Nati Precari?
Il senso comune dei lavoratori era abituato a considerare, un lavoratore ‘precario’ come colui in cerca di una occupazione stabile, e che temporaneamente si barcamenava a seconda dell’età, dell’esperienza maturata, del grado di istruzione e della nazionalità di provenienza in settori marginali e periferici rispetto alla produzione, o in occupazioni tra le più usuranti e meno qualificate, dove la capacità di sopportazione della fatica era sostanziata da schiaccianti necessità economiche o da veri e propri ricatti giuridico-polizieschi: si pensi alla situazione di proletari da poco immigrati dal ‘paese’ d’origine e facenti parte di comunità ancora poco ‘strutturate’ sul territorio. I cantieri edili, le cucine di alberghi e ristoranti, i campi di raccolta, le cooperative di facchinaggio - talvolta gestori in terra d’Emilia della logistica di una intera azienda o dei magazzini della grande distribuzione - sono le dure scuole d’apprendistato per questi lavoratori. Talvolta sempre il senso comune considera il lavoratore precario, come colui che cerca solo una integrazione di reddito, magari ancora studente-lavoratore o alloggiante quasi trentenne nel caldo tepore delle mura familiari, oppure in quella galassia della condizione salariata ‘al femminile’ in cui una occupazione part-time od in ritenuta d’acconto, come al nero, nasconde una situazione di doppio-lavoro effettiva, spesa tra le mure domestiche, la cura dei figli o di un genitore ‘a carico’, e le attività effettivamente remunerate.
La precarietà entra in fabbrica
Con l’introduzione di tipologie contrattuali a termine, ed il suo uso ed abuso da parte delle aziende, talvolta oltre i già ampi limiti di utilizzazione previsti dalla legge (con la tacita o esplicita complicità delle R.S.U.), anche nel cuore del sistema produttivo: la fabbrica, la precarizzazione della forza-lavoro diviene un fatto compiuto, soprattutto per le giovani leve operaie. L’introduzione di questi contratti non è solo in funzione di dilatazione dei tempi di selezione e scrematura dell’organico da assumere, cioè quel lungo purgatorio prima di raggiungere il paradiso del posto fisso, ma è utilissimo ai padroni per stagionalità, picchi di produzione, mansioni che hanno bisogno, anche per periodi medi o lunghi, di personale usa e getta da spremere e buttare. Su questo personale l’azienda non investe in formazione, ma scarica questa e le varie deficienze dell’organizzazione del lavoro sui suoi dipendenti, non garantisce una assunzione futura, ma solo pie illusioni, e su cui esercita talvolta un margine di ricatto maggiore, che si riverbera anche in un maggiore ricatto sui lavoratori a tempo determinato che considerano talvolta questi lavoratori come esterni (è il caso tipico del lavoro cooperativo e di quello interinale) o potenzialmente minacciosi . Le modificazioni del mercato del lavoro portate avanti neo-corporativamente da sindacato, padroni e dai governi succedutesi in questi anni, gli ultimi rinnovi contrattuali, che non danno a livello giuridico-vertenziale nemmeno uno straccio di appiglio a cui agganciarsi per l’assunzione in pianta stabile di questi lavoratori, nonché tutta quella serie di norme che rendono ancora più flessibile ed individualizzato l’orario di lavoro( si pensi alla ‘banca ore’ ed alla individualizzazione degli straordinari), nonché il clima di passività nei posti di lavoro, determinano un contesto di difficile controllo delle assunzioni, del rapporto organico-produttività, dell’orario di lavoro e del costo del lavoro, cioè della quota di salario pagata per il lavoro effettivamente svolto.
Ti affitto un lavoratore
La vicenda legata al lavoro interinale è paradigamatica. Le condizioni sempre più vantaggiose per i padroni e manco a dirlo più svantaggiate per i lavoratori, per ciò che riguarda la sua estensione(ora anche all’edilizia, e all’agricoltura, prossimamente al settore portuale), la possibilità di utilizzazione (l’8% dell’organico su base trimestrale), i livelli di retribuzione(ora si può assumere con la qualifica più bassa) e di garanzie minime effettive, il suo esplosivo sviluppo nelle realtà economiche più rigogliose hanno visto coinvolto in questo business anche i sindacati, direttamente gestori di alcune agenzie(CGIL-Obiettivo Lavoro, CISL-CRONOS...). In alcune realtà, queste agenzie sono diventate il filtro indispensabile per trovare lavoro, soprattutto per le mansioni operaie meno qualificate, con il settore metalmeccanico a farla da padrone. A volte capita infatti, portando il proprio curriculum nelle aziende, di essere spediti nell’agenzia interinale di riferimenton (Ducati Motor-metalmeccanica, Alcisa-alimentare, ecc.) oppure, concluso il contratto a termine od il contratto formazione lavoro con l’azienda, si viene consigliati dal direttore del personale di farsi assumere dall’agenzia di lavoro interinale di riferimento per continuare a lavorare per quella azienda (Manuli-autoitalia, RCD-metalmeccanica, ecc.). Altre volte il contratto interinale viene rinnovato per più volte, fino ad accumulare una anzianità di servizio presso l’azienda di un anno e più, per poi stare a casa per un po’ e iniziare nuovamente presso la stessa ditta magari ancora tramite agenzia, fino all’assurdo di utilizzare i lavoratori interinali in casi in cui siano in atto procedimenti di mobilità (CEAM-metalmeccanica), od in funzione anti-sciopero come è accaduto per gli scioperi del rinnovo del contratto metalmeccanico. La defiscalizzazione ed altri vantaggi collaterali prima, la possibilità di assumere ora personale che viene pagato secondo i parametri retributivi delle qualifiche più basse, il fare contratti che vanno da poche ore a mesi, e poi mesi, rende questo strumento particolarmente appetibile per i padroni. A Bologna la Ducati motor, con un organico attorno alle mille unità, ha dal 14 Gennaio scorso più di 100 interinali, per così dire fissi, in realtà sottoposti ad un turn-over calcistico, per non parlare degli altri lavoratori con vari contratti a tempo determinato, alla Magneti-Marelli, fabbrica con più di 1000 unità, gli interinali ed i contratti week-end hanno soppiantato i contratti semestrali…Se poi si considerano altri stabilimenti medi, piccoli o piccolissimi, la sostanza non cambia, visto tra l’altro che l’unico paletto effettivo, vieta che gli ‘interinali’ superino la quota dei lavoratori ‘fissi’.
Così come sono stati ridefiniti i volumi di merce ‘in arrivo’ o ‘in partenza’ giacente in magazzino secondo il principio dello zero stock assecondanti una produzione just-in-time, pronta a rispondere immediatamente agli ordini del mercato per la casa madre, o del committente per le aziende dell’indotto, anche l’organico viene modellato da queste esigenze, ‘gonfiandosi’ in caso di picco, di lancio di un nuovo prodotto, di una stagionalità di punta, ecc. e ‘sgonfiandosi’ in caso di riflusso degli ordini, di una contingente situazione di difficoltà, e così via. Sebbene una quota della forza lavoro possa essere comunque assunta e ‘assumibile’ tramite contratti a termine, e le forme e l’utilizzazione di questi possono essere ampliate e diversificate, cioè si assiste e si assisterà sempre più ad una ‘stabilizzazione’ della precarietà, l’azienda avrà sempre bisogno di un nucleo di lavoratori più qualificati, dotati di una certa professionalità interna, in grado di risolvere le deficienze dell’organizzazione del lavoro, lavoratori che si facciano maggiormente carico di alcune responsabilità produttive, e siano tendenzialmente inclini ad un rapporto di fedeltà con l’azienda, nonché ‘aziendalmente’ più tutelabili da forme di rappresentanza sindacale più tradizionali e corporative. La mobilità sociale, mentre fa transitare porzioni consistenti della classe lavoratrice in più siti produttivi - vestendo alternativamente la tutina blu di metalmeccanico piuttosto che il completino bianco da lavoratore alimentare, o gustando le brezza di uno stabilimento chimico, o di un centro commerciale - rende allo stesso tempo questi lavoratori poco inclini al riconoscimento in una azienda o in una categoria, e pone agli stessi poco rassicuranti scenari in termini di prospettive di reddito e sicurezza sociale complessiva, rendendoli oggi scarsamente sindacalizzati e domani difficilmente sindacalizzabili. Sebbene la scarsa sensibilità maturata rispetto alla propria condizione, ed il nichilismo che si intreccia su una salda ideologia dei consumi, siano l’attuale brodo di cultura delle giovani leve operaie, che non hanno conosciuto significativi conflitti di classe - nemmeno in età scolare o attraverso il filtro della famiglia - la manifesta disaffezione per le forme politico-sindacali e l’attacco costante ad una condizione proletaria che va oggettivamente sempre più peggiorando (reddito, tempi di lavoro, qualità della vita) pongono seri dubbi sulla persistenza della pace sociale, conclusosi l’attuale ‘svecchiamento’ della classe operaia.
Le rosicate e quasi nulle concessioni sui margini di profitti esargibili in termini di salario e l’impossibilità attuale di un inversione di rotta del “riformismo all’incontrario” (P.Mattick) innestato da questo ciclo politico del capitale, pongono l’unica mediazione possibile tra Capitale e Lavoro sul piano di una ‘contrattazione a perdere’, contrattazione che in una fase di attacco manifesto da parte dei padroni viene a dissolversi, scomparendo del tutto in fase di crisi. La concentrazione di capitali, l’attuale divisione internazionale del lavoro a filiera [1], e l’instabilità economica saranno in un periodo di crisi l’anello debole della forza sociale capitalistica nei confronti di un possibile attacco della forza sociale operaia: questo porrà sempre più su di un piano direttamente politico le rivendicazioni che intralciano in qualche modo l’accumulazione di profitto, alzando reciprocamente il livello dello scontro, semplificando e polarizzando fortemente le alternative e gli sbocchi possibili. La possibilità del riscatto dei lavoratori, nella lotta a coltello contro il sistema capitalista, sarà in mano alle capacità politiche della classe operaia stessa - ed alle minoranze agenti interne alla classe che sapranno cogliere la cifra del “movimento reale” e dialogare con esso – della sua abilità di rivolgere l’organizzazione del lavoro contro i padroni, di tessere legami di solidarietà ‘a monte’ ed ‘a valle’ della catena produttiva, nel centro come nella periferia dello scontro, nell’abilità di attaccare i nervi scoperti del capitalismo con la propria intelligenza collettiva, di irradiare e aggredire il territorio circostante. Se siamo di fronte ad una nuova polarizzazione di classe, e ad una composizione che presenta strati potenzialmente più radicali, avremo la possibilità di sperimentare nello lotte, nel consolidarsi dell’organizzazione autonoma di classe nuovi rapporti sociali comunisti. Sta ora a noi decifrare l’attuale composizione di classe e il partecipare ai suoi avanzamenti. Va in questo senso il nostro lavoro nelle fabbriche e aziende del Bolognese, con giornali di fabbrica o di zona, con il tentativo di riportare la politica sui posti di lavoro. Nel sperimentare forme di coricerca che siano strumento politico per decifrare il presente e al tempo stesso materiali di autoformazione e identificazione per i lavoratori.
Precari-Nati Bologna 2001
[1] M.Donato G.Pala La catena e gli anelli Divisione internazionale del lavoro, capitale finanziario e filiere di produzione, la citta del Sole, Napoli, 1999