Lavoro,
dignità e cambiamento sociale
un’esperienza
diretta dei lavoratori-disoccupati in Argentina
DOCUMENTI IN APPENDICE:
Origine dell’MTD di Solano - agosto 2001
Il Movimento dei Lavoratori Disoccupati. Cosa c’è dietro ai piquetes e ai planes trabajar
La necessità dell’organizzazione
Introduzione
Nella
zona del Grande Buenos Aires, più precisamente dalle parti di Quilmes, Lanús e
Almirante Brown, sono nate e si sono sviluppate un insieme di organizzazioni di
lavoratori disoccupati le cui pratiche e idee costituiscono una rottura rispetto
alle forme tradizionali della politica argentina. I movimenti di lavoratori
disoccupati (MTD) di Solano, Lanús e Almirante Brown costituiscono, in effetti,
una delle esperienze più ricche e nuove degli ultimi anni.
Trasformando
i sussidi di impiego del governo in uno strumento di lotta e organizzazione,
questi movimenti sono riusciti a consolidarsi nel tempo e ad avanzare
nell’articolazione e nel coordinamento con gli altri settori dell’area
popolare.
I
sussidi strappati al governo nei piquetes,
che interrompono la circolazione dei veicoli e delle merci nelle strade
argentine, sono amministrati in modo autonomo e danno luogo a una serie di
imprese produttive (panifici, mattonifici, fucine, carpenterie, ecc.) e a
diverse iniziative che soddisfano le necessità del quartiere
(biblioteche popolari, asili, mense, magazzini e farmacie comunitarie,
ecc.). In tal modo, ogni vittoria nel piquete
rafforza lo sviluppo dell’organizzazione.
L’Argentina
rasa al suolo: una breve contestualizzazione storica
Durante
la decade degli anni novanta, sotto il governo di Carlos Menem, si consolidò in
Argentina il modello neoliberista. Le conseguenze di questo modello, i cui primi
pezzi furono montati dall’ultima dittatura militare tra il 1976 e il 1983,
sono oggi visibili e sono il prodotto di una trasformazione strutturale
nell’economia e nella società.
Delle
politiche neoliberiste beneficiarono i settori più concentrati
dell’economia (i creditori esterni, le grandi banche, i grandi gruppi locali
che beneficiarono del processo di privatizzazione delle imprese pubbliche, ecc.)
e tutto il peso fu scaricato sulla stragrande
maggioranza della nazione.
Rimane
poco di quella Argentina che si sviluppò a partire da un’economia orientata
al mercato interno in espansione e che si mostrava molto più omogenea dal punto
di vista della struttura sociale.
Oggi,
e come conseguenza delle trasformazioni che iniziarono con il golpe del 1976
(che inaugurò il processo di de industrializzazione e indebitamento estero come
richiedeva il nuovo ciclo di valorizzazione finanziaria del capitale) ciò che
predomina nella nostra società è la frammentazione e l’eterogeneità. Il
tasso di povertà e marginalizzazione ha raggiunto livelli inediti (quasi il
quaranta per cento degli argentini sono sotto il livello di povertà) mentre gli
organismi ufficiali riconoscono che la disoccupazione raggiunge cifre superiori
al 20 per cento.
Dai margini ancora si può
Verso le origini degli MTD della zona del Gran Buenos Aires
Durante
gli anni 1996 e 1997 ha luogo, nell’interno del paese, una serie di proteste
popolari che per la loro partecipazione di massa furono veri bagni di
folla.
In
questi “bagni di folla” emerse e si consolidò uno strumento di lotta fino a
quel momento inedita: il blocco stradale.
Questi
avvenimenti dimostravano, da un lato, che la disoccupazione si era convertita in
un dato strutturale della vita politica argentina e dall’altro, che i
disoccupati in tanti ambiti sociali apparivano come un settore chiave nella
lotta contro la politica di aggiustamento neoliberista.
Di
fronte al crescere della protesta sociale il governo nazionale decise di mettere
a punto sussidi di impiego (Planes Trabajar) con l’obiettivo di contenere le domande dei
disoccupati. I sussidi avevano un’impronta chiaramente disciplinatoria: da
parte del potere si pensava che potessero essere utili per dividere i movimenti
di protesta e per cooptare qualcuno
dei suoi leader.
Inoltre,
potessero servire per rafforzare la già estesa rete clientelare del governo
nazionale e dei governi provinciali.
Senza
dubbio, molte organizzazioni dei lavoratori disoccupati videro la possibilità
di consolidare la loro organizzazione a partire da questi sussidi di impiego che
si conquistarono con la lotta. È
in questo contesto che si produsse, alla fine del 1997, il primo blocco stradale
nella Provincia di Buenos Aires, più precisamente a Florencio Varela. Questa
esperienza, che fu di massa e terminò con una vittoria dei piqueteros, costituì un punto di riferimento importante per lo
sviluppo degli MTD di Solano, Lanús e Almirante Brown.
“ Una delle cose che
maggiormente colpì fu la forma organizzativa, la gestione in assemblee, la
revocabilità dei delegati (….) la discussione fondamentale partiva dai
sussidi: se c’era da accettare un’elemosina , la cosa passava da ottenerli
per andare più avanti.(…). Su tutto ciò si fondava quello (il tema) del
lavoro, dignità e cambiamento sociale: prendiamo questo, che è una cagata, però
poi abbiamo la scusa per fare altre cose. E a partire da qui iniziamo a
organizzarci”.(1)
Sarà
precisamente l’MTD di Solano quello che più velocemente comincerà
ad organizzarsi.
Nel
novembre del 1997 hanno luogo le prime assemblee e il primo blocco stradale, con
il quale si ottengono i primi sussidi. Ancora, in questo periodo cominciano a
stabilirsi relazioni, a partire dalla solidarietà nelle lotte, con le altre
organizzazioni di disoccupati.
“
Le prime assemblee erano di 30 o 40 compagni. Facemmo una marcia al Municipio e
ottenemmo i primi 50 sussidi; poi venne il primo blocco stradale perché
chiedevamo più sussidi. La gente non era ora disposta a rinunciare
pacificamente al posto di lavoro… Fu qui che conoscemmo i compagni di Lanús,
che vennero a solidarizzare al blocco” (2)
Dopo
pochi mesi cominciò ad organizzarsi l’MTD di Lanús. Inizialmente si partì
dal coordinamento con gli altri movimenti che già esistevano come quello di
Solano, di Varela o di La Plata, e in un secondo momento, che segna il
consolidamento del movimento, da una serie di rivendicazioni specifiche nel
proprio quartiere, che superò i limiti della richiesta dei sussidi:
“L’MTD
qua si consolida quando facciamo lotte di zona forti e nel quartiere (…)
quando tocchiamo la fibra sensibile delle terre del quartiere che sono sotto il
potere del Comune, essendo tanto forte il bisogno di abitazioni…Qui si
avvicinavano compagni del quartiere che forse vedevano che c’era gente che si
univa per fare delle lotte. Però l’idea di toccare gli interessi più
immediati del quartiere fu fondamentale. Oltre al nostro obiettivo concreto, che
poteva essere la lotta per i sussidi, fu partendo da questo che noi ci
rafforzammo”.
(3)
Un
poco più tardi, cominciò ad organizzarsi l’MTD di Almirante Brown, quello
che dal novembre del 2000 realizzò il suo primo blocco stradale insieme agli
MTD di Solano e Lanús, nella rotonda di Pasco (Quilmes), partendo dal quale si
ottennero pacchi alimentari e sussidi che finirono sotto l’autogestione dei
movimenti.
“
Noi ci uniamo, ci organizziamo. Qui nacque il movimento e una parola nuova che
iniziò a diventare familiare tra noi: compagno. Che per noi è dividere la
miseria, la fame, le necessità, ma anche la lotta, lo sforzo, l’impegno, le
conquiste ottenute con ogni lotta. Così cominciammo: assemblee nei quartieri
una volta a settimana, volantini al mercato per convocare gli abitanti. Così
iniziò tutto…” (4)
Le
origini dei tre MTD sono quindi strettamente legate tra loro, affondando le loro
radici in ciò che essi chiamano solidarietà nella lotta.
Note
1
Intervista agli MTD di Solano, Lanús e Almirante Brown realizzata a Lanús il 6
aprile 2002
2
v. nota 1
3
v. nota 1
4
“A un año del primer piquete”
nella Rivista Acontencimiento N. 22,
Buenos Aires, 2001.
Piqueteros
accidenti!
Il blocco stradale come strumento di lotta
I
blocchi stradali si andarono costituendo, già dagli inizi, come strumento di
lotta fondamentale per i disoccupati che si organizzano attorno agli MTD.
Mediaticamente li si chiamò “piquetes”,
installando questa figura nell’immaginario collettivo.
Il
piquete consiste nell’interruzione
della libera circolazione delle merci lungo le strade del paese, fino a quando
si ottiene una risposta alle rivendicazioni programmate- si tratti di
miglioramenti materiali per il movimento, o di solidarietà con le lotte di
altre organizzazioni-. Questa novità nella forma di protesta popolare, che
richiamò l’attenzione di un’opinione pubblica distratta di fronte agli
effetti devastanti delle politiche economiche degli anni novanta, dimostrò un
alto livello di efficacia al momento di ottenere le rivendicazioni avanzate.
Non
ricevendo un salario, il lavoratore disoccupato non ha accesso ai mezzi per
garantirsi la sussistenza. Il suo quotidiano non si sviluppa in fabbrica, di
modo che la sua organizzazione di riferimento non è più il sindacato e passa a
configurarsi, territorialmente, nei quartieri. È in questo senso che il blocco
stradale si trasforma in uno strumento di lotta più potente. Strumento che
consente di ottenere dalle agenzie statali, sussidi (planes trabajar) i cui beneficiari saranno i disoccupati. In tutti i
modi, bisogna segnalare che detti sussidi perseguono l’obiettivo principale di
promuovere e rafforzare una rete di legami clientelari tendenti ad addomesticare
la protesta. Tenendo conto di questa impronta di controllo sociale iscritta nei
sussidi, gli MTD cercano di riappropriarsi di un proprio significato, e
metterlo al servizio del potenziamento delle loro lotte.
L’attuazione
di un blocco stradale richiede una serie di passaggi organizzativi. Il metodo è
discusso dalle assemblee di quartiere. Se si decide il blocco, si dividono i
compiti per aree organizzative: salute, cucina, stampa, ecc. cercando meccanismi
di coordinamento tra le stesse.
Nello
stesso tempo ci si preoccupa di garantire la sicurezza dei compagni mobilitati.
“Il
fatto che i compagni che stanno nel piquete
si coprano il volto è una questione di sicurezza di base. Perché noi dopo
torniamo al quartiere e la stessa polizia che è disturbata dall’aver passato
due giorni nella strada perché blocchiamo la via, è la stessa polizia che poi
pattuglia le nostre case. Ancora, bisogna tenere conto del livello di
intelligenza, che consiste nel filmare le caratteristiche del blocco e
soprattutto i compagni che stanno nel piquete,
perché poi queste immagini sono utilizzate per intentare cause e processare
questi compagni”. (1)
Il
piquete è anche il momento in cui si
pone in evidenza il lavoro quotidiano, di formazione, che si sviluppa di blocco
in blocco. Per continuare con gli esempi, pensiamo il caso illustrativo
dell’organizzazione della sicurezza. Il compimento di questa funzione è
centrale poiché deve garantire l’integrità dei partecipanti, che di solito
sono famiglie intere. Coloro che si incaricano di detta funzione sono in genere
i giovani del quartiere, gli stessi che patiscono quotidianamente la violenza
dell'emarginazione e la repressione della polizia. Tenendo conto di questo, gli
MTD realizzano un intenso lavoro per contenere le ostilità che i ragazzi
manifestano davanti alle “forze dell’ordine” quando si monta un piquete.
Questo lavoro di formazione dà i suoi frutti nel momento in cui, lentamente,
gli addetti alla sicurezza vanno prendendo coscienza della responsabilità che
implica il proteggere i loro compagni.
“Qua
abbiamo una particolarità: che i ragazzi vengono da trent’anni di cultura
politica imposta dall’intendente, e che vengono trattati come pecore. Li
portavano alle riunioni e gli davano vino, droga.. Caricavano un collettivo e
gli davano questo e quello. All’inizio era pesante, perché senza sapere molto
venivano ad un piquete e da lì andavano ad una riunione di Quindimil (intendente di Lanús) e
desideravano bere vino. Si riuscì con molto lavoro… e questo ci ha portati al
fatto che oggi i compagni vanno al piquete e da prima sanno che non si può portare né alcool, né droga né
niente del genere. Se c’è qualcuno che sembra andato, gli stessi compagni gli
dicono che stia calmo, che non disturbi il collettivo. Gli stessi ragazzi del
quartiere che dopo nella notte si ritrovano con loro dietro l’angolo e bevono.
Si è generata una cultura nell’MTD per superare queste cose. Tutti sanno che
non ci si deve sbronzare, perché è una grande responsabilità.. Anche i
compagni piqueteros che sono
un’avanguardia delle famiglie che stanno nel piquete,
e le difendono con grinta, anche in loro c’è questa cultura, che ora però si
sta superando”. (2)
Così
come i piquetes sono uno strumento di
lotta, sono allo stesso tempo un’esperienza nella quale i compagni condividono
gli sforzi per recuperare una propria identità. È questa identità che si
forgia collettivamente, durante la battaglia. Ma una battaglia dura e paziente,
che trascende la giornata del piquete, e si consuma tutti i giorni. Si tratta del combattimento
quotidiano, di piegare gli elementi più combattivi del nemico, trincerati nelle
illusioni di salvezza individuale e nella felicità fondata sul lucro.
“
Il quartiere La Fe non esiste nei piani di sussidio, è un quartiere preso ormai
16 anni fa, da un ammasso di terra che non figura, non esiste. Il tasso
d’occupazione- non di disoccupazione- deve essere del 15 per cento nel
quartiere La Fe. E questo quartiere, questa gente, non esiste. Non esiste quando
fa tre giorni di coda al municipio per iscriversi alla lista per avere i
pannolini, non esiste quando non ha vie di uscita..
Credo
che molti di questi compagni comincino ad esistere nel piquete
(…) Diciamo, esisti nella lotta organizzata dal movimento”. (3)
Il
sistema cerca di confinare i compagni nel silenzio e nell’invisibilità.
Nonostante questo, la loro voce si fa sentire e la loro presenza si impone in
ogni giornata piquetera. La novità di
questa questione è che, al contrario dell’immagine che diffondono i media, il
piquete è un momento in cui
l’allegria è sovrana. Un incontro
rituale, dove i compagni condividono l’intensità di una lotta condotta
collettivamente.
“La
maggioranza dei compagni che si avvicinano al movimento, più dell’ottanta per
cento, vengono esclusivamente per necessità concrete. Hanno bisogno di qualcosa
da mangiare, non hanno lavoro, non hanno un accidente. Però quando c’è un
processo le cose cambiano, iniziano a sentire l’adrenalina e la necessità di
organizzarsi”. (4)
Il
blocco stradale ha un contenuto di emancipazione. Lì i compagni hanno una quota
di potere sono rispettati, anche dalla stessa polizia che nel quartiere li
reprime. Il piquete, quindi, come un evento nel quale la frammentazione e
prostrazione quotidiana si trasformano, al calore delle gomme incendiate e del
calderone popolare, in speranza e ribellione.
Note
1
“La nación subestimada”
Intervista all’ MTD Lanús, in La náusea N.14
dicembre 2001
2
Intervista fatta agli MTD di Solano, Lanús e Almirante Brown realizzata a Lanús
il 6-4-02
3
Intervista agli MTD di Solano, Lanús e Almirante Brown realizzata ad Almirante
Brown il 27-4-02
4
Intervista all’MTD Solano, in Situaciones
N.4 Edizioni de Mano en Mano.
Dicembre 2001
“Dando
alla luce nuove pratiche”
Principi
di costruzione dell’organizzazione politica degli MTD
Gli
MTD elevano la consegna “Lavoro, dignità e cambiamento sociale”; perché questa possa
concretizzarsi hanno dato vita ad un’organizzazione che faccia dello scritto e
proclamato una pratica nella vita reale.
La
costruzione della forma politica degli MTD si sostanzia in tre pilastri: lavoro
territoriale, autonomia e orizzontalità.
Gli
MTD raccolgono le problematiche più forti dei quartieri dove si incontrano in
sedute. Quartieri abitati da gente povera, e con tutta la difficoltà che la povertà
genera. Lavorando sulla sua dimensione sociale, politica ed economica, cercano
di trovare soluzioni pratiche che affrontino in modo diretto i danni delle
relazioni sociali capitaliste.
Per
gli MTD non si tratta unicamente di un problema di impiego, ma, come essi
dicono:” dobbiamo modificare le
relazioni di dominio e di violenza che covano in noi stessi, per ciò dobbiamo
cambiare la nostra testa, e per cambiare la testa, si devono cambiare le
pratiche” (1) Per questo, i membri si sforzano di arrivare alle fibre più
delicate del territorio che abitano, per fare di quello un esempio concreto di
cambiamento sociale; in alcuni casi saranno la terra e la casa, negli altri,
l’impiego e il progetto produttivo. Tutto questo si fa mantenendo chiaro che
la povertà non la rimedi con i
cavoli, poiché la società attuale è strutturalmente ingiusta, e questo è ciò
che si deve cambiare. Gli MTD dicono: “abbiamo
bisogno di un’economia solidale, abbiamo bisogno di risolvere i problemi
piccoli, così andremo ad affrontare i grandi (…) però per essere solidali
dobbiamo abbandonare l’individualismo, quindi dobbiamo formarci”. (2)
“Partendo
proprio dal concreto, e senza grandi definizioni, si tratta di affrontare questa
idea di cambiamento sociale nelle nostre relazioni, e di cambiamento sociale
ora. E non solo combattendo con queste pratiche, ma partorendo nuove pratiche”.(3)
Così,
procedono sul quotidiano, affilando le loro pratiche nella grande tela dove si
plasmano le lotte per la giustizia.
Gli
MTD sono autonomi, non si articolano in nessun partito politico né con nessuna
centrale sindacale. Pensano che le visioni centralizzate si fanno sfuggire il
piccolo dramma delle persone, la specificità di ciascuna situazione. Senza
dubbio, non si risparmiano nel chiamare compagni quelli che condividono i loro
metodi e le loro lotte. E non rifiutano l’appoggio quando altri ne hanno
bisogno. Autonomia non significa abbandonare l’uso dei sussidi sociali dello
Stato, ma usarli dandogli un altro senso. E che, giustamente, questi non si
debbono ad una supposta generosità dei governi, ma alla lotta dei compagni.
“
Al principio era un’idea molto incerta e fondamentale, di rifiuto dell’istituzionalità
politica conosciuta, quella dei grandi partiti, incluso il partito di sinistra.
Era un rifiuto di tutte le forme tradizionali di militanza e degli spazi
politici che non desideravamo continuare a riprodurre. Per esempio, che la
conquista fatta nella strada rimanga nelle mani dei mediatori
noi lo non vogliamo.
Passiamo
da errori e poi, con molto sforzo, incominciamo a costruire il nostro proprio
spazio di militanza, per non riprodurre il vecchio, la nostra propria
organizzazione, per non lasciarla nelle mani dei mediatori del PJ. Dovemmo
pensare a come ci si muoveva, a come ci si organizzava,….”.(4)
“
Quando ottenemmo i primi sussidi, cominciammo a gestirli in modo autonomo, in
forma di laboratorio. Poi, definimmo il senso di questi laboratori e il senso di
ciò che chiamavamo economia alternativa. Qui il governo non entra, venne
definito l’MTD.” (5)
Così,
va mettendosi a fuoco il suo destino, forgiando le sue azioni nella fucina della
storia. L’organizzazione degli MTD è orizzontale: si cerca di affrontare
collettivamente i problemi che si vanno presentando. Le deliberazioni e le
decisioni si prendono nelle assemblee aperte al quartiere. Un’organizzazione
piana e l’esercizio continuo della partecipazione, costituiscono le
caratteristiche specifiche di questi movimenti. I lavoratori effettivi
dell’organizzazione si dividono in aree: formazione, politica, stampa,
relazioni esterne, sicurezza, ecc.
“
Noi cresciamo con due grandi imbrogli, uno è posto dalla religione: quando
muori vai a vivere bene. E l’altro: quando realizzeremo la rivoluzione allora
saremo tutti felici. Non dobbiamo aspettare la rivoluzione per essere felici,
per iniziare a costruire un uomo nuovo. L’uomo nuovo, come diceva il compagno,
si inizia a costruire oggi. Dalla nostra visione politica, non può esistere
autonomia che non sia collettiva. E questa autonomia collettiva comporta
responsabilità per tutti, e tra tutti. Responsabilità di costruire, di
impegno, di rispetto verso i compagni, di sforzo quotidiano”.
(6)
“Qualcuno
discute il tema della democrazia diretta, l’orizzontalità, del fatto che qui
non ci sono dirigenti. Una delle questioni principali è: come può essere che
qui nessuno diriga?
Anche
se non abbiamo dirigenti, ci sono compagni di grande prestigio. Che si staccano
per l’oratoria, la capacità di analisi; però questi compagni in nessun modo
hanno la decisione finale. Comunque, molti compagni hanno peso per
l’esperienza, e c’è un’autorità morale.”
“Quasi
non lavoriamo con il voto, lavoriamo per consenso. Quando la cosa si blocca e
c’è da decidere così o così, in questo caso si va alla maggioranza, però
ciò che di più cerchiamo è il consenso. E se per esempio il tema da definire
non richiede una soluzione urgente, i delegati tornano ai quartieri e ascoltano
ciò che decide ogni quartiere.”
(7)
Così,
si va a sconfiggere la superbia, parlando dal basso ad una società
gerarchizzata. Oltre l’autonomia di ciascun movimento, gli MTD articolano
delle organizzazioni che condividono la stessa forma di costruzione politica, e
coordinano azioni di lotta con altre organizzazioni rispetto alle quali esistono
differenze ma che, in determinate occasioni, coincidono nelle rivendicazioni.
“Crediamo
che l’unità sia fondamentale, da questo nasciamo, cresciamo, ci sviluppiamo,
ci rafforziamo in base all’unità. Crediamo che questa abbia diversi livelli:
uno è tra i lavoratori disoccupati (della regione, della provincia, del paese);
l’altro è con gli altri settori in lotta (lavoratori occupati, della sanità,
docenti, studenti). Soprattutto è importante l’unità interna, che ci
permette di sostenerci nel tempo senza disintegrarci. Intendiamo la
coordinazione come passo iniziale, come processo di conoscenza fino ad ottenere
l’unità”.
“La
solidarietà deve essere un enunciato concreto, e non un enunciato astratto, non
solo tra di noi (come persone,
membri di una stessa classe) ma con gli altri (settori sociali). Però
soprattutto, la cosa più importante è la solidarietà tra le organizzazioni
popolari, oltre e sopra le differenze che possono esistere, soprattutto in
momenti difficili (repressioni, detenzioni, persecuzioni, ecc.)”.
(8)
Note
1
Intervista agli MTD di Solano, Lanús e Almirante Brown, realizzata a Lanús, 6
aprile 2002
2
v: nota 1
3
v. nota 1
4
v. nota 1
6
v: nota 1
7
Intervista all’MTD di Solano, nella Rivista Hacha
y tiza, N. 2, edita dal Centro de Estudio Populares C.P.E., La Plata, 2002
8
“A un año del primer piquete.
Movimiento de Trabajatores Desocupados de Almirante Brown”, nella Rivista Acontencimiento
N. 22, Bs. As., 2001.
Lavoro,
dignità e cambiamento sociale
Economia solidale: nuove forme di organizzazione della produzione e del consumo
Una
delle particolarità che hanno gli MTD di Solano, Lanús e Almirante Brown è
quella di aver trasformato i sussidi sociali, improduttivi e assistenziali del
governo, in progetti autenticamente produttivi.
“All’inizio
i sussidi di lavoro erano destinati esclusivamente a lavori comunali: scavi,
costruzione di viottoli, quando non servivano per sistemare unità di base del
Partido Justicialista..
Attraverso
la lotta ottenemmo l’autogestione, per definire noi i lavori da realizzare, progetti nostri che non dipendessero
dal comune, o dal mediatore della zona.. Evitammo così l’intermediazione dei
Comuni e il controllo diretto dei sussidi di impiego rimase nelle mani dei
lavoratori disoccupati. La nostra idea è che le imprese debbono dare beneficio
a tutto il quartiere e non solo a chi ha potuto accedere ad un sussidio.
Desideriamo destinarli ad una micro-impresa, un panificio solidale nel
quartiere, una fucina, un laboratorio di apprendimento di mestieri (
elettricista, muratore, biblioteca popolare, ecc.) (1).
Gli indegni sussidi stanziati dallo stato per evitare il problema strutturale
della povertà e per controllare le organizzazioni che stavano formandosi
ricevettero, dopo essere stati conquistati con la lotta, un nuovo significato
dagli MTD, che stabilirono una tripla sfida: 1) dare risposte alle necessità
urgenti di cibo e salute, 2) costruire una nuova socialità, 3) garantire per il
futuro le necessità materiali dei suoi membri oltre ai sussidi.
Riguardo
al primo punto, è evidente che i laboratori di produzione offrono una serie di
benefici concreti nella vita quotidiana: “Dal
punto di vista produttivo si vede
chiaramente a cosa servirono i 160 pesos all’anno. Oltre a mangiare, per due
mesi, oggi abbiamo un panificio che non solo produce pane, ma anche pasta per
pizza, pasticceria, abbiamo un orto che può essere funzionale al progetto,
abbiamo compagni che ora sanno un mestiere, e possono arrangiarsi con piccoli
lavori. Ancora, lo si può vedere in un aspetto più sociale….un asilo in un
quartiere, una biblioteca, un accenno di fornitura di servizi primari….” (2)
Senza
dubbio, la lotta degli MTD non è diretta ad ottenere “inclusione” dentro il
sistema capitalista che si fonda sullo sfruttamento dell’uomo sull’uomo. Il
progetto degli MTD è molto più radicale, come dimostra la sua pratica nei
laboratori: “Noi vogliamo generare nuove relazioni sociali. Nei gruppi di lavoro
non c’è uno che ordina il lavoro, o ti porta una lista quando arriva e ti
dà la punizione o ti dice ‘corri, spazza, pulisci’. C’è da imparare a
lavorare in modo solidale, senza tentare di imbrogliare il tuo compagno, perché
così non imbrogli il padrone; non è che se puoi scappi prima, o se puoi
mentire ottieni un certificato falso per giustificare che non vai al lavoro.” (3)
Si
tratta, in definitiva, dell’emergere di una nuova cultura politica, basata
sull’uguaglianza, la solidarietà e la convinzione che il cambiamento sociale
si costruisce giorno dopo giorno. Negli MTD nessun appartenente al movimento
guadagna di più dell’altro e, se ci sono eccedenze, queste vanno
all’organizzazione.
“Tutti
i compagni che guadagnano 160 pesos danno 10 pesos che vanno in un fondo comune.
Questo serve per garantire i piccoli bisogni, la farmacia, la costruzione di
tutti i depositi, il finanziamento dei laboratori di produzione…. E servono
anche per quelle che saranno le future mense. Ciò che producono i laboratori di
produzione va a questo fondo, e non necessariamente si reinvestono in quel
laboratorio, può essere reinvestito in una biblioteca che produce conoscenza,
che è altrettanto importante della produzione del pane, e a volte di più.” (4).
Come si è già detto, gli MTD sono riusciti a convertire i sussidi dello stato
in una lotta a partire dalla quale costruire una maggiore organizzazione. Senza
dubbio, la sua scommessa è verso il futuro. L’obiettivo è che le differenti
attività produttive si consolidino nel tempo e possano soddisfare le necessità
materiali non solo degli appartenenti agli MTD ma anche del quartiere nel suo
complesso oltre ai sussidi di impiego.
“La
scommessa è precisamente questa: crescere in modo tale da non dipendere dallo
stato per continuare a mantenerci, e che se allo stato viene voglia di toglierci
questi sussidi, abbiamo la capacità di sostenerci nel tempo con reti di
produzione e consumo, con una commercializzazione popolare che ci consenta di
mantenere il panificio e diversi prodotti di base che si stanno producendo nel
quartiere. (….) Oggi questi sono i temi di studio sulle nostre possibilità di
sviluppi produttivi alternativi, reti di autoconsumo solidale, inoltre stiamo
approfondendo l’esperienza dell’ MST in Brasile, attraverso i compagni che
conoscono da vicino i criteri di produzione e consumo dei Senza Terra.” (5).Le
trasformazioni strutturali, operate dal neoliberismo negli anni novanta, non
solo rappresentarono un’enorme trasferimento di entrate dai settori popolari
ai settori più concentrati dell’economia; nello stesso tempo implicarono,
legata agli alti livelli di disoccupazione e alla precarizzazione del mercato
del lavoro, una forte politica di controllo dei settori popolari. Senza dubbio,
nonostante queste difficoltà strutturali, gli MTD sono riusciti ad organizzarsi
politicamente: “Stiamo
parlando di una base sociale con un grave livello di emarginazione, con un
livello di esclusione storica, non solo di gente che rimase senza lavoro quando
si privatizzarono le imprese,
si
tratta piuttosto di un livello di emarginazione più strutturale, dove molti
compagni vivono di
lavoretti,
o dell’arte di arrangiarsi, anche questo però negli ultimi anni è stato
cancellato. Allora, questa base sociale è quella che deve organizzarsi in
gruppi di lavoro dove ogni gruppo deve auto-organizzarsi. E tutto questo è un
mezzo casino, dato che richiede un livello alto di discussione per garantire la
logica di ciò che vogliamo: che i compagni prendano il lavoro come proprio e
rispettino i criteri solidali del lavoro.” (6).Naturalmente,
tutto questo processo richiede il suo tempo, e le difficoltà stanno
all’ordine del giorno. Le nuove pratiche nascono, necessariamente, pervase di
una cultura che deve essere lasciata da parte. Per ciò gli MTD
al loro interno riservano alla formazione un posto tanto importante.
“Tutto
è molto incalzante. L’unica cosa che si commercializza all’esterno è la
produzione di cuoio. In generale i laboratori hanno consolidato tutti i gruppi,
ma ciò che vediamo è che non era risolto il dibattito ideologico del per cosa
si produce, di che cosa si fa con l’esistente. Alcuni compagni iniziarono a
chiedere che ‘ se il panificio guadagna, allora, il guadagno deve essere
nostro, se noi lavoriamo qui’. E
così in diversi laboratori. Allora, mancava l’apprendimento ideologico. È
difficile sviluppare un progetto alternativo, solidale, quando quello che sta
lavorando, facendo il ciabattino, non capisce di stare in un collettivo. Per che
cosa si produce, a chi vendiamo e che cosa facciamo con l’eccedenza di questa
vendita, come si reinveste. Il tema del guadagno, dell’economia solidale, sono
cose che, anche se discusse moltissimo e con accordi già presi, comunque
continuano ad essere complicate. Siamo consapevoli del fatto che il cambiamento
sociale non viene a partire da un discorso ma è un processo. E che questo
processo si deve dare, e dargli il suo tempo.” (7).
Note
1
“Por los bordes totavia se puede”,
nella Rivista El perseguidor N.5,
edita da Agrupación Unidad para la lucha Estudiantil (AULE), La Plata,
gennaio-febbraio 2002.
2
v. nota 1.
3
Nella Rivista Hacha y Tiza N.2, edita
da il Centro Estudios Populares (CEP), La Plata, 2002.
4
Intervista agli MTD di Solano, Lanús e Almirante Brown realizzata a Lanús il 6
aprile 2002.
5
v. nota 1.
6
v. nota 3
7
v. nota 4.
DOCUMENTI
IN APPENDICE
Origine
dell’MTD di Solano - agosto 2001
L’MTD
di Solano nasce dal lavoro e dalla mancanza di risposta dei governi di turno.
Stanchi delle promesse e dei maneggi dei mediatori e dei candidati che sviavano
i sussidi verso gli amici, i familiari e le proprie tasche.
Con
un gruppo di vicini decidemmo di organizzarci per gestire personalmente, e in
modo congiunto, la richiesta dei sussidi di
lavoro e i pacchi alimentari.
Dopo
una lunga attesa senza risposta favorevole decidemmo il primo piano di lotta,
bloccare Camino Gral. Partito il 12 ottobre, ottenendo con questa azione 120
sussidi di lavoro e 150 pacchi alimentari, sfociò nella reazione del quartiere
che cominciò ad unirsi e ad organizzare piani di lotta.
Oggi
dopo quattro anni l’MTD è integrato in sette quartieri: La Sarita, IAPI (Bernal),
Monteverde, San Martin, Florida (Solano), Srandì (Avellaneda), Barrio El Rocio
(Claypole).
A
seguito delle lotte con le quali riuscimmo ad ottenere i sussidi di lavoro,
vivemmo la possibilità reale di sviluppare delle micro imprese produttive dei
quali ora ne funzionano trenta, (panifici, fucine, carpenterie, sartorie,
sellerie, marocchinerie, ecc.) e undici progetti di formazione lavoro
(mestieri), da dove, chi ne beneficia, uscirà con la possibilità di
un’entrata economica grazie alle conoscenze acquisite (elettricisti, muratori,
carpentieri, fabbri, pasticcieri e tappezzieri).
Molti
dei nostri sforzi puntano a portare a compimento gli orti e i poderi che stanno
funzionando nei distinti quartieri recuperando così la cultura del lavoro della
terra, aumentando l’autostima e la dignità nel produrre i propri alimenti,
nella costruzione degli orti organici e dei poderi comunitari, all’interno di
questi laboratori portiamo a compimento l’alfabetizzazione come priorità dato
che nei nostri quartieri è tanto richiesta.
Ci
sono altri progetti di servizio alla comunità come biblioteche, con molto
sforzo e molta collaborazione da parte dei membri del movimento e con l’aiuto
professionale si sta predisponendo l’area di prevenzione sanitaria (con
conferenze di professionisti, visite mediche nei diversi quartieri) e mantenendo
una farmacia popolare con medicamenti di base e di primo soccorso.
Si
realizzano anche giornate di ricreazione per bambini e adolescenti del quartiere
(cinema, fotografia, burattini) e stiamo attrezzando una banda musicale
giovanile, a questo si aggiunge un progetto di radio comunitaria.
Tutto
ciò si realizza con lo sforzo, l’appoggio, la solidarietà e la
collaborazione di tutti i membri dell’MTD, le organizzazioni sociali e i
gruppi di studenti che si sono avvicinati alla nostra organizzazione, come pure
i vicini che senza essere disoccupati ci appoggiano.
NOI
CI DEFINIAMO UN MOVIMENTO POPOLARE SINDACALE RIVENDICATIVO
ABBIAMO
COME CARATTERISTICA L’ORIZZONTALITA, L’AUTONOMIA E LA DEMOCRAZIA DIRETTA
Perché
crediamo di poter sradicare questa realtà, non con un cambio di governo, ma con
un cambiamento di sistema della società in cui non ci sia essere umano al di
sopra di un altro, in cui non esistano né ricchi né poveri, in cui la terra,
il lavoro, la salute, la giustizia e l’educazione siano nelle mani del popolo
e possiamo realmente decidere del nostro futuro.
Di fronte alla difficile situazione che stanno attraversando i lavoratori, le organizzazione sociali e gli MTD autonomi, ci appelliamo alla solidarietà e attivazione di tutti i settori in lotta del campo popolare.
MTD-Solano
Il
Movimento dei Lavoratori Disoccupati
Cosa
c’è dietro ai piquetes e ai planes trabajar
Qualunque
persona mediamente informata in questo paese sa che cosa è un piquete,
un blocco stradale. Si sa anche che, in prevalenza, i blocchi stradali
effettuati dai disoccupati negli ultimi anni si ponevano come obiettivo
l’ottenimento dei Planes Trabajar,
cioè dei sussidi molto elementari per i disoccupati, di 160 o 120 pesos, in
cambio di poche ore giornaliere di lavori comunitari.
Difficilmente
si può essere informati dai mezzi
di comunicazione di massa su come ci organizzammo come disoccupati nei
quartieri, in quale forma opponemmo resistenza all’uso clientelare di questi
sussidi e come cercammo di trasformarli in una alternativa di organizzazione e
in alcuni casi di produzione, nella prospettiva di trovare soluzioni più serie
alla disoccupazione.
Si
può recuperare la “cultura del lavoro” partendo dai planes
trabajar?
Come
disoccupati abbiamo sempre presente la necessità di ricostruire i valori e le
conoscenze storiche della classe lavoratrice, anche a partire dai sussidi
"miserabili" di questi planes.
Oltre alla disoccupazione e marginalizzazione strutturale di gran parte degli
abitanti dei quartieri popolari che noi vediamo, non ci dimentichiamo mai di
concepirci come LAVORATORI disoccupati. Fu così che, procedendo, i movimenti
dei disoccupati autonomi che nacquero da queste lotte si appropriarono di quei
valori storici che alcuni di noi, per militanza sindacale o politica precedente,
conoscevano.
Iniziamo
dall’organizzazione: ciascun gruppo di lavoro, formato dai beneficiari dei
sussidi, elegge uno o due delegati; e in ciascun quartiere, in relazione ai
sussidi ottenuti e dei gruppi di lavoro, si forma un corpo di delegati e da lì
si prendono le decisioni; settimanalmente, poi, si ha l’assemblea di Movimento
in ciascun quartiere, alla quale partecipa l’insieme dei compagni che sono
incorporati in qualche programma e disoccupati che si avvicinano.
Così
andammo ricreando l’organizzazione di base che sostiene tutto il Movimento. E
ci rendemmo conto che la sfida era ancora più grande: nei progetti di impiego
conquistati dall’MTD non c’è “padrone” né “capo squadra” che
“ordini” i compiti da realizzare: ad avere la responsabilità di ciascun
gruppo di lavoro nel portare avanti il progetto, sono gli stessi compagni che
discutono i compiti e ciò che occorre per realizzarli, e l’organizzazione
gioca un ruolo predominante dato che, a differenza di una fabbrica, qui non si
tratta solo di organizzarsi per difendere i nostri interessi primari, ma di
avere la responsabilità, come lavoratori, che il lavoro proceda.
Nel
breve periodo, notammo che per far funzionare questo, dovevamo formarci e
formare i nostri compagni al fine di comprendere l’importanza della sfida che
avevamo davanti, dato che non mancava “il rischio” che, pur approvando il
fatto che nessuno “vigila”, era sempre presente il tentativo di partecipare
il meno possibile, e su questo tipo di atteggiamento abbiamo sempre dovuto stare
allerta e non risparmiare sforzi (né pazienza) per ribaltare concezioni
individualiste e scettiche che, sarebbe sciocco negarlo, sono radicate in parte
del nostro paese che non invano ha subito anni di dominazione e di prediche
individualiste.
In
poco tempo, compagni senza esperienza andarono assumendo il loro ruolo come
delegati, compagni senza titolo di studio parteciparono ai lavori di formazione
e, nei quartieri dove si organizza l’MTD nelle assemblee settimanali, si
iniziarono a porre altre necessità oltre ai sussidi d’impiego: la necessità
di prendere le terre abbandonate per costruire le abitazioni che erano state
promesse, ma mai realizzate, da anni; il reclamo alle autorità municipali per
l’asfalto o il semaforo, la mobilitazione per reclamare il sussidio per
comprare il forno industriale per il progetto del panificio…Così, nella
misura in cui ci organizzavamo per risolvere i problemi di base, la stessa
partecipazione dei vicini ci andava
orientando verso le lotte più necessarie e sentite dal quartiere. E
l’esperienza dell’organizzazione dei primi blocchi stradali fatti per
reclamare i sussidi d’impiego, si trasformava ora in capacità di pianificare
una presa di possesso di terre, o di discutere con l’intendente da una
“posizione di forza”, perché era ora che sapessero che eravamo organizzati
e disposti a far valere la nostra capacità di mobilitazione.
I
progetti produttivi: necessità immediate e scommessa sul futuro
All’inizio,
i sussidi di lavoro erano destinati esclusivamente ad obiettivi comunitari:
scavi nel quartiere, costruzione di viottoli, quando non era
per sistemare Unità di base, o per organizzare squadre per scritte
politiche nei casi in cui i sussidi erano maneggiati dai responsabili che
rispondevano al comune, come pretende nuovamente di fare la Ministra Bulrich
allarmata dalla crescita sociale e politica dei Movimenti di Lavoratori
Disoccupati autonomi.
La
nostra decisione di “sbarazzarci” di queste situazioni portò, nei
successivi blocchi stradali che ci furono nel corso dell’ultimo hanno, a
pretendere dal Governo Nazionale il rinnovo dei progetti d’impiego in altri
termini: vogliamo decidere noi gli obiettivi da realizzare, abbiamo idee e
progetti per procedere, e quando lottammo con fermezza, ci sentimmo tanto forti
da imporre condizioni al Ministero del lavoro ed esigere l’autogestione dei
sussidi d’impiego. Perciò costituimmo Associazioni Civili che funzionarono
come Organismi Responsabili di fronte al Ministero, evitando così
l’intermediazione dei Comuni e portando al controllo diretto dei sussidi da
parte dei movimenti dei disoccupati . Fu così che preparammo progetti di
formazione lavoro nei quali i compagni non lavoravano più “pulendo fossi”,
ma partecipavano a un corso per elettricisti, carpentieri, fabbri.
E,
nella misura in cui l’apprendimento entusiasmava qualche compagno (molti dei
quali giovani che non avevano mai avuto la possibilità di imparare un
mestiere), i corsi si trasformavano in laboratori: che si tratti di procurarsi
una saldatrice elettrica o di montare una fucina . Qualcuno aveva parlato della
costruzione di blocchi di calcestruzzo, sapeva come farli, e la scommessa era
costruire un mattonificio industriale che oltre ad insegnare un mestiere potesse
portare un beneficio ai compagni del luogo che desideravano cominciare a
costruire, da lì a poco, materialmente le proprie case. L’investimento per i
macchinari o gli strumenti necessari, difficilmente poteva venire dai 160 pesos
che ciascun capo famiglia riceve, che basta appena
alla sussistenza del piccolo nucleo familiare…. Però, come apprendiamo
e insegniamo nei corsi di formazione ai quali partecipano tutti i compagni,
abbiamo diritto di esigerli dai responsabili, che ci governano, di questa
situazione economica e politica, e iniziamo ad inserire nelle nostre richieste
la consegna di macchinari e strumenti, che porteremo a termine solo con il
prossimo blocco stradale.
Così,
dal nulla, con organizzazione, sforzo e lotta, mettemmo su il panificio, che
ancora non porta grandi entrate per molta gente, però almeno garantisce che le
famiglie dei compagni dell’MTD del quartiere nel quale si muovono, possano
avere il loro chilo di pane a 70 centesimi. E quando non arrivava il forno per
il panificio, i compagni del laboratorio per la lavorazione del ferro iniziarono
a disegnare un forno più grande, che fabbricarono loro stessi e quando la casa
del compagno che prestava uno spazietto finì per essere piccola, in uno dei
terreni presi per risolvere il problema della mancanza di case nel quartiere,
che avevamo destinato alla costruzione di laboratori di lavoro, si iniziò a
costruire un posto più grande, con i mattoni che i compagni avevano fabbricato.
Alcuni risultati incoraggianti in queste direzioni, sommati alla chiara
coscienza che, più presto che tardi, il modello economico selvaggio che patiamo
cercherà di farci rassegnare al misero sussidio di impiego, fanno sì che
questi centri di sviluppo si convertano in priorità per l’MTD. Oggi la
possibilità di sviluppi produttivi alternativi, reti di autoconsumo solidale,
sono temi di studio per noi, e stiamo approfondendo le esperienze dell’MST in
Brasile, tramite compagni che conoscono da vicino i criteri di produzione e
consumo dei Senza Terra.
Il
futuro dei disoccupati:
Lavoro,
Dignità e Cambiamento sociale è
la consegna che, dall’inizio, come un principio assumemmo all’MTD. Sappiamo
che la disoccupazione non è un male “non desiderato” dal capitalismo, ma al
contrario, è un fenomeno strutturale dell’attuale fase neoliberista.
E
che se non riusciamo a trasformare questo sistema che si fonda sullo
sfruttamento dell’uomo sull’uomo, e a forgiare una società giusta e
solidale, potremo avere poche aspettative riguardo al futuro per le nostre
imprese produttive, o quel che è peggio, sappiamo che se non invertiamo questa
situazione non ci sarà futuro per i nostri figli.
Perciò,
oltre a risolvere i nostri specifici problemi, ci rispecchiamo nelle altre lotte
simili, e siamo solidali con i compagni arrestati come Emilio Alì a Mar de
Plata e con i 2800 combattenti popolari processati. Accogliemmo nel nostro
quartiere i compagni disoccupati di General Mosconi dopo una settimana dalle
repressioni e assassini di due del popolo da parte della Gendarmeria, e spinti
dall’indignazione per i racconti di torture a cui erano stati sottoposti
durante la carcerazione, decidemmo di richiamare l’attenzione del Governo, però
questa volta non per i sussidi ma perché la smettessero di ammazzare
compatrioti che chiedono lavoro! E usciamo a bloccare la strada perché solo così
esistiamo per il Governo e per i grandi mezzi di comunicazione. E perché
crediamo che tutta la popolazione dovrà unirsi per far fronte a chi ci opprime,
noi aggreghiamo ai piani di lotta contro le mediazioni, insieme a tutti i
lavoratori, i piccoli produttori e gli studenti.
Per questo il Governo ci perseguita, incarcera 57 disoccupati di Fcio
Varela che continuano a venire incarcerati perché reclamano i sussidi
d’impiego, dice che facciamo politica e ci taglia i sussidi.
Tentano
di insudiciarci dicendo che facciamo politica, perché pretendono che la società
ci veda come loro, corrotti, sporchi, disprezzati. Però noi rispondiamo che sì
facciamo politica, organizzandoci nei quartieri, opponendoci alle Istituzioni
dello Stato che sostengono questo sistema di morte, organizzando il nostro
futuro al margine degli apparati burocratici dello stato, dei partiti politici,
dei sindacati tradizionali, difendendo esclusivamente gli interessi dei
lavoratori e della popolazione. E continueremo a fare “questa” politica fino
alla conquista quel CAMBIAMENTO SOCIALE che garantisca una vita degna e un
futuro di giustizia e libertà per tutti.
La
necessità dell’organizzazione
Nel
gennaio del 2000, con un gruppo di vicini iniziammo ad incontrarci nel quartiere
per una necessità comune: “IL PROBLEMA DELLA MANCANZA DI LAVORO”.
All’inizio non si sapeva bene come fare per gestire dei “SUSSIDI PER
DISOCCUPATI”, che dovevano essere distribuiti nella zona.
In
questo percorso per trovare soluzioni o perlomeno cominciare a combattere “IL
CANCRO DELLA DISOCCUPAZIONE”, ci trovammo con la gente del C.T.D.
(coordinamento di lavoratori disoccupati), che allora comprendeva le commissioni
e i Movimenti di Lavoratori Disoccupati di F. Varela, Solano, La Plata, Matanza
e Mte. Chingolo.
Questi
compagni (termine nuovo per noi allora) furono quelli che ci indicarono il
cammino e guidarono nei primi passi: per prima cosa, dovevamo convocare i vicini
con lo stesso problema e riunirci settimanalmente in “ASSEMBLEA”, dove ci
trovavamo “TRA TUTTI”. Questo è l’inizio della “DEMOCRAZIA DIRETTA E
L’ORGANIZZAZIONE DI BASE”.
Dopo
aver fatto alcuni giri, aver presentato “petizioni” che mai ottenevano
risposta; dopo aver “raccolto firme”, che in fin dei conti venivano
archiviate senza nemmeno essere lette, dopo di questo e altro i compagni della
C.T.D. ci invitano a partecipare ad una “mobilitazione
al Ministero del Lavoro della Nazione”, nella Capitale. Lì, dove
parteciparono solo un pugno di vicini del Quartiere Don Orione, potemmo
verificare, con i nostri occhi, quello che i compagni ci avevano già detto: Che
con l’“azione diretta”, come a
dire, “con la lotta del popolo”,
è possibile “strappare cose al Governo”,
è possibile “torcergli il braccio e
raggiungere conquiste”. Queste erano, le famose “piccole
vittorie dei Disoccupati”.
In
questa marcia, Don Orione conseguì la sua prima conquista: “ una squadra di
lavoro di 9 persone per un magazzino comunitario”. A partire da allora sorse
nel quartiere l’MTD (movimento dei lavoratori disoccupati).
All’inizio,
l’organizzazione in Assemblee settimanali, risultava essere la forma migliore
di organizzazione; visto che lì tutti potevamo parlare, partecipare, votare per
prendere le decisioni. La cosa certa è che solo alcuni compagni si erano
impegnati e i disoccupati non erano nemmeno tanti.
Con
il blocco stradale a Camino Gral, Belgrano e Pasco (6/11/00), la questione
inizia a cambiare; tanto che una settimana dopo il Movimento torna alla strada,
non per un reclamo concreto, ma per ripudiare un Governo che stava ammazzando
compagni disoccupati che come noi uscivano in strada per reclamare il giusto.
Quel giorno (13/11/00), uscimmo in strada in più del doppio di quelli che
eravamo alla rotonda di Pasco; oltre ad uscire soli, senza nessuno degli altri
Movimenti, che a differenza di Don Orione, hanno più esperienza di lotta,
dobbiamo aggiungere che a 10 giorni dal secondo blocco ci fu uno “sciopero
attivo nazionale di 36 ore” nel quale l’MTD TORNA IN STRADA (facendo una
marcia nel quartiere e una pentolata popolare al lato della via); questa volta,
non solo senza gli altri Movimenti, ma anche con molta più gente che nel
secondo blocco, FACENDOCI SENTIRE E UNENDO IL NOSTRO GRIDO
a quello dei lavoratori in una giornata di lotta che aveva come obiettivo
ripudiare la politica del governo che, legato mani e piedi al capitale estero,
unicamente regola e reprime la popolazione; incarcerando e processando le
migliaia di concittadini che per il lungo e il largo del Paese escono con la
bandiera celeste e bianca lottano per la “DIGNITÀ”.
Con
ciò che si è detto sopra, possiamo osservare che l’MTD ad A. Brown ha avuto
una crescita con i tre fatti di Novembre. Questa crescita si esprime
principalmente in tre caratteristiche:
1.
La conquista di obiettivi
materiali, questo è, l’aver
conquistato più posti di lavoro, più pacchi alimentari, il rinnovamento per un
anno dei contratti dei compagni che stanno lavorando e un aumento di soldi, da
120 a 160.
2.
La crescita in quantità,
cioè da 45 compagni nel primo blocco a 110 alla pentolata dello sciopero.
3
la crescita in qualità,
espressa nell’esperienza acquisita in queste tre giornate di lotta.
Quel
che è certo è che la crescita è avvenuta rapidamente, al di là del previsto.
Partendo
da ciò, l’MTD si è visto riempito di problemi che prima non avevamo, oltre
ad essere pochi e non aver ancora ottenuto molti risultati. Però questo non
deve “né angustiarci né amareggiarci”; dobbiamo solo comprendere che per
alcuni mesi attraverseremo una situazione che potremo caratterizzare come:
“Crisi
di crescita”. Avendo chiaro che
per alcuni mesi attraverseremo una crisi, non impazziremo davanti a ciascun
problema, ma dovremo affrontarlo con serenità, comprendendo che ciascuno di
questi inconvenienti sono parte di un “processo
di transizione” fino al consolidamento del Movimento.
Assumendo
la “fase” (crisi di crescita) e il “processo” (di transizione per
consolidarci), che attraversiamo come Movimento, dobbiamo cominciare a portare
avanti la proposta che un gruppo di compagni presentò all’Assemblea e che fu
votato favorevolmente. Questa proposta, “ORGANIZZARE E STRUTTURARE L’MTD”
in modo tale da avere la capacità di poter arrivare a “prevenire
i problemi prima che si presentino e poterli risolvere”.
Per
questo si è costituito il “TAVOLO DEI DELEGATI”, composto da delegati di
ciascuna delle “squadre di lavoro” e dai delegati della “commissione di
Organizzazione” (e prossimamente della stampa); cercando in questo modo di
risolvere le cose in forma organizzata.
Sul
tavolo dei delegati
“IL
TAVOLO DEI DELGATI È UN ORGANIZZATORE E DINAMIZZATORE COLLETTIVO”, e ha come
funzione, da un lato, affrontare questioni che hanno a che vedere con le relazioni
verso l’esterno del Movimento (ad es. partecipare al Coordinamento dell’MTD
della zona Sud, o di una zona multisettoriale, ecc.) dall’altro, problemi di
tipo interno, come per esempio, designare qualche compagno che partecipi ad un
tavolo di collegamento tra quartieri dell’MTD Bown (tavolo nucleare, per
esempio, a Glew e a Don Orione); elaborare e presentare i progetti di lavoro
(tanto a livello Comunale, come Pcial, tanto a livello Nazionale); elaborare le
liste di chi vuole iniziare a lavorare e di chi riceve i pacchi alimentari
(basati sulle liste di assistenza alle Assemblee e di attività del Movimento);
coordinare la consegna dei “pacchi”; stabilire in anticipo, prima di una
lotta, quale è il criterio con il quale si va a negoziare, cosa è
improrogabile, ecc.
Per
“attribuzione” il “tavolo dei delegati”, è l’unico che può convocare
una “Assemblea straordinaria”; può sospendere le “squadre di lavoro”;
può intervenire nel caso che questi persistano con un problema che non riescono
a risolvere, ha l’incarico di preparare l’ordine del giorno delle Assemblee,
ponendo come punti primari i più importanti e lasciando all’insieme
dell’Assemblea quello che questa desidera aggiungere.
Altra
attribuzione del tavolo è mantenere “livelli di decisione relativi”, cioè
può risolvere cose urgenti e deve garantire che siano rispettati i “criteri
generali” stabiliti dal Movimento.
Sull’unità dei delegati di lavoro
Il
ruolo dei delegati è, principalmente, essere “ORGANIZZATORE
E DINAMIZZATORE” del gruppo. Si deve occupare della problematica generale
del lavoro e garantire l’organizzazione e la dinamica delle unità di lavoro
che sono in mano dell’MTD (Planes de
Naciòn)
Le
“unità di lavoro” possono essere “squadre” (comunali), “Magazzini
popolari”, “Panifici”, ecc. I delegati sono i compagni che rappresentano
ciascuna “unità di lavoro” al
“tavolo dei delegati”.
Devono
essere la “cinghia di trasmissione” tra il “tavolo” e le “unità”.
Come dire, devono avere un’andata e un ritorno. I delegati sono
“coordinatori” dei gruppi e non “PADRONI” né “CAPI”. Ogni delegato
è eletto mediante una votazione dei compagni del suo gruppo e questo può
levarlo quando vede che il delegato non adempie alla sua funzione o non rispetta
i “criteri”; pertanto i “DELEGATI SONO REVOCABILI”.
Il
delegato non può portare proposte in nome del “tavolo” senza essersi
previamente accordato; non può nemmeno decidere da sé, senza consultarsi con
la sua “unità di lavoro”.
I
delegati non possono abbandonare il lavoro (tranne quando il tavolo li incarica
di un compito), né possono trascurare il collegamento permanente e quotidiano
con i loro compagni, PERCHÉ PENSIAMO CHE QUESTO SIA IL GERME DELLA
“BUROCRAZIA”.
Al
contrario di quanto accade nei partiti politici, nei sindacati, nelle società
di promozione e in tutti quei luoghi dove si ha la tendenza a speculare sulle
spalle della gente e dove l’essere delegato implica un profitto per sé o per
la famiglia, nell’MTD i delegati devono esprimere il maggior grado
d’impegno, cioè devono essere un esempio. DOBBIAMO ROMPERE CON QUESTO
MALCOSTUME DELL’ ESSERE DELEGATO PER OTTENERE QUALCHE BENEFICIO PERSONALE,
DELL’ ESSERE LÌ PER RUBARE, di preoccuparsi soltanto dell’interesse
individuale senza preoccuparsi del collettivo, trascurando gli interessi di
classe. Al contrario, per noi, il comportamento e l’essere compagni, il
cercare continuamente di fare le cose migliori, la solidarietà, l’umiltà, lo
spirito di sacrificio e di generosità, l’attitudine alla lotta, la costanza
quotidiana, la lealtà al MOVIMENTO e soprattutto la “lealtà al popolo”,
sono valori che ci aspettiamo si vedano espressi dai delegati.
Sulle unità di lavoro
Le
unità di lavoro possono risolvere da sole soltanto quello che ha a che vedere
con la loro dinamica, (ad esempio, giorno, orario e luogo del lavoro), sempre e
solo quando non leda l’organizzazione e i criteri d’insieme; pertanto
“L’AUTONOMIA DEI GRUPPI È RELATIVA”, dato che ciascuno di questi è
“UNA PARTE DELL’INSIEME CHE È IL MOVIMENTO”. Perciò, “IL PARTICOLARE
È SUBORDINATO AL GENERALE” e “IL GENERALE SI INCONTRA SINTETIZZATO E
FOCALIZZATO NEL TAVOLO DEI DELEGATI”.
Sulle
commissioni
Le
commissioni devono essere impegnate a garantire il funzionamento della
corrispondente area di lavoro; sia chiaro che esse sono subordinate al
“tavolo” e che la loro “autonomia è relativa”. I criteri generali sono
gli stessi delle unità di lavoro con la differenza che le commissioni compiono
un lavoro specifico e non un lavoro quotidiano.
“Commissione
di organizzazione”: il
ruolo di questa commissione è garantire la “organizzazione e sicurezza”
delle attività del Movimento, che si tratti di una mobilitazione, di una
assemblea, di un blocco stradale, della consegna dei pacchi alimentari, di
una scritta o di un volantinaggio, ecc.
“Commissione
stampa”: ha la funzione
di coprire tutti i compiti relazionali con l’area, tra gli altri quelli
della stesura dei manifesti, dei volantini e dei comunicati stampa,
dell’inventario dei numeri telefonici dei “mezzi di comunicazione”,
della raccolta di ritagli dei quotidiani interessanti per il Movimento, ecc.
MTD–Almirante
Brown