
titoli per 27,4 miliardi di dollari dei quali più di 10 miliardi erano capitale
netto. Durante quegli anni il totale dei prestiti bancari aumentò di circa 8
miliardi di dollari per la maggior parte grazie ad ipoteche sui crediti. Inoltre
buona parte del credito fu garantito da istituzioni che erano al di fuori del
sistema bancario, principalmente casse di risparmio ed associazioni di credito
edilizio. Purtroppo non sono disponibili dati statistici poichè è di antica
tradizione l'abitudine degli economisti americani di considerare esclusivamente
la massa monetaria e di ignorare il credito. Finora, nonostante la mancanza di
statistiche esaurienti, i dati disponibili non lasciano alcun dubbio sul fatto
che vi fu una dilagante creazione di credito. Questo aspetto è molto importante
poichè, in netto contrasto, l'offerta di moneta aumentò in maniera piuttosto
modesta, infatti tra il 1925 ed il 1929, questa crebbe non più del 10% passando
da 50 miliardi a 55,5 miliardi di dollari. I depositi bancari alla fine del
1929, pari a 22 miliardi di dollari, erano ai livelli della fine del 1925. Ma,
come già detto, tale difficoltà nella crescita della massa monetaria non è
stata assolutamente causata da una mancata espansione del credito ma piuttosto dal fatto
che la creazione di credito avvenne prevalentemente attraverso il mercato dei
titoli ed il mercato monetario, non comportando sostanzialmente creazione di
moneta. I prezzi dei titoli, aumentarono più di tre volte ed il valore totale
di tutte le azioni del listino nella Borsa di New York
passò dal livello di 27 miliardi di dollari del 1925 fino al picco di 89
miliardi di dollari raggiunto agli inizi del settembre 1929.
LE
BANCHE INONDANO I MERCATI
Tutto
ciò porta ad una delle differenze più importanti e fondamentali tra il boom
degli anni 20 e quello degli anni 90 che riguarda la strategia finanziaria delle
corporations. Durante gli anni 20 esse avevano tratto vantaggi straordinari
dalla notevole disponibilità di capitale a buon mercato e da una vasta
emissione di obbligazioni e di azioni in notevole eccesso rispetto alle loro
necessità di investimento. Nel 1929 circa il 70% dell'intero ammontare dei
titoli emessi dalle imprese era costituito da azioni. Riferendoci a Shumpeter su
quest'aspetto: le corporations americane "alla fine arrivarono alla Grande
Depressione con una dotazione finanziaria a dir poco di lusso." Molte di
esse potevano finanziare i loro investimenti per gli anni a venire con i fondi
che avevano accumulato durante la
mania speculativa del 1928-29. Cosa fecero le corporations con i loro eccessi di
liquidità? Li piazzarono senza esitare nel mercato azionario, ma attraverso un
canale diverso. Invece di comprare azioni per ricavane degli utili, usarono
questi fondi in larga parte per effettuare dei prestiti al 10%, specialmente ai
broker, i quali, con questi fondi finanziavano i prestiti, saliti alle stelle,
per la speculazione in Borsa dei loro clienti. Possiamo osservare che nei 12
mesi che precedono il
crollo, i prestiti degli intermediari aumentarono del 50%. Tuttavia questo
eccesso di liquidità delle corporations, accumulata
grazie alla eccezionale emissione di titoli, ebbe ulteriori conseguenze
monetarie. Per quel che riguarda le banche comportò la perdita dei loro
principali mutuatari, infatti con la completa cessazione dei prestiti alle
corporations, le banche furono costrette a cercare una fonte alternativa per le
loro entrate. Prima di tutto si imbarcarono verso due nuovi obiettivi:
investimenti in obbligazioni societarie, e quindi in azioni attraverso le
affiliate, e prestiti su titoli, cioè prestiti ad acquirenti di azioni e di
obbligazioni contro azioni ed obbligazioni come collaterale. In ultima analisi
fu il sistema bancario che spinse il mercato azionario e quello delle
obbligazioni verso il boom, in parte attraverso acquisti per proprio conto ed in
parte attraverso prestiti ad altri acquirenti di azioni e di obbligazioni. Su
questa dinamica possiamo citare un rapporto della Lega delle Nazioni di quel
periodo: "Negli Stati Uniti l'espansione del credito dopo il 1927 si
diresse prevalentemente verso il finanziamento della speculazione, secondo le
statistiche disponibili non meno dell'86% dell'aumento del credito bancario è
stato destinato a tale proposito e ciò fu alla base del boom della Borsa che ne
è seguito".
ECCESSI
POSTI A CONFRONTO
Per
quanto riguarda la situazione attuale, riferendoci sempre alla teoria austriaca
secondo la quale ogni depressione economica o finanziaria dipende in gran parte
dai livelli di eccesso del boom precedente, i fattori da analizzare sono di per
se chiari: primo, la valutazione delle
azioni; secondo, l'espansione della
moneta e del credito; terzo: i
fondamentali dell' economia. Per quanto riguarda la valutazione delle azioni, il
crollo del mercato azionario iniziò agli inizi di settembre del 1929 con il
rapporto prezzi guadagni da un livello di 13,5 ad 1, dopo un picco di 16,2
crollato ad 1 nel gennaio dello stesso anno. Se lo confrontiamo con il
tradizionale rapporto di 10 a 1, questi livelli di prezzo apparivano in quel
periodo eccezionalmente elevati. Confrontati con i rapporti Prezzi/Guadagni di
oggi, circa 25 a 1 per l'indice S&P 500, e circa 35 a 1 per l'indice S&P
Industrial e più di 200 a 1 per l'indice Nasdaq, i valori degli anni 20
appaiono piuttosto insignificanti. Consideriamo un'altro dato:
prima del crollo del 1929, la totale capitalizzazione dei titoli quotati
in Borsa corrispondeva a circa il 100% del PIL, attualmente ha superato 200%. In
breve le attuali valutazioni dei titoli sono decisamente superiori a quelle
degli anni 20. Inoltre, come è possibile effettuare un confronto tra i due
periodi prendendo in considerazione l'espansione monetaria e creditizia? Come
abbiamo detto precedentemente, nei quattro anni che vanno dal 1925 al 1929, la
moneta nel senso più ampio aumentò del 10% mentre la moneta in senso stretto
(M1)[1]
ristagnava. Per fare un raffronto osserviamo che durante i quattro anni che
vanno dalla fine del 1995 alla fine
del 1999, la moneta in senso ampio (M3)[2]
è aumentata in modo sbalorditivo del 41% che corrisponde a più del
doppio della crescita del PIL nello stesso periodo.Se la crescita monetaria è
stata da primato, essa è stata decisamente superata dall'aumento del credito,
che, come negli anni 20, ha avuto luogo prevalentemente al di fuori del sistema
bancario. Mister Greenspan ha diretto quest'esplosione del credito definendola
semplicisticamente ragionevole e comprensibile, e, prendendo in considerazione
esclusivamente il tasso di inflazione, egli ha automaticamente decretato la
libertà totale di creare credito. Nel 1995 l'ammontare del credito finanziario
e non finanziario è cresciuto di poco più di un trilione (mille miliardi) di
dollari, dopo un aumento nel 1997 di 1,4 trilioni di dollari, i flussi di
credito, nel 1998, si gonfiarono spaventosamente fino ad arrivare a più di 2,1
trilioni per raggiungere poi nel 1999 i 2,25 trilioni. In rapporto all'aumento
del PIL di 459 miliardi di dollari nel 1998 e di 500 miliardi di dollari nel
1999 la creazione di credito è in
realtà un fenomeno di totale pazzia isterica.
LA
DIFFERENZA PIU'IMPORTANTE: LA FINANZA DELLE CORPORATIONS
Esiste
poi un' altra differenza veramente spettacolare tra i due periodi presi in
esame: la gestione finanziaria delle corporations. Come abbiamo già detto alla
fine degli anni 20 le corporations americane hanno accresciuto la propria
liquidità in modo frenetico attraverso l'emissione di azioni largamente in
eccesso rispetto alle esigenze finanziarie degli investimenti. In questi ultimi
anni le corporation hanno perseguito
una politica diametralmente opposta, infatti hanno esaurito freneticamente le
proprie liquidità e si sono avventurate nel
tunnel dell' indebitamento per finanziare acquisizioni e il riacquisto delle
loro azioni. Per fare un esempio, negli ultimi dieci anni, il rapporto tra
debiti e capitale netto delle compagnie comprese nell'indice S&P 500 è
balzato da 84 a 116. Certo, una differenza che colpisce. Ma perchè? Dei due
andamenti, quello degli anni venti non necessita di ulteriori spiegazioni.
Accrescere la liquidità nei periodi in cui il mercato offre capitali a lungo
termine a buon mercato non è altro che la strategia finanziaria tradizionale
delle corporations, per quanto la massiccia emissione di nuove azioni debba aver
giocato sicuramente un ruolo importante nello stroncare il boom nel 1929. Ciò
che è veramente sbalorditivo è quello che è avvenuto nella seconda metà
degli anni 90. Pur tenendo conto del fatto che le imprese high tech hanno
affollato il mercato azionario in maniera pressante con le IPO[3]
, il settore delle imprese si rivela come il più grosso acquirente sul mercato
azionario per l' aumento vertiginoso di acquisizioni e del riacquisto di azioni.
L'acquisto di azioni in tempi in cui vi è un record di bassi rendimenti dei
dividendi, situati attorno all'1%, in ragione dei loro prezzi elevatissimi,
superiori di molto ai valori di bilancio, utilizzando denaro preso a prestito al
costo di circa il 6 -7% , non è solo una attività in patente contrasto con la
tradizione delle corporation ma anche con una aspettativa di profitto
ragionevole. In breve ciò che avviene è una follia, ma il dilagare di questa
follia nasconde una ragione interessante che invece è facile da identificare
ovvero l'ossessione senza precedenti della massimizzazione a breve termine del
valore azionario
In parole povere, negli Stati Uniti è
mutata radicalmente la filosofia della gestione societaria, ma in meglio o in
peggio? L'idea dominante, basata sulla continua ascesa degli indici di borsa,
rivendica la realizzazione di spettacolari miglioramenti nella efficienza delle
corporations e prende per ovvio che questo cambiamento - con il contemporaneo
utilizzo delle nuove tecnologie- sta alla base della stupefacente performance di
crescita che recentemente si è verificata nell'economia degli Stati Uniti.
Certamente,
nelle nuove condizioni di mercato, la strategia e la politica delle corporation
sono mutate radicalmente in varie maniere. Nei loro frenetici sforzi tesi ad
aumentare il valore delle azioni, i managers delle imprese sono ricorsi
principalmente a due mezzi: un indebitamento spudorato (rapporto tra debiti e
capitale proprio) e l'ossessione della riduzione dei costi. L'incremento dell’
indebitamento implica la diminuzione delle disponibilità di liquidi e la
trasformazione del capitale in debito. L'importanza che viene data alla
riduzione dei costi, utile per incrementare i profitti ed i prezzi delle azioni,
invece di favorire nuovi investimenti di capitale ha fatto aumentare
automaticamente le fusioni e le acquisizioni. Nel nuovo capitalismo americano l'
acquisizione di capacità produttiva esistente ha la precedenza sulla creazione
di nuova capacità, mentre la creazione di ricchezza cartacea, mediante
l'aumento dei prezzi delle azioni, ha la precedenza sugli investimenti di
capitale produttivo. L'uso e l'allocazione di risorse reali ha determinato un
consistente spostamento nella composizione del PIL verso il consumo privato la
cui quota, nell'attuale crescita del PIL, sta aumentando ai massimi livelli
storici.
NUOVO
PARADIGMA O BOLLA?
Cosa
sta accadendo veramente negli Stati Uniti? Un nuovo paradigma economico creato
dall'offerta oppure la più grande bolla finanziaria della storia che sta
mascherando i pessimi fondamentali dell'economia? Confrontare le condizioni
finanziarie ed economiche odierne con quelle della fine degli anni venti è un
esercizio scioccante. Negli anni venti l'economia americana aveva un inflazione
pari a zero che durava da anni grazie a forti incrementi di produttività,
godeva di un persistente surplus di risparmi e di commercio estero, e nel
periodo 1928-29 godette di un notevole aumento dei profitti, per non dimenticare
poi le abbondanti riserve di liquidità che le corporation avevano accumulato
attraverso l'emissione di azioni durante il periodo di crescita della borsa.
Queste possono essere considerate condizioni di prosperità senza precedenti
oppure di illusioni senza precedenti?
Come
si presentano oggi queste condizioni che stanno alla base dell'economia e della
finanza? In sostanza possiamo osservare dei dati piuttosto miseri sotto ogni
aspetto infatti sono tutti negativi, e negativi all'estremo. Nonostante le
manipolazioni statistiche, il tasso di inflazione degli Stati Uniti è superiore
al 3%, il tasso più elevato tra i paesi industrialmente più avanzati, mentre
il risparmio interno è il più basso di tutti i tempi ed il deficit della
bilancia commerciale non è mai stato così elevato. Oltre ad essere un'
economia con basso tasso di risparmio e di investimento, l'America è oggi una
nazione che consuma capitale, come mostrato dall'aumento dell'indebitamento con
l'estero che supera gli investimenti netti interni. Disgraziatamente i profitti
delle imprese, secondo le statistiche ufficiali sui redditi, sono rimasti piatti
da più di due anni, nonostante il boom in corso con tassi di crescita da
record. La fuga delle aziende e delle famiglie dalla liquidità verso
l'indebitamento non ha alcun precedente.
Prima questione: il boom incredibile della Borsa è un riflesso del
valore reale creato nell'economia oppure è semplicemente una bolla cartacea
basata sul credito?
Seconda questione: Quali sono le possibilità che la Fed sia in
grado di prevenire un crollo della Borsa e di guidare un atterraggio morbido
dell'economia?
Risposta preliminare. Gli eccessi finanziari accumulati e lo
squilibrio dell'economia sono eccessivi per poter immaginare un lieto fine e le
loro dimensioni portano inevitabilmente a una contrazione economica. Sotto
l'influenza del monetarismo, la maggior parte degli economisti americani ritiene
che è compito della banca centrale prevenire qualsiasi contrazione mediante la
semplie 'stampa di moneta', ma concentrando la loro attenzione esclusivamente
sul sistema bancario e sulla massa monetaria non riescono a vedere due ostacoli
imprevisti. Uno è l'immane dose di creazione creditizia alla quale l'economia
americana ed il suo sistema finanziario si sono assuefatti negli ultimi anni;
l'altro è il canale di tale creazione di credito che, come negli anni 20, ha
avuto luogo prevalentemente al di fuori del sistema bancario, attraverso i
mercati finanziari. Fondamentalmente, qualsivoglia interruzione di questi flussi
finanziari produce l'identico effetto negativo sull'attività economica che
avrebbe l'interruzione dei prestiti bancari, indipendentemente da ciò che
avviene sul versante dell'offerta di moneta. L'andamento usuale ed i primi
indicatori di tale interruzione si manifestano con il declino dei prezzi, degli asset
e l'allargamento degli spreads (utili
lordi ndt) dei tassi di interesse tra effetti di tipo diverso. Considerando le
immense somme di denaro coinvolte nei mercati, risulta evidente che, per
l'economia americana, il pericolo più grave incombe sui mercati finanziari,
incluso il mercato valutario e quello dei derivati. In America i contrasti
avranno inizio quando l'economia mostrerà segni più evidenti di rallentamento
e la gente comincerà a non farsi più illusioni sull'economia e su Mr Greenspan,
pensiamo che ciò possa avvenire nel secondo quadrimestre o nella seconda metà
di quest'anno.
[1] M1- sigla che dall'ottobre 83 indica l'offerta di moneta sottoforma di banconote e di monete in circolazione sommate ai conti correnti del settore privato depositati in Banca (ndt)
[2] M3 Questa sigla indica l'offerta di moneta come banconote e monete metalliche in circolazione più i depositi bancari, in qualsiasi forma, sia del settore pubblico che privato più i depositi bancari dei non residenti (ndt)
[3]IPO sta per Initial Pubblic Offering, l'offerta iniziale di azioni che viene fatta al mercato dopo la fondazione di una nuova società (ndt)