IL CONTRASTO TRA IL 1929-30 ED IL 1999-2000

di Kurt Richebächer

 

LA PEGGIORE DELLA STORIA

La contrazione economica iniziata nel 1929 è stata la peggiore della storia, tuttavia, nonostante le dimensioni e l'importanza di un evento di questo genere, bisogna sottolineare quanto siano generalmente limitate le conoscenze del suo decorso e delle cause che l'hanno provocata e con ogni probabilità, ciò è dovuto prevalentemente alla convinzione dominante secondo cui le banche centrali ed i governi odierni, oltre a possedere maggiore buon senso, utilizzano strumenti migliori per mantenere ogni cosa sotto controllo. Perchè mai preoccuparsi delle follie che di tanto in tanto avvengono nella storia umana? Per spiegare l'eccezionale gravità della Grande Depressione degli anni 20 vi sono due ipotesi diametralmente opposte; la prima, strettamente legata agli economisti più eminenti della scuola austriaca (Mises, Hayek), considera la Depressione come il prodotto inevitabile e disastroso delle  conseguenze insostenibili e devastanti sull'economia e sul sistema finanziario provocate dagli eccessi finanziari e monetari che si sono verificati tra il 1927-29. Secondo questo punto di vista la gravità di ogni depressione è largamente predeterminata dalle dimensioni delle conseguenze negative che si sono accumulate durante il boom che la precede. Tale punto di vista, era dominante tra gli economisti di tutti i paesi fin dagli inizi degli anni 60, ma un libro, apparso nel 1963, cambiò radicalmente questa opinione, per lo meno tra gli economisti americani; si trattava della ormai classica "Monetary History of the United States" di Milton Friedman ed Anna Schwartz, nella quale veniva affermato categoricamente che negli anni 20 né l' inflazione e nemmeno eccessi di moneta o di credito potevano aver causato il collasso economico avvenuto tra il 1929 ed il 1933, ma, partendo da tale tesi, per questi autori la causa principale della Grande Depressione è da ricercare negli errori politici fatti durante quegli anni. Riportiamo un passaggio decisivo di questo libro:

"Il collasso monetario dal 1929 al 1933 non fu la conseguenza inevitabile di ciò che era avvenuto precedentemente, ma il risultato delle politiche seguite durante quel periodo. Come è stato già sottolineato, in quegli anni potevano essere adottate politiche alternative che avrebbero potuto rallentare la debàcle monetaria. Sebbene il Reserve System  proclamava di seguire una politica di moneta a buon mercato in realtà adottava una politica di stretta eccessiva.

Queste opinioni circa il ruolo della politica monetaria nel provocare la depressione si sono poi ampiamente diffuse tra la massa degli economisti americani sino a costituire la spiegazione 'ufficiale' della Grande Depressione. Una conclusione importante per il futuro, inerente a tale approccio monetarista, consisteva nel messaggio confortante secondo il quale tutto ciò che serve per prevenire le gravi depressioni che seguono il boom è una sufficiente disponibilità di  moneta. Sicuramente questa è una asserzione di fondamentale importanza poichè sta alla base delle opinioni ottimistiche sull'economia americana che prevalgono attualmente. Considerando che l'economia era ancora in fase di boom nonchè il regnante ottimismo circa le sue prospettive, bisogna riconoscere che nei mesi di Ottobre e Novembre del 1929 la Federal Reserve reagì con prontezza ammirevole di fronte al crollo borsistico. Il 25 Ottobre, il giorno dopo il Venerdì Nero, ridusse immediatamente il tasso di sconto praticato dalle banche sugli anticipi dati sulle entrate future di attività industriali e commerciali dal 5 e 3/8 al 5 %. Il 1 Novembre, quando il panico delle vendite durava da appena una settimana, la Fed ridusse drasticamente il tasso di sconto al 5% e due settimane dopo al 4,5%. Movimenti seguiti da una sequenza di tagli ulteriori  fino al 4% del 21 Novembre. Tuttavia l'economia crollò incredibilmente in modo generalizzato e con una rapidità mai vista, come una castello di carte.

 

LA FUNZIONE DEL CROLLO

Abbiamo sempre sostenuto la spiegazione della Grande Depressione avanzata dalla teoria austriaca e tra le varie considerazioni che depongono a suo favore, quella che ci appare determinante è la immediatezza e le dimensioni straordinarie del crollo economico. Consideriamo infatti che nel 1930 il PIL cadde improvvisamente del 9%, un tipo di collasso che può avvenire solamente in una economia pesantemente squilibrata e quindi altamente vulnerabile. La notevole contrazione della massa monetaria pari al 42%, cui Milton Friedman attribuisce la Depressione solo a partire dagli inizi del 1930, ha luogo solo a partire dalla seconda parte del 1930, dunque non ha preceduto ma ha coinciso con il crollo economico che è stato preceduto unicamente dalla fase iniziale del crollo della Borsa. Finora la controversia più importante tra gli economisti americani ha riguardato proprio il ruolo del crollo della Borsa nel provocare il disastro dell'economia e della finanza.  E' stato stimato che il crollo borsistico abbia determinato una distruzione di ricchezza pari a circa 85 miliardi di dollari. Nella prima ondata del crollo, tra la fine di Ottobre ed i primi di Novembre del 29, le perdite di capitale ammontarono a circa 25 miliardi di dollari, a fronte di una contrazione dello stock di moneta in senso lato di 13 miliardi di dollari tra gli inizi del 1930 e la fine del 1933. Ma per Milton Friedman la contrazione nell'offerta di moneta fu il solo e decisivo meccanismo che spinse l'economia in una profonda e protratta depressione e tale contrazione monetaria, secondo il suo punto di vista, non ha altra causa se non quella conseguente alle politiche errate applicate dalla Fed. Lungi da noi voler mettere in discussione l'importanza decisiva che ha avuto la drastica contrazione monetaria che è seguita in quegli anni, ma è evidente che sfida ogni logica disattendere la rapida ed enorme distruzione di ricchezza avvenuta precedentemente in Borsa per considerala quasi come un fenomeno praticamente irrilevante. Nel meccanismo previsto dalla teoria austriaca l'espansione del mercato azionario ha agito prolungando il boom grazie ad un ondata di ricchezza gonfiata rispetto ai consumi, allorchè i prezzi delle azioni crollarono, questo elemento artificiale dei consumi è evaporato con effetti immediati e pesantemente negativi sulla crescita economica del 1930. In realtà l'unica vittima di un crollo di questo genere non è stata solo la ricchezza individuale ma anche la liquidità generale. E' un grosso errore valutare la liquidità  solo dai mutamenti dello stock di moneta, molto più importante è la liquidità degli asset, presenti sui mercati soprattutto degli asset finanziari. In periodi di disponibilità di moneta, tassi di interesse bassi e mercati in espansione, le corporations, le istituzioni finanziarie ed i consumatori tendono a ridurre i loro saldi attivi a favore degli asset finanziari, che vengono considerati, in condizioni di mercato in rialzo, come asset altamente liquidi. Finchè l'offerta di moneta cresceva, il vasto stock di azioni detenute rappresentava realmente per i suoi possessori, degli asset altamente liquidi, ma il crollo dei prezzi azionari ha improvvisamente trasformato questo enorme stock azionario in una massa di asset privi di liquidità che potevano essere liquidati solamente con pesanti perdite. Considerando l'ammontare di ricchezza e di liquidità andate distrutte, non abbiamo il benchè minimo dubbio che il crollo del mercato azionario sia stato il fenomeno più importante e la causa immediata della depressione che ne è seguita, la cui dinamica sarebbe stata sicuramente diversa da quanto accaduto se non si fosse verificata la catastrofe della Borsa. Ma tutto ciò implica, invece, che la Grande Depressione ha principalmente avuto origine dagli eccessi del boom precedente.

 

DISPUTE SULLA CAUSA

Tenendo presente quest'ultima asserzione, abbiamo fatto un confronto tra gli eventi e gli eccessi tra la fine degli anni 20 e l'inizio degli anni 90. Come si possono confrontare la natura e le dimensioni degli eccessi monetari e del credito nei due periodi? Prima di esaminare le differenze più marcate, osserviamo innanzitutto un importante fattore comune: in entrambe i periodi la creazione di credito si è verificata prevalentemente al di fuori del sistema bancario, attraverso il mercato dei titoli ed il mercato monetario. Un'altra cosa in comune è la completa assenza di ricorso al credito da parte del Governo Federale. Tutti i debiti e le concessioni di credito che si verificarono furono a carico del settore privato, ossia delle imprese e dei consumatori. Dobbiamo sottolineare inoltre, che il credito è il fattore meno considerato nei libri di storia americana degli anni 20 infatti nel loro voluminoso "Monetary History of the Unites States", Friedman e Schwartz non riportano nemmeno un grafico sull’aumento del credito, mentre vi si trovano pagine e pagine di grafici dettagliati sulla crescita della massa monetaria addirittura mese per mese. Gli autori non menzionano nemmeno i debiti spaventosi contratti dai brokers per speculare in borsa, che, nel settembre 1929, hanno raggiunto la punta massima di 8,5 miliardi di dollari. L'indebitamento al consumo sottoforma di prestiti rateali giocò un ruolo determinante nel favorire la crescita dei consumi negli anni 20, ma non esitono statistiche relative alle loro dimensioni ed alle fonti del loro finanziamento. Come è stato spiegato in precedenti articoli, una misura critica dell' "eccesso" di credito è la crescita del credito rapportata alla crescita simultanea del PIL nominale come denominatore statistico della crescita dell'attività economica. Durante i quattro anni che vanno dalla fine del 1925 alla fine del 1929, il PIL degli Stati Uniti aumentò di 13,9 miliardi di dollari o del 15,3% (da 90,5 miliardi a 104,4 miliardi di dollari). In questo stesso periodo le corporations emisero titoli per 27,4 miliardi di dollari dei quali più di 10 miliardi erano capitale netto. Durante quegli anni il totale dei prestiti bancari aumentò di circa 8 miliardi di dollari per la maggior parte grazie ad ipoteche sui crediti. Inoltre buona parte del credito fu garantito da istituzioni che erano al di fuori del sistema bancario, principalmente casse di risparmio ed associazioni di credito edilizio. Purtroppo non sono disponibili dati statistici poichè è di antica tradizione l'abitudine degli economisti americani di considerare esclusivamente la massa monetaria e di ignorare il credito. Finora, nonostante la mancanza di statistiche esaurienti, i dati disponibili non lasciano alcun dubbio sul fatto che vi fu una dilagante creazione di credito. Questo aspetto è molto importante poichè, in netto contrasto, l'offerta di moneta aumentò in maniera piuttosto modesta, infatti tra il 1925 ed il 1929, questa crebbe non più del 10% passando da 50 miliardi a 55,5 miliardi di dollari. I depositi bancari alla fine del 1929, pari a 22 miliardi di dollari, erano ai livelli della fine del 1925. Ma, come già detto, tale difficoltà nella crescita della massa monetaria non è stata assolutamente causata  da una mancata espansione del credito ma piuttosto dal fatto che la creazione di credito avvenne prevalentemente attraverso il mercato dei titoli ed il mercato monetario, non comportando sostanzialmente creazione di moneta. I prezzi dei titoli, aumentarono più di tre volte ed il valore totale di tutte le azioni del listino nella Borsa di New York  passò dal livello di 27 miliardi di dollari del 1925 fino al picco di 89 miliardi di dollari raggiunto agli inizi del settembre 1929.

 

LE BANCHE INONDANO I MERCATI

Tutto ciò porta ad una delle differenze più importanti e fondamentali tra il boom degli anni 20 e quello degli anni 90 che riguarda la strategia finanziaria delle corporations. Durante gli anni 20 esse avevano tratto vantaggi straordinari dalla notevole disponibilità di capitale a buon mercato e da una vasta emissione di obbligazioni e di azioni in notevole eccesso rispetto alle loro necessità di investimento. Nel 1929 circa il 70% dell'intero ammontare dei titoli emessi dalle imprese era costituito da azioni. Riferendoci a Shumpeter su quest'aspetto: le corporations americane "alla fine arrivarono alla Grande Depressione con una dotazione finanziaria a dir poco di lusso." Molte di esse potevano finanziare i loro investimenti per gli anni a venire con i fondi che avevano accumulato  durante la mania speculativa del 1928-29. Cosa fecero le corporations con i loro eccessi di liquidità? Li piazzarono senza esitare nel mercato azionario, ma attraverso un canale diverso. Invece di comprare azioni per ricavane degli utili, usarono questi fondi in larga parte per effettuare dei prestiti al 10%, specialmente ai broker, i quali, con questi fondi finanziavano i prestiti, saliti alle stelle, per la speculazione in Borsa dei loro clienti. Possiamo osservare che nei 12  mesi  che precedono il crollo, i prestiti degli intermediari aumentarono del 50%. Tuttavia questo eccesso di liquidità delle corporations, accumulata  grazie alla eccezionale emissione di titoli, ebbe ulteriori conseguenze monetarie. Per quel che riguarda le banche comportò la perdita dei loro principali mutuatari, infatti con la completa cessazione dei prestiti alle corporations, le banche furono costrette a cercare una fonte alternativa per le loro entrate. Prima di tutto si imbarcarono verso due nuovi obiettivi: investimenti in obbligazioni societarie, e quindi in azioni attraverso le affiliate, e prestiti su titoli, cioè prestiti ad acquirenti di azioni e di obbligazioni contro azioni ed obbligazioni come collaterale. In ultima analisi fu il sistema bancario che spinse il mercato azionario e quello delle obbligazioni verso il boom, in parte attraverso acquisti per proprio conto ed in parte attraverso prestiti ad altri acquirenti di azioni e di obbligazioni. Su questa dinamica possiamo citare un rapporto della Lega delle Nazioni di quel periodo: "Negli Stati Uniti l'espansione del credito dopo il 1927 si diresse prevalentemente verso il finanziamento della speculazione, secondo le statistiche disponibili non meno dell'86% dell'aumento del credito bancario è stato destinato a tale proposito e ciò fu alla base del boom della Borsa che ne è seguito".

 

ECCESSI POSTI A CONFRONTO

Per quanto riguarda la situazione attuale, riferendoci sempre alla teoria austriaca secondo la quale ogni depressione economica o finanziaria dipende in gran parte dai livelli di eccesso del boom precedente, i fattori da analizzare sono di per se chiari: primo, la valutazione delle azioni; secondo, l'espansione della moneta e del credito; terzo: i fondamentali dell' economia. Per quanto riguarda la valutazione delle azioni, il crollo del mercato azionario iniziò agli inizi di settembre del 1929 con il rapporto prezzi guadagni da un livello di 13,5 ad 1, dopo un picco di 16,2 crollato ad 1 nel gennaio dello stesso anno. Se lo confrontiamo con il tradizionale rapporto di 10 a 1, questi livelli di prezzo apparivano in quel periodo eccezionalmente elevati. Confrontati con i rapporti Prezzi/Guadagni di oggi, circa 25 a 1 per l'indice S&P 500, e circa 35 a 1 per l'indice S&P Industrial e più di 200 a 1 per l'indice Nasdaq, i valori degli anni 20 appaiono piuttosto insignificanti. Consideriamo un'altro dato:  prima del crollo del 1929, la totale capitalizzazione dei titoli quotati in Borsa corrispondeva a circa il 100% del PIL, attualmente ha superato 200%. In breve le attuali valutazioni dei titoli sono decisamente superiori a quelle degli anni 20. Inoltre, come è possibile effettuare un confronto tra i due periodi prendendo in considerazione l'espansione monetaria e creditizia? Come abbiamo detto precedentemente, nei quattro anni che vanno dal 1925 al 1929, la moneta nel senso più ampio aumentò del 10% mentre la moneta in senso stretto (M1)[1] ristagnava. Per fare un raffronto osserviamo che durante i quattro anni che vanno dalla  fine del 1995 alla fine del 1999, la moneta in senso ampio (M3)[2]  è aumentata in modo sbalorditivo del 41% che corrisponde a più del doppio della crescita del PIL nello stesso periodo.Se la crescita monetaria è stata da primato, essa è stata decisamente superata dall'aumento del credito, che, come negli anni 20, ha avuto luogo prevalentemente al di fuori del sistema bancario. Mister Greenspan ha diretto quest'esplosione del credito definendola semplicisticamente ragionevole e comprensibile, e, prendendo in considerazione esclusivamente il tasso di inflazione, egli ha automaticamente decretato la libertà totale di creare credito. Nel 1995 l'ammontare del credito finanziario e non finanziario è cresciuto di poco più di un trilione (mille miliardi) di dollari, dopo un aumento nel 1997 di 1,4 trilioni di dollari, i flussi di credito, nel 1998, si gonfiarono spaventosamente fino ad arrivare a più di 2,1 trilioni per raggiungere poi nel 1999 i 2,25 trilioni. In rapporto all'aumento del PIL di 459 miliardi di dollari nel 1998 e di 500 miliardi di dollari nel 1999  la creazione di credito è in realtà un fenomeno di totale pazzia isterica.

 

LA DIFFERENZA PIU'IMPORTANTE: LA FINANZA DELLE CORPORATIONS

Esiste poi un' altra differenza veramente spettacolare tra i due periodi presi in esame: la gestione finanziaria delle corporations. Come abbiamo già detto alla fine degli anni 20 le corporations americane hanno accresciuto la propria liquidità in modo frenetico attraverso l'emissione di azioni largamente in eccesso rispetto alle esigenze finanziarie degli investimenti. In questi ultimi anni le corporation hanno  perseguito una politica diametralmente opposta, infatti hanno esaurito freneticamente le proprie liquidità e si sono avventurate  nel tunnel dell' indebitamento per finanziare acquisizioni e il riacquisto delle loro azioni. Per fare un esempio, negli ultimi dieci anni, il rapporto tra debiti e capitale netto delle compagnie comprese nell'indice S&P 500 è balzato da 84 a 116. Certo, una differenza che colpisce. Ma perchè? Dei due andamenti, quello degli anni venti non necessita di ulteriori spiegazioni. Accrescere la liquidità nei periodi in cui il mercato offre capitali a lungo termine a buon mercato non è altro che la strategia finanziaria tradizionale delle corporations, per quanto la massiccia emissione di nuove azioni debba aver giocato sicuramente un ruolo importante nello stroncare il boom nel 1929. Ciò che è veramente sbalorditivo è quello che è avvenuto nella seconda metà degli anni 90. Pur tenendo conto del fatto che le imprese high tech hanno affollato il mercato azionario in maniera pressante con le IPO[3] , il settore delle imprese si rivela come il più grosso acquirente sul mercato azionario per l' aumento vertiginoso di acquisizioni e del riacquisto di azioni. L'acquisto di azioni in tempi in cui vi è un record di bassi rendimenti dei dividendi, situati attorno all'1%, in ragione dei loro prezzi elevatissimi, superiori di molto ai valori di bilancio, utilizzando denaro preso a prestito al costo di circa il 6 -7% , non è solo una attività in patente contrasto con la tradizione delle corporation ma anche con una aspettativa di profitto ragionevole. In breve ciò che avviene è una follia, ma il dilagare di questa follia nasconde una ragione interessante che invece è facile da identificare ovvero l'ossessione senza precedenti della massimizzazione a breve termine del valore azionario

In parole povere, negli Stati Uniti è mutata radicalmente la filosofia della gestione societaria, ma in meglio o in peggio? L'idea dominante, basata sulla continua ascesa degli indici di borsa, rivendica la realizzazione di spettacolari miglioramenti nella efficienza delle corporations e prende per ovvio che questo cambiamento - con il contemporaneo utilizzo delle nuove tecnologie- sta alla base della stupefacente performance di crescita che recentemente si è verificata nell'economia degli Stati Uniti.

Certamente, nelle nuove condizioni di mercato, la strategia e la politica delle corporation sono mutate radicalmente in varie maniere. Nei loro frenetici sforzi tesi ad aumentare il valore delle azioni, i managers delle imprese sono ricorsi principalmente a due mezzi: un indebitamento spudorato (rapporto tra debiti e capitale proprio) e l'ossessione della riduzione dei costi. L'incremento dell’ indebitamento implica la diminuzione delle disponibilità di liquidi e la trasformazione del capitale in debito. L'importanza che viene data alla riduzione dei costi, utile per incrementare i profitti ed i prezzi delle azioni, invece di favorire nuovi investimenti di capitale ha fatto aumentare automaticamente le fusioni e le acquisizioni. Nel nuovo capitalismo americano l' acquisizione di capacità produttiva esistente ha la precedenza sulla creazione di nuova capacità, mentre la creazione di ricchezza cartacea, mediante l'aumento dei prezzi delle azioni, ha la precedenza sugli investimenti di capitale produttivo. L'uso e l'allocazione di risorse reali ha determinato un consistente spostamento nella composizione del PIL verso il consumo privato la cui quota, nell'attuale crescita del PIL, sta aumentando ai massimi livelli storici.

 

 NUOVO PARADIGMA O  BOLLA? 

Cosa sta accadendo veramente negli Stati Uniti? Un nuovo paradigma economico creato dall'offerta oppure la più grande bolla finanziaria della storia che sta mascherando i pessimi fondamentali dell'economia? Confrontare le condizioni finanziarie ed economiche odierne con quelle della fine degli anni venti è un esercizio scioccante. Negli anni venti l'economia americana aveva un inflazione pari a zero che durava da anni grazie a forti incrementi di produttività, godeva di un persistente surplus di risparmi e di commercio estero, e nel periodo 1928-29 godette di un notevole aumento dei profitti, per non dimenticare poi le abbondanti riserve di liquidità che le corporation avevano accumulato attraverso l'emissione di azioni durante il periodo di crescita della borsa. Queste possono essere considerate condizioni di prosperità senza precedenti oppure di illusioni senza precedenti?

Come si presentano oggi queste condizioni che stanno alla base dell'economia e della finanza? In sostanza possiamo osservare dei dati piuttosto miseri sotto ogni aspetto infatti sono tutti negativi, e negativi all'estremo. Nonostante le manipolazioni statistiche, il tasso di inflazione degli Stati Uniti è superiore al 3%, il tasso più elevato tra i paesi industrialmente più avanzati, mentre il risparmio interno è il più basso di tutti i tempi ed il deficit della bilancia commerciale non è mai stato così elevato. Oltre ad essere un' economia con basso tasso di risparmio e di investimento, l'America è oggi una nazione che consuma capitale, come mostrato dall'aumento dell'indebitamento con l'estero che supera gli investimenti netti interni. Disgraziatamente i profitti delle imprese, secondo le statistiche ufficiali sui redditi, sono rimasti piatti da più di due anni, nonostante il boom in corso con tassi di crescita da record. La fuga delle aziende e delle famiglie dalla liquidità verso l'indebitamento non ha alcun precedente.

Prima questione: il boom incredibile della Borsa è un riflesso del valore reale creato nell'economia oppure è semplicemente una bolla cartacea basata sul credito?

Seconda questione: Quali sono le possibilità che la Fed sia in grado di prevenire un crollo della Borsa e di guidare un atterraggio morbido dell'economia?

Risposta preliminare. Gli eccessi finanziari accumulati e lo squilibrio dell'economia sono eccessivi per poter immaginare un lieto fine e le loro dimensioni portano inevitabilmente a una contrazione economica. Sotto l'influenza del monetarismo, la maggior parte degli economisti americani ritiene che è compito della banca centrale prevenire qualsiasi contrazione mediante la semplie 'stampa di moneta', ma concentrando la loro attenzione esclusivamente sul sistema bancario e sulla massa monetaria non riescono a vedere due ostacoli imprevisti. Uno è l'immane dose di creazione creditizia alla quale l'economia americana ed il suo sistema finanziario si sono assuefatti negli ultimi anni; l'altro è il canale di tale creazione di credito che, come negli anni 20, ha avuto luogo prevalentemente al di fuori del sistema bancario, attraverso i mercati finanziari. Fondamentalmente, qualsivoglia interruzione di questi flussi finanziari produce l'identico effetto negativo sull'attività economica che avrebbe l'interruzione dei prestiti bancari, indipendentemente da ciò che avviene sul versante dell'offerta di moneta. L'andamento usuale ed i primi indicatori di tale interruzione si manifestano con il declino dei prezzi, degli asset e l'allargamento degli spreads (utili lordi ndt) dei tassi di interesse tra effetti di tipo diverso. Considerando le immense somme di denaro coinvolte nei mercati, risulta evidente che, per l'economia americana, il pericolo più grave incombe sui mercati finanziari, incluso il mercato valutario e quello dei derivati. In America i contrasti avranno inizio quando l'economia mostrerà segni più evidenti di rallentamento e la gente comincerà a non farsi più illusioni sull'economia e su Mr Greenspan, pensiamo che ciò possa avvenire nel secondo quadrimestre o nella seconda metà di quest'anno.



[1] M1- sigla che dall'ottobre 83 indica l'offerta di moneta sottoforma di banconote e di monete in circolazione sommate ai conti correnti del settore privato depositati in Banca (ndt)

[2] M3 Questa sigla indica l'offerta di moneta come banconote e monete metalliche in circolazione più i depositi bancari, in qualsiasi forma, sia del settore pubblico che privato più i depositi bancari dei non residenti (ndt)

[3]IPO sta per Initial Pubblic Offering, l'offerta iniziale di azioni che viene fatta al mercato dopo la fondazione di una nuova società (ndt)