Destra
imperialista e sinistra proletaria
L'attacco
massiccio e generalizzato che da due anni a questa parte la sinistra proletaria porta al sistema dei
padroni ha aperto uno sfaldamento
progressivo del tessuto sociale
borghese, lo sgretolamento dello stato e delle
sue istituzioni, una rottura degli
equilibri politici che, attraverso
l'egemonia revisionista, inchiodavano la
classe operaia all'interno dell'ordine
borghese, un processo di dissoluzione
che consuma il potere dal suo interno.
Siamo
di fronte a una profonda crisi di regime che si
presenta
come incapacità da parte del potere di esercitare la
sua autorità complessiva sulla società e il suo governo
sulla
classe operaia: si tratta di una crisi globale che investe sia le strutture e i
gruppi dirigenti sia l'ordine borghese del
rapporto fra le classi.
Per
il capitale perciò non si tratta semplicemente di risolvere
una crisi istituzionale, di riorganizzare l'unità della
borghesia
con una manovra di ristrutturazione quasi pacifica,
con quella che potrebbe essere una soluzione alla
De Gaulle,
ma si tratta principalmente di affrontare una massa ingovernabile,
che non è più intenzionata a sopportare il
dominio dei padroni e che lotta per rovesciare gli attuali rapporti
sociali.
A
partire dalla conclusione del movimento di
lotta di questa primavera il capitale ha tentato di rifondare il
suo potere
sulla società, affrontando direttamente le forze dell'autonomia
proletaria, motore principale della disgregazione sociale che si va facendo sempre più ampia e difficilmente
arrestabile.
Due
erano le alternative per la soluzione della propria
crisi:
-
quella del movimento operaio borghese che proponeva il ristabilimento della pace
sociale e del controllo del
proletariato attraverso l'instaurazione di «equilibri più avanzati»
(riforme ai lavoratori, «programmazione democratica»
al paese), e attraverso uno sganciamento progressivo
dall'imperialismo;
-
quella del capitale imperialistico che consiste nella
provocazione
sistematica alle lotte proletarie e nella caccia
alle avanguardie, e che mira a fondare sulla
repressione
dell'autonomia proletaria
l'avvio del progetto socialcapitalista.
Ha
scelto la seconda, ed il 6
luglio, lo ha detto
apertamente. Perchè?
La
via nazionale al socialismo: una strategia suicida
Nel
piano dei revisionisti gioca ancora
la convinzione di
poter riprendere il controllo sulla classe operaia per
ributtarla
nel legalismo propagandando
qualche «grande
conquista dei lavoratori»
ottenuta in parlamento o in contrattazioni al vertice tra centrali sindacali e governo.
Alla
base di questa convinzione stanno due
elementi:
1)
La sottovalutazione dell'autonomia proletaria (è vero che anche la stampa
padronale opera, come l'Unità,
la
confortante riduzione della sinistra proletaria a «sparuti gruppetti
estremistici»; ma la borghesia si guarda bene dal crederci, e ha capito fino in
fondo il pericolo che corre).
2)
La riduzione della crisi italiana a una questione nazionale. Qui pesa tutta la
strategia delle «vie nazionali al socialismo» e il suo fondamentale
presupposto antileninista: che l'imperialismo
sia una politica, e
non il livello strutturale al quale è giunto attualmente il capitalismo
mondiale. In questo senso il PCI è l'erede legittimo e ortodosso di Kautsky,
anche se forse se ne vergogna un poco.
Dalla
concezione dell'imperialismo come «politica», deriva l'illusione che da questa
«politica» ci si possa sganciare pacificamente. All'interno proponendo un
socialismo tutto nominale, di «programmazione democratica e di sviluppo del sud»
pensando forse che sia possibile stravolgere, all'interno del quadro
capitalista, il rapporto metropolicampagna. All'esterno portando avanti una
linea europeistica di autonomia dagli Stati Uniti, in quanto l'Europa, secondo
l'ineffabile articolista di Rinascita (17-7-'70), sarebbe «sempre più presa
dal desiderio... di far valere le sue
ragioni,
le sue
esigenze,
e in definitiva di esprimere in qualche modo una sua
politica».
E'
così che il movimento operaio borghese propone, per realizzare una repressione
incruenta dell'autonomia proletaria e per fare qualche esitante passo sulla via
italiana al socialismo, una miscela astorica fatta di maggiore democrazia
politica ed economica e di sganciamento dalla politica imperialista «poichè è
anche dall'autonomia o meno del nostro paese sul terreno internazionale che
discende la sconfitta o il successo del disegno avventuristico che ha
contrassegnato la crisi in corso», infierisce l'articolista succitato.
Ma
la realtà è che la crisi italiana non può essere compresa in un'ottica
nazionale e che l'imperialismo non è una politica avventurista intrapresa da
qualche folle militarista annidato alla Casa Bianca.
E
le borghesie nazionali, i fronti popolari democratici, le vie nazionali al
socialismo, pur coperte dalla dignità di un mito come quello della presa del
potere per via insurrezionale, non sono che mostri estinti con cui il movimento
operaio borghese e i rivoluzionari da tavolino giocano nel regno delle parole o
in una prassi di sconfitta.
Alla
crisi complessiva della società italiana il capitale internazionale risponde
con un'offensiva di destra. Sarebbe un grave errore, un'illusione pericolosa
pensare che si tratti di un'ennesima sbandata della borghesia italiana, come
dice il PCI, che si assume il compito di tirare le orecchie ai partiti di
centro-sinistra e di additare alla classe politica italiana la via maestra della
democrazia.
La
scelta di destra, che arriva fino a rimettere in corsa (per un breve tratto
naturalmente) il neofascismo, va inquadrata nella crisi del sistema di dominio
capital-imperialistico e
dell'offensiva generale della destra imperialistica a
livello mondiale.
In
poche parole: la scelta di destra del potere in Italia è
necessaria per la sopravvivenza del regime capitalista.
La
scelta del capitale imperialistico è
la controrivoluzione armata
È
vero, come afferma Mao, che oggi la tendenza generale
è la rivoluzione, ed è proprio la realtà attuale del nemico
complessivo, del capitale imperialistico, che pone le
condizioni necessarie all'unità
strategica del proletariato internazionale.
Il
capitale imperialistico diviene il portatore di questa
unità nella misura in cui ha toccato
i limiti estremi della sua possibilità espansiva.
Il
capitale imperialista ha mondializzato il suo dominio; possiamo
oggi dire che ci troviamo di fronte a un modo di
produzione imperialistico all'interno del quale, dagli Stati Uniti
all'URSS, le diverse borghesie nazionali, sempre più ridotte
al ruolo di fantocci, si dividono i ruoli di repressione,
divisione, controllo e integrazione del proletariato.
Questo
è il risultato di un lungo processo di mondializzazione
del capitale, la cui prima fase fu analizzata da
Lenin,
durante il quale esso ha spostato a un livello più alto
le contraddizioni
interimperialistiche e di classe che
generava.
Così
l'imperialismo
è costretto oggi non a una lotta per
espandersi ulteriormente, ma a una lotta per sopravvivere
a tutte quelle contraddizioni che
ha prodotto e unificato.
Dal
punto di vista di classe, questa mondializzazione del capitale imperialistico ha
prodotto il proletariato mondiale come
soggetto pratico della rivoluzione, oltre che come soggetto
teorico-storico.
Si
capisce così la realtà del capitale
imperialistico, la cui ragion d'essere e la
cui unica possibilità di sopravvivenza diventa
sempre più la distruzione dell'autonomia proletaria,
l'organizzazione dell'autodistruzione del mondo.
La
contraddizione principale che caratterizza la nostra
epoca è, dunque, quella che oppone frontalmente
la destra imperialistica e il
proletariato
rivoluzionarlo.
È
su questa contraddizione che il proletariato deve calibrare
la sua strategia, dato che non c'è via di mezzo tra reazione
e rivoluzione. È questa contraddizione che ci fa comprendere
storicamente fenomeni che vanno dallo scoppio
delle bombe di piazza Fontana, a opera della destra imperialista,
a situazioni come quella attuale del Medio Oriente.
Questo
lo ha capito Mao, lo hanno capito le organizzazioni
rivoluzionarie dei fedayn, questa è la dimensione di lotta
che vive gran parte del proletariato internazionale, ma lo hanno capito anche le
forze del capitale imperialistico,
la cui scelta sul piano mondiale è necessariamente e praticamente
una scelta violenta.
La
funzione dell'Italia nel
progetto della destra imperialista.
Su
queste basi il capitale imperialistico sta progressivamente
assumendosi direttamente la gestione dei centri di potere in Italia. In questo
senso si capisce come Colombo non
solo emani il decretone ma anche utilizzi l'industria di stato, dall'Alfa Romeo
alla Siemens, come punta nella repressione
violenta contro la sinistra proletaria.
È
all'interno di questa scelta che riacquistano spazio i gruppetti
fascisti, il MSI, la Cisnal, impegnati sia nella provocazione
antioperaia sia nell'attacco «armato» alle avanguardie
politiche e di lotta espresse dal movimento in questi
ultimi anni. I fascisti non sono più o non sono soltanto quindi, come pensano i
gruppi di Lotta Continua,
un tentativo di diversione della classe operaia dal suo compito principale di attacco alla produzione, ma sono la pattuglia
avanzata di ben altro esercito: quello che sta formando
la destra imperialista e che comprende magistratura, polizia,
partiti, organi supremi dello stato e forze repressive dirette
nazionali e internazionali. Un esercito
che ha oggi un compito ben preciso: dare
un assetto strutturale e politico
all'Italia che sia funzionale alla controrivoluzione armata
sul piano mondiale. In
questo senso vanno intese le dichiarazioni
di Nixon dopo il viaggio nel nostro paese secondo
le quali «gli scambi di opinione con gli uomini di
governo italiani sono stati molto utili, come utile è stata
la
collaborazione diplomatica
nelle scorse settimane, perchè
l'Italia possiede nell'area del Mediterraneo dei contatti e
delle fonti di informazioni di cui gli Stati Uniti non sempre
dispongono».
Per
questo, posta la questione nei termini: «bene, i fedayn
sparano, noi limitiamo la produzione, così poi arriverà
anche il nostro turno di sparare», significa viaggiare sulle ali
dell'idealismo puro. Perchè la questione non è dire «blocchiamo la produzione» - ennesima versione del vecchio sogno anarco-sindacalista - ma
semmai è: come
colpire nei suoi punti
vitali il capitale. E allora si vedrà che oggi tra il dire e il fare
della «lotta continua in fabbrica» c'è lo scontro con la destra
imperialistica, e che su questo scontro
bisogna unificare e organizzare la sinistra proletaria.
Fondare
la strategia rivoluzionaria della sinistra proletaria
sul livello di scontro che contraddistingue la nostra epoca implica il
fatto che si concepisca la destra
imperialista come
interlocutore diretto e non come un avversario indiretto,
di secondo grado.
Non
si tratta cioè di attaccare oggi
il
padrone in fabbrica,
e poi domani
la destra imperialista, come
se il nostro
avversario potessimo scegliercelo noi, e non fosse imposto dalla
situazione oggettiva. La tesi va ovviamente ribaltata: la
destra, che passa oggi attraverso vari schieramenti, è l'espressione della controrivoluzione mondiale
nel nostro paese, e in quanto tale è
il soggetto economicopolitico-militare
contro il quale si deve dirigere la
lotta rivoluzionaria del proletariato.
Violenza
di massa per l'autunno rosso.
Se
vediamo lo scontro di classe in atto in Italia come momento
della contraddizione mondiale che oppone
destra imperialista e proletariato rivoluzionario, è necessario, per
formulare delle ipotesi di linea politica all'interno della
strategia di lotta antiimperialistica, riconsiderare le
caratteristiche soggettive della
sinistra proletaria italiana.
Gli
ultimi mesi di lotta non hanno presentato dal punto di
vista dell'autonomia proletaria caratteristiche qualitativamente
nuove.
Il
dato
rilevante è
quello
di una grossa espansione dei contenuti
dell'autonomia che erano già
stati espressi
nel '68; i contenuti e le forme delle lotte più avanzate
- dalla
Pirelli alla Fiat a Porto Marghera - sono
oggi una realtà che incombe su tutto l'arco della produzione italiana.
Il
limite principale del
movimento appare evidente di fronte
al salto di qualità operato dal capitale, il
quale è passato dalla fase di
difesa degli equilibri e di contenimento dell'autonomia, all'offensiva della
destra imperialistica.
I fatti di Trento, dove sono stati accoltellati due operai
in fabbrica, la polizia che spara a Porto Marghera, l'offensiva della
Cisnal e dalla UIL nelle fabbriche a gestione statale, la repressione
individualizzata delle avanguardie, il proseguire delle «serrate» antioperaie, il
decretone di Colombo e il
viaggio di Nixon sono i primi segni di
come si muoverà la destra, di quali sono le sue scelte tattico-strategiche,
le forme violente e le forme «legali» della
sua azione.
L'autonomia
proletaria è in grado attualmente di opporre
soltanto la violenza di massa «disarmata».
Le
forme che la violenza di massa può assumere nei
prossimi
mesi sono differenziate e già alcune indicazioni emergono
da questa primissima fase della fine estate. Ma
il punto
fondamentale è che lo scontro di classe tenderà
ad assumere la forma della violenza di massa: che
tutte le altre forme saranno
secondarie, che tutto ciò che si sviluppa al di sotto è parziale e secondario,
e che tutte le forze politiche che organizzeranno solamente i momenti
parziali opereranno al di fuori della possibilità di
un salto nella strategia di lotta contro la destra imperialista.
Forze
che assumeranno un ruolo controrivoluzionaria nella
misura in cui organizzano le masse parzialmente,
gestiscono momenti di
disgregazione sociale per arrestarla; come
fanno i revisionisti nel loro disperato tentativo di fondare
su un processo di disgregazione dell'ordine sociale borghese
un ordine social-borghese più «avanzato», o per estenderla
senza salti qualitativi e giocarla in un'insurrezione perdente, come è nella logica politica reale
dell'anarcosindacalismo.
Organizzare
le masse parzialmente è
controrivoluzionario perchè:
1)
le contraddizioni che esprime il movimento di massa,
anche quando si presenta solo come disgregazione sociale,
sebbene non trovino generalmente la forza di liberarsi
in tutta la loro potenza, non sono contraddizioni parziali e settoriali,
ma contraddizioni con l'ordine sociale stesso, con l'universalità del dominio
del capitale imperialistico divenuto
oggettivamente insostenibile e soggettivamente intollerabile.
Per
questo ogni ipotesi gradualista, sia di gradualismo riformista
sia di gradualismo «rivoluzionario», è una forma
di utopia suicida per il proletariato;
2)
il livello soggettivo d'organizzazione è inadeguato ad
affrontare lo scontro che oggi il capitale imperialistico impone alla
sinistra proletaria. E qui partiti e
sindacati appaiono opportunisti
e avventuristi insieme. Opportunisti
perchè instaurano un rapporto meccanico
con le masse e si illudono di sfuggire alla realtà dello scontro come
viene imposto
dalla situazione oggettiva; avventuristi perchè
preparano una schiacciante sconfitta strategica della
classe operaia. A colpi di manifestazioni pacifiche e
di interpellanze in Parlamento, o a
colpi di scioperi legali o «selvaggi»
(con qualche improvvisata puntatina
verbale sui temi dell'imperialismo)
sarà difficile non solo battere ma
neppure resistere all'offensiva imperialista.
Ciò
che accomuna oggi, revisionisti e anarco-sindacalisti è il fatto che entrambi costruiscono la loro strategia, al di
fuori delle masse,
tentando di strumentalizzare quello
che è un momento del processo di emancipazione del proletariato, la violenza di massa, in direzione di due obiettivi
estranei al proletariato stesso: per i primi la possibilità della
ristrutturazione socialcapitalista, per i secondi l'egemonizzazione
del movimento operaio su contenuti, obiettivi e forme di lotta di tipo
populista, che costituiscono la vocazione più
profonda e sempre frustrata della piccolo-borghesia.
Revisionisti e anarco-sindacalisti anche se
tentano entrambi di travestirsi da leninisti, e vociferano instancabilmente
di volere gli interessi della classe operaia, lottano in
ultima analisi per imporre al proletariato la loro egemonia borghese,
piccolo borghese, o studentesca che sia. Entrambi costruiscono rapporti
avanguardia-massa e concezioni della violenza
nelle quali il proletariato non è che un dato, un oggetto
da incantare. Entrambi tentano di espropriare il proletariato
della coscienza di sé: i revisionisti verso un interclassismo
appena travestito, gli anarco-sindacalisti in un operaismo
metà mistico e metà sociologico.
Per
noi la violenza di massa che caratterizza questa fase della
lotta di classe in Italia non è un dato sul quale costruire
riforme o insurrezioni disastrose, ma è un punto di partenza da sviluppare, è
la base materiale che va dialettizzata tutta col livello di scontro che
il capitale imperialistico impone
all'autonomia proletaria in Italia come in Medio Oriente, nel
Vietnam come nell'America Latina. È l'occasione storica perchè la lotta
del proletariato italiano (ed europeo) si
saldi con la lotta rivoluzionaria del proletariato mondiale.
da Sinistra Proletaria, sett-ott 1970