I
fronti di guerra
considerazioni
sulla lotta antimperialista e anticapitalista
Le
recenti aggressioni imperialiste delle democrazie industriali occidentali nei
confronti dei popoli medio-orientali e i processi di ristrutturazione in atto
nella metropoli capitalista impongono una riflessione rispetto al rapporto che
esiste tra le recenti mobilitazioni contro la guerra e contro le
ristrutturazioni e la resistenza delle masse arabo-islamiche.
Il
proletariato metropolitano si confronta oggi su due livelli legati
all’imperialismo: il fronte interno e il fronte esterno.
Il
fronte interno si connota attraverso le ristrutturazioni (licenziamenti e cassa
integrazione), la precarizzazione del mercato del lavoro (interinale, lavoro
nero, cooperative), la proletarizzazione dei ceti medi e un maggiore controllo
sociale (carceri, polizia, psichiatria, educazione). Il fronte esterno si
manifesta nella brutalità delle guerre in Afghanistan, Iraq, Palestina, ecc..
ossia in una sempre più intensa aggressività dell’imperialismo.
Questa
guerra dal doppio fronte è causata dai processi di crisi in atto del
capitalismo, che si manifestano sia nel suo centro che nella sua periferia.
L’azione del proletariato nella metropoli capitalista può influenzare la
lotta “partigiana” antimperialista in Iraq, Afghanistan, Palestina,
Colombia, Nepal, Argentina ecc… alleggerendo la pressione che gli eserciti
imperialisti impongono a queste popolazioni ed ai loro partigiani.
A sua volta vi è un condizionamento al contrario, la resistenza che la
lotta antimperialista produce in questi paesi, rompe l’inviolabilità del
piano militare delle forze armate imperialiste. Questo può accelerare processi
di disgregazione del fronte interno e dare maggiore impulso e energia
all’azione proletaria, che si trova a combattere contro un nemico meno
compatto. La precarizzazione sociale rende instabile le maggiori roccaforti
dell’imperialismo, creando un fronte interno che vede contrapposto il
proletariato metropolitano e la borghesia imperialista, già impegnata a
depredare in modo sempre più convulso le risorse dell’intero pianeta. In
entrambi i casi il nesso centrale è il rapporto che esiste tra crisi e guerra,
e il manifestarsi della lotta che il proletariato combatte sui fronti interno ed
esterno determinati dall’imperialismo. Non vi è una coincidenza tra fronte
interno e fronte esterno ma un rapporto tra essi, i due fronti si influenzano
vicendevolmente. L’anticapitalismo contiene la lotta antimperialista, ma non
sempre accade l’inverso. Riportare una simile analisi in un contesto come
quello dove noi viviamo vuol dire andare a scoprire i rapporti che esistono tra
la lotta antimperialista e la lotta anticapitalista nella composizione di classe
e nella struttura del territorio.
Fronte
interno
Stanno
ripartendo gli scioperi per il contratto dei metalmeccanici e siamo in piena
mobilitazione per l’articolo 18. Attorno a queste vertenze sono coinvolte
larghe fasce di lavoratori, ma non vi è stata una ricaduta immediata rispetto
alla capacità operaia di darsi proprie forme di azione indipendente. Le
esperienze indipendenti, quando emergono e non rimangono su un terreno
velleitario, vengono boicottate sistematicamente dalle burocrazie sindacali. A
Modena esistono due comitati per il Si, dove la creazione del secondo (sotto
l’egemonia di Rifondazione Comunista) è dovuta alla paura di innescare
percorsi di organizzazione indipendente operaia, in questo modo si isolano le
avanguardie di fabbrica e i lavoratori più arrabbiati vengono disciplinati. Le
mobilitazioni per l’articolo 18 hanno appena sfiorato la nuova composizione di
classe. I precari in fabbrica e in altri luoghi di lavoro rimangono abbastanza
indifferenti. Vi è indubbiamente una buona dose di demagogia dietro alla
proposta referendaria, prima la sinistra parlamentare asseconda e introduce il
lavoro interinale e altre forme di precariato, per poi contrastarle, dal momento
che si è ritrovata all’opposizione. Le stesse avanguardie di fabbrica e i
lavoratori più combattivi in genere, rimangono imbrigliati dentro ad una morsa
che li vede schiacciati tra la demagogia di Rif Comunista e il lassismo della
CGIL.
Dentro
le mobilitazioni stenta ad emergere una sinistra operaia e proletaria
indipendente capace di rompere con il patto tra sindacati, governi locali,
padroni, tuttavia proprio la presenza di fasce di operai precari e/o immigrati
rende meno gestibile il conflitto da parte sindacale. La nuova classe operaia
precaria sfugge all’inquadramento sindacale classico, categorie e livelli sono
sempre più obsolete rispetto alla moderna organizzazione del lavoro. I padroni
non si possono permettere di garantire un lavoro fisso. Le forme di lotta, anche
se stentate, di questa “nuova” porzione di classe, potranno rilanciare
l’indipendenza e l’autonomia del proletariato. In questo segmento
confluiscono nuove figure come gli addetti al call center, che sono una delle
punte più avanzate della proletarizzazione dei ceti medi (la maggior parte
degli impiegati nei call center sono neo-laureati o laureandi). Parti
consistenti di queste porzioni sociali sono ghettizzate dentro i quartieri
dormitorio se non addirittura dentro baracche (come nei casi dei centri di prima
accoglienza). I padroni hanno paura della pericolosità sociale di operai e
proletari combattivi, e non lesinano ad utilizzare mezzi repressivi per fermare
tutte le forme di collegamento e azione. Più l’azione operaia è incisiva e
va a toccare i reali interessi padronali e più l’utilizzo delle forze
dell’ordine e delle ritorsioni contrattuali si fa sentire. In questo modo un
operaio mussulmano combattivo viene bollato immediatamente come un terrorista
islamico , così come un operaio italiano diventa un brigatista. Ogni operaio
sente l’erosione dei salari e l’aumento vertiginoso dei ritmi che in questi
anni l’organizzazione del lavoro capitalista ha imposto, alcuni operai
resistono a tutto questo, l’aumento delle mutue e dei sabotaggi “pilotati”
sono una parziale risposta a questa situazione.
Questo
è il fronte interno che il proletariato metropolitano locale si trova davanti,
non siamo davanti a lotte risolutive tuttavia porzioni di proletariato si
trovano dopo molti anni al di fuori delle sirene del riformismo. I gruppi, le
organizzazioni, della sinistra rivoluzionaria, gli operai e proletari
combattivi, hanno come passaggio obbligato quello di adeguarsi allo scontro in
atto e di prendere in considerazione il restringersi delle garanzie sociali,
provocate da un processo generale di crisi capitalista. Le mobilitazioni per il
contratto e per il referendum devono essere posizionate dentro una prospettiva
di lotta di lunga durata, e non viste nell’immediatezza degli obiettivi,
capire questo passaggio è già un primo passo in avanti rispetto al definirsi
di una nuova capacità d’azione della sinistra proletaria e operaia.
Il
fronte esterno
La
lotta partigiana delle masse arabo-islamiche, è una delle punte più avanzate
della resistenza antimperialista. In Palestina, in Iraq, in Afghanistan il
proletariato è attivo nelle piazze così come nella resistenza armata. Anche se
le informazioni sono spesso parziali, ogni giorno si ha notizia di azioni contro
le truppe imperialiste.
***
Coniugare
la lotta antimperialista e anticapitalista è un passaggio obbligato per rendere
l’azione proletaria dentro la metropoli più efficace e meno parziale di
adesso, al tempo stesso è uno spartiacque per iniziare a definire una sinistra
operaia e proletaria che sappia rompere con le compatibilità della Politica,
dello Stato, dello sciovinismo imperialista e dei particolarismo religiosi. E’
in questo modo che bisogna intendere il rapporto che esiste tra la resistenza
dei “partigiani” iracheni e afgani e la lotta operaia nella metropoli.
Rete
regionale anticapitalista e antimperialista Emilia Romagna
(da
nemici all’interno 2003)