La
classe operaia in Francia dal dopo-guerra al Fronte Popolare
Gli amici di Marinus Van der Lubbe
Il trattato di Versailles
Il bilancio post-bellico
Il movimento sociale nel dopo-guerra
La CGT del dopoguerra e la scissione sindacale
La ripresa ed il decollo economico
Verso il fronte popolare, Il 6 febbraio
Le conseguenze del 6 Febbraio
La politica estera Russa e la politica nazionale del PCF
Il piano del lavoro della CGT
L’instabilità economico-politica
Il sucesso elettorale del Fronte Popolare
L’occupazione delle fabbriche
La resistenza operaia durante il Fronte Popolare
Il declino e la fine del Fronte Popolare
I partiti di sinistra ed i sindacati tra le due guerre in Francia
Nel
gennaio del 1919 a Versailles, nello stesso palazzo dove nel 1871 era stato
proclamato l'Impero tedesco, venne
firmato il trattato di pace con la Germania. La Francia,
riannettendo la Lorena, poté
disporre di un bacino siderurgico di grande importanza, mentre il recupero
dell'Alsazia le permise di ampliare notevolmente l'industria tessile. Inoltre,
venne sancito che la regione renana, completamente smilitarizzata, sarebbe
rimasta per 15 anni sotto l’amministrazione alleata, mentre la Saar venne
posta per 15 anni sotto l’amministrazione internazionale e le sue miniere
consegnate come indennità alla Francia. Grazie al trattato di Versailles,
<<lo Stato francese si impossessava delle imprese metallurgiche della
Lorena tedesca a prezzo di liquidazione per passarle a nuove società
comproprietarie francesi; nello stesso tempo, le acciaierie francesi sfruttavano
l'autorità economica di Parigi per riunire fondi e impossessarsi di 7 delle 9
grandi acciaierie della Saar>>[1].
Inoltre,
l'ammontare delle riparazioni tedesche fu fissato a 132 miliardi di marchi-oro
nel maggio del '21 - quando il debito della Francia verso la Germania
era stato, dopo il 1871, di 3 miliardi franchi-oro - somma superiore al
doppio del reddito nazionale tedesco. <<Questo
trattato significa[va]
un enorme trasferimento di plusvalore dalla Germania ai vincitori, dunque
un aggravamento del proletariato tedesco. Esso mira[va]
a dividere il proletariato mondiale, facendo ricadere su quello tedesco tutto il
peso della ricostruzione economica.
Tutti i PC si pronuncia[ro]no
con forza contro questo trattato, salvo quello olandese (cfr. Hermann Gorter, L'opportunismo
nel Partito Comunista
olandese, 1919)>>[2].
Per
quanto concerne i territori coloniali, la Siria e il Libano, precedentemente
appartenenti all'Impero ottomano, vennero posti sotto il mandato francese che
conobbe un’ estensione del suo territorio superiore ai sette milioni e
duecentocinquanta kilometri quadrati in Africa, in Medio oriente e in Asia, con
una popolazione coloniale pari a cento milioni di abitanti, cioè più del
doppio della popolazione della madrepatria.
Il
bilancio post-bellico per la nazione francese, il cui territorio era stato il
principale scenario delle operazioni sul fronte occidentale della Grande Guerra,
fu estremamente negativo per ciò che concerne le perdite umane: nel conflitto
perirono 1,5 milioni di persone e 7.500.000 rimasero permanentemente invalide.
Metà della popolazione in età aruolabile rimase uccisa(quasi un terzo dei
giovani tra i diciotto ed i venttotto anni), il 3,3% dell'intera popolazione e
il 10% dei lavoratori maschili: più di
un 10% della classe operaia francese fu così letteralmente uccisa dalla guerra
e da chi l'aveva voluta e condotta.[3] Nonostante il ritorno
dell’Alsazia e della Lorena, verso la metà del 1919, la popolazione francese
risultava composta da 38,7 milioni di persone, cioè 1,1 milioni persone in meno
rispetto al’ 14 (calo demografico legato in parte anche ad un abbassamento dei
tassi di natalità). Solo una massiccia immigrazione incoraggiata dallo stato
rese possibile un lieve aumento della popolazione. Dopo la guerra furono fatti
affluire in Francia due milioni di “stranieri”, soprattutto operai italiani
e polacchi. Bisogna ricordare che questi immigrati rappresentarono l’80%
dell’incremento di 2.700.000 abitanti che si registrò in Francia tra le due
guerre.[4]
L’impatto
visivo delle conseguenze della guerra risultava deflagrante nella Francia rurale
da cui provenivano gran parte dei coscritti: La
France malade de guerre et de viellessse vestiva il lutto delle vedove di
guerra, il lutto dell’insopportabile assenza di quella fascia di popolazione
falcidiata dal conflitto o segnata inesorabilmente dalle mutilazioni, mentre la
militarizzazione del lavoro nei distretti industriali e specificatamente
nell’industria di guerra, aveva costretto la popolazione lavoratrice pedant
la guerre ad una stremante e micidiale
prestazione patriottica.
<<La
disoccupazione si trasformava nel suo contrario, il lavoro obbligatorio. Il
lavoro coatto, quei combattimenti nelle frontiere dove milioni di uomini giovani
e forti, muniti dei più
perfezionati strumenti di
distruzione, si mutilano, si ammazzano, si sterminano, si uccidono l’un
l’altro per il dominio mondiale dei loro padroni capitalisti. Il lavoro
coatto, quello che esegue, negli stabilimenti industriali, tutto il resto della
popolazione, donne e bambini inclusi, che deve produrre continuativamente senza
sosta sempre più oggetti di morte, mentre la produzione di beni di prima
necessità è ridotta allo stretto necessario>>[5]
Naturalmente
le zone che erano state interessate dal conflitto risentirono delle devastazioni
e dell'iper-sfruttamento a cui la nazione avversaria le aveva sottoposte. Così,
oltre la metà della produzione industriale francese d'anteguerra, con il 60%
dell'acciaio e il 70% del carbone, era localizzata nell'area devastata dal
conflitto, che era tra l’altro una delle regioni agricole più importanti.
Inoltre, mettendosi al servizio della macchina bellica, alcuni settori conobbero
un'espansione di molto superiore alle esigenze economiche in tempi di pace,
settori il cui potenziale di crescita nel lungo periodo era spesso limitato. Fu
così considerevole l'espansione in tempo di guerra della cantieristica, del
ferro e dell'acciaio, di alcuni settori della meccanica e del carbone, che negli
anni venti i paesi che avevano preso parte al conflitto si trovarono a disporre
di capacità produttive in eccesso. E' opportuno ricordare che in media, circa
l'80% di tutte le spese di guerra (a livello mondiale) dei belligeranti furono
finanziate con prestiti raccolti in gran parte attraverso il credito bancario e
non grazie ad autentici risparmi.[6]
Ricorrendo prevalentemente al credito di questo tipo e non alla tassazione, i
governi ne trassero subitaneamente beneficio per ciò che concerne l’ordine
sociale e la sua amministrabilità, ma questa stabilità non poté non rivelarsi
di lì a poco effimera e precaria. Così, durante il conflitto, le banche
concessero prestiti ai governi, creando nuova moneta, oppure ricevettero dai
governi stessi "promesse di pagamento" procedendo ad aumentare
l'offerta di moneta usando le promesse come riserva. Il debito pubblico aumentò
rapidamente e con il passare del tempo aumentò anche la quota di indebitamento
a breve termine, l'offerta di moneta fu considerevolmente incrementata e le
riserve metalliche delle banche a fronte delle passività diminuirono
bruscamente.
L'inflazione
dei prezzi
il
deprezzamento delle monete
l'instabilità
monetaria
la
complessa serie di debiti internazionali contratti tra gli Alleati
il
peso delle riparazioni imposte ai vinti
furono
alcune "pesanti" eredità economiche della Grande Guerra.
In
Francia, l'inflazione era tale che i prezzi risultarono 5,5 volte superiori
rispetto al periodo pre-bellico; per acquistare un dollaro nel 1919 occorrevano
11 franchi mentre nell'anteguerra ne erano necessari 5, con una svalutazione che
toccò i 40 franchi per dollaro stabilizzatasi temporaneamente solo nel '28
durante il governo Poincaré, a causa di una rigida politica economica, con la
quota di 25,5 franchi per dollaro. Il valore degli investimenti venne dimezzato
rispetto a quello pre-bellico e furono persi due terzi degli investimenti
all'estero rispetto all'anteguerra causati sia dalla vendita, sia dal
fallimento, sia dall'inflazione. Inoltre, la Francia contrasse con gli Stati
Uniti un ammontare di 3.404.818.945 dollari di debiti di guerra che ne facevano
il secondo Paese debitore dopo la Gran Bretagna , mentre come paese creditore
aveva contribuito allo sforzo bellico concedendo circa 2,5 miliardi di dollari
in prestiti.[7]
Il
movimento sociale nel dopo-guerra
La
sfiducia nel personale politico e sindacale compromesso fino al midollo con il
governo durante il periodo bellico e più in generale l’odio verso <<il
governo ed il regime>> univa <<a fianco degli operai, dei contadini,
degli intellettuali e degli strati della piccola borghesia, anche quei numerosi
ex-combattenti che , invalidi o indenni, ritornavano alle loro case saldamente
convinti di avere un conto da regolare>>, coloro i quali<<li
avevano obbligati a vivere per quattro anni l’abominio delle trincee e
degli assalti dovevano pagare!>>. Così, La Rivoluzione d’Ottobre funse
nel medesimo tempo sia da deterrente, che da coagulante, era agli occhi di uno
dei suoi più sinceri sostenitori dell’epoca Alfred Rosmer: <<la
rivoluzione da tutti attesa-la rivoluzione che avrebbe seguito la guerra.[l’inevitabile
ed atteso crollo del capitalismo già
dall’ante-guerra]Essa
rappresentava l’alba di una nuova era, cominciava una nuova vita>>[8].
In
Francia, Il fervore e la fibbrilazione sociale nel dopo-guerra fu tale che sul
piano dell’organizzazione partitica e sindacale gli scritti alla SFIO ebbero
una crescita esponenziale divenendo da 90.000 del luglio 1914 a 200.000, mentre
la CGT, che al principio della guerra si era ridotta per effetto della
mobilitazione a pochi schelettrici sindacati, poteva vantare una organizzazione
di massa forte di due milioni di regolari iscritti.
Alla
fine di gennaio del 1919, i fedeli socialisti dell'Union Sacrée, Renauldel e
Thomas[9],
presentarono il progetto di legge sulle otto ore. Già prima della Guerra, i
lavoratori avevano raggiunto questo obiettivo in diverse imprese statali e ancor
prima, nel 1913, i minatori del settore carbonifero avevano strappato contratti
di otto ore. Anche per la minaccia dell’attuazione di azioni di lotta da parte
della CGT, la legge passò, nonostante la ferma opposizione espressa dal
padronato in generale. Le polemiche padronali avevano come comune denominatore
la critica alla natura antiproduttiva e generatrice di ozio di tale misura
legislativa, nonché la preoccupazione per l’accresciuto e crescente potere
della CGT [10].
Da
marzo a giugno del 1919 una nuova ondata di scioperi sconvolse il Paese. I
metallurgici parigini, i dipendenti del metrò, i minatori di Pas de Calais
incrociarono le braccia. Le richieste dei metallurgici che scioperarono
comprendevano tra le altre il riconoscimento del governo sovietico e
l’amnistia per i prigionieri politici e militari. Altri lavoratori chiedevano
la riduzione della settimana da 48 a 44 ore, aumenti salariali e
l’abbassamento dei ritmi di lavoro. La CGT e la federazione dei metallurgici
si rifiutarono di appoggiare le sospensioni del lavoro e a fine giugno le
proteste andarono attenuandosi. Lo stesso atteggiamento ambiguo e ondivago fu
attuato nel mese seguente: la CGT ritirò la propria adesione allo sciopero
internazionale di protesta contro l'intervento alleato in Russia. <<Il
crescente e accresciuto bisogno di ordine>> avvertito
<<ovunque>> secondo le Les
Temps che faceva eco a La Journée
Industrielle (che il 4 giugno
esprimeva con l'articolo "Ne plus
ceder" la sua linea intransigente), mostrano il livello della reazione
borghese che presentò in Luglio lo sciopero internazionale come complicità con
il nemico, sur-caricando ogni manifestazione del movimento operaio d’ esprit anti-patriottico presentandola accusandola di tradimento
della causa nazionale, cioè fuor di metafora come tradimento dell’economia
nazionale.
L'estate
del 1919 sarà, così, un momento fecondo per lo sfruttamento elettorale da
parte del Bloc National che farà incessantemente ricorso ai pericoli
intrecciati del bolscevismo e della pacificazione della Germania, per
rinfocolare, da una parte, il suo sfrenato patriottismo e dall’altra, per
tacciare di antipatriotttismo qualsiasi opposizione.
L'anno
seguente le forze della reazione diedero prova delle loro potenzialità quando
lo scontro si radicalizzò.
Il
vertiginoso aumento degli iscritti alla federazione dei ferrovieri che da 65.000
nel 1917 passarono nel gennaio del 1919 a 121.000 (per contare l'anno successivo
352.000 aderenti)
l'importanza
strategica del settore ferroviario per lo Stato francese
l'insostenibile
tensione a cui uomini e materiali erano stati sottoposti durante la guerra
il
ruolo rivestito nel risparmio attraverso le obbligazioni ferroviarie[11],
la
“cronica” improduttività di cui erano accusate le ferrovie
facevano
si che il settore ferroviario
venisse ad essere (in più campi) un fertile terreno di scontro. Sul piano
politico, mentre la CGT e la SFIO ne chiesero la nazionalizzazione, i
proprietari risposero chiedendo sussidi al governo, così mentre gli uni
chiedevano la democratizzazione e una maggiore partecipazione dei
“produttori” alla vita economica, gli altri replicavano considerando
necessaria, per un suo rilancio, una maggior disciplinamento della forza lavoro.
Così
nel febbraio 1920, la PML licenziò un carpentiere che si era allontanato dal
lavoro giustificando l'assenza con la partecipazione a una riunione sindacale:
questo episodio di disciplina interna scatenò reazioni e contro-reazioni a
catena che portarono a uno scontro senza possibilità di mediazione[12].
Da una parte vi era il padronato che continuava, nonostante un primo accordo
siglato, a multare e sospendere gli operai, a chiedere una legge che vietasse
gli scioperi nei servizi pubblici; dall'altra vi era il governo che, attraverso
Millerand, dichiarava i suoi intenti: <<non esiste associazione, quale che
siano i suoi interessi privati, che abbia il diritto di mettersi contro la
nazione>>. Dal suo canto il governo distribuì infatti 100.000 franchi
all'Union National des Combattents
affinché contribuisse al mantenimento dell'ordine pubblico durante tutto l'arco
di tempo che dal primo maggio avrebbe visto gli cheminots in
sciopero, approvò una milizia di volontari sotto il comando di prefetti e la
formazione locale di volontari disposti ad agire come crumiri, le cosiddette Unions
Civiques (15.000 aspiranti
conduttori delle tramvie e del metrò organizzati in 65 sezioni). Il blocco
governo-industria si preparava così alla <<battaglia civile delle
Marne>> compatto[13].Il
clima di guerra civile prodotto e la guerra combattuta
contro il ‘nemico interno’ alla
e della nazione erano
mirate ad una esorcizzazione pratica finalizzata
a dissolvere lo spettro rivoluzionario proveniente dalla Russia che stava
scuotendo tutta l’Europa. Questa fu la risposta alla combattività operaia che
aveava nei governi e nelle borghesie mondiali un
solo nemico responsabile delle comuni sofferenze, patite dai proletari dei
paesi belligeranti, proprio a causa di queste.
D’altra
parte, la CGT aveva replicato all'intransigenza padronale con la richiesta della
nazionalizzazione delle ferrovie, per cui la Federazione Nazionale del Lavoro
aveva promosso una manifestazione il primo maggio. La Federazione dei ferrovieri[14]
sarebbe scesa in sciopero dal primo maggio per tutto il tempo necessario a
garantire l'assunzione degli operai che erano stati sospesi. Lo scontro si
dialettizzò, da una parte, attraverso una strategia di graduali rappresaglie e
dall'altra con successive <<onde d'urto>>. I minatori del nord,
quelli del Pas de Calais e i metallurgici parigini lasciarono il lavoro il 10
maggio ma tornarono al lavoro dopo il 20 (cioè dopo che la fermata della
metropolitana parigina si risolse in uno sciopero fallimentare durato solo un
giorno) ed il 29 maggio gli cheminots
capitolarono. Quasi 15.000 vennero poi licenziati mentre le ferrovie
ottennero nel ’21 una legge speciale che consolidava il loro debito e
prolungava per altri cinque anni le garanzie degli obligazionisti. Così, questa
sconfitta del movimento operaio accellerò il movimento di espansione economica
in Francia.
La
CGT del dopoguerra e la scissione sindacale
Le
nazionalizzazioni, secondo i maggioritari della CGT, nelle modalità in cui
vennero proposte al congresso di Lione (1919)
e nei lavori del Conseil economique
du travail, erano espressioni
del controllo <<dei produttori e dei consumatori>>, che si
sforzavano di trovare <<una soluzione soddisfacente per la comunità>>,
procurando << ai consumatori il massimo di utilità e economia>>.
Inoltre non avrebbero escluso <<l'iniziativa individuale>>, né l’
<<amministrazione da parte dello Stato>>. Le attività
nazionalizzate sarebbero state amministrate da rappresentanti sindacali, da
<<consumatori (individui o imprese)>> e da <<rappresentanti
della collettività>>[15].
A tale proposito J.-D. Reynaud riporta sottoscrivendolo il giudizio di G. Dauvé
secondo il quale: <<la CGT non progettava il dominio dell'economia
nazionale da parte della classe operaia, ma piuttosto prevedeva a proprio
vantaggio solo un diritto di rappresentanza in seno agli organismi di
gestione>>[16].
Le
accuse reciproche tra “minoritari” radicali
che condannavano l'eccessiva fretta della CGT nel capitolare e i
“maggioritari” che, facendo proprie le accuse rivolte alla CGT dalla
controparte padronale-governativa, lamentavano di essere stati
trascinati in un folle tentativo rivoluzionario
Lo
scontro avvenuto in seno alla CGT durante il conflitto
tra chi aveva imposto la battaglia per le nazionalizzazioni[17],
come Monmousseau, contro chi la rifiutava, come il segretario nazionale dei
ferrovieri Bidegaray
le
profonde divergenze tra chi aveva voluto optare per una
strategia gradualista nella conduzione dello sciopero e chi era
risoluto ad intraprendere altre meno diluite e tentennanti strategie
la
costituzione dei comitati sindacalisti rivoluzionari[18],
all’interno delle imprese, comitati che dovevano essere al tempo stesso
gruppi frazionisti e futuri soviet, promossi e sostenuti dalla
“minoranza” e anteticamente soggetti a forti critiche e
condannati da parte del comitato confederale nel settembre del '21[19]
(dopo che nel congresso di Lilla le minoranze erano state sconfitte da 1572
mandati contro 1325)
fecero
emergere, rendendole inconciliabili, nonostante la volontà di mantenere
l’unità dell’organizzazione sindacale di alcuni dei suoi esponenti (tra cui
lo stesso Monatte), le profonde
divergenze in seno alla confederazione, motivazioni che diedero il là alla alla
scissione ed alla costituzione della CGT-U, padrona di 17 federazioni,
ufficialmente costituita, dopo un primo congresso minoritario, al congresso di
S.Etienne tra il 26 giugno e il primo luglio del '22[20].
La ripresa ed il decollo economico
La
ripresa economica francese, malgrado le conseguenze della Grande Guerra, fu
piuttosto rapida e proseguì fino alla primavera del 1930. La produzione
industriale raggiunse i livelli prebellici a metà degli anni Venti e tra il '25
ed il '29 aumentando di un quarto, arrivò a fine decennio ad essere superiore
del 35/40% rispetto a quella prebellica. Dopo il '22, grazie anche alla
svalutazione del franco, le
esportazioni incrementarono rapidamente ed a metà degli anni Venti risultavano
essere superiori per più di un terzo rispetto al livello conseguito nel 1913.
Assistita da generosi aiuti governativi, concessi
con la convinzione della riscossione delle riparazioni di guerra da parte della
Germania, la struttura industriale si modernizzò investendo cospicuamente in
macchinari e tecnologie moderne. L'aumento della capacità produttiva
nell'industria, specialmente in settori come il chimico, il metalmeccanico e il
metallurgico e i progressi tecnici in "nuove" industrie, quali quelle
del rayon, quella elettrica e nella produzione automobilistica divennero le
colonne portanti dell'economia francese. L'industrializzazione francese fu tale
infatti per cui un Paese prevalentemente agricolo cambiò radicalmente il suo
profilo, tanto che nel 1931 la maggioranza della popolazione non fu più rurale
e sebbene il numero degli agricoltori scese di un milione tra il 1911 e il 1936,
la produzione agricola aumentò[21].
L'esperienza bellica fu fondamentale per lo
sviluppo di quei settori che caratterizzarono la seconda espansione
industriale. Così dovendo sopperire alla perdita delle industrie pesanti nel
nord e nel nord-est e grazie all'attiva partecipazione dello Stato, l'industria
automobilistica, quella aerea e chimica decollarono, facendo risultare il tasso
di crescita della Francia negli anni Venti il più alto d'Europa[22].
La
concentrazione industriale
lo
sviluppo dei settori precedentemente citati
l'urbanizzazione
la
creazione di infrastrutture adatte (strade, aeroporti, porti, scuole,
impianti fognari, ospedali, comunicazioni postali e telefoniche)
costituirono
i vettori della trasformazione economica francese nel primo trentennio del
ventesimo secolo. Infatti, mentre tra il 1906 ed il 1931 il numero delle aziende
con meno di sei addetti diminuì approssimativamente del 35%, raddoppiò il
numero degli stabilimenti che impiegavano più di cinquecento lavoratori.
Sebbene le industrie francesi rimasero di dimensioni ridotte, l'importanza
economica di quei settori ad alta concentrazione industriale aumentò
significativamente coabitando con realtà produttive più piccole. Così le
industrie metalmeccaniche con oltre cinquecento addetti costituivano solo 1,5%
della totalità delle aziende di quel settore, ma occupavano quasi il 40% della
forza lavoro di quel ramo. L'industria automobilistica, che adattò tecniche di
produzione di massa durante la Grande Guerra, quintuplicò i suoi addetti (tra
il 1906 e il 1931) e incrementò la sua produzione del 180% tra il '23 ed il
'38, superando proporzionalmente la crescita di produzione statunitense e
dominando il panorama europeo. La concentrazione industriale in questo settore
ne mutò radicalmente il volto. Infatti, il monopolio esercitato da Renault,
Peugeot e Citroen, diverrà tale che nel '32 produrranno da sole il 70% dei
veicoli complessivi delle industrie automobilistiche. Le case automobilistiche
passarono da 155 nel '24 a 60 nel '32 e 31 nel '39[23].Con
oltre 800.000 lavoratori, incluse le attività connesse ad esse nel '36, vi
erano 2.000.000 di veicoli circolanti su un'ottima rete stradale[24].
La razionalizzazione della produzione iniziata con l'introduzione del taylorismo
nell'anteguerra all'interno dell'industria automobilistica si espanse
successivamente, viste le necessità di accelerare la produzione, durante il
conflitto bellico[25].
Così le linee di assemblaggio si moltiplicarono nell’industria
automobilistica, dequalificando le mansioni a cui erano addetti gli operai, così
come aumentò il controllo a cui erano sottoposti i lavoratori, limitando
l’autonomia dei propri movimenti e innalzando i ritmi di lavoro.
Simon
Weil, descrive nel suo Diario di fabbrica (1934-1935) la sua personale éxperience
prolétarienne vissuta principalmente all’Alsthom, Societé Générale de
construcions électriques et mécaniques ed agli stabilimenti della Renault.
Sono appunti che alternano sinceri slanci lirici sulla condizione operaia in
fabbrica a riflessioni sul macchinismo <<la macchina è per l’operaio un
mistero...Non c’è nulla di meno
istruttivo d’una macchina>>e sull’organizzazione della produzione ed
il tentativo di pensare ad un suo superamento
attraverso una <<disposizione della fabbrica>> panottica, che
<<mira a dare a ogni lavoratore un’idea complessiva>>, pagine che
riportano stralci di dialoghi sul luogo di lavoro, oltre a minuziosi appunti
sull attività svolta e sulla contabilità del proprio salario (strettamente
legato agli obbiettivi di produzione).
<<Che
cosa ho guadagnato da questa esperienza?>>Si chiede la Weil a conclusione
della suo periodo lavorativo come operaia di fabbrica, <<il senso che non
ho nessun diritto, di nessun genere e su nulla (attenzione a non perderla questa
coscienza). La capacità di essere moralmente autosufficiente, di vivere in
questo stato di umiliazione latente e perpetua senza sentirmi umiliata ai miei
propri occhi; di gustare intensamente ogni istante di libertà o di amicizia,
come se dovesse essere eterno. Un contatto diretto con la vita...
Per
poco non sono stata spezzata. Per poco il mio coraggio, la coscienza della mia
dignità non sono stati distrutti durante un periodo il cui ricordo mi
umilierebbe; ma, letteralmente, no ne ho conservata memoria. Al destarmi,
l’angoscia; andando in fabbrica, paura; lavoravo come una schiava; la pausa di
mezzogiorno mi straziava; ritornavo a casa alle 5,45, preoccupata subito di
dormire a sufficienza (cosa che non riuscivo a fare) e di risvegliarmi
abbastanza di buon’ora. Il tempo m’era divenuto un peso intollerabile. Il
timore, la paura, di quel che sarebbe venuto dopo cessavano di stringermi il
cuore solo il sabato pomeriggio e la domenica mattina. E l’oggetto del timore
erano gli ordini>>.[26]
L'industria
aerea costituiva un altro importante ramo dell'espansione industriale francese.
Sviluppatasi considerevolmente durante il primo conflitto bellico mondiale, si
rafforzò nel dopo-guerra, facendo della Francia uno dei primi paesi d'Europa
nel trasporto merci per via aerea. La sua forza lavoro composta per la
maggiorparte da operai altamente qualificati, dotati di un quadro di saperi ed
di una elevata autonomia rispetto al processo lavorativo, scarsamente reperibile
datane la scarsità ed allo stesso tempo necessaria per la sua indispensabilità
poteva, così godere anche di una elevata capacità contrattuale che si tramutò
speso in propensione conflittuale.
Anche
l'industria chimica conobbe, come i due settori precedentemente citati, nuovo
slancio durante la guerra. Fu appunto durante il conflitto che la Francia riuscì
a sostituire agenti coloranti precedentemente importati dalla Germania e fu dopo
lo scontro bellico che la politica di "autosufficenza" nel chimico,
come in altri rami, fu inaugurata e portata avanti dal governo attraverso la Commision
de defense national pour les industries chimiques e, così come in altri
settori, con Le conseil national économique.
La
politica energetica francese portò il paese nel 1933 ad essere quarto al mondo
per la produzione di energia elettrica moltiplicando i suoi addetti di 7,5 volte
dal 1906 al 1931.
Verso il fronte popolare, Il 6 febbraio
L'Action
Francaise , le organizzazioni patriottiche giovanili - alle quali si
unirono le croci di fuoco e l'Unione Nazionale Combattenti- indirono una
manifestazione per il 6 febbraio del ’34, giorno in cui Eduard Dadalier,
membro del Partito Radicale, si presentava alla Camera dei deputati per ottenere
la fiducia. L'ex -capo del governo Camille Chautemps si era dimesso precedentemente a causa degli scandali che
avevano implicato figure di secondo piano del Partito Radicale. Tra questi il più
notorio risultava essere il caso Stavisky.[27]
S.Stavisky
era stato accusato sin dal 1927 per la sua presunta attività di truffatore,
tuttavia non venne mai processato.
Il non essere oggetto di provvedimenti od indagini giudiziarie
fece insinuare il dubbio che Stavisky
potesse beneficiare della protezione delle alte sfere politiche.
Si suicidò dopo lo scoppio
dello scandalo successivo all’emersione dell’emissione fraudolenta di
polizze avvenuta nel comune di Bayonne nel dicembre del 1933[28].<<L’8
gennaio i giornali annunciarono che Stavisky si era suicidato quando la polizia
aveva fatto irruzione nella villa in cui si nascondeva. Furono pochi i francesi
che credettero a tale versione. L’opinione pubblica era convinta che la
polizia aveva ucciso il truffatore per impedirgli di rivelare le numerose
relazioni che aveva nei più alti circoli ufficiali.>>(W.L.Shirer).Successivamente
la destra richiese in Parlamento un'inchiesta esauriente sullo scandalo, ma
questa venne rifiutata da Chautemps, allora ancora primo ministro. Tale scelta
provocò numerose proteste che spinsero Chautemps a dimettersi.I socialisti
chiesero ed ottennero, come condizione del loro appoggio a Dalanier
ed al suo ministero, l'allontanamento di Jean Chiappe dalla carica di
prefetto di polizia di Parigi, inasprendo ulteriormente gli umori della droite.
Così
il 6 febbraio la folla riunitasì per la manifestazione sulla riva destra del
fiume, al grido di <<Abbasso i ladri>>, cercò di riversarsi in
Place de la Concorde (posta di fronte alla camera dei deputati) scontrandosi
pesantemente con la polizia nel tentativo di espugnare il parlamento. Gli
scontri furono tali che 17 persone perirono mentre ben 2300 rimasero ferite.
Questi episodi erano i più gravi di una lunga serie di scontri e violenze che
avevano viste le leghe protagoniste della politica francese dall’inizio del
’34. Inoltre Daladier , a cui subentrò l'ex presidente
della repubblica Doumergue a capo di un così detto governo di "Unità
Nazionale",si dimise[29].
Il
17 febbraio venne proclamato uno sciopero generale dalla CGT insieme alla CGT-U,
manifestazione durante la quale a Parigi il corteo comunista e socialista si
fusero in nome della comune difesa delle istituzioni democratiche francesi e
della ferrea condanna agli avvenimenti del 6 febbraio da considerarsi come
l’ennesimo disvelamento della reale minaccia fascista in Francia. Dopo il 6
febbraio i dirigenti comunisti continuarono ad accusare il Partito Socialista di
avere tradito i lavoratori e ad appellarsi alla sua base perché lo abbandonasse
e passasse nelle file comuniste. Ma le mutate esigenze sovietiche imposero un
cambiamento della linea politica del PCF e della CGT-U, (grosso
modo cinghia di trasmissione degli interessi del PCF in ambito sindacale).
Il 31 maggio <<L’Humanité>> pubblicò un articolo apparso
precedentemente sulla <<Pravda>> in cui si faceva appello alla
collaborazione tra comunisti e socialisti contro il pericolo fascista,
riferendosi particolarmente alla Francia l’articolo ammoniva :<<sarebbe
un crimine nei confronti della classe operaia opporsi ad un tale fronte
unico>>. Lo stesso giorno il
partito aveva indirizzato una lettera ai socialisi chiedendo un incontro;
richiesta che sorprese lo stesso Blum, che sotto la pressione dei suoi compagni
e delle esplicite richieste dei lavoratori socialisti della zona di Parigi,
accettò l’invito. Successivamente, L'8 giugno la conferenza nazionale del
PCF, invitava all'unità d'azione con la SFIO. Così il 14 luglio, giorno della
festa della presa della Bastiglia, gli esponenti dei due partiti ebbero un
incontro decisivo[30].
il 27 luglio il Comitato Centrale del Partito comunista e la Commissione
Amministrativa Permanente del Partito Socialista, comunemente
<<animati dalla volontà di battere il fascismo>> e dalla
<<difesa delle libertà democratiche>>, si accordarono per agire
<<contro i preparativi di guerra>>, <<contro i
decreti-legge>> ossia contro il ridimensionamento dell’autorità
parlamentare e <<contro il terrore fascista in Germania ed Austria>>,
accantonando (le possibili) critiche reciproche in seno agli ambiti di
intervento fissati, sottoscriverono un patto d’unità d’azione.[31].
Gli avvenimenti di febbraio infatti contribuirono a spingere il Partito
Socialista verso l’approvazione delle proposte del PCF in direzione di un
alleanza politica finalizzata alla prevenzione della minaccia fascista.
Tale intesa venne ufficializzata dalla SFIO durante il suo congresso
tenutosi a Boulogne, congresso durante il quale
venne esposto articolatamente il programma del partito. Questo
comprendeva alcuni punti che saranno prima inclusi nel programma del Rassemblament
Poupulaire e poi realizzati dal
governo Blum. Altri punti, come la nazionalizzazione delle banche, delle
assicurazioni e delle grandi industrie soggette a controllo monopolistico
risultarono, per così dire, più “radicali” di quelle avanzate dal PCF[32].
La SFIO chiedeva inoltre lo scioglimento delle bande fasciste.[33]Il
10 ottobre del 1934 Maurice Thorez fece appello, in nome del comitato centrale,
a un <<vasto Front Populaire per
combattere il fascismo, in nome del lavoro, della libertà e della pace>>
dando così involontariamente al movimento il nome in cui sarebbe passato alla
storia. Fino a quel momento esso si era definito <<Rassemblement
populaire>>.
La
politica estera Russa e la politica nazionale del PCF
Con
L’ingresso della Russia nella SdN(sett. 1934), il trattato franco- sovietico
di mutua assistenza(2 maggio 1935), la firma di un patto analogo con la
Cecoslovacchia, nonché il patto di non aggressione e neutralità <<
l’asse della politica estera della Russia era diventato il legame con le
potenze democratiche dell’Europa occidentale>>[34].
Dopo il fallimento dell’ avvicinamento germano-sovietico e la smaccata
politica filogermanica e filonazista (ed di suoi “ riverberi “ sulla linea
politica dell’IC), l’accordo tedesco-polacco del Genn. ‘34 ed il rifiuto
di Hitler sia nei confronti di un <<piano dell’est>> che ad un
possibile accordo sugli stati baltici, L’U.R.S.S. rinunciò temporaneamente
alla sua Deutschepolitik,
preoccupandosi principalmente di tranquillizzare i suoi nuovi interlocutori, e
disponendosi in funzione anti-germanica presso i suoi nuovi alleati, approvò
anche il riarmo della Francia.[35]
Stalin
durante un incontro con Laval sostenne << la necessità per il paese
di porre i suoi mezzi materiali sul piano della difesa>> e di
<< mantenere le sue forze armate a un livello compatibile con le esigenze
della sua situazione>>.
Così,
il PCF con un funambolico cambio di rotta s’affrettò a produrre un
<<grande manifesto>> dal titolo “Stalin
ha ragione”, cercando di diffondere con ogni mezzo il nuovo verbo tra la
base. Meno di un anno prima Thorez aveva esposto alla camera la tradizionale
linea comunista:<<siamo contro la difesa nazionale. Siamo seguaci di
Lenin, del disfattismo rivoluzionario>>. E proprio in quella occasione
aveva fatto appello ai socialisti perché votassero contro gli stanziamenti
militari proposti da un <<governo che prepara la guerra>>.
Due
mesi prima del discorso di Stalin, Thorez aveva dichiarato esplicitamente che
anche se la Francia fosse stata invasa dai comunisti non avrebbero appogiato una
guerra <<provocata da potenze capitalistiche ed imperialistiche>>.
Con il bene placido di Jaurés e Guesde, per il quale(Jaurés) il PCF e la SFIO
decisero una campagna comune di commemorazione(!) e delle sue precedenti
campagne antimilitariste e pacifiste, costate caro e pagate col carcere dai suoi
militanti, il PCF iniziò un periodo di patriottismo spinto(riabilitando il
patrimonio storico anche della droite)[36]e
di acceso sciovinismo, nonché una manifesta simpatia verso l’ARAC[37].
Il PCF un inaugurò inoltre una politica di avvicinamento verso le
<<classi medie attirate dal fascismo>>, i <<piccoli
funzionari>>, i contadini. Venne riservata importanza ai
<<bottegai>>, enfatizzati i bisogni delle classi medie, guardati con
un certo riguardo <<i vecchi combattenti>>, come venne posta
attenzione ai <<sindacati dei piccoli commercianti>>.Questa nuova
linea politica era così tesa sia ad allargare l’elettorato del PCF(la sua
base di consensi) ed accreditargli la fiducia dell’opinione pubblica.
Sventolando inoltre <<la bandiera tricolore accanto alla bandiera
rossa>>, approvava<< le forze nazionali costruite per la difesa
della libertà>>e riconosceva<<l’eredità intellettuale e
rivoluzionaria degli enciclopedisti del XVIIIsimo secolo>>,dei giacobini e
così via: non era nelle sue intenzioni <<lasciare al fascismo la bandiera
della Grande Rivoluzione e nemmeno La
Marsigliese dei soldati della convenzione>>.[38]Le
tematiche anticolonialiste che avevano visto il PCF in prima linea nei confronti
dell’autodeterminazione dei popoli marocchino e algerino,indocinese ed indiano
vennero abbandonate, l’unico vero compito a cui il PCF doveva votarsi era la
<<difesa dell’Unione Sovietica in ogni caso e con tutti i mezzi>> (M.Thorez).[39]
Il
piano del lavoro[40] proposto ed elaborato
dalla CGT nel ’34 e modificato l’anno successivo(adattandolo alla
congiuntura economica del ’35) prevedeva la nazionalizzazione delle ferrovie,
delle miniere, delle società elettriche e delle assicurazioni, nonché
l’istituzione di sistemi di controllo della distribuzione del credito e dei
principali costi industriali. Secondo J.-D.Reynaud, sia la cartellizzazione
padronale, che il piano della CGT avrebbero avuto in comune <<almeno Il
fatto che cercavano di correggere più o meno profondamente le regole del
mercato liberale>>. I temi dell’organizzazione economica, secondo
modalità razionalizzatrici e modernizzatrici, l’espansione dei consumi,
l’approccio valorizzante alle classi medie[41]
e la legislazione sociale[42]
costituiscono alcuni dei cardini della <<politica della presenza>>[43]
(per usare una espressione di Leon Jouhaux) della CGT nel corso degli anni venti
fino alla vigilia del fronte popolare[44].
Si
pensava che il tentativo di resistenza della classe
moyenne alla proletarizzazione, cioè ad un suo declassamento dovuto ad un
peggioramento delle proprie condizioni di vita, e la sua conseguente perdita di
status, potesse essere cooptato
all’interno di un programma politico ampio di salvataggio dell’economia
nazionale. La formazione di una composizione politico-programmatica costituita
da fasce sociali differenti, con bisogni contrastanti, non solo avrebbe arginato
ma avrebbe prevenuto ed impedito l’ulteriore sviluppo di un terreno fertile
per le aspirazioni fasciste che stavano già facendo breccia - penetrando
celermente ed inevitabilmente con facilità pervasiva - in quel corpo sociale
colpito dalla crisi capitalistica.
L’instabilità
economico-politica
Il
gabinetto Doumergue andava elaborando alcune proposte che si orientavano nella
direzione di un potenziamento dei poteri decisionali del governo a scapito
dell’autorità del parlamento in generale e del senato in particolare, camera
in cui radicali e affini potevano godere di un’ampia maggioranza. Questi
possibili provvedimenti legislativi avrebbero sancito da un lato,
l’impossibilità di fare proposte che implicassero delle spese
ai deputati e dall’altro la possibilità del presidente di sciogliere ,
su consiglio del primo ministro, il parlamento senza la previa approvazione da
parte del senato. IL possibile ridimensionamento dell’autorità politica del
senato, roccaforte dei radicali e l’annullamento del potere propositivo in
materia finanziaria del parlamento spinsero il Partito Radicale a ritirare il
propio appoggio a Doumergue. Bisogna sottolineare che l’instabilità
politico-governativa era anche e soprattutto, diretta conseguenza della crisi
economica[45].
I
bassi prezzi del grano (le traformazioni strutturali della produzionw e del
commercio dei cereali a livello internazionale)
l’insostenibile
parità aurea del Franco che non si era liberato del gold
standard , a differenza della Gran Bretagna
le
angosce dei risparmiatori per un possibile deprezzamento della moneta
francese
il
conflitto governo-banca di Francia sui prestiti, come su un possibile
incremento della spesa pubblica, nonché sull’attuazione di una politica
inflazionistica o al contrario deflazionistica
la
politica fiscale tout court
erano
tutti nodi centrali della politica finanziaria del governo e non permettevano,
vista appunto la situazione internazionale (i lasciti e le conseguenze della
crisi del ‘29) ed i continui scontri di interesse all’interno , compromessi
e mediazioni a livello politico.
Annunciando
alla radio i suoi progetti di riforma costituzionale, anziché rivolgersi al
paese solo dalla tribuna della Camera o del Senato, Doumergue suscitò nei
membri del parlamento l’impressione di essere stati scavalcati, acutizzando il
risentimento verso il suo gabinetto. Quando poi all’inizio di novembre annunciò
che avrebbe sottoposto alle due Camere vari decreti legge sulle finanze e
che quindi avrebbe convocato a Versailles l’Assemblea
nazionale per votare le riforme costituzionali (senza averle prima discusse in
senato) i radicali reagirono abbandonando il governo. Il 9 novembre Doumergue fu
costretto a dimettersi. Così
a Doumergue successe il centrista Pierre-Etienne Flanoin ed a sua volta nel
‘35 l’ex-socialista, ora di orientamento conservatore, Pierre Laval(già
presidente del consiglio dal ‘31 al ‘32), rovesciato a sua volta anch’esso
alcuni mesi dopo (genn.’36)per il distacco dei radicali dalla maggioranza.
Il sucesso elettorale del Fronte Popolare
Nelle
elezioni politiche nazionali svoltesi tra il 26 aprile ed il 3 maggio del ’36
il Fronte Popolare composto da comunisti, socialisti, radicali e alleati ottenne
l’appoggio del 45,94% degli elettori. Rispettivamente: Il partito comunista
ottenne 1.468.949 voti e 72 seggi,
quando nelle precedenti elezioni nazionali era riuscito a totalizzare 783.098
voti e 11 eletti; i socialisti della SFIO ottennero 147 seggi rispetto ai 131
del ’32, mentre i socialisti dissidenti che erano in 37 scesero a 51.
L’unica forza politica del fronte popolare non in ascesa risultò il partito
radicale che, prendendo 51 seggi e circa 350.000 elettori, ottenne 106 seggi e
quasi 40.000.000 voti, superato di circa 2.000.000 dai socialisti. Di contro ai
378 eletti del fronte popolare, l’opposizione di centro e di destra ottenne
220 seggi.[46]
All’indomani
della vittoria elettorale tutte le componenti del fronte popolare si
affrettarono a rassicurare l’opinione pubblica. Rispetto al governo ed al suo
programma Eduard Daladier (presidente del partito radicale) precisò: <<il
programma del Fronte Popolare non prevede nessun articolo che vada contro
gli interessi legittimi di qualsiasi cittadino, che possa preoccupare i
risparmiatori oppure nuocere a qualsiasi forza lavorativa sana della Francia>>.
Il 31 dicembre del ‘36 Léon Blum dichiarerà alla radio, durante il
suo discorso di fine anno:<<noi non cerchiamo né direttamente, né
insidiosamente di applicare al potere il programma socialista>>. In
perfetta continuità con le precedenti considerazioni da lui esposte durante il
10 gennaio nel corso del congresso di Belle Villoise, secondo le quali si
sarebbe dovuto agire al governo sempre nell’ambito della costituzione
<<legalmente, lealmente, senza commettere quella specie di truffa
che consisterebbe nell’approfittare della presenza all’interno del governo
per trasformare l’esercizio del potere in conquista del potere>>[47].
I
comunisti dal canto loro sostennero ma non parteciparono al <<governo
borghese>> di Blum, di cui il gabinetto era composto da 21 ministri e di
14 sottosegretari, tra cui tre donne (allora non aventi diritto di voto né
attivo né passivo) e tra cui rispettivamente 16 socialisti, 14 radicali e due
membri dell’unione socialista e repubblicana.
Il
primo maggio a Le Havre, la direzione della fabbrica metallurgica Breguet
licenziò 2 operai per essersi astenuti dal lavoro. Delegazioni di lavoratori si
recarono allora presso la direzione per chiedere l’annullamento di questa
misura, ma i tentativi di negoziato
svoltisi durante la settimana succesiva al licenziamento diedero esiti negativi.
<<Lunedì 11 maggio, comincia lo sciopero nella fabbrica. Seicento operai,
la totalità del personale, restano in fabbrica durante la notte dal Lunedì al
martedì>>. Attraverso l’intervento del sindaco, nonché deputato di Le
Havre, Leon Meyer, gli operai ottennero non solo la reintegrazione dei due
lavoratori licenziati, ma anche il pagamento dei due giorni di sciopero[48].
Quasi contemporaneamente, il 12 maggio, per
analoghe ragioni (il licenziamento di 3 operai astenutisi dal lavoro durante il
primo maggio), a Toulose, gli operai metallurgici degli stabilimenti Latécoère
proclamarono uno sciopero di solidarietà. Anche qui, attraverso l’arbitrato
del sindaco, non solo gli operai precedentemente licenziati vennero reintegrati
ma vennero inoltre riconosciuti loro i delegati sindacali. Successivamente,
il 14 maggio i lavoratori della Bloch di Courbevoie, un’industria
produttrice di aerei (principalmente su commesse statali), passarono la notte
all’interno della fabbrica. Nei giorni seguenti la direzione concesse un
aumento del salario, le vacanze pagate ed il pagamento dei giorni di sciopero.
Il 22 maggio, sempre nella regione parigina e nella produzione aerea, il
personale della Gnome e Rhone, protestando contro gli straordinari e chiedendo
il rispetto delle otto ore, riuscì ad ottenere la cessazione degli straordinari
ed il pagamento delle vacanze. Il 28 maggio l’ondata delle occupazioni toccò
i giganteschi stabilimenti industriali della Renault a Boulogne-Billancourt e
contemporaneamente i lavoratori della citroen scesero in sciopero. <<Le
occupazioni si aprirono dalle aziende aereo-produttrici e da alcuni stabilimenti
producenti attrezzature radio-telefoniche e giunsero alle grandi industrie
automobilistiche>>[49].
Il 28 maggio fu raggiunto un accordo alla Renault che sancì la fine degli
straordinari, l’inalzamento dei salari più bassi (così come alla SIMCA), la
costruzione di toilettes e di
spogliatoi, (negati ai lavoratori del cemento del Trocadero) ed il pagamento dei
giorni di sciopero retribuiti come lavorativi. Sulla scia della Renault il 30
maggio i grévistes di molte industrie
tra i quali Nieuport, Caudron, Farman, Brandt e Pachard, conclusero le
occupazioni avendo ottenuto accordi simili a quelli concessi alla Renault,
mentre i lavoratori alla Bloch, alla Michelin, alla Citroen ed alla Lockheed
ottennero anche le vacanze pagate. Le occupazioni, conclusesi con esito positivo
in alcuni settori, continuarono in alcune industrie chimiche, pneumatiche ed
elettriche. Il 2 giugno una nuova ondata di occupazioni toccò un numero
cospicuo di industrie tra le quali Lioré et Olivier(1.200 addetti), Breugete e
circa trecento tra stabilimenti chimici e metallurgici; successivamente e
rispettivamente il 4 giugno alla Renault ed il 5 alla citroen, queste ripresero
coinvolgendo anche le province.
Così
il primo obbiettivo del governo insediatosi il 4 luglio, quello degli
industriali e degli stessi leader sindacali divenne quello di far defluire il
movimento che, iniziato i primi di maggio, era ancora in espansione.
il 7/8 giugno a Parigi vennero così firmati i cosiddetti “accordi di
Mantignon”. Accordi a cui partecipano tre ministri del governo, alcuni
rappresentanti sindacali(CGT) e del padronato (GPF)[50].
Questi sancirono:
l’istituzione
immediata di contratti di lavori collettivi
approvarono
la libertà sindacale per i lavoratori
aumentarono
i salari (con incrementi che andavano dal 7% per quelli più elevati, fino
al 15% per quelli più modesti)[51]
introdussero
l'elezione di delegati di lavoratori nelle fabbriche con oltre 10
operai:<<abilitati a presentare alla direzione i reclami individuali
che non fossero stati direttamente soddisfatti, relativi all’applicazione
delle leggi, dei decreti, dei regolamenti del codice del lavoro, delle
tariffe salariali e delle misure d’igiene e di sicurezza>>
inoltre
<<la delegazione padronale>> s’impegnava a non prendere
<< alcuna sanzione per fatto di sciopero>>
mentre
<<la delegazione confederale operaia
chiederà ai lavoratori in sciopero di decidere la ripresa del lavoro
non appena le direzioni aziendali avranno accettato l’accordo generale
intervenuto, e non appena le trattative relative alla sua applicazione
saranno state iniziate tra le direzioni e il personale delle aziende>>.[52]
Il
16 Giugno, Jouhaux, facendo il
punto della situazione di fronte al comité national della CGT, dichiarerà
tutta la sua sorpresa rispetto alla nouvelle
vague di protagonismo operaio che aveva scosso la Francia :<<Il
movimento è scoppiato senza che si fosse potuto comprendere esattamente come e
dove>> preoccupandosi di far calare al più presto di nuovo la “cappa”
sindacale e facendo si di riprendere il controllo della situazione.
<<nessun sindacato di fabbrica ed allo stesso tempo i delegati operai
devono stare sotto il controllo dell’organizzazione sindacale[...].
Le nostre organizzazioni sono aperte a tutti i salariati che chiedono di farne
parte, ma questa possibilità non esclude affatto la vigilanza>>[53].
Il timore di vedere incrinato il proprio rapporto privilegiato con il gabinetto
appena formatosi e la possibile perdita di peso della propria rappresentanza di
fronte al potere politico ed in seno ai lavoratori, accellerò il tentativo di
neutralizzazione preventiva di qualsiasi altra espressione della classe
lavoratrice dopo << la ‘salutare manifestazione di malcontento’ che il
governo ‘amico’ aveva permesso e recuperato prontamente (per sintetizzare il
sensus comunis del gotha sindacale
rispetto agli avvenimenti di Maggio). Agli
occhi di qualsiasi “sinistro” burocrate politico o sindacale francese che
fosse, le classes laboureuses
divennero sempre più spettralmente classes dangereuses, mentre nello stesso tempo la minaccia per il già
precario assetto di potere non era più di matrice fascista e non veviva dalle
varie componenti di una classe moyenne
in via di declassarsi, bensì di matrice proletaria.
Successivamente
tra il 7 ed il 9 giugno verranno istituite in ambito governativo:
due
settimane di ferie pagate per gli operai, impiegati e apprendisti con almeno
un anno di anzianità
ratificati
i contratti collettivi, già previsti da una legge del ’19 che non li
riconosceva come obbligatori. La concertazione sarebbe avvenuta a livello
nazionale con la partecipazione risolutrice e mediatrice del governo
attraverso il Ministro del lavoro[54]
istituita
la settimana lavorativa di 40 ore, senza che venissero diminuiti i salari
soppressa
la trattenuta del 10% su stipendi e salari.
vietato
nell’industria e nel commercio l’utilizzo di mano d’opera di età
inferiore ai 14 anni.
L’ondata
di agitazioni che aveva scosso la Francia non era però l’unica preoccupazione
del gabinetto Blum.
All’indomani
della vittoria del fronte popolare,<<in borsa si creò il panico. I buoni
dello stato caddero bruscamente. Le azioni della banca di Francia caddero in una
settimana da 7830 a 7365 franchi. Iniziò la fuga dei capitali all’estero ed
una frenitica corsa all’acquisto dell’oro. Nella settimana che seguì alle
elezioni la Banca di Francia perdette due miliardi e mezzo di franchi dalle sue
riserve auree. La massiccia esportazione dei capitali nelle intenzioni dei loro
possesori era diretta non soltanto a metterli al sicuro, ma anche a sabotare gli
sforzi del fronte popolare di rivitalizzare l’economia francese attraverso
l’impiego produttivo dei capitali francesi.>>[55]
La
resistenza operaia durante il Fronte Popolare
Durante
il fronte popolare gli episodi di resistenza al regime produttivo imposto si
moltiplicarono. Sia che si trattasse di rallentare i ritmi di produzione, che di
disobbedire alle figure preposte al controllo della medesima, o di realizzare
praticamente la settimana lavorativa di 40 ore e di 5 giorni ( ad esempio
bloccando gli straordinari), molteplici furono le forme che mostrarono una
tendenziale mutazione dei rapporti di forza all’interno dei luoghi di lavoro
ed un maggiore controllo operaio sulla produzione. Ostruzione, sabotaggio,
ritardi oltre il margine di tollerabilità nell’entrare negli stabilimenti o
uscite in anticipo rispetto ai turni regolari, così come assenze
ingiustificate, divennero pratiche quotidiane dei lavoratori delle grandi
concentrazioni industriali metalmeccaniche e chimiche, così come
dell’industria aereonautica, e dell’edilizia. Inoltre molti lavoratori
parigini diedero un’interpretazione sui
generis del fascismo associandolo
<<a una ferrea disciplina sul luogo di lavoro, a una produttività di tipo
intensivo, ed a una lunga e faticosa settimana lavorativa>>[56],
agendo di conseguenza : il fascismo venne accostato
tout court alle condizioni di lavoro
che avevano caratterizzato la fase del decollo, dello sviluppo e
dell’affermazione economica francese. Si registrarono perciò forti tensioni
tra delegati e controllori e si articolarono rapporti differenti tra i
lavoratori, i rappresentanti da loro eletti e le organizzazioni politiche e
sindacali(CGT,PCF) organiche al governo. Il controllo sui licenziamenti e le
assunzioni, come su altri punti da parte della aziende e dei loro fiduciari
venne continuamente messo in discussione dalle collettività operaie dei singoli
stabilimenti. Così si verificarono intimidazioni e violenze verso crumiri e
staccanovisti ante litteram, così
come verso i capi reparto più intransigenti, tacciati, a causa del loro
comportamento, di essere appunto fascisti.[57]
Il comportamento indisciplinato dei delegati, che fornendo una loro propia
interpretazione del ruolo che avrebbero dovuto rivestire, allargarono la loro
influenza e la loro autorità e si sentirono dispensati dagli oneri produttivi a
cui erano vincolati gli altri operai, non mancarono di essere segnalati non solo
dal patronat. La necessita di un
controllo più efficace, di una disciplina più rigida, e di una più costante
sottomissione ai diktat produttivi non mancarono di manifestarsi pubblicamente.[58]
Il
world’s fair costituisce
senz’altro un caso paradigmatico del comportamento dei lavoratori. I lavori
per il world’s fair , nonostante i
ripetuti appelli e le esortazioni governative, nonché le assicurazioni da parte
della CGT e del PCF, non furono conclusi come previsto per il primo maggio.
L’esposizione che secondo le parole di Blum avrebbe sancito<<il trionfo
della classe lavoratrice e della libertà>> e la superiorità del regime
democratico sulla dittatura, avrebbe dovuto essere inaugurata infatti per la fete
du travail , ma a causa dei rallentamenti alla produzione venne terminata
molto al di là di questa scadenza. Sebbene il governo optò per una
collaborazione più stretta con la CGT nella conduzione dei lavori,
collaborazione necessaria per l’importanza che quell’appuntamento costituiva
a livello di politica estera della nazione francese, la produzione non migliorò.
Così la rigidità di cui i ritmi produttivi avrebbero necessitato ed il
sur-plus di sacrifici richiesto ai lavoratori non trovarono realizzazione. Il
lavoro venne suddiviso in tre turni a causa del rifiuto della CGT di estendere
la giornata lavorativa oltre le 40 ore, ma i turni notturni risultarono
scarsamente produttivi anche a causa dell’utilizzazione di mano d’opera non
qualificata. I lavoratori inoltre rifiutarono di recuperare i giorni
non-lavorativi infrasettimanali dovuti alle festività ed alle intemperie.
<<alcune nazioni cercarono di impiegare lavoratori non francesi per
ultimare i loro padiglioni, ma la CGT si oppose non solo a questa pratica ma
anche all’assunzione di lavoratori provenienti dalla provincia>>. Si
verificarono anche alcuni episodi di violenza contro i capi reparto ed alcuni
casi di sabotaggio. Inoltre il rifiuto poi di utilizzare tecnologie avanzate per
un impiego esteso della mano d’opera contribuirono a fare slittare la fine dei
lavori(ancora solo parzialmente completati) al 24 maggio. La preoccupazione ad
<<interessare gli operai al loro lavoro>> dando a loro <<il
senso che l’azienda viva e che essi partecipano di quella vita>>[59]
e la necessità di far scemare <<la
vague générale de paresse>> montata con le occupazioni delle
fabbriche, furono le reazioni generalizzate di cui anche le organizzazioni che
sostennero il front poulairesi fecero
portatrici.
<<Nel
XIX secolo Paul Lafaurgue, esponente di spicco del movimento socialista e
cognato di K.Marx, parlò e scrisse di droit
à la paresse; ora, nel XX secolo i leaders delle organizzazioni operaie non
accennavano mai se no in termini denigratori alla paresse
ed alla pigrizia.>>[60]
La
critica alle forme di socializzazione delle classi lavoratrici non inclini ad un
salutare riposo, non affini e non contigue alle attività produttive quali
l’alcolismo, il tabagismo, cabarets, ecc.ecc. e non irrigimentate dal
disciplinamento del tempo libero che si andava stratificando, erano parte
integrante della politica del front popoulaire. Questo atteggiamento espressamente riformatore si
nutriva anche di un afflato “modernista”, promuovendo il sostegno,
l’estensione e la democratizzazione delle forme di vita moderne, cioè delle
forme moderne di consumo quali il consumo del tempo libero in attività
sportive, in gite domenicali extra-urbane en
plein air, ecc. od il consumo beni: automobili, abbigliamento, cultura.
Il
declino e la fine del Fronte Popolare
L’
eterogeneicità delle forze componenti la base sociale del Fronte Popolare,
manifestatasi già nelle scelte del governo Blum nell’ambito della politica
estera (l’atteggiamento ondivago rispetto alla guerra civile spagnola), emerse
ancor più nettamente con
l’inasprirsi della crisi economica, che
rese ancora più visibili le esigenze conflittuali delle diverse realtà sociali
ed i contrasti tra i partiti che ne volevano essere l’ espressione. Il partito
radicale, ago della bilancia a livello politico-parlamentare della terza
repubblica, per voce dei suoi
rappresentanti, iniziò insistentemente a richiedere il ripristino dell’ordine, ed una politica orientata più decisamente verso la
salvaguardia degli interessi delle classi medie. L’elettorato del partito
radicale era infatti essenzialmente composto da contadini, propietari di piccole
aziende e membri delle middle classes
in genere , favorevole sia all’anti/clericalismo che al mantenimento delle
libertà repubblicane, ma ostile, o quanto meno scettico, rispetto alla politica
economica inaugurata dal Front Poupulaire.
Lamentandosi
dell’incremento del potere dell’organizzazioni sindacali, delle continue
violazioni nei confronti del droit
de travailler, nonché, in modo particolare, dell’attuazione delle 40 ore
settimanali, introdotte attraverso gli accordi di Mantignon, così come
della(ormai ”cronica”) scarsa produttività di alcuni settori industriali e
denunciando enfaticamente l’improduttività dell’industria bellica
nazionalizzata, gli esponenti del partito radicale volgevano tout
court verso l’allineamento alle posizioni del patronat.
La
crescita dei prezzi e la svalutazione del franco, che aveva perso circa il 60%
del suo valore in meno di due anni, l’aumento del deficit della bilancia
commerciale, gravarono particolarmente su molti fonctionaires,
rentiers, pensionati ed in generale su coloro i quali erano legati ad
entrate il cui valore nominale restava invariato nonostante le cangiati e
contingenti fluttuazioni del loro valore “reale”. Inoltre la fuga di
capitali che << di fronte alle difficoltà nazionali ed inernazionali
emigra[ro]no all’estero rifiutandosi di risponder all’appello di Blum>>[61].risultò anch’essa
condizionare la politica governativa. Così, la realpolitik del governo in materia economica iniziò ufficialmente
con la proclamazione di una <<pausa>> delle riforme il 13 febbraio
del ’37. Già nell’ ottobre ’36 il Ministro degli interni Roger Salengro
affermava che <<non può esistere una classe operaia felice in un paese
rovinato, che un paese diviso e
dilaniato può divenire una preda
facile, che salveremo la nostra moneta solo se saremo capaci di far regnare
l’ordine, che potremmo essere certi della nostra sicurezza solo se accetteremo
una certa dose di indispensabile disciplina>>.
Le
officine partecipi alla seconda ondata di occupazioni vennero evacuate ed in
dicembre venne lanciato un nuovo prestito pubblico che non incise profondamente
nel riassestamento delle finanze. Così l’organizzazione della pausa venne
attuata attraverso una serie di misure che ristabilirono il mercato libero
dell’oro, inoltre venne affidato a un gruppo di esperti l’incarico di
gestire il fondo di stabilizzazione (per un parziale controllo dei cambi), le
nuove spese in bilancio furono rimandate, altre vennero ridotte e venne deciso
di lanciare un prestito della difesa nazionale. Nonostante questo tentativo di
riottenere la fiducia dei detentori di capitali e di arginare la crisi, questa
non accennò a scemare. Successivamente anche l’unità antifascista cemento
ideologico del fronte ed elemento portante della coalizione governativa, già
messa in discussione dalla politica estera francese, vacillò ulteriormente in
occasione del raduno del PSF di De la Roque. Dalla dimostrazione del 12 febbraio
’34 svoltasi contro il ‘pericolo eversivo’ emerso durante gli scontri
della manifestazione del 6 febbraio, alla dimostrazione contro l’attentato a
Leon Blum all’indomani della sua elezione a capo del governo, fino alla
manifestazione del novembre dello stesso anno contro la stampa di destra
colpevole , secondo i dimostranti, a causa delle sue calunnie, del suicidio del
Ministro degli interni Roger Salegro, le manifestazioni antifasciste largamente
partecipate erano state prima il propellente poi il sostegno “di piazza” del
fronte popolare. Ora la contro-manifestazione organizzata davanti al comune, da
cui una parte dei dimostranti si staccò per andare sul luogo del raduno del
PSF, degenerò in scontri tra gli antifascisti e la polizia che si conclusero
con un bilancio di 5 morti e 200 feriti. Così la promessa di Blum di non essere
il “Noske francese” sembravano così sempre più disattese.
Paul
Reynaud, a cui Daladier - subentrato a Blum
aveva asegnato l’incarico di Ministro delle finanze - portò la
settimana lavorativa a 6 giorni, autorizzò gli straordinari consentendo
giornate lavorative di 9 ore, ridusse la retribuzione degli straordinari,
ridimensionandoli del 10-25%. Inoltre, venne dichiarato nullo l’accordo che
aveva abolito il cottimo e vennero previste sanzioni per i lavoratori
dell’industria bellica che si sarebbeto rifiutati di fare gli straordinari. Il
pericoloso spostamento a destra, gli accostamenti con le politiche del regime
fascista e nazista, come i paragoni con il programma del PSF del colonnello De
la Roque, abbondavano nella stampa sindacale e politica che aveva
precedentemente appogiato il fronte popolare. Così mentre il congresso della
CGT tenutosi a Nantes decise all’unanimità per uno sciopero generale (fissato
per il 30 nov), che avrebbe avuto lo scopo di bloccare
l’attuazione dei decreti Reynaud, scoppiarono repentinamente dei grève
sauvages. A Puteaux (Hutchinson tire factory), a Aubervilliers (Kuhlman), a
St. Denis (Matiéres Colorants) come nelle maggiori fabbriche chimiche,
metallurgiche ed aeree si moltiplicarono i wild-cats.
<<Il 24 novembre il più vasto e violento sciopero selvaggio scoppiò alla
Renault. Anche se il PCF ed i suoi seguaci dichiararono che i lavoratori della
Renault non dovevano essere ritenuti responsabili per la violenza o che questa
avrebbe dovuto essere attribuita ai trotsckysti, i lavoratori del settore
automobilistico si prodigarono nel compiere sabotaggi e
aggressioni fisiche. Alcuni capi-reparto e sovraintendenti vennero
percossi, e vennero trovati nelle officine occupate dagli scioperanti
quarantadue tra spranghe e sfollagente, nonché un pugnale, fabbricati in
toto nelle officine.I grévistes
adoperarono automobili e camion di recente fattura per inalzare delle barricate,
per infrangere finestre e distruggere l’orologio. Gli scioperanti inoltre
cosparsero il fondo dello stabilimento di benzina. La polizia dovette evacuare
gli stabilimenti con la forza e fu accolta dal lancio di varie componenti
automobilistiche che andavano dai carburatori ai pistoni. 46 agenti ed almeno 22
scioperanti rimasero feriti negli scontri. Numerosi lavori in corso vennero
pesantemente danneggiati tanto che l’ammontare dei risarcimenti richiesti
dalla direzione corrispondeva a circa 200.000 franchi.
Vennero
arrestati circa 280 lavoratori, principalmente con l’accusa di aver ostacolato
“la liberté du travail”. Nei
rapporti di polizia accessibili riguardanti 31 lavoratori, solo 5 vengono
classificati come “politici” e membri del PCF. 21 vennero descritti come non
politicizzati(<<pas s’occuper de
politique>>) dagli ispettori di polizia, e sui 5 rimanenti il rapporto
non contiene nessuna menzione rispetto all’attività politica svolta. Solo 2
lavoratori su 31 persone aveva precedenti penali. Delle 31 persone accusate
dalla direzione di aver violato “la
liberté du travail” e coinvolte in episodi di violenza e sabotaggio, tre
erano di sesso femminile.[¼]
Una gettò una tanica di benzina adosso ad una vedova che non aveva interrotto
il suo lavoro durante losciopero; le altre minacciarono di <<spaccare la
faccia>> alle loro colleghe che si rifiutarono di interrompere il
lavoro.>> (Michael Seidman). Il clima che precedette e percorse lo
sciopero del 30 novembre s’avvicinava alquanto a quello di una vera e propria
guerra civile mirante a completare il processo di “normalizzazione” già in
atto per via legislativa. Il patronat
minacciò infatti i lavoratori dichiarando pubblicamente che,
chi avrebbe partecipato allo sciopero avrebbe perso la propria anzianità
professionale e le ferie pagate; mentre gli esponenti più intransigenti della
borghesia affermarono che lo sciopero avrebbe costituito una chiara violazione
del contratto e che pertanto sarebbero stati licenziati i lavoratori
partecipatantivi, riservandosi perciò di esaminare una possibile riassunzione
su base individuale dei licenziati solo ed esclusivamente dopo un’attenta
valutazione della documentazione in loro possesso. Il governo per suo conto
militarizzò le stazioni dei metrò, quelle ferroviarie e le autostazioni per
assicurare una regolare circolazione delle persone. Inoltre il controllo
governativo sull’informazione, esercitato
attraverso le trasmissioni radiofoniche che esortavano a non partecipare allo
sciopero, ed incrementato dalla
cessazione della pubblicazione dei quotidiani durante la protesta, contribuì al
suo esito fallimentare. Sebbene la partecipazione allo sciopero fu relativamente
elevata nelle grandi concentrazioni industriali dei sobborghi e si registrarono
sabotaggi ed intimidazioni finalizzate alla cessazione del lavoro, la protesta
non raggiunse l’obbiettivo. I licenziamenti successivi colpirono i lavoratori
che durante il fronte popolare avevano impedito il regolare svolgersi della
produzione(les meneurs) e che erano stati il fulcro della resistenza operaia.
La direzione aprofittò di tale débacle
per riassettare i libri paga , inasprire la disciplina ed incrementare la
produttività anche attraverso il ripristino di un sistema di bonus, di
incentivi legati alla produzione ed attraverso una pressante
“responsabilizzazione” della forza lavoro operante in quei settori
stratagici (quale quello dell’industria militare) per la Francia.
I
partiti di sinistra ed i sindacati tra le due guerre in Francia
La
<<politica di presenza>> , secondo la fortunata espressione di
Jouhaux, inaugurata nel dopo-guerra dalla CGT, e che ebbe il suo apice durante
la breve esperienza del Front poupulaire,
si esplicò progressivamente nel ventennio precedente il secondo conflitto
bellico mondiale, promuovendo la centrale sindacale a rappresentante dei
lavoratori in seno all’amministrazione statale, facendone propugnatrice e co/autrice
dell’intervento dello stato nell’economia e valorizzando il suo ruolo di
‘parte sociale’ nella regolamentazione giuridica dei rapporti di lavoro
(l’ottenuto riconoscimento dei contratti collettivi, dei delegati dei
lavoratori,ecc.) e della legislazione sociale in genere. Il sindacato
promuovendosi come gestore sul piano <<economico>> della forza
lavoro, divenne
collaboratore del moderno
processo di industrializzazione francese, nonché co-autore della
‘responsabilizzazione’:
il ‘lavoratore’ diviene un tassello fondamentale dell’economia
nazionale, cioè essenzialmente un soldato dell’economia politica
potenzialmente persuaso di collaborare ad una prospettiva pacifica
e civile (e non di pacificazione sociale) che implicitamente od esplicitamente avrebbe
realmente portato nuovamente alla guerra
ed alle barbarie ad essa connesse.
La ‘democrazia del lavoro’, la mistificante prospettiva della
‘democrazia sociale’, si delineava come progetto di sviluppo e
salvataggio di tale economia ad opera dei lavoratori tramite il sindacato,
rectior progettualmente e amministrativamente ad opera del sindacato (e
delle espressioni politiche a lui contigue) tramite il consenso dei
lavoratori. Il ‘sindacato’ diverrà progressivamente non più il
‘rappresentante’ degli interessi economici del (e per il) proletariato,
ma rappresentante dei lavoratori usati come forza di promozione del
e per l’organizzazione sindacale all’interno di uno scontro
politico-economico avente per fine la com-partecipazione alla gestione ed
all’orientamento di una <<economia mista>>. Questa ispirazione
era allo stesso tempo sociale: la spinta, il motore di tale progetto restavano le
forze sociali svuotate della loro potenzialità, nella e dalla pervasiva e
mistificante formula auto-percettiva del citoyenne
sul piano individuale e del peuple
sul piano collettivo, per conto ed ai fini del syndacat o dal parties;
nazionale: promuovendo
l’accumulazione del capitale francese e la sua circolazione e
distribuzione (e parlare in un periodo di forte concentrazione ed allo
stesso tempo di internazzionalizzazione del capitale di richesses nationales può apparire paradossale), corporativo:
promuovendo un atteggiamento di mutuo sostegno all’interno della sfera
produttiva e organi “democratici” preposti a questo fine tra interessi
contrapposti (salariati e non), viste e considerate le finalità convergenti
dei produttori.
Tale pianificazione sarebbe stata in grado di mettere fine alla
disoccupazione ed all’indigenza, anzi sarebbe stata in grado di aumentare
i consumi e di fissare prezzi dignitosi per i prodotti agricoli, in grado di
frenare la proletarizzazione delle classi medie attraverso una
“cetimeditizzazione” della politica della classe ouvriere[62].
’razionalizzazione’:
<<la tradizione Giacobina, espressa attraverso
il razionalismo associato a Comte, Saint-Simon e Guesde,
l’idealismo kantiano di Jaurés o il razionalismo della tradizione
anarchica (con il suo credo nella scienza razionale) e infine il
‘positivismo laico e repubblicano’ della Terza repubblica[63]>> costituirono
l’humus ideale per la costruzione di una visione del mondo ingegnieristica,
condizionata da un <<esprit planiste>> che impregnava di sé la
cultura della sinistra europea soprattutto dopo la crisi del ’29: Il
‘Plan du Travail’ belga e le politiche roosveltiane d’oltreoceano, per
non parlare dei successi dell’economia pianificata sovietica e dei reggimi
corporativi (Italia, Germania, Giappone) muovevano nella medesima direzione
e partivano grosso modo dagli stessi presupposti. L’organizzazione
scientifica del lavoro che aveva in Francia numerosi ammiratori e
l’afflato produttivista, l’aspirazione ingienierisica, danno la cifra
della forma mentis dei quadri e dei dirigenti dell’organizzazioni
politiche e sindacali. Volendo poi fornire per ‘epistemologica’ una
soluzione ‘sociologica’, cioè definendo meglio sociologicamente l’intelighentsia
sindacale, essa altro non era che parte del corpus
dell’amministrazione pubblica che auto-valorizzava il suo ruolo
all’interno dello stato, dell’economia e della politica cercando di
egemonizzare sul piano politico-economico le classi medie: <<Una
salute robusta, la fortuna di essere sopportabili all’iscritto medio e non
insopportabili ai poteri dominanti, un sicuro istinto contro l’avventura,
la dote di saper trattare con l’opposizione, l’essere pronti a spacciare
per virtù le mutilazioni della massa e le propie, il nichilismo e il
disprezzo di sé sono le qualità necessarie della nuova direzione>>[64]
’sacralizzazione
del lavoro’,
di inquadramento disciplinare e del controllo sui luoghi di lavoro, del
commisariamento dell’azioni dei lavoratori e dal ridimensionamento degli
operai più attivi (soprattutto da parte delle sentinelle e dei guardiani
provenienti dalla CGT-U, cinghia di trasmissione del PCF).
Efficienza/produttività,
responsabilità/controllo, razionalità/ordine,...sono mots d’ordre riconducibili, nonostante le loro sfumatore
semantiche e la loro attribuzione rispettivamente a sindacati e partiti di
sinistra da un lato e dal patronat
dall’altra, alla stessa unità dialettica, alla stessa matrice ideologica:
sono concetti legati alla medesima causa, quella della legge del valore
capitalista.
La
risoluzione pacifica della crisi economica è lo spirito programmatico delle
forze del Fronte Popolare, che tenendo conto degli equilibri politici, dei
giochi di potere e delle diverse sensibilità ed interessi animerà l’agenda
della componente gauschiste (compresa
la parte sindacale) della classe
dirigente :
le
riforme di struttura
il
salvataggio dell’economia dello stato/nazione attraverso una
democratizzazione del credito(la nazionalizzazione del credito)
la
regolazione di alcune dinamiche economiche come l’indicizzazione dei
prezzi e la regolazione degli scambi monetari ed in generale un intervento
statale nelle politiche monetarie
un
tendenziale reggime di piena occupazione e la sconfitta della disoccupazione
tramite la realizzazione di grandi lavori pubblici realizzati grazie alla
nazionalizzazione del credito
un
incremento dei salari implicante una incremento dei consumi ed uno stimolo
conseguente per la produzione (e tutte le derivazioni ideologiche
immaginabili)
la centralità politica delle classe medie nel tiro alla fune ingaggaito con la destra ed i movimenti fascisti, e la conseguente valorizzazione(auto-valorizzazione) politica di quei soggetti sociali quali tecnici,funzionari,ecc. necessari allo sviluppo/ripresa capitalistico Permeano la politica delle componenti di sinistra del Front Populaire.
[1]
Cfr. Charles S.Maier, La rifondazione dell’Europa borghese, De Donato,
Bari, 1979
[2]
Cfr. Denis Authier-Jean Barrot, La sinistra comunista in Germania, La
Salamandra, Milano, 1981
[3]
Bisogna ricordare che durante il primo conflitto bellico mondiale avevano
combattuto per la Francia non meno di 449.000 soldati di origine coloniale e
più di 187.000 erano stati arruolati in battaglioni di lavoro
dell’esercito.
[4]
Cfr. William l. Shirer, La caduta della Francia, Giulio Einaudi editore,
Torino, 1971
[5]
Anton Pannekoek, Les conseils ouvriers, Spartacus, Paris 1982
[6]
In Francia il gettito delle imposte aveva coperto solo il 17% del totale
delle spese belliche di duecentodieci miliardi di Franchi oro, mentre la
rimanente somma era stata coperta dai prestiti e dalle anticipazioni della
Banca di Francia.
[7]
Cfr. Derek H. Aldcroft, L’economia europea dal 1914 al 1990, ed. Laterza,
1994; Rondo Cameron, Storia economica del mondo, Il Mulino, 1993, Bologna
[8]
Alfred Rosmer, A Mosca al tempo di Lenin, vol 1, 1920, Coop. Edizioni Jaka
Book, Milano 1973
[9]
Albert Thomas, sincero produttivista e ammiratore di Taylor, era divenuto
Ministro delle forze armate al tempo della coalizione politica che governò
La Francia durante la Grande
Guerra
[10]
<<Le due ore giornaliere potevano facilmente finire in occupazioni
inutili o, come ipotizzava
Alexandre Ribot,
presidente della Commissione del Senato nominata per rivedere la legge, in
un <<ozio nocivo alla
salute e alla vita>>. L’ astioso articolista della
Journéè Industrielle si rammaricava poiché l’operaio, con il
suo reddito più elevato, non avrebbe
fatto altro che creare nuovi e frivoli bisogni.
<<Invece di migliorare l’alloggio o l’ alimentazione si
comprava una bicicletta, o andava al teatro. Se l’operaio dedicava il suo
tempo libero al cabaret , si
chiedeva più tardi François Poncet quando
la questione si riaccese, ne traeva forse un vantaggio? Evidentemente, con
le sue poche ore libere dal lavoro, il proletariato francese era esposto a
tutti i vizi della borghesia.. >> C.S. Maier, La rifondazione dell’
Europa borghese, op. cit.
[11]
<<I patriottici >> obbligazionisti, <<i piccoli
risparmiatori>> che avevano affidato <<all’industria
ferroviaria francese circa 20 miliardi di Franchi>> secondo Noblemaire,
direttore generale della compagnia PLM(Paris-Lion-Mediteraine), nonché
deputato del Bloc National per la città di Lione, dovevano essere
salvaguardati e l’industria ferroviaria
doveva <<essere salvata>>.
[12]
A proposito dello sciopero di febbraio Monatte preciserà :<<se c’è
stato mai uno sciopero spontaneo, questo fu proprio quello di febbraio.
Partito dalle officine di Villeneuve-Triage come risposta al licenziamento
di Campanaud, si estese come fuoco di paglia a tutta la rete PLM e, di là,
ai ferrovieri parigini investendo anche altre reti.>>Cfr. Piere
Monatte, La lotta sindacale, Cooperativa
Edizioni Jaca Book, Milano, 1978 Secondo A.Rosmer le <<nuove direzioni[sindacali] che si erano date le organizzazioni periferiche in opposizione al mascherato riformismo dei dirigenti confederali mostravano [...] non di rado una
notevole maturità>>; e Parlando in maniera più specifica
dello sciopero dei ferrovieri :<<Quandò scoppiò lo sciopero dei
ferrovieri fui colpito dall’intelligenza con cui il segretario di quella
unione preparò e organizzò l’opera di sostegno agli scioperanti. Egli
spiegò con chiarezza il significato dello sciopero, ne indicò gli sviluppi
possibili in una situazione generale obbiettivamente rivoluzionaria, previde
le misure repressive che il governo non avrebbe mancato di prendere e, per
assicurare la continuazione dell’agitazione operaia, costituì senza
indugio gruppi di avvicendamento nel comitato di sciopero[...]Le compagnie, sorprese dalla prontezza del movimento e dall’ampiezza
dell’agitazione, dalla fermezza e dalla disciplina che caretterizzava il
suo sviluppo, cedettero rapidamente. Avrebbero
avuto la loro rivincita tre mesi più tardi, aiutate dal governo e dai
dirigenti della CGT, che sabotarono uno sciopero di solidarietà che era
stato loro imposto>>. A Mosca al tempo di Lenin, op. cit. .
[13]
Steeg, Ministro dell’interno, fece imprigionare sin dal 2 maggio
<<alcuni CSR, del comitato della III° internazionale o di alcune
organizzazioni che si richiamavano all’ esperienza dei soviet e di un
piccolo partito comunista. Né gli uni, né gli altri avevano preso la
minima parte nella decisione dello sciopero. Né avevano spinto in tal
senso. Posso persino dire che non avevano condiviso in alcun modo la fiducia
nei nostri compagni ferrovieri nel secondo movimento.>> Cfr. P.Monatte,
op. cit.
[14]
<<Minoritari nella CGT, ma maggioritari nella loro
federazione.>> Ibiem
[15] <<Sebbene la Confederazione conservasse come fine ultimo l’ abolizione del lavoro salariato, intraprese una “politica di presenza” negli affari nazionali e tentò sistematicamente di penetrare all’interno del potere statale>>. Le nazionalizzazioni che diverranno dal ’19 una richiesta permanente della CGT si basavano su un controllo di delegati pariteticamente scelti da stato, produttori(operai e tecnici) e consumatori <<spostando il centro dell’attenzione dal controllo della produzione verso l’interesse per il consumo.>>Cfr. Workers angaist work, Micheal Seideman, University of California press, Berkley Los Angeles Oxford, 1991
[16]
Cfr. Jean-Daniel Reynaud, Il sindacato in Francia 1906-1974, La salamandra,
Milano, 1978
[17]
Sempre Monatte sottolinea l’utilizzazione che i maggioritari della CGT
riservarono ai ferrovieri, adoperati <<come truppa d’assalto in
favore del suo progetto di nazionalizzazione industrializzata>>
[18]
<<I CSR non hanno riscontrato una grande eco da parte del partito
comunista dell’epoca. Niente autorizza a confonderli con esso.
All’inizio e durante lunghi mesi, hanno svolto il loro compito da soli,
formati soprattutto da giovani operai di base>> Ibidem
[19]
Alla minaccia <<d’epulsione dei sindacati aderenti ai CSR(la
continuazione dei Comitée Sindacacts Minoritaires) facemmo questa
concessione.: ai CSR si sarebbe aderito solo individualmente. Malgrado ciò,
vennero decretate nuove espulsioni di sindacati, in base a una mozione del
CCN presentata da Domouin.>> Ibidem
[20]
“Les Temps maudits” rivista di approfondimento teorico
della Confederation national de travail ha pubblicato sul 3° numero
Maggio ’98 una storia con ampli sstralci dl dibattito del congresso
costitutivo della CGT-U alla Bourse de travaill de Saint-Etienne:
“Saint-Etienne 1922 Besnard contre Monmousseau” di J.Toublet.
[21] Bisogna ricordare che, nonostante ciò, il settore agricolo continuava ad occupare a metà degli anni Trenta ancora 1/3 della popolazione maschile attiva. Cfr. Workers angaist work,M. Seidman, op.cit.
[22]
La produzione industiale tra il ’21 ed il ’29 raddoppiò
[23]
Nel ’34 la maggioranza degli 88.000 addetti del settore lavoravano in
industrie con oltre 2.000 lavoratori.
[24]
Negli anni trenta il sistema stradale godrà di 650.000 KM di rete, mentre
quello ferroviario si estenderà per 65.000 KM.
[25] L’elite capitalista <<considerava il taylorismo e le altre forme di organizzazione scientifica del lavoro in continuità con il tradizionale produttivismo sansimoniano.>> Cfr. Workers angaist work, M. Seidman, op.cit.
[26]
S. Weil, La condizione operaia, SE, Milano, 1994
[27]
Arrestato con l’accusa di aver truffato due agenti di cambio per sette
milioni di Franchi, venne incarcerato nella prigione della santé, in cui
rimase per 18 mesi . Rilasciato nel ’27, rimase in libertà provvisoria in
attesa del processo. Il processo venne rinviato
diciannove volte in sette anni e nel frattempo
Stavinsky ritornò alle sue precedenti attavità malavitose
continuando ad arricchirsi. Cfr. La caduta della Francia, William L. Shirer,
Giulio Enaudi editore, Torino, 1971
[28]
<<La vigilia di Natale del 1933 uno dei suoi compicli
nell’amministrazione della città confessò che erano state messe in
circolazione polizze per un valore di 239 milioni di Franchi attraverso la
falsificazione di bilanci o con la copertura dei gioielli falsi o rubati da
Stavisky. L’uomo fu arrestato e furono arrestati insieme numerosi altri
complici anche il sindaco di Bayonne Albert Dubarry e un altro deputato
radicale, Camille Aymard, editori dei due giornali di Parigi finanziati da
Stavinsky>>. Ibidem.
[29]In
seguito , l’assasinio di Albert Prince, un alto funzionario che si
occupava del caso Stavisky prolungò ulteriormente
l’affaire. <<Era
largamente diffusa l’opinione che Prince fosse stato ucciso, e che gli
fosserro stati sottratti documenti importanti, per impedire rivelazioni sui
fatti che avrebbero incriminato
grossi personaggi politici>>. Le commissioni speciali istituite da
Doumergue seppure “scoprirono” vari
casi di corruzzione che coinvolsero anche alcuni deputati politici e
parte della stampa, <<lasciarono fuori le figure importanti contro cui
si erano mosse le accuse>> senza far perciò scemare la fiducia nella
classe politica francese ed i dubbi sulla sua “moralità”.Cfr.Storia del
pensiero socialista,1931-1939 vol..V, G.D.H. Cole, Editori Laterza, Bari,
1973
[30]
<<E sotto il segno di imponenti manifestazioni di massa che il
proletariato francese si dissolve in seno al regime capitalista. Malgrdo le
migliaia e migliaia di operai che sfilano per le strade di Parigi, si può
affermare che sia in Francia che in Germania non esiste più una classe
proletaria in lotta per i suoi propi obbiettivi storici. A questo proposito
il 14 Luglio segna un momento decisivo nel processo di disgregazione del
proletariato e nella ricostruzione della sacra unità della nazione
capitalistica. Fu veramente una festa nazionale, una riconciliazione
ufficiale delle classi antagoniste, degli sfruttatori e degli sfruttati; fu
il trionfo del republicanesimo integrale che la borghesia lungi
dall’intralciare con dei servizi d’ordine vessatori lasciò svolgersi in
apoteosi. Gli operai hanno dunque tollerato la bandiera tricolore del loro
imperialismo, cantato la “Marsigliese” e anche applauditoi Daladier, Cot
e gli altri ministri capitalisti che con Blum, Cachin hanno solennemente
giurato di<<dare il pane ai lavoratori, del lavoro alla gioventù e la
pace al mondo>>, o, in altri termini, del piombo, delle caserme e la
guerra imperialista per tutti>>.”Sous le signe du 14 Juliet, Bilan,
n° 21, luglio-agosto in La sinistra comunista italiana 1927-1952, corrente
comunista internazionale,1984, Napoli.
[31]
Cfr.”Patto d’unità d’azione” ,
in Antologia del
pensiero socialista, socialismo e fascismo, tomo secondo, op.cit.
[32]Maurice
Thoerez , leader del PCF rispose alle accuse mosse al suo partito dalla SFIO,
che aveva giudicato il programma del PCF <<troppo moderato>> e
che aveva <<trovato che non era sufficiente rivendicare il prelievo
sul capitale>> proponendo anche la socializzazione delle banche e
delle grandi industrie>>, interpretando suddetta politica come un
tentativo della SFIO di <<darsi un
andamento più sinistro >> rispetto al PCF.(cfr. la rezione di
M.Thoerez al dibattito sul rapporto presentato al VIIimo
congresso dell’IC da Georgij Dimitrov
“offensiva del fascismo e i compiti dell’IC nella lotta per
l’unità della classe operaia contro il fascismo” in
De Felice, Fascismo,democrazia, fronte popolare, Bari, 1974) La
battaglia combattuta dal gotha
comunista contro i gauchistes a
forza di epurazioni e “scomuniche” e l’atteggiamento intransigente
rispetto all’ <<estremismo>> (all’interno cosi come
all’esterno del partito) ed al <<settarismo>> costitusce uno
dei leitmotiv della vita politica del PCF. Attaccando << i parolai
della sedicente sinistra rivoluzionaria del Partito socialista>> e
ricordando la condanna della pratica settaria M.Thorez ribadì che
<< i ciarlatani <<gauchistes>> non sanno che i bolscevichi
, guidati da Lenin, condussero la classe operaia al potere scrivendo sulla
loro bandiera, come prima parola d’ordine. Pane>>(cfr.”l’ unione
della nazione francese”M.Thoerez , 22 gennaio ‘36 nel rapporto al
congresso del PCF a Villeurbanne in Antologia
del pensiero socialista, socialismo e fascismo
tomo secondo, a cura di Alfredo Salsano, Laterza, Bari, 1983).Inoltre
ribadì dopo lo scoppio degli scioperi del maggio ‘36 che<<I
militanti del partito devono essere in grado di reagire contro le tendenze
estremistiche nel movimento. La
lotta sui due fronti , non è soltanto una lotta interna, dev’ essere, e
spesso, una lotta che investe tutta la politica del partito, là dove si
esprime una tendenza estremistica.>>(cfr. “La lotta per il pane”
,M. Thorez , in <<L’Humanité>>13 giugno ’36 in Antologia
del pensiero socialista, socialismo e fascismo tomo secondo, op. cit. )
[33]
Il Patto d’Unità e d’ Azione tra SFIO e PCF del Luglio ‘34 avrà in
fatti come primo punto e priorità riconosciuta la mobilitazione di
<<tutta la popolazione lavoratrice contro le organizzazioni fasciste,
per il loro disarmo e scioglimento>>
[34]Lo
Stalinismo, A. Peragalli,Graphos
[35]
Ascesa al potere di Hitler ed il conseguente inasprirsi dello spirito
revanscistico tedesco ed il febbrile riarmamento intrapreso dallo stato
tedesco spinse la Francia a rafforzare il suo sistema di alleanze ,
includendovi la Russia sovietica, (l’unico paese che ad Oriente disponeva
della potenza militare ed economica per frenare la Germania) e coinvolgendo
l’Italia in un fronte antitedesco(o quanto meno spingerla in una
posizione di neutralità).Inoltre riorganizzare e rafforzare l’esercito
francese diventò un obbiettivo prioritario. Infatti l’esercito francese
nel 1934 <<era in grado di mobilitare solo sessanta divisioni,
pari a due terzi degli uomini disponibili nel 1914, e rinunciare alla
strategia difensiva che si
compendia va nella linea Maginot, ricostruendo un esercito in grado di
assumere l’offensiva contro la Germania nel caso questa avesse attacato a
oriente od a occidente.>>Cfr. La caduta della Francia, Wiliam L.
Shirer, op.cit.
[36]
Bisogna ricordare che il 6 febbraio L’ARAC <<su ordine del partito
comunista, mescolava i suoi gruppi con quelli dei vecchi combattenti e dei
fascisti a Place de la Concorde>>(P.Monatte) al grido di
<<Daladier in galera!>>
[37]L’ARAC(Association
Republicain des Anciens Combattents)fondata da Henri Barbusse nel 1917
,secondo cui il cameratismo del periodo bellico era il modello della sua
società comunista, era caratterizzata da un’ostilità aperta verso i
<<parassiti della politica>>, dal mito della missione
civilizzatrice francese, restava convinto della risolutività dello sciopero
generale e si faceva portatrice di un patriottismo esplicito quanto ambiguo
esemplificato dal motto <<guerra alla guerra>>. La si può
considerare espressione di quell’ esprit
combattent republicano e socialisteggiante e di quel <<nuovo mondo del mito delle trincee>>(Paul Fussel) che la Grande
Guerra aveva creato.(cfr. George L. Mosse
La sinistra europea e l’esperienza della guerra (Germania e
Francia) in Rivoluzione e Reazione in Europa 1917/24 convegno storico
internazionale Perugia 1978 ,Mondo Operaio,ed. Avanti!
[38]
Cfr. Tra gli altri la dichiarazione di Jacques Duclos a nome del PCF della
manifestazione del 14 Luglio 1935;Per l’unione del popolo francese di
M.Thorez in Antologia del
pensiero socialista , op.cit.ed il contributo di M.Thorez al dibattito sul
rapporto Dimitrov. Al lettore Itaaliano non può sfuggire la familiare
immediata analogia ed il confronto con uno dei più significativi articoli
della pubblicistica PCI-ista di quegl’anni, ovvero l’”Appello ai
Fascisti” di P.Togliatti,
apparso nella rivista “Lo Stato Operaio” nell’ Agosto 1936 del tutto
affine/identico ai discorsi del gotha del PCF. Questo capolavoro
sciovinistico-populista del
compagno Ercoli e di molti altri sinistri gerarchi e bonzi
<<Per la salvezza dell’Italia>>,
<<per la difesa dell’avvenire della nostra gioventù, per la
pace, per la libertà>> e per altri nobili propositi di pacificazione
ed unità si richiama
esplicitamente al programma fascista del ’19(<<I comunisti fanno
proprio il programma fascista del 1919>>) invita all’unità
d’azione, al fronte unico con
i fascisti affinchè <<sia assicurato il pane ed il lavoro>>.
Cfr.Collana storica 1, Enrico Voccia, L’”Appello
ai Fascisti” di Palmiro Togliatti, Edizione
Artigiane 1988 Napoli
[39]<<Avrà
fatto più la Russia per uccidere l’idea di rivoluzione proletaria, dello
stato proletario, che una feroce repressione del capitalismo>>”De la
Commune de Paris à la Commune russe”, “Bilan”,n°17, aprile 1937 in
la sinistra comunista italiana 1927-1952,CCI,op.cit. Per
un’approfondimento del dibattito sulla natura e le interpretazioni dello
stato sovietico nell’ultra-gauche in
Francia cfr. Simone Weil e lo stalinismo (1932-1933),
Arturo Peragalli, in QUADERNI del Centro Studi Pietro Tresso serie:
STUDI E RICERCHE, n.37(novembre 1995)
[40]
Cfr. “Piano della CGT e Programma del fronte popolare”, ibidem
[41]
Cfr. “Il Piano e le classi medie”, J.Laurat, in Crise et Plan, ibidem.
Serie di studi in cui appare l’anatomia della società francese,
l’analisi delle nuove classi medie e la proposta dell’ <<azione
comune del proletariato e delle classi medie>>:<<il capitale
monopolista e finanziario opprime e spoglia le classi medie allo stesso
titolo, benché in altro modo, che il proletariato, e la liquidazione della
crisi, alla quale le classi medie sono interessate quanto il proletariato,
esige l’applicazione delle misure contenute nel Piano>>
[42]
Non coprendo la disoccupazione e comprendendo un tasso minimo per le
pensioni estremamente basso, le assicurazioni sociali promulgate attraverso
una legge dell’ aprile del 1930 costituiscorono una delle prime conquiste
sul piano giuridico della CGT. L’Iter per questa legge sulla
previdenza sociale , messa a regime come obbligatoria e comportante un
versamento operaio, durò un decennio: richiesta già nel ’18,presentata
attraverso un progetto legislativo nel ’21, incontrerà le ostilità del
padronato, dei rappresentanti del corpo medico. In seguito, due anni più
tardi , nel ’32, venne approvata una legge che prevedeva l’integrazione
del salario familiare attraverso assegni familiari emanati dallo stato.
[43]
Leon Jouhaux, definendo la nuova linea della CGT al Comitato Confedrale
Nazionale del ’18, aveva affermato che era necessario <<rinunciare
alla politica del pugno teso per adottare una politica di presenza negli
affari della nazione... Vogliamo essere ovunque siano in discussione gli interessi degli operai>>
[44]
La courant planiste dans le mouvement ouvrier francais (1933-1936), di
Georges Lefranc, in Le Mouvement Social, Revue de l’Institut francais d’Histoire
sociale, Janvier - Mars 1966
[45]In
Francia, tra il 1929 ed il 1932 la produzione industriale avrà una cadutta
pari al 26,6% mentre il P.I.L. scenderà dell’11%. Successivamente la
“ripresa “ tra il 32\33 ed il 37\38 sarà solo parziale , la produzione
industriale salirà del 20% ed il P.I.L. del 4% ; a
differenza dei maggiori stati europei
che precedentemente alla crisi del 37/38 riusciranno a recuperare e
superare il brusco calo dei livelli di produzione ed i prodotti interni
lordi scesi con la grande crisi.(cfr. L’economia europea dal ‘14 al
1990, Aldcroft, op. cit.)
[46]
Cfr. Henry Rey-Janine Mossuz Lavau, I fronti popolari, Giunti Casterman,
Firenze 1994
[47]
Cfr. la recensione di Léon Blum ou la politique du juste (Colette Audry)
redatta da Danilo Montaldi in
Biisogna sognare scritti
1952-1975 edito per conto dell’Associazione Culturale Centro di Iniziativa
Luca Rossi, Milano
[48]L’arbitrato
del sindaco venne accettato dalla direzione
a causa <<della fermezza
del movimento e della simpatia>> che quest’uomo politico riscontrava
<<nella popolazione di Le Havre>> Cfr: La lotta sindacale, P.
Monatte,op.cit:
[49] Cfr: Workers angaist work, Michael Seideman, op.cit.
[50]
Agli accordi partecipano per la
CGT: Léon Jouhaux, René Belin, B. Franchon, Semat, H. Cordier, Milan e per
la CGPF: Duchemin, Dalbouze, Richemont, Lambert-Ribot. I
rappresentanti padronali erano legati alle industrie più avanzate, mentre i
settori più tradizionali
venivano ad essere sottorappresentati nella delegazione della CGPF
[51]
Biogna ricordare che nel quinquennio che va dal ’30 al ’35 i salari si
erano mediamente abbassati del 15%
[52]
Cfr. Gli accordi di Mantignon, in Antologia
del pensiero socialista, socialismo e fascismo, tomo secondo, op.cit.
[53]
Cfr. “La CGT et le gouvernement Léon Blum” di Bernard Georges in Le
Mouvement Social, Revue trimestrelle de l’Institut francais d’Histoire
social, Janvier - Mars 1966
[54]
5000 contratti saranno emanati nei quindici mesi sucessivi al varo della
nuova legge, contro i 131 contratti stipulati tra il 1932 ed il 1936
[55]
Wiliam I. Shiree, La caduta della Francia, op. cit.
[56] Cfr.Workers against work, Micheal Seidman,op.cit.
[57]
All’atelier 59 della Renault alcuni lavoratori attessero all’uscita un
lavoratore insignito di una medaglia che lo riconosceva
essere tra i migliori operai francesi. Venne seguito fino alla sua
abitazione a Billancourt da trecento <<agitatori che lo coprirono
dalla testa ai piedi di sputi>>finché la polizia non disperse la
folla a place Semblat.Cfr.Workers angaist work, Michael Seidman, op.cit.
[58]
Il problema del controllo degli operai e dei delegati emerge sia a livello
sindacale(CGT) che a livello politico (PCF). In particolare il
“dispotismo” dei delegati che
eletti per un anno <<usurpano di fatto le funzioni propie del
sindacato>> e che <<arrivano con la massima naturalezza a
dominare gli operai>> sembra essere più una preoccupazione della CGT
per la sua perdita di potere rispetto agli operai più attiviti che una
questione di “democrazia sindacale”.Secondo Simone Weil , incaricata
alla fine del dicembre ’36 dalla CGT di condurre una inchiesta nelle
fabbriche del nord investite da una nuova ondata di scioperi, i delegati
avevano <<la possibilità di esercitare sugli operai , iscritti o no
ai sindacati, una pressione notevole e sono loro a determinare in realtà
l’azione sindacale, perche possono a volontà provocare urti,
conflitti, sospensioni del lavoro e quasi scioperi>>. Il
commissariamento e un controllo sindacale più rigido sull’azioni autonome
dei lavoratori diverrà pratica quotidiana.
[59]
Simon Weil considerando alcuni
degli aspetti negativi succesivi al movimento del ’36 sosterrà che<<
a causa del del rilassamento della disciplina, ha potuto svilupparsi in
taluni la mentalità dell’operaio che ha trovato una sistemazione
tranquilla. E- cosa che dal punto di vista sindacalista è più grave della
diminuizione della cadenza - si è avuto
incontestabilmente, in talune fabbriche, uno scadimento della qualità del
lavoro perché controllori e verificatori, non subendo più nel medesimo
grado la pressione padronale e divenuta sensibile a quella dei loro compagni
di lavoro, sono diventati di manica larga per i pezzi sbagliati. Quanto alla
disciplina, gli operai si sono sentiti capaci di disobbedire ed ogni tanto
ne hanno aprofittato>>. Cfr. “Osservazioni sugli insegnamenti da
trarre dai conflitti del nord”(inizio 1937) in La condizione operaia,
Simone Weil, edizioni SE, 1994, Milano
[60] Cfr.Workers angaist work, Micheal Seidman
[61]
Cfr. “Theses sur la situation en France” in “Octobre. Organe mensuel
du bureau internatinal des fractions de la gauche communiste” Bruxelles, n°4,
maggio 1938 in Antologia del pensiero socialista, socialismo e fascismo,
tomo terzo. Secondo le Theses,
<<il significato reale della <<cambiale dell’avvenire>>
lanciata dal fronte popolare>>era quello di <<spezzare le basi
internazionaliste della lotta proletaria e di mobilitare le masse per la
guerra imperialistica>>.<<Attingendo dai milardi di plus-valore
accumulati dalle banche, mentre i capitali se ne vanno all’estero per
profittare di condizioni più favorevoli e torneranno in Francia solo quando
l’indebolimento della classe operaia farà intravedere la possibilità di
passare all’attacco delle conquiste del maggio ‘36>>
[62]
Per un’analisi puntuale della politica economica delle componenti di
sinistra del FP rimando a “Les possibilites d’action economique du Front
Populaire” Philippe Riviale in “La légende de la gauche au pouvoir, le
front populaire” di Ph. Riviale, J.Barrot, A. Borczuc, Ed. Te
te de Feuilles, 1973, Paris
[63]
“Bordiga e la questione contadina”, Loren Goldner, in “Plus-valore”
n.11
[64]
“Lo stato autoritario”, Max Horkeimer in “Marxiana , Critica della politica e
dell’economia politica” n.1