La
casa si prende, l'affitto non si paga!
Il
centro sfrattati di Novate, nella fascia
esterna della periferia milanese, presenta
caratteristiche da campo di concentramento:
è cintato, sorvegliato da un guardiano, sino a pochi mesi fa era
impossibile entrare agli estranei senza
permesso.
Strutturalmente
il centro si compone
di due parti: la prima, predominante,
di casette a due piani costruite di recente,
abitate da famiglie che risiedono
nel centro da diverso tempo, in molti
casi da anni (terremotati etc.); la seconda parte è formata da baracche prefabbricate,
senza riscaldamento, con i
servizi igienici comuni, nelle quali le famiglie
abitano ammassate in una o due stanzette.
Nella
maggior parte dei casi sono lì da
pochi mesi ed hanno una voglia feroce
di uscirne.
La
contraddizione immediatamente incontrata nell'intervento nel quartiere è
stata quella esistente tra le famiglie proletarie delle baracche e quelle
delle casette nuove.
Il
capitale riesce a dividere anche con
un po' di intonaco e mettendo il cesso
in casa. La contraddizione non era risolvibile astrattamente, ma solo spostando
con le lotte a un livello più alto il terreno su cui unire il popolo.
Luglio
Chi
era disposto a lottare subito e illegalmente,
erano le famiglie delle baracche.
Il rapporto con alcuni elementi
di avanguardia ha portato entro breve
tempo all'occupazione di un appartamento
a Quarto Oggiaro. Questa occupazione
ha dimostrato chiaramente
che nel lavoro politico a livello sociale nel quartiere l'occupazione
singola non poteva più
essere un momento di lotta politicamente significativo: lo IACP
(Istituto Autonomo Case Popolari)
incassava il colpo e trattava da una
posizione di forza col singolo occupante,
mentre nello stesso tempo perfezionava le tecniche di repressione preventiva,
con guardiani armati che vigilavano
e molte volte abitavano negli
appartamenti vuoti.
Questa
occupazione ebbe, invece, ripercussioni
positive al centro dove fu gestita
nella prospettiva di realizzare
un'occupazione di massa.
D'altra
parte due famiglie del nucleo
più combattivo che si era creato premevano
per un'occupazione immediata. Non fu possibile convincerli ad aspettare
l'occupazione, di massa di settembre,
anche per
le carenze dell'intervento
politico condotto fino allora (difficoltà
nel saldare l'obiettivo della casa
a una prospettiva più ampia di lotta sociale). Le due famiglie occuparono
contemporaneamente la
stessa notte
due appartamenti.
Le
ripercussioni politiche furono le stesse dell'occupazione
precedente: scarse
reazioni a Quarto Oggiaro, positive
al Centro.
Agosto
Le
famiglie
disposte a lottare aumentavano
immediatamente,
e fu
creato
un embrione di comitato di lotta,
dove il problema della casa veniva visto e affrontato nella dimensione dello
sfruttamento
complessivo. Un intervento
nella
direzione del centro frenò lo
sviluppo
del comitato concedendo degli
appartamenti nelle casette nuove ad alcune di queste famiglie.
Settembre
Dopo
un'assemblea il comitato fu ricostituito,
composto all'inizio da 7-8 famiglie che presto divennero
una quindicina. I problemi tecnici e politici
che l'occupazione presentava (cercare
più palazzi vuoti, le inchieste sulle persone dei guardiani, lo studio
della zona per la
difesa militare, la messa a
punto
della tecnica
per conquistare
l'obiettivo)
le
ritardavano notevolmente.
Si
creò quindi una certa sfiducia nel comitato,
e per combatterla e
per estendere numericamente il comitato stesso
si decise di occupare un altro appartamento
a Quarto Oggiaro. Questa
decisione fu presa dallo stesso comitato,
che scelse anche la famiglia che doveva occupare (i figli). L'occupazione
a Quarto Oggiaro, ancora una volta vittoriosa, galvanizzò le famiglie proletarie
del centro, il comitato aumentò
di numero e respinse tutte le proposte
che la direzione del Centro puntualmente
faceva nel tentativo di creare
divisioni al suo interno. L'occupazione
di massa fu decisa per la settimana
dopo. Il comitato nominò tre capofamiglia che avevano il compito di occuparsi
dei problemi tecnici:
solo i componenti
di questo comitato ristretto
avrebbero saputo il giorno dell'occupazione,
e dovevano comunicarlo poche ore
prima
alle altre famiglie.
Purtroppo
a Quarto Oggiaro non esistevano palazzi nuovi
dello
IACP. Si
scelsero quindi due obiettivi: il
primo
al
Gallaratese
e il
secondo in un altro
quartiere di Milano. Il problema più
complesso consisteva nel fare una
occupazione
improvvisa, che sorprendesse
le forze di repressione, eludendo la sorveglianza delle spie che giravano
al Centro.
L'occupazione
fu decisa per la notte del
24-25. Solo il comitato ristretto dei tre
capofamiglia conoscevano il giorno esatto,
e poche ore prima lo
comunicarono
alle altre famiglie organizzando la
preparazione
delle macchine disponibili e
delle masserizie. Dalle nove e trenta alle
10, le famiglie sono partite dal centro scaglionate: se la polizia avesse
seguito e fermato una
macchina le altre potevano
proseguire indisturbate
e convergere
sull'obiettivo.
L'appuntamento
era per le 10 e 30 in una località scelta in precedenza, nelle vicinanze
della casa da occupare. A quell'ora un
compagno staffetta doveva trovarsi lì
e comunicare se nella vicinanza della casa c'era la polizia. In tal caso
si sarebbe partiti
immediatamente convergendo, con la stessa tecnica, sul secondo obiettivo
scelto.
La
polizia non c'era e alle 10 e 40 la
colonna di macchine ha
raggiunto l'obiettivo.
Alle 10 e 45
tutte le famiglie
erano nel palazzo, un torracchione
di 14 piani completamente disabitato
e nuovo di zecca. Nessuno nelle vicinanze si era accorto di niente: l'azione
era stata molto rapida e
silenziosa, nei limiti del possibile, tenendo conto che tutte le famiglie
avevano un mare di
bambini che si divertivano un mondo.
Immediatamente
è stato organizzato un minimo di difesa, portando dentro al
torracchione mattoni e
sassi.
Per tutta
la notte il palazzo è stato presidiato
dai proletari
che lo avevano occupato
e dai compagni che si erano uniti a
loro. All'una è arrivato, avvertito non
si sa bene da chi, un
giornalista
del Giorno. La polizia
saprà dell'occupazione la mattina dopo, leggendo il, giornale!
Nel
corso della notte le case vicine
(tutte
dello IACP) e il torracchione sono
stati tappezzati da
giornali (di chi
sono le nostre case) e da manifesti (la
casa
si prende l'affitto non si paga).
Proprio
questi particolari e scritta
enorme «Casa occupata» con l'aggiunta
di bandiere rosse e di falci
e martello
hanno fatto andare in bestia
la polizia, che è arrivata alle 8 mattino. In
questo
caso la polizia bisogna capirla: difatti
il torracchione con le scritte i manifesti lo striscione e
il resto
troneggiava in
tutto
il quartiere
e si vedeva
lontano un miglio. Molti
proletari del quartiere, soprattutto
donne, venivano a informarsi a
discutere con i compagni che avevano occupato
e con gli altri che incominciavano ad affluire da ogni parte, soprattutto
dalla Casa dello studente di viale
Romagna, anch'essa occupata e impegnata
da un mese in una dura lotta.
Nel
corso
della mattinata è stato fatto
l'errore più grave dell'azione. Fidandosi
di una voce messa in giro dalla
polizia,
secondo la quale aveva l'ordine,
per il momento, di non intervenire, i
compagni hanno trascurato la difesa.
L'errore
lo si pagherà dopo, alle 12 e
30, quando 300 poliziotti comandati
da Vittoria interverranno con
una
azione
molto rapida, sfruttando il fatto
che i capofamiglia erano in riunione e
stavano discutendo e che molti compagni erano andati a prendere altre
famiglie che la sera prima non avevano potuto
occupare, sono riusciti a sfondare
la porta, nonostante il bombardamento
con sassi e mattoni che i compagni
asserragliati dentro il palazzo
facevano piovere dalle finestre. La polizia ha cacciato fuori tutti. Due
compagni sono stati
picchiati a
sangue
e trascinati
via entrambi denunciati a
piede libero,
uno è all'ospedale per le ferite
riportate.
La
risposta degli occupanti, soprattutto
delle donne proletarie, è stata immediata.
Probabilmente Vittoria in tutta
la sua carriera di servo non si è mai
beccato tanti insulti e così feroci alla distanza di mezzo metro: sorrideva
nervosamente con la sua faccia abbronzata di fascista, che le donne ridicolizzavano
con una rabbia e una ferocia esaltante: erano pronte a cavargli
gli occhi e quando gliel'hanno gridato sotto il naso continuava a sorridere
sì, ma sempre più nervosamente.
Tutti
i revisionisti, vecchi. e nuovi, e.. i
falsi «amici del popolo» che si
riempiono
la bocca e disquisiscono dottamente
sulla bassa coscienza delle masse
proletarie e su altre menate simili,
dovevano
essere presenti a
imparare. La
volontà di lottare e di vincere è apparsa
ancora più chiara nell'assemblea
popolare che si è tenuta, con una grande
partecipazione di proletari del quartiere
e di compagni accorsi da ogni parte, nel primo pomeriggio: gli interventi,
ancora una volta soprattutto delle
donne, hanno individuato con chiarezza e con efficacia la globalità dello sfruttamento
a cui tutto il popolo è
sottoposto,
di cui l'obiettivo per cui stavano
lottando -
la
conquista di una casa
-
era
solo un aspetto; hanno chiamato
alla solidarietà e alla ribellione tutti
i proletari presenti; si sono rivolti
persino alle centinaia di poliziotti presenti,
sempre più chiaramente e visibilmente
a disagio. Tutti gli interventi
sono giunti alla stessa conclusione: la
lotta sino alla vittoria, nessun cedimento,
il bivacco davanti al palazzo sino
a quando tutte le famiglie non avessero
avuto una casa, se la polizia fosse
intervenuta ancora erano pronti a
resistere
con la violenza, e se li avesse
cacciati erano pronti a trasferirsi in piazza
del duomo, dentro al palazzo del
sindaco, a occupare un, altro palazzo.
E
questo i padroni e i loro servi presenti,
(P.C.I. - A.P.I.CE.P.
ecc.) l'hanno
capito bene. Così hanno incominciato
le loro sporche manovre sottobanco,
prendendo dei capofamiglia e promettendogli
la casa subito, con le
chiavi
e il camioncino del comune per portargli
via la roba. La risposta è stata
sempre la stessa: «la casa a tutti e
subito!».
Di
fronte alla compattezza e alla forza della risposta, i padroni dello IACP
hanno incominciato a piegare la testa
e si
sono
detti disposti a trattare. Le
case erano
venute fuori, bastava che
i capofamiglia andassero uno alla volta
alla sede dello IACP a trattare. Nuova
assemblea, rapidissima: la
risposta:
quatttro capofamiglia in delegazione
per sentire le proposte e comunicarle
all'assemblea, che avrebbe deciso.
Dopo
un'ora, alle 19, la delegazione è
tornata. Le case c'erano, per tutti, però
non subito: i
burocrati dello IACP si facevano in quattro, scartabellando
affannosamente le loro scartoffie, per trovarle.
Nuova
assemblea, decisioni immediate:
1)
Ora mangiamo, poi andremo a trattare:
tanto i burocrati possono aspettare.
2)
La casa deve venire fuori prima di
notte, per tutti.
3)
La casa deve essere di nostro gradimento,
altrimenti la
rifiutiamo.
4)
La polizia deve ritirarsi, se la polizia
si fa trovare allo
IACP
per noi è
una provocazione e non trattiamo.
Alle
8 festa popolare: grandi falò davanti al torracchione, da mangiare e da
bere per tutti, risa e canti: si temeva
un inganno, ma tutti erano pronti
a lottare ed erano sicuri di vincere.
E
l'inganno c'è stato. Davanti alla sede
dello IACP i capofamiglia hanno trovato
la
polizia
e qualche burocrate revisionista
che predicava la moderazione. La risposta: «questi
cani ci hanno
ingannato, torniamo subito alla casa!».
Davanti
al torracchione grandi falò, centinaia
di compagni, revisionisti e poliziotti
in borghese di ogni specie a dire
the c'era un malinteso, che stavano
telefonando allo IACP e
così
via.
Nel
frattempo erano arrivati altri camions
carichi di carabinieri e cellulari. Era
chiaro per tutti che
lo
scontro ci sarebbe
stato, e molto presto. I poliziotti
si stavano preparando, con i caschi
gli scudi e i fucili.
Alle
23 c'è stata
la prima carica, violentissima. Rabbiosa
la risposta: parecchi poliziotti
sono finiti all'ospedale, tra questi un capitano
a cui
una
donna ha fracassato in testa il bottiglione con dentro il latte
per i suoi bambini, Cariche violentissime,
uso
di
lacrimogeni.
Mentre
donne e
bambini venivano ospitati
nelle case dei compagni del quartiere,
gli scontri duri con i poliziotti
sono durati due ore. Dopo i compagni
hanno riunito tutte le
famiglie,
le
hanno trasportate sotto scorta alla casa
dello studente, dove hanno dovuto
affrontare dopo i poliziotti uno scontro
politico vittorioso,
con i «falsi amici
del popolo» presenti nella
Casa,
che
non volevano accettare le famiglie.
26
SETTEMBRE.
Nuova
assemblea degli occupanti all'interno
della Casa. Si decide di tornare
allo IACP, anche se
è sabato
i burocrati devono
esserci, e se non ci sono
decidiamo le nuove forme di lotta.
I burocrati c'erano e
le
case anche, per
tutti.
A
qualche famiglia volevano dare case
minime, ma i tentativi di bidone sono
stati stroncati subito: visita, ritorno
allo IACP, rifiuto.
Tirate
fuori una casa migliore!
Anche
se l'affitto è più alto non importa
tanto si sa...
la
casa si prende, l'affitto
non si paga!
Foglio
di lotta
distribuito a
Milano nel giugno
'70
DI
CHI SONO LE NOSTRE CASE?
Di
chi sono le «case popolari» nelle quali abitiamo?
Sono
forse «case del popolo», e cioè nostre, o sono invece dei padroni?
Le
case nelle quali abitiamo sono le case nelle quali i padroni ci fanno abitare,
dopo averci costretti a lavorate per molte ore al loro servizio nelle loro
fabbriche; sono le case dove continuano a sfruttarci dopo averci già sfruttati
a più non posso durante l'orario di lavoro!
Parliamoci
chiaro: tutto ciò che i padroni «ci danno» corrisponde ad un loro interesse.
E così quando ci danno il salario, questo non corrisponde al lavoro reale che
noi gli abbiamo in cambio fornito, ma solo ad una sua parte: per questo noi con
il salario riusciamo a mala pena ad arrivare alla fine del mese, mentre loro, i
padroni, pur pagando tanti salari, si arricchiscono sempre di più.
Le
case popolari che i padroni costruiscono, le costruiscono con i nostri soldi: le
costruiscono con una parte del nostro salario che è quella che ogni mese ci
trattengono sulla busta paga sotto la voce INA-GESCAL.
Ma
queste case che abbiamo pagato noi col nostro lavoro e col nostro salario non
sono di nostra proprietà, ma sono di proprietà dei padroni. E proprio perchè
sono di proprietà dei padroni, se noi ci vogliamo restare dobbiamo pagarle una
seconda volta, pagando l'affitto.
C'è
una verità che dobbiamo avere sempre presente, ed è questa: tutto ciò che
esiste in questa società, l'abbiamo fatto noi col nostro lavoro; le fabbriche,
le case, i mezzi di trasporto, le scuole, ecc. ecc., non le hanno fatte i
padroni: le abbiamo fatte noi. Sono roba nostra, appartengono al popolo e non a
quel pugno di canaglie che ci sfrutta dall'alto di qualche consiglio
d'amministrazione o di qualche parlamento.
E
se è roba nostra, è nostra e non dobbiamo pagarla a nessuno.
Che
cos'è l'Istituto Autonomo Case Popolari?
Qualcuno
dirà: «Questo è vero in generale, però sta di fatto che l'Istituto alla fine
del mese l'affitto lo pretende, e se noi non lo paghiamo, dopo qualche mese ci
arriva lo sfratto, e se ancora noi facciamo finta che nulla sia successo,
arrivano i poliziotti armati come se fossero in guerra, per farci sloggiare con
la forza».
Vediamo
più da vicino questa obiezione.
Intanto
chiariamoci bene sul primo punto: che cosa è l'Istituto Autonomo Case Popolari.
Tutti
sappiamo che alla fine del mese una parte del nostro salario ci è trattenuta
con la sottintesa garanzia che essa ci verrà ridata sotto forma di «benefici
sociali», ad esempio, la casa, la pensione, l'assistenza sanitaria...
A
questa parte del salario trattenuta sulla busta paga, va aggiunta quell'altra
parte di versamenti che apparentemente gravano sui padroni, ma che di fatto sono
pagati da noi.
Noi
versiamo quindi, tutti quanti ogni mese, direttamente e indirettamente, ad
esempio sotto la voce GESCAL, molti, anzi moltissimi soldi.
L'ente
che controlla questi soldi si chiama Istituto Autonomo Case Popolari. Questo
ente, come ogni altra istituzione del resto, deciderà se e come utilizzare
questi soldi.
Ma
ciò che è più importante capire è che dal momento in cui i soldi ci vengono
sottratti dalla busta paga, essi non ci appartengono più, e noi non abbiamo più
alcuna possibilità di decidere come e con quali criteri essi debbono venire
utilizzati.
Questi
soldi in altre parole ci vengono rapinati in modo «legale», e cominciano a
viaggiare su sentieri a noi sconosciuti.
Seguiamo
dunque la strada che fanno e proviamo a capirci qualcosa.
La
prima fermata è quella delle banche, dove spesso rimangono immobilizzati per
molto tempo. Pensate, tanto per fare un esempio, in queste banche sono
depositati oggi più di 500 miliardi che, come dicono i giornali dei padroni, «non
possono essere investiti perchè
mancano i piani regolatori».
Sta
di fatto che questi soldi «immobilizzati
», sono immobilizzati per noi, ma non per i padroni, che invece
li fanno
«circolare» il più velatemente
possibile, traendone quindi un
ulteriore
tornaconto.
Poi
una parte di questi soldi viene rastrellata da un oscuro sottobosco di rapinatori,
di ladri, di speculatori, parassiti:
insomma da quelli che contaro
della GESCAL e dello IACP.
Infine
un'altra parte viene destinato alla
costruzione di alloggi
(quartieri dormitorio) nelle zone periferiche delle
metropoli industriali, in modo non
entrare in conflitto con i maggiori
speculatori dell'edilizia.
Il
risultato è di caricarsi sulle spalle
anche le spese dei trasporti e il tempo
che si perde, che nessuno ci paga, oltre
che il disagio causato dall'inconsistenza delle infrastrutture e dei servizi
insufficienti.
Ma,
come se tutto ciò non bastasse per
questi alloggi costruiti coi nostri soldi,
costruiti con criteri che favoriscono
i costruttori ma non certo noi, pagati
da tutti i lavoratori ma usufruibili
solo da alcuni, ebbene, per questi alloggi
il padrone-IACP richiede anche un
affitto.
Le
riforme e i riformisti
Il
movimento operaio borghese -
rappresentato oggi
dai revisionisti del PCI
e dai sindacalisti - di fronte a questa
situazione dà una risposta insoddisfacente.
Esso
ci invita infatti ad ingaggiare una serie di «lotte» (scioperi programmati
in modo che i padroni ne possano tener
conto in anticipo
per la propria pianificazione
e passeggiate-manifestazioni
controllate dal servizio d'ordine) al fine di costringere il governo dei
padroni a concederci
alcune riforme sociali.
È
importante capire bene cosa intende
il movimento operaio borghese quando
parla di riforme sociali.
In
primo
luogo intende l'inserimento
di suoi rappresentanti all'interno dei consigli
di amministrazione di tutti quegli
organismi come la GESCAL-IACP,
che attualmente gestiscono e
rapinano
una grossa fetta del salario operaio trattenuto.
In
particolare rispetto all'Istituto, l'inserimento
di uomini del sindacato, dovrebbe
portare ad una democratizzazione
dell'ente e alla sua trasformazione da organismo a servizio del capitale, ad
organismo al nostro servizio.
Va
da
sè
che l'Istituto è visto dai revisionisti
del PCI e del sindacato come
una struttura neutra, a cui basta sostituire
un po' di personale, per trasformarne
la natura e la funzione.
Ma
tutto
questo, corrisponde ad un
nostro
interesse?
Oppure
la proposta che essi
ci fanno
non è altro che la proposta di lottare al fine di far gestire da loro il nostro
sfruttamento?
In
questa società non dobbiamo farci
illusioni, l'unica cosa che possiamo gestire
nel nostro interesse è la lotta: la
lotta e nient'altro!
-
Fin
che le case graveranno sui nostri
salari e non sui profitti dei padroni;
-
fin
che
le case pur gravando
sui nostri
salari rimarranno di proprietà dei
padroni o dello stato (che è la stessa
cosa);
IL
PROBLEMA DI CHI LE GESTISCE
È PER NOI UN PROBLEMA
IRRILEVANTE.
Che
le gestiscano
i vecchi padroni o
che le gestiscano gli aspiranti padroni, il nostro sfruttamento rimane inalterato.
Non
si tratta infatti di rendere efficienti
istituzioni come l'Istituto e la GESCAL
(questi sono problemi che riguardano
i padroni e non noi) ma di eliminare
dalla nostra busta paga ogni trattenuta INA-GESCAL, perchè il costo
delle case per i lavoratori deve gravare
sui
profitti
e non sul
nostro
salario.
Si
tratta:
-
di prenderci
ciò che è nostro - le
case
sfitte ad esempio che servono al capitale per mantenere alti i prezzi degli
affitti;
-
di
non pagare affitti per
case che sono
nostre perchè col nostro lavoro le
abbiamo già abbondantemente pagate.
Le
leggi le hanno fatte i padroni
Al
di là delle parole, riprendere ai
padroni
ciò che è nostro non è una cosa
facile.
Essi
infatti hanno frapposto tra la
loro
rapina e noi una serie di barriere che
molto spesso non riusciamo a vedere
nella giusta luce. E queste barriere
sono principalmente le
«leggi»,
i
tribunali, le forze dell'ordine, ecc.
Le
leggi le hanno fatte i padroni. Le
hanno fatte per rendere «legale» lo
sfruttamento esercitato senza pietà sulla
popolazione lavoratrice; tutti sono
tenuti a rispettare le leggi, ma queste
leggi non salvaguardano gli interessi
dì tutti, bensì solo quelli dei padroni!
Così
se noi non paghiamo l'affitto nelle
case costruite coi
nostri
soldi, «per legge» i padroni di queste case ci
possono sfrattare.
Così
se noi ci rifiutiamo di farci sfrattare,
la polizia dei padroni interviene
contro di noi per fare rispettare la
legge.
Noi
rifiutiamo l'affitto
E
allora noi cosa dobbiamo
fare?
-
Rinunciare a far
valere i nostri interessi
contro gli interessi dei padroni?
-
Lottare per affermare
i nostri interessi, lottare duramente contro
ogni barriera fino all'eliminazione dell'ultimo
ostacolo?
Noi
lavoratori siamo in molti, ma non
tutti la pensiamo nello stesso modo.
Eppure i nostri interessi sono comuni.
Nella
nostra esperienza di ogni giorno
vediamo come molti compagni di lavoro,
o dì quartiere, abbiano già rinunciato
a far valere i propri interessi personali
e di classe.
È
su questa gente che il sistema dei padroni
è dello sfruttamento fonda il suo
potere. Ma questa gente, come noi, non
ha il potere. La loro passività non è
definitiva quindi
anche nei loro confronti
va
sviluppata
la nostra iniziativa
di classe.
Altri
nostri compagni «lottano» all'interno
della legalità e sperano che, a
forza
di premere, i padroni modificheranno
le leggi a favore dei lavoratori.
Sono compagni che sbagliano perchè
nella storia di tutto il movimento
operaio, non si
è mai
dato
neppure
un caso a dimostrazione della tesi che per la «via pacifica»
e all'interno delle
leggi - che
come
abbiamo
detto le
hanno
fatte i padroni per mantenere i loro privilegi - sia
possibile
eliminare
da questo sistema le
cause reali del
nostro sfruttamento.
Altri
ancora (e cioè tutte quelle forze
che
negli ultimi anni, nelle fabbriche,
nelle scuole, nei quartieri e, anche
quando è
stato necessario, nelle piazze,
si sono
opposte,
energicamente all'intensificazione
dello sfruttamento su
tutti i fronti della vita sociale
e alle
soluzioni
legalitarie pacifiste e revisioniste
dei, rapporti tra sfruttati e
sfruttatori)
ritengono che sia oggi giunto il momento
dell'attacco alle
diverse forme che assume il nostro sfruttamento: ATTACCO
ALLA NOSTRA CONDIZIONE SALARIALE.
Che
cosa vuol dire tutto questo?
-
Vuol
dire per esempio che lo sciopero
degli affitti
non
deve più essere inteso
come sciopero di difesa del nostro
salario, ma deve essere inteso come
momento di attacco alla struttura di
potere dell'Istituto Autonomo Case Popolari.
Vuol
dire che nella misura in cui il
nostro attacco saprà esprimersi a livello
di massa sotto la forma del rifiuto di pagare l'affitto, la violenza del sistema
si espliciterà in tutta la sua chiarezza
e metterà bene in evidenza una
cosa molto importante:
CHE
IL CAPITALE È SEMPRE VIOLENTO,
E QUESTA VIOLENZA
DIVENTA ESPLICITA QUANDO
IL PROLETARIATO ESPRIME I
PROPRI INTERESSI.
Noi
dobbiamo sapere ed essere consapevoli
fino in fondo del fatto che
per
esprimere il nostro interesse dobbiamo saper esprimere la violenza necessaria
per sconfiggere la violenza del sistema.
Violenza
ingiusta e violenza giusta
Il
rifiuto dell'affitto e l'occupazione delle case vuote sono parole d'ordine
realistiche solo se accompagnate dalla
consapevolezza
che questo nostro interesse può essere fatto valere unicamente
con la lotta e
con la
organizzazione capace
di rispondere adeguatamente alla
violenza repressiva dei padroni.
È
contro questa violenza
ingiusta:
-
la violenza
dello sfratto decretato, contro
chi non paga l'affitto;
-
la violenza delle
misure punitive prese
dall'istituto contro chi lotta per
far
valere
i propri interessi;
-
la violenza della polizia e
dei carabinieri
quando vengono a
proteggere
nei
nostri quartieri le scelte fatte dai padroni;
è
contro questa violenza ingiusta che il
popolo eserciterà come ha già iniziato
a fare in molti, quartieri di Milano,
Torino, Roma e Napoli, la sua carica di giusta violenza di massa.
La
lotta per la
casa
e
lo scontro
di
classe
Quando
diciamo la
casa
si
prende,
l'affitto
non
si
paga,
non
intendiamo solo
lanciare
al
vento
una parola d'or
dine,
ma ci
dichiariamo
pronti a lottare
fino in fondo per il
suo conseguimento.
Con
questo,
non ci dobbiamo illudere
che sia possibile «prendere il potere
in
un
quartiere
solo», che
la
lotta
contro gli affitti e per le case sia una
lotta a
sè.
Essa
è una lotta che segue
i tempi dello
scontro di classe aperto
oggi più che mai in tutto il nostro paese; che si
esprime nelle fabbriche
con la «NON
COLLABORAZIONE»,
con
l'attacco
al rapporto salario-produttività,
salario-mansione, con le lotte sulla limitazione
dell'orario, ecc.; che individua nel riformismo e nel revisionismo
due implacabili nemici della rivoluzione;
che si riproduce continuamente nella società sotto la forma di una crisi
strisciante politico-economica dell'intero
sistema di potere.
Uno
scontro di classe
aperto e prolungato che
richiede da parte nostra capacità di resistenza
e
di organizzazione.
Detzebao
affisso
nel gallaratese (Mi.) il
25 settembre '70
Questa
notte 20 famiglie
del centro
sfrattati di Novate -
che
erano costrette a vivere
ammassate
come bestie in baracche che
per anni inutilmente si erano appellate
alla
« legalità » dello
I.A.C.P. senza
cavare un
ragno
dal buco
HANNO
DETTO BASTA!
si
sono ribellate e si sono prese la casa
RIBELLARSI
È GIUSTO!
È
giusto perchè:
-
le
case
popolari sono nostre: le abbiamo
già pagate mille volte con le trattenute
-
se
non ci danno la casa dobbiamo prendercela
perchè ne abbiamo tutto
il
diritto
-
se
ce l'hanno già data dobbiamo rifiutare
quel furto sul nostro salario che
è l'affitto
-
e
infine se ce la vogliono riprendere
con la violenza dobbiamo essere
DECISI
e
UNITI per
RIPRENDERLA!
Ma
dobbiamo stare attenti perchè i padroni
e i loro servi come sempre tenteranno
di dividerci: diranno che l'occupazione
della casa e il rifiuto di pagare
l'affitto sono illegali, proveranno
ad usare la polizia,
ma noi
ci difenderemo.
Compagni,
l'unico modo di sconfiggere
il loro disegno bastardo è:
DIFENDERE
da ogni attacco, anche poliziesco,
UNITI la giusta lotta delle 20
famiglie di Novate.
PROPAGANDARE
in
tutte le fabbriche
in cui lavoriamo questo esempio di lotta che i proletari di. Novate questa
notte ci hanno dato.
UNA
COSA È CERTA
nessun
padrone, nessun poliziotto, nessuno
sbirro potrà piegare la nostra lotta se staremo uniti.
E
NOI LOTTEREMO.
Volantino
distribuito
nel
gallaratese
(Milano)
il
26
settembre '70
LA
LOTTA DI POPOLO VINCE!
Giovedì
notte, 20
famiglie
del centro
sfrattati di Novate hanno occupato
un palazzo per ricchi dello I.A.C.P. nel
Gallaratese. Queste famiglie, come migliaia
di altre famiglie proletarie in tutta Milano, erano costrette a vivere da
anni come cani, ammassate in baracche.
Risucchiate dal Meridione, carne
da supersfruttamento, i padroni gli avevano
preso tutto senza dargli altro che
campi di concentramento e miseria.
Inutilmente,
per anni, avevano
«lottato
legalmente» facendo domande su domande allo I.A.C.P. per avere
una casa.
La
risposta era sempre la stessa: promesse
e porte in faccia!
Così
le 20
famiglie,
occupando il
palazzo
hanno detto BASTA
agli
imbrogli
e agli inganni, hanno detto basta
alla legalità dei padroni.
E
con la lotta dura e giustamente violenta,
hanno affermato la loro legalità:
la
legalità delle masse proletarie!
Quando
il popolo lotta, i padroni sono
presi dal terrore e non sanno far di
meglio che esprimere tutta la loro ottusa
violenza.
E
questo è successo venerdì mattina.
300 poliziotti, armati e mandati dai
padroni, dopo furibondi scontri con gli occupanti, uomini, donne e
bambini, e con
i compagni che sostenevano
la loro giusta lotta, hanno tentato
di far «giustizia» con le armi.
Ma
il popolo non ha paura e la violenza
dei padroni non f a
che accrescere la
sua volontà di lotta.
«Noi
non ci muoviamo di qui neanche
se ci ammazzano, se prima non danno a tutti una casa!». Gridavano tutti
gli occupanti e gli altri proletari del quartiere che si erano uniti a loro.
Così
i padroni hanno fatto una prima
ritirata: non riuscendo a piegare la volontà
di lotta del popolo con la violenza
delle armi, sono ricorsi agli inganni, ai tentativi di divisione, alle false
promesse.
Ma
se i padroni non riescono a piegare
la lotta del popolo con la violenza,
figuriamoci se
ci
riescono con gli inganni!
Infatti
la risposta delle famiglie è stata
sempre la stessa: «Abbiamo lottato
uniti, abbiamo resistito insieme, dobbiamo
vincere uniti: la casa a tutti e
subito!».
E
anche gli inganni non sono riusciti!
Così i padroni sono tornati alla violenza
aperta ancora più dura
e bestiale.
L'hanno
fatto la sera stessa, caricando
davanti alla casa occupata le 20
famiglie
e
centinaia
di proletari che erano
pronti a lottare con loro perché avevano
capito che la lotta di queste famiglie era una lotta di tutti i proletari:
contro lo sfruttamento, contro la violenza
armata dei padroni; contro lo stato
e le sue istituzioni corrotte..
Ma
non hanno vinto neppure questa volta!
Né politicamente, né
militarmente!
Infatti
la solidarietà e unità di tutto il
popolo si è manifestata anche nella notte:
e le 20 famiglie
sono state ospitate nella Casa dello Studente occupata.
Questa
mattina le
20 famiglie
proletarie
hanno vinto e la loro vittoria
è una
vittoria di tutto il proletariato. I padroni
dello I.A.C.P. hanno piegato la
testa e sono stati costretti a «mollare»
la casa a tutti e subito.
Hanno
vinto contro i padroni sconfiggendo
le loro manovre, rispondendo con
la violenza giusta e necessaria alla loro violenza ingiusta e bastarda.
Hanno
vinto contro i revisionisti e
tutti
gli altri «falsi amici del popolo» che
predicavano la moderazione, che
si
affidavano unicamente alle trattative, che accusavano il popolo che la lotta di estremismo
e di avventurismo. Dicevano
che saremmo stati sconfitti i revisionisti
d'ogni specie! E invece abbiamo
vinto! Ha vinto la nuova legge del popolo.
SINISTRA
PROLETARIA
Milano,
26
settembre
1970 ciclostilato in
proprio
ottobre
1970
da
Sinistra Proletaria