LA DELUSIONE ANTIMPERIALISTA
La "fase suprema" di Lenin
Nel
suo esilio in Svizzera, nel mezzo della prima guerra mondiale, Lenin scrisse un pamphlet dal titolo L'imperialismo,
fase suprema del capitalismo. In esso, egli sostenne che, attraverso un
processo che si era completato a cavallo del secolo, il capitalismo aveva
modificato il suo carattere. Il capitale industriale e quello bancario si erano
fusi dando luogo al capitale finanziario e il capitalismo concorrenziale cedette
al capitalismo monopolistico, il quale, attraverso trusts, cartelli e altri
accordi monopolistici, dominava la
produzione. Dovendosi confrontare
in casa propria con profitti calanti
, questi monopoli si trovarono costretti dalle condizioni economiche a esportare
capitali investendoli nelle zone economicamente arretrate del mondo, dove
potevano essere realizzati profitti
più elevati. Quindi, continuò Lenin, iniziò la lotta tra i più avanzati
paesi industrializzati per assicurarsi le colonie dove tali
"sovra-profitti" potevano essere realizzati. Lenin esagerò sia il
grado di concentrazione monopolistica a cui era giunto il capitalismo, sia la
differenza tra il tasso di profitto realizzato in patria comparato con quello
delle aree economicamente arretrate del mondo. Ma furono le implicazioni
politiche della sua teoria che dovettero dimostrarsi più nocive per il
movimento operaio. Quando, dopo il 1917, Lenin divenne il capo del regime
bolscevico in Russia, questa teoria fu diffusa per sostenere che i paesi
imperialisti stavano sfruttando le popolazioni delle aree arretrate che loro
controllavano e che anche una parte della classe operaia di questi paesi
beneficiava dei sovra-profitti realizzati con lo sfruttamento imperialista,
sotto forma di riforme sociali e salari più alti. Tutto ciò era insensato nei
termini dell'economia marxiana, la quale non misura il livello di sfruttamento
dall'essere i salari più alti o più bassi, ma dal riferimento alla quantità
di plusvalore prodotto in relazione al salario pagato. Utilizzando questa
misura, i lavoratori dei paesi
avanzati erano più sfruttati di quelli delle colonie, a dispetto dei loro
salari più alti, poiché producevano più profitto per lavoratore. La teoria
diffusa da Lenin fece della lotta nel mondo non una lotta tra la classe
internazionale dei lavoratori e quella dei capitalisti, ma tra stati
imperialisti ed anti-imperialisti. La lotta di classe internazionale predicata
dal socialismo fu sostituita da una dottrina che predicava una lotta tra stati.
La stessa rivoluzione russa si svolse in un contesto anti-imperialista. Ciò che
tutta l'analisi di Marx sottolineava era che il movimento operaio avrebbe prima
trionfato nelle aree economicamente avanzate del mondo, non in aree economiche
relativamente arretrate come la Russia. Lenin motivò questa contraddizione
sostenendo che Marx aveva descritto la situazione che si presentava nella fase
pre-imperialista del capitalismo, mentre, nella fase imperialista che si era
affermata dopo la sua morte, lo stato capitalista era diventato così forte che
la rottura non avrebbe potuto aver luogo in un paese capitalisticamente
avanzato, ma nel più debole stato imperialista. La Russia zarista rappresentava
l'anello più debole nella catena dei paesi imperialisti e questo spiegava
perché proprio lì ebbe luogo la prima "rivoluzione dei
lavoratori". Ciò equivaleva a dire che la rivoluzione russa era la prima
rivoluzione anti-imperialista, e in un certo senso essa lo fu. La Russia fu il
primo paese a sfuggire alla dominazione dei paesi capitalisti occidentali e a
seguire un modello di sviluppo economico che si serviva dello stato per il
processo di accumulazione interno invece di contare sull'esportazione
di capitale da altri paesi. Nei primi tempi del regime bolscevico, quando
la Russia dovette affrontare la guerra civile e l'intervento esterno delle
potenze capitaliste occidentali, Lenin comprese che questa era una carta che
egli avrebbe potuto giocare per cercare di salvare il suo regime. Giocare la
carta anti-imperialista significava appellarsi alle "tribolanti masse"
dell'Asia, non per realizzare il socialismo, ma le loro proprie rivoluzioni
anti-imperialiste. I paesi "super-sfruttati" dovevano essere
incoraggiati a cercare l'indipendenza, poiché questo avrebbe indebolito gli
stati imperialisti che stavano facendo pressione sulla Russia bolscevica. Questa
strategia fu presentata al movimento operaio occidentale come una maniera per
provocare una rivoluzione socialista nei loro paesi. Private dei loro
sovra-profitti, le classi dominanti dei paesi imperialisti non sarebbero state
più capaci di corrompere i lavoratori con riforme sociali e salari elevati e
perciò questi avrebbero abbandonato il riformismo per abbracciare la
rivoluzione. Dopo la morte di Lenin nel 1924, questa strategia di costruzione di
un "fronte anti-imperialista" contro l'Occidente fu continuata dai
successori. Poiché essa insegnava che l'intero popolo di un paese colonizzato
ha un comune interesse nell'ottenere l'indipendenza, p.e. un proprio stato, essa
attrasse ideologi e politici nazionalisti di questi paesi. Loro si rivolsero a
tutti gli abitanti del paese e cercarono di condurli ad una lotta comune per
ottenere l'indipendenza. Come risultato, in questi paesi il
"socialismo" venne associato con un nazionalismo militante piuttosto
che con l'nternazionalismo proletario, quale esso originariamente era stato. La
lotta politica in questo caso non venne vista come una lotta
tra la classe operaia e quella dei capitalisti, ma come una lotta di
tutti gli elementi patriottici - operai, contadino e capitalisti insieme -
contro una manciata di elementi non patriottici traditori, i quali si sarebbero
venduti agli imperialisti stranieri. Mentre in Europa, nel Nord America
ed in parti dell'America latina, il socialismo fu un movimento per
l'emancipazione della classe operaia, rappresentato da varie e differenti
correnti, in Asia e in seguito in Africa e
nel resto dell'America latina indicò un movimento nazionalista
anti-imperialista. Il marxismo, in senso proprio, non è mai realmente esistito
in molti di questi paesi. Ciò che passò per marxismo fu in realtà il
leninismo, il quale si rivolgeva a intellettuali rivoluzionari modernizzatori
piuttosto che ai lavoratori. E' stato solo verso la fine di questo secolo che
gruppi di lavoratori in questi paesi hanno compreso che il leninismo e la sua
ideologia anti-imperialista non ha nulla a che fare col socialismo. Ma il danno
è stato comunque fatto. Per milioni di lavoratori in queste aree del mondo
socialismo significa ancora nazionalismo e capitalismo di stato, che molti di
loro considerano ancora come qualcosa di positivo piuttosto che una barriera
alla cooperazione della classe operaia oltre le frontiere, la quale è una
condizione essenziale per il socialismo. Attraverso l'influenza che lo stato
capitalista russo ebbe su una parte del movimento operaio dei paesi occidentali,
questo è anche il significato che venne ad avere per molti militanti della
classe operaia di questi stessi paesi. I dirigenti russi usarono i partiti
comunisti degli altri paesi come strumenti ausiliari della loro politica estera,
la quale era basata sugli interessi strategici della Russia come di una
promettente potenza capitalistica (di stato). Ciò che era considerato
"progressista" era ciò che coincideva con gli interessi della
politica estera della Russia. Durante gli anni cinquanta, la Russia si mosse
verso una politica di accettazione dello status
quo in accordo con l'Occidente, conosciuta come "coesistenza
pacifica". I leninisti cinesi, che erano giunti al potere con Mao nel 1949,
espressero differenti interessi di stato e cercarono, così, di diventare
i campioni dell'"anti-imperialismo" al posto della Russia. Le
spaccature che si produssero nel movimento comunista mondiale non furono così
provocate, come superficialmente potrebbe sembrare, dalle differenze circa le
tattiche che il movimento operaio avrebbe dovuto perseguire, ma su quale
cosiddetta politica estera socialista - della Russia o della Cina - si sarebbe
dovuto sostenere. Questa non fu affatto una disputa che riguardava gli interessi
della classe operaia, ma una disputa tra stati, nella quale i lavoratori erano
chiamati a scegliere di quale politica estera desideravano essere le pedine. La
teoria leninista dell'imperialismo racchiudeva i semi di un tale ignominioso
risultato sin dall'inizio, poiché essa indicò come più importante a livello
mondiale non la lotta di classe ma quella tra stati, tra cosiddetti stati
anti-imperialisti e progressisti e stati cosiddetti imperialisti e reazionari.
Ciò rappresentò una deviazione pericolosa dalla lotta di classe e condusse i
lavoratori a sostenere l'uccisione nelle guerre di altri lavoratori
nell'interesse dell'uno o dell'altro stato e della sua classe dirigente.
The Socialist Standard, August 1998, vol. 94, No. 1128