La classe operaia in Francia dal dopo-guerra al Fronte Popolare

Gli amici di Marinus Van der Lubbe

 

Il trattato di Versailles
Il bilancio post-bellico 
Il movimento sociale nel dopo-guerra
La CGT del dopoguerra e la scissione sindacale
La ripresa ed il decollo economico
Verso il fronte popolare, Il 6 febbraio
Le conseguenze del 6 Febbraio
La politica estera Russa e la politica nazionale del PCF
Il piano del lavoro della CGT
L’instabilità economico-politica
Il sucesso elettorale del Fronte Popolare
L’occupazione delle fabbriche
La resistenza operaia durante il Fronte Popolare
Il declino e la fine del Fronte Popolare
I partiti di sinistra ed i sindacati tra le due guerre in Francia

Il trattato di Versailles

Nel gennaio del 1919 a Versailles, nello stesso palazzo dove nel 1871 era stato proclamato l'Impero tedesco,  venne firmato il trattato di pace con la Germania. La Francia,  riannettendo la Lorena,  poté disporre di un bacino siderurgico di grande importanza, mentre il recupero dell'Alsazia le permise di ampliare notevolmente l'industria tessile. Inoltre, venne sancito che la regione renana, completamente smilitarizzata, sarebbe rimasta per 15 anni sotto l’amministrazione alleata, mentre la Saar venne posta per 15 anni sotto l’amministrazione internazionale e le sue miniere consegnate come indennità alla Francia. Grazie al trattato di Versailles, <<lo Stato francese si impossessava delle imprese metallurgiche della Lorena tedesca a prezzo di liquidazione per passarle a nuove società comproprietarie francesi; nello stesso tempo, le acciaierie francesi sfruttavano l'autorità economica di Parigi per riunire fondi e impossessarsi di 7 delle 9 grandi acciaierie della Saar>>[1].

Inoltre, l'ammontare delle riparazioni tedesche fu fissato a 132 miliardi di marchi-oro nel maggio del '21 - quando il debito della Francia verso la Germania  era stato, dopo il 1871, di 3 miliardi franchi-oro - somma superiore al doppio del reddito nazionale tedesco. <<Questo trattato significa[va] un enorme trasferimento di plusvalore dalla Germania ai vincitori, dunque  un aggravamento del proletariato tedesco. Esso mira[va] a dividere il proletariato mondiale, facendo ricadere su quello tedesco tutto il peso della ricostruzione economica. Tutti i PC si pronuncia[ro]no con forza contro questo trattato, salvo quello olandese (cfr. Hermann Gorter, L'opportunismo nel Partito  Comunista  olandese, 1919)>>[2].

Per quanto concerne i territori coloniali, la Siria e il Libano, precedentemente appartenenti all'Impero ottomano, vennero posti sotto il mandato francese che conobbe un’ estensione del suo territorio superiore ai sette milioni e duecentocinquanta kilometri quadrati in Africa, in Medio oriente e in Asia, con una popolazione coloniale pari a cento milioni di abitanti, cioè più del doppio della popolazione della madrepatria.

Il bilancio post-bellico

Il bilancio post-bellico per la nazione francese, il cui territorio era stato il principale scenario delle operazioni sul fronte occidentale della Grande Guerra, fu estremamente negativo per ciò che concerne le perdite umane: nel conflitto perirono 1,5 milioni di persone e 7.500.000 rimasero permanentemente invalide. Metà della popolazione in età aruolabile rimase uccisa(quasi un terzo dei giovani tra i diciotto ed i venttotto anni), il 3,3% dell'intera popolazione e il 10% dei lavoratori maschili: più di un 10% della classe operaia francese fu così letteralmente uccisa dalla guerra e da chi l'aveva voluta e condotta.[3] Nonostante il ritorno dell’Alsazia e della Lorena, verso la metà del 1919, la popolazione francese risultava composta da 38,7 milioni di persone, cioè 1,1 milioni persone in meno rispetto al’ 14 (calo demografico legato in parte anche ad un abbassamento dei tassi di natalità). Solo una massiccia immigrazione incoraggiata dallo stato rese possibile un lieve aumento della popolazione. Dopo la guerra furono fatti affluire in Francia due milioni di “stranieri”, soprattutto operai italiani e polacchi. Bisogna ricordare che questi immigrati rappresentarono l’80% dell’incremento di 2.700.000 abitanti che si registrò in Francia tra le due guerre.[4]

L’impatto visivo delle conseguenze della guerra risultava deflagrante nella Francia rurale da cui provenivano gran parte dei coscritti: La France malade de guerre et de viellessse vestiva il lutto delle vedove di guerra, il lutto dell’insopportabile assenza di quella fascia di popolazione falcidiata dal conflitto o segnata inesorabilmente dalle mutilazioni, mentre la militarizzazione del lavoro nei distretti industriali e specificatamente nell’industria di guerra, aveva costretto la popolazione lavoratrice pedant la guerre ad una stremante e micidiale prestazione patriottica.

<<La disoccupazione si trasformava nel suo contrario, il lavoro obbligatorio. Il lavoro coatto, quei combattimenti nelle frontiere dove milioni di uomini giovani e forti, muniti   dei più perfezionati  strumenti di distruzione, si mutilano, si ammazzano, si sterminano, si uccidono l’un l’altro per il dominio mondiale dei loro padroni capitalisti. Il lavoro coatto, quello che esegue, negli stabilimenti industriali, tutto il resto della popolazione, donne e bambini inclusi, che deve produrre continuativamente senza sosta sempre più oggetti di morte, mentre la produzione di beni di prima necessità è ridotta allo stretto necessario>>[5]

Naturalmente le zone che erano state interessate dal conflitto risentirono delle devastazioni e dell'iper-sfruttamento a cui la nazione avversaria le aveva sottoposte. Così, oltre la metà della produzione industriale francese d'anteguerra, con il 60% dell'acciaio e il 70% del carbone, era localizzata nell'area devastata dal conflitto, che era tra l’altro una delle regioni agricole più importanti. Inoltre, mettendosi al servizio della macchina bellica, alcuni settori conobbero un'espansione di molto superiore alle esigenze economiche in tempi di pace, settori il cui potenziale di crescita nel lungo periodo era spesso limitato. Fu così considerevole l'espansione in tempo di guerra della cantieristica, del ferro e dell'acciaio, di alcuni settori della meccanica e del carbone, che negli anni venti i paesi che avevano preso parte al conflitto si trovarono a disporre di capacità produttive in eccesso. E' opportuno ricordare che in media, circa l'80% di tutte le spese di guerra (a livello mondiale) dei belligeranti furono finanziate con prestiti raccolti in gran parte attraverso il credito bancario e non grazie ad autentici risparmi.[6] Ricorrendo prevalentemente al credito di questo tipo e non alla tassazione, i governi ne trassero subitaneamente beneficio per ciò che concerne l’ordine sociale e la sua amministrabilità, ma questa stabilità non poté non rivelarsi di lì a poco effimera e precaria. Così, durante il conflitto, le banche concessero prestiti ai governi, creando nuova moneta, oppure ricevettero dai governi stessi "promesse di pagamento" procedendo ad aumentare l'offerta di moneta usando le promesse come riserva. Il debito pubblico aumentò rapidamente e con il passare del tempo aumentò anche la quota di indebitamento a breve termine, l'offerta di moneta fu considerevolmente incrementata e le riserve metalliche delle banche a fronte delle passività diminuirono bruscamente.

In Francia, l'inflazione era tale che i prezzi risultarono 5,5 volte superiori rispetto al periodo pre-bellico; per acquistare un dollaro nel 1919 occorrevano 11 franchi mentre nell'anteguerra ne erano necessari 5, con una svalutazione che toccò i 40 franchi per dollaro stabilizzatasi temporaneamente solo nel '28 durante il governo Poincaré, a causa di una rigida politica economica, con la quota di 25,5 franchi per dollaro. Il valore degli investimenti venne dimezzato rispetto a quello pre-bellico e furono persi due terzi degli investimenti all'estero rispetto all'anteguerra causati sia dalla vendita, sia dal fallimento, sia dall'inflazione. Inoltre, la Francia contrasse con gli Stati Uniti un ammontare di 3.404.818.945 dollari di debiti di guerra che ne facevano il secondo Paese debitore dopo la Gran Bretagna , mentre come paese creditore aveva contribuito allo sforzo bellico concedendo circa 2,5 miliardi di dollari in prestiti.[7]

Il movimento sociale nel dopo-guerra

La sfiducia nel personale politico e sindacale compromesso fino al midollo con il governo durante il periodo bellico e più in generale l’odio verso <<il governo ed il regime>> univa <<a fianco degli operai, dei contadini, degli intellettuali e degli strati della piccola borghesia, anche quei numerosi ex-combattenti che , invalidi o indenni, ritornavano alle loro case saldamente convinti di avere un conto da regolare>>, coloro i quali<<li  avevano obbligati a vivere per quattro anni l’abominio delle trincee e degli assalti dovevano pagare!>>. Così, La Rivoluzione d’Ottobre funse nel medesimo tempo sia da deterrente, che da coagulante, era agli occhi di uno dei suoi più sinceri sostenitori dell’epoca Alfred Rosmer: <<la rivoluzione da tutti attesa-la rivoluzione che avrebbe seguito la guerra.[l’inevitabile ed atteso crollo del capitalismo già dall’ante-guerra]Essa rappresentava l’alba di una nuova era, cominciava una nuova vita>>[8].

In Francia, Il fervore e la fibbrilazione sociale nel dopo-guerra fu tale che sul piano dell’organizzazione partitica e sindacale gli scritti alla SFIO ebbero una crescita esponenziale divenendo da 90.000 del luglio 1914 a 200.000, mentre la CGT, che al principio della guerra si era ridotta per effetto della mobilitazione a pochi schelettrici sindacati, poteva vantare una organizzazione di massa forte di due milioni di regolari iscritti.

Alla fine di gennaio del 1919, i fedeli socialisti dell'Union Sacrée, Renauldel e Thomas[9], presentarono il progetto di legge sulle otto ore. Già prima della Guerra, i lavoratori avevano raggiunto questo obiettivo in diverse imprese statali e ancor prima, nel 1913, i minatori del settore carbonifero avevano strappato contratti di otto ore. Anche per la minaccia dell’attuazione di azioni di lotta da parte della CGT, la legge passò, nonostante la ferma opposizione espressa dal padronato in generale. Le polemiche padronali avevano come comune denominatore la critica alla natura antiproduttiva e generatrice di ozio di tale misura legislativa, nonché la preoccupazione per l’accresciuto e crescente potere della CGT [10].

Da marzo a giugno del 1919 una nuova ondata di scioperi sconvolse il Paese. I metallurgici parigini, i dipendenti del metrò, i minatori di Pas de Calais  incrociarono le braccia. Le richieste dei metallurgici che scioperarono comprendevano tra le altre il riconoscimento del governo sovietico e l’amnistia per i prigionieri politici e militari. Altri lavoratori chiedevano la riduzione della settimana da 48 a 44 ore, aumenti salariali e l’abbassamento dei ritmi di lavoro. La CGT e la federazione dei metallurgici si rifiutarono di appoggiare le sospensioni del lavoro e a fine giugno le proteste andarono attenuandosi. Lo stesso atteggiamento ambiguo e ondivago fu attuato nel mese seguente: la CGT ritirò la propria adesione allo sciopero internazionale di protesta contro l'intervento alleato in Russia. <<Il crescente e accresciuto bisogno di ordine>> avvertito <<ovunque>> secondo le Les Temps che faceva eco a La Journée Industrielle  (che il 4 giugno esprimeva con l'articolo "Ne plus ceder" la sua linea intransigente), mostrano il livello della reazione borghese che presentò in Luglio lo sciopero internazionale come complicità con il nemico, sur-caricando ogni manifestazione del movimento operaio d’ esprit anti-patriottico presentandola accusandola di tradimento della causa nazionale, cioè fuor di metafora come tradimento dell’economia nazionale.

L'estate del 1919 sarà, così, un momento fecondo per lo sfruttamento elettorale da parte del Bloc National che farà incessantemente ricorso ai pericoli intrecciati del bolscevismo e della pacificazione della Germania, per rinfocolare, da una parte, il suo sfrenato patriottismo e dall’altra, per tacciare di antipatriotttismo qualsiasi opposizione. 

L'anno seguente le forze della reazione diedero prova delle loro potenzialità quando lo scontro si radicalizzò.

Il vertiginoso aumento degli iscritti alla federazione dei ferrovieri che da 65.000 nel 1917 passarono nel gennaio del 1919 a 121.000 (per contare l'anno successivo 352.000 aderenti)

facevano si che il settore  ferroviario venisse ad essere (in più campi) un fertile terreno di scontro. Sul piano politico, mentre la CGT e la SFIO ne chiesero la nazionalizzazione, i proprietari risposero chiedendo sussidi al governo, così mentre gli uni chiedevano la democratizzazione e una maggiore partecipazione dei “produttori” alla vita economica, gli altri replicavano considerando necessaria, per un suo rilancio, una maggior disciplinamento della forza lavoro.

Così nel febbraio 1920, la PML licenziò un carpentiere che si era allontanato dal lavoro giustificando l'assenza con la partecipazione a una riunione sindacale: questo episodio di disciplina interna scatenò reazioni e contro-reazioni a catena che portarono a uno scontro senza possibilità di mediazione[12]. Da una parte vi era il padronato che continuava, nonostante un primo accordo siglato, a multare e sospendere gli operai, a chiedere una legge che vietasse gli scioperi nei servizi pubblici; dall'altra vi era il governo che, attraverso Millerand, dichiarava i suoi intenti: <<non esiste associazione, quale che siano i suoi interessi privati, che abbia il diritto di mettersi contro la nazione>>. Dal suo canto il governo distribuì infatti 100.000 franchi all'Union National des Combattents affinché contribuisse al mantenimento dell'ordine pubblico durante tutto l'arco di tempo che dal primo maggio avrebbe visto gli  cheminots in sciopero, approvò una milizia di volontari sotto il comando di prefetti e la formazione locale di volontari disposti ad agire come crumiri, le cosiddette Unions Civiques  (15.000 aspiranti conduttori delle tramvie e del metrò organizzati in 65 sezioni). Il blocco governo-industria si preparava così alla <<battaglia civile delle Marne>> compatto[13].Il clima di guerra civile prodotto e la guerra combattuta  contro il ‘nemico interno’ alla e della nazione  erano  mirate ad una esorcizzazione pratica  finalizzata a dissolvere lo spettro rivoluzionario proveniente dalla Russia che stava scuotendo tutta l’Europa. Questa fu la risposta alla combattività operaia che aveava nei governi e nelle borghesie mondiali un solo nemico responsabile delle comuni sofferenze, patite dai proletari dei paesi belligeranti, proprio a causa di queste.

D’altra parte, la CGT aveva replicato all'intransigenza padronale con la richiesta della nazionalizzazione delle ferrovie, per cui la Federazione Nazionale del Lavoro aveva promosso una manifestazione il primo maggio. La Federazione dei ferrovieri[14] sarebbe scesa in sciopero dal primo maggio per tutto il tempo necessario a garantire l'assunzione degli operai che erano stati sospesi. Lo scontro si dialettizzò, da una parte, attraverso una strategia di graduali rappresaglie e dall'altra con successive <<onde d'urto>>. I minatori del nord, quelli del Pas de Calais e i metallurgici parigini lasciarono il lavoro il 10 maggio ma tornarono al lavoro dopo il 20 (cioè dopo che la fermata della metropolitana parigina si risolse in uno sciopero fallimentare durato solo un giorno) ed il 29 maggio gli cheminots  capitolarono. Quasi 15.000 vennero poi licenziati mentre le ferrovie ottennero nel ’21 una legge speciale che consolidava il loro debito e prolungava per altri cinque anni le garanzie degli obligazionisti. Così, questa sconfitta del movimento operaio accellerò il movimento di espansione economica in Francia.

La CGT del dopoguerra e la scissione sindacale

Le nazionalizzazioni, secondo i maggioritari della CGT, nelle modalità in cui vennero proposte al congresso di Lione (1919)  e nei lavori del Conseil economique du travail, erano  espressioni del controllo <<dei produttori e dei consumatori>>, che si sforzavano di trovare <<una soluzione soddisfacente per la comunità>>, procurando << ai consumatori il massimo di utilità e economia>>. Inoltre non avrebbero escluso <<l'iniziativa individuale>>, né l’ <<amministrazione da parte dello Stato>>. Le attività nazionalizzate sarebbero state amministrate da rappresentanti sindacali, da <<consumatori (individui o imprese)>> e da <<rappresentanti della collettività>>[15]. A tale proposito J.-D. Reynaud riporta sottoscrivendolo il giudizio di G. Dauvé secondo il quale: <<la CGT non progettava il dominio dell'economia nazionale da parte della classe operaia, ma piuttosto prevedeva a proprio vantaggio solo un diritto di rappresentanza in seno agli organismi di gestione>>[16].

fecero emergere, rendendole inconciliabili, nonostante la volontà di mantenere l’unità dell’organizzazione sindacale di alcuni dei suoi esponenti (tra cui lo stesso Monatte),  le profonde divergenze in seno alla confederazione, motivazioni che diedero il là alla alla scissione ed alla costituzione della CGT-U, padrona di 17 federazioni, ufficialmente costituita, dopo un primo congresso minoritario, al congresso di S.Etienne tra il 26 giugno e il primo luglio del '22[20].

La ripresa ed il decollo economico

La ripresa economica francese, malgrado le conseguenze della Grande Guerra, fu piuttosto rapida e proseguì fino alla primavera del 1930. La produzione industriale raggiunse i livelli prebellici a metà degli anni Venti e tra il '25 ed il '29 aumentando di un quarto, arrivò a fine decennio ad essere superiore del 35/40% rispetto a quella prebellica. Dopo il '22, grazie anche alla svalutazione del franco,  le esportazioni incrementarono rapidamente ed a metà degli anni Venti risultavano essere superiori per più di un terzo rispetto al livello conseguito nel 1913. Assistita da generosi aiuti governativi,  concessi con la convinzione della riscossione delle riparazioni di guerra da parte della Germania, la struttura industriale si modernizzò investendo cospicuamente in macchinari e tecnologie moderne. L'aumento della capacità produttiva nell'industria, specialmente in settori come il chimico, il metalmeccanico e il metallurgico e i progressi tecnici in "nuove" industrie, quali quelle del rayon, quella elettrica e nella produzione automobilistica divennero le colonne portanti dell'economia francese. L'industrializzazione francese fu tale infatti per cui un Paese prevalentemente agricolo cambiò radicalmente il suo profilo, tanto che nel 1931 la maggioranza della popolazione non fu più rurale e sebbene il numero degli agricoltori scese di un milione tra il 1911 e il 1936, la produzione agricola aumentò[21]. L'esperienza bellica fu fondamentale per lo  sviluppo di quei settori che caratterizzarono la seconda espansione industriale. Così dovendo sopperire alla perdita delle industrie pesanti nel nord e nel nord-est e grazie all'attiva partecipazione dello Stato, l'industria automobilistica, quella aerea e chimica decollarono, facendo risultare il tasso di crescita della Francia negli anni Venti il più alto d'Europa[22].   

costituirono i vettori della trasformazione economica francese nel primo trentennio del ventesimo secolo. Infatti, mentre tra il 1906 ed il 1931 il numero delle aziende con meno di sei addetti diminuì approssimativamente del 35%, raddoppiò il numero degli stabilimenti che impiegavano più di cinquecento lavoratori. Sebbene le industrie francesi rimasero di dimensioni ridotte, l'importanza economica di quei settori ad alta concentrazione industriale aumentò significativamente coabitando con realtà produttive più piccole. Così le industrie metalmeccaniche con oltre cinquecento addetti costituivano solo 1,5% della totalità delle aziende di quel settore, ma occupavano quasi il 40% della forza lavoro di quel ramo. L'industria automobilistica, che adattò tecniche di produzione di massa durante la Grande Guerra, quintuplicò i suoi addetti (tra il 1906 e il 1931) e incrementò la sua produzione del 180% tra il '23 ed il '38, superando proporzionalmente la crescita di produzione statunitense e dominando il panorama europeo. La concentrazione industriale in questo settore ne mutò radicalmente il volto. Infatti, il monopolio esercitato da Renault, Peugeot e Citroen, diverrà tale che nel '32 produrranno da sole il 70% dei veicoli complessivi delle industrie automobilistiche. Le case automobilistiche passarono da 155 nel '24 a 60 nel '32 e 31 nel '39[23].Con oltre 800.000 lavoratori, incluse le attività connesse ad esse nel '36, vi erano 2.000.000 di veicoli circolanti su un'ottima rete stradale[24]. La razionalizzazione della produzione iniziata con l'introduzione del taylorismo nell'anteguerra all'interno dell'industria automobilistica si espanse successivamente, viste le necessità di accelerare la produzione, durante il conflitto bellico[25]. Così le linee di assemblaggio si moltiplicarono nell’industria automobilistica, dequalificando le mansioni a cui erano addetti gli operai, così come aumentò il controllo a cui erano sottoposti i lavoratori, limitando l’autonomia dei propri movimenti e innalzando i ritmi di lavoro.

Simon Weil, descrive nel suo Diario di fabbrica (1934-1935) la sua personale éxperience prolétarienne vissuta principalmente all’Alsthom, Societé Générale de construcions électriques et mécaniques ed agli stabilimenti della Renault. Sono appunti che alternano sinceri slanci lirici sulla condizione operaia in fabbrica a riflessioni sul macchinismo <<la macchina è per l’operaio un mistero...Non c’è nulla di meno istruttivo d’una macchina>>e sull’organizzazione della produzione ed il tentativo di pensare ad un suo superamento attraverso una <<disposizione della fabbrica>> panottica, che <<mira a dare a ogni lavoratore un’idea complessiva>>, pagine che riportano stralci di dialoghi sul luogo di lavoro, oltre a minuziosi appunti sull attività svolta e sulla contabilità del proprio salario (strettamente legato agli obbiettivi di produzione).

<<Che cosa ho guadagnato da questa esperienza?>>Si chiede la Weil a conclusione della suo periodo lavorativo come operaia di fabbrica, <<il senso che non ho nessun diritto, di nessun genere e su nulla (attenzione a non perderla questa coscienza). La capacità di essere moralmente autosufficiente, di vivere in questo stato di umiliazione latente e perpetua senza sentirmi umiliata ai miei propri occhi; di gustare intensamente ogni istante di libertà o di amicizia, come se dovesse essere eterno. Un contatto diretto con la vita...

Per poco non sono stata spezzata. Per poco il mio coraggio, la coscienza della mia dignità non sono stati distrutti durante un periodo il cui ricordo mi umilierebbe; ma, letteralmente, no ne ho conservata memoria. Al destarmi, l’angoscia; andando in fabbrica, paura; lavoravo come una schiava; la pausa di mezzogiorno mi straziava; ritornavo a casa alle 5,45, preoccupata subito di dormire a sufficienza (cosa che non riuscivo a fare) e di risvegliarmi abbastanza di buon’ora. Il tempo m’era divenuto un peso intollerabile. Il timore, la paura, di quel che sarebbe venuto dopo cessavano di stringermi il cuore solo il sabato pomeriggio e la domenica mattina. E l’oggetto del timore erano gli ordini>>.[26]  

L'industria aerea costituiva un altro importante ramo dell'espansione industriale francese. Sviluppatasi considerevolmente durante il primo conflitto bellico mondiale, si rafforzò nel dopo-guerra, facendo della Francia uno dei primi paesi d'Europa nel trasporto merci per via aerea. La sua forza lavoro composta per la maggiorparte da operai altamente qualificati, dotati di un quadro di saperi ed di una elevata autonomia rispetto al processo lavorativo, scarsamente reperibile datane la scarsità ed allo stesso tempo necessaria per la sua indispensabilità poteva, così godere anche di una elevata capacità contrattuale che si tramutò speso in propensione conflittuale. 

Anche l'industria chimica conobbe, come i due settori precedentemente citati, nuovo slancio durante la guerra. Fu appunto durante il conflitto che la Francia riuscì a sostituire agenti coloranti precedentemente importati dalla Germania e fu dopo lo scontro bellico che la politica di "autosufficenza" nel chimico, come in altri rami, fu inaugurata e portata avanti dal governo attraverso la Commision de defense national pour les industries chimiques e, così come in altri settori, con Le conseil national économique.

La politica energetica francese portò il paese nel 1933 ad essere quarto al mondo per la produzione di energia elettrica moltiplicando i suoi addetti di 7,5 volte dal 1906 al 1931.

Verso il fronte popolare, Il 6 febbraio

L'Action Francaise , le organizzazioni patriottiche giovanili - alle quali si unirono le croci di fuoco e l'Unione Nazionale Combattenti- indirono una manifestazione per il 6 febbraio del ’34, giorno in cui Eduard Dadalier, membro del Partito Radicale, si presentava alla Camera dei deputati per ottenere la fiducia. L'ex -capo del governo Camille Chautemps  si era dimesso precedentemente a causa degli scandali che avevano implicato figure di secondo piano del Partito Radicale. Tra questi il più notorio risultava essere il caso Stavisky.[27]

S.Stavisky era stato accusato sin dal 1927 per la sua presunta attività di truffatore, tuttavia non venne mai  processato. Il non essere oggetto di provvedimenti od indagini giudiziarie  fece insinuare il dubbio che Stavisky  potesse beneficiare della protezione delle alte sfere politiche.  Si  suicidò dopo lo scoppio dello scandalo successivo all’emersione dell’emissione fraudolenta di polizze avvenuta nel comune di Bayonne nel dicembre del 1933[28].<<L’8 gennaio i giornali annunciarono che Stavisky si era suicidato quando la polizia aveva fatto irruzione nella villa in cui si nascondeva. Furono pochi i francesi che credettero a tale versione. L’opinione pubblica era convinta che la polizia aveva ucciso il truffatore per impedirgli di rivelare le numerose relazioni che aveva nei più alti circoli ufficiali.>>(W.L.Shirer).Successivamente la destra richiese in Parlamento un'inchiesta esauriente sullo scandalo, ma questa venne rifiutata da Chautemps, allora ancora primo ministro. Tale scelta provocò numerose proteste che spinsero Chautemps a dimettersi.I socialisti chiesero ed ottennero, come condizione del loro appoggio a Dalanier  ed al suo ministero, l'allontanamento di Jean Chiappe dalla carica di prefetto di polizia di Parigi, inasprendo ulteriormente gli umori della droite.

Così il 6 febbraio la folla riunitasì per la manifestazione sulla riva destra del fiume, al grido di <<Abbasso i ladri>>, cercò di riversarsi in Place de la Concorde (posta di fronte alla camera dei deputati) scontrandosi pesantemente con la polizia nel tentativo di espugnare il parlamento. Gli scontri furono tali che 17 persone perirono mentre ben 2300 rimasero ferite. Questi episodi erano i più gravi di una lunga serie di scontri e violenze che avevano viste le leghe protagoniste della politica francese dall’inizio del ’34. Inoltre Daladier , a cui subentrò l'ex presidente  della repubblica Doumergue a capo di un così detto governo di "Unità Nazionale",si dimise[29].

Le conseguenze del 6 Febbraio

Il 17 febbraio venne proclamato uno sciopero generale dalla CGT insieme alla CGT-U, manifestazione durante la quale a Parigi il corteo comunista e socialista si fusero in nome della comune difesa delle istituzioni democratiche francesi e della ferrea condanna agli avvenimenti del 6 febbraio da considerarsi come l’ennesimo disvelamento della reale minaccia fascista in Francia. Dopo il 6 febbraio i dirigenti comunisti continuarono ad accusare il Partito Socialista di avere tradito i lavoratori e ad appellarsi alla sua base perché lo abbandonasse e passasse nelle file comuniste. Ma le mutate esigenze sovietiche imposero un cambiamento della linea politica del PCF e della CGT-U, (grosso modo cinghia di trasmissione degli interessi del PCF in ambito sindacale). Il 31 maggio <<L’Humanité>> pubblicò un articolo apparso precedentemente sulla <<Pravda>> in cui si faceva appello alla collaborazione tra comunisti e socialisti contro il pericolo fascista, riferendosi particolarmente alla Francia l’articolo ammoniva :<<sarebbe un crimine nei confronti della classe operaia opporsi ad un tale fronte unico>>. Lo stesso giorno  il partito aveva indirizzato una lettera ai socialisi chiedendo un incontro; richiesta che sorprese lo stesso Blum, che sotto la pressione dei suoi compagni e delle esplicite richieste dei lavoratori socialisti della zona di Parigi, accettò l’invito. Successivamente, L'8 giugno la conferenza nazionale del PCF, invitava all'unità d'azione con la SFIO. Così il 14 luglio, giorno della festa della presa della Bastiglia, gli esponenti dei due partiti ebbero un incontro decisivo[30]. il 27 luglio il Comitato Centrale del Partito comunista e la Commissione Amministrativa Permanente del Partito Socialista, comunemente  <<animati dalla volontà di battere il fascismo>> e dalla <<difesa delle libertà democratiche>>, si accordarono per agire <<contro i preparativi di guerra>>, <<contro i decreti-legge>> ossia contro il ridimensionamento dell’autorità parlamentare e <<contro il terrore fascista in Germania ed Austria>>, accantonando (le possibili) critiche reciproche in seno agli ambiti di intervento fissati, sottoscriverono un patto d’unità d’azione.[31]. Gli avvenimenti di febbraio infatti contribuirono a spingere il Partito Socialista verso l’approvazione delle proposte del PCF in direzione di un alleanza politica finalizzata alla prevenzione della minaccia fascista.  Tale intesa venne ufficializzata dalla SFIO durante il suo congresso tenutosi a Boulogne, congresso durante il quale  venne esposto articolatamente il programma del partito. Questo comprendeva alcuni punti che saranno prima inclusi nel programma del Rassemblament Poupulaire e poi realizzati dal governo Blum. Altri punti, come la nazionalizzazione delle banche, delle assicurazioni e delle grandi industrie soggette a controllo monopolistico risultarono, per così dire, più “radicali” di quelle avanzate dal PCF[32]. La SFIO chiedeva inoltre lo scioglimento delle bande fasciste.[33]Il 10 ottobre del 1934 Maurice Thorez fece appello, in nome del comitato centrale, a un <<vasto Front Populaire per combattere il fascismo, in nome del lavoro, della libertà e della pace>> dando così involontariamente al movimento il nome in cui sarebbe passato alla storia. Fino a quel momento esso si era definito <<Rassemblement populaire>>.

La politica estera Russa e la politica nazionale del PCF

Con L’ingresso della Russia nella SdN(sett. 1934), il trattato franco- sovietico di mutua assistenza(2 maggio 1935), la firma di un patto analogo con la Cecoslovacchia, nonché il patto di non aggressione e neutralità << l’asse della politica estera della Russia era diventato il legame con le potenze democratiche dell’Europa occidentale>>[34]. Dopo il fallimento dell’ avvicinamento germano-sovietico e la smaccata politica filogermanica e filonazista (ed di suoi “ riverberi “ sulla linea politica dell’IC), l’accordo tedesco-polacco del Genn. ‘34 ed il rifiuto di Hitler sia nei confronti di un <<piano dell’est>> che ad un possibile accordo sugli stati baltici, L’U.R.S.S. rinunciò temporaneamente alla sua Deutschepolitik, preoccupandosi principalmente di tranquillizzare i suoi nuovi interlocutori, e disponendosi in funzione anti-germanica presso i suoi nuovi alleati, approvò anche il riarmo della Francia.[35]

Stalin durante un incontro con Laval sostenne << la necessità per il paese  di porre i suoi mezzi materiali sul piano della difesa>> e di << mantenere le sue forze armate a un livello compatibile con le esigenze della sua situazione>>.

Così, il PCF con un funambolico cambio di rotta s’affrettò a produrre un  <<grande manifesto>> dal titolo “Stalin ha ragione”, cercando di diffondere con ogni mezzo il nuovo verbo tra la base. Meno di un anno prima Thorez aveva esposto alla camera la tradizionale linea comunista:<<siamo contro la difesa nazionale. Siamo seguaci di Lenin, del disfattismo rivoluzionario>>. E proprio in quella occasione aveva fatto appello ai socialisti perché votassero contro gli stanziamenti militari proposti da un <<governo che prepara la guerra>>.

Due mesi prima del discorso di Stalin, Thorez aveva dichiarato esplicitamente che anche se la Francia fosse stata invasa dai comunisti non avrebbero appogiato una guerra <<provocata da potenze capitalistiche ed imperialistiche>>. Con il bene placido di Jaurés e Guesde, per il quale(Jaurés) il PCF e la SFIO decisero una campagna comune di commemorazione(!) e delle sue precedenti campagne antimilitariste e pacifiste, costate caro e pagate col carcere dai suoi militanti, il PCF iniziò un periodo di patriottismo spinto(riabilitando il patrimonio storico anche della droite)[36]e di acceso sciovinismo, nonché una manifesta simpatia verso l’ARAC[37]. Il PCF un inaugurò inoltre una politica di avvicinamento verso le <<classi medie attirate dal fascismo>>, i <<piccoli funzionari>>, i contadini. Venne riservata importanza ai <<bottegai>>, enfatizzati i bisogni delle classi medie, guardati con un certo riguardo <<i vecchi combattenti>>, come venne posta attenzione ai <<sindacati dei piccoli commercianti>>.Questa nuova linea politica era così tesa sia ad allargare l’elettorato del PCF(la sua base di consensi) ed accreditargli la fiducia dell’opinione pubblica. Sventolando inoltre <<la bandiera tricolore accanto alla bandiera rossa>>, approvava<< le forze nazionali costruite per la difesa della libertà>>e riconosceva<<l’eredità intellettuale e rivoluzionaria degli enciclopedisti del XVIIIsimo secolo>>,dei giacobini e così via: non era nelle sue intenzioni <<lasciare al fascismo la bandiera della Grande Rivoluzione e nemmeno La Marsigliese dei soldati della convenzione>>.[38]Le tematiche anticolonialiste che avevano visto il PCF in prima linea nei confronti dell’autodeterminazione dei popoli marocchino e algerino,indocinese ed indiano vennero abbandonate, l’unico vero compito a cui il PCF doveva votarsi era la <<difesa dell’Unione Sovietica in ogni caso e con tutti i mezzi>> (M.Thorez).[39]

Il piano del lavoro della CGT

Il piano del lavoro[40] proposto ed elaborato dalla CGT nel ’34 e modificato l’anno successivo(adattandolo alla congiuntura economica del ’35) prevedeva la nazionalizzazione delle ferrovie, delle miniere, delle società elettriche e delle assicurazioni, nonché l’istituzione di sistemi di controllo della distribuzione del credito e dei principali costi industriali. Secondo J.-D.Reynaud, sia la cartellizzazione padronale, che il piano della CGT avrebbero avuto in comune <<almeno Il fatto che cercavano di correggere più o meno profondamente le regole del mercato liberale>>. I temi dell’organizzazione economica, secondo modalità razionalizzatrici e modernizzatrici, l’espansione dei consumi, l’approccio valorizzante alle classi medie[41] e la legislazione sociale[42] costituiscono alcuni dei cardini della <<politica della presenza>>[43] (per usare una espressione di Leon Jouhaux) della CGT nel corso degli anni venti fino alla vigilia del fronte popolare[44].

Si pensava che il tentativo di resistenza della classe moyenne alla proletarizzazione, cioè ad un suo declassamento dovuto ad un peggioramento delle proprie condizioni di vita, e la sua conseguente perdita di status,  potesse essere cooptato all’interno di un programma politico ampio di salvataggio dell’economia nazionale. La formazione di una composizione politico-programmatica costituita da fasce sociali differenti, con bisogni contrastanti, non solo avrebbe arginato ma avrebbe prevenuto ed impedito l’ulteriore sviluppo di un terreno fertile per le aspirazioni fasciste che stavano già facendo breccia - penetrando celermente ed inevitabilmente con facilità pervasiva - in quel corpo sociale colpito dalla crisi capitalistica.

L’instabilità economico-politica

Il gabinetto Doumergue andava elaborando alcune proposte che si orientavano nella direzione di un potenziamento dei poteri decisionali del governo a scapito dell’autorità del parlamento in generale e del senato in particolare, camera in cui radicali e affini potevano godere di un’ampia maggioranza. Questi possibili provvedimenti legislativi avrebbero sancito da un lato, l’impossibilità di fare proposte che implicassero delle spese  ai deputati e dall’altro la possibilità del presidente di sciogliere , su consiglio del primo ministro, il parlamento senza la previa approvazione da parte del senato. IL possibile ridimensionamento dell’autorità politica del senato, roccaforte dei radicali e l’annullamento del potere propositivo in materia finanziaria del parlamento spinsero il Partito Radicale a ritirare il propio appoggio a Doumergue. Bisogna sottolineare che l’instabilità politico-governativa era anche e soprattutto, diretta conseguenza della crisi economica[45].

erano tutti nodi centrali della politica finanziaria del governo e non permettevano, vista appunto la situazione internazionale (i lasciti e le conseguenze della crisi del ‘29) ed i continui scontri di interesse all’interno , compromessi e mediazioni a livello politico.

Annunciando alla radio i suoi progetti di riforma costituzionale, anziché rivolgersi al paese solo dalla tribuna della Camera o del Senato, Doumergue suscitò nei membri del parlamento l’impressione di essere stati scavalcati, acutizzando il risentimento verso il suo gabinetto. Quando poi all’inizio di novembre annunciò  che avrebbe sottoposto alle due Camere vari decreti legge sulle finanze e che quindi avrebbe convocato a Versailles  l’Assemblea nazionale per votare le riforme costituzionali (senza averle prima discusse in senato) i radicali reagirono abbandonando il governo. Il 9 novembre Doumergue fu costretto a dimettersi.   Così a Doumergue successe il centrista Pierre-Etienne Flanoin ed a sua volta nel ‘35 l’ex-socialista, ora di orientamento conservatore, Pierre Laval(già presidente del consiglio dal ‘31 al ‘32), rovesciato a sua volta anch’esso alcuni mesi dopo (genn.’36)per il distacco dei radicali dalla maggioranza.

Il sucesso elettorale del Fronte Popolare

Nelle elezioni politiche nazionali svoltesi tra il 26 aprile ed il 3 maggio del ’36 il Fronte Popolare composto da comunisti, socialisti, radicali e alleati ottenne l’appoggio del 45,94% degli elettori. Rispettivamente: Il partito comunista ottenne  1.468.949 voti e 72 seggi, quando nelle precedenti elezioni nazionali era riuscito a totalizzare 783.098 voti e 11 eletti; i socialisti della SFIO ottennero 147 seggi rispetto ai 131 del ’32, mentre i socialisti dissidenti che erano in 37 scesero a 51. L’unica forza politica del fronte popolare non in ascesa risultò il partito radicale che, prendendo 51 seggi e circa 350.000 elettori, ottenne 106 seggi e quasi 40.000.000 voti, superato di circa 2.000.000 dai socialisti. Di contro ai 378 eletti del fronte popolare, l’opposizione di centro e di destra ottenne 220 seggi.[46]

All’indomani della vittoria elettorale tutte le componenti del fronte popolare si affrettarono a rassicurare l’opinione pubblica. Rispetto al governo ed al suo programma Eduard Daladier (presidente del partito radicale) precisò: <<il programma del Fronte Popolare non prevede nessun articolo che vada contro  gli interessi legittimi di qualsiasi cittadino, che possa preoccupare i risparmiatori oppure nuocere a qualsiasi forza lavorativa sana della Francia>>.  Il 31 dicembre del ‘36 Léon Blum dichiarerà alla radio, durante il suo discorso di fine anno:<<noi non cerchiamo né direttamente, né insidiosamente di applicare al potere il programma socialista>>. In perfetta continuità con le precedenti considerazioni da lui esposte durante il 10 gennaio nel corso del congresso di Belle Villoise, secondo le quali si sarebbe dovuto agire al governo sempre nell’ambito della costituzione  <<legalmente, lealmente, senza commettere quella specie di truffa che consisterebbe nell’approfittare della presenza all’interno del governo per trasformare l’esercizio del potere in conquista del potere>>[47].

I comunisti dal canto loro sostennero ma non parteciparono al <<governo borghese>> di Blum, di cui il gabinetto era composto da 21 ministri e di 14 sottosegretari, tra cui tre donne (allora non aventi diritto di voto né attivo né passivo) e tra cui rispettivamente 16 socialisti, 14 radicali e due membri dell’unione socialista e repubblicana.

L’occupazione delle fabbriche

Il primo maggio a Le Havre, la direzione della fabbrica metallurgica Breguet licenziò 2 operai per essersi astenuti dal lavoro. Delegazioni di lavoratori si recarono allora presso la direzione per chiedere l’annullamento di questa misura, ma  i tentativi di negoziato svoltisi durante la settimana succesiva al licenziamento diedero esiti negativi. <<Lunedì 11 maggio, comincia lo sciopero nella fabbrica. Seicento operai, la totalità del personale, restano in fabbrica durante la notte dal Lunedì al martedì>>. Attraverso l’intervento del sindaco, nonché deputato di Le Havre, Leon Meyer, gli operai ottennero non solo la reintegrazione dei due lavoratori licenziati, ma anche il pagamento dei due giorni di sciopero[48]. Quasi contemporaneamente, il 12 maggio,  per analoghe ragioni (il licenziamento di 3 operai astenutisi dal lavoro durante il primo maggio), a Toulose, gli operai metallurgici degli stabilimenti Latécoère proclamarono uno sciopero di solidarietà. Anche qui, attraverso l’arbitrato del sindaco, non solo gli operai precedentemente licenziati vennero reintegrati ma vennero inoltre riconosciuti loro i delegati sindacali. Successivamente,  il 14 maggio i lavoratori della Bloch di Courbevoie, un’industria produttrice di aerei (principalmente su commesse statali), passarono la notte all’interno della fabbrica. Nei giorni seguenti la direzione concesse un aumento del salario, le vacanze pagate ed il pagamento dei giorni di sciopero. Il 22 maggio, sempre nella regione parigina e nella produzione aerea, il personale della Gnome e Rhone, protestando contro gli straordinari e chiedendo il rispetto delle otto ore, riuscì ad ottenere la cessazione degli straordinari ed il pagamento delle vacanze. Il 28 maggio l’ondata delle occupazioni toccò i giganteschi stabilimenti industriali della Renault a Boulogne-Billancourt e contemporaneamente i lavoratori della citroen scesero in sciopero. <<Le occupazioni si aprirono dalle aziende aereo-produttrici e da alcuni stabilimenti producenti attrezzature radio-telefoniche e giunsero alle grandi industrie automobilistiche>>[49]. Il 28 maggio fu raggiunto un accordo alla Renault che sancì la fine degli straordinari, l’inalzamento dei salari più bassi (così come alla SIMCA), la costruzione di toilettes e di spogliatoi, (negati ai lavoratori del cemento del Trocadero) ed il pagamento dei giorni di sciopero retribuiti come lavorativi. Sulla scia della Renault il 30 maggio i grévistes di molte industrie tra i quali Nieuport, Caudron, Farman, Brandt e Pachard, conclusero le occupazioni avendo ottenuto accordi simili a quelli concessi alla Renault, mentre i lavoratori alla Bloch, alla Michelin, alla Citroen ed alla Lockheed ottennero anche le vacanze pagate. Le occupazioni, conclusesi con esito positivo in alcuni settori, continuarono in alcune industrie chimiche, pneumatiche ed elettriche. Il 2 giugno una nuova ondata di occupazioni toccò un numero cospicuo di industrie tra le quali Lioré et Olivier(1.200 addetti), Breugete e circa trecento tra stabilimenti chimici e metallurgici; successivamente e rispettivamente il 4 giugno alla Renault ed il 5 alla citroen, queste ripresero coinvolgendo anche le province.

Così il primo obbiettivo del governo insediatosi il 4 luglio, quello degli industriali e degli stessi leader sindacali divenne quello di far defluire il movimento che, iniziato i primi di maggio, era ancora in espansione.  il 7/8 giugno a Parigi vennero così firmati i cosiddetti “accordi di Mantignon”. Accordi a cui partecipano tre ministri del governo, alcuni rappresentanti sindacali(CGT) e del padronato (GPF)[50]. Questi sancirono:

Il 16 Giugno, Jouhaux, facendo  il punto della situazione di fronte al comité national della CGT, dichiarerà tutta la sua sorpresa rispetto alla nouvelle vague di protagonismo operaio che aveva scosso la Francia :<<Il movimento è scoppiato senza che si fosse potuto comprendere esattamente come e dove>> preoccupandosi di far calare al più presto di nuovo la “cappa” sindacale e facendo si di riprendere il controllo della situazione. <<nessun sindacato di fabbrica ed allo stesso tempo i delegati operai devono stare sotto il controllo dell’organizzazione sindacale[...]. Le nostre organizzazioni sono aperte a tutti i salariati che chiedono di farne parte, ma questa possibilità non esclude affatto la vigilanza>>[53]. Il timore di vedere incrinato il proprio rapporto privilegiato con il gabinetto appena formatosi e la possibile perdita di peso della propria rappresentanza di fronte al potere politico ed in seno ai lavoratori, accellerò il tentativo di neutralizzazione preventiva di qualsiasi altra espressione della classe lavoratrice dopo << la ‘salutare manifestazione di malcontento’ che il governo ‘amico’ aveva permesso e recuperato prontamente (per sintetizzare il sensus comunis del gotha sindacale rispetto agli avvenimenti di Maggio).  Agli occhi di qualsiasi “sinistro” burocrate politico o sindacale francese che fosse, le classes laboureuses divennero sempre più spettralmente classes dangereuses, mentre nello stesso tempo la minaccia per il già precario assetto di potere non era più di matrice fascista e non veviva dalle varie componenti di una classe moyenne in via di declassarsi, bensì di matrice proletaria.

Successivamente tra il 7 ed il 9 giugno verranno istituite in ambito governativo:

L’ondata di agitazioni che aveva scosso la Francia non era però l’unica preoccupazione del gabinetto Blum.

All’indomani della vittoria del fronte popolare,<<in borsa si creò il panico. I buoni dello stato caddero bruscamente. Le azioni della banca di Francia caddero in una settimana da 7830 a 7365 franchi. Iniziò la fuga dei capitali all’estero ed una frenitica corsa all’acquisto dell’oro. Nella settimana che seguì alle elezioni la Banca di Francia perdette due miliardi e mezzo di franchi dalle sue riserve auree. La massiccia esportazione dei capitali nelle intenzioni dei loro possesori era diretta non soltanto a metterli al sicuro, ma anche a sabotare gli sforzi del fronte popolare di rivitalizzare l’economia francese attraverso l’impiego produttivo dei capitali francesi.>>[55]  

La resistenza operaia durante il Fronte Popolare

Durante il fronte popolare gli episodi di resistenza al regime produttivo imposto si moltiplicarono. Sia che si trattasse di rallentare i ritmi di produzione, che di disobbedire alle figure preposte al controllo della medesima, o di realizzare praticamente la settimana lavorativa di 40 ore e di 5 giorni ( ad esempio bloccando gli straordinari), molteplici furono le forme che mostrarono una tendenziale mutazione dei rapporti di forza all’interno dei luoghi di lavoro ed un maggiore controllo operaio sulla produzione. Ostruzione, sabotaggio, ritardi oltre il margine di tollerabilità nell’entrare negli stabilimenti o uscite in anticipo rispetto ai turni regolari, così come assenze ingiustificate, divennero pratiche quotidiane dei lavoratori delle grandi concentrazioni industriali metalmeccaniche e chimiche, così come dell’industria aereonautica, e dell’edilizia. Inoltre molti lavoratori parigini diedero un’interpretazione sui generis del fascismo  associandolo <<a una ferrea disciplina sul luogo di lavoro, a una produttività di tipo intensivo, ed a una lunga e faticosa settimana lavorativa>>[56], agendo di conseguenza : il fascismo venne  accostato tout court alle condizioni di lavoro che avevano caratterizzato la fase del decollo, dello sviluppo e dell’affermazione economica francese. Si registrarono perciò forti tensioni tra delegati e controllori e si articolarono rapporti differenti tra i lavoratori, i rappresentanti da loro eletti e le organizzazioni politiche e sindacali(CGT,PCF) organiche al governo. Il controllo sui licenziamenti e le assunzioni, come su altri punti da parte della aziende e dei loro fiduciari venne continuamente messo in discussione dalle collettività operaie dei singoli stabilimenti. Così si verificarono intimidazioni e violenze verso crumiri e staccanovisti ante litteram, così come verso i capi reparto più intransigenti, tacciati, a causa del loro comportamento, di essere appunto fascisti.[57] Il comportamento indisciplinato dei delegati, che fornendo una loro propia interpretazione del ruolo che avrebbero dovuto rivestire, allargarono la loro influenza e la loro autorità e si sentirono dispensati dagli oneri produttivi a cui erano vincolati gli altri operai, non mancarono di essere segnalati non solo dal patronat. La necessita di un controllo più efficace, di una disciplina più rigida, e di una più costante sottomissione ai diktat produttivi non mancarono di manifestarsi pubblicamente.[58]

Il world’s fair costituisce senz’altro un caso paradigmatico del comportamento dei lavoratori. I lavori per il world’s fair , nonostante i ripetuti appelli e le esortazioni governative, nonché le assicurazioni da parte della CGT e del PCF, non furono conclusi come previsto per il primo maggio. L’esposizione che secondo le parole di Blum avrebbe sancito<<il trionfo della classe lavoratrice e della libertà>> e la superiorità del regime democratico sulla dittatura, avrebbe dovuto essere inaugurata infatti per la fete du travail , ma a causa dei rallentamenti alla produzione venne terminata molto al di là di questa scadenza. Sebbene il governo optò per una collaborazione più stretta con la CGT nella conduzione dei lavori, collaborazione necessaria per l’importanza che quell’appuntamento costituiva a livello di politica estera della nazione francese, la produzione non migliorò. Così la rigidità di cui i ritmi produttivi avrebbero necessitato ed il sur-plus di sacrifici richiesto ai lavoratori non trovarono realizzazione. Il lavoro venne suddiviso in tre turni a causa del rifiuto della CGT di estendere la giornata lavorativa oltre le 40 ore, ma i turni notturni risultarono scarsamente produttivi anche a causa dell’utilizzazione di mano d’opera non qualificata. I lavoratori inoltre rifiutarono di recuperare i giorni non-lavorativi infrasettimanali dovuti alle festività ed alle intemperie. <<alcune nazioni cercarono di impiegare lavoratori non francesi per ultimare i loro padiglioni, ma la CGT si oppose non solo a questa pratica ma anche all’assunzione di lavoratori provenienti dalla provincia>>. Si verificarono anche alcuni episodi di violenza contro i capi reparto ed alcuni casi di sabotaggio. Inoltre il rifiuto poi di utilizzare tecnologie avanzate per un impiego esteso della mano d’opera contribuirono a fare slittare la fine dei lavori(ancora solo parzialmente completati) al 24 maggio. La preoccupazione ad <<interessare gli operai al loro lavoro>> dando a loro <<il senso che l’azienda viva e che essi partecipano di quella vita>>[59] e la necessità di far scemare <<la vague générale de paresse>> montata con le occupazioni delle fabbriche, furono le reazioni generalizzate di cui anche le organizzazioni che sostennero il front poulairesi fecero portatrici.

<<Nel XIX secolo Paul Lafaurgue, esponente di spicco del movimento socialista e cognato di K.Marx, parlò e scrisse di droit à la paresse; ora, nel XX secolo i leaders delle organizzazioni operaie non accennavano mai se no in termini denigratori alla paresse ed alla pigrizia.>>[60]

La critica alle forme di socializzazione delle classi lavoratrici non inclini ad un salutare riposo, non affini e non contigue alle attività produttive quali l’alcolismo, il tabagismo, cabarets, ecc.ecc. e non irrigimentate dal disciplinamento del tempo libero che si andava stratificando, erano parte integrante della politica del front popoulaire. Questo atteggiamento espressamente riformatore si nutriva anche di un afflato “modernista”, promuovendo il sostegno, l’estensione e la democratizzazione delle forme di vita moderne, cioè delle forme moderne di consumo quali il consumo del tempo libero in attività sportive, in gite domenicali extra-urbane en plein air, ecc. od il consumo beni: automobili, abbigliamento, cultura.

Il declino e la fine del Fronte Popolare

L’ eterogeneicità delle forze componenti la base sociale del Fronte Popolare, manifestatasi già nelle scelte del governo Blum nell’ambito della politica estera (l’atteggiamento ondivago rispetto alla guerra civile spagnola), emerse ancor  più nettamente con l’inasprirsi della crisi economica,  che rese ancora più visibili le esigenze conflittuali delle diverse realtà sociali ed i contrasti tra i partiti che ne volevano essere l’ espressione. Il partito radicale, ago della bilancia a livello politico-parlamentare della terza repubblica, per voce  dei suoi rappresentanti, iniziò insistentemente a richiedere il ripristino dell’ordine, ed una politica orientata più decisamente verso la salvaguardia degli interessi delle classi medie. L’elettorato del partito radicale era infatti essenzialmente composto da contadini, propietari di piccole aziende e membri delle middle classes in genere , favorevole sia all’anti/clericalismo che al mantenimento delle libertà repubblicane, ma ostile, o quanto meno scettico, rispetto alla politica economica inaugurata dal Front Poupulaire.              

Lamentandosi dell’incremento del potere dell’organizzazioni sindacali, delle continue violazioni nei confronti del  droit de travailler, nonché, in modo particolare, dell’attuazione delle 40 ore settimanali, introdotte attraverso gli accordi di Mantignon, così come della(ormai ”cronica”) scarsa produttività di alcuni settori industriali e denunciando enfaticamente l’improduttività dell’industria bellica nazionalizzata, gli esponenti del partito radicale volgevano tout court verso l’allineamento alle posizioni del patronat.

La crescita dei prezzi e la svalutazione del franco, che aveva perso circa il 60% del suo valore in meno di due anni, l’aumento del deficit della bilancia commerciale, gravarono particolarmente su molti fonctionaires, rentiers, pensionati ed in generale su coloro i quali erano legati ad entrate il cui valore nominale restava invariato nonostante le cangiati e contingenti fluttuazioni del loro valore “reale”. Inoltre la fuga di capitali che << di fronte alle difficoltà nazionali ed inernazionali emigra[ro]no all’estero rifiutandosi di risponder all’appello di Blum>>[61].risultò anch’essa condizionare la politica governativa. Così, la realpolitik del governo in materia economica iniziò ufficialmente con la proclamazione di una <<pausa>> delle riforme il 13 febbraio del ’37. Già nell’ ottobre ’36 il Ministro degli interni Roger Salengro affermava che <<non può esistere una classe operaia felice in un paese rovinato, che un paese diviso  e dilaniato  può divenire una preda facile, che salveremo la nostra moneta solo se saremo capaci di far regnare l’ordine, che potremmo essere certi della nostra sicurezza solo se accetteremo una certa dose di indispensabile disciplina>>.

Le officine partecipi alla seconda ondata di occupazioni vennero evacuate ed in dicembre venne lanciato un nuovo prestito pubblico che non incise profondamente nel riassestamento delle finanze. Così l’organizzazione della pausa venne attuata attraverso una serie di misure che ristabilirono il mercato libero dell’oro, inoltre venne affidato a un gruppo di esperti l’incarico di gestire il fondo di stabilizzazione (per un parziale controllo dei cambi), le nuove spese in bilancio furono rimandate, altre vennero ridotte e venne deciso di lanciare un prestito della difesa nazionale. Nonostante questo tentativo di riottenere la fiducia dei detentori di capitali e di arginare la crisi, questa non accennò a scemare. Successivamente anche l’unità antifascista cemento ideologico del fronte ed elemento portante della coalizione governativa, già messa in discussione dalla politica estera francese, vacillò ulteriormente in occasione del raduno del PSF di De la Roque. Dalla dimostrazione del 12 febbraio ’34 svoltasi contro il ‘pericolo eversivo’ emerso durante gli scontri della manifestazione del 6 febbraio, alla dimostrazione contro l’attentato a Leon Blum all’indomani della sua elezione a capo del governo, fino alla manifestazione del novembre dello stesso anno contro la stampa di destra colpevole , secondo i dimostranti, a causa delle sue calunnie, del suicidio del Ministro degli interni Roger Salegro, le manifestazioni antifasciste largamente partecipate erano state prima il propellente poi il sostegno “di piazza” del fronte popolare. Ora la contro-manifestazione organizzata davanti al comune, da cui una parte dei dimostranti si staccò per andare sul luogo del raduno del PSF, degenerò in scontri tra gli antifascisti e la polizia che si conclusero con un bilancio di 5 morti e 200 feriti. Così la promessa di Blum di non essere il “Noske francese” sembravano così sempre più disattese.

Paul Reynaud, a cui Daladier - subentrato a Blum  aveva asegnato l’incarico di Ministro delle finanze - portò la settimana lavorativa a 6 giorni, autorizzò gli straordinari consentendo giornate lavorative di 9 ore, ridusse la retribuzione degli straordinari, ridimensionandoli del 10-25%. Inoltre, venne dichiarato nullo l’accordo che aveva abolito il cottimo e vennero previste sanzioni per i lavoratori dell’industria bellica che si sarebbeto rifiutati di fare gli straordinari. Il pericoloso spostamento a destra, gli accostamenti con le politiche del regime fascista e nazista, come i paragoni con il programma del PSF del colonnello De la Roque, abbondavano nella stampa sindacale e politica che aveva precedentemente appogiato il fronte popolare. Così mentre il congresso della CGT tenutosi a Nantes decise all’unanimità per uno sciopero generale (fissato per il 30 nov), che avrebbe avuto lo scopo di bloccare  l’attuazione dei decreti Reynaud, scoppiarono repentinamente dei grève sauvages. A Puteaux (Hutchinson tire factory), a Aubervilliers (Kuhlman), a St. Denis (Matiéres Colorants) come nelle maggiori fabbriche chimiche, metallurgiche ed aeree si moltiplicarono i wild-cats. <<Il 24 novembre il più vasto e violento sciopero selvaggio scoppiò alla Renault. Anche se il PCF ed i suoi seguaci dichiararono che i lavoratori della Renault non dovevano essere ritenuti responsabili per la violenza o che questa avrebbe dovuto essere attribuita ai trotsckysti, i lavoratori del settore automobilistico si prodigarono nel compiere sabotaggi e  aggressioni fisiche. Alcuni capi-reparto e sovraintendenti vennero percossi, e vennero trovati nelle officine occupate dagli scioperanti quarantadue tra spranghe e sfollagente, nonché un pugnale, fabbricati in toto nelle officine.I grévistes adoperarono automobili e camion di recente fattura per inalzare delle barricate, per infrangere finestre e distruggere l’orologio. Gli scioperanti inoltre cosparsero il fondo dello stabilimento di benzina. La polizia dovette evacuare gli stabilimenti con la forza e fu accolta dal lancio di varie componenti automobilistiche che andavano dai carburatori ai pistoni. 46 agenti ed almeno 22 scioperanti rimasero feriti negli scontri. Numerosi lavori in corso vennero pesantemente danneggiati tanto che l’ammontare dei risarcimenti richiesti dalla direzione corrispondeva a circa 200.000 franchi.

Vennero arrestati circa 280 lavoratori, principalmente con l’accusa di aver ostacolato “la liberté du travail”. Nei rapporti di polizia accessibili riguardanti 31 lavoratori, solo 5 vengono classificati come “politici” e membri del PCF. 21 vennero descritti come non politicizzati(<<pas s’occuper de politique>>) dagli ispettori di polizia, e sui 5 rimanenti il rapporto non contiene nessuna menzione rispetto all’attività politica svolta. Solo 2 lavoratori su 31 persone aveva precedenti penali. Delle 31 persone accusate dalla direzione di aver violato “la liberté du travail” e coinvolte in episodi di violenza e sabotaggio, tre erano di sesso femminile.[¼] Una gettò una tanica di benzina adosso ad una vedova che non aveva interrotto il suo lavoro durante losciopero; le altre minacciarono di <<spaccare la faccia>> alle loro colleghe che si rifiutarono di interrompere il lavoro.>> (Michael Seidman). Il clima che precedette e percorse lo sciopero del 30 novembre s’avvicinava alquanto a quello di una vera e propria guerra civile mirante a completare il processo di “normalizzazione” già in atto per via legislativa. Il patronat minacciò infatti i lavoratori dichiarando pubblicamente che,  chi avrebbe partecipato allo sciopero avrebbe perso la propria anzianità professionale e le ferie pagate; mentre gli esponenti più intransigenti della borghesia affermarono che lo sciopero avrebbe costituito una chiara violazione del contratto e che pertanto sarebbero stati licenziati i lavoratori partecipatantivi, riservandosi perciò di esaminare una possibile riassunzione su base individuale dei licenziati solo ed esclusivamente dopo un’attenta valutazione della documentazione in loro possesso. Il governo per suo conto militarizzò le stazioni dei metrò, quelle ferroviarie e le autostazioni per assicurare una regolare circolazione delle persone. Inoltre il controllo governativo sull’informazione,  esercitato attraverso le trasmissioni radiofoniche che esortavano a non partecipare allo sciopero,  ed incrementato dalla cessazione della pubblicazione dei quotidiani durante la protesta, contribuì al suo esito fallimentare. Sebbene la partecipazione allo sciopero fu relativamente elevata nelle grandi concentrazioni industriali dei sobborghi e si registrarono sabotaggi ed intimidazioni finalizzate alla cessazione del lavoro, la protesta non raggiunse l’obbiettivo. I licenziamenti successivi colpirono i lavoratori che durante il fronte popolare avevano impedito il regolare svolgersi della produzione(les meneurs) e che erano stati il fulcro della resistenza operaia. La direzione aprofittò di tale débacle per riassettare i libri paga , inasprire la disciplina ed incrementare la produttività anche attraverso il ripristino di un sistema di bonus, di incentivi legati alla produzione ed attraverso una pressante “responsabilizzazione” della forza lavoro operante in quei settori stratagici (quale quello dell’industria militare) per la Francia.

I partiti di sinistra ed i sindacati tra le due guerre in Francia

La <<politica di presenza>> , secondo la fortunata espressione di Jouhaux, inaugurata nel dopo-guerra dalla CGT, e che ebbe il suo apice durante la breve esperienza del Front poupulaire, si esplicò progressivamente nel ventennio precedente il secondo conflitto bellico mondiale, promuovendo la centrale sindacale a rappresentante dei lavoratori in seno all’amministrazione statale, facendone propugnatrice e co/autrice dell’intervento dello stato nell’economia e valorizzando il suo ruolo di ‘parte sociale’ nella regolamentazione giuridica dei rapporti di lavoro (l’ottenuto riconoscimento dei contratti collettivi, dei delegati dei lavoratori,ecc.) e della legislazione sociale in genere. Il sindacato promuovendosi come gestore sul piano <<economico>> della forza lavoro,    divenne  collaboratore del  moderno processo di industrializzazione francese, nonché co-autore della

Efficienza/produttività, responsabilità/controllo, razionalità/ordine,...sono mots d’ordre riconducibili, nonostante le loro sfumatore semantiche e la loro attribuzione rispettivamente a sindacati e partiti di sinistra da un lato e dal patronat dall’altra, alla stessa unità dialettica, alla stessa matrice ideologica: sono concetti legati alla medesima causa, quella della legge del valore capitalista.

La risoluzione pacifica della crisi economica è lo spirito programmatico delle forze del Fronte Popolare, che tenendo conto degli equilibri politici, dei giochi di potere e delle diverse sensibilità ed interessi animerà l’agenda della componente gauschiste  (compresa la parte sindacale)  della classe dirigente :


[1] Cfr. Charles S.Maier, La rifondazione dell’Europa borghese, De Donato, Bari, 1979

[2] Cfr. Denis Authier-Jean Barrot, La sinistra comunista in Germania, La Salamandra, Milano, 1981

[3] Bisogna ricordare che durante il primo conflitto bellico mondiale avevano combattuto per la Francia non meno di 449.000 soldati di origine coloniale e più di 187.000 erano stati arruolati in battaglioni di lavoro dell’esercito.

[4] Cfr. William l. Shirer, La caduta della Francia, Giulio Einaudi editore, Torino, 1971

[5] Anton Pannekoek, Les conseils ouvriers, Spartacus, Paris 1982

[6] In Francia il gettito delle imposte aveva coperto solo il 17% del totale delle spese belliche di duecentodieci miliardi di Franchi oro, mentre la rimanente somma era stata coperta dai prestiti e dalle anticipazioni della Banca di Francia.

[7] Cfr. Derek H. Aldcroft, L’economia europea dal 1914 al 1990, ed. Laterza, 1994; Rondo Cameron, Storia economica del mondo, Il Mulino, 1993, Bologna

[8] Alfred Rosmer, A Mosca al tempo di Lenin, vol 1, 1920, Coop. Edizioni Jaka Book, Milano 1973

[9] Albert Thomas, sincero produttivista e ammiratore di Taylor, era divenuto Ministro delle forze armate al tempo della coalizione politica che governò La Francia  durante la Grande Guerra

[10] <<Le due ore giornaliere potevano facilmente finire in occupazioni inutili o,  come ipotizzava  Alexandre  Ribot, presidente della Commissione del Senato nominata per rivedere la legge, in un  <<ozio nocivo alla salute e alla vita>>. L’ astioso articolista della  Journéè Industrielle si rammaricava poiché l’operaio, con il suo reddito più elevato, non  avrebbe fatto altro che creare nuovi e frivoli bisogni.  <<Invece di migliorare l’alloggio o l’ alimentazione si comprava una bicicletta, o andava al teatro. Se l’operaio dedicava il suo tempo libero al cabaret , si chiedeva più tardi François Poncet  quando la questione si riaccese, ne traeva forse un vantaggio? Evidentemente, con le sue poche ore libere dal lavoro, il proletariato francese era esposto a tutti i vizi della borghesia.. >> C.S. Maier, La rifondazione dell’ Europa borghese, op. cit.

[11] <<I patriottici >> obbligazionisti, <<i piccoli risparmiatori>> che avevano affidato <<all’industria ferroviaria francese circa 20 miliardi di Franchi>> secondo Noblemaire, direttore generale della compagnia PLM(Paris-Lion-Mediteraine), nonché deputato del Bloc National per la città di Lione, dovevano essere salvaguardati e l’industria ferroviaria  doveva <<essere salvata>>.

[12] A proposito dello sciopero di febbraio Monatte preciserà :<<se c’è stato mai uno sciopero spontaneo, questo fu proprio quello di febbraio. Partito dalle officine di Villeneuve-Triage come risposta al licenziamento di Campanaud, si estese come fuoco di paglia a tutta la rete PLM e, di là, ai ferrovieri parigini investendo anche altre reti.>>Cfr. Piere Monatte, La lotta sindacale,  Cooperativa Edizioni Jaca Book, Milano, 1978  Secondo A.Rosmer le <<nuove direzioni[sindacali] che si erano date le organizzazioni periferiche  in opposizione al mascherato riformismo  dei dirigenti confederali mostravano [...] non di rado  una  notevole maturità>>; e Parlando in maniera più specifica dello sciopero dei ferrovieri :<<Quandò scoppiò lo sciopero dei ferrovieri fui colpito dall’intelligenza con cui il segretario di quella unione preparò e organizzò l’opera di sostegno agli scioperanti. Egli spiegò con chiarezza il significato dello sciopero, ne indicò gli sviluppi possibili in una situazione generale obbiettivamente rivoluzionaria, previde le misure repressive che il governo non avrebbe mancato di prendere e, per assicurare la continuazione dell’agitazione operaia, costituì senza indugio gruppi di avvicendamento nel comitato di sciopero[...]Le compagnie, sorprese dalla prontezza del movimento e dall’ampiezza dell’agitazione, dalla fermezza e dalla disciplina che caretterizzava il suo sviluppo, cedettero rapidamente. Avrebbero avuto la loro rivincita tre mesi più tardi, aiutate dal governo e dai dirigenti della CGT, che sabotarono uno sciopero di solidarietà che era stato loro imposto>>. A Mosca al tempo di Lenin, op. cit. . 

[13] Steeg, Ministro dell’interno, fece imprigionare sin dal 2 maggio <<alcuni CSR, del comitato della III° internazionale o di alcune organizzazioni che si richiamavano all’ esperienza dei soviet e di un piccolo partito comunista. Né gli uni, né gli altri avevano preso la minima parte nella decisione dello sciopero. Né avevano spinto in tal senso. Posso persino dire che non avevano condiviso in alcun modo la fiducia nei nostri compagni ferrovieri nel secondo movimento.>> Cfr. P.Monatte, op. cit.

[14] <<Minoritari nella CGT, ma maggioritari nella loro federazione.>> Ibiem

[15] <<Sebbene la Confederazione conservasse come fine ultimo l’ abolizione del lavoro salariato, intraprese una “politica di presenza” negli affari nazionali e tentò sistematicamente di penetrare all’interno del potere statale>>. Le nazionalizzazioni che diverranno dal ’19 una richiesta permanente della CGT si basavano su un controllo di delegati pariteticamente scelti da stato, produttori(operai e tecnici) e consumatori <<spostando il centro dell’attenzione dal controllo della produzione verso l’interesse per il consumo.>>Cfr. Workers angaist work, Micheal Seideman, University of California press, Berkley  Los Angeles Oxford, 1991

[16] Cfr. Jean-Daniel Reynaud, Il sindacato in Francia 1906-1974, La salamandra, Milano, 1978

[17] Sempre Monatte sottolinea l’utilizzazione che i maggioritari della CGT riservarono ai ferrovieri, adoperati <<come truppa d’assalto in favore del suo progetto di nazionalizzazione industrializzata>>

[18] <<I CSR non hanno riscontrato una grande eco da parte del partito comunista dell’epoca. Niente autorizza a confonderli con esso. All’inizio e durante lunghi mesi, hanno svolto il loro compito da soli, formati soprattutto da giovani operai di base>> Ibidem

[19] Alla minaccia <<d’epulsione dei sindacati aderenti ai CSR(la continuazione dei Comitée Sindacacts Minoritaires) facemmo questa concessione.: ai CSR si sarebbe aderito solo individualmente. Malgrado ciò, vennero decretate nuove espulsioni di sindacati, in base a una mozione del CCN presentata da Domouin.>> Ibidem

[20] “Les Temps maudits” rivista di approfondimento teorico  della Confederation national de travail ha pubblicato sul 3° numero  Maggio ’98 una storia con ampli sstralci dl dibattito del congresso costitutivo della CGT-U alla Bourse de travaill de Saint-Etienne: “Saint-Etienne 1922 Besnard contre Monmousseau” di J.Toublet.

[21] Bisogna ricordare che, nonostante ciò, il settore agricolo continuava ad occupare a metà degli anni Trenta ancora 1/3 della popolazione maschile attiva. Cfr. Workers angaist work,M. Seidman, op.cit.

[22] La produzione industiale tra il ’21 ed il ’29 raddoppiò

[23] Nel ’34 la maggioranza degli 88.000 addetti del settore lavoravano in industrie con oltre 2.000 lavoratori.

[24] Negli anni trenta il sistema stradale godrà di 650.000 KM di rete, mentre quello ferroviario si estenderà per 65.000 KM.

[25] L’elite  capitalista <<considerava il taylorismo e le altre forme di organizzazione scientifica del lavoro in continuità con il tradizionale produttivismo sansimoniano.>> Cfr. Workers angaist work, M. Seidman, op.cit.

[26] S. Weil, La condizione operaia, SE, Milano, 1994

[27] Arrestato con l’accusa di aver truffato due agenti di cambio per sette milioni di Franchi, venne incarcerato nella prigione della santé, in cui rimase per 18 mesi . Rilasciato nel ’27, rimase in libertà provvisoria in attesa del processo. Il processo venne rinviato  diciannove volte in sette anni e nel frattempo  Stavinsky ritornò alle sue precedenti attavità malavitose continuando ad arricchirsi. Cfr. La caduta della Francia, William L. Shirer, Giulio Enaudi editore, Torino, 1971

[28] <<La vigilia di Natale del 1933 uno dei suoi compicli nell’amministrazione della città confessò che erano state messe in circolazione polizze per un valore di 239 milioni di Franchi attraverso la falsificazione di bilanci o con la copertura dei gioielli falsi o rubati da Stavisky. L’uomo fu arrestato e furono arrestati insieme numerosi altri complici anche il sindaco di Bayonne Albert Dubarry e un altro deputato radicale, Camille Aymard, editori dei due giornali di Parigi finanziati da Stavinsky>>. Ibidem.

[29]In seguito , l’assasinio di Albert Prince, un alto funzionario che si occupava del caso Stavisky prolungò ulteriormente   l’affaire. <<Era largamente diffusa l’opinione che Prince fosse stato ucciso, e che gli fosserro stati sottratti documenti importanti, per impedire rivelazioni sui fatti  che avrebbero incriminato grossi personaggi politici>>. Le commissioni speciali istituite da Doumergue seppure “scoprirono” vari  casi di corruzzione che coinvolsero anche alcuni deputati politici e parte della stampa, <<lasciarono fuori le figure importanti contro cui si erano mosse le accuse>> senza far perciò scemare la fiducia nella classe politica francese ed i dubbi sulla sua “moralità”.Cfr.Storia del pensiero socialista,1931-1939 vol..V, G.D.H. Cole, Editori Laterza, Bari, 1973

[30] <<E sotto il segno di imponenti manifestazioni di massa che il proletariato francese si dissolve in seno al regime capitalista. Malgrdo le migliaia e migliaia di operai che sfilano per le strade di Parigi, si può affermare che sia in Francia che in Germania non esiste più una classe proletaria in lotta per i suoi propi obbiettivi storici. A questo proposito il 14 Luglio segna un momento decisivo nel processo di disgregazione del proletariato e nella ricostruzione della sacra unità della nazione capitalistica. Fu veramente una festa nazionale, una riconciliazione ufficiale delle classi antagoniste, degli sfruttatori e degli sfruttati; fu il trionfo del republicanesimo integrale che la borghesia lungi dall’intralciare con dei servizi d’ordine vessatori lasciò svolgersi in apoteosi. Gli operai hanno dunque tollerato la bandiera tricolore del loro imperialismo, cantato la “Marsigliese” e anche applauditoi Daladier, Cot e gli altri ministri capitalisti che con Blum, Cachin hanno solennemente giurato di<<dare il pane ai lavoratori, del lavoro alla gioventù e la pace al mondo>>, o, in altri termini, del piombo, delle caserme e la guerra imperialista per tutti>>.”Sous le signe du 14 Juliet, Bilan, n° 21, luglio-agosto in La sinistra comunista italiana 1927-1952, corrente comunista internazionale,1984, Napoli.

[31] Cfr.”Patto d’unità d’azione” ,  in  Antologia del pensiero socialista, socialismo e fascismo, tomo secondo, op.cit.

[32]Maurice Thoerez , leader del PCF rispose alle accuse mosse al suo partito dalla SFIO, che aveva giudicato il programma del PCF <<troppo moderato>> e che aveva <<trovato che non era sufficiente rivendicare il prelievo sul capitale>> proponendo anche la socializzazione delle banche e delle grandi industrie>>, interpretando suddetta politica come un  tentativo della SFIO di <<darsi un  andamento più sinistro >> rispetto al PCF.(cfr. la rezione di M.Thoerez al dibattito sul rapporto presentato al VIIimo  congresso dell’IC da Georgij Dimitrov  “offensiva del fascismo e i compiti dell’IC nella lotta per l’unità della classe operaia contro il fascismo” in  De Felice, Fascismo,democrazia, fronte popolare, Bari, 1974) La battaglia  combattuta dal gotha comunista contro i gauchistes  a forza di epurazioni e “scomuniche” e l’atteggiamento intransigente rispetto all’ <<estremismo>> (all’interno cosi come all’esterno del partito) ed al <<settarismo>> costitusce uno dei leitmotiv della vita politica del PCF. Attaccando << i parolai della sedicente sinistra rivoluzionaria del Partito socialista>> e  ricordando la condanna della pratica settaria M.Thorez ribadì che << i ciarlatani <<gauchistes>> non sanno che i bolscevichi , guidati da Lenin, condussero la classe operaia al potere scrivendo sulla loro bandiera, come prima parola d’ordine. Pane>>(cfr.”l’ unione della nazione francese”M.Thoerez , 22 gennaio ‘36 nel rapporto al congresso del PCF a Villeurbanne in  Antologia del pensiero socialista, socialismo e  fascismo tomo secondo, a cura di Alfredo Salsano, Laterza, Bari, 1983).Inoltre  ribadì dopo lo scoppio degli scioperi del maggio ‘36 che<<I militanti del partito devono essere in grado di reagire contro le tendenze estremistiche  nel movimento. La lotta sui due fronti , non è soltanto una lotta interna, dev’ essere, e spesso, una lotta che investe tutta la politica del partito, là dove si esprime una tendenza estremistica.>>(cfr. “La lotta per il pane” ,M. Thorez , in <<L’Humanité>>13 giugno ’36 in Antologia del pensiero socialista, socialismo e fascismo tomo secondo, op. cit. )

[33] Il Patto d’Unità e d’ Azione tra SFIO e PCF del Luglio ‘34 avrà in fatti come primo punto e priorità riconosciuta la mobilitazione di <<tutta la popolazione lavoratrice contro le organizzazioni fasciste, per il loro disarmo e scioglimento>>

[34]Lo Stalinismo, A. Peragalli,Graphos

[35] Ascesa al potere di Hitler ed il conseguente inasprirsi dello spirito revanscistico tedesco ed il febbrile riarmamento intrapreso dallo stato tedesco spinse la Francia a rafforzare il suo sistema di alleanze , includendovi la Russia sovietica, (l’unico paese che ad Oriente disponeva della potenza militare ed economica per frenare la Germania) e coinvolgendo  l’Italia in un fronte antitedesco(o quanto meno spingerla in una posizione di neutralità).Inoltre riorganizzare e rafforzare l’esercito francese diventò un obbiettivo prioritario. Infatti l’esercito francese  nel 1934 <<era in grado di mobilitare solo sessanta divisioni, pari a due terzi degli uomini disponibili nel 1914, e rinunciare alla strategia difensiva  che si compendia va nella linea Maginot, ricostruendo un esercito in grado di assumere l’offensiva contro la Germania nel caso questa avesse attacato a oriente od a occidente.>>Cfr. La caduta della Francia, Wiliam L. Shirer, op.cit.

[36] Bisogna ricordare che il 6 febbraio L’ARAC <<su ordine del partito comunista, mescolava i suoi gruppi con quelli dei vecchi combattenti e dei fascisti a Place de la Concorde>>(P.Monatte) al grido di <<Daladier in galera!>>

[37]L’ARAC(Association Republicain des Anciens Combattents)fondata da Henri Barbusse nel 1917 ,secondo cui il cameratismo del periodo bellico era il modello della sua società comunista, era caratterizzata da un’ostilità aperta verso i <<parassiti della politica>>, dal mito della missione civilizzatrice francese, restava convinto della risolutività dello sciopero generale e si faceva portatrice di un patriottismo esplicito quanto ambiguo esemplificato dal motto <<guerra alla guerra>>. La si può considerare espressione di quell’ esprit combattent republicano e socialisteggiante e di quel <<nuovo mondo  del mito delle trincee>>(Paul Fussel) che la Grande Guerra aveva creato.(cfr. George L. Mosse  La sinistra europea e l’esperienza della guerra (Germania e Francia) in Rivoluzione e Reazione in Europa 1917/24 convegno storico internazionale Perugia 1978 ,Mondo Operaio,ed. Avanti!

[38] Cfr. Tra gli altri la dichiarazione di Jacques Duclos a nome del PCF della manifestazione del 14 Luglio 1935;Per l’unione del popolo francese di M.Thorez in  Antologia del pensiero socialista , op.cit.ed il contributo di M.Thorez al dibattito sul rapporto Dimitrov. Al lettore Itaaliano non può sfuggire la familiare immediata analogia ed il confronto con uno dei più significativi articoli della pubblicistica PCI-ista di quegl’anni, ovvero l’”Appello ai Fascisti” di  P.Togliatti, apparso nella rivista “Lo Stato Operaio” nell’ Agosto 1936 del tutto affine/identico ai discorsi del gotha del PCF. Questo capolavoro sciovinistico-populista  del compagno Ercoli e di molti altri sinistri gerarchi e bonzi  <<Per la salvezza dell’Italia>>,  <<per la difesa dell’avvenire della nostra gioventù, per la pace, per la libertà>> e per altri nobili propositi di pacificazione ed unità  si richiama esplicitamente al programma fascista del ’19(<<I comunisti fanno proprio il programma fascista del 1919>>) invita all’unità d’azione, al fronte unico  con i fascisti affinchè <<sia assicurato il pane ed il lavoro>>. Cfr.Collana storica 1, Enrico Voccia,  L’”Appello ai Fascisti” di Palmiro Togliatti, Edizione  Artigiane 1988 Napoli

[39]<<Avrà fatto più la Russia per uccidere l’idea di rivoluzione proletaria, dello stato proletario, che una feroce repressione del capitalismo>>”De la Commune de Paris à la Commune russe”, “Bilan”,n°17, aprile 1937 in la sinistra comunista italiana 1927-1952,CCI,op.cit. Per un’approfondimento del dibattito sulla natura e le interpretazioni dello stato sovietico nell’ultra-gauche  in Francia cfr. Simone Weil e lo stalinismo (1932-1933),  Arturo Peragalli, in QUADERNI del Centro Studi Pietro Tresso serie: STUDI E RICERCHE, n.37(novembre 1995)

[40] Cfr. “Piano della CGT e Programma del fronte popolare”, ibidem

[41] Cfr. “Il Piano e le classi medie”, J.Laurat, in Crise et Plan, ibidem. Serie di studi in cui appare l’anatomia della società francese, l’analisi delle nuove classi medie e la proposta dell’ <<azione comune del proletariato e delle classi medie>>:<<il capitale monopolista e finanziario opprime e spoglia le classi medie allo stesso titolo, benché in altro modo, che il proletariato, e la liquidazione della crisi, alla quale le classi medie sono interessate quanto il proletariato, esige l’applicazione delle misure contenute nel Piano>> 

[42] Non coprendo la disoccupazione e comprendendo un tasso minimo per le pensioni estremamente basso, le assicurazioni sociali promulgate attraverso una legge dell’ aprile del 1930 costituiscorono una delle prime conquiste  sul piano giuridico della CGT. L’Iter per questa legge sulla previdenza sociale , messa a regime come obbligatoria e comportante un versamento operaio, durò un decennio: richiesta già nel ’18,presentata attraverso un progetto legislativo nel ’21, incontrerà le ostilità del padronato, dei rappresentanti del corpo medico. In seguito, due anni più tardi , nel ’32, venne approvata una legge che prevedeva l’integrazione del salario familiare attraverso assegni familiari emanati dallo stato.

[43] Leon Jouhaux, definendo la nuova linea della CGT al Comitato Confedrale Nazionale del ’18, aveva affermato che era necessario <<rinunciare alla politica del pugno teso per adottare una politica di presenza negli affari della nazione... Vogliamo essere ovunque siano in discussione gli interessi degli operai>>

[44] La courant planiste dans le mouvement ouvrier francais (1933-1936), di Georges Lefranc, in Le Mouvement Social, Revue de l’Institut francais d’Histoire sociale, Janvier - Mars 1966

[45]In Francia, tra il 1929 ed il 1932 la produzione industriale avrà una cadutta pari al 26,6% mentre il P.I.L. scenderà dell’11%. Successivamente la “ripresa “ tra il 32\33 ed il 37\38 sarà solo parziale , la produzione industriale salirà del 20% ed il P.I.L. del 4% ; a  differenza dei maggiori stati europei  che precedentemente alla crisi del 37/38 riusciranno a recuperare e superare il brusco calo dei livelli di produzione ed i prodotti interni lordi scesi con la grande crisi.(cfr. L’economia europea dal ‘14 al 1990, Aldcroft, op. cit.)

[46] Cfr. Henry Rey-Janine Mossuz Lavau, I fronti popolari, Giunti Casterman, Firenze 1994

[47] Cfr. la recensione  di Léon Blum ou la politique du juste (Colette Audry) redatta da  Danilo Montaldi in Biisogna sognare  scritti 1952-1975 edito per conto dell’Associazione Culturale Centro di Iniziativa Luca Rossi, Milano

[48]L’arbitrato del sindaco venne accettato dalla direzione  a causa <<della  fermezza del movimento e della simpatia>> che quest’uomo politico riscontrava <<nella popolazione di Le Havre>> Cfr: La lotta sindacale, P. Monatte,op.cit:

[49] Cfr: Workers angaist work, Michael Seideman, op.cit.

[50] Agli accordi partecipano  per la CGT: Léon Jouhaux, René Belin, B. Franchon, Semat, H. Cordier, Milan e per la CGPF: Duchemin, Dalbouze, Richemont, Lambert-Ribot. I rappresentanti padronali erano legati alle industrie più avanzate, mentre i settori più  tradizionali venivano ad essere sottorappresentati nella delegazione della CGPF

[51] Biogna ricordare che nel quinquennio che va dal ’30 al ’35 i salari si erano mediamente abbassati del 15%

[52] Cfr. Gli accordi di  Mantignon, in  Antologia del pensiero socialista, socialismo e fascismo, tomo secondo, op.cit.

[53] Cfr. “La CGT et le gouvernement Léon Blum” di Bernard Georges in Le Mouvement Social,  Revue trimestrelle de l’Institut francais d’Histoire social, Janvier - Mars 1966

[54] 5000 contratti saranno emanati nei quindici mesi sucessivi al varo della nuova legge, contro i 131 contratti stipulati tra il 1932 ed il 1936

[55] Wiliam I. Shiree, La caduta della Francia, op. cit.

[56] Cfr.Workers against work, Micheal Seidman,op.cit.

[57] All’atelier 59 della Renault alcuni lavoratori attessero all’uscita un lavoratore insignito di una medaglia che lo riconosceva  essere tra i migliori operai francesi. Venne seguito fino alla sua abitazione a Billancourt da trecento <<agitatori che lo coprirono dalla testa ai piedi di sputi>>finché la polizia non disperse la folla a place Semblat.Cfr.Workers angaist work, Michael Seidman, op.cit.

[58] Il problema del controllo degli operai e dei delegati emerge sia a livello sindacale(CGT) che a livello politico (PCF). In particolare il “dispotismo” dei delegati  che eletti per un anno <<usurpano di fatto le funzioni propie del sindacato>> e che <<arrivano con la massima naturalezza a dominare gli operai>> sembra essere più una preoccupazione della CGT per la sua perdita di potere rispetto agli operai più attiviti che una questione di “democrazia sindacale”.Secondo Simone Weil , incaricata alla fine del dicembre ’36 dalla CGT di condurre una inchiesta nelle fabbriche del nord investite da una nuova ondata di scioperi, i delegati avevano <<la possibilità di esercitare sugli operai , iscritti o no ai sindacati, una pressione notevole e sono loro a determinare in realtà l’azione sindacale, perche possono a volontà provocare urti, conflitti, sospensioni del lavoro e quasi scioperi>>. Il commissariamento e un controllo sindacale più rigido sull’azioni autonome dei lavoratori diverrà pratica quotidiana.

[59] Simon  Weil considerando alcuni degli aspetti negativi succesivi al movimento del ’36 sosterrà che<< a causa del del rilassamento della disciplina, ha potuto svilupparsi in taluni la mentalità dell’operaio che ha trovato una sistemazione tranquilla. E- cosa che dal punto di vista sindacalista è più grave della diminuizione della cadenza - si è  avuto incontestabilmente, in talune fabbriche, uno scadimento della qualità del lavoro perché controllori e verificatori, non subendo più nel medesimo grado la pressione padronale e divenuta sensibile a quella dei loro compagni di lavoro, sono diventati di manica larga per i pezzi sbagliati. Quanto alla disciplina, gli operai si sono sentiti capaci di disobbedire ed ogni tanto ne hanno aprofittato>>. Cfr. “Osservazioni sugli insegnamenti da trarre dai conflitti del nord”(inizio 1937) in La condizione operaia, Simone Weil, edizioni SE, 1994, Milano

[60] Cfr.Workers angaist work, Micheal Seidman

[61] Cfr. “Theses sur la situation en France” in “Octobre. Organe mensuel du bureau internatinal des fractions de la gauche communiste” Bruxelles, n°4, maggio 1938 in Antologia del pensiero socialista, socialismo e fascismo, tomo terzo. Secondo le Theses, <<il significato reale della <<cambiale dell’avvenire>> lanciata dal fronte popolare>>era quello di <<spezzare le basi internazionaliste della lotta proletaria e di mobilitare le masse per la guerra imperialistica>>.<<Attingendo dai milardi di plus-valore accumulati dalle banche, mentre i capitali se ne vanno all’estero per profittare di condizioni più favorevoli e torneranno in Francia solo quando l’indebolimento della classe operaia farà intravedere la possibilità di passare all’attacco delle conquiste del maggio ‘36>>

[62] Per un’analisi puntuale della politica economica delle componenti di sinistra del FP rimando a “Les possibilites d’action economique du Front Populaire” Philippe Riviale in “La légende de la gauche au pouvoir, le front populaire” di Ph. Riviale, J.Barrot, A. Borczuc, Ed. Te te de Feuilles, 1973, Paris

[63] “Bordiga e la questione contadina”, Loren Goldner, in “Plus-valore” n.11

[64] “Lo stato autoritario”,  Max Horkeimer in “Marxiana , Critica della politica e dell’economia politica” n.1