La
controrivoluzione antifascista
«L’antifascismo
è il peggior prodotto del fascismo» (Amadeo Bordiga)
1
Tra il 1917 e il 1923 il proletariato rivoluzionario tentò di realizzare
nuovamente e per l’ultima volta il suo progetto storico di dittatura di classe
sulla società per una trasformazione socialista e quindi comunista (transizione
anti-mercantile al comunismo attraverso il socialismo inferiore) del modo di
produzione e di vita. Questo movimento su scala europea, e in prospettiva
mondiale, indebolito all’interno dall’ideologia gestionaria, se riuscì
inizialmente ad affermarsi in Russia, rovesciando l’autocrazia zarista, venne
represso in modo implacabile dagli altri Stati, tutti capitalistici,
borghesi e democratici. In Germania e in Italia, il tentativo rivoluzionario
fu stroncato in prima persona rispettivamente dal governo operaio
socialdemocratico di Ebert-Scheidemann, e da quello illuminato e liberale di
Giovanni Giolitti, con la collaborazione attiva in entrambi i casi delle grandi
centrali sindacali.
2
Con l’enorme slancio produttivo ricevuto dalla Prima Guerra mondiale, la
società capitalistica si avviava a sostituire in maniera definitiva i propri
presupposti (verso la realizzazione del dominio reale del capitale: passaggio
dal plusvalore assoluto al plusvalore relativo; trasformazione della legge del
valore nella legge dei prezzi di produzione; concentrazione e centralizzazione
dei capitali e delle aziende; sviluppo del capitale monetario finanziario e
fittizio e generalizzazione del sistema del credito; scomparsa del
borghese-capitalista in quanto personaggio storico, sostituito dal
funzionario-capitalista; mistificazione del proletariato nelle classi medie;
distruzione delle antiche classi medie e produzione delle nuove; formazione
della comunità materiale; definitiva conquista dello Stato da parte del
capitale e sua metamorfosi da semplice «comitato d’affari della classe
dominante» a impresa capitalistica, funzionario di enormi monopoli ed esso
stesso monopolio-racket; statalizzazione dei sindacati, che si trasformano in
apparati polizieschi di controllo sul lavoro e di gestione dell’economia;
predominio del lavoro morto sul lavoro vivo in tutti gli aspetti della «vita»
associata e all’interno dell’individuo stesso; «antropomorfosi» del
capitale (1).
3
A questo punto, la prima forma di democrazia rappresentativa, modo specifico di
gestione nel periodo di dominio formale, e la sua politica, che mediava il
conflitto costitutivo della società borghese tra interessi individuali e
interessi generali, diventano inadeguate. Ora è il capitale stesso che
direttamente unifica gli uomini per sottoporli al suo dominio; la politica, da
suo strumento per affermarsi contro il
modo di produzione precedente (e proprio in questa lotta, era ancora possibile,
nel quadro della democrazia, un qualche intervento autonomo
della classe oppressa), diviene suo prodotto
immediato per la mistificazione e l’oppressione diretta.
La
comunità popolare (Gemeinshaft)
nazi-fascista, orrendo sostituto della Gemeinwesen,
realizzò, attraverso il corporativismo e l’apologia del lavoro, in quanto
accessorio del capitale (unità armonica capitale-lavoro), la mistificazione
democratica (democrazia = potere del popolo)
(2).
Se
nel fascismo il principio democratico sembra annullarsi, è perché in realtà
esso si invera.
4
«[Il fascismo] non è altro che la generalizzazione del dispotismo di fabbrica
all’intera società capitalista. Le vere unità riconosciute come operanti non
sono più gli individui, ma le imprese, con la loro dualità democratica
padroni-operai, o capitale-lavoro. Con ciò stesso, il capitale vuol mettere in
rilievo un aspetto di cooperazione al fine di negare la lotta delle classi. In
fondo il fascismo può essere definito come una forma politica che gestisce una
società e tende a negare il comunismo nel momento stesso in cui lo genera. Si
tratta del potere politico del capitale. In questo senso, il fascismo non
distrugge il dualismo; ma al contrario lo materializza e lo costituisce. Non è
– come si vorrebbe – la distruzione della democrazia, ma piuttosto il suo
affinamento in forma di democrazia sociale. Infine, è il mezzo atto a
conciliare l’antagonismo tra capitale sociale e capitale particolare»
(3).
Fascismo,
nazismo, stalinismo, Fronti Popolari e New Deal organizzano, a diversi livelli,
la fase centrale del passaggio, nell’area euro-nord-americana, dal dominio
formale al dominio reale del capitale.
«È
attraverso il fascismo che il capitale ha realizzato il proprio accesso al
dominio reale, in cui esso domina il suo aspetto lavoro. Il fascismo fu il
movimento necessario al capitale per distruggere la forza del proletariato in
quanto negazione del capitale e far trionfare il proletariato come essere di cui
il capitale ha bisogno per realizzare il suo progetto vitale: di qui
l’esaltazione del proletariato e la glorificazione del lavoro da parte dei
fascisti («Il lavoro rende liberi», era scritto all’ingresso di Auschwitz).
Ecco perché il linguaggio fascista si è generalizzato; sebbene il fascismo sia
ormai un fatto del passato. [Il fascismo] si presentò come l’artefice,
l’operatore, di una trasformazione sociale che doveva condurre l’umanità al
di là del capitalismo; così pure esso si levò (per lo meno ai suoi inizi [Sansepolcristi
e sa] contro il capitalismo come fenomeno mondiale [la lotta
alle potenze plutocratiche]» (4). Di
fatto, rese possibile la perfetta realizzazione del dominio reale del capitale e
fu uno degli elementi essenziali della sua generalizzazione a livello mondiale.
5
Il fascismo, sintesi arcaico-avveniristica dell’«irrazionale» accumulato e
compresso nella storia e dell’inesorabile «ratio» totalitaria della moderna
macchina produttiva (5), può
e deve realizzare la mistificazione democratica e la «comunità del lavoro»
là dove la negatività operaia era
andata vicina alla propria affermazione (Italia
e Germania): contro la democrazia e il
lavoro salariato, per la vera comunità
umana. In ciò esso fu un movimento controrivoluzionario,
e annientò, col massiccio e incondizionato appoggio degli apparati statali democratici,
l’autentica resistenza del
proletariato, riuscendo a distruggere – per un arco storico che va ben oltre
il quadro angusto del regime – le potenzialità
di superamento antiborghese proprie del movimento operaio tradizionale. Le
«organizzazioni storiche» di quest’ultimo furono all’altezza dei tempi:
mentre in Italia il «patto di pacificazione» stabilito dai «socialisti» non
bastava a impedire un’accanita autodifesa, per alcuni anni, del proletariato,
in Germania invece, nella ben diversa atmosfera degli anni Trenta, l’opera
ancor più micidiale dello stalinismo avrebbe consegnato la vittoria ai nazisti
quasi senza colpo ferire (6).
6
Il potere al fascismo implicava però l’assorbimento totalitario di tutte le
rappresentazioni politiche nello specchio deformante dello Stato del capitale,
ed escluse quindi i politicanti borghesi, liberali cattolici e
socialdemocratici. Dopo il conflitto del ’39-’45, l’araba fenice della «nuova
democrazia» saprà a sua volta far proprie le tecniche dell’organizzazione,
propaganda e pubblicità fasciste dello spettacolo sociale e politico, ma alla
fragile rigidità dell’unico specchio (o con me o contro di me), riuscirà a
sostituire un «libero» sistema labirintico di identificazioni prestabilite (o
con me o «contro di me», ma sempre con
me).
7
L’affermarsi, all’interno, del fascismo, portò con sé all’esterno, nella
crisi socio-economica mondiale, la realizzazione delle necessità
espansionistiche dei capitalismi soffocati dalla «pace» di Versailles
(Germania, Italia, Giappone), e cioè la guerra alle democrazie occidentali. Nel
quadro generale ormai controrivoluzionario, la guerra (genocidio il cui «senso»
è racchiuso nella repressione di Varsavia, condotta insieme da nazisti e
stalinisti) non poteva costituire l’occasione per rompere, com’era avvenuto
vent’anni prima, l’incatenamento dei lavoratori. L’opera dello stalinismo
– dopo il banco di prova spagnolo – trionfava. La classe operaia si schierò
dalla parte dello «Stato socialista», in lotta a fianco dei due più mostruosi
colossi capitalistici, Gran Bretagna e America (l’asse Mosca-Washington
eredita la funzione storica della Santa Alleanza ottocentesca Londra-Pietroburgo).
8
In tutta Europa le organizzazioni «socialiste» e «comuniste» si impegnarono
poi fino in fondo nella guerriglia partigiana (dopo averla iniziata solo al
seguito dell’aggressione statunitense), sacrificando le forze del proletariato
nella «Liberazione» del territorio nazionale, in stretto collegamento con la
propria borghesia «progressista» e con gli eserciti alleati (metodo di lotta
condannato fin dal 1848 da Marx, secondo cui i proletari rivoluzionari non hanno patria e sanno di lottare, soli, contro il capitalismo
della propria nazione, senza sperare o richiedere l’aiuto di altri Stati). La
«Resistenza» che aveva visto nel fascismo, seguendo Gramsci, non il fenomeno
storico mondiale d’avanguardia, ma
la riscossa della piccola borghesia e dei «baroni agrari» – espressione
dell’«arretratezza» italiana e del suo «insufficiente» sviluppo
capitalistico –, identificò la propria lotta con un nuovo Risorgimento –
come se l’Italia, sede di un antichissimo capitalismo commerciale e anche
manifatturiero, non avesse compiuto la propria rivoluzione democratico-borghese
già da ottant’anni – e «raccolse» a tutto pro’ dei padroni nazionali e
degli invasori anglo-americani, il «tricolore lasciato cadere nel fango
dalla borghesia» (Togliatti). Il 25 aprile gli operai salvarono le fabbriche
dal sabotaggio dei nazisti per consegnarle agli sfruttatori di sempre.
L’insurrezione armata finì nella «caccia all’uomo» – al contempo, in
Francia, la parola d’ordine dei «comunisti» era: «A chacun son boche»
(7) –, il cui simbolo «festoso» fu la macabra messa in scena
conclusiva di piazzale Loreto. Insieme si compì il massacro delle opposizioni
allo stalinismo non integrabili nell’«ordine nuovo». Caddero così sotto le
calunnie e il piombo dei partigiani democratici «le quinte colonne di Hitler»
(8), cioè quei pochi
internazionalisti e quei pochissimi anarchici che avevano avuto il disperato
coraggio di opporsi alle ss al di
fuori del cln e contro i convertiti
dell’ultima ora, e poi di sabotare e
denunciare apertamente l’avvento
della Repubblica della sua Costituzione e delle sue Camere come il ritorno sotto
altra forma del dominio precedente, mascherato di qualche illusoria libertà.
9
Dopo la crisi, e nella continuità reale
di regime, la mistificazione e sconfitta del proletariato avvenuta in modo
completo, le forme di terrore scoperto
proprie del fascismo vengono dislocate nel museo degli orrori del capitale,
sempre adatte, all’occorrenza, a tornare operanti.
Alla
temperie tragica del nazifascismo può succedere la farsa «permissiva» della
democrazia cristiana e socialista.
La
Repubblica «nata dalla Resistenza» cercò infine di portare a compimento il
contenuto del programma socioeconomico fascista, ma rivestendolo di un involucro
politico-spettacolare ancora più complesso e perfezionato. Oggi più di ieri il
connubio operai-capitale si realizza attraverso il sindacato, la cogestione e
l’apologia controrivoluzionaria del lavoro.
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Nella presente atmosfera cupa si apprestano nell’ombra le bande degli
sfondatori di teste. Fascisti e «antifascisti» raffinano le spranghe.
All’aperto, crepita la grancassa dei vecchi e nuovi partigiani: «W la
Resistenza, W l’Unità Nazionale, W Garibaldi, De Gasperi e Togliatti!»; «W
Badoglio e il coraggioso Emanuele!», urla stralunato Sogno; «W don Minzoni!»,
tuona la vipera Fanfani; «Secchia, Secchia!», ringhiano ottusi Capanna e
Corvisieri; «Curiel, Curiel!», ribatte Berlinguer. Persino Almirante, il
fucilatore, arringando nuovi plotoni, sentenzia che: «La Liberazione è
patrimonio della coscienza democratica di tutti i veri Italiani». C’è una
disputa accanita sui colori: chi giura sui martiri capitalizzati che ve n’era
uno di fondamentale; il rosso; chi, più «lucido», spergiura, anche sulle
tombe di famiglia, che i colori erano e sono
tre, senza possibilità di sottrazione: il bianco, il rosso e il verde.
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Alla turpe «credibilità» dei mediocri attori, nella
maggior parte ex fascisti essi stessi, attualmente (o fra non molto) al
potere, fa da supporto la liturgia mortifera degli acefali spaccateste «neo-partigiani».
Il vero nemico sarebbero dunque i
guastatori del msi e dei suoi
gruppuscoli, o i rottami del naufragio democristiano, e
non la reale dittatura anonima del
capitale e del suo Stato, non i sindacati e tutti i partiti, guardiani del lager
sociale, non l’interiorizzazione degli imperativi dell’economia politica,
non la struttura carceraria della vita quotidiana. La ripetizione in chiave se
possibile peggiorata della tragedia dei loro «eroi», la «guerra per bande»,
mentre all’orizzonte si profila inequivocabile la crisi definitiva del
sistema, realizza l’attuale progetto capitalistico della guerra civile in vitro (9)
(cfr. Irlanda del Nord), pilotata dalla classe dominante e da tutti i suoi falsi
oppositori «di sinistra» e «di destra» per deviare su obiettivi illusori
la rabbia proletaria, recuperandone il potere di negazione, con lo scopo di
prevenire e arginare la vera guerra,
finalmente possibile e sempre più necessaria,
dopo il risveglio gioioso del Maggio
francese. Tutti i contro-poliziotti, torvi segugi e persecutori allucinati delle
varie «trame», combattono l’«eversione fascista» per stroncare sul nascere l’eversione rivoluzionaria.
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«È ancora necessario dilungarsi in commenti sull’abbandono, da parte di
tutte le varianti del marxismo attuale, del progetto di Marx? In urss,
in Cina, a Cuba, cosa c’è di comune con la costruzione dell’uomo totale?
Poiché la miseria in cui si alimentava la volontà rivoluzionaria di un
superamento e di un cambiamento reale si è attenuata, una nuova miseria è
arrivata, fatta di rinunce e di compromissioni. Abbandono della miseria e
miseria dell’abbandono. Non è forse il sentimento di aver lasciato che il suo
progetto si frammentasse e si realizzasse a brani che giustifica il motto arguto
di disinganno di Marx: “Io non sono marxista”?
Perfino
il fascismo immondo è una volontà di vivere negata, ritorta, come la carne di
una unghia incarnata, una volontà di vivere divenuta volontà di potenza, una
volontà di potenza divenuta volontà di obbedienza passiva, una volontà di
obbedienza passiva divenuta volontà di morte. Perché cedere di un pollice sul
qualitativo è cedere sulla totalità di esso. Bruciare il fascismo e sia, ma
che la stessa fiamma dia fuoco alle ideologie senza eccezione e ai loro valletti»
(10).
Note
1 Cfr. Jacques Camatte, Il capitolo VI inedito del Capitale e l’opera economica di Karl Marx, Edizioni International, Savona, 1972.
2 Cfr. György Lukács – Amadeo Bordiga – Jacques Camatte, La mistificazione democratica, Edizioni La vecchia Talpa, Napoli, 1974.
3 Jacques Camatte, Il capitolo VI inedito del Capitale e l’opera economica di Karl Marx, cit., p. 178.
4 Ibidem, continuazione della nota a p. 154.
5 Cfr. Wilhelm Reich, Psicologia di massa del fascismo, Mondadori, Milano 1974, e parallelamente le analisi della Scuola di Francoforte e della Sinistra comunista d’Italia.
6
In realtà, in Germania, dopo gli anni rivoluzionari (1918-’23), continuò
fino all’avvento del Terzo Reich a manifestarsi una capillare insubordinazione
contro l’ordine capitalistico, ma l’opera congiunta di socialdemocrazia,
stalinismo e nazismo (le repressioni parallele di Mussolini impallidiscono di
fronte all’implacabile e metodica eliminazione fisica di qualunque avversario
politico di sinistra, da parte di Hitler: circa un milione di morti) rese
impossibili, alla presa del potere (1933), episodi di resistenza proletaria
aperta, di massa e organizzata, come invece era avvenuto in Italia. Vedi a
questo proposito: Appello contro la
reazione fascista, Appello ai
lavoratori organizzati nei sindacati per l’unità proletaria, Appello alle
confederazioni sindacali per la difesa e la risposta proletaria contro
l’offensiva borghese e Direttive e norme per l’azione sindacale, in Manifesti
ed altri documenti politici; Libreria editrice del P.C. d’Italia, Roma,
1921, Reprint Feltrinelli, pp. 33-6; Il
fronte unico, «Il comunista», 28
ottobre 1921; discorso di Bordiga sul fronte unico, «Rassegna Comunista», anno
II, n. 30-31, 31 ottobre 1922; seconda e terza parte del rapporto del P.C.
d’Italia al Komintern, «Lo Stato operaio», anno ii,
n. 6, 6 marzo 1924; La riunione del
Comitato Allargato del giugno 1922, «Lo Stato operaio», anno ii,
n. 6, 6 marzo 1924; Risoluzione
confidenziale – redatta da Zinov’ev, «Lo Stato operaio», anno ii,
n. 7, 13 marzo 1924; Amadeo Bordiga, Dalla
Comune alla Terza Internazionale, «l’Unità», n. 24, 9 marzo 1924; Schema di tesi sull’orientamento e il compito del Partito Comunista
d’Italia presentato dalla Sinistra del Partito alla Conferenza Nazionale, «Lo
Stato operaio», n. 16, 16 maggio 1924; Bordiga Il pericolo opportunista e l’Internazionale, «l’Unità»,
30-9-1925; Le Parti Communiste d’Italie
face a l’offensive fasciste (1921-1924), «Programme Communiste»,
juillet-septembre 1969, n. 45; ibid.,
octobre-decembre 1969, n. 46; ibid.,
janvier-mars 1970, n. 47; ibid.,
avril-septembre 1970, n. double 48-49, ibid.,
octobre 1970 – mars 1971, n. 50; Communisme
et fascisme (serie: “Les textes du Parti Communiste International”, n.
1), Editions Programme Communiste, Parigi 1970; In
difesa della continuità del programma comunista (serie “I testi del
partito comunista internazionale”, n. 2), Edizioni «Il Programma comunista»,
Milano 1970, Partito e classe (idem,
n. 4), id. 1972, Introduction – (A
propos des deformations de l’historiografie «de gauche»), «Programme
Communiste», 19e année, julliet-aôut-septembre
1975, n. 67, pp. 33-54.
Di contro per una critica rivoluzionaria di Bordiga e degli Internazionalisti, v. La Gauche Communiste d’Italie et le Parti Communiste International, «Invariance», n. 9, année iii, decembre 1970, pp. 148-53 (trad. italiana in opuscolo ciclostilato, Genova 1971); Le fil du temps, «Invariance», n. 10, année IV, avril 1971, pp. 41-4; Bordiga e la passione del comunismo, introduzione (pp. 3-32) ad Amadeo Bordiga, Testi sul comunismo, La Vecchia Talpa – Edizioni Crimi, Napoli-Firenze, 1972; J. Camatte, Affirmation et citation, «Invariance», année VI, serie ii, n. 3, IV trimestre 1973, pp. 114-21; Camatte, Post-face janvier 1974: du parti-communauté, Jaca Book, Milano 1975; introd. di Camatte ad Amadeo Bordiga, Structure économique et sociale de la Russie d’aujourd’hui, Ed. de l’Oubli, Parigi 1975; Dialogue avec Bordiga, «Invariance», n. special, novembre 1975; introduzione di Camatte a Bordiga, Russie et révolution dans la théorie marxiste, Spartacus, Paris, 1978.
7 «A ciascuno il suo crucco!».
8 La reale alternativa rivoluzionaria si manifestò allora debolmente (p. es. in lotte chiaramente anticapitaliste oltre che antifasciste come alcuni scioperi nel Nord Italia). A causa dello spietato regime di occupazione nazista, della propaganda e della pratica bassamente nazionaliste dei partigiani mancarono allora in modo totale le condizioni dell’emergere dei contenuti rivoluzionari: disfattismo contro e dentro gli eserciti, fraternizzazione tra soldati nemici e tra soldati e popolazione in rivolta (nella gran parte della Russia occupata dagli Imperi Centrali nel 1917, il partito bolscevico e le altre correnti rivoluzionarie non proclamarono alcuna «resistenza» ma la disfatta dell’esercito russo e la fraternizzazione col «nemico», che infatti riportò in patria la rivoluzione); le uniche eccezioni di cui siamo a conoscenza furono il gruppo Arbeiter und Soldaten sorto in Francia tra le truppe tedesche, e la limitatissima azione del Partito Comunista Internazionalista in Italia.
9
Con relativa produzione del «tipo» sub-umano, carogna neutra automatizzata
adatto a combatterla.
10 Raoul Vaneigem, Saper vivere. Trattato ad uso delle giovani generazioni, seguìto da Terrorismo o rivoluzione e altri scritti, cicl., Genova, maggio 1973.