Sindacato e sindacalismo

 

“Invece del motto conservatore -un salario giusto per un giusto lavoro!- la classe operaia dovrebbe scrivere sulla sua bandiera la parola d’ordine rivoluzionaria: basta con il sistema del salario!” (K.Marx)

 

In questa fase, dopo la rottura sindacale, ad opera della FIOM, il dibattito politico-sindacale, ha ripreso quota. Dopo anni di torpore, la più grande centrale che organizza gli operai dell’industria, si è data una parvenza di durezza e di contrapposizione ai padroni. Tuttavia non crediamo che il problema per gli operai sia avere un sindacato più a sinistra, ma rompere con la logica stessa dell’organizzazione sindacale e del relativo sindacalismo, per lo sviluppo dell’autonomia proletaria.

 

Ieri

 

I sindacati nascono quasi 150 anni fa, come risposta istintiva dei lavoratori contro lo sfruttamento capitalista. Hanno come antenati le corporazioni artigianali, che si tramutano in associazioni di mutuo soccorso, per poi arrivare alla forma attuale, tramite lo sviluppo dei salariati nelle manifatture e nell’industria meccanica.

La classe operaia all’epoca era molto più divisa di ora, sia a livello geografico sia a livello salariale contrattuale. Inoltre non possedeva quel peso sociale così massiccio rispetto l’ampiezza dell’economia agricola nell’800.

Pur iscrivendo nei propri statuti proclami per l’abolizione del lavoro salariato, queste organizzazioni erano l’intermediazione tra il padronato e la massa lavoratrice. Le loro lotte e i loro sacrifici, sfociavano nel compromesso fra le classi, che non poteva che tornare a vantaggio della classe più forte: la borghesia.

Questo spiega il perché della nascita, fin dai primordi, di una minoranza burocratica che gestisse questa contrattazione. Il peso della burocrazia è aumentato mano a mano che i sindacati si estendessero. La crescente complicazione tecnica dei negoziati con i padroni rinforzava, inoltre, nell’apparato sindacale, l’influenza degli “specialisti” a scapito degli agitatori (spesso prodotto spontaneo della base operaia), tanto che, i lavoratori sindacalizzati si trovavano totalmente esclusi dalle decisioni dell’organizzazione.

Le concessioni del padronato, procedettero verso una diminuzione dei tempi di lavoro recuperata da una maggiore intensità e produttività del lavoro stesso. In questo processo il sindacato garantiva di volta in volta le mutazioni, e le sottodivisioni di classe. Alcune frazioni di classe operaia arriveranno, grazie al loro posizionamento nazionale di lavoro e di relativa rappresentanza in grandi centrali sindacali, a vedere assicurati dei vantaggi, che spesso si tramutavano in peggioramenti per altre fasce di lavoratori, per formare una -aristocrazia operaia- che si rispecchiava nella burocrazia sindacale.

A partire dalla Prima Guerra Mondiale, terminando il periodo trionfale del capitalismo (nota si analizza l’occidente), le concessioni del padronato si riducono e anche le strutture sindacali mutano di ruolo.

La durata del lavoro diminuisce solo lentamente e a volte aumenta, soprattutto se si tiene conto dei trasporti, che compaiono come settore di massa proprio agli inizi del secolo scorso.

I servizi sociali (il famoso stato sociale) era una redistribuzione del salario fra i lavoratori. I contratti di lavoro, servirono soprattutto a regolamentare gli scioperi. L’aumento dei salari era pagato a caro prezzo con l’aumento dei ritmi di lavoro.

In una tale situazione l’organizzazione sindacale si tramuta in strumento repressivo, visto il manifestarsi di lotte autonome che rompono con il piano legale.

Con la diminuzione dei margini di trattativa e con la pericolosità dello scontro sociale (vi sarà un incremento di spesa rispetto al capitale costante: ossia nell’investimento di materie prime e macchinari) il padronato utilizzerà il sindacato come agente diretto nell’amministrazione del presente. La fascia burocratica sindacale, rappresenterà l’anello di congiunzione e di azione di questa strategia. Il sindacato da struttura di mediazione tra lavoratori e padroni diventa essa stessa struttura del capitale.

Vi sarà un sempre più deciso richiamo all’amministrazione dell’organizzazione piuttosto che un incitamento all’intervento diretto degli operai nel sindacato, in questo modo la burocrazia consoliderà il suo potere interno.

Contrariamente a quello che passa, tra le file della sinistra, la cosidetta -concertazione- è un fenomeno molto più vecchio, ossia la capacità del capitale di legare quote sempre maggiori di forza lavoro al suo interesse. La struttura sindacale sarà l’involucro che garantirà questo. In quest’ottica va intesa “la primavera del sindacalismo” negli anni 70, con la stagione del sindacato dei consigli [1], in quanto questa era la risposta del riformismo di sinistra rispetto agli interessi di classe generali dei lavoratori espressi nelle lotte autonome (scioperi selvaggi, sabotaggi, assenteismo, rifiuto del lavoro), e esprimeva l’esigenza di una maggiore presenza dello Stato, nella vita sociale. La creazione di simili strutture, legalmente riconosciute, erano le propaggini di questa evoluzione. La recente evoluzione dei consigli di fabbrica nelle RSU, rappresenta lo sviluppo finito di questa forma di cogestione, dove vi è una completa sudditanza amministrativa-statale di queste strutture al capitale.

Ora un tale processo, non si presenta come un -tradimento- rispetto alle vecchie origini del sindacato, ma una evoluzione che vede la massa dei lavoratori e le proprie organizzazioni partecipare all’evoluzione del capitalismo. Non è un caso che la sola rottura effettiva sul piano dei rapporti sociali di massa, che si è potuta vedere sul pianeta terra, è avvenuta negli anni 20 (dentro il periodo delle grandi rivoluzioni), dove si vide una riduzione dell’orario di lavoro su scala mondiale, senza un aumento dei ritmi. In mancanza di questa fase, ossia di piena rottura con il capitalismo, i miglioramenti salariali dei lavoratori hanno coinciso (con il sindacato o senza) con l’andamento economico complessivo della società. Gli aumenti salariali degli anni 67-75, si sono ottenuti a livello mondiale, e non a causa di una insorgenza operaia (basti osservare gli aumenti avvenuti nella Germania Federale, dove aumenti del 15-17% venivano spuntati senza un ora di sciopero, ma vi è stato un incremento parallelo della produttività del lavoro.

 

Oggi

 

Un sindacato per esistere ha bisogno di due fattori: 1) che il capitalismo continui a svilupparsi 2) che i propri iscritti contino qualcosa rispetto alla massa di non iscritti.

Dal momento che si incrinano questi fattori, il sindacato si trova ad essere sorpassato. In questa fase, stiamo arrivando alla fine storica della forma sindacale e della mediazione contrattuale, non tanto grazie alla azione operaia, ma all’incapacità del capitale di poter fare concessioni reali alla classe lavoratrice. L’evoluzione finale del sindacato, è quello di divenire un appendice dello Stato, per fungere da amministrazione di alcune porzioni di salario (dalle pensioni alle gestione della burocrazia amministrativa per i contributi e le tasse). In questo senso è inutile invitare i lavoratori ad uscire dal sindacato, così come crearne di nuovi. I lavoratori vedono il sindacato, così come vedono una qualsiasi struttura amministrativa, dai servizi sociali, al commissariato di polizia.

La diminuzione del potere d’acquisto dei salari, l’aumento dei ritmi, viene mascherato, con una saggia divisione di classe, con forme di credito sempre più spinte, ma queste rappresentano solo dei palliativi. Le guerre e le recessioni economiche si susseguono su scala mondiale ad un ritmo sempre più accelerato, mai come ora l’intervento militare è posto come risoluzione dei problemi. I turbolenti anni 70, possono essere visti come un periodo di relativa quiete, se si considerano gli interventi militari massicci che il capitale è costretto ad impiegare ora. La stessa evoluzione e ampliamento del sistema carcerario e detentivo è il segno di un malessere sociale sempre più diffuso, mai come ora le carceri sono diffuse in Italia e sono così piene di proletari.

Il sindacato subisce di volta in volta delle emorragie, come nel caso delle nascita del sindacalismo di base, o delle rotture come la recente svolta della FIOM, ma questo non ha niente a che fare con il reale avanzamento del potere di classe. Entrambi, il sindacalismo di base e la FIOM, agiscono nel medesimo contesto economico e sono espressione di forme organizzative incapaci di promuovere una rottura autonoma di classe. Quest’ultima può avvenire in organismi che assumono queste prerogative:

Con questo non si vuole escludere che in lotte dove si ha una presenza del sindacato non esista la possibilità che si sviluppino lotte e forma organizzative autonome. O che sia la semplice assenza del sindacato a rendere possibile lo svilupparsi di lotte non recuperabili dal capitale in fase di trattativa.

 

Domani

 

In questa fase, ogni struttura di lotta permanente della classe è destinata a naufragare. Il potere e l’avanzamento numerico di qualsiasi struttura di lotta deve scontare e accettare la sua sottomissione al capitale, o il suo annullamento, vista la mancanza di visibilità della forza di classe ora.

E’ ingenuo però credere che la classe operaia rifiuti la realtà quotidiana. E’ perfettamente logico utilizzare cinicamente le istanze sindacali per difendere la propria situazione materiale.

Se è vero che la maggior parte dei lavoratori combattivi sono dentro i sindacati, questo non può essere preso a giustificazione e appoggio incondizionato di un neo-sindacalismo duro. Da un lato lo stesso settore di classe che dovrebbe essere rappresentato da “un sindacalismo duro” esprime lo stesso torpore generale della classe. Si hanno ottimi attivisti sindacali in grado di farsi delegare, ma alle spalle non vi è nessuna porzione combattiva di classe. Inoltre vi è la possibilità di lotte che rompono con la pace sociale, portate avanti dai settori meno sindacalizzati, meno tutelati, dove i margini di contrattazione sono ancora più esigui. Queste fasce (giovani operai, operai immigrati, fasce proletarizzate) rappresentano la scintilla, la dinamo interna del motore più grande: la classe lavoratrice. Sono l’anticipazione del rivolgimento più generale, molto più di una RSU combattiva.

In linea di tendenza, poi, si deve osservare come vi è una sempre maggiore livellazione della condizione proletaria, e uno spostamento al ribasso delle fasce di lavoro “garantito”, le lotte degli insegnati in questi ultimi anni ne sono un esempio lampante. Una tale condizione rende possibile pensare su scala generale, un risveglio di lotte con un conseguente cambiamento della società. E’ nella crisi del capitale che vi può essere una effettiva unità di interessi di classe, poichè vi sarà un generale interesse di classe a contrastare il capitale.

La capacità di sviluppare autonomia di classe, va molto al di là delle strutture sindacali, ed è espressione di forme molto più mobili. Compito degli operai rivoluzionari sviluppare questo processo e di rompere ogni illusione rispetto all’agonia del capitalismo. Il prolungare l’illusione di una società del benessere, dove è solo per colpa dell’avariza del padrone che i lavoratori stanno male, frena la nascita di una coscienza di classe rivoluzionaria, rispetto alla complessità del capitale e dell’attacco che gli va portato.

Sul terreno minimo questo giornale, così come altri in Italia (e nel mondo) rappresentano tentativi di fissare alcune basi di collegamento e di chiarificazione per tutti gli operai combattivi, che non si accontentano delle paccottiglie dei presunti guaritori del capitalismo. E’ un prodotto di una minoranza, ma è al tempo stesso, sintomo di una capacità di chiarificazione all’interno della classe.

 

un operaio incazzato



[1] La stagione dei consigli ha rappresentato la parziale egemonia della sinistra sindacale rispetto alla triplice, utilizzando la nascita dei Consigli di Fabbrica, sposando tesi che esaltavano l’autogestione dei lavoratori.