L’economia è in crisi… Che crepi!
“Interesse: bella parola per usura.
Finanza: bella parola per furto”
M. Schwarz, capo-contabile del più grande banchiere del ‘500
La crisi economica si inasprisce e infrange ogni illusione su di una ripresa a breve e medio periodo.
Oltre la cortina fumogena di futuri radiosi, dipinta dai media, c’è la solida realtà della precarietà sociale diffusa, della criminalizzazione di proletari immigrati, del restringimento dei margini di mediazione col blocco sociale dominante, su qualsiasi questione interessi i lavoratori, sia che si tratti delle modalità di assunzione e licenziamento, piuttosto che del salario, dell’orario, come, in generale, delle condizioni complessive di sfruttamento.
Se la borghesia ha il fiato corto da un pezzo e si mostra sempre più inadatta a gestire l’attuale corso economico-sociale, per i lavoratori si aprono inedite possibilità per esprimere la propria forza latente, sfruttando la debolezza reale di parte padronale.
Dalle crepe di questo sistema, emergono alcune interessanti indicazioni di organizzazione autonoma di porzioni di classe, di cui l’area metropolitana milanese ha conosciuto, e conosce tuttora, alcuni esempi significativi.
Queste reazioni esprimono, in un contesto di contraddizioni che andranno sempre più esacerbandosi, impreviste modalità di risposta.
Il loro significato non va collocato solo nel qui e ora, ma in prospettiva: è per questo che quando il partito dell’ordine non riesce a recuperare le spinte alla rottura, per non cedere terreno, si serve di un dispiegamento di forze che alcuni ritengono «eccessivo».
In realtà, i padroni, hanno ben chiaro qual è la posta in gioco, nello scontro di classe, e per conservare il loro potere, agiscono di conseguenza, spesso barando e soprattutto senza troppo fair-play, proporzionando la propria azione in base alla loro paura.
L’attuale fase ha visto riemergere un bisogno di protagonismo sociale da parte dei lavoratori, incalzati da un costante peggioramento delle proprie condizioni di lavoro e di vita e schiacciati da una prospettiva che non sembra invertire, ma rafforzare, questa tendenza a toccare il fondo...
Se i metalmeccanici hanno aperto le danze con lo sciopero di 4 ore, proclamato dalla sola FIOM, nell’estate del 2001, gli scioperi nel pubblico impiego e nella scuola, e poi lo sciopero generale dello scorsa primavera e quello di questo autunno, hanno riaperto una nuova stagione di conflitto sociale, che con la crisi FIAT ha assunto un carattere più marcato e reso ancora più incerte le previsioni sul futuro della lotta di classe nell’area europea.
L’assenza, il ruolo subalterno o la vera e propria opera di “pompieraggio” e repressione, delle formazioni della sinistra parlamentare e sindacale, in alcuni conflitti a Milano, e provincia, non sono dovute a caratteristiche peculiari del ceto politico locale.
Tali attitudini sono dovute ad una modalità d’azione per cui da un lato, non va - perché non può e non sa - andare oltre le innocue passeggiate cittadine, la raccolta di firme o i girotondi, e dall’altro non può che serrare le fila insieme alle forze dell’ordine, magari denunciando, anche preventivamente, come “criminali”, le iniziative più incisive della classe: sia che si tratti di vertenze sui posti di lavoro, sul territorio - come le occupazioni di case sfitte - , o su questioni riguardanti il controllo sociale - come le rivolte carcerarie.
Solo chi ha profondamente a cuore solo la pace sociale e l’antepone alla giustizia sociale per i salariati, sentendo direttamente minacciato il proprio ruolo di elemento stabilizzatore, teme un inasprimento del conflitto e un reale cambiamento dei rapporti di forza, che lo porterebbe al naufragio, mentre tutti i sinceri oppositori allo stato di cose presenti, si auspicano che la paura cominci a cambiare di campo.
Nelle manifestazioni di “mobilitazione dall’alto” a livello nazionale e locale si esprimono, da parte della CGIL, come delle altre organizzazioni storiche della sinistra, la volontà di giocare un ruolo come interlocutore delle scelte economico-sociali del governo e delle amministrazioni locali, come co-gestori attivi della crisi in atto.
In particolare, la strategia del «sindacato di tutti i cittadini» consiste nel voler formare, con questo revival militante di difensore degli oppressi, una base di consenso che gli permetta di avere un peso maggiore negli equilibri di potere all’interno della coalizione di centro-sinistra, per vivacchiare, grazie al contributo elettorale, all’ombra di un governo amico, che, nei sogni mostruosamente proibiti della base di lavoratori dipendenti dei Ds, ha il Sergio nazionale come premier, con Moretti & company a tiragli la volata.
La CGIL, In continuità con il suo pluridecennale programma, vorrebbe continuare a ridisegnare, in pace, la configurazione dei rapporti giuridici di lavoro, fornire servizi fiscali, svolgere un ruolo di intermediatore di manodopera (con le agenzie di lavoro interinale, di collocamento privato, di formazione), diventare investitore borsistico di punta grazie ai fondi pensione “chiusi” – a cui, tra l’altro, dovremmo presto immolare il nostro TFR – e ultimo, ma non meno importante, fare scemare le lotte, quando ci sono.
Chi si ricorda la proposta del Cinese di trasformare i conflitti di lavoro in scioperi virtuali, ovvero lavorare durante lo sciopero e devolvere in beneficenza il proprio stipendio ad una ONG?
Le assemblee in cui i funzionari sindacali pubblicizzavano i fondi chiusi pensionistici del sindacato, nuove frontiere di investimento per una pensione sicura?
Gli incontri in cui ogni sacrificio dei lavoratori in termini di salario, flessibilità, precarietà sociale veniva presentato come toccasana per l’unione europea, mentre ora, la febbre dell’euro, non riesce a coprire la realtà di una inflazione galoppante?
Questa è la linea di condotta dei sindacati maggioritari, non solo in Italia, ma in tutta Europa.
È a questo spazio politico e sociale a cui bisogna cominciare, almeno, a relazionarsi, come lavoratori, non solo nella capacità di convertire mentalmente le vecchie lire nei nuovi euro, ma nell’ essere consci del fatto che in una area geografica che ben presto andrà dal Portogallo alla Lettonia, dal Baltico alla vicino oriente, scambieremo la nostra forza lavoro contro la stessa moneta, in caso di Euro un forte, o la stessa patacca, in caso di un Euro debole.
Bisogna ricordare, che fino ad ora, gli unici scioperi veramente europei, per quanto pieno di limiti e contraddizioni, sono avvenuti nel settore aereo-portuale e all’Alacam.
Il paradosso più evidente sta nel fatto che le organizzazioni sindacali chiamano ora alla mobilitazione per la difesa di una modalità di compromesso sociale tra Capitale e Lavoro, mentre la loro azione, nel ventennio che ci precede, è stata indirizzata verso lo smantellamento dell’impalcatura che poteva sorreggere tale patto, di cui si reclama una parziale conservazione “di facciata”.
È come se le iniziative della sinistra, avendo adempiuto al suo ruolo storico di pacificatrice sociale, abbiano preparato in questi anni il suo stesso superamento, e completamento, da parte della destra, a cui ha passato il testimone, di tutore di “legge e ordine” capitalistico, di cui i destri figuri nostrani e forestieri, sono solo utili idioti al soldo del blocco sociale dominante e più meno zelanti cani da guardia dell’imperialismo made in Usa.
Bagliori nella notte…Astri nascenti della lotta di classe
In questo giornale, non cerchiamo di limitarci solo a dare una cronaca “giornalistica” che fotografi l’esistente e che ne restituisca un immagine statica, ma collochiamo ogni manifestazione di conflitto metropolitano, in movimento, nella serrata dialettica dello scontro tra le classi.
Il peso di ogni manifestazione di classe, per noi, si misura rispetto alla sua collocazione all’interno dell’organizzazione complessiva del sistema di produzione e di riproduzione esistente, rispetto alla porzione e la composizione dei lavoratori coinvolta, per le forme che adotta e per la sua capacità di parlare universalmente al movimento di classe in generale, prefigurandone limiti e prospettive.
Alcuni esempi?
La riorganizzazione dei trasporti su rotaia ha innescato una lotta come quella dei lavoratori delle pulizie ferroviarie, che ha avuto, nei momenti più caldi a dicembre dell’anno scorso, a febbraio, e in misura minore, ad aprile, il suo epicentro, proprio a Milano: sciopero “a gatto selvaggio” ad oltranza, blocco del traffico ferroviario, picchetti volanti per impedire al personale esterno di lavorare, chiassose e movimentate manifestazioni improvvisate sotto la direzione FS e Asslombarda.
Allo stesso tempo, questa vertenza ha mostrato i limiti di questi operai nel sapersi organizzare e collegare autonomamente, la capacità di pressione e recupero della macchina sindacale confederale - in aperta collaborazione con le forze di polizia – , la scarsa capacità di parte del variegato arcipelago della sinistra antagonista, sindacalismo di base compreso, di legarsi attivamente alla lotta, nonostante l’attività di cassa di risonanza, di supporto e di intervento attivo compiuta da alcuni compagni.
Lo “sboom” della new-economy ha conosciuto il primo tentativo di organizzazione dei lavoratori della rete, a cominciare con la vertenza di Virgilio-Matrix, con la formazione delle Tute Arancioni, che si sono collegate a lavoratori di altre aziende del settore, come Blue, ed ad altri spezzoni di classe in lotta, per questioni di più largo respiro, come lo sciopero generale del marzo scorso.
La capacità di lettura più complessiva della crisi sociale che possono fornire, questi lavoratori soggetti alla proletarizzazione, insieme al contributo di inchiesta sulla rete di relazioni dell’organizzazione della produzione e della distribuzione, e non ultimo, il salto di qualità, che potrebbero stimolare, nella capacità di comunicazione orizzontale per i vari soggetti in lotta, li rende una valida risorsa, nel momento in cui la loro azione non si areni nel riconoscimento della professionalità e non si esaurisca nelle rivendicazioni neo-corporative del, già nato vecchio, nuovo sindacalismo.
L’inasprirsi della questione abitativa ha dato vita a occupazioni di stabili sfitti, più di tremila, nella sola Milano, alla parziale resistenza positiva agli sgomberi, come in via Palmieri, nel quartiere Stadera e in via Adda, e ad un inizio di organizzazione in questa direzione, che ha visto la nascita del Comitato di Lotta per la Casa.
Questa esperienza, partendo dai bisogni reali, vuole dare una aspettativa a più largo respiro alla “condizione urbana” dei proletari.
Se riuscirà ad uscire dalla situazione particolare, e dal clima emergenziale di difesa ad oltranza delle occupazioni, e se saprà radicarsi e sedimentarsi nei quartieri più interessati al fenomeno del caro affitti, riuscendo a impedire ai padroni della città di trattare, con esito positivo, il problema, come mera questione di ordine pubblico, avrà posto le basi per una reale aggressione all’attuale gestione delle politiche del territorio.
Un discorso a parte va fatto, poi, per tutti quei lavoratori generosi militanti sindacali che considerano l’attuale struttura delle RSU un ostacolo, più che uno stimolo, all’iniziativa, non trovano uno sbocco reale d’azione nella struttura ingessata del sindacato di categoria, e nei giochi della Politica della burocrazia confederale, ma che possono ritrovare nel collegamento autonomo su base territoriale, oppure attraverso l’organizzazione complessiva della produzione, una dirompente capacità d’azione comune, come hanno già dimostrato i metalmeccanici della FIOM di Vicenza, città in cui è avvenuto il primo sciopero contro la Bossi-Fini, di cui sono stati i promotori.
Questo giornale vuole essere uno strumento aperto di comunicazione orizzontale del Collettivo per La Rete dei Lavoratori di Milano, vuole irradiarsi nell’area metropolitana e contribuire alla riflessione.
Vuole riuscire a mappare e mettere in collegamento le manifestazione di conflitto, dalla singola vertenza aziendale allo sciopero di zona, dalla lotta contro gli sgomberi, e per l’occupazioni, di stabili sfitti all’attacco alla aggressione contro la macchina di detenzione e espulsione dei proletari immigrati, dalla solidarietà internazionale alla denuncia dei metodi di controllo sociale.
Il nostro contributo alla lotta di classe, come Collettivo per la Rete dei Lavoratori, avrà dato i suoi frutti quando riuscirà a sviluppare una rete di collaboratori attivi che si riconoscano nello spirito della contro-informazione e dell’intervento, non solo riuscendo ad essere fonte viva della cronaca e a far riflettere su una particolare situazione (o un aspetto particolare) dell’agire di classe, ma incominciando a sedimentare l’embrione di una rete che si muova magari tra le maglie dell’organizzazioni politiche e sindacali, attraversandole e contaminandole, ma cercando sempre, come impulso all’iniziativa e all’organizzazione indipendente, di superarle.
da Inflessibili n.1 - 2002