I tempi della "guerriglia"

 

Questo il titolo di un articolo apparso su «Le Monde» del 4 aprile 1970. L'autore scrive che la guerriglia «è ormai uscita dai suoi teatri di operazione tradizionali: Indocina, Medio Oriente, e America Latina» e che si sta progressivamente estendendo in tutto il mondo. Si cita quindi il «delitto collettivo, prodromo della guerriglia urbana», lamentato dal rettore di Nanterre, gli attentati di New York e di altre città statunitensi, le «ondate terroristiche» in Italia, gli scontri cruenti in Irlanda, e infine «lo strano attentato compiuto nel gennaio 1969 contro un'automobile ufficiale davanti al Cremlino». La risposta, prosegue l'articolo, non può essere la repressione brutale, ma deve essere l'eliminazione delle cause del fenomeno. Quindi: riforme generalizzate, all'interno dei singoli paesi e nell'ambito della politica internazionale.

Da allora «Le Monde» dedica una pagina giornaliera a «L'agitazione e il mantenimento dell'ordine pubblico» in Francia.

Evidentemente tra il dire e il fare c'è di mezzo il mare: quel mare delle irrisolvibili contraddizioni capital-imperialistiche nel quale sembrano ormai muoversi come pesci nel loro elemento tutti coloro, in ogni parte del mondo, che hanno risolutamente deciso di combattere e sconfiggere il capitale imperialistico e il socialimperialismo.

Di fronte ai primi embrioni di guerriglia che si sta sviluppando nell'area metropolitana, negli Stati Uniti, in Giappone, in Europa, dobbiamo così porci un primo problema: si tratta di atti «estremistici», disperati, «avventuristi», romantica reazione a una sconfitta politica, o non piuttosto delle prime avvisaglie di una strategia di lotta che, attraverso la fase della guerra di guerriglia, della «guerriglia fredda» preluda alla guerra di popolo?

Una prima risposta ci viene dalle lotte che i compagni francesi della «Gauche Proletarienne» (GP) e del gruppo maoista «Vive la revolution» (VLR) hanno scatenato e sostenuto il 27 e 28 maggio a Parigi.

Occasione di queste lotte è stato il tentativo della borghesia francese di trasformare il processo a Le Dantec e Le Bris, ex-direttori incriminati del giornale «La cause du peuple» portavoce della GP, in un processo 'esemplare' che colpisse al cuore tutta la sinistra rivoluzionaria francese.

Ma il gioco non è riuscito e il vero processo, contrariamente alle previsioni di Marcellin, non si è fatto nella piccola sala del Tribunale gremita di poliziotti, ma si è fatto altrove: nella strada!

E questo processo, non poteva che farsi nella strada - come hanno detto i compagni della GP, usciti ancora con il ventiquattresimo numero del loro giornale nonostante la dissoluzione decretata dalle classi dominanti - perchè un tribunale borghese coi suoi magistrati, i suoi procuratori e i suoi poliziotti non può capire quale è l'origine ed il verso della violenza reazionaria, della violenza esercitata sistematicamente sulle masse lavoratrici.

Così, nell'aula del tribunale La Dantec e Le Bris giocavano il loro ruolo scambiando le parti ed ergendosi ad accusatori «...nel nostro paese esiste un pugno di criminali che possiede il potere, dunque la polizia, l'esercito, i mezzi di espressione, la legalità. E questa banda che sfrutta senza vergogna le masse popolari; che non indietreggia davanti all'assassinio, tenta di far passare chiunque si rivolti al loro volere per dei criminali...» ed ancora «... A popolo si rivolta ed oppone alla violenza reazionaria la violenza rivoluzionaria, mentre l'una tende ad asservire, l'altra porta con se la libertà, ed è dunque sempre giusta... ». Contemporaneamente a Censier, alle Beaux Arts alla facoltà di scienze e al Quartiere Latino migliaia di giovani compagni conducevano lottando il loro processo al «terrorismo borghese» mettendo sotto accusa l'intero regime.

Ecco il commento di un giovane operaio a conclusione della lotta: «E' morta la paura che impediva ad alcuni di noi di manifestare, morte sono anche le idee di capitolazione che si è tentato di farci adottare. Ieri, oggi noi abbiamo fatto di più che manifestare contro un processo scandaloso; noi abbiamo distrutto il mito della polizia onnipotente, noi abbiamo sviluppato lo spirito della resistenza e questo nessuno ormai, potrà più togliercelo».

 

La tendenza generale è verso la rivoluzione.

 

E' forse la lotta del 27 e del 28 maggio un'espressione isolata di maniaci «spaccatutto» che tutto spaccano per il solo gusto di spaccare?

No. Essa è «una lotta nuova, un'arte nuova della lotta» che fa dell'occupazione militare e della presa di parola nella strada, della violenza di massa contro i simboli dell'opulenza dei ricchi e dello sfruttamento del popolo, un momento importante nel processo di liberazione del proletariato metropolitano.

E' forse la lotta del 27 e del 28 maggio un'esplosione senza storia, una violenza senza ragione?

No. Essa si inserisce nel mosaico della rivoluzione che il popolo francese, a partire dal maggio 68 sta costruendo.

Attraverso Nanterre, in cui studenti e operai rivoluzionari si battono insieme contro l'apparato repressivo dello stato borghese, il riformismo ipocrita e cadente del P«c»F e contro le organizzazioni opportunistiche e legalitarie neorevisioniste.

Attraverso Vallourec, con l'attacco operaio alla legalità dello sfruttamento, l'occupazione della fabbrica, il sequestro del padrone e di alcuni dirigenti e l'appoggio di tutto il paese agli scioperanti e alla loro azione; attraverso Dunkerque e la rivolta di massa che ha vendicato gli assassini «legali» riconsiderando e finalmente ancora utilizzando «la possente arma del sabotaggio».

Attraverso Bordeaux e Grenoble con la lotta dei piccoli contadini e dei piccoli commercianti minacciati di rovina dalla borghesia, che non lasciano «il vecchio mondo» senza prima esprimere, occupando la prefettura e battendosi nelle strade ciò che essi ne pensano delle sue leggi e della sua legalità.

Per questo la lotta del 27 e del 28 maggio è una lotta importante per la sinistra proletaria europea. Importante in due sensi:

- perchè ci offre un esempio di lotta violenta di massa, sulla quale è necessario aprire un dibattito intorno ai temi della «guerriglia fredda», della guerriglia «calda», della guerra di popolo, così come sul rapporto tra organizzazione rivoluzionaria e violenza di massa nell'area metropolitana;

- perchè ci educa a considerare con maggiore attenzione critica i rischi e i limiti dell'azione partigiana slegata, o legata solo meccanicamente, all'obiettivo più generale e fondamentale costituito dallo sviluppo dell'autonomia proletaria.

Per questo, nonostante i limiti emersi nell'impostazione generale data dalla GP al rapporto fra organizzazione rivoluzionaria e movimenti di massa e al rapporto fra azioni partigiane e crescita politica, organizzata, dell'autonomia proletaria, la lotta del 27 e del 28 maggio è stata una lotta tutta interna alla tendenza principale che è oggi, nel mondo, come ha indicato nella sua ultima dichiarazione il presidente Mao, quella della rivoluzione. L'iniziativa storica ritorna nelle mani del proletariato e un vento di rivolta si va propagando in tutta la Francia!

da Sinistra Proletaria

luglio 1970

 

Per la resistenza, contro la capitolazione (Gauche Proletarienne)

«Per la resistenza contro la capitolazione » è comparso sul secondo numero dei «Cahiers de la Gauche Proletarienne».

 

 

Per l'unità contro la divisione

 

Ecco è arrivata, come ammettono gli stessi borghesi, l'ora della guerriglia. I giovani e anche chi non lo è più; coloro senza i quali il capitale non può vivere: gli operai; quelli a cui il capitale promette un avvenire: gli studenti; quelli a cui il capitale rifiuta questo avvenire: i piccoli contadini, i commercianti, gli artigiani, tutti sono entrati in azione dopo il maggio 68. E quest'azione prende la forma della guerriglia. Una guerriglia senza spargimento di sangue, una guerriglia «fredda», ma tuttavia micidiale. Questa guerriglia uccide per ora solo dei miti: il mito dello Stato forte, il mito della pace sociale che è tutta la forza dello Stato. Ciò che la guerriglia distrugge è l'autorità dello Stato monopolista. Perchè sequestrare un padrone, un capo del personale, un ministro significa minare l'autorità dello Stato. Perchè bloccare delle strade, delle autostrade o la produzione capitalistica in una fabbrica significa minare l'autorità dello Stato. Perchè sabotare la produzione, la circolazione delle merci, il pagamento delle tasse significa minare l'autorità dello Stato. Significa minare l'autorità dello Stato, perchè vuol dire infrangere la legalità della classe al potere.

Le classi dominanti, spogliate della loro dignità e del loro prestigio politico, dimostrano tutta la loro debolezza. E la forza attuale delle classi popolari sta tutta nella loro audacia. Ciò che era inconcepibile solo due anni fa, ora è diventato una prassi di massa. Chi avrebbe mai creduto che i commercianti potessero contestare l'ordine sociale fino a questo punto? Chi avrebbe mai creduto che decine di migliaia di lavoratori immigrati, stranieri in questo paese ma che ne creano la sua ricchezza, si sarebbero schierati nelle prime linee della lotta per l'emancipazione? Chi avrebbe immaginato la ricchezza delle forme di lotta di fabbrica? Oggi piccoli gruppi di partigiani che parlano in nome delle grandi masse sorgono dappertutto, inferiscono gravi colpi al nemico e colpendo i responsabili della miseria e dell'oppressione minano i fondamenti stessi del regime.

Una cosa è certa per chi condivide la speranza popolare: la situazione è eccellente.

 

I. - Oggi, la resistenza

 

Il nuovo nasce dal vecchio: in ogni strato popolare che oggi si organizza per resistere allo Stato monopolista repressivo, si scontrano due linee. Vediamo le cose in dettaglio.

Nel movimento operaio ogni iniziativa rivoluzionaria nuova si conquista attraverso una lotta dura contro il sindacalismo e la sua forza repressiva specifica: la polizia sindacale. La guerriglia nell'officina in tutte le sue forme: taglio dei tempi, rivolta contro i capetti, trasformazione dell'atmosfera di schiavitù nella fabbrica, azione diretta per imporre la trasformazione di tutte le condizioni di lavoro che permettono al capitale lo sfruttamento e l'abbrutimento dell'operaio.

Questa guerriglia incontra la feroce opposizione del sindacalismo, che tenta di spaccare il movimento o di deviarlo o infine, come ultima difesa, di attaccarlo. Le capacità di repressione del sindacalismo sono ancora molto grandi: da una parte perchè si appoggia sulle vecchie idee radicate nella testa dell'operaio, soprattutto se costui ha esperienza sindacale e dall'altra perchè si appoggia su una polizia speciale, molto centralizzata come si addice ad ogni polizia di uno stato centralizzato imperialista; questa polizia detiene ancora un potente monopolio dell'informazione a livello di reparti e di fabbriche; inoltre, come tutte le polizie, colpisce, calunnia e intimidisce. Infatti bisogna tener ben conto delle capacità tattiche di repressione di questa polizia.

Ogni conquista degli operai rivoluzionari si guadagna duramente: bisogna mantenere l'autonomia del movimento di resistenza nella fabbrica e quindi lottare contro la repressione con la violenza, ma anche contro la repressione con l'inganno: per mantenersi ai posti di comando, i capi sindacalisti sono persino disposti a tollerare delle forme 'dure' non solo l'occupazione, cosa che è semplice poichè basta che sia burocratica per perdere la sua sostanza rivoluzionaria, ma anche il sequestro, come si è visto a Pennaroya nell'Ardèche. Sequestro che essi tentano di svuotare dei suoi contenuti illegali, rivoluzionari.

Quindi, contro il sindacalismo, bisogna mantenere la linea della resistenza proletaria. E contro il sindacalismo bisogna allargare la resistenza, ossia bisogna realizzare l'unità popolare partendo dalla fabbrica. Per esempio il sostegno reciproco degli operai e dei piccoli commercianti contro il capitale commerciale o direttamente contro lo Stato; per esempio il sostegno reciproco degli operai e dei contadini come in Bretagna. Ad esempio ancora il sostegno reciproco tra operai e studenti come a Nanterre. Per la resistenza contro la capitolazione; per l'unità contro la divisione, due vie, due linee si scontrano nel movimento operaio.

Anche nel movimento studentesco si scontrano due linee, due vie. Lo si è ben visto a Nanterre. Da una parte la resistenza, dall'altra la capitolazione. L'oppressione universitaria è un aspetto dell'oppressione borghese. E quindi la resistenza alle autorità universitarie è una componente della resistenza popolare. Perciò all'interno dell'Università bisogna resistere ed estendere tale resistenza. Tuttavia è una forza che trova nei trotzckisti la sua punta avanzata che rifiuta questa via.. Gli scontri di Nanterre ne sono la cartina di tornasole. Da mesi alcuni si sforzavano di lanciare degli «scioperi di massa» alla maniera de l'UNEF-Renouveau. Degli scioperi (come lo sciopero contro l'abrogazione della seconda lingua) venivano protratti ad oltranza rivelando il loro carattere «egoista» e reazionario che giustamente non risvegliava nelle masse alcuna eco.

Che la «seconda lingua» possa essere un punto di partenza, passi. Ma che la conduzione dello sciopero mantenga le caratteristiche piccolo-borghesi del movimento sino alla fine non può che significare una cosa: il rifiuto di «continuare il maggio», di sviluppare la resistenza contro l'oppressione nell'università, la scelta della via della capitolazione, quella dell'UNEF-Renouveau, del revisionismo.

È in questo contesto che scoppia Nanterre. Nanterre riconduce alle sue giuste proporzioni queste «non-azioni di massa»: cioè a ben poco per quanto riguarda le prospettive rivoluzionarie.

Nanterre radicalizza le due vie, le due linee: da una parte ci sono coloro che si battono contro tutti gli assalti della reazione (autorità universitarie, fascisti, social-fascisti e infine, ultima risorsa la polizia); dall'altra coloro che hanno deciso di essere di fatto l'ultima e «nuova» difesa della reazione: i capitolardi, i liquidatori del movimento di massa. Perchè dopo gli scontri una «polizia» di nuovo tipo ha voluto occupare il campus, contro la sinistra rivoluzionaria studentesca: la polizia dei gruppetti, di cui la punta di lancia è costituita dai trotskisti (riconciliatisi sembra, per l'occasione). Il meeting organizzato da Matignon, tenuto dalla direzione dell'UNEF e dai trotskisti ha questo significato. Si trattava di impedire che la guerriglia studentesca si radicalizzasse e si estendesse.  I liquidatori di massa hanno una tesi: quella dell'«azione di massa» per giustificarsi, come il revisionismo a cui si ispirino. Si tratterebbe, secondo loro, di rifiutare le «azioni minoritarie» che isolano dall'opinione dei lavoratori. Ma ecco: Nanterre non è stata una «azione minoritaria», ma un'azione di massa illegale, dal carattere partigiano, e questo non ci ha isolati dagli operai, come si può verificare andando a Renault-Billancourt, Flins, Cléon, Sochaux, nelle miniere o ai centri degli immigrati. Perciò anche nel movimento della gioventù intellettuale si scontrano due vie, due linee: per la resistenza e l'unione da una parte; per la capitolazione e la divisione dall'altra.

 

II. - Dopo il maggio 1968, la Resistenza.

 

Da dove vengono questi rivoluzionari proletari? In questo numero dei Cahiers, tentiamo di dare un'immagine della politica della sinistra proletaria, così come si sviluppa partendo dai movimenti di massa. Da dove viene la sinistra? Come si fa, partendo dalle forme di resistenza delle masse, a costruire l'organizzazione proletaria che vuole unificare questa resistenza?

La sinistra proletaria nasce a Flins, nel 1968. Ricordiamoci della congiuntura di allora. Gaullismo e revisionismo lanciavano la loro controffensiva unita contro il movimento popolare: Grenelle e la farsa elettorale erano i due strumenti di questo attacco. Tutte le forze sociali liberate dalla rivolta della gioventù si fondevano con un lirismo magnifico, ma equivoco, per partire all'assalto. All'assalto di un potere che esse non potevano veramente prendere. Le masse si battevano e certi politicanti volevano intrufolarsi nel potere; a Charlety hanno proposto la loro candidatura; ma oltre al gaullismo c'era una sola forza politica capace di mettersi alla testa della lotta per la sostituzione del potere borghese: il revisionismo. Ora, nella congiuntura del maggio 1968 non poteva farlo. Quindi contro lo slancio dell'autonomia popolare si sono accostate tra di loro le due forze fondamentali concorrenti per l'esercizio del potere borghese, il gaullismo e il revisionismo.

Ecco quello che succedeva nel giugno del '68. La questione che si poneva allora era resistere a questa controffensiva o capitolare.

Per tutti coloro che nella lotta di massa si stavano liberando dalle loro ultime illusioni sul revisionismo, non poteva che esserci una strada: la resistenza proletaria. Bisognava appoggiarsi al movimento di massa per resistere alla strategia gaullista-revisionista, per educare le masse, far loro conoscere i loro amici e i loro nemici. La sinistra dei marxisti-leninisti e la sinistra del 22 marzo si unirono in questa resistenza. Nei fatti era già nata la sinistra proletaria, che si doveva costituire come tale dopo il maggio.

Per contro, la via della capitolazione di fronte al revisionismo andava concretizzandosi. Dall'inizio di giugno i trotskisti concentrarono i loro attacchi contro «quelli che vogliono andare sino in fondo», ossia i partigiani della resistenza. Questi, secondo loro, volevano condurre le masse al massacro, all'avventura, alla disfatta sanguinosa. Lo spauracchio agitato dal P.C.F. era riuscito a gettare nel panico quella gente: riprendeva parola per parola gli argomenti revisionisti: non si doveva condurre l'avanguardia all'avventura. Unico cambiamento il vessillo di questa sedicente avanguardia. Sedicente avanguardia a tutti gli effetti: poiché nei fatti li si trovava alla retroguardia, ben lontani dai fronti della resistenza proletaria.

Da questo momento i trotskisti e quelli che come loro si appoggiano su una dottrina completamente fossilizzata, pretenziosamente «leninista» tentano di mascherare l'opposizione ben reale tra resistenza e capitolazione con un'opposizione immaginaria (ossia che esiste solo nella loro testolina) tra «spontaneismo e organizzazione».

Se non hanno voluto resistere in giugno  - dicono - è perchè, secondo l'esempio di Lenin, non credono che le masse «senza avanguardia» possano prendere il potere. Questo pensiero profondo è servito loro da foglia di fico per più di un anno. E la destra dei «marxisti-leninisti» dirà la stessa cosa; ma nel suo gergo speciale, penoso e lontano dal leninismo vivente quanto quello dei trotzkisti.

Nel giugno del '68 questi schiamazzi erano per fortuna coperti dall'eco potente del movimento di resistenza a Flins, Belleville, Sochaux. Ma alla fine del giugno '68 la strategia gaullista-revisionista segna la fine del movimento così com'era partito in maggio. Allora la destra si scatena. Per lunghi mesi occuperà la scena. Di fatto sfrutterà la profonda confusione che agita il movimento rivoluzionario studentesco da quando s'é compiuta la tappa di maggio.

La destra o fingerà di ignorare il significato futuro della lotta del giugno '68 diagnosticando: «una coda di movimento nel quadro del riflusso generale delle lotte», oppure attaccherà di forza la resistenza di giugno. Questo sembra inverosimile: tuttavia si è verificato durante l'estate e l'autunno del '68: ci furono degli individui sinistri con la testa piena di Marcellinades che hanno attaccato la resistenza di Flins, spiegando che era una «avventura». Il loro ragionamento era questo: in giugno non vi era avanguardia, quindi mettersi alla testa di una lotta violenta è come voler condurre la lotta armata senza Partito Comunista, è terrorismo, putschismo, avventurismo. La sinistra, contaminata da questa confusione, aspetta troppo per contrattaccare la destra. All'inizio del settembre '68, essa si costituisce e ingaggia allora una lotta a oltranza contro i capitolardi. La sinistra proletaria comincia a edificarsi autonomamente.

Dalla sua nascita effettiva nel giugno '68 e dalla sua nascita formale in quanto organizzazione nel settembre '68, la sinistra proletaria ha lottato contro una teoria fossilizzata che dissimulava una prassi capitolarda. L'unità di questa teoria e di questa prassi porta ormai un nome: liquidazione. La prassi è la lotta contro la resistenza proletaria e le sue forme come le masse le inventano progressivamente. Si riassume nella seguente formula: freniamo il movimento di massa sino a quando non abbiamo costruito l'avanguardia, perchè «spontaneamente» il movimento di massa non può che sbagliare e rischia di coinvolgere nei suoi errori l'avanguardia in costruzione. Proteggiamo l'avanguardia e reprimiamo il movimento di massa. Per i liquidatori, l'avanguardia si costruisce da un lato e il movimento di massa dall'altro: resterà da risolvere, in un momento non definito, la loro unione.

Per i proletari, il nucleo dirigente nasce nel movimento di massa: la teoria nasce dalle idee prodotte nel movimento di massa, i principi del marxismo guidano questo processo.

Due prassi, due teorie. Due campi.

Coloro che si opponevano alla resistenza con il pretesto che il Partito non era costruito, dovevano opporsi alla violenza rivoluzionaria con il pretesto che essa non era guidata dall'avanguardia. La logica di questi individui li portava ad attaccare con i revisionisti la contestazione violenta nei licei, il movimento della Tour-du-Pin, le forme d'azione partigiane promosse da nuclei di fabbrica come in Lorena nel giugno '69, e le azioni partigiane dei maoisti come nel giugno '69 a Flins. Gli individui più volgari (la destra «marxista-leninista») gridavano come Marchais al «fascismo». Un po' più sottili, i trotzkisti usavano un linguaggio più «leninista», in apparenza; parlavano di «putschismo» e di terrorismo. Più tardi anche i trotzkisti diventano volgari, dal momento che a Nanterre, così come Marchais, hanno trattato i maoisti come «provocatori».

I partigiani della resistenza proletaria, la sinistra proletaria, poiché pensavano di costruire il partito proletario a partire dalle iniziative di massa della resistenza, non esitavano a esaltare la violenza rivoluzionaria, a propagandare le grande verità della nostra epoca: il potere nasce dalla canna del fucile. Come dice uno dei testi pubblicati in questa raccolta:

«Ci siamo ingranditi perchè ci siamo battuti, perchè abbiamo avuto fiducia nell'intelligenza del proletariato, perchè abbiamo fermamente aderito alla grande verità della nostra epoca: il potere nasce dalla canna del fucile».

Per tutto il suo sviluppo, la sinistra si è tenuta a questi principi che hanno caratterizzato la sua nascita.

Dal settembre '68 alla farsa elettorale della primavera '69, quando per le masse i fatti del maggio '68 sparivano dalla scena e cominciano ad apparire le forme di una nuova tappa della lotta, la sinistra proletaria perfeziona la sua costituzione autonoma. In un primo momento il raggruppamento delle forze di sinistra contrapposte alla liquidazione nel movimento studentesco e nel movimento operaio, si compie di fatto con l'unificazione con la sinistra del 22 marzo. Durante questa prima fase la nostra esperienza nel movimento operaio ci permette di definire una prima tesi d'orientamento: bisogna creare nella classe operaia una forza autonoma rispetto al sindacato. E il movimento della gioventù deve contribuire a questa costituzione, perseguendo la sua rivolta, dandogli delle forme che stimolino il movimento popolare. Durante la seconda fase, il movimento liceale confermerà nella prassi questa tesi.

La rivolta liceale contro l'autorità borghese nei licei mantiene lo stato di contestazione e d'insicurezza iniziato nel maggio. Radicalizza la rivolta dei giovani e stimola nei fatti il movimento popolare. Questa rivolta troverà il suo sbocco provvisorio nella battaglia contro la farsa elettorale, la battaglia del boicottaggio attivo. Nel corso di questa seconda fase, la sinistra deve opporsi ai liquidatori che denigrano questa rivolta e, alla fine di questa tappa, deve opporsi ai liquidatori che hanno ripreso fiato e attaccano la battaglia del boicottaggio attivo in nome del «leninismo», tanto per non smentirsi.

Gli uni chiamano a votare: no; gli altri si mobilitano per avere diritto a una trasmissione televisiva. In breve, invece di consolidare la resistenza, si tende alla capitolazione, perchè chi negherà oggi che bisognava resistere alla farsa elettorale? Che la cosa più importante era di opporsi violentemente alla via della capitolazione elettorale per mostrare alle masse le due vie aperte dal maggio '68?

Un'azione strategica in quella battaglia dà tutto il suo senso contro la dirigenza reazionaria ai cancelli di Flins, per commemorare e continuare la resistenza del '68.

Da allora queste azioni si moltiplicano durante l'estate '69 nel momento stesso in cui «spontaneamente» dalle grandi fabbriche come a Sochaux o a Sollac, gli operai inventano delle forme di lotta di guerriglia che colpiscono il padrone.

Alla fine del '69, proprio quando l'iniziativa operaia si scatena con violenza nelle fabbriche, il nostro orientamento si precisa ed entriamo in nuova fase del nostro sviluppo. I testi che seguono tendono a spiegare nostra politica come essa ha preso forma nell'ottobre '69.

Ha un nome: la nuova resistenza: lotta violenta popolare dei partigiani. Meglio di un nome, essa ha una realtà. L'ora della guerriglia è suonata. Distruggere il nemico, servire le masse, formare il partigiano: ecco la nostra bandiera. «Liberare» il metro di Billancourt vuol dire prefigurare la democrazia che cambierà totalmente la condizione del popolo, che lo libererà. pire le miniere Houillères che assassinano i minatori significa annunciare dittatura proletaria che schiaccerà classe degli sfruttatori. Oggi, vi sono

migliaia di questi piccoli lumi chi squarciano le tenebre dell'oppressione. Uniamoci nella resistenza per costruir la luce.

 

3 aprile 1970 - Parigi