La casa si prende, l'affitto non si paga!

 

Il centro sfrattati di Novate, nella fascia esterna della periferia milanese, presenta caratteristiche da campo di concentramento: è cintato, sorvegliato da un guardiano, sino a pochi mesi fa era impossibile entrare agli estranei senza permesso.

Strutturalmente il centro si compone di due parti: la prima, predominante, di casette a due piani costruite di recente, abitate da famiglie che risiedono nel centro da diverso tempo, in molti casi da anni (terremotati etc.); la seconda parte è formata da baracche prefabbricate, senza riscaldamento, con i servizi igienici comuni, nelle quali le famiglie abitano ammassate in una o due stanzette.

Nella maggior parte dei casi sono lì da pochi mesi ed hanno una voglia feroce di uscirne.

La contraddizione immediatamente incontrata nell'intervento nel quartiere è stata quella esistente tra le famiglie proletarie delle baracche e quelle delle casette nuove.

Il capitale riesce a dividere anche con un po' di intonaco e mettendo il cesso in casa. La contraddizione non era risolvibile astrattamente, ma solo spostando con le lotte a un livello più alto il terreno su cui unire il popolo.

 

Luglio

 

Chi era disposto a lottare subito e illegalmente, erano le famiglie delle baracche. Il rapporto con alcuni elementi di avanguardia ha portato entro breve tempo all'occupazione di un appartamento a Quarto Oggiaro. Questa occupazione ha dimostrato chiaramente che nel lavoro politico a livello sociale nel quartiere l'occupazione singola non poteva più essere un momento di lotta politicamente significativo: lo IACP (Istituto Autonomo Case Popolari) incassava il colpo e trattava da una posizione di forza col singolo occupante, mentre nello stesso tempo perfezionava le tecniche di repressione preventiva, con guardiani armati che vigilavano e molte volte abitavano negli appartamenti vuoti.

Questa occupazione ebbe, invece, ripercussioni positive al centro dove fu gestita nella prospettiva di realizzare un'occupazione di massa.

D'altra parte due famiglie del nucleo più combattivo che si era creato premevano per un'occupazione immediata. Non fu possibile convincerli ad aspettare l'occupazione, di massa di settembre, anche per le carenze dell'intervento politico condotto fino allora (difficoltà nel saldare l'obiettivo della casa a una prospettiva più ampia di lotta sociale). Le due famiglie occuparono contemporaneamente la stessa notte due appartamenti.

Le ripercussioni politiche furono le stesse dell'occupazione precedente: scarse reazioni a Quarto Oggiaro, positive al Centro.

 

Agosto

 

Le famiglie disposte a lottare aumentavano immediatamente, e fu creato un embrione di comitato di lotta, dove il problema della casa veniva visto e affrontato nella dimensione dello sfruttamento complessivo. Un intervento nella direzione del centro frenò lo sviluppo del comitato concedendo degli appartamenti nelle casette nuove ad alcune di queste famiglie.

 

Settembre

 

Dopo un'assemblea il comitato fu ricostituito, composto all'inizio da 7-8 famiglie che presto divennero una quindicina. I problemi tecnici e politici che l'occupazione presentava (cercare più palazzi vuoti, le inchieste sulle persone dei guardiani, lo studio della zona per la difesa militare, la messa a punto della tecnica per conquistare l'obiettivo) le ritardavano notevolmente.

Si creò quindi una certa sfiducia nel comitato, e per combatterla e per estendere numericamente il comitato stesso si decise di occupare un altro appartamento a Quarto Oggiaro. Questa decisione fu presa dallo stesso comitato, che scelse anche la famiglia che doveva occupare (i figli). L'occupazione a Quarto Oggiaro, ancora una volta vittoriosa, galvanizzò le famiglie proletarie del centro, il comitato aumentò di numero e respinse tutte le proposte che la direzione del Centro puntualmente faceva nel tentativo di creare divisioni al suo interno. L'occupazione di massa fu decisa per la settimana dopo. Il comitato nominò tre capofamiglia che avevano il compito di occuparsi dei problemi tecnici: solo i componenti di questo comitato ristretto avrebbero saputo il giorno dell'occupazione, e dovevano comunicarlo poche ore prima alle altre famiglie.

Purtroppo a Quarto Oggiaro non esistevano palazzi nuovi dello IACP. Si scelsero quindi due obiettivi: il primo al Gallaratese e il secondo in un altro quartiere di Milano. Il problema più complesso consisteva nel fare una occupazione improvvisa, che sorprendesse le forze di repressione, eludendo la sorveglianza delle spie che giravano al Centro.

L'occupazione fu decisa per la notte del 24-25. Solo il comitato ristretto dei tre capofamiglia conoscevano il giorno esatto, e poche ore prima lo comunicarono alle altre famiglie organizzando la preparazione delle macchine disponibili e delle masserizie. Dalle nove e trenta alle 10, le famiglie sono partite dal centro scaglionate: se la polizia avesse seguito e fermato una macchina le altre potevano proseguire indisturbate e convergere sull'obiettivo. L'appuntamento era per le 10 e 30 in una località scelta in precedenza, nelle vicinanze della casa da occupare. A quell'ora un compagno staffetta doveva trovarsi lì e comunicare se nella vicinanza della casa c'era la polizia. In tal caso si sarebbe partiti immediatamente convergendo, con la stessa tecnica, sul secondo obiettivo scelto.

La polizia non c'era e alle 10 e 40 la colonna di macchine ha raggiunto l'obiettivo. Alle 10 e 45 tutte le famiglie erano nel palazzo, un torracchione di 14 piani completamente disabitato e nuovo di zecca. Nessuno nelle vicinanze si era accorto di niente: l'azione era stata molto rapida e silenziosa, nei limiti del possibile, tenendo conto che tutte le famiglie avevano un mare di bambini che si divertivano un mondo.

Immediatamente è stato organizzato un minimo di difesa, portando dentro al torracchione mattoni e sassi. Per tutta la notte il palazzo è stato presidiato dai proletari che lo avevano occupato e dai compagni che si erano uniti a loro. All'una è arrivato, avvertito non si sa bene da chi, un giornalista del Giorno. La polizia saprà dell'occupazione la mattina dopo, leggendo il, giornale!

Nel corso della notte le case vicine (tutte dello IACP) e il torracchione sono stati tappezzati da giornali (di chi sono le nostre case) e da manifesti (la casa si prende l'affitto non si paga).

Proprio questi particolari e scritta enorme «Casa occupata» con l'aggiunta di bandiere rosse e di falci e martello hanno fatto andare in bestia la polizia, che è arrivata alle 8 mattino. In questo caso la polizia bisogna capirla: difatti il torracchione con le scritte i manifesti lo striscione e il resto troneggiava in tutto il quartiere e si vedeva lontano un miglio. Molti proletari del quartiere, soprattutto donne, venivano a informarsi a discutere con i compagni che avevano occupato e con gli altri che incominciavano ad affluire da ogni parte, soprattutto dalla Casa dello studente di viale Romagna, anch'essa occupata e impegnata da un mese in una dura lotta.

Nel corso della mattinata è stato fatto l'errore più grave dell'azione. Fidandosi di una voce messa in giro dalla polizia, secondo la quale aveva l'ordine, per il momento, di non intervenire, i compagni hanno trascurato la difesa.

L'errore lo si pagherà dopo, alle 12 e 30, quando 300 poliziotti comandati da Vittoria interverranno con una azione molto rapida, sfruttando il fatto che i capofamiglia erano in riunione e stavano discutendo e che molti compagni erano andati a prendere altre famiglie che la sera prima non avevano potuto occupare, sono riusciti a sfondare la porta, nonostante il bombardamento con sassi e mattoni che i compagni asserragliati dentro il palazzo facevano piovere dalle finestre. La polizia ha cacciato fuori tutti. Due compagni sono stati picchiati a sangue e trascinati via entrambi denunciati a piede libero, uno è all'ospedale per le ferite riportate.

La risposta degli occupanti, soprattutto delle donne proletarie, è stata immediata. Probabilmente Vittoria in tutta la sua carriera di servo non si è mai beccato tanti insulti e così feroci alla distanza di mezzo metro: sorrideva nervosamente con la sua faccia abbronzata di fascista, che le donne ridicolizzavano con una rabbia e una ferocia esaltante: erano pronte a cavargli gli occhi e quando gliel'hanno gridato sotto il naso continuava a sorridere sì, ma sempre più nervosamente.

Tutti i revisionisti, vecchi. e nuovi, e.. i falsi «amici del popolo» che si riempiono la bocca e disquisiscono dottamente sulla bassa coscienza delle masse proletarie e su altre menate simili, dovevano essere presenti a imparare. La volontà di lottare e di vincere è apparsa ancora più chiara nell'assemblea popolare che si è tenuta, con una grande partecipazione di proletari del quartiere e di compagni accorsi da ogni parte, nel primo pomeriggio: gli interventi, ancora una volta soprattutto delle donne, hanno individuato con chiarezza e con efficacia la globalità dello sfruttamento a cui tutto il popolo è sottoposto, di cui l'obiettivo per cui stavano lottando - la conquista di una casa - era solo un aspetto; hanno chiamato alla solidarietà e alla ribellione tutti i proletari presenti; si sono rivolti persino alle centinaia di poliziotti presenti, sempre più chiaramente e visibilmente a disagio. Tutti gli interventi sono giunti alla stessa conclusione: la lotta sino alla vittoria, nessun cedimento, il bivacco davanti al palazzo sino a quando tutte le famiglie non avessero avuto una casa, se la polizia fosse intervenuta ancora erano pronti a resistere con la violenza, e se li avesse cacciati erano pronti a trasferirsi in piazza del duomo, dentro al palazzo del sindaco, a occupare un, altro palazzo.

E questo i padroni e i loro servi presenti, (P.C.I. - A.P.I.CE.P. ecc.) l'hanno capito bene. Così hanno incominciato le loro sporche manovre sottobanco, prendendo dei capofamiglia e promettendogli la casa subito, con le chiavi e il camioncino del comune per portargli via la roba. La risposta è stata sempre la stessa: «la casa a tutti e subito!».

Di fronte alla compattezza e alla forza della risposta, i padroni dello IACP hanno incominciato a piegare la testa e si sono detti disposti a trattare. Le case erano venute fuori, bastava che i capofamiglia andassero uno alla volta alla sede dello IACP a trattare. Nuova assemblea, rapidissima: la risposta: quatttro capofamiglia in delegazione per sentire le proposte e comunicarle all'assemblea, che avrebbe deciso.

Dopo un'ora, alle 19, la delegazione è tornata. Le case c'erano, per tutti, però non subito: i burocrati dello IACP si facevano in quattro, scartabellando affannosamente le loro scartoffie, per trovarle.

Nuova assemblea, decisioni immediate:

1) Ora mangiamo, poi andremo a trattare: tanto i burocrati possono aspettare.

2) La casa deve venire fuori prima di notte, per tutti.

3) La casa deve essere di nostro gradimento, altrimenti la rifiutiamo.

4) La polizia deve ritirarsi, se la polizia si fa trovare allo IACP per noi è una provocazione e non trattiamo.

Alle 8 festa popolare: grandi falò davanti al torracchione, da mangiare e da bere per tutti, risa e canti: si temeva un inganno, ma tutti erano pronti a lottare ed erano sicuri di vincere.

E l'inganno c'è stato. Davanti alla sede dello IACP i capofamiglia hanno trovato la polizia e qualche burocrate revisionista che predicava la moderazione. La risposta: «questi cani ci hanno ingannato, torniamo subito alla casa!».

Davanti al torracchione grandi falò, centinaia di compagni, revisionisti e poliziotti in borghese di ogni specie a dire the c'era un malinteso, che stavano telefonando allo IACP e così via. Nel frattempo erano arrivati altri camions carichi di carabinieri e cellulari. Era chiaro per tutti che lo scontro ci sarebbe stato, e molto presto. I poliziotti si stavano preparando, con i caschi gli scudi e i fucili. Alle 23 c'è stata la prima carica, violentissima. Rabbiosa la risposta: parecchi poliziotti sono finiti all'ospedale, tra questi un capitano a cui una donna ha fracassato in testa il bottiglione con dentro il latte per i suoi bambini, Cariche violentissime,  uso di lacrimogeni.

Mentre donne e bambini venivano ospitati nelle case dei compagni del quartiere, gli scontri duri con i poliziotti sono durati due ore. Dopo i compagni hanno riunito tutte le famiglie, le hanno trasportate sotto scorta alla casa dello studente, dove hanno dovuto affrontare dopo i poliziotti uno scontro politico vittorioso, con i «falsi amici del popolo» presenti nella Casa, che non volevano accettare le famiglie.

 

26 SETTEMBRE.

 

Nuova assemblea degli occupanti all'interno della Casa. Si decide di tornare allo IACP, anche se è sabato i burocrati devono esserci, e se non ci sono decidiamo le nuove forme di lotta. I burocrati c'erano e le case anche, per tutti.

A qualche famiglia volevano dare case minime, ma i tentativi di bidone sono stati stroncati subito: visita, ritorno allo IACP, rifiuto.

Tirate fuori una casa migliore!

Anche se l'affitto è più alto non importa tanto si sa... la casa si prende, l'affitto non si paga!

 

 

Foglio di lotta     distribuito a Milano nel giugno '70

 

DI CHI SONO LE NOSTRE CASE?

 

Di chi sono le «case popolari» nelle quali abitiamo?

Sono forse «case del popolo», e cioè nostre, o sono invece dei padroni?

Le case nelle quali abitiamo sono le case nelle quali i padroni ci fanno abitare, dopo averci costretti a lavorate per molte ore al loro servizio nelle loro fabbriche; sono le case dove continuano a sfruttarci dopo averci già sfruttati a più non posso durante l'orario di lavoro!

Parliamoci chiaro: tutto ciò che i padroni «ci danno» corrisponde ad un loro interesse. E così quando ci danno il salario, questo non corrisponde al lavoro reale che noi gli abbiamo in cambio fornito, ma solo ad una sua parte: per questo noi con il salario riusciamo a mala pena ad arrivare alla fine del mese, mentre loro, i padroni, pur pagando tanti salari, si arricchiscono sempre di più.

Le case popolari che i padroni costruiscono, le costruiscono con i nostri soldi: le costruiscono con una parte del nostro salario che è quella che ogni mese ci trattengono sulla busta paga sotto la voce INA-GESCAL.

Ma queste case che abbiamo pagato noi col nostro lavoro e col nostro salario non sono di nostra proprietà, ma sono di proprietà dei padroni. E proprio perchè sono di proprietà dei padroni, se noi ci vogliamo restare dobbiamo pagarle una seconda volta, pagando l'affitto.

C'è una verità che dobbiamo avere sempre presente, ed è questa: tutto ciò che esiste in questa società, l'abbiamo fatto noi col nostro lavoro; le fabbriche, le case, i mezzi di trasporto, le scuole, ecc. ecc., non le hanno fatte i padroni: le abbiamo fatte noi. Sono roba nostra, appartengono al popolo e non a quel pugno di canaglie che ci sfrutta dall'alto di qualche consiglio d'amministrazione o di qualche parlamento.

E se è roba nostra, è nostra e non dobbiamo pagarla a nessuno.

 

Che cos'è l'Istituto Autonomo Case Popolari?

 

Qualcuno dirà: «Questo è vero in generale, però sta di fatto che l'Istituto alla fine del mese l'affitto lo pretende, e se noi non lo paghiamo, dopo qualche mese ci arriva lo sfratto, e se ancora noi facciamo finta che nulla sia successo, arrivano i poliziotti armati come se fossero in guerra, per farci sloggiare con la forza».

Vediamo più da vicino questa obiezione.

Intanto chiariamoci bene sul primo punto: che cosa è l'Istituto Autonomo Case Popolari.

Tutti sappiamo che alla fine del mese una parte del nostro salario ci è trattenuta con la sottintesa garanzia che essa ci verrà ridata sotto forma di «benefici sociali», ad esempio, la casa, la pensione, l'assistenza sanitaria...

A questa parte del salario trattenuta sulla busta paga, va aggiunta quell'altra parte di versamenti che apparentemente gravano sui padroni, ma che di fatto sono pagati da noi.

Noi versiamo quindi, tutti quanti ogni mese, direttamente e indirettamente, ad esempio sotto la voce GESCAL, molti, anzi moltissimi soldi.

L'ente che controlla questi soldi si chiama Istituto Autonomo Case Popolari. Questo ente, come ogni altra istituzione del resto, deciderà se e come utilizzare questi soldi.

Ma ciò che è più importante capire è che dal momento in cui i soldi ci vengono sottratti dalla busta paga, essi non ci appartengono più, e noi non abbiamo più alcuna possibilità di decidere come e con quali criteri essi debbono venire utilizzati.

Questi soldi in altre parole ci vengono rapinati in modo «legale», e cominciano a viaggiare su sentieri a noi sconosciuti.

Seguiamo dunque la strada che fanno e proviamo a capirci qualcosa.

La prima fermata è quella delle banche, dove spesso rimangono immobilizzati per molto tempo. Pensate, tanto per fare un esempio, in queste banche sono depositati oggi più di 500 miliardi che, come dicono i giornali dei padroni, «non possono essere investiti perchè mancano i piani regolatori».

Sta di fatto che questi soldi «immobilizzati », sono immobilizzati per noi, ma non per i padroni, che invece li fanno «circolare» il più velatemente possibile, traendone quindi un ulteriore tornaconto.

Poi una parte di questi soldi viene rastrellata da un oscuro sottobosco di rapinatori, di ladri, di speculatori, parassiti: insomma da quelli che contaro della GESCAL e dello IACP.

Infine un'altra parte viene destinato alla costruzione di alloggi (quartieri dormitorio) nelle zone periferiche delle metropoli industriali, in modo non entrare in conflitto con i maggiori speculatori dell'edilizia.

Il risultato è di caricarsi sulle spalle anche le spese dei trasporti e il tempo che si perde, che nessuno ci paga, oltre che il disagio causato dall'inconsistenza delle infrastrutture e dei servizi insufficienti.

Ma, come se tutto ciò non bastasse per questi alloggi costruiti coi nostri soldi, costruiti con criteri che favoriscono i costruttori ma non certo noi, pagati da tutti i lavoratori ma usufruibili solo da alcuni, ebbene, per questi alloggi il padrone-IACP richiede anche un affitto.

 

Le riforme e i riformisti

 

Il movimento operaio borghese - rappresentato oggi dai revisionisti del PCI e dai sindacalisti - di fronte a questa situazione dà una risposta insoddisfacente.

Esso ci invita infatti ad ingaggiare una serie di «lotte» (scioperi programmati in modo che i padroni ne possano tener conto in anticipo per la propria pianificazione e passeggiate-manifestazioni controllate dal servizio d'ordine) al fine di costringere il governo dei padroni a concederci alcune riforme sociali.

È importante capire bene cosa intende il movimento operaio borghese quando parla di riforme sociali.

In primo luogo intende l'inserimento di suoi rappresentanti all'interno dei consigli di amministrazione di tutti quegli organismi come la GESCAL-IACP, che attualmente gestiscono e rapinano una grossa fetta del salario operaio trattenuto.

In particolare rispetto all'Istituto, l'inserimento di uomini del sindacato, dovrebbe portare ad una democratizzazione dell'ente e alla sua trasformazione da organismo a servizio del capitale, ad organismo al nostro servizio.

Va da sè che l'Istituto è visto dai revisionisti del PCI e del sindacato come una struttura neutra, a cui basta sostituire un po' di personale, per trasformarne la natura e la funzione.

Ma tutto questo, corrisponde ad un nostro interesse?

Oppure la proposta che essi ci fanno non è altro che la proposta di lottare al fine di far gestire da loro il nostro sfruttamento?

In questa società non dobbiamo farci illusioni, l'unica cosa che possiamo gestire nel nostro interesse è la lotta: la lotta e nient'altro!

- Fin che le case graveranno sui nostri salari e non sui profitti dei padroni;

- fin che le case pur gravando sui nostri salari rimarranno di proprietà dei padroni o dello stato (che è la stessa cosa);

IL PROBLEMA DI CHI LE GESTISCE È PER NOI UN PROBLEMA IRRILEVANTE.

Che le gestiscano i vecchi padroni o che le gestiscano gli aspiranti padroni, il nostro sfruttamento rimane inalterato.

Non si tratta infatti di rendere efficienti istituzioni come l'Istituto e la GESCAL (questi sono problemi che riguardano i padroni e non noi) ma di eliminare dalla nostra busta paga ogni trattenuta INA-GESCAL, perchè il costo delle case per i lavoratori deve gravare sui profitti e non sul nostro salario.

Si tratta:

- di prenderci ciò che è nostro - le case sfitte ad esempio che servono al capitale per mantenere alti i prezzi degli affitti;

- di non pagare affitti per case che sono nostre perchè col nostro lavoro le abbiamo già abbondantemente pagate.

 

Le leggi le hanno fatte i padroni

 

Al di là delle parole, riprendere ai padroni ciò che è nostro non è una cosa facile.

Essi infatti hanno frapposto tra la loro rapina e noi una serie di barriere che molto spesso non riusciamo a vedere nella giusta luce. E queste barriere sono principalmente le «leggi», i tribunali, le forze dell'ordine, ecc.

Le leggi le hanno fatte i padroni. Le hanno fatte per rendere «legale» lo sfruttamento esercitato senza pietà sulla popolazione lavoratrice; tutti sono tenuti a rispettare le leggi, ma queste leggi non salvaguardano gli interessi dì tutti, bensì solo quelli dei padroni!

Così se noi non paghiamo l'affitto nelle case costruite coi nostri soldi, «per legge» i padroni di queste case ci possono sfrattare.

Così se noi ci rifiutiamo di farci sfrattare, la polizia dei padroni interviene contro di noi per fare rispettare la legge.

 

Noi rifiutiamo l'affitto

 

E allora noi cosa dobbiamo fare?

- Rinunciare a far valere i nostri interessi contro gli interessi dei padroni?

- Lottare per affermare i nostri interessi, lottare duramente contro ogni barriera fino all'eliminazione dell'ultimo ostacolo?

Noi lavoratori siamo in molti, ma non tutti la pensiamo nello stesso modo. Eppure i nostri interessi sono comuni.

Nella nostra esperienza di ogni giorno vediamo come molti compagni di lavoro, o dì quartiere, abbiano già rinunciato a far valere i propri interessi personali e di classe.

È su questa gente che il sistema dei padroni è dello sfruttamento fonda il suo potere. Ma questa gente, come noi, non ha il potere. La loro passività non è definitiva quindi anche nei loro confronti va sviluppata la nostra iniziativa di classe.

Altri nostri compagni «lottano» all'interno della legalità e sperano che, a forza di premere, i padroni modificheranno le leggi a favore dei lavoratori. Sono compagni che sbagliano perchè nella storia di tutto il movimento operaio, non si è mai dato neppure un caso a dimostrazione della tesi che per la «via pacifica» e all'interno delle leggi - che come abbiamo detto le hanno fatte i padroni per mantenere i loro privilegi - sia possibile eliminare da questo sistema le cause reali del nostro sfruttamento.

Altri ancora (e cioè tutte quelle forze che negli ultimi anni, nelle fabbriche, nelle scuole, nei quartieri e, anche quando è stato necessario, nelle piazze, si sono opposte, energicamente all'intensificazione dello sfruttamento su tutti i fronti della vita sociale e alle soluzioni legalitarie pacifiste e revisioniste dei, rapporti tra sfruttati e sfruttatori) ritengono che sia oggi giunto il momento dell'attacco alle diverse forme che assume il nostro sfruttamento: ATTACCO ALLA NOSTRA CONDIZIONE SALARIALE.

 

Che cosa vuol dire tutto questo?

 

- Vuol dire per esempio che lo sciopero degli affitti non deve più essere inteso come sciopero di difesa del nostro salario, ma deve essere inteso come momento di attacco alla struttura di potere dell'Istituto Autonomo Case Popolari.

Vuol dire che nella misura in cui il nostro attacco saprà esprimersi a livello di massa sotto la forma del rifiuto di pagare l'affitto, la violenza del sistema si espliciterà in tutta la sua chiarezza e metterà bene in evidenza una cosa molto importante:

CHE IL CAPITALE È SEMPRE VIOLENTO, E QUESTA VIOLENZA DIVENTA ESPLICITA QUANDO IL PROLETARIATO ESPRIME I PROPRI INTERESSI.

Noi dobbiamo sapere ed essere consapevoli fino in fondo del fatto che per esprimere il nostro interesse dobbiamo saper esprimere la violenza necessaria per sconfiggere la violenza del sistema.

 

Violenza ingiusta e violenza giusta

 

Il rifiuto dell'affitto e l'occupazione delle case vuote sono parole d'ordine realistiche solo se accompagnate dalla consapevolezza che questo nostro interesse può essere fatto valere unicamente con la lotta e con la organizzazione capace di rispondere adeguatamente alla violenza repressiva dei padroni.

È contro questa violenza ingiusta:

- la violenza dello sfratto decretato, contro chi non paga l'affitto;

- la violenza delle misure punitive prese dall'istituto contro chi lotta per far valere i propri interessi;

- la violenza della polizia e dei carabinieri quando vengono a proteggere nei nostri quartieri le scelte fatte dai padroni;

è contro questa violenza ingiusta che il popolo eserciterà come ha già iniziato a fare in molti, quartieri di Milano, Torino, Roma e Napoli, la sua carica di giusta violenza di massa.

La lotta per la casa e lo scontro di classe

 

Quando diciamo la casa si prende, l'affitto non si paga, non intendiamo solo lanciare al vento una parola d'or dine, ma ci dichiariamo pronti a lottare fino in fondo per il suo conseguimento.

Con questo, non ci dobbiamo illudere che sia possibile «prendere il potere in un quartiere solo», che la lotta contro gli affitti e per le case sia una lotta a sè.

Essa è una lotta che segue i tempi dello scontro di classe aperto oggi più che mai in tutto il nostro paese; che si esprime nelle fabbriche con la «NON COLLABORAZIONE», con l'attacco al rapporto salario-produttività, salario-mansione, con le lotte sulla limitazione dell'orario, ecc.; che individua nel riformismo e nel revisionismo due implacabili nemici della rivoluzione; che si riproduce continuamente nella società sotto la forma di una crisi strisciante politico-economica dell'intero sistema di potere.

Uno scontro di classe aperto e prolungato che richiede da parte nostra capacità di resistenza e di organizzazione.

 

Detzebao affisso nel gallaratese (Mi.) il 25 settembre '70

 

Questa notte 20 famiglie del centro sfrattati di Novate - che erano costrette a vivere ammassate come bestie in baracche che per anni inutilmente si erano appellate alla « legalità » dello I.A.C.P. senza cavare un ragno dal buco

HANNO DETTO BASTA!

si sono ribellate e si sono prese la casa

RIBELLARSI È GIUSTO!

È giusto perchè:

- le case popolari sono nostre: le abbiamo già pagate mille volte con le trattenute

- se non ci danno la casa dobbiamo prendercela perchè ne abbiamo tutto il diritto

- se ce l'hanno già data dobbiamo rifiutare quel furto sul nostro salario che è l'affitto

- e infine se ce la vogliono riprendere con la violenza dobbiamo essere

DECISI e UNITI per RIPRENDERLA!

Ma dobbiamo stare attenti perchè i padroni e i loro servi come sempre tenteranno di dividerci: diranno che l'occupazione della casa e il rifiuto di pagare l'affitto sono illegali, proveranno ad usare la polizia, ma noi ci difenderemo.

Compagni, l'unico modo di sconfiggere il loro disegno bastardo è:

DIFENDERE da ogni attacco, anche poliziesco, UNITI la giusta lotta delle 20 famiglie di Novate.

PROPAGANDARE in tutte le fabbriche in cui lavoriamo questo esempio di lotta che i proletari di. Novate questa notte ci hanno dato.

UNA COSA È CERTA

nessun padrone, nessun poliziotto, nessuno sbirro potrà piegare la nostra lotta se staremo uniti.

E NOI LOTTEREMO.

 

Volantino distribuito nel gallaratese (Milano) il 26 settembre '70

 

LA LOTTA DI POPOLO VINCE!

Giovedì notte, 20 famiglie del centro sfrattati di Novate hanno occupato un palazzo per ricchi dello I.A.C.P. nel Gallaratese. Queste famiglie, come migliaia di altre famiglie proletarie in tutta Milano, erano costrette a vivere da anni come cani, ammassate in baracche. Risucchiate dal Meridione, carne da supersfruttamento, i padroni gli avevano preso tutto senza dargli altro che campi di concentramento e miseria.

Inutilmente, per anni, avevano «lottato legalmente» facendo domande su domande allo I.A.C.P. per avere una casa.

La risposta era sempre la stessa: promesse e porte in faccia!

Così le 20 famiglie, occupando il palazzo hanno detto BASTA agli imbrogli e agli inganni, hanno detto basta alla legalità dei padroni.

E con la lotta dura e giustamente violenta, hanno affermato la loro legalità: la legalità delle masse proletarie!

Quando il popolo lotta, i padroni sono presi dal terrore e non sanno far di meglio che esprimere tutta la loro ottusa violenza.

E questo è successo venerdì mattina. 300 poliziotti, armati e mandati dai padroni, dopo furibondi scontri con gli occupanti, uomini, donne e bambini, e con i compagni che sostenevano la loro giusta lotta, hanno tentato di far «giustizia» con le armi.

Ma il popolo non ha paura e la violenza dei padroni non f a che accrescere la sua volontà di lotta.

«Noi non ci muoviamo di qui neanche se ci ammazzano, se prima non danno a tutti una casa!». Gridavano tutti gli occupanti e gli altri proletari del quartiere che si erano uniti a loro.

Così i padroni hanno fatto una prima ritirata: non riuscendo a piegare la volontà di lotta del popolo con la violenza delle armi, sono ricorsi agli inganni, ai tentativi di divisione, alle false promesse.

Ma se i padroni non riescono a piegare la lotta del popolo con la violenza, figuriamoci se ci riescono con gli inganni!

Infatti la risposta delle famiglie è stata sempre la stessa: «Abbiamo lottato uniti, abbiamo resistito insieme, dobbiamo vincere uniti: la casa a tutti e subito!».

E anche gli inganni non sono riusciti! Così i padroni sono tornati alla violenza aperta ancora più dura e bestiale.

L'hanno fatto la sera stessa, caricando davanti alla casa occupata le 20 famiglie e centinaia di proletari che erano pronti a lottare con loro perché avevano capito che la lotta di queste famiglie era una lotta di tutti i proletari: contro lo sfruttamento, contro la violenza armata dei padroni; contro lo stato e le sue istituzioni corrotte..

Ma non hanno vinto neppure questa volta! Né politicamente, né militarmente!

Infatti la solidarietà e unità di tutto il popolo si è manifestata anche nella notte: e le 20 famiglie sono state ospitate nella Casa dello Studente occupata.

Questa mattina le 20 famiglie proletarie hanno vinto e la loro vittoria è una vittoria di tutto il proletariato. I padroni dello I.A.C.P. hanno piegato la testa e sono stati costretti a «mollare» la casa a tutti e subito.

Hanno vinto contro i padroni sconfiggendo le loro manovre, rispondendo con la violenza giusta e necessaria alla loro violenza ingiusta e bastarda.

Hanno vinto contro i revisionisti e tutti gli altri «falsi amici del popolo» che predicavano la moderazione, che si affidavano unicamente alle trattative, che accusavano il popolo che la lotta di estremismo e di avventurismo. Dicevano che saremmo stati sconfitti i revisionisti d'ogni specie! E invece abbiamo vinto! Ha vinto la nuova legge del popolo.

SINISTRA PROLETARIA

Milano, 26 settembre 1970 ciclostilato in proprio

 

ottobre 1970

da Sinistra Proletaria