I
tempi della "guerriglia"
Questo
il titolo di un articolo apparso
su «Le Monde» del 4 aprile 1970.
L'autore
scrive che la guerriglia «è
ormai uscita dai suoi teatri di operazione
tradizionali: Indocina,
Medio Oriente, e America Latina» e che si sta
progressivamente estendendo in tutto il mondo. Si cita quindi il «delitto
collettivo, prodromo della guerriglia urbana»,
lamentato dal rettore di Nanterre,
gli attentati di New York e di altre
città statunitensi, le «ondate terroristiche» in Italia, gli scontri
cruenti in Irlanda, e infine «lo strano attentato
compiuto nel gennaio 1969
contro
un'automobile ufficiale davanti al Cremlino».
La risposta, prosegue l'articolo,
non può essere la repressione brutale, ma deve essere l'eliminazione delle
cause del fenomeno. Quindi: riforme generalizzate, all'interno dei singoli
paesi e nell'ambito della politica internazionale.
Da
allora «Le Monde» dedica una pagina
giornaliera a «L'agitazione e il mantenimento dell'ordine pubblico» in Francia.
Evidentemente
tra il dire e il fare c'è di
mezzo il mare: quel mare delle irrisolvibili
contraddizioni capital-imperialistiche
nel quale sembrano ormai
muoversi
come pesci nel loro elemento tutti
coloro, in ogni parte del mondo, che hanno risolutamente deciso di combattere
e sconfiggere
il capitale imperialistico
e il socialimperialismo.
Di
fronte ai primi embrioni di guerriglia
che si sta sviluppando nell'area metropolitana,
negli Stati
Uniti, in Giappone,
in Europa, dobbiamo così porci
un primo problema: si tratta di atti «estremistici», disperati, «avventuristi»,
romantica reazione a una sconfitta
politica, o non piuttosto delle prime avvisaglie di una strategia di
lotta che, attraverso la fase della guerra di guerriglia,
della «guerriglia fredda» preluda
alla guerra di popolo?
Una
prima risposta ci viene dalle lotte che i compagni francesi della
«Gauche
Proletarienne» (GP)
e del gruppo
maoista «Vive
la revolution» (VLR)
hanno scatenato e sostenuto il 27
e
28
maggio
a Parigi.
Occasione
di queste lotte è stato il tentativo della borghesia francese di trasformare
il processo a Le Dantec e
Le Bris, ex-direttori incriminati del giornale
«La cause du peuple» portavoce
della GP, in un processo 'esemplare' che colpisse al cuore tutta la sinistra
rivoluzionaria francese.
Ma
il gioco non è riuscito e il vero processo,
contrariamente alle previsioni
di Marcellin, non si
è fatto
nella piccola sala
del Tribunale gremita di poliziotti,
ma si è fatto altrove: nella strada!
E
questo processo, non poteva che farsi
nella strada -
come
hanno detto i
compagni della GP, usciti ancora con il
ventiquattresimo numero del
loro
giornale nonostante la dissoluzione
decretata dalle
classi dominanti -
perchè
un tribunale
borghese coi suoi magistrati,
i suoi procuratori e i suoi poliziotti non può capire quale è l'origine
ed il verso della violenza reazionaria, della violenza esercitata
sistematicamente sulle masse lavoratrici.
Così,
nell'aula del tribunale La Dantec
e Le Bris giocavano il loro ruolo scambiando
le parti ed ergendosi ad accusatori
«...nel nostro paese esiste un
pugno di criminali che possiede il potere, dunque la polizia, l'esercito, i mezzi
di espressione, la legalità. E questa
banda che sfrutta senza vergogna le
masse popolari; che non indietreggia davanti all'assassinio, tenta di far
passare chiunque si
rivolti al loro volere per
dei criminali...» ed ancora «...
A popolo si
rivolta ed oppone alla violenza reazionaria
la violenza rivoluzionaria, mentre l'una tende ad asservire, l'altra
porta con se la libertà, ed è dunque sempre giusta... ».
Contemporaneamente a Censier, alle Beaux Arts alla facoltà
di scienze e al Quartiere Latino migliaia
di giovani compagni conducevano
lottando il loro processo al «terrorismo
borghese» mettendo sotto accusa
l'intero regime.
Ecco
il commento di un giovane operaio
a conclusione della lotta: «E'
morta
la paura che impediva ad alcuni di
noi di manifestare, morte sono anche le
idee di capitolazione che si è tentato di
farci adottare. Ieri, oggi noi abbiamo
fatto di più che manifestare contro un
processo scandaloso; noi abbiamo distrutto
il mito della polizia onnipotente,
noi abbiamo sviluppato lo spirito
della resistenza e
questo
nessuno ormai,
potrà più togliercelo».
La
tendenza generale è verso la rivoluzione.
E'
forse la lotta del 27
e del 28 maggio
un'espressione isolata di maniaci «spaccatutto» che tutto spaccano per il
solo gusto di spaccare?
No.
Essa è «una lotta nuova, un'arte nuova della lotta» che fa dell'occupazione
militare e della presa di parola nella strada, della violenza di massa
contro i simboli dell'opulenza dei ricchi
e dello sfruttamento del popolo, un
momento importante nel processo di liberazione del proletariato metropolitano.
E'
forse la lotta del 27
e del 28 maggio
un'esplosione senza storia, una violenza senza ragione?
No.
Essa si inserisce nel mosaico della
rivoluzione che il popolo francese,
a partire dal maggio 68
sta
costruendo.
Attraverso
Nanterre,
in cui
studenti e operai
rivoluzionari si battono insieme contro l'apparato repressivo dello stato
borghese, il riformismo ipocrita e
cadente del P«c»F e contro le organizzazioni
opportunistiche e legalitarie neorevisioniste.
Attraverso
Vallourec,
con
l'attacco
operaio
alla legalità dello sfruttamento, l'occupazione
della fabbrica, il sequestro del padrone e di alcuni dirigenti e l'appoggio
di tutto il paese agli scioperanti
e alla loro azione; attraverso Dunkerque
e la
rivolta di massa che ha vendicato gli assassini «legali» riconsiderando
e finalmente ancora utilizzando
«la possente arma del sabotaggio».
Attraverso
Bordeaux
e Grenoble
con
la lotta
dei piccoli contadini e dei piccoli
commercianti minacciati di rovina dalla
borghesia, che non lasciano «il vecchio
mondo» senza prima esprimere,
occupando la prefettura e battendosi nelle strade ciò che essi ne
pensano delle sue
leggi e della sua legalità.
Per
questo la lotta del 27
e
del 28 maggio
è una lotta importante per la sinistra proletaria europea. Importante in
due sensi:
-
perchè ci offre un
esempio di lotta violenta di massa, sulla quale è necessario aprire un
dibattito intorno ai temi
della «guerriglia fredda», della
guerriglia «calda», della guerra di popolo,
così come sul rapporto tra organizzazione rivoluzionaria e violenza di
massa nell'area metropolitana;
-
perchè ci educa a
considerare con maggiore attenzione critica i rischi
e i limiti
dell'azione
partigiana slegata, o legata
solo meccanicamente, all'obiettivo più generale e fondamentale costituito dallo
sviluppo dell'autonomia proletaria.
Per
questo, nonostante i limiti emersi
nell'impostazione generale data dalla GP al rapporto fra organizzazione rivoluzionaria
e movimenti di massa e al rapporto fra azioni
partigiane e
crescita
politica, organizzata, dell'autonomia proletaria,
la lotta del 27 e
del 28 maggio
è stata una lotta tutta interna alla
tendenza
principale che
è oggi, nel mondo,
come ha indicato nella sua ultima
dichiarazione il presidente Mao, quella della rivoluzione. L'iniziativa
storica ritorna nelle mani del proletariato e
un vento
di rivolta si
va propagando
in tutta la
Francia!
da
Sinistra Proletaria
luglio
1970
Per
la resistenza, contro la capitolazione (Gauche Proletarienne)
«Per
la resistenza contro la capitolazione
» è comparso sul secondo numero dei
«Cahiers de la Gauche Proletarienne».
Per
l'unità contro la divisione
Ecco
è arrivata, come ammettono gli
stessi borghesi, l'ora della guerriglia.
I giovani e anche chi non lo è più; coloro
senza i quali il capitale non può vivere:
gli operai; quelli a cui il capitale
promette un avvenire: gli studenti; quelli a cui il capitale rifiuta questo avvenire:
i piccoli contadini, i commercianti,
gli artigiani, tutti sono entrati in
azione dopo il maggio 68.
E
quest'azione
prende la forma della guerriglia. Una guerriglia senza spargimento
di sangue, una guerriglia «fredda», ma
tuttavia micidiale. Questa guerriglia
uccide per ora solo dei miti: il mito
dello Stato forte, il mito della pace sociale che è tutta la forza dello Stato.
Ciò che la guerriglia distrugge è l'autorità dello Stato monopolista.
Perchè sequestrare un
padrone, un capo del personale, un ministro significa minare
l'autorità dello Stato. Perchè bloccare
delle strade, delle autostrade o la produzione
capitalistica in una fabbrica significa minare l'autorità dello Stato.
Perchè sabotare la
produzione,
la circolazione delle merci, il pagamento delle
tasse significa minare l'autorità dello Stato. Significa minare l'autorità
dello Stato, perchè vuol dire infrangere
la legalità della classe al potere.
Le
classi dominanti, spogliate della loro
dignità e del loro prestigio politico,
dimostrano tutta la loro debolezza.
E la forza attuale delle classi popolari
sta tutta nella loro audacia. Ciò che
era inconcepibile solo due anni fa, ora
è diventato una prassi di massa. Chi
avrebbe mai creduto che i commercianti potessero contestare l'ordine
sociale fino a questo punto? Chi avrebbe mai creduto che decine di migliaia di
lavoratori immigrati, stranieri in questo paese ma che ne creano la sua ricchezza,
si sarebbero schierati nelle prime
linee della lotta per l'emancipazione?
Chi avrebbe immaginato la ricchezza
delle forme di lotta di fabbrica?
Oggi piccoli gruppi di partigiani
che parlano in nome delle grandi masse
sorgono dappertutto, inferiscono
gravi colpi al nemico e colpendo i
responsabili della miseria e dell'oppressione
minano i fondamenti stessi del regime.
Una
cosa è certa per chi condivide la speranza
popolare: la situazione è eccellente.
I.
- Oggi,
la resistenza
Il
nuovo nasce dal vecchio: in ogni strato popolare che oggi si organizza per
resistere allo Stato monopolista repressivo, si scontrano due linee. Vediamo
le cose in dettaglio.
Nel
movimento operaio ogni iniziativa
rivoluzionaria nuova si conquista attraverso
una lotta dura contro il sindacalismo
e la sua forza repressiva specifica:
la polizia sindacale. La guerriglia
nell'officina in tutte le sue forme: taglio
dei tempi, rivolta contro i capetti,
trasformazione dell'atmosfera di schiavitù nella fabbrica, azione
diretta per imporre la
trasformazione di tutte le
condizioni di lavoro che permettono al
capitale lo sfruttamento e l'abbrutimento
dell'operaio.
Questa
guerriglia incontra la feroce opposizione
del sindacalismo, che tenta
di spaccare il movimento o di deviarlo o infine, come ultima difesa, di
attaccarlo. Le capacità di repressione del sindacalismo
sono ancora molto grandi: da
una parte perchè si appoggia sulle vecchie
idee radicate nella testa dell'operaio,
soprattutto se costui ha esperienza
sindacale e
dall'altra perchè si appoggia
su una polizia speciale, molto centralizzata
come si addice ad ogni polizia
di uno stato centralizzato imperialista;
questa polizia detiene ancora un
potente monopolio dell'informazione
a livello di reparti e di fabbriche; inoltre, come tutte le polizie,
colpisce, calunnia e
intimidisce. Infatti bisogna tener ben conto delle capacità tattiche di
repressione di questa polizia.
Ogni
conquista degli operai rivoluzionari
si guadagna duramente: bisogna
mantenere l'autonomia del movimento
di resistenza nella fabbrica e quindi
lottare contro la repressione con la
violenza, ma anche contro la repressione
con l'inganno: per
mantenersi ai posti di comando, i capi sindacalisti sono
persino disposti a tollerare delle forme
'dure' non solo l'occupazione, cosa
che è semplice poichè basta che sia
burocratica per perdere la sua sostanza
rivoluzionaria, ma anche il sequestro,
come si è visto a Pennaroya nell'Ardèche.
Sequestro che essi tentano
di svuotare dei suoi contenuti illegali,
rivoluzionari.
Quindi,
contro il sindacalismo, bisogna
mantenere la linea della resistenza proletaria. E contro il sindacalismo bisogna
allargare la resistenza, ossia bisogna
realizzare l'unità popolare partendo
dalla fabbrica. Per esempio il sostegno reciproco degli operai e dei piccoli
commercianti contro il capitale commerciale
o direttamente contro lo Stato;
per esempio il sostegno reciproco degli operai e dei contadini come in Bretagna.
Ad esempio ancora il sostegno
reciproco tra operai e studenti come
a Nanterre. Per la resistenza contro la
capitolazione; per l'unità contro la divisione,
due vie, due linee si scontrano
nel movimento operaio.
Anche
nel movimento studentesco si scontrano due linee, due vie. Lo si è ben visto a
Nanterre. Da una parte la resistenza,
dall'altra la capitolazione. L'oppressione
universitaria è un aspetto
dell'oppressione borghese. E quindi la
resistenza alle autorità universitarie è
una componente della resistenza popolare. Perciò all'interno
dell'Università
bisogna resistere ed estendere tale resistenza.
Tuttavia è una forza che trova
nei trotzckisti la sua punta avanzata che rifiuta questa via.. Gli scontri di
Nanterre ne sono la cartina
di tornasole.
Da mesi alcuni si sforzavano di
lanciare degli «scioperi di massa» alla
maniera de l'UNEF-Renouveau. Degli
scioperi (come lo sciopero contro l'abrogazione
della seconda lingua) venivano protratti ad oltranza rivelando il loro
carattere «egoista» e reazionario
che giustamente non risvegliava nelle
masse alcuna eco.
Che
la «seconda lingua» possa essere
un punto di partenza, passi. Ma che la
conduzione dello sciopero mantenga le
caratteristiche piccolo-borghesi del
movimento
sino alla fine non può che significare
una cosa: il rifiuto di «continuare
il maggio», di sviluppare la resistenza
contro l'oppressione nell'università,
la scelta della via della capitolazione,
quella dell'UNEF-Renouveau, del revisionismo.
È
in questo contesto che scoppia Nanterre.
Nanterre riconduce alle sue giuste
proporzioni queste «non-azioni di
massa»: cioè a ben poco per quanto riguarda
le prospettive rivoluzionarie.
Nanterre
radicalizza le due vie, le due linee: da una parte ci
sono
coloro che
si battono contro tutti gli assalti della
reazione (autorità universitarie, fascisti,
social-fascisti e infine, ultima risorsa la polizia); dall'altra coloro
che hanno deciso di
essere di fatto l'ultima e «nuova» difesa della reazione: i capitolardi,
i liquidatori del movimento di
massa. Perchè dopo gli scontri una «polizia»
di nuovo tipo ha voluto occupare il campus, contro la sinistra rivoluzionaria
studentesca: la polizia dei gruppetti,
di cui la punta di lancia è costituita dai
trotskisti (riconciliatisi
sembra, per l'occasione). Il meeting organizzato
da Matignon, tenuto dalla direzione dell'UNEF e dai trotskisti ha questo
significato. Si trattava di impedire
che la guerriglia studentesca si
radicalizzasse
e si estendesse. I
liquidatori di massa hanno una tesi: quella dell'«azione
di massa» per giustificarsi,
come il revisionismo a cui si ispirino.
Si tratterebbe, secondo loro, di rifiutare le «azioni minoritarie» che isolano
dall'opinione dei lavoratori. Ma ecco:
Nanterre non è stata una «azione
minoritaria», ma un'azione di massa illegale, dal carattere partigiano,
e questo non ci ha
isolati dagli operai, come
si può verificare andando a Renault-Billancourt,
Flins, Cléon, Sochaux, nelle miniere o ai centri degli immigrati.
Perciò anche nel movimento della gioventù
intellettuale si scontrano due
vie, due linee: per la resistenza e
l'unione da una parte; per la capitolazione
e la divisione dall'altra.
II.
-
Dopo
il maggio
1968, la Resistenza.
Da
dove vengono questi rivoluzionari
proletari? In questo numero dei Cahiers,
tentiamo di dare un'immagine della politica della sinistra proletaria,
così come si sviluppa partendo dai movimenti di massa. Da dove viene la
sinistra? Come si fa, partendo dalle forme
di resistenza delle masse, a costruire
l'organizzazione proletaria che vuole
unificare questa resistenza?
La
sinistra proletaria nasce a Flins, nel
1968. Ricordiamoci della congiuntura di allora. Gaullismo e revisionismo lanciavano
la loro controffensiva unita contro
il movimento popolare: Grenelle
e la farsa elettorale erano i due strumenti
di questo attacco. Tutte le forze sociali
liberate dalla rivolta della gioventù
si fondevano con un lirismo magnifico,
ma equivoco, per partire all'assalto. All'assalto di un potere che esse non
potevano veramente prendere. Le masse
si battevano e certi politicanti volevano
intrufolarsi nel potere; a
Charlety hanno
proposto la loro candidatura;
ma oltre al gaullismo c'era
una sola
forza politica capace di mettersi
alla testa della lotta per la sostituzione
del potere borghese: il revisionismo.
Ora, nella congiuntura del maggio
1968 non poteva farlo. Quindi contro
lo slancio dell'autonomia popolare si
sono accostate
tra di loro le due forze fondamentali concorrenti per l'esercizio
del potere borghese, il gaullismo e il revisionismo.
Ecco
quello che succedeva nel giugno del
'68. La
questione che si poneva allora
era resistere a questa controffensiva
o capitolare.
Per
tutti coloro che nella lotta di massa
si stavano liberando dalle loro ultime
illusioni sul revisionismo, non poteva
che esserci una strada: la resistenza
proletaria. Bisognava appoggiarsi al movimento di massa per resistere alla
strategia gaullista-revisionista, per educare le masse, far loro conoscere i loro
amici e i loro nemici. La sinistra dei
marxisti-leninisti e la sinistra del 22 marzo
si unirono in questa resistenza. Nei
fatti era già nata la sinistra proletaria,
che si doveva costituire come tale dopo il maggio.
Per
contro, la via della capitolazione di
fronte al
revisionismo
andava concretizzandosi.
Dall'inizio di giugno i trotskisti
concentrarono i loro attacchi contro «quelli che vogliono andare sino
in fondo», ossia i partigiani della resistenza. Questi, secondo loro,
volevano condurre le
masse al massacro, all'avventura,
alla disfatta sanguinosa. Lo spauracchio
agitato dal P.C.F. era riuscito
a gettare nel panico quella gente: riprendeva
parola per parola gli argomenti revisionisti: non si doveva condurre
l'avanguardia all'avventura. Unico
cambiamento il vessillo di questa sedicente
avanguardia. Sedicente avanguardia
a tutti gli effetti: poiché nei fatti li si trovava alla retroguardia,
ben lontani dai fronti della resistenza proletaria.
Da
questo momento i trotskisti e quelli
che come loro si appoggiano su una dottrina completamente fossilizzata,
pretenziosamente «leninista» tentano
di mascherare l'opposizione ben reale
tra resistenza e capitolazione con un'opposizione immaginaria (ossia che esiste
solo nella loro testolina)
tra «spontaneismo
e organizzazione».
Se
non hanno voluto resistere in giugno
-
dicono
-
è
perchè, secondo l'esempio di Lenin, non credono che le masse «senza
avanguardia» possano prendere
il potere. Questo pensiero profondo
è servito loro da foglia di fico per
più di un anno. E la destra dei «marxisti-leninisti»
dirà la stessa cosa; ma
nel suo gergo speciale, penoso e lontano dal leninismo vivente quanto quello
dei trotzkisti.
Nel
giugno del '68 questi
schiamazzi erano
per fortuna coperti dall'eco potente
del movimento di resistenza a Flins,
Belleville, Sochaux. Ma alla fine del giugno '68 la
strategia gaullista-revisionista
segna la fine del movimento così
com'era partito in maggio. Allora la
destra si scatena. Per lunghi mesi occuperà la scena. Di fatto sfrutterà
la profonda confusione
che agita il movimento
rivoluzionario studentesco da quando s'é compiuta la tappa di maggio.
La
destra o fingerà di ignorare il significato
futuro della lotta del giugno '68
diagnosticando:
«una coda di movimento
nel quadro del riflusso generale
delle lotte», oppure attaccherà di forza
la resistenza di giugno. Questo sembra
inverosimile: tuttavia si è verificato durante l'estate e l'autunno del '68:
ci
furono degli individui sinistri con
la testa piena di Marcellinades che hanno attaccato la resistenza di Flins,
spiegando
che era una «avventura». Il
loro ragionamento era questo: in giugno
non vi era avanguardia, quindi mettersi
alla testa di una lotta violenta è
come voler condurre la lotta armata senza
Partito Comunista, è terrorismo, putschismo, avventurismo. La sinistra, contaminata
da questa
confusione, aspetta
troppo per contrattaccare la destra. All'inizio del settembre '68,
essa
si
costituisce e ingaggia allora una lotta a
oltranza contro i capitolardi. La sinistra
proletaria comincia a edificarsi autonomamente.
Dalla
sua nascita effettiva
nel
giugno '68 e
dalla sua nascita formale
in
quanto
organizzazione nel settembre '68,
la
sinistra
proletaria ha lottato contro una teoria
fossilizzata che dissimulava una prassi
capitolarda. L'unità di questa
teoria e di
questa prassi porta ormai un
nome: liquidazione. La prassi è la lotta contro la resistenza proletaria e le
sue forme come le masse le inventano progressivamente. Si riassume nella
seguente formula: freniamo il movimento
di massa sino a quando non abbiamo
costruito l'avanguardia, perchè «spontaneamente»
il movimento di
massa non può che sbagliare e rischia di
coinvolgere nei suoi errori l'avanguardia
in costruzione. Proteggiamo l'avanguardia e reprimiamo il movimento di
massa. Per i liquidatori, l'avanguardia
si costruisce da un lato e il movimento
di massa dall'altro: resterà da risolvere,
in un momento non definito, la
loro unione.
Per
i proletari, il nucleo dirigente nasce
nel movimento di massa: la teoria
nasce dalle idee prodotte nel movimento di massa, i principi del marxismo
guidano questo
processo.
Due
prassi, due teorie. Due campi.
Coloro
che si opponevano alla resistenza
con il pretesto che il Partito non
era costruito, dovevano opporsi alla
violenza rivoluzionaria con il pretesto
che essa non era guidata dall'avanguardia.
La logica di questi individui
li portava ad attaccare con i revisionisti la contestazione violenta nei licei,
il movimento della Tour-du-Pin, le forme d'azione partigiane promosse da
nuclei di fabbrica come in Lorena nel
giugno '69,
e
le azioni partigiane dei maoisti come nel giugno '69
a
Flins. Gli
individui più volgari (la destra «marxista-leninista»)
gridavano come Marchais
al «fascismo».
Un po' più sottili, i trotzkisti usavano un linguaggio
più «leninista», in apparenza; parlavano di «putschismo» e di terrorismo.
Più tardi anche i trotzkisti diventano volgari, dal momento che a Nanterre,
così come Marchais, hanno trattato
i maoisti come «provocatori».
I
partigiani della resistenza proletaria,
la sinistra proletaria, poiché pensavano
di costruire il partito proletario a
partire dalle iniziative di massa della resistenza,
non esitavano a esaltare la violenza
rivoluzionaria, a propagandare le
grande verità della nostra epoca: il potere
nasce dalla canna del fucile. Come
dice uno dei testi pubblicati in questa raccolta:
«Ci
siamo ingranditi perchè ci siamo
battuti, perchè abbiamo avuto fiducia nell'intelligenza del proletariato, perchè
abbiamo fermamente aderito alla grande
verità della nostra epoca: il potere
nasce dalla canna del fucile».
Per
tutto il suo sviluppo, la sinistra si
è tenuta a questi principi che hanno caratterizzato
la sua nascita.
Dal
settembre '68 alla
farsa elettorale della
primavera '69,
quando
per le masse
i fatti del maggio '68 sparivano
dalla
scena e cominciano ad apparire le
forme di una nuova tappa della lotta, la
sinistra proletaria perfeziona la sua costituzione
autonoma. In un primo momento il raggruppamento delle forze
di sinistra contrapposte alla liquidazione
nel movimento studentesco e nel
movimento operaio, si compie di fatto
con l'unificazione con la sinistra del
22 marzo. Durante questa prima fase
la nostra esperienza nel movimento operaio
ci permette di definire una prima
tesi d'orientamento: bisogna creare
nella classe operaia una forza autonoma rispetto al sindacato. E il movimento
della gioventù deve contribuire a
questa costituzione, perseguendo la sua
rivolta, dandogli delle forme che stimolino
il movimento popolare. Durante
la seconda fase, il movimento liceale
confermerà nella prassi questa tesi.
La
rivolta liceale contro l'autorità borghese
nei licei mantiene lo stato di contestazione e d'insicurezza iniziato nel
maggio. Radicalizza la rivolta dei giovani
e stimola nei fatti il movimento popolare.
Questa rivolta troverà il suo sbocco
provvisorio nella battaglia contro
la farsa elettorale, la battaglia del boicottaggio
attivo. Nel corso di questa
seconda fase, la sinistra deve opporsi ai liquidatori che denigrano questa rivolta
e, alla fine di questa tappa, deve opporsi
ai liquidatori che hanno ripreso
fiato e attaccano la battaglia del boicottaggio
attivo in nome del «leninismo»,
tanto per non smentirsi.
Gli
uni chiamano a votare: no; gli altri
si mobilitano per avere diritto a una
trasmissione televisiva. In breve, invece
di consolidare la resistenza, si tende
alla capitolazione, perchè chi negherà
oggi che bisognava resistere alla farsa
elettorale? Che la cosa più importante
era di opporsi violentemente alla via della capitolazione elettorale per mostrare
alle masse le due vie aperte dal
maggio '68?
Un'azione
strategica in quella battaglia dà tutto il suo senso contro la dirigenza
reazionaria ai cancelli di Flins, per
commemorare e continuare la resistenza
del '68.
Da
allora queste azioni si moltiplicano
durante l'estate '69 nel momento stesso
in cui «spontaneamente» dalle grandi
fabbriche come a Sochaux o a Sollac,
gli operai inventano delle forme di
lotta di guerriglia che colpiscono il padrone.
Alla
fine del '69, proprio quando l'iniziativa
operaia si scatena con violenza
nelle fabbriche, il nostro orientamento
si precisa ed entriamo in nuova fase del nostro sviluppo. I testi
che seguono tendono a spiegare nostra
politica come essa ha preso forma
nell'ottobre '69.
Ha
un nome: la nuova resistenza: lotta
violenta popolare dei partigiani. Meglio
di un nome, essa ha una realtà.
L'ora della guerriglia è suonata. Distruggere
il nemico, servire le masse, formare
il partigiano: ecco la nostra bandiera.
«Liberare» il metro di Billancourt
vuol dire prefigurare la democrazia
che cambierà totalmente la condizione
del popolo, che lo libererà. pire le miniere Houillères che assassinano
i minatori significa annunciare dittatura proletaria che schiaccerà classe
degli sfruttatori. Oggi, vi sono
migliaia
di questi piccoli lumi chi squarciano
le tenebre dell'oppressione. Uniamoci
nella resistenza per costruir la luce.
3
aprile 1970 - Parigi