Alcune
considerazione sul documento delle assemblee autonome:
l’autonomia
operaia e l’organizzazione
Il documento che
pubblichiamo, diffuso all'epoca in numerose copie rappresentava un primo
tentativo di indicazione programmatica per i compagni impegnati nel tentativo di
dare all'autonomia operaia gli strumenti pratici e teorici per meglio esprimersi
sfuggendo al controllo di gruppi e partiti politici. Il punto di riferimento
principale nella costruzione di momenti di autorganizzazione, che all'epoca
venivano, di norma, definite "assemblee autonome", era che le modalità
e gli obiettivi dell'intervento dovevano essere decisi all'interno delle
situazioni stesse, da parte di coloro che erano i diretti interessati e
protagonisti dello scontro di classe, coordinando le esperienze e le forze
direttamente tra di loro, per un programma più generale, senza alcuna
subordinazione verso apparati o "intelligenze" esterne. Quando si
facevano le assemblee di coordinamento degli organismi autonomi partecipavano
anche esterni, interessati al progetto, che davano anche un sostegno dal punto
di vista organizzativo e avevano la possibilità di esprimere il proprio punto
di vista ma le decisioni orientative erano di competenza di coloro che facevano
parte effettiva degli organismi autonomi.
I tre organismi autonomi,
firmatari del documento che riportiamo, che avevano elaborato il progetto
iniziale erano:
il Comitato di Lotta
Sit-Siemens (oggi Italtel), principalmente impegnato nel settore della
costruzione delle centrali telefoniche che era nato come evoluzione del
Gruppo di studio operai-impiegati;
l'Assemblea Autonoma
della Pirelli che nasce da una spaccatura dell'originale Comitato Unitario
di Base (CUB) che era stato una delle prime importanti esperienze di massa
della contestazione operaia e che, successivamente, Avanguardia Operaia, con
una pratica entrista, aveva trasformato in una propria cinghia di
trasmissione e riprodotto in diverse altre aziende attribuendo lai CUB un
ruolo di sinistra sindacale;
l'Assemblea Autonoma
dell'Alfa Romeo che, in quel momento, grazie al proprio radicamento
esprimeva la forza maggiore.
Intorno a questo organismi
autonomi, la cui importanza derivava soprattutto da quella delle fabbriche in
cui si erano sviluppati, altri organismi autonomi di aziende minori e singoli
militanti di vari luoghi di lavoro si aggregavano coordinando gli sforzi e
dibattendo su comuni strategie di lotta.
Rapporto, a livello
nazionale, con gli altri organismi autonomi
Fuori dall'area milanese
furono presi contatti e stabiliti collegamenti con altre realtà, come
l'assemblea Autonoma di Porto Marghera che aveva una dimensione territoriale ed
era costituita in parte da militanti del Petrolchimico provenienti
dall'esperienza del gruppo Potere Operaio , che si era sciolto, ma anche da
realtà di altri luoghi di lavoro. Furono stretti rapporti anche con il
Collettivo dell'ENEL e con quello del Policlinico di Roma, che in un secondo
tempo avrebbero costituito la componente dell'area dell'autonomia conosciuta
come "i Volsci" dal nome della via in cui avevano la sede.
Il punto di incontro di
queste realtà autonome in quel momento erano le lotte ed il loro sviluppo e,
soprattutto, l'elaborazione dell'intervento costruito unicamente all'interno
delle situazioni.
I contenuti del salario
garantito, dell'egualitarismo salariale, della riduzione d'orario, del rifiuto
della gerarchia del lavoro in fabbrica assieme al collegamento con le lotte nel
sociale, principalmente le occupazioni di case e l'autoriduzione degli affitti,
erano gli obiettivi principali delle nostre lotte. Si fece un importante
convegno a carattere nazionale a Bologna nel tentativo di collegare tutte le
realtà autorganizzate nelle varie aziende per creare un forte e visibile punto
di riferimento generale. La partecipazione fu rilevante, il dibattito serrato,
molti gli osservatori interessati nell'area del movimento. La volontà dell'area
romana di stringere i tempi per una sterzata organizzativa che, sugli obiettivi
della riduzione d'orario e del salario garantito, potesse agire da direzione
della crescita di un movimento autorganizzato a livello nazionale fu frenata
dall'area degli organismi autonomi milanesi che vedevano in questa accelerazione
un pericolo di burocratizzazione e di avanguardismo che rischiava di bruciare le
tappe di una crescita articolata e veramente autonoma all'interno delle
situazioni.
Quindi quel convegno non si
concluse con quel salto organizzativo che alcune frazioni auspicavano.
Il rapporto degli
organismi autonomi con i gruppi dell'estrema sinistra
AVANGUARDIA OPERAIA:
operava nelle aziende attraverso i CUB. Non ci furono grandi rapporti se non
quelli che si instauravano naturalmente durante le lotte all'interno delle
aziende stesse. Si era, comunque, divisi dalla loro metodologia di
intervento che li poneva su di un ristretto piano di sinistra sindacale.
POTERE OPERAIO: si era
da poco sciolto proprio mentre nascevano i primi coordinamenti delle
assemblee autonome. Da parte di diversi militanti e dirigenti di questo
gruppo ci fu, inizialmente, un grande interesse che si concretizzò nella
disponibilità ad un apporto organizzativo esterno e nell'assidua
frequentazione delle riunioni senza che riuscissero ad assumere un ruolo di
direzione esterna a causa delle premesse, già segnalate, su cui si basavano
gli organismi autonomi. A poco a poco questi militanti si sganciano. L'area
che fa riferimento a Toni Negri inizia un rapporto con il Gruppo Gramsci
presente soprattutto a Milano con militanti presenti nella sinistra
sindacale, soprattutto FIM ma anche FIOM: Questo connubio determina una
mutazione della linea politica del Gruppo Gramsci che si scioglie mentre una
parte dei suoi militanti da vita ad alcuni collettivi di fabbrica tra cui
quello della FACE STANDARD e quello della stessa SIT-SIEMENS. Da questo
percorso di collaborazione fra militanti ex P.O. ed ex Gruppo Gramsci nasce
la pubblicazione "ROSSO", portavoce di uno dei principali gruppi
dell'area dell'autonomia che si sono costituiti in seguito.
LOTTA CONTINUA: questo
gruppo che, notoriamente, era una delle maggiori organizzazioni dell'estrema
sinistra a livello nazionale interveniva sui luoghi di lavoro direttamente
attraverso i suoi nuclei e le sue sezioni. Ad un certo punto, dimostra un
particolare interesse nei confronti delle Assemblee Autonome dell'area
milanese ed inizia un percorso di confronto dal quale scaturisce un convegno
operaio dei militanti di Lotta Continua a Bologna, convegno al quale viene
richiesta la partecipazione degli organismi autonomi. Ai compagni degli
organismi autonomi milanesi viene dato molto spazio e se ne mette in
evidenza il ruolo e la funzione. Ne consegue un periodo di attiva
collaborazione sui luoghi di lavoro. La direttiva dei militanti di lotta
Continua era quella di entrare negli organismi autonomi rinunciando
all'intervento, nelle situazioni nelle quali si faceva questa scelta, come
organizzazione specifica. Ma quando i dirigenti si accorgono che è molto
difficile esercitare un controllo dall'alto sull'autonomia di tali organismi
constatiamo il ritiro dei militanti operai di Lotta Continua che riprendono
l'intervento come organizzazione anche se, comunque, rimarranno di norma
buoni rapporti di collaborazione nelle fabbriche.
La lotta di classe
arretra
L'autonomia di classe si
trova ad essere sempre più schiacciata: da un lato continua il processo
ristrutturativo come risposta del potere padronale che si vale della complicità
del PCI del compromesso storico e del sindacato dei sacrifici, dall'altro lato
l'azione sempre più esterna e prevalente dei gruppi armati produce un clima di
paura e fornisce gli strumenti per una repressione generalizzata.
Il quadro che si delinea
toglie ossigeno all'autonomia di classe che si affloscia progressivamente.
Inizia la stagione delle grandi svendite confederali che si protrae sino ad oggi
secondo l'impietosa legge del pendolo della storia.
L'autonomia
operaia e l'organizzazione (MILANO febbraio 73) Documento di discussione
proposto dall'Assemblea Autonoma della Pirelli-Alfa Romeo e del Comitato di
Lotta della Sit Siemens.
LA CONTROPIATTAFORMA
PADRONALE
La contropiattaforma attorno
alla quale si svolge oggi sostanzialmente lo scontro, rappresenta il
contrattacco padronale alle lotte imposte dall'autonomia operaia in questi anni;
rappresenta il suo progetto di ristrutturazione da imporre alla classe operaia;
ha anche il significato di costringere il movimento dei lavoratori a lottare su
posizioni di difensiva. Ma ci sbaglieremmo di grosso, se pensassimo che i punti
avanzati dalla Confindustria nella contropiattaforma siano solo un atto di
provocazione nei confronti del movimento operaio. Questi punti (regolamento
dell'assenteismo; pieno utilizzo degli impianti; con turni a scorrimento delle
festività; regolamentazione dello sciopero articolato e delle lotte aziendali)
rappresentano il cardine di una linea strategica nella quale le forze padronali
intendono muoversi e che già vuole ottenere dei risultati parziali, fin dai
presenti contratti. Soprattutto, su tale linea padronale si vuole chiamare in
causa, e lo si dice esplicitamente, la responsabilizzazione delle organizzazioni
sindacali.
SINDACATI E CONSIGLI DI
FABBRICA
Le organizzazioni sindacali
sono nella seconda fase del processo di integrazione.
La prima, che è rappresentata
da tutto il periodo dal dopoguerra in poi, è la fase della ricostruzione
nazionale dello sviluppo capitalistico. La seconda fase è quella in cui il
sindacato deve impegnarsi più scopertamente in un ruolo di collaborazione con
il piano di ristrutturazione capitalista e di sviluppo riformista.
L'attuale attacco duro delle
forze padronali con la contro piattaforma e il governo di centro destra ha lo
scopo principale di sfrondare i sindacati e i partiti della sinistra operaia da
quanto di ribellismo esista ancora in essi, e di costringere la classe operaia
ad assumere una posizione di assoluta passività nei confronti del piano del
capitale. Infatti, il sindacato, di fronte a questo attacco, contratta la
piattaforma, si appella anch'esso alla produttività, costringe all'auto
limitazione delle forme di lotta di classe operaia, proprio come richiesto dalle
forze padronali. Contro partita di questa palese svendita dei contratti e delle
forme di lotta, che la classe operaia si è conquistata in questi anni, non può
che essere , come chiedono il sindacato e i partiti della sinistra parlamentare,
la restaurazione del centro sinistra, legata alla ripresa di un progetto di
riforme che veda la sinistra parlamentare maggiormente coinvolta.
RUOLO DEL CONSIGLIO DI
FABBRICA
L'ipotesi che il consiglio di
fabbrica sia lo strumento dell'organizzazione di base che la classe operaia ha
saputo imporre come espressione della crescita della propria autonomia, non la
riteniamo esatta. E' chiaro invece, che di fronte alla spinta della base, alla
crescita e allo sviluppo dell'autonomia operaia, che nelle sue fasi spontaneiste
spesso sfuggiva al controllo dei vertici sindacali, questi sono stati costretti
a cedere verso un modello di organizzazione più di base, che però nel
contempo, desse loro maggiori possibilità di controllo sulla base stessa.
Facendo un bilancio, della costituzione dei consigli fino ad oggi, non possiamo
che constatare come essi siano sempre stati controllati dai vertici sindacali.
Questi ultimi, li fanno funzionare quando sanciscono ciò che è già stato
stabilito dalla propria linea e li bloccano non appena prevalgono istanze di
base. Abbiamo visto come nel momento dell'elaborazione dalla piattaforma
contrattuale dei metalmeccanici, tutta una serie di posizioni avanzate prevalse
nei confronti delle maggiori fabbriche milanesi, siano state tagliate fuori nel
momento conclusivo del convegno di Genova.
Lo vediamo con maggior
chiarezza attualmente, quando di fronte alla decisione dei vertici sindacali di
frenare le lotte, facendo prontamente marcia indietro ogni qualvolta il
padronato attua le sue forme di repressione, lo strumento dei consigli di
fabbrica resta pressoché impotente a far passare la posizione contrastante. Il
guardare con religiosità al consiglio di fabbrica come al modello ideologico,
unico punto di riferimento per l'organizzazione della classe operaia, significa
realisticamente, rimettersi al disegno dei vertici sindacali di espropriare di
ogni potere decisionale le assemblee dei lavoratori e di tutte le forme
organizzative che direttamente esprimono le lotte dell'autonomia operaia. Il
processo con cui si realizza e avanza l'organizzazione dell'autonomia operaia,
deve essere inverso: deve partire dalla capacità operaia di decidere e attuare
direttamente le forme di lotta e gli obbiettivi idonei a battere la linea del
padronato. Occorre ridurre lo spazio ad ogni mediazione volta a castrare
l'azione diretta della classe operaia. Questo non significa che non bisogna
tener conto della realtà esistente dei consigli di fabbrica, ma che bisogna
cercare di intervenire in questo spazio, quando è possibile, per far passare la
linea espressa dalla base operaia. Si vuole però mettere in evidenza, quanto
sia erroneo e castrante un atteggiamento di assoluta subordinazione dell'azione
diretta operaia alle decisioni del consiglio di fabbrica. Semmai il processo
deve essere inverso: cioè l'azione diretta operaia deve condizionare il
consiglio e il sindacato. In tal senso la realizzazione dei comitati operai di
reparto, collegati tra di loro nella fabbrica, espressione della volontà di
base, alla quale debbono fornire gli strumenti di attuazione immediata, sono una
indicazione fondamentale in questo momento.
RISTRUTTURAZIONE E
ASSENTEISMO
La ristrutturazione è la
risposta del capitale alla lotta di classe; rappresenta anche l'adeguamento alle
necessità dello sviluppo del capitalismo come derivazione dell'unificazione di
più monopoli e come necessità di conversioni di impianti, derivante dalla
saturazione di certi mercati.
È chiaro che tutto questo
processo, dal punto di vista padronale deve essere fatto sulla pelle dei
lavoratori. La risposta della classe operaia a questo disegno del capitale si
deve muovere su due direttive: una deve essere rappresentata dall'attacco alla
struttura produttivistica dell'organizzazione del lavoro. Infatti nel momento in
cui la ristrutturazione viene usata per aumentare la produzione, determinando da
un lato, l'aumento del carico di lavoro per una parte di operai, dall'altro la
cassa integrazione e i massicci licenziamenti per un'altra parte, la migliore
risposta deve essere quella di passare dalla fase dell'assenteismo (momento di
legittima difesa individuale contro nocività e ritmi), ad una forma più
politicamente cosciente di rifiuto del lavoro. Tale rifiuto deve essere
realizzato attraverso una linea di non collaborazione permanente articolata del
rifiuto del cottimo, nella riduzione dei ritmi, nel rifiuto dei lavori nocivi.
Deve nascere nell'operaio una vera e propria coscienza antiproduttivistica, in
cui netta deve essere la demarcazione tra quelli che sono gli interessi di
produzione e di profitto capitalistico e gli interessi della classe operaia.
L'altro elemento della risposta operaia alla ristrutturazione, è il porsi come
obbiettivo il salario garantito. E' chiaro che tale obbiettivo vuole essere una
risposta ai licenziamenti e alle sospensioni ed ha un significato reale nella
misura in cui viene generalizzato e concretamente articolato nelle varie
situazioni.
IL GOVERNO ANDREOTTI ED IL
NOSTRO PROGRAMMA POLITICO
IL governo Andreotti di
centro-destra vuol essere una risposta dura dei padroni all'attacco che
l'autonomia operaia sta portando in questi anni. I provvedimenti repressivi che
hanno caratterizzato l'attuale governo li abbiamo tutti presenti: dalla
riduzione degli aumenti ai pensionati, all'estensione massiccia della cassa
integrazione, dall'attacco ai picchetti alle migliaia di denunce, alla riduzione
degli spazi democratici di manifestazione, ecc., all'attacco ai magistrati
democratici, dall'aumento di contingenti di polizia alla presentazione della
proposta di legge del fermo di polizia, fino alla licenza di uccidere per i
poliziotti.
E' chiaro che l'abbattimento
del governo Andreotti punta avanzata ed organizzata della repressione padronale,
messo apposta per la stagione dei contratti, deve essere uno degli obbiettivi
che la classe si deve porre.. Ma deve oltretutto essere ben chiaro alla
coscienza operaia che qualsiasi governo verrà messo dai padroni, sia di
centro-destra che di centro-sinistra, risponderà con gli stessi strumenti
repressivi, quando la lotta di classe minaccia i privilegi su cui regge il
potere capitalistico. Il governo Andreotti ha de compiti da assolvere, compiti
che rientrano nella necessità strategica del sistema: la ristrutturazione, il
controllo della classe operaia nel momento della produzione, l'annientamento
delle forze eversive, l'allineamento dei sindacati, sono necessità strategiche
del sistema non un pallino di Andreotti. Qualsiasi governo dovrà assolvere a
questi compiti, lo potrà fare in modo più o meno elegante ed efficiente, ma lo
farà. Quindi la parola d'ordine "abbattere il governo Andreotti",
rischia di fare confusione nell'essenziale punto precedente e di diventare un
diversivo opportunistico, un falso obbiettivo politico. Inoltre, nel caso
specifico dell'abbattimento del governo Andreotti, bisogna stare ben attenti a
non dare spallate a una porta già aperta. Infatti, la valutazione che abbiamo
dato circa la svendita dei contratti e delle forme di lotta aperte dai
sindacati, in pieno accordo con i partiti della sinistra parlamentare, potrebbe
prevedere già come contropartita da parte del potere, l'ipotesi del ritorno al
centro-sinistra. In tal senso agire da sollecitazione per la caduta del governo
Andreotti senza mettere in discussione nel contempo, con la lotta, lo stesso
sistema di produzione capitalistica, significa facilitare il gioco a quelle
forze che mirano solo a portare la classe operaia, da un ingabbiamento più
rigido ad un ingabbiamento più riformista, senza però dare spazio
all'alternativa rivoluzionaria.
L'ANTIFASCISMO E LA LOTTA DI
CLASSE
In questo senso, tutta
l'ipotesi a cui si da molto fiato in questi ultimi tempi, cioè di usare un
discorso unitario e nello stesso tempo di lotta dura sulla base
dell'antifascismo, come sollecitazione dell'abbattimento del governo Andreotti,
rischi di essere un obbiettivo fuorviante. Da una parte perché si sta dando al
movimento tutta una caratterizzazione manifestaiola, che poi porta allo
svuotamento del movimento stesso. Dall'altra, l'ipotesi della lotta unitaria, è
nel contempo dura, alla fine diventa, per l'impostazione che si è data, sempre
più unitaria e meno dura, e sempre più recuperabile dalle organizzazioni
riformiste. Soprattutto non si può fare, di un obbiettivo che è parziale nella
lotta di classe il fulcro della stessa rischiando di cadere nella trappola
riformista. Non ci può essere una crescita di lotta antifascista se non parte
concretamente e organicamente dalla situazione di classe e se non si articola in
obbiettivi che siano nello stesso tempo anticapitalistici, cioè di attacco
all'organizzazione del lavoro (contro la nocività, i ritmi, contro la
produttività, le qualifiche) e della società (affitti, prezzi, trasporti,
ecc.); e se non si esprime nelle forme proprie dell'illegalitarismo proletario.
Quindi, nel contempo in cui la situazione è effettivamente difficoltosa
all'interno delle fabbriche, per la posizione frenante ormai frontalmente
assunta rispetto alle lotte dal sindacato, stiamo ben attenti a non cadere in
suggestive fughe manifestaiole, che poi sono bolle di sapone che si rompono al
primo urto: frutto di questa tendenza è la direzione esterna e
intellettualistica del movimento, che trova nei gruppi la propria tendenza
organizzativa.
CARATTERIZZAZIONE
DELL'ORGANIZZAZIONE DELL'AUTONOMIA OPERAIA.
Uno dei motivi per cui la lotta
di fabbrica trova difficoltà ad esprimersi in tutta la sua durezza, deriva,
oltre che dall'azione frenante dei sindacati, dalla sempre minor credibilità
che le lotte del contratto vengono ad assumere agli occhi dei lavoratori. Dopo
la lotta contrattuale del '69, e la notevole avanzata del movimento nelle
fabbriche, con il conseguimento di conquiste considerevoli, si sono visti anche
i limiti che tale lotta comporta dal momento in cui si è staccata dal contesto
sociale. Ed è proprio sul terreno sociale che i padroni hanno avuto la loro
rivincita, come dimostra il continuo aumento del costo della vita. Il sindacato
cerca di recuperare l'esigenza della classe operaia di allargare la lotta sul
terreno sociale, inserendosi con la sua ipotesi di lotta per le riforme di
struttura, inseguendo il disegno della conciliabilità di interessi tra padroni
e classe sfruttata nella via dello sviluppo capitalistico. Unico sbocco di tutto
ciò è la collaborazione interclassista. Oggi le lotte sono contro il costo dei
trasporti, per il diritto alla casa da conquistarsi con l'occupazione dei
palazzi sfitti e con lo sciopero degli affitti, sono tutti momenti di lotta del
proletario sul terreno sociale. E' importante creare su questi momenti di
attacco parziale e in forma diretta, fuori dalla fabbrica degli organismi
complessivi gestiti dalla base proletaria e collegati con le lotte in fabbrica,
prendendo impulso proprio dalle attuali lotte contrattuali e come risposta al
taglio sulla busta paga come conseguenza degli scioperi. Oggi, però, rischia di
prodursi nuovamente la vecchia prassi, anche se in forme nuove e più
attualizzate. Portatori di questa tendenza rischiano di farsi i gruppi
rivoluzionari nella misura in cui riproducono la vecchia logica, quando vogliono
affidare agli organismi autonomi di massa un ruolo più economicista di
subordinazione della linea politica generale del gruppo stesso. La riproduzione
del vecchio schema, anche se in forma nuova , tra lotta economica e lotta
politica, tende a riportare verso l'integrazione il movimento, o verso un nuovo
tipo di avventurismo, a seconda la linea di tendenza che più lo caratterizza:
diventa avventurismo quando si sollecita lo sviluppo del movimento su linee
sostanzialmente sindacaliste, mascherate da un opportuno linguaggio
rivoluzionario, linee che fanno sostanzialmente leva su uno spazio
legalitaristico, da allargare progressivamente rosicchiando sempre più terreno
al sistema. In realtà questa tendenza ottiene l'effetto di far spaventare i
padroni e di impegnarli a dare una risposta repressiva molto dura che poi non
trova il movimento di classe complessivamente preparato a reagire al livello di
scontro deciso dai padroni. Anche con il privilegiare il momento politici-armato
sul movimento di massa, facendosene falsamente interprete, si corre lo stesso
rischio di far precipitare la repressione sulla classe non organizzata, al
livello di scontro provocato dal medesimo gruppo rivoluzionario armato. In
questo senso è giusto che gli organismi autonomi si muovano su una linea che
unifichi la lotta politica e quella economica, facendosi carico complessivamente
dalle esigenze richieste dal livello di scontro della classe operaia, su tutto
il terreno nel quale ci si muove, compreso quello dell'illegalismo proletario.
CONTRATTO E LOTTE SOCIALI.
Lo sviluppo corretto
dell'autonomia operaia deve muoversi su tre linee di tendenza: La natura sempre
anticapitalista e antiproduttivistica , cioè di attacco della struttura del
lavoro, degli obbiettivi che il movimento si pone. Il terreno non
legalitaristico, ma legato alla necessità di lotta che richiedono gli
obbiettivi che ci poniamo è condizionato solo alla coscienza del nostro
rapporto di forza. Sviluppo continuo della capacità di autogestione dello
scontro, in tutti i suoi aspetti, condotto direttamente dalle stesse masse
sfruttate. In questo senso gli organismi autonomi non debbono assumere di
burocratica rappresentatività dell'autonomia operaia, quanto invece assolvere
ad una funzione dialettica e di costante indicazione politica complessiva, e di
accumulo organizzativo dell'azione rivoluzionaria rispetto al movimento.
LOTTA DI CLASSE E AZIONE
DIRETTA
Ogni processo rivoluzionario
passa per la via dell'azione diretta. Le leggi attuali sono il frutto del
consolidamento di una certa struttura sociale che si regge sul potere di una
classe sull'altra, le cui condizioni di privilegio per essere mantenute hanno
necessità di una forza violenta ( polizia, magistratura, fascisti, ecc.) che ne
mantengono il rispetto rigoroso contro chi sfruttato, si ribelli. All'interno di
questa struttura viene concesso un margine di mobilità apparente (democrazia
borghese) frutto delle lotte precedenti, il cui confine è quello di non mettere
in discussione, non con le parole, ma con i fatti, .le condizioni della classe
privilegiata. Il movimento che non si propone il discorso dell'illegalità della
lotta in senso strategico e non solo tattico, non potrà mai avere una funzione
rivoluzionaria. Ecco che qui nasce l'altro aspetto dell'analisi, all'interno di
chi ha accettato la via illegale non riformista, sulla violenza di massa o sulla
violenza staccata dalla massa. Qui nessuno sarà mai disposto ha dichiarare che
la violenza proletaria da lui esercitata è fuori dalle masse. Quindi, per
verificare se si tratta di braccio armato o no, di autoelezione abusiva a
rappresentanti della lotta illegale proletaria o sua espressione naturale,
bisogna darsi dei criteri di valutazione, di cui riaffermiamo il primo
enunciato, che abbiamo sopra messo in evidenza: IL PROLETARIATO DEVE AGI RE NON
NELLA CONVENZIONE DELLE LEGGI BORGHESI, MA NELLA CONVENIENZA DELLA PROPRIA
LOTTA.
Per stabilire i criteri di
giudizio sulla convenienza della lotta proletaria, ci basiamo sui seguenti
principi: che l'azione susciti adesione, approvazione, partecipazione e
riproduzione in seno alle masse; raggiungendo il fine di una maggiore
radicalizzazione della coscienza rivoluzionaria. Che si unisca con il senso di
giustizia e di proposizione quando si colpiscono gli effettivi responsabili
della repressione operaia ( non si rompe un uovo a martellate!): Che il danno
provocato alla struttura padronale abbia una sua proporzione con la capacità,
sia nel grado di coscienza che di organizzazione della classe operaia, di
reagire e contrattaccare nuovamente alla risposta della repressione padronale.
Che le eventuali azioni devono essere coordinate dall'azione politica generale,
cioè devono essere interne allo scontro di classe, nel senso di essere utili e
funzionali al conseguimento degli obbiettivi che sono il sostegno della lotta
sia in senso tattico che strategico. E' chiaro che da questo punto di vista il
criterio con cui i compagni si fanno carico all'interno della situazione di
classe della capacità di muoversi sul terreno dell'azione diretta, non può
essere niente che faccia riferimento ad un servizio d'ordine katanghese o di
tipo "braccio armato".
Tutto deve essere riversato
sulla capacità politica dei nuclei operai di sapere colpire nel momento buono,
nella direzione giusta, secondo il polso e il grado di coscienza operaia, contro
l'organizzazione capitalistica del lavoro e la sua struttura produttivistica,
contro gli strumenti della repressione padronale.
LOCALISMO O ORGANIZZAZIONE
GENERALE
La possibilità di sviluppo
degli organismi autonomi con la funzione che correttamente faccia fronte alla
necessità che l'autonomia operaia esprime, si deve basare su tre principi: la
gestione della lotta nella fabbrica, in tutte le sue implicazioni, e fuori della
fabbrica, attraverso collegamenti diretti, deve essere assicurata dalla capacità
di direzione operaia. L'organismo autonomo deve saper saldare, negli obbiettivi,
nei momenti organizzativi, nella linea strategica che ne consegue, la lotta
economica con quella politica, rifiutando il riprodursi della separazione tipica
delle organizzazioni operaie tradizionali, tutte naufragate nel riformismo, tra
sindacato da una parte e partito dall'altra.
L'organismo autonomo deve
diventare un momento centrale in cui, dall'interno della situazione di classe e
sotto il diretto controllo della direzione operaia, si elabora e si verifica
nello stesso tempo la linea complessiva che deve tendere strategicamente ad
opporsi al disegno del capitale, attaccandolo sul piano rivoluzionario.
E' chiaro che per poter
svolgere correttamente questa funzione si debbano attuare collegamenti sempre più
stabili tra i vari organismi autonomi, delle fabbriche e del terreno sociale,
che emergono delle situazioni di classe. Questo collegamento deve essere fatto
sempre in forma diretta e non attraverso un gruppo politico specializzato in tal
senso, contribuisce a quella crescita reciproca che da una parte ci fa maturare
di contenuti nella singola situazione interna, dall'altro opera in una corretta
omogeneizzazione verso una medesima linea di tendenza strategica. Forse questo
progetto sarà più lungo di altri, ma siamo convinti che sia capace di
costruire sul concreto. Il processo inverso, quello di far calare a priori la
scelta di una linea strategica da parte di una struttura sostanzialmente
esterna, caratteristica questa insita nel gruppo che sfugge al controllo e alla
verifica della direzione operaia, calata sugli organismi autonomi, diventa
astrazione del processo rivoluzionario espresso dall'autonomia operaia.
LOTTA ECONOMICA E LOTTA
POLITICA
La separazione che le
organizzazioni tradizionali della sinistra, quali il sindacato e il partito,
riproducono tra lotta economica e lotta politica, divisione che abbiamo visto
come porti ad una progressiva integrazione, era stata largamente messa sotto
critica dalla rinascita del movimento rivoluzionario di questi anni. Oggi è
matura la situazione perché, sullo slancio delle lotte contrattuali e per dare
più ossigeno alle medesime, parta un programma di lotta su obbiettivi
unificanti fra le varie categorie e per tutto il proletariato sul terreno
sociale, aprendo una vertenza diretta contro lo stato. Questa piattaforma, deve
avere le sue radici negli obbiettivi di fabbrica partendo dall'attacco alla
produzione e dalla opposizione a trattare la contropiattaforma padronale, per
impedire la divisione nelle trattative tra i padroni privati, i padroni di stato
e i piccoli padroni, e bloccare ogni tentativo di far passare l'autolimitazione
delle forme di lotta. Sul piano più specificatamente sociale, il programma deve
andare avanti sulla base di obbiettivi unificanti della lotta contro i prezzi,
basandosi su richieste specifiche come la riduzione degli affitti per tutti,
invece che la riforma della casa; il pagamento dei trasporti a carico dei
padroni, l'eliminazione delle tasse sulla busta paga, il non pagamento delle
bollette (luce, gas, ecc.). Sul piano degli obbiettivi più specificatamente
contro il rafforzamento dello Stato, non deve passare la proposta del Fermo di
Polizia e deve essere combattuta qualsiasi tendenza all'aumento della capacità
repressiva della struttura statale (es. allontanamento dei tre magistrati
milanesi che interpretavano in maniera corretta lo Statuto dei Lavoratori).
Portare avanti un simile programma significa anche porsi l'obbiettivo
dell'abbattimento del governo Andreotti, ma su una base ben precisa di attacco
anticapitalistico alla stessa struttura di sfruttamento