La
generazione del debito
Porter
Stansberry
Nel
corso della storia capita spesso che le tendenze più importanti ed evidenti
vengano del tutto ignorate perché le conseguenze che adombrano sono
semplicemente impensabili. Gli esempi di grandi tendenze problematiche che la
“elite” ha del tutto mancato sono troppo numerosi per venire qui elencati
con qualche grado di approssimazione. Ma consideriamo: la massiccia inflazione
degli anni 70 è forse arrivata senza dare preavvertimenti significativo
all’inizio del decennio? Nessuno commentò più di tanto quando Nixon recise
il legame fra il dollaro e l’oro nel 1971. Non vi fu nessuna forte protesta
dei mass media nel 1972 contro il controllo dei prezzi stabilito dal medesimo
Nixon nel 1972. E il rapido aumento della spesa sociale causato dalla “Guerra
alla Povertà” di Johnson non produsse nessuna analisi critica sino alla metà
degli anni 80. Come mai così pochi furono capaci di vedere chiaramente quelli
che erano grossi e indubbi segni di un’enorme inflazione in arrivo?
Naturalmente non tutti i trend sono negativi, molti però passano inosservati.
Prendiamo ad esempio il mercato azionario ‘toro’ (in ascesa) degli anni 90.
La Offerta Pubblica Iniziale (OPI) di azioni di Netscape
che diede avvio alla mania speculativa ebbe luogo nella primavera del
1995…cinque anni prima del picco del mercato raggiunto nel 2000. Pochi allora
capivano quello che sarebbe verosimilmente successo poi. Nel suo libro del 1994,
The Road Ahead, Bill Gates neppure
menziona la parola “Internet”. Le maggiori tendenze in corso attualmente
possono venire descritte da una sola parola: debito. Dal 1992 vi è stato un
minaccioso spostamento del debito dal settore pubblico a quello privato. I tassi
di indebitamento delle autorità federali sono diminuiti, mentre
l’indebitamento privato è cresciuto a velocità mai osservate prima negli
Stati Uniti d’America. Nel 1992 il governo prese a prestito circa 300 miliardi
di $; l’industria privata solo 200. Da allora il ricorso al prestito privato
è aumentato ciascun anno tranne il 2000 e viaggia oggi a cifre superiori ai
1000 miliardi l’anno. Il ricorso al prestito da parte del governo federale è
sceso fino alla metà dell’anno 2000 ed è rimasto addirittura negativo per
qualche anno producendo un avanzo federale. Ma nel complesso il debito totale
netto – privato e federale sommati – si sono accresciuti nel corso
dell’intero periodo, da circa 500 miliardi di $ di debito addizionale
all’anno a più di 1000 miliardi di $. Di per sé un elevato tasso di crescita
del debito non è necessariamente un problema. Se i fondi sono investiti
sapientemente dando vita a nuove opportunità economiche, le prospettive del
debito nell’insieme del bilancio nazionale potrebbero tranquillamente rimanere
ottimistiche. Ma non è questo ciò che è accaduto. Al contrario, dagli anni 60
ogni dollaro di nuovo debito ha aggiunto meno
di un dollaro alla crescita economica. Questo indica che la nostra economia
soffre sistematicamente di rendimenti decrescenti. Oggi come oggi, ogni dollaro
addizionale di debito aggiunge solo 0,54 dollari alla crescita –e questo
nell’ipotesi che l’economia americana cresca al tasso del 2,5% annuo, il che
potrebbe tranquillamente non essere. La vasta maggioranza dei debiti creati
negli anni 90 è stata usata per alimentare una massiccia speculazione
finanziaria sulle azioni e obbligazioni delle corporations e sui mutui ipotecari
delle abitazioni. Quando il valore di questi patrimoni finanziari comincia a
sgonfiarsi, il debito tuttavia resta nelle sue dimensioni crescendo sempre di più
in proporzione dei patrimoni. Il debito totale come percentuale del Pil
americano è aumentato da circa il 150% del 1982 al 300% del presente.Tuttavia,
sfortunatamente, neppure questo elevato carico del debito ci racconta l’intera
storia dei nostri obblighi futuri. Con l’installarsi del mercato azionario
‘orso’ (valore dei titoli in calo), i patrimoni dei fondi pensione americani
hanno cominciato a dissolversi. Il valore complessivo dei fondi pensione degli
stati e delle amministrazioni locali –i cui dati sono di pubblico dominio- è
caduto dagli 80 miliardi di $ del 2000 ai 25 di oggi…una diminuzione del 70%.
Sebbene non disponga di statistiche complete per quanto riguarda i fondi
pensione delle corporation americane, i numeri di questi non dovrebbero
differire molto dai conti delle amministrazioni statali e locali (che spesso
impiegano i medesimi manager di fondi pensione). Nel frattempo continue notizie
di enormi future carichi sui guadagni delle corporation a causa dei contributi
obbligatori ai propri fondi pensione in crisi stanno sempre più riempiendo le
pagine dei media finanziari. Ad esempio, SBC
Communications ha appena annunciato che preleverà 2 miliardi di $ dai
propri guadagni per cominciare la riparazione del suo piano pensionistico, e Raytheon,
l’industria di equipaggiamento militare, asserisce di dover versare 500
milioni di $ al proprio fondo pensioni nei prossimi due anni. Al presente, a
Wall Street si stima che un 10% dei guadagni delle società comprese
nell’indice borsistico Standard and Poor’s (85% del mercato azionario) andranno l’anno
prossimo ai fondi pensione sottocapitalizzati. Naturalmente vi è un altro,
ancor più grande e sottocapitalizzato, piano pensionistico –la previdenza
sociale americana. Ma la descrizione del futuro impatto dei suoi costi richiede
molto più dettaglio di quanto non possa solo cominciare a sviluppare in qualche
paragrafo. Il debito privato è fatto di due componenti – il debito delle
corporation e il debito personale. L’ascesa dell’indebitamento personale non
desta meraviglia: a chi non piacerebbe vivere al di sopra dei propri mezzi?
Invece, comprendere perché mai le società abbiano abbandonato ogni prudenza
finanziaria non è così semplice. I manager delle corporation hanno innalzato
il grado di indebitamento nei bilanci usando il debito per manipolare i guadagni
realizzati al fine di mostrare accresciuti profitti e, per questo tramite,
gonfiare il valore del capitale azionario nel breve termine. I compensi sotto
forma di opzioni sulle azioni offrono ai manager incentivo per assumere grandi
rischi. Se i rischi funzionano, i manager ricevono lauti profitti caduti dal
cielo; se non funzionano, i manager possono lasciare la scena senza danni. I
peggiori abusatori della fiducia dell’azionariato non sono difficili da
scoprire: basta guardare alle più grosse e prestigiose società americane.
Durante il regno di Lou Gerstner come CEO dal 1993 al 2000 IBM
ha ricomprato dal mercato proprie azioni per circa 9 miliardi di $ mentre
durante lo stesso periodo si indebitava per ulteriori 20 miliardi di $. Sembra
totalmente assurdo: perché emettere nuovi titoli di debito che costano dall’8
al 12% annuo di interesse quando le azioni pagano solo l’1% in dividendi ?
L’unica ragione per agire così è spremer fuori guadagni nel breve termine;
ma nel lungo termine si accumula solo nuovo rischio e si riducono i propri
futuri margini di profitto. Ma, che poteva importare a Lou ? Ha ottenuto 500
milioni di $ in stock options (tutte
quante prontamente rivendute al momento del suo pensionamento nel 2000). Non vi
è dubbio che Lou Gerstner abbia accresciuto il rapporto fra capitale preso a
prestito e capitale proprio nel bilancio di IBM
per aumentarne i margini operativi nell’immediato. Questo non è contro la
legge…ma non è in questo modo in cui grandi società vengono costruite, è
piuttosto il modo in cui vengono divorate. Dalla partenza di Gerstner, IBM
ha riconosciuto di iscrivere a bilancio le entrate dalle vendite di unità
patrimoniali come redditi operativi –un abituale trucco contabile per mostrare
che si sono raggiunte le previsioni di guadagno. Vendere pezzi delle proprie
attività patrimoniali è anche un altro mezzo per accrescere il rapporto fra
capitale di prestito e capitale proprio. Entro un anno dal pensionamento di Lou
il suo sostituto aveva già dovuto assumere notevoli gravami (nell’ordine dei
miliardi di $) sui guadagni IBM,
vendere grossi settori che non andavano bene (produzione di hard disk di
personal computer) e chiudere attività non redditive (sebbene mantenute da
lungo tempo) come quella dei personal computer. Incredibilmente, Gerstner ha
scritto un libro autolaudatorio sulla sua direzione di IBM.
Il libro sta per essere pubblicato. E che dire di General
Electric, forse la più prestigiosa company americana di ogni tempo? È dal
1992 ininterrottamente che GE si sta
indebitando al netto. Come è possibile che la migliore società
industriale d’America prenda a prestito capitali al netto per dieci
anni consecutivamente? Ebbene, guardando a quello che GE
sta facendo per far soldi lo si capisce subito. Circa il 50% del debito totale della
società si trova nella forma di titoli di a breve termine –il mercato dei
titoli di credito a 90 giorni a cui essa ha accesso grazie alla valutazione di
AAA della bontà dei suoi titoli attribuitale dall’agenzia Moody’s. La società impiega questo debito, ad un basso tasso di
interesse, per finanziare carte di credito, che sono invece sottoposte ad un
tasso di interesse elevato. Se si entra da J.C.Penney
o da Macy’s
uscendone con una carta di credito c’è buona probabilità di essere
diventati debitori verso GE. In totale, negli ultimi tre anni GE ha speso 43 miliardi di $ per l’acquisizione di crediti a breve
termine su carte di credito. Ed ora la parte temibile della storia. Dal 1997 per
ben quindici volte la società ha venduto un grosso stock di questi titoli (con
perdite) meno di tre settimane prima della chiusura di un trimestre. Ecco come
é riuscita a conseguire con così notevole precisione le sue previsioni di
guadagni. Nel frattempo, però, il debito di GE
cresceva. Al momento attuale, nel suo bilancio
il rapporto fra debito e capitale proprio é precariamente di 4 a 1. Ma,
perché prendersi simili rischi? Perché queste acquisizioni di titoli
finanziate dal debito hanno prodotto il 40% della crescita del reddito di GE
nel periodo 1985-2000, stando all’analista di Merryll
Lynch Jeanne Terrile (la quale è andata in pensione subito dopo la
pubblicazione della sua indagine sull’uso del debito da parte di GE).
E si tratta delle migliori società americane. Di fronte alla riduzione dei
margini di profitto negli anni 80 e 90 le corporation hanno incrementato il
proprio rapporto debito/capitale per far apparire migliori i profitti; ma in
tutto il periodo i loro fondamentali hanno continuato a deteriorarsi senza
nessun chiaro avvertimento da parte di alcuno. Dal 1975 le spese in conto
capitale hanno ecceduto i flussi di cassa, implicando che le corporation
hanno accresciuto il proprio indebitamento oppure emesso capitale
azionario più velocemente di quanto non realizzassero profitti. Ma questo gioco
si è ovviamente ritorto su chi lo aveva fatto quando la domanda ha lentamente
cominciato a declinare. Alla fine é giunto un momento in cui il grado di
utilizzo della capacità produttiva ha iniziato a diminuire in ogni settore, dai
computer alle carte di credito indicando l’esistenza di un vasto surplus di
beni e servizi nell’economia americana. Secondo la Federal Reserve
nell’insieme dell’economia il grado di utilizzo della capacità produttiva
è sceso dal livello di 85-90% del 1985 al 75% di oggi. I dati sono ovvi: le
aree dell’economia americana che hanno avuto il maggior boom di investimenti
sono quelle che ora soffrono del più accentuato declino nell’uso della
capacità produttiva. Ad esempio, nell’elettronica l’utilizzo della capacità
che era del 90% nel 1999 si trova oggi a meno del 65%. Questo rapido declino
dello sfruttamento della capacità produttiva è uno dei sintomi dello scoppio
di una bolla creditizia. Un economia sana è guidata da una domanda alimentata dai risparmi, quando la
corrispondenza fra risparmi e investimenti salta allora emergono problemi. Se si
pensa a questi problemi in termini astratti, diventa più facile capirli. Ci si
immagini il proprio bilancio familiare. Che accadrebbe se si sfruttasse ogni
tipo di credito disponibile negli ultimi sei mesi? Il tasso di consumo si
innalzerebbe, si contribuirebbe a creare domanda nell’economia, e, alla fine,
i bisogni comincerebbero lentamente a ridursi. Ci si ritroverebbe con pochi
desideri nuovi…e molti debiti accumulati. Gli acquisti verrebbero arrestati
per un tempo più o meno lungo, fino a quando non si fosse rimesso in ordine il
bilancio familiare. Questo è essenzialmente ciò che è accaduto negli Stati
Uniti durante gli ultimi dieci anni. Il tasso di risparmio rispetto al reddito
è costantemente diminuito dal 5% (livello comunque già debole) fino a
raggiungere valori negativi alla fine
degli anni 90. La gente ha finito con lo spendere più di quanto guadagnasse
ogni anno, per lo più sfruttando il rifinanziamento dei mutui sulla casa. Ora
si è raggiunto il punto in cui la maggior parte delle persone (e delle
corporation) sono vicini ad avere esaurito l’uso dei soldi ottenuti dal
rifinanziamento dei mutui. La quantità di denaro che la gente ha preso a
prestito contro il valore delle proprie abitazioni non ha precedenti. Dal 1992
le aggiunte trimestrali di debito ipotecario sulla casa sono aumentate dai 200
miliardi di $ per trimestre nel primo trimestre del 1992 a più di 600 miliardi
nel terzo trimestre del 2002. Un livello di indebitamento veramente
sbalorditivo. Diamo un occhiata anche al credito al consumo, che comprende
leasing sulle automobili e prestiti contro il valore delle abitazioni. Sempre
nel 1992, il credito al consumo come percentuale del reddito personale
spendibile era attorno al 16%, oggi supera il 25%. Questa significa che una
quota incredibilmente grande del reddito delle persone va attualmente nel
pagamento di tasse e nella restituzione dei debiti con gli interessi. È
evidente che la futura domanda di beni e servizi sarà invariabilmente
debole…e questa debolezza potrebbe durare per un tempo sorprendentemente
lungo.
New York,
Novembre, 2002
Porter Stansberry è un consulente a
analista finanziario americano, nonché fondatore di www.PirateInvestor.com,
sito che pubblica studi e ricerche nel campo degli investimenti.