Torturando l'argentina

di David Rock

La protesta popolare  è scoppiata  sulle strade argentine durante le calde notti del dicembre 2001. Folle provenenti dalle baraccopoli hanno attaccato negozi e supermercati; sbattendo le loro pentole e coperchi, enormi manifestazioni -detti cazerolados-, soprattutto di donne della classe media, hanno marciato sul centro della città; i piqueteros, gruppi organizzati di disoccupati, hanno innalzato blocchi stradali sulle autostrade e sui ponti. ventisette dimostranti sono morti, incuso cinque uccisi dalla polizia davanti alle  facciate barocche di Plaza de mayo a Buenos Aires. La causa di tale furia è stata la sospensione dei prestiti all'argentina del FMI, sulla base del fatto che il governo del presidente Fernando De La Rua non è riuscito a soddisfare le condizione imposte dal Fondo sui tagli alla spesa pubblica. Vi è stata una corsa agli sportelli bancari in quanto i risparmiatori soo corsi a ritirare il loro denaro e i loro pesos convertiti in dollari. Il ministro dell'economia di De La Rua, Domingo Cavallo, ha così imposto il cosiddetto corralito per limitare la quantità di denaro che poteva essere ritirata dalla banca - lasciando i risparmi di molta gente intrappolati nelle banche in difficoltà. Il 20 dicembre mentre la protesta si intensificava, De La Rua si è dimesso e il suo elicottero rombando sopra la Casa Rosada e le nuvole di lacrimogeni sottostanti. La caduta dell'amministrazione La Rua - a differenza di tanti di tanti cambiamenti non programmati nella storia del governo argentino - non ha prodotto un colpo di Stato: benché il paese sia passato formalmente attraverso 5 capi di Stato in 10 giorni, le transizioni di governo hanno rispettato le norme legali. Alla fine di dicembre l'amministrazione di Rodriguez Saa durata 3 giorni, ha abbandonato il tasso di cambio fisso di 1 peso per dollaro,  al quale Cavallo era avvinghiato (mentre la moneta è collassata fino al valore di 4 peso per dollaro, prima di stabilizzarsi attorno a 3,60) e ha formalmente ripudiato il debito statale[1] che si aggira intorno ai 130 mld di dollari. E' stato il più grande crack sul debito pubblico della storia. L'economia si è contratta precipitosamente, con il PIL che è caduto in maniera record del 16,3% nel primo trimestre del 2002 e la produzione manifatturiera di quasi il 20%.

 

Di tutta la popolazione argentina di 37 milioni, il 52% - circa 19 milioni di persone - ora sono cadute al di sotto della linea ufficiale di povertà, mentre il 20%, 7 milioni e mezzo, non possono più permettersi cibo a sufficienza. Vi sono notizie di bambini che muoiono di fame nella provincia rurale impoverita di Tucumàn. La disoccupazione è giunta al 23% della forza lavoro, con un ulteriore 22% sottooccupato in lavori part-time oppure cercando un secondo lavoro. I servizi pubblici sono disintegrati: gli ospedali non possono più curare i malati, le scuole sono chiuse oppure hanno rinunciato a ogni tentativo di insegnamento. Le pensioni statali e i salari dei lavoratori dei settori statali non vengono pagati. L'industria delle costruzioni si è praticamente fermata. Di fronte al declino delle entrate il governo federale ha iniziato a stampare obbligazioni chiamate Lecop al posto del pagamento dei salari. Le province l'hanno seguito subito guidate da quella di Buenos Aires con i suoi patacones e all'inizio del 2002 vi erano già circa 4 mld di pesos in obbligazioni locali in circolazione.

 

Il 1° gennaio 2002 il Parlamento ha nominato il senatore Edoardo Dualde di Buenos Aires per finire il mandato di De La Rua. Il potere è così ritornato al partito peronista giustizialista, il quale era stato in carica durante tutti gli anni '90 sotto la doppia presidenza di Carlos Menem. I sondaggi davano a Dualde solo il 10% di preferenze popolari. La sua reputazione di vecchio boss di provincia - presumibilmente legato al crimine come trafficante di droga e di profitti illeciti nella disordinata cintura di periferie della Grande Buenos Aires - non gli ha certo garantito molti favori. L'elettorato lo aveva già rifiutato quando tentò di concorrere contro De La Rua nelle elezioni di 2 anni prima. In quanto presidente provvisorio, Dualde doveva ora affrontare il compito di governare il paese attraverso una depressione economica senza precedenti confrontandosi con, da un lato, le richieste del FMI e dall'altro con l'ampia diffusione della rivolta.

 

Alla fine, le violente proteste che avevano scosso il paese in dicembre sono diminuite dopo la caduta di De La Rua; ma lo scontento continuava a ribollire. A Buenos Aires i caserolazos si sono evoluti nelle asambleas populares - riunioni aperte, spesso tenute le domeniche pomeriggio, nate al fine di organizzare i servizi locali, le scuole e le cooperative di autosussistenza. Il blocco piquetero nazionale coordina i blocchi stradali sulle autostrade in differenti parti del paese, lavorando assieme ad altri gruppi tra cui i sindacati radicali della Confederation de Trabajadores Argentinos (CTA). Nel maggio del 2000 i sindacati hanno convocato lo sciopero generale di una giornata. Alla fine di giugno la polizia provinciale ha ucciso 2 piqueteros ad Avellanada, uno dei vecchi centri industriali della Grande Buenos Aires. L'amministrazione allora ha tentato di prevenire la protesta che era scoppiata con la promessa di aiuti economici di emergenza. Allo stesso modo il governo federale ha accordato un prestito di emergenza di 12 milioni di pesos (circa 3,5 milioni di dollari) alla piccola provincia occidentale di San Juan: il 25% della popolazione lavorativa era lì disoccupata, e i fondi pubblici sono andati a sostenere il 30% di coloro che ancora stavano aggrappati a qualche forma di lavoro. Nel maggio del 2002 il governo ha istituito un sussidio per i poveri, 150 pesos al mese, pagato in obbligazioni federali ai capi famiglia disoccupati. In 2 mesi circa 3 milioni di persone lo hanno richiesto e 1,75 milioni l'hanno ricevuto. Spesso il governo ha permesso alle organizzazioni locali dei piqueteros di gestire la distribuzione dei fondi nel tentativo di smussare la radicalità della loro attività[2].

 

L'appello di Dualde per ricevere aiuto finanziario dal FMI e un salvataggio per il sistema bancario si è scontrato con un secco rifiuto. Il Fondo insisteva sul fatto che il governo Dualde doveva prima cessare di erogare sussidi alle province, di proteggere uomini d'affari accusati di corruzione, e di abolire la legge contro la Economic Subversion Law - per mezzo della quale i funzionari delle maggiori banche venivano perseguiti con l'accusa di contrabbando di dollari all'estero, e l'altra legge d'emergenza che impediva la vendita di aziende argentine in bancarotta agli stranieri. Mentre Dualde riusciva a fare approvare queste misure nel Parlamento, il FMI inaspriva le sue condizioni: la conversione forzata dei conti correnti bancari bloccati in obbligazioni a lungo termine - un piano che incontrava la quasi totale opposizione della classe media argentina poiché esso effettivamente privava i detentori di conti dell'accesso ai loro soldi; inoltre ulteriori tagli dovevano essere fatti alla spesa pubblica - comportando ulteriori livelli di disoccupazione.

 

Le fortune della belle-époque

 

Ancora durante il 1997, il settimanale inglese The Economist poteva scrivere che la prosperità del paese "ricorda in parte l'età dell'oro, un secolo fa, quando le pampas rifornivano l'impero britannico di frumento, carne e lana e l'Argentina era uno dei 10 paesi più ricchi del mondo"[3]. In seguito, in periodi meno fortunati, gli argentini non avrebbero mai dimenticato che essi un tempo stavano molto sopra il resto dell'America Latina come creatori e consumatori di ricchezza. Nei 50 anni precedenti la prima guerra mondiale, circa 3 milioni di migranti si trasferirono in Argentina come agricoltori, lavoratori urbani e nei servizi. Investitori, banchieri, ingegneri ferroviari, principalmente dalla Gran Bretagna, aiutarono a fondare e costruire le infrastrutture di una economia basata sull'esportazione agraria straordinariamente ricca. Per decenni l'Argentina ha emulato la prosperità del Canada e dell'Australia; Buenos Aires divenne una delle città più ricche delle Americhe. IL paese sembrava destinato a realizzare i sogni dei liberali visionari di metà dell'Ottocento come Domingo Sarmiento, le cui campagne per lo sviluppo, l'educazione e l'emigrazione dall'Europa tentavano di forgiare l'Argentina come un secondo USA. Il liberalismo sia politico che economico godeva qui di un'influenza forte come in nessun altro luogo nel mondo così come il consenso al libero commercio e il sostegno alle istituzioni statali. L'Argentina, come dichiarò lo storico Tullio Halperin Donghi ,era nata liberale.

 

I cambiamenti sociali e politici accompagnavano lo sviluppo economico, il sistema del caudillaje[4] dei signori della guerra regionali che era emerso dalla rivoluzione del 1810 contro il dominio spagnolo, iniziò a declinare con l'adozione della Costituzione federale del 1853 e la nascita del nuovo governo nazionale nel 1862. Fin dall'inizio il paese era caratterizzato da forti disparità regionali in quanto la provincia di Buenos Aires sopravanzava tutte le altre in ricchezza e popolazione a causa del suo accesso all'economia atlantica. Nel 1880, una colazione di governatori e nobili dalle province, insieme al Partito Autonomista Nazionale (PAN) riuscì infine a subordinare Buenos Aires al controllo della maggioranza delle altre province. Una caratteristica centrale del'accordo istituito dal PAN erano le relazioni paritarie tra il Presidente e i Governatori delle Province, nel quale il primo distrubuiva clientele e questi ultimi offrivano supporto politico. Solitamente i presidenti eletti provenivano dalle province dell'interno guidate da quella di Cordoba, mentre i vicepresidenti sarebbero stati di Buenos Aires: porteños[5] oppure bonaerenses. Era una formula che sarebbe stata sfidata dai due movimenti popolari del XX secolo, il radicalismo e il peronismo, entrambi guidati da bonaerenses - Hipòlito Yrigoyen e Jaun Peròn.

 

Solo la crisi Baring del 1890 scardinò lo sviluppo dell'economia di esportazione. Attratte dalle politiche governative favorevoli agli investimenti, le imprese inglesi incanalarono vaste somme verso la repubblica argentina e si garantirono i guadagni. Quando il tasso di interesse inglese salì la situazione si rivelò insostenibile [per le imprese argentine che non potevano più pagare debiti e interessi]. La banca di Inghilterra organizzò un pacchetto di emergenza per salvare la Baring Brothers ma la fuga dei capitali causò il collasso dell'economia argentina, una sospensione dei pagamenti del debito estero e una severa depressione. Se le somiglianze con la crisi del 2002 sono forti, le differenze sono più istruttive. Tre condizioni facilitarono la ripresa dopo il 1890: il governo argentino riuscì a negoziare una moratoria sul debito estero con i creditori inglesi; una veloce svalutazione del peso risanò la bilancia dei pagamenti stimolando le esportazioni e frenando le importazioni; cosa più importante di tutte, le condizioni dei mercati internazionali crearono una domanda straniera per i beni argentini che rapidamente resuscitò la crescita guidata dalle esportazioni. Alla fine fu istituito un regime monetario non convertibile [in oro N.d.T.] .

 

La crisi Baring ebbe un altro effetto. La debacle della vecchia classe politica fornì lo stimolo a campagne per la democrazia popolare e portò alla ascesa del radicalismo - un movimento interamente nuovo. L'espansione economica della belle-époque aveva creato potenti bacini di sostegno di classe media e di classe operaia senza eguali nell'America Latina. La classe media porteña manteneva un forte carattere rentier [parassitario N.d.T.] e dipendente dallo Stato, riflettendo in ciò il sottosviluppo delle attività manifatturiere e l'importanza delle occupazioni commerciali, professionali e burocratiche tipiche delle società perifieriche. La classe operaia, inizialmente composta di immigrati dal Sud Europa era assai concentrata nei trasporti e nei servizi piuttosto che nell'agricoltura. Condizioni lavorative di duro sfruttamento e abitazioni assai scadenti alimentavano frequenti scoppi di rivolta, incluso lo sciopero generale anarchico del 1902 che fu schiacciato con una violenta repressione. Nascendo dal terremoto economico della crisi Baring, il Partito Radicale raccolse un forte supporto dalla classe media, nelle sue campagne, per la democrazia popolare. Il suo leader, Yrigoyen, passò rapidamente alla presidenza del partito durante le prime elezioni ad ampio suffragio del 1916. I radicali si impadronirono del flusso di clientele statali che erano state ad appannaggio dei governatori provinciali e le indirizzarono verso la loro base metropolitana. La crescente spesa pubblica del governo federale fu alla base dell'espansione dell'educazione universitaria e delle crescita massiccia dei posti di lavoro nello Stato (a favore dei sostenitori radicali).

 

Il governo di Yrigoyen fondò anche una tradizione di collaborazione con i sindacati più concilianti mentre la repressione lasciava spazio in qualche misura alla cooptazione, alle clientele e ai maneggi politici. Al tempo stesso, tale governo dimostrò risolutezza nell'impiegare la violenza statale contro i movimenti meno docili della classe operaia, come nell'ondata di scioperi del gennaio 1919, interrotta durante la cosiddetta Semana Tragica. Rovesciato dai militari nel 1930, in seguito allo shock del crollo di Wall Street, il Radicalismo rimase fino al tempo di De La Rua sinonimo di difesa della larga e eterogenea classe media argentina, la quale non si era mai liberata del tutto dei suoi antecedenti da rentiers.

 

Durante l'epoca liberale basata sulle esportazioni, il capitalismo agrario aveva sostituito i tradizionali estancieros e i gauchos nelle pampas. Fino alla prima guerra mondiale migliaia di italiani emigrarono in Argentina ogni anno per lavorare come braccianti, e nella provincia orientale di Santa Fè si era sviluppata una classe media rurale comparabile con quella statunitense o canadese. L'immigrazione europea aveva anche un effetto significativo nelle aree del Sud e dell'Ovest quali Mendoza e Rio Negro. Nell'interno, specialmente nel Nord-Ovest, le condizioni rimanevano più tipiche dell'America Latina: enclaves quali quelle della provincia dello zucchero di Tucuman producevano per il mercato interno, mentre le haciendas e le comunità campesine ancora sopravvivevano ovunque. In quanto società agricola, l'Argentina sviluppò un carattere dualistico che conteneva sia il sistema capitalista ad alti salari delle pampas e sia la struttura contadina indigena nell'interno.

 

Stagnazione e instabilità

 

Lo sviluppo guidato dalle esportazioni terminò neli anni Trenta. La caduta dei prezzi delle merci durante la Grande Depressione causò un forte declino dei profitti e il blocco navale della seconda guerra mondiale bloccò l'accesso ai tradizionali mercati europei - al punto che le ferrovie argentine iniziarono a bruciare mais come combustibile. Nel periodo post bellico, il protezionismo, i sussidi all'agricoltura, la fiorente produttività agricola del Mercato Comune Europeo di fatto escluse le importazioni dall'Argentina. L'economia rurale, un tempo dinamica, iniziò a declinare; le esportazioni, grande motore dello sviluppo economico, stagnavano. Per decenni l'Argentina si era sviluppata come un componente informale dell'impero britannico - in modo compiaciuto i diplomatici britannici la chiamavano il "sesto dominion" dell'impero britannico. La predominanza deli USA dagli anni Quaranta in avanti ebbe un disastroso impatto sull'Argentina, alla quale mancava l'accesso ai mercati del Nord-America, accesso di cui godeva un tempo in Europa.

 

Quale fu la soluzione alla stagnazione pluridecennale che ne seguì? Dalla metà degli anni Trenta, un programma di sostituzione delle esportazioni creò numerose industrie leggere di beni di consumo, le quali esportavano ai vicini mercati latino americani durante le guerra. Dopo il 1945, sotto Peròn, l'attenzione si spostò sul mercato domestico e sull'offerta di beni di consumo alla classe opearia urbana che rapidamente si espandeva. Per un breve periodo sembrò che l'Argentina stesse compiendo una transizione indolore e soddisfacente dall'economia agraria all'economia industriale. Milioni di persone si riversarono dalle campagne verso le città soprattutto Buenos Aires e quindi la Grande Buenos Aires, il grande agglomerato urbano che circonda il centro della città della capitale federale. La classe operaia e i sindacati emersero come importanti soggetti politici, sostenuti dall'urbanizzazione e dall'incipiente industrializzazione. Vasti strati di popolazione, soprattutto immigrati interni, videro miglioramenti sostanziali dei loro standard di vita quando l'economia ad alti salari dell'epoca dell'esportazioni si espanse fino ad includere i benefici sociali del peronismo.

 

Durante gli anni Cinquanta, comunque, anche l'industria seguì il settore basato sulle esportazioni agricole nella stagnazione. Benché continuasse il flusso di popolazione verso le città, gli immigrati non trovavano più lavoro nelle fabbriche ma andavano a riempire le fila di una popolazione marginale in rapida espansione, la maggior parte collocata nelle baraccopoli della Grande Buenos Aires. Sforzi periodici di riconquistare i mercati di esportazione attraverso la svalutazione monetaria determinavano una spirale di inflazione e portavano a situazioni sociali di stallo. Le vicende politiche rafforzavano questa tendenza verso un punto di stallo. Peròn salì al potere attraverso un colpo di Stato di ufficiali nel 1943 miscelando abilmente dominio autoritario e sostegno da parte degli strati marginali della popolazione: nei fatti Peròn determinò un cambiamento sociale più effettivo di ogni altro regime dal IX secolo in Argentina. Agitando gli ideali del colonnello di "indipendenza economica" e "giustizia sociale", lo Stato si impadronì del commercio estero, delle industrie strategiche e dei servizi pubblici, redistribuendo così reddito ai lavoratori e alle fasce marginali metropolitane. Il sostegno dei sindacati era assicurato attraverso l'aumento dei salari e la spesa sociale. Peròn liquidò (temporaneamente) il liberalismo sia politico che economico, creando una nuova forma di società corporativa basata sull'appartenenza alle associazioni controllate dallo Stato - la "comunità organizzata".

 

Le forme quasi totalitarie di questo movimento crollarono con la cacciata di Peròn nel 1955 ma d'altronde il sistema rimase impermeabile ad ogni tentativo di cambiamento. Le istituzioni corporative avvolsero non solo il proletariato relativamente nuovo, nato dalla politica di sostituzione delle importazioni, ma anche la crescente classe media urbana argentina. Il peronismo sostenuto dai sindacati, dai militari e da molte altre associazioni, divenne più simile ad un organico movimento di massa che ad un partito. I Radicali, i quali una volta godevano di una grande adesione popolare, languivano in declino.

 

Dittatura corporativa

 

Per due decenni dopo la caduta di Peròn, giunte militari dalla vita breve, si alternarono con fragili governi costituzionali, mentre le fazioni peroniste, in competizione fra loro, continuavano a lottare per il potere dello Stato. L'inflazione e l'instabilità prevalevano. Il fine dei militari era quello di spoliticizzare i potenti sindacati e di ottenere un raffreddamento dei salari contro l'inflazione come preludio alla crescita economica. Verso la fine degli anni Sessanta, le loro politiche repressive minacciando nello stesso modo la classe media e la classe lavoratrice, provocarono invece una resistenza assai radicale. Nel maggio del 1969, lavoratori e studenti a Cordoba, guidarono l'insurrezione di massa che venne conosciuta come il cordobazo. In seguito la mobilitazione popolare si trasformò in lotta armata, guidata dai montoneros di origine peronista e da altri gruppi di guerriglia. Le squadre della morte di estrema destra prendevano di mira studenti e lavoratori radicali preparando la strada per la "Guerra Sporca".

 

Nel 1976 la dittatura militare risorse nelle sue forme più assassine. Il "Processo di Riorganizzazione Nazionale" provocò migliaia di desaparesidos tra le sua vittime e si sviluppò in un prolungato assalto alla società civile ma se ebbe successo nel distruggere le guerriglie, in termini economici, il sanguinoso Processo non costruì nulla di nuovo. Dominata da reazionari dalla linea dura, organicamente collegata al complesso corporativo, la giunta bloccò ogni tentativo di riforma del ministro dell'economia Martinez De Hoz che contraddicesse i loro propri interessi. Come risultato, gli sprechi e la corruzione dilagarono. La disoccupazione rimaneva bassa ma l'inflazione era crescente. Il contrasto con il Cile degli anni Settanta era forte. Il regime di Pinochet frantumò la resistenza della classe operaia e spinse verso riforme profonde in ogni sfera ed ebbe alla fine successo nel ristrutturare completamente il rapporto di lavoro e l'economia. I militari argentini fallirono nel realizzare programmi di questo tipo. Nonostante le batoste che ricevettero, le istituzioni e le pratiche corporative, sopravvissero intatte. L'iper-inflazione al 344%, la deindustrializzazione, la crescita negativa del PIL, e un debito estero di 45 mld di dollari erano le eredità di una tirannia durata 7 anni, quando essa finalmente crollò a seguito della sconfitta nella guerra delle Maldive contro l'Inghilterra.

 

Questo era il disastroso contesto in cui Raul Alfonsin, il nuovo presidente Radicale, proclamò la rinascita della democrazia nel 1983. I tentativi iniziali di rimettere in moto l'economia - un ritorno ai metodi peronisti, benché ora applicati a favore degli interessi dei sostenitori di classe media dei Radicali - produssero un breve boom dei consumi, seguito da una spirale inflazionistica che salì dal 627% nel 1984 al 1.000% nel 1985. Cambiando condotta, Alfonsin impose ora un pacchetto di stabilizzazione e il Piano Austral combinando una politica monetaria conservatrice con un raffreddamento dei prezzi e dei salari. Cosa che provocò un'ondata di scioperi generali promossi dai sindacati peronisti. Nel giro di 2 anni, il Piano fallì, sotto il peso di crescenti pagamenti del debito. A fronte di entrate che cadevano rapidamente, esacerbate da un'ampia evasione fiscale, il governo poteva solo stampare moneta e svalutare il peso. L'iper-inflazione salì ancora.

 

Alfonsin si trovava di fronte anche a gravi problemi politici. I militari minacciavano rivolte contro i tagli alle spese militari - il numero dei militari fu ridotto da 175.000 unità a 95.000 tra il 1983 e il 1989 - e contro il tentativo di processare i leaders della giunta militare per abusi contro i diritti umani. Alfonsin provò a calmare la situazione, fissando il 1986 come termine ultimo per ulteriori indagini; le madri di Plaza de Mayo risposero con una campagna di massa, fornendo prove documentarie di centinaia di casi tortura e di assassinio. Nel 1987 un commando dissidente di militari organizzò l'ammutinamento di Pasqua del quale Alfonsin ebbe ragione. Nel frattempo, la maggioranza peronista al Parlamento sabotò il programma legislativo del governo mentre gruppi di classe media protestavano richiedendo maggiori sicurezze economiche. Alla fine del 1988, il governo introdusse un ulteriore piano di stabilizzazione ma anch'esso fallì. Un'altra grave crisi si prospettava, con fughe di capitali, col prosciugamento delle riserve in valuta straniera e ondate di iper-inflazione.

 

Tra il 1981 e il 1988 il PIL era caduto di oltre il 5%. Le misure per controllare l'inflazione, prendendo a prestito valuta straniera e congelando temporaneamente i salari, non erano più utilizzabili. I governanti neoconservatori - che sarebbero stati presto rinominati neoliberali - chiesero una riduzione permanente della spesa pubblica e la privatizzazione delle aziende di proprietà statale. Il governo Alfonsin tentò di vendere la Entel, la compagnia telefonica, e le Aereolineas Argentinas, per venire poi sconfitto per mano dei sindacati peronisti e del Parlamento. Nel maggio del 1989, folle disperate per la mancanza dei generi di prima necessità, saccheggiarono i supermercati in tutta Buenos Aires. Le elezioni nello stesso mese videro i Radicali perdere il potere; sotto la leadership di Carlos Menem, i peronisti erano tornati al potere.

 

Seguendo Menem

 

Le origini di Menem risalgono alla piccola classe mercantile di La Rioja, una piccola provincia occidentale sul confine cileno. Come molti dei suoi membri, discendeva dagli immigrati turchi, localmente conosciuti come turcos. Benché sua moglie fosse musulmana, Menem rinuciò all'Islam, apparentemente al fine di intraprendere una carriera politica come peronista. Divenne la figura leader a La Rioja, ottenendo diversi mandati come governatore durante gli anni Settanta e gli anni Ottanta, ed era molto conosciuto in Buenos Aires, benché gli mancassero strette connessioni con la cosiddetta colonna vertebrale del peronismo tra i sondacati metropolitani. Come molti dei suoi colleghi, egli fu internato e maltrattato sotto la dittatura militare. In quanto governatore negli anni Ottanta, Menem si comportò come un tardivo caudillo usando un'autorità paternalistica sulla sua larga base elettorale e sfruttando la debole autorità di Alfonsin sulle province, per consolidare il suo potere attraverso l'espansione del pubblico impiego. La sua reputazione populista gli valse la nomina, come candidato peronista, a concorrere nel 1989 alle elezioni presidenziali.

 

Nonostante l'economia in collasso e il tasso di inflazione mensile del 200%, la campagna elettorale di Menem prometteva il salariazo - una grande crescita nei livelli di vita. Corteggiò l'elettorato con lo slogan "seguitemi" lasciando intendere che avrebbe potuto dichiarare l'insolvenza sul debito estero. Alla notizia della sua schiacciante vittoria elettorale, le vedute di Menem subirono una drastica conversione. "Siamo dei pragmatisti" egli dichiarò. "Le imprese statali saranno privatizzate nella misura in cui tale azione soddisferà gli interessi del governo"[6]. Ovunque parlava della necessità di uno "shock di iper-credibilità". Le politiche della Banca Mondiale (BM) e del FMI avrebbero dovuto essere adottate. Menem stabilì stretti legami con le élites locali, assumendo nel suo governo membri esecutivi della potente conglomerata Bunge y Born, e lasciando molto potere nelle mani del suo presidente Jorge Born III. Abbracciò i liberali ultra-conservatori i quali, come supporters dogmatici, del libero mercato e oppositori dell'interventismo statale, erano sempre stati nemici mortali dei peronisti. Il Parlamento, nel quale Menem aveva la maggioranza in entrambe le camere, fu persuaso ad affidare poteri di emergenza per condurre le politiche economiche mediante decreti.

 

Questo fu, naturalmente, il momento del "Consenso di Washington": la rimozione di tariffe e barriere al flusso di capitali, la privatizzazione delle industrie nazionalizzate, la flessibilità del mercato del lavoro, e tagli alla spesa sociale, tutto ciò ed altro fu proclamato come nuovo programma globale per l'America Latina. In Argentina, questi obiettivi furono presentati come l'unico modo di salvare il paese dal caos dell'iper-inflazione[7]. Per i primi 2 anni della sua presidenza, tuttavia, il tentativo di Menem di realizzare il programma incontrò poco successo. Ci fu un altra crescita dell'iper-inflazione nei primi mesi del 1990, l'opposizione dei leaders dei sindacati Radicali e problemi con l'esercito. Il suo governo fu accusato di corruzione e aspramente criticato per avere garantito una pronta liberazione ai membri della giunta militare imprigionati. La popolarità del presidente affondava.

 

La transizione apparentemente magica avvenne nel 1991 quando gli USA entrarono in recessione e masse di capitali furono spostati all'estero verso i "mercati emergenti"; il capitale straniero aveva bisogno di sostenere la rivoluzione neoliberale in Argentina che ora miracolosamente stava apparendo. I tassi di interesse americani rimasero bassi fino alla fine del 1994 - marcando esattamente la durata del boom di Menem. Il flusso degli investimenti stranieri coincideva con la stabilizzazione delle spese governative e con il calo concomitante dell'inflazione. Nei primi degli anni Novanta l'Argentina era divenuta il quarto paese al mondo come beneficiario di fondi stranieri. Il flusso salì dai 3,2 mld di dollari del 1991 agli 11 mld del 1992 fino ai 10,7 mld di dollari del 1993. Con la ripresa dell'economia, la posizione di Menem nel paese subì un cambiamento decisivo. Vi fu una massiccia accettazione tra il pubblico delle sue drastiche misure di riforma; inoltre l'opinione pubblica sembrava convinta che non esistessero alternative. Le elezioni provinciali e parlamentari riflettevano la stessa tendenza.

 

Così l'Argentina divenne un modello di neoliberismo e un fiore all'occhiello della globalizzazione. Nei primi anni Novanta, il tasso annuale di crescita del PIL, che sfiorava il 10%, sembrò scacciare la stagnazione e l'instabilità dei decenni precedenti (vedi la figura 1 sotto).

 

(crescita del PIL procapite in percentuale)

 

Le importazioni raggiunsero livelli mai toccati prima, finanziate dal flusso di fondi stranieri che compensavano il crescente deficit commerciale. Anche le esportazioni crebbero. Attraverso il MERCOSUR il governo cercò legami più stretti col Brasile: le tariffe doganali più basse stabilite per mezzo del trattato di Asunciòn del 1991 presto resero questo il maggiore mercato estero dell'Argentina. Nel 1994 le esportazioni verso il MERCOSUR, guidate dall'industria automobilistica, erano salite del 70%; esse totalizzavano il 30% di tutte le esportazioni. Il governo cercò legami maggiori anche con le principali potenze economiche occidentali chiudendo la disputa con l'Inghilterra sulle Maldive al fine di appianare le relazioni con l'Unione Europea (mentre durante la campagna elettorale invece Menem aveva farneticato sulla possibilità di reinvadere le isole). Il Ministro degli Esteri Guido Di Tella, assicurava che le relazioni con gli USA erano ottime, affermando schiettamente al momento di lasciare il movimento dei non allineati nel 1991: "l'esclusivo centro di interesse del nostro governo sono gli Stati Uniti. A complemento di quell'interesse noi manterremo le relazioni con l'Europa occidentale. E il resto del mondo non esiste".

 

Decentralizzando lo Stato

 

Incoraggiato dalla crescita economica e dagli investimenti stranieri, Menem si imbarcò così nel suo dominio decennale della politica argentina. Le strette relazioni con i principali governatori peronisti delle province permisero al presidente di coltivarsi il necessario supporto in tutto il paese, mentre al tempo stesso ciò gli consentiva vita facile in parlamento. La diffusione delle clientele di Menem, dal centro verso le province, assumeva una forte somiglianza col sistema politico dell'era liberale sotto il PAN; il termine "lega dei governatori", coniato attorno al 1870, ritornò in voga. Come nell'ultima parte del XIX° secolo, i governatori esercitavano una crescente influenza sul parlamento, attraverso legami personali e a volte nepotisti. Se Peròn un tempo parlò della necessità di creare una "Argentina Nuova", "la Vecchia Argentina" caratterizzava meglio le aspirazioni di Menem.

 

Il ruolo del governo federale era trasformato. Invece di operare come uno "Stato interventista", la sua funzione principale consisteva ora nell'aumentare le entrate statali e nel dirigerle verso le province attraverso il sistema conosciuto come compartecipaciòn. Le responsabilità per la salute e l'educazione erano anch'esse decentralizzate - le riforme ad esempio trasferirono più di 180.000 insegnanti sotto la giurisdizione provinciale. In questo processo il governo federale si liberò di più di 200.000 posti di lavoro tra il 1990 e il 1992 - benché circa il 40% di questi fossero trasferiti alle province. La decentralizzazione fu oggetto di poche critiche all'epoca; le province avevano ampio accesso ai fondi della compartecipaciòn e al risconto[8] presso le banche provinciali. Secondo uno studio della Banca Mondiale del 1993 "le province ora hanno maggiori responsabilità per servizi sociali come l'educazione, la salute, assistenza e politiche abitative. Il miglioramento dell'efficienza di questi servizi sociali provinciali può costituire una delle strade per migliorare gli standard di vita in Agentina[9].

 

L'accaparramento degli oligopoli

 

Le privatizzazioni hanno dominato l'agenda di Menem. Durante l'epoca di Peròn, il governo federale aveva operato una ampia serie di nazionalizzazioni di grandi imprese e servizi. Le pressioni per far tornare queste imprese al capitale privato erano iniziate sotto Martinez De Hoz e si erano progressivamente incrementate sotto Alfonsin, rafforzate dalle lamentele per il fatto che i sussidi alle aziende statali ammontavano a 4 milioni di dollari nel 1989. I promotori sostenevano che la privatizzazione avrebbe condotto a maggiori livelli di investimento, all'accesso alle nuove tecnologie e a un'efficienza superiore. Riducendo il bisogno di sussidi statali si sarebbe eliminata la principale causa del deficit fiscale inflazionistico[10]. Un boom economico del settore privato avrebbe generato nuova occupazione mentre aumentava la crescita economica. Gli oppositori alle privatizzazioni, che includevano nazionalisti di destra, ex membri della giunta militare, sottolineavano invece il bisogno di proteggere le aziende argentine dalle acquisizioni straniere e i deleteri effetti sui posti di lavoro. Ma l'instabilità, la stagnazione e l'iper-inflazione degli anni Ottanta, erano state così acute che Menem inizialmente incontrò poca opposizione. Egli aveva il sostegno dei Radicali e disponeva in ogni caso dei poteri economici di emergenza. I sindacati erano stati ammorbiditi dalle prime misure pensionistiche, generose per i comuni standard di paesi in via di sviluppo e dalle proprietà azionarie nelle aziende privatizzate.

 

Durante i primi mesi del ministero Menem, il programma di privatizzazioni fu largamente sostenuto e acquistò una grande ampiezza andando a toccare la maggior parte dei settori di base dell'economia: petrolio, telecomunicazioni, energia, servizi pubblici. Tra il 1990 e il 1994, il programma di privatizzazioni stimolò enormemente l'afflusso di investimenti stranieri, incluso il rimpatrio di alcuni mld di dollari depositati all'estero da argentini. Molti piccoli risparmiatori pure divennero azionisti nelle società appena privatizzate. La riforma delle pensioni che aveva introdotto la possibilità di scelta tra pensioni pubbliche e pensioni private, anch'essa aumentò il numero di micro-investitori, mentre, al tempo stesso, sottraendo contributi ai fondi pubblici, determinava un buco significativo nelle finanze statali. Menem fu osannato di elogi dal FMI e dalla BM, che gli avevano prestato una significativa assistenza. Le privatizzazioni arrivarono alla fine alla somma di circa 31 mld di dollari, la maggior parte di questi incassati prima del 1995[11]. Le entrate furono largamente usate per riacquistare il debito estero - ossia il debito pubblico detenuto da stranieri - e per eliminare il deficit fiscale; tuttavia entrambi si rivelarono successi provvisori.

 

La realizzazione del programma comunque aveva provocato feroci controversie. Le critiche iniziarono quando Menem usò i poteri di emergenza per decidere privatizzazioni attraverso decreti ed anche i poteri connessi alla sua carica presso la Corte Suprema per impedire indagini su illeciti. I funzionari governativi delle privatizzazioni erano stati accusati di aver dissipato le proprietà nazionali e ignorato i criteri di efficienza e di servizio. Il Ministro dei Lavori Pubblici, Roberto Dromi, non fece alcuno sforzo per creare enti di controllo dei nuovi monopoli privati appena creati. Maria Julia Alsogaray, la figlia dei uno dei principali politici liberali del periodo post bellico, responsabile della vendita della ENTel, è a tutt'oggi immischiata, dopo più di 10 anni, in battaglie giudiziarie con l'accusa di appropriazione indebita in relazione alla vendita della suddetta società.

 

I beneficiari delle privatizzazioni includevano sia grandi aziende conglomerate sia straniere che argentine. Solitamente le grandi aziende straniere fornivano la maggior parte delle risorse finanziarie e tecniche, mentre quelle argentine contribuivano mediante informazioni sulle condizioni locali e mediante gli agganci governativi. Tra i gruppi nazionali i più importanti erano: Perez Companc, Techint, Astra e il Gruppo Soldati, tutti sospettati per i loro massicci accordi con la dittatura militare degli anni Settanta. Vi sono fondate ragioni di credere che Menem avesse offerto loro alcune grandi imprese provenienti dall'ex settore pubblico in cambio di aiuto durante la crisi del 1989-1991. Le acquisizioni della Perez Companc comprendevano quote delle 2 grandi compagnie telefoniche provenienti dallo smembramento della ENTel seguente alla vendita; parti della compagnia petrolifera YPF e dell'industria elettrica SEGBA; quote dei gasdotti e della sua distribuzione. Il Gruppo Soldati aveva interessi simili nel petrolio, nel gas, nelle telecomunicazioni, così come nel settore dell'acqua.

 

Gli effetti sull'impiego furono drammatici. I posti di lavoro nelle ferrovie - per considerare un esempio estremo - caddero da circa 100.000 a poco più di 10.000. I licenziamenti furono meno consistenti in altri settori ma la forza lavoro delle ex grandi imprese statali fu ovunque ridotta (vedi la figura 2 sotto). Per gli argentini il vecchio sistema di proprietà statale, benché inefficiente, almeno aveva avuto il merito di conservare alti livelli di occupazione; mentre invece gli sperati nuovi posti di lavoro nei settori ad alta tecnologia e ad alta crescita non si materializzarono. In più, ciò significava la perdita di istituzioni che per lungo tempo avevano isolato l'Argentina dagli shock e dalle crisi dell'economia globale[12].

 

(percentuale di disoccupazione sulla popolazione urbana attiva: sottoimpiegati e disoccupati)

 

Nuovo sviluppo

 

Che dire delle spinta verso la crescita e della "new economy", le cui esportazioni ad alto valore aggiunto avrebbero dovuto generare ricchezza e lavoro? Durante il 1994 vi era stata infatti una ripresa dalla contrazione del decennio precedente ma che si attestava appena attorno ai livelli dei primi anni Settanta[13]. Vi furono alcuni sviluppi positivi nel settore della pesca, delle foreste e del gas naturale, ma non vi furono altri cambiamenti di rilievo nell'economia. L'aumento delle esportazioni di automobili, di prodotti petrolchimici, di acciaio e vino non costituisce una vera e propria novità trattandosi di prodotti già da lungo tempo sviluppati. L'Argentina rimaneva altamente dipendente dalle sue esportazioni agricole - vecchi prodotti come la carne e il frumento - così come altri più recenti tipo il sorgo. L'influsso dei capitali stranieri contribuiva a determinare consumi più alti piuttosto che ad accrescere la produzione. Tali investimenti erano indirizzati verso industrie di produzione di massa ad alta intensità di capitale le quali caratterizzavano il programma di privatizzazioni di Menem. Le cosiddette PMI - Piccole e Medie Imprese - non riuscirono a sorgere; mancando ancora di accesso al credito, alla tecnologia, ai mercati e alla formazione, esse potevano far poco per assorbire il crescente eccesso di forza lavoro. I guadagni di produttività rimasero indietro rispetto agli standard tradizionali.

 

Vi furono alcune piccole eccezioni a questa regola. Le esenzioni fiscali adottate nell'epoca precedente a Menem condussero ad una confusa crescita di moderne fabbriche nella provincia occidentale di San Luis, per esempio; ma questo tipo di transizione sfiorò solamente la maggior parte delle altre regioni. Scarsità di viveri, indigenza, disoccupazione e forti ineguaglianze caratterizzavano quasi tutte le province dell'Argentina durante il regno di Menem - una ineguaglianza accresciuta dall'eccessivo ricorso del governo alla tassazione indiretta[14]. Nelle campagne i contadini rimasti sussistevano sui piccoli appezzamenti conosciuti come minifundios oppure ingranditi per la coltivazione della frutta. Le economie locali avevano perso importanti sussidi con l'abolizione delle norme di fissazione dei prezzi stabilite negli anni Trenta. In molte zone, come ad esempio Tucuman, nota per la produzione dello zucchero, perdurava la crisi. Nelle province più povere dell'Argentina - le aree settentrionali di Salta, Jujuy e Formosa, il reddito procapite, tra le persone più povere, verso la fine degli anni Novanta, era caduto ai livelli del Bangladesh e del Nepal. In diverse grandi città di provincia, tra le quali Concordia (Entre Rios), Resistencia (Chaco), Corrientes e San Salvador de Jujuy, almeno tre quarti della popolazione viveva in condizioni di estremo bisogno[15].

 

Gli investimenti giunsero in Argentina negli anni Novanta sotto condizioni assai differenti da quelle della belle-époque. Allora, i banchieri potevano contare sulla comprovata affidabilità dell'esportazioni agricole argentine. Durante gli anni di Menem, invece, i potenziali investimenti si limitavano a restare poco più che un sogno del team economico del presidente. Il sostegno dell'Europa e degli USA ai propri settori agricoli, impediva all'Argentina una crescita veloce mediante le esportazioni agricole, in difficoltà su quei mercati. Le prospettive di nuova prosperità basate sull'industria manifatturiera apparivano ugualmente fragili. Le nazioni in via di sviluppo gareggiavano per i mercati mediante compressione dei salari, e i nascenti giganti industriali asiatici impedivano all'Argentina ulteriori chances sulla scena mondiale. Negli anni Ottanta, l'industria argentina si era già contratta del 24%, ai primi del Novanta essa riguadagnò qualcosa del terreno perduto. Durante il 1994 l'occupazione nel settore manifatturiero rimaneva solamente a circa il 75% dei livelli del 1980. La produzione di beni di consumo durevoli aumentò grazie al MERCOSUR; ma la produzione di mezzi di produzione si contrasse a causa dell'importazione di tali beni. Fatto ancora più grave, la cronica sopravvalutazione del peso durante tutto questo periodo, collocò le merci argentine in una situazione di svantaggio competitivo su molti mercati stranieri[16].

 

Il tasso di cambio fisso del peso sul dollaro

 

Il sistema di convertibilità della moneta argentina non era, strettamente parlando, un elemento del Washington Consensus, benché fosse già stato applicato altrove - ad esempio in Cile alla fine degli anni Settanta. Tale misura, che divenne legge agli inizi del 1991, significava l'adozione di una valuta di cui si garantiva la convertibilità al tasso di 1 a 1 nei confronti del dollaro americano (1 dollaro per 1 peso). L'architetto del sistema fu Domingo Cavallo, un economista formato ad Harvard che era stato il precedente Ministro degli Esteri di Menem. Legato alla patria financiera, l'élite finanziaria e liberale argentina, egli combinava una reputazione di capacità professionale con una formidabile personalità.

 

Il sistema di Cavallo era simile al vecchio Gold Standard[17] - usato in maniera intermittente prima degli anni Trenta in Argentina, così come in Europa occidentale e negli USA - nella fissazione di un tasso di cambio stabile e adeguando l'offerta di moneta alla dotazione di riserve in dollari. La legge del 1991 stabiliva l'indipendenza della Banca Centrale e affermava che il governo eletto non poteva in alcun modo decidere l'emissione di moneta. Cavallo sosteneva che questa legge di convertibilità avrebbe incoraggiato i risparmi nazionali poiché ogni peso depositato in banca equivaleva a un dollaro; avrebbe attratto investimenti stranieri e favorito il rimpatrio di fondi argentini dall'estero poiché detenere moneta in patria sarebbe stato sicuro come tenerla negli USA. Avrebbe altresì aiutato a creare un sistema di credito duraturo, permettendo alla maggiore spesa per consumi di alimentare il settore edilizio e quello manifatturiero. Soprattutto - e fu ciò che diede credibilità a questa misura - avrebbe messo la parola fine all'incubo dell'iper-inflazione.

 

I critici di Cavallo evidenziavano i pericoli di garantire l'equivalenza peso-dollaro. Quando il dollaro si fosse apprezzato contro le altre valute, le esportazioni argentine sarebbero divenute meno competitive - solo il 10% di esse era diretto verso gli USA. Il Gold Standard aveva funzionato bene nei periodi di crescita economica ,  poichè amplificava il credito interno quando la bilancia del commercio estero era in surplus.  Tuttavia, per lo stesso motivo, esso moltiplicava gli effetti del deficit di partite correnti (poichè diminuivano le riserve in oro e valuta estera, usate per pagare il deficit commerciale) restringendo la circolazione monetaria e il credito. Grazie a tali importazioni così aumentava la ricchezza nazionale, ma la produzione interna era spinta verso la recessione. Le nazioni centrali erano in grado di regolare e ricostituire le loro riserve in valuta estera aumentando i tassi di interesse o controllando i loro profitti provenienti dalle esportazioni. Durante le recessioni, potenti banche centrali come la Federal Reserve statunitense o, prima della seconda guerra mondiale, la Bank Of England potevano usare alti tassi di interesse per attrarre capitali dall'estero. I paesi debitori della periferia, come l'Argentina, erano privi di ogni tipo di controllo sul flusso dei capitali a breve termine. Quando le loro riserve in valuta estera diminuivano, essi erano obbligati a razionare il credito interno; se avessero tentato di rimanere all'interno del Gold Standard sarebbero caduti in una spirale deflazionistica - minori consumi, contrazione economica e aumento della disoccupazione. Nel 1914 e nel 1929, l'Argentina aveva abbandonato il Gold Standard al fine di tirarsi fuori da tali spirali recessive. Ciò era stato raggiunto mediante decreti del governo; la legge del 1991, invece, era assai più rigida poiché richiedeva una legge parlamentare per la sospensione o l'abolizione della legge di convertibilità[18].

 

Cavallo non ascoltò queste critiche. Egli affermava che il grande deficit fiscale degli anni Ottanta erano scomparsi mentre al tempo stesso la spesa sanitaria e per l'istruzione stava crescendo; la disoccupazione era ancora a meno del 7%. Egli però non menzionava i bassi tassi di interesse statunitensi che erano una delle precondizioni per il suo successo[19]. In ogni caso, in termini politici, Cavallo era divenuto prigioniero della sua creazione e ne sarebbe divenuto poi la vittima. Una volta stabilita la convertibilità, iniziò a godere del sostegno di potenti interessi costituiti. Le grandi imprese privatizzate iniziarono a contrarre notevoli debiti all'estero in valuta forte, confidando sul fatto di poterli poi ripagare. La classe media argentina depositò i propri risparmi nelle banche locali o prese a prestito denaro per acquistare immobili e auto. Anche i poveri iniziarono ad acquistare merci a rate. Siccome il credito e l'indebitamento si espansero nessuno voleva la fine della legge di convertibilità peso-dollaro: avrebbe significato ridurre drasticamente i risparmi e aumentare i debiti. Questo ampio sostegno alla legge durò fino alla crisi del 2001. Quando 1 peso era uguale a 1 dollaro "...molti, molti argentini dormivano magnificamente. Talmente forte era il consenso alla convertibilità che anche oggi [luglio 2002] nessuno vorrà prendersi la responsabilità di aver provocato la svalutazione"[20].

 

Trasformazioni politiche

 

Così come aveva riformato l’economia, Menem ridisegnò la mappa politica dell’Argentina. I cambiamenti più importanti degli anni Novanta consistettero nell’eclissi dei militari – una forza dominante nel paese fin dal XIX secolo, e in un rapido declino dei sindacati un tempo potenti. Il rango dell’esercito aveva sofferto un colpo irreparabile durante la “guerra sporca” degli anni Settanta, mescolata all’umiliante sconfitta delle Maldive; essi erano stati così cacciati dal governo in disgrazia nel 1983. Durante tutti gli anni di Alfonsin, le fazioni estreme dei militari avevano combattuto contro i tagli al budget della difesa e contro il tentativo di processare i leaders della precedente giunta militare. Menem adottò una politica più sottile, da un lato egli proclamò un’era di riconciliazione nazionale – 200 ufficiali condannati per omicidio e tortura sulla base di prove irrefutabili furono liberati dalla sua amnistia nell’ottobre dell’89. Dall’altro, distrusse la resistenza dei carapintados di estrema destra, detti anche “facce dipinte”. L’ultima ribellione nelle baracche avvenne nel dicembre del ’90 a seguito della normalizzazione delle relazioni con l’Inghilterra. Al comando dell’esercito venne ordinato di reprimerla e ciò fece. Il capobanda colonnello Mohamed Seineldìn, un altro turco, fu condannato all’ergastolo.

 

Il servizio militare obbligatorio fu abolito. Con un forte sostegno del FMI, l’amministrazione progettò la privatizzazione di settori chiave del complesso militare-industriale, incluso il produttore di armi Fabricaciones Militares e la vendita di alcune delle vaste proprietà immobiliari dell’esercito. Durante il 1993, gli effettivi erano stati ulteriormente ridotti a 65.000, mentre il numero dei generali diminuiva da 70 nel 1989 a 32 nel 1995. Il morale veniva mantenuto alto mediante l’energica partecipazione a operazioni congiunte ONU e USA di peacekeeping. Dopo la decisione personale di Menem di inviare due navi, aeroplani da trasporto e 600 ufficiali per sostenere il blocco dell’Iraq nel settembre del 1990, le forze argentine presero parte in operazioni in Croazia, Somalia, Cipro, Kuwait, Haiti e Angola. Un giornale locale scrisse all’epoca: “il fatto di aver sfilato al fianco delle truppe statunitensi nella parata successiva alla vittoria nella guerra del Golfo – un evento molto pubblicizzato in Argentina – fu un drammatico cambiamento di tendenza per l’esercito argentino”. In termini di politica interna, comunque, l’esercito divenne invisibile. Nel dicembre 2001, De La Rua chiese un intervento armato contro i rivoltosi di Buenos Aires. I militari si rifiutarono di obbedire in assenza di ordini da parte del Parlamento. Quest’ordine non arrivò mai.

 

A partire dagli anni Quaranta, i sindacati costituivano una componente chiave della coalizione populista. La loro influenza - rappresentata dalle “62 organizzazioni” della Confederacion General de los Trabajadores (CGT) – raggiunse un picco massimo nel 1973 quandoi Peròn iniziò il suo breve terzo periodo come presidente. Sottoposto alla brutale repressione della dittatura militare, il movimento operaio fu ulteriormente indebolito dalla profonda recessione iniziata nel 1975 che fiaccò l’industria manifatturiera. Tuttavia, durante gli anni Ottanta sembrò che i sindacati stessero riguadagnando la loro vitalità. 13 brevi scioperi generali contribuirono alla caduta di Alfonsin a metà del 1989. La voltagabbana post elettorale di Menem, causò la costernazione fra i leaders sindacali che avevano supportato la sua campagna elettorale, ma essi non riuscirono ad opporsi. Il risultato fu una scissione nella CGT, nell’ottobre del 1989, tra i lavoratori del settore pubblico e altri che avrebbero sopportato l’impatto con le misure di austerità che si prospettavano, e la massa dei sindacati del settore privato, che erano ancora favorevoli al dialogo col governo. I tentativi di riunificazione nel 1992 risultarono, in ultima analisi, in una rottura definitiva, con i sindacati dissidenti che formavano la Confederacion de Trabajadores Argentinos (CTA).

 

Menem era solito costruire il proprio consenso mediante la corruzione, e i leaders dei sindacati che avevano approvato le privatizzazioni ricevettero una generosa ricompensa. Il dialoguistas Luis Barrio Nuevo del sindacato dei lavoratori del settore alimentare e Jorge Triaca, capo dei lavoratori del settore della plastica, furono messi a capo, rispettivamente, dell’amministrazione dei Lavori Sociali e della società nazionale dell’acciaio SOMISA; tuttavia il grado delle accuse di corruzione portate contro di loro, obbligò poi Menem a cacciarli entrambi. I cambiamenti derivati dalle privatizzazioni, dalla liberizzazione commerciale e dalla contrazione dei lavori pubblici ebbero un profondo impatto sulle condizioni di vita dei lavoratori. Il livello mai raggiunto prima di disoccupazione che tali misure crearono – secondo quanto sosteneva un rapporto dell’ECLAC già nel 1994, al punto più alto dell’espansione economica – diminuiva il potere di contrattazione dei sindacati[21]. Il trend a lungo termine che spingeva dal lavoro di fabbrica al cuentapropismo – disoccupazione, marginalità e disuguaglianza – accelerò durante tutti gli anni Novanta. I lavoratori argentini, un tempo godevano di standard di vita comparabili con quelli dell’Europa occidentale. Alla fine del secolo, somigliavano piuttosto alle nazioni più povere dell’America Latina.

 

Tuttavia, Menem non riuscì nel suo tentativo di realizzare una legislazione sulla “flessibilizzazione” che avrebbe facilitato l’assunzione di lavoratori interinali, pagamenti di salari sottopagati e l’abbandono dei metodi tradizionali di contrattazione collettiva in favore di contrattazioni decentralizzate azienda per azienda[22]. Nel frattempo, la lunga tradizione argentina di sindacalismo militante fu portata avanti dalla minoritaria CTA, organizzando impiegati statali, insegnanti, metalmeccanici radicali e altri. Sotto la leadership di Victor De Gennaro dei lavoratori del settore pubblico, la CTA ha giocato un ruolo preminente nelle barricate organizzate dai piqueteros durante il 2002. Il sindacato degli insegnanti CTERA, uno dei gruppi più attivi all’interno della CTA, rifletteva il dissenso dei suoi membri alla decentralizzazione del sistema scolasico argentino e l’inadeguatezza dei fondi provinciali.

 

Ma se l’appoggio del vecchio blocco peronista si era dissolto, Menem si dimostrò abile nel manipolare nuove forme di populismo che dirottavano i gruppi corporativi tradizionali[23]. Durante gli anni Novanta, i peronisti hanno reinventato la macchina politica usando le reti dei partiti locali per creare trame di relazioni clientelari che ricordavano i comitati del partito Radicale all’inizio del XX secolo, destinati anche a smussare gli effetti delle politiche liberiste. Piuttosto che organizzare il popolo per mezzo dei sindacati, essi ora si avvicinavano ad esso in quanto individui, famiglie o consumatori. Le donne hanno giocato un ruolo importante in questa ultimissima generazione di boss di partito, lavorando per le unidades bàsicas, cellule del partito Giustizialista a livello della manzana, . La lealtà era assicurata per mezzo di forniture di merci alle classi più disagiate – pagate per mezzo di fondi pubblici ma dispensate dal partito. Trafficando nelle bidonvilles della Grande Buenos Aires “chiche” Duhalde, la moglie di Eduardo, divenne una praticante leader di questo nuovo approccio. I neo-populisti ripresero i metodi di Yrigoyen di trafficare in cariche pubbliche: i lealisti del partito si accalcavano nella burocrazia del partito in cerca di essere ricompensati con una carica. La decentralizzazione menemista aggiunse una nuova dimensione a tale processo, quella dei leaders provinciali che sfruttavano il loro ruolo accresciuto come gestori della salute e dell’educazione per creare nuove forme di clientelismo[24].

 

Mentre il programma neoliberista chiedeva una riduzione della spesa pubblica, il neo-populismo e il clientelismo che lo caratterizzava, riuscivano in qualche misura a mitigare questa tendenza. Nella provincia di Buenos Aires – di gran lunga la più estesa, con una popolazione di 9 milioni – la spesa crebbe in modo abbastanza consistente durante tutto il decennio, come mostrato nella tabella sottostante. Lo stesso modello prevalse nelle altre province più popolose, Cordoba e Santa Fè. Qui i governatori spingevano per una maggiore quota dei fondi di copartecipazione. Mentre la disoccupazione peggiorava, sarebbero arrivati ulteriori fondi a causa delle spinte dal basso. Il governo federale, convissuto con il sistema di convertibilità, lottava per restringere i fondi di compartecipazione da destinare alle province e così anche il debito pubblico. La scena era pronta per lo scontro che sarebbe scoppiato nel momento in cui l’economia fosse entrata in crisi.

 

Tabella 1: spesa pubblica nella provincia di Buenos Aires in milioni di pesos

 

 

 

1991

1992

1993

1994

1995

1996

1997

1998

1999

2000

amministrazione

1.146

1.654

1.990

2.369

2.223

2.375

2.179

2.448

2.492

2.588

spese di sicurezza

545

618

712

726

839

811

1.036

1.227

1.288

1.262

servizi sociali

2.219

2.818

3.650

4.035

3.970

4.418

5.536

5.901

6.283

6.205

- salute

537

639

788

758

818

912

946

1.042

1.183

1.087

- lavori sociali

70

147

288

445

330

416

600

627

620

533

- sicurezze sociali

250

275

248

227

186

228

257

222

257

236

- educazione/cultura

1.153

1.609

2.023

2.280

2.255

2.527

3.252

3.423

3.816

3.915

- scienza/tecnologia

7

8

10

10

10

11

12

12

12

15

- programmi di lavoro

-

-

-

-

-

-

63

171

120

146

- politiche abitative

154

104

177

177

162

198

220

259

182

215

- acqua

48

35

115

137

210

126

187

144

94

59

servizi economici

169

423

493

768

745

823

888

940

774

559

debito pubblico

22

162

145

151

150

290

230

215

260

385

totale

4.101

5.674

6.990

8,049

7.927

8.717

9.869

10.731

11.097

10.997

(Fonte: Direcciòn Nacional de Coordinaciòn con las Provincias)

 

Per il momento comunque, la stabilità politica non era in pericolo. Menem aveva avuto successo nel riconciliare il neoliberismo con le forme delle democrazia rappresentativa, minimizzando il ricorso ai metodi autoritari, anche se non li aveva evitati del tutto. Egli divenne il primo presidente dopo Peròn che restò in carica per un periodo di 6 anni; nel 1995, avendo riscritto la Costituzione, egli fu rieletto per altri 4 anni.

 

Shock esterni

 

Mentre Menem cominciava il suo secondo mandato, l’Argentina stava emergendo malconcia dal primo grande attacco al suo modello economico. Nel dicembre del 1994, un rilevante aumento dei tassi di interesse americani, aveva provocato una caduta sui mercati obbligazionari mondiali e la svalutazione del peso messicano. La popolarità dei mercati finanziari del Sud del mondo precipitò. Il capitale volò via dall’America Latina. I prezzi azionari caddero severamente nella borsa di Buenos Aires a causa dell’effetto Tequila. L’economia argentina precipitò nella recessione, la disoccupazione crebbe dal 12% al 18% in meno di 6 mesi. Le fughe di capitali e la diminuzione delle riserve in valuta estera, crearono forti dubbi sulla permanenza della legge di convertibilità. La successiva corsa agli sportelli bancari – il 18% dei depositi venne ritirato in poche settimane – alimentò l’ansia sulla tenuta dell’intero sistema bancario e provocò la chiusura di alcune banche provinciali. Il PIL si contrasse del 7,6% dall’ultimo trimestre del 1994 al primo trimestre del 1996.

 

Il sistema della convertibilità 1 a 1, di Menem e Cavallo, sopravvisse intatto. I pagamenti del debito estero furono garantiti dalle riserve della Banca Centrale e il governo assicurava di ricostituirle se necessario mediante misure addizionali di privatizzazione, benché ormai non vi fosse più molto da vendere. Gli alleati politici – Perez Companc e altre società si coalizzarono per sostenere il peso. Gli speculatori indugiavano. Allarmati dalle ripercussioni della crisi messicana, gli USA abbassarono di poco i tassi di interesse. L’Argentina appariva esposta alla tempesta. Ma i costi del finanziamento del deficit – che erano saliti da 1,3 mld di dollari nel 1995 a 5,6 mld di dollari nel 1996, mentre le entrate statali diminuivano e aumentavano gli interessi sui pagamenti – avevano portato il paese al primo giro di boa della crescente spirale del debito che sarebbe culminata nel crack del dicembre 2001. Durante la fine degli anni Novanta, i crescenti tassi di interesse esteri avrebbero portato ancora una volta all’aumento dei costi del finanziamento del deficit, i quali a loro volta avrebbero ingigantito ulteriormente il debito. E ciò comportava che venissero imposti al paese tassi di interesse ancora più alti come premio per il rischio; mentre l’intero deficit stava enormemente crescente, come già detto, anche per gli effetti del sistema di convertibilità monetaria. Il piccolo deficit degli anni precedenti, che in buona parte era il risultato della parziale privatizzazione dello stato sociale, iniziò a spalancarsi[25].

 

Temporaneamente, comunque, l’apprezzamento della moneta brasiliana, il real, venne in soccorso dell’economia argentina sostenendo le esportazioni argentine in Brasile; ciò era stato causato dall’aumento dei tassi di interesse da parte di Cardoso [l’allora presidente brasiliano] di quasi il 65% in risposta alla crisi Tequila[26]. Ma la ripresa rimase debole. Le esportazioni argentine consistevano ancora in buona parte in beni primari a basso valore aggiunto. Metà dei nuovi posti di lavoro creati in questo periodo erano di tipo temporaneo, segnalando di un incremento del cuentapropismo. In questa fase, inoltre, i problemi sociali di declino regionale e della disoccupazione divennero laceranti. I fallimenti bancari del 1995 ebbero un effetto disastroso sulla finanza regionale in alcune parti del paese, portando a standard decadenti nei servizi sanitari e nell’educazione. I governatori provinciali domandavano più risorse. A metà del 1996, Cavallo si dimise a causa di una disputa sulla spesa sanitaria e venne rimpiazzato da Roque Fernàndez.

 

Le entrate delle privatizzazioni stavano terminando. Gli investimenti esteri ristagnavano, ulteriori aumenti dei tassi di interesse statunitensi causarono costi maggiorati del debito, ingrossando il deficit. Soprattutto, dai primi del 1996 il dollaro americano inizia a crescere. Il suo apprezzamento divenne il punto di svolta per l’economia mondiale degli anni Novanta – una campana a lutto per quelle economie periferiche che avevano legato le loro valute al dollaro. Sempre di più verso la fine del decennio gli USA stavano assorbendo tutto il capitale finanziario mondiale. In questa situazione i paesi che avevano scommesso tutto sulla capacità di attrarre investimenti esteri erano schiacciati con le spalle al muro. Ai primi del 1997 i tassi di interesse americani salirono ancora. L’impennata dei costi di finanziamento del debito pubblico generò panico, le fughe di capitali e poi il collasso attraverso la maggior parte del sud-est asiatico. Un anno dopo, nell’agosto del 1998, la Russia si è dichiarata insolvente sul suo debito. Fu nel corso di questi anni che l’economia argentina cadde in recessione. Contrariamente al quadro che il FMI dipingeva, il governo deteneva un surplus del budget primario[27] - ma i crescenti costi degli interessi sul debito lo spinsero verso il deficit.

 

 

Tabella 2: spesa pubblica ed entrate statali, in milioni di pesos correnti - cioè adeguati al tasso di inflazione

 

 

 

1993

1994

1995

1996

1997

1998

1999

2000

2001

Entrate statali totali

50.727

51.078

50.294

47.669

55.377

56.726

58.455

56.571

51.319

Spesa pubblica totale

47.996

51.364

51.667

52.933

59.653

60.800

63.224

63.362

59.429

- come % del PIL

20,3

20,0

20,1

19,5

20,4

20,3

22,3

22,3

22,1

Pagamenti degli interessi

2.914

3.150

4.084

4.608

5.745

6.660

8.224

9.656

9.630

- come % del PIL

1,2

1,2

1,6

1,7

2,0

2,2

2,9

3,4

3,6

Deficit/Surplus

2.731

-286

-1.373

-5.264

-4.277

-4.074

-4.768

-6.792

-8.110

Spesa al netto degli interessi

45.082

48.214

47.583

48.325

53.908

54.139

55.000

53.706

49.799

- come % del PIL

19,1

18,7

18,4

17,8

18,4

18,1

19,4

18,9

18,5

surplus al netto degli interessi pagati sul debito

5.645

2.864

2.710

-657

1.468

2.587

3.455

2.864

1.520

(Fonte: Secreterìa de Hacienda, Ministerio de Economìa, Argentina)

 

Le esportazioni, nel frattempo, dipendevano ancora dalla continua sopravvalutazione del real brasiliano agganciato al dollaro. Nel gennaio del 1999, la moneta brasiliana fu oggetto di un pesante attacco speculativo. Il governo Cardoso fu obbligato ad abbandonare il tasso di cambio fisso del Piano Real e a consentire che la moneta si svalutasse. Sembrò inevitabile che l’Argentina dovesse seguirlo. Il mercato brasiliano si stava contraendo velocemente. Il sistema di convertibilità, che legava il peso al dollaro crescente, stava devastando le esportazioni argentine. Perché l’Argentina non svalutò il peso? Certamente ci fu una pressione politica dalla ampia classe media del paese la quale non voleva vedere svalutati i propri risparmi. Certo questa decisione fu ribadita dal FMI e dal Ministero del Tesoro statunitense. Il paese, come affermò un importante funzionario del FMI, aveva applicato fedelmente le sue lezioni e le sue performances erano riconosciute a livello internazionale, tanto che il presidente Menem appariva al fianco del presidente Clinton al meeting annuale del FMI e della BM del 1999[28]. In questa fase, Menem propose addirittura di rinforzare il tasso di cambio fisso mediante la completa dollarizzazione.

 

Allo stesso tempo, le province in rovina mostrarono segni di sfinimento per le politiche neoliberiste. I disoccupati piqueteros cominciarono i loro blocchi stradali, col supporto della CTA e dei gruppi radicali come la Corrente Clasista Combativa. Di fronte a un crescente scontento popolare, le amministrazioni provinciali – guidate da Buenos Aires – aumentarono leggermente l’occupazione nel settore pubblico, che salì da 1.223.000 nel 1996 a 1.318.000 nel 1999, invece di iniziare i licenziamenti richiesti dal governo federale.

 

Il ritorno dei Radicali

 

Il sostegno a Menem cominciava a franare. Il partito Giustizialista era scosso da conflitti regionali interni, che contrapponevano il presidente al suo erede più prossimo, Edoardo Duhalde (vice-presidente agli inizi degli anni Novanta e quindi governatore di Buenos Aires). Menem sondò il terreno per un’ulteriore riforma costituzionale che gli permettesse di concorrere per un terzo mandato presidenziale ma trovò poco sostegno; antiche accuse di corruzione e di abuso di autorità sempre più gli venivano rivolte. Nell’ottobre del 97, preavvertendo l’esaurimento del menemismo, i Radicali, il più antico partito argentino, si unirono con il FREPASO - uno dei più giovani - per formare la Alianza. Il FREPASO era in se stesso una coalizione di gruppi di centro sinistra e, come i Radicali, prevalentemente composto da middle class. Il suo bacino elettorale si trovava prevalentemente nella città di Buenos Aires. Il suo leader Carlos Chacho Alvarez era un insegnante e un ex peronista, che aveva lasciato i giustizialisti nel 93 per protesta contro la decentralizzazione della scuola e le privatizzazioni. Benché uniti contro Menem, i radicali favorevoli al libero mercato e i frepasistas progressisti erano assai divisi. Alvarez, un abile oratore teneva conferenze contro la globalizzazione, mentre un’altra figura importante, Graciela Fernandez Meijide, difendeva posizioni protezioniste – un’eresia per i radicali.

 

Fernando De La Rua, il capo del partito Alianza, era conosciuto come un conciliatore e un acchiappavoti piuttosto che come un uomo dai saldi principi. Vecchio radicale, proveniente da Cordoba, egli godeva di buone credenziali in tutta la nazione e poteva aspettarsi un forte sostegno dalle province in caso di elezioni. Egli, in quel momento, era in carica come sindaco della neofondata Città Autonoma di Buenos Aires dove la sua immagine senza macchia (anche se poco spettacolare) prometteva comunque la vittoria contro i peronisti divisi al loro interno. Egli era considerato sicuro, convinto e inattaccabile dalla corruzione.

 

De La Rua e il suo compare Alvarez, affrontarono aggressivamente il cartello peronista capitanato da Duhalde, nelle elezioni presidenziali dell'ottobre 1999. Consigliata da Dick Morris del governo statunitense di Clinton, la campagna elettorale dell'Alianza fraintese la crisi che il paese stava affrontando e offrì un programma politico di moderato liberismo e di onestà, con vaghe promesse di migliorare il sistema educativo e sanitario. Sotto la direzione di Morris, De La Rua evidenziò la sua personale reputazione di uomo affidabile e sicuro, dichiarando che egli era "orgoglioso di essere noioso". Al Ministero dell'Economia, Josè Luis Machinea, capo della Banca Centrale sotto Alfonsin e uno dei membri più influenti del governo di De La Rua, era un forte sostenitore della legge di convertibilità (torneremo più avanti sulla questione di quanto lontano i frepasistas sarebbero andati lungo questa strada). Machinea apprezzava le proposte di dollarizzazione[29] che Menem aveva avanzato ma sosteneva che ciò avrebbe richiesto preliminari "riforme strutturali" per eliminare il deficit statale e liberalizzare il mercato del lavoro[30]. Tuttavia lo spazio di manovra si stava restringendo velocemente. Le entrate statali stavano calando insieme con la domanda aggregata e i consumi, mentre il deficit statale cresceva. Aggiustamenti e tagli della spesa pubblica si susseguivano uno dietro l'altro mentre l'economia cadeva ulteriormente verso il basso.

 

I giustizialisti erano divisi. In quanto bonaerense, Duhalde godeva di poco sostegno dai governatori provinciali peronisti (e di nessun sostegno da parte di Menem). Sotto sotto egli lasciava intendere di voler svalutare il peso e addirittura di non volere pagare il debito con l'estero - cosa che lo portò all'accusa di voler solamente ricompensare le sue clientele della Grande Buenos Aires, cioè gli industriali e i sindacati che avrebbero beneficiato di della diminuzione delle importazioni dovuta ad un'eventuale perdita di valore della moneta locale. I peronisti non riuscirono mai a superare l'opposizione pubblica all'abbandono della legge di convertibilità - mentre Menem continuava a sostenere la dollarizzazione.

 

La seguente vittoria di misura dell'Allianza nel dicembre 1999 rifletteva le divisioni nel campo peronista piuttosto che un effettivo sostegno popolare a De La Rua; i peronisti conservavano una forte maggioranza nel Parlamento e nelle province. Il solo scopo del nuovo governo era quello di attrarre più investimenti stranieri al fine di ripagare il fabbisogno del debito statale, aggravando però, al tempo stesso, il problema della futura restituzione dei nuovi prestiti. Secondo Machinea, ciò significava sia sostenere la debolezza del cambio fisso e sia rinserrare il deficit fiscale benché esso fosse solo un modesto 2,4% del PIL. I tentativi dell'amministrazione di ridurre i fondi alle province furono ostacolati dai governatori peronisti e dal Parlamento col risultato di una sconfitta politica. Le tasse furono aumentate e i tagli imposti, ma il risparmio per le finanze statali - in totale il 2% del PIL - fu reso insignificante dall'incremento del servizio del debito cioè il pagamento degli interessi sul debito. Non vi erano ancora segni di ripresa. Misure di flessibilizzazione - inclusa l'abolizione della contrattazione collettiva centralizzata e la fine dei contributi versati dai datori di lavoro ai fondi sanitari gestiti dai sindacati - incontrarono altre resistenze in Parlamento. Circolavano articoli sui tentativi del governo di corrompere senatori peronisti per sostenere tali misure. Alvarez rassegnò le dimissioni da vice presidente dopo essere rimasto in carica per soli 9 mesi. Dell'Alianza restava ormai soltanto il nome.

 

Dopo la bolla

 

Il tempo era scaduto. Dall'aprile del 2000 la caduta della borsa di Wall Street segnava la fine del boom economico americano e l'inizio di un grave peggioramento nell'economia mondiale. I capitali iniziavano a fuggire dal paese in seguito alle previsioni catastrofiche di un prossimo "brusco atterraggio" dell'Argentina. Il deficit peggiorava nonostante i tagli alla spesa. Nel novembre del 2000, l'insolvenza sul debito era ormai vicina. Il governo si rivolse al FMI per ottenere prestiti di emergenza. Il FMI fissò condizioni di austerità fiscale draconiane. Se tali condizioni fossero state soddisfatte, un enorme prestito di circa 40 mld di dollari sarebbe stato reso disponibile per alimentare il sistema della convertibilità valutaria.

 

La severa riduzione domandata dal FMI non fece altro che accentuare gli effetti negativi della deflazione, peggiorando la recessione, accelerando la fuga di capitali e aumentando la probabilità di un'eventuale insolvenza. Il fatto di imporre al debole governo De La Rua di combattere la spesa pubblica nelle roccaforti provinciali peroniste servì solo ad esacerbare i rischi di un tracollo politico. Alla disperata ricerca di tagli alla spesa il governo aumentò l'età di pensionamento delle donne e ridusse la pensione minima statale. Un programma di lavori pubblici per ridurre la disoccupazione e ravvivare i consumi, annunciato all'inizio del 2001, abortì prima di nascere. Machinea si dimise all'inizio di marzo non essendo riuscito ad ottenere ulteriori riduzioni. Riccardo Lopez Murphy, l'economista neoliberista che lo rimpiazzò, puntualmente dichiarò guerra al welfare locale e ai programmi per l'occupazione ma si scontrò con un solido fronte di opposizione da parte dei governatori peronisti di Buenos Aires, Cordoba e Santa Fè. Lopez Murphy si rivolse allora all'istruzione superiore, sperando senza dubbio di trovare un bersaglio più arrendevole, ma incontrò ben presto la furia collettiva degli studenti universitari. Tre settimane dopo si dimise.

 

De La Rua allora richiamò Cavallo, il precedente Ministro delle Finanze di Menem, il quale - dopo un iniziale colpetto di tagli alle tasse - provò a realizzare il vecchio progetto di austerità fiscale mediante tasse più alte e riduzione delle spese. In giugno, egli cercava di negoziare una dilazione sui pagamenti degli interessi del debito estero attraverso un mega swap (uno scambio fra debiti a breve termine di scadenza con debiti a lungo termine con l'ovvia aggiunta di interessi [N.d.T.]). In un celato tentativo di svalutare il peso, Cavallo propose di rifissare il livello della convertibilità ad un tasso basato su un paniere di valute europee di valore inferiore al dollaro; questo fu chiaramente svelato e rigettato dal Parlamento. Nel luglio i radicali impedirono un ulteriore taglio alle pensioni.

 

I risparmiatori iniziavano a svuotare i loro conti bancari e le loro cassette di sicurezza e De La Rua appariva rassegnato alla catastrofe: "darò la mia vita nella battaglia", prometteva solennemente nel luglio del 2001; "non svaluterò mai". Il FMI ora domandava che il governo raggiungesse il pareggio di bilancio come condizione per un ulteriore prestito di 8 mld di dollari; il FMI voleva colpire l'aumento dell'occupazione pubblica nelle province - cresciuta di 35.000 unità tra il 1999 e il 2000, secondo le "stime" del FMI - in quanto grande "problema fiscale" e sintomo di ringonfiamento del settore pubblico. Nell'ottobre 2001 le elezioni di medio termine rivelavano il disorientamento e la disillusione dell'elettorato. I voti dell'Alianza crollarono; quelli dei peronisti aumentarono (portando Duhalde al Senato) ma il maggior salto fu quello dei 4 milioni di persone che annullarono la propria scheda[31]. I prelievi dai depositi bancari raggiunsero 500 milioni di dollari al giorno alla fine di novembre e la cifra stupefacente di 1 mld al giorno all'inizio di dicembre. Fu in queste circostanze che Cavallo istituì il corralito. Il sostegno a De La Rua svanì completamente. La difesa della legge di convertibilità non era più possibile. La rivolta popolare del dicembre 2001 ha visto così la fuga di De La Rua, la svalutazione monetaria e la storica, gigantesca, insolvenza sul debito.

 

Quale bilancio si può trarre dal lungo decennio argentino di neoliberismo? Le promesse di una nuova economia fondata sui capitali stranieri si sono chiaramente dimostrate un miraggio. La disoccupazione è aumentata e il settore delle esportazioni ad alto valore aggiunto non si è materializzato. Le privatizzazioni, in parte a causa della struttura oligopolistica delle grandi imprese nazionali, non hanno portato maggiore efficienza - e, come anche il Financial Times notava, l'Argentina è rimasta uno dei paesi più costosi al mondo per fare degli affari. Si pensava che il deficit sarebbe sparito insieme alla fine dei sussidi statali alle industrie pubbliche; invece esso è stato rigonfiato dal crescente costo del debito estero. Il sistema di convertibilità del peso ha esasperato drammaticamente questi problemi attraverso i suoi effetti deleteri sulle esportazioni e sul deficit commerciale. Mentre gli assi portanti delle politiche economiche volute dagli USA hanno prodotto disoccupazione e miseria a livello regionale e crescente disuguaglianza, è stato proprio il tasso di cambio fisso che, insieme al dollaro in ascesa, a fornire il colpo di grazia alla profonda crisi argentina.

 

Il FMI ha sostenuto il tasso di cambio fisso mediante decine di miliardi di dollari fino alla fine amara. Esso ancora sostiene che la causa profonda della crisi sia stata la cattiva gestione delle finanze pubbliche e che l'insufficiente flessibilità del mercato del lavoro sia alla base dei problemi monetari. Il FMI si è sentito particolarmente oltraggiato da recenti decisioni del Parlamento che hanno esteso le garanzie per i debitori insolventi sui loro beni (casa, automobile); che hanno rimesso in vigore i pagamenti delle imprese ai fondi pensionistici gestiti dai sindacati; affermando che i capi delle banche straniere dovevano essere responsabili dei nuovi depositi nelle loro filiali argentine.

 

Non è ancora chiaro quale sarà il contenuto dei prossimi accordi con il FMI. Fornirà esso risorse reali per rivitalizzare l'economia, oppure si limiterà a collocare l'Argentina in una sorta di "sala d'aspetto" in cui la debole crescita economica, i tassi di interesse elevati e un insostenibile peso del debito porteranno il paese a zoppicare da una crisi all'altra? L'Argentina farebbe mrglio a seguire un'alternativa non dettata dal FMI. La crisi dell'ultimo anno ha già alterato le coordinate dell'economia. Un'effettiva svalutazione, circa del 72%, ha reso le esportazioni ben più competitive e, insieme al collasso delle importazioni, ha accresciuto il suo peso[32] sull'economia totale dall'11,5% al 37%. Come risultato vi è ora un surplus delle partite correnti ossia un attivo delle esportazioni sulle importazioni. Potrà l'Argentina intraprendere il suo cammino verso la ripresa, cioè dichiarare una moratoria sul debito, istituire un ampio programma di lavori pubblici, lavorare direttamente con le banche private brasiliane per predisporre, ad esempio, strumenti di credito che permetterebbero alle esportazioni di espandersi ancora più rapidamente?

 

Nel luglio 2002, Duhalde, in crisi di popolarità, ha dichiarato che il paese ha bisogno di un leader eletto e non provvisorio e ha annunciato che partecipaerà alle prossime elezioni presidenziali nel marzo del 2003. I peronisti attualmente litigano su chi dovrà succedergli. Menem ha tentato ancora un altro ritorno in grande stile ma si è scontrato con un tale torrente di accuse che è stato costretto a ritirarsi. Carlos Reutemann, governatore di Santa Fè e vecchio campione di Formula 1, ha ben presto declinato l'invito a concorrere ma potrebbe ripensarci nel caso il FMI lo sostenesse. Il governatore di Cordoba, Manuel Josè De La Sota, si è nel frattempo proposto come candidato.

 

La parlamentare radicale dissidente, Elisa Carriò, è emersa come leader della sinistra alternativa, essendosi guadagnata una reputazione come nemica della corruzione. Come Leandro Alem, il quale salì alla ribalta durante la crisi Baring, la Carriò è riuscita a circondarsi di un'aura di trascendente integrità. I sondaggi di opinione nella primavera del 2002 hanno mostrato che lei è la più popolare politica del paese - il possibile capo di un movimento di massa comparabile al radicalismo di un secolo fa. Se considerassero tale paragone più da vicino, i seguaci della Carriò non potrebbero desiderare un esatto replay degli eventi del 1890. I Radicali allora vennero defraudati nelle elezioni e ci vollero altri 26 anni per arrivare al potere. Alem si dimostrò un brillante oratore ma debole come leader; la sua carriera finì nel suicidio. L'onestà da sola può ancora una volta dimostrarsi insufficiente per trovare una via di uscita dall'abisso. Ma come passo preliminare sembra essenziale oggi per gli argentini comprendere come, nel corso degli anni Novanta, siano stati spinti in quel profondo abisso.

 

[1] Per debito statale si intende la massa complessiva di obbligazioni e prestiti con cui lo Stato raccoglie denaro dai privati; per deficit si intende l'incremento annuo di tale debito [N.d.T.].

[2] In alcune parti della Grande Buenos Aires i sussidi sono caduti in mano a organizzazioni non governative controllate direttamente da partiti politici o da gruppi piqueteri. Vedi La Nacion, 2 aprile 2002

[3] The Economist, 14 giugno 1997

[4] Il caudillio è una sorta di capo carismatico e politico [N.d.T.]

[5] Abitanti a Buenos Aires [N.d.T.]

[6] Latino America Press, 25 maggio 1989

[7] See Felipe de la Balze, Remaking the Argentine Economy, New York 1995; Robert Solomon, Money on the Move. The Revolution in International Finance since 1980, Princeton 1999, p. 45; on trade unions, see María Victoria Murillo, ‘Union Politics, Market-Oriented Reforms, and the Reshaping of Argentine Corporatism’, in Douglas Chalmers et al., eds, The New Politics of Inequality in Latin America, New York 1997.

[8] I sostanza ottenevano nuovi prestiti dalle banche [N.d.T.].

[9] World Bank, Argentina. From insolvency to growth, Washington DC, 1993 pag.128.

[10] E' l'inflazione che si genera a causa dell'elevato debito pubblico che comporta tasse più alte, e quindi rincari generalizzati e al tempo stesso, se il debito è particolarmente ingente rispetto al PIL, il rischio di insolvenza provoca interessi maggiorati sul debito che lo Stato ha nei confronti dei suoi creditori: una spirale che genera inflazione [N.d.T.].

[11] Luigi Manzetti, Privatization South American Style, London 1999, p. 93.

[12] World Bank, Argentina, 1993, p. xii; see also William Smith, ‘Hyperinflation, Macroeconomic Instability, and Neoliberal Restructuring in Democratic Argentina’, in E. Epstein, ed., The New Argentine Democracy, Westport 1992, p. 57. For a favourable view: World Bank, Argentina’s Privatization Program, Washington, DC 1993.

[13] ECLAC, Economic Survey of Latin America and the Caribbean 1994, p. 131.

[14] Mentre la tassazione diretta (in Italia l'IRPEF) colpisce i redditi in maniera sostanzialmente progressiva, la tassazione indiretta (p.es., in Italia l'IVA) incide sui consumi in modo indiscriminato, e quindi va a pesare maggiormente sul reddito delle classi meno agiate [N.d.T.].

[15] Página 12, 11 gennaio 1999 mostra le seguenti cifre del reddito procapite per il 20% più povero della popolazione: USA $6000; Gran Buenos Aires $864; Bangladesh $613; Corrientes $510; Salta $468; Nepal $464; Jujuy $400. Per le province, vedi Alejandro Rofman, ‘Las economías regionales: un proceso de decadencia estructural’, in Bustos, ed., Estabilidad, pp. 159–89.

[16] Kosacoff, ‘Industria’, p. 109; ECLAC, Economic Survey of Latin America and the Caribbean 1996, Santiago 1997, p. 72. For a sceptical view, see Atilio Borón, ‘Argentina’s Neoliberal Reforms’, in Leslie Armijo, ed., Conversations on Democratization and Economic Reform, Los Angeles 1994, p. 244.

[17] Il Gold Standard nasce verso il 1870: tutte le monete che fanno riferimento all'oro fissano una parità aurea (in grammi di oro) che poi le banche centrali si impegnano a rispettare. La detenzione di riserve in oro è quindi fondamentale per poter rispettare le parità. Il sistema di parità aurea funziona sostanzialmente in modo corretto fino alla prima guerra mondiale quando viene sospeso e vari tentativi di restaurarlo negli anni Venti falliscono con la Grande Depressione [N.d.T.].

[18] The 1991 measure fell short of ‘dollarization’ by allowing a national currency—just as the gold standard did not require an exclusive use of gold coins. This one-step-below dollarization allowed the investment of dollar reserves, yielding the revenue known as seignorage. See also Alec Ford, The Gold Standard 1880–1914: Britain and Argentina, Oxford 1962.

[19] Nissan Leviatan, ed., Proceedings of a Conference on Currency Substitution and Currency Boards, World Bank Discussion Papers 207, Washington, DC 1993, p. 9.

[20] Juan Carlos Torre, 24 July 2002 (personal communication).

[21] ECLAC, Economic Survey 1994, p. 68.

[22] Balze, Remaking the Argentine Economy, p. 109; Murillo, Labor Unions, pp. 131, 170. Nel settembre del 2002 il FMI sta ancora aspettando le misure di flexibilizacion che egli considera adeguato.

[23] Jeremy Adelman, ‘Post-Peronist Argentina’, NLR I/203, January–February 1994.

[24] Nel 2002, 1.36 milioni di impiegati lavoravano nelle amministrazioni provinciali e nazionali (Buenos Aires Herald, 31 May 2002). Javier Auyero, Poor People’s Politics: Peronist Survival Networks and the Legacy of Evita, Durham, NC 2000; Steven Levitsky, ‘Organization and Labor-based Party Adaptation. The Transformation of Argentine Peronism in Comparative Perspective’, World Politics 54 (October 2001), pp. 21–56.

[25] Mark Weisbrot and Dean Baker, ‘When “Good Parents” Go Bad: The IMF in Argentina’, Centre for Economic and Policy Research, Washington, DC April 2002.

[26] Manzetti, Privatization South American Style, p. 85; Geisa Maria Rocha, ‘Neo-Dependency in Brazil’, NLR 16, July–August 2002.

[27] Uno Stato detiene un surplus del budget primario quando le sue entrate sono maggiori delle uscite senza però considerare la spesa per gli interessi sul debito pubblico [N.d.T.]

[28] See IMF Deputy Managing Director Anne Krueger’s address of 17 July 2002, ‘Crisis Prevention and Resolution: Lessons from Argentina’, at: www.imf.org/np/speeches/2002/071702.htm

[29] Si tratta della sostituzione pura e semplice della moneta nazionale (ritenuta poco affidabile dagli investitori stranieri e dalla borghesia locale) con il dollaro statunitense [N.d.T.].

[30] Financial Times, 12 March 1999.

[31] I non votanti rischiano delle sanzioni secondo la legge argentina.

[32] Si tratta del rapporto matematico esportazioni/PIL [N.d.T.]