L’anarchismo
e la rivoluzione spagnola
L’organizzazione
economica della rivoluzione
Anarchism and the Spanish Revolution. The Economic
Organization of the Revolution,
«International Council Correspondence for Theory and Discussion», Chicago,
Vol. 3, n. 5-6, giugno 1937, pp. 1-22, [non firmato (Helmut Wagner) da "RŠte-korrespondenz",
n. 21, aprile 1937].
L’eroica lotta degli operai
spagnoli contro i fascisti è una pietra miliare nello sviluppo del movimento
internazionale di classe del proletariato: ha arrestato il corso finora
ininterrotto del fascismo vittorioso e, nello stesso tempo, ha iniziato un nuovo
periodo di espansione della lotta di classe.
Ma questa non è la sola ragione
della grande importanza che riveste per il proletariato la guerra civile
spagnola. Il suo significato risiede anche nell'avere messo alla prova le teorie
e le tattiche dell'anarchismo e dell'anarco-sindacalismo.
La Spagna è sempre stata
classicamente la terra dell’anarchismo. L’enorme influenza che le dottrine
anarchiche vi hanno acquisito può essere compresa soltanto in relazione alla
particolare struttura di classe del Paese. La teoria proudhoniana degli
artigiani individuali e indipendenti, come l'applicazione fatta da Bakunin di
questa teoria alle fabbriche, hanno trovato un appassionato sostegno tra i
piccoli contadini, gli operai agricoli e quelli industriali. Le dottrine
anarchiche sono state abbracciate da ampie frazioni del proletariato spagnolo e
a questa adesione si deve la sollevazione spontanea degli operai contro
l'insurrezione fascista.
Non vogliamo dire, comunque, che
lo sviluppo della lotta sia stato determinato dall’ideologia anarchica, o che
rifletta l’aspirazione degli anarchici. Al contrario, mostreremo subito che
costoro sono stati costretti a rinunciare a molte delle loro vecchie e consuete
idee e ad accettare in cambio dei compromessi della peggior specie. Analizzando
questo processo, dimostreremo che l'anarchismo è incapace di risolvere i
problemi della lotta di classe rivoluzionaria. Le tattiche da esso impiegate in
Spagna erano inadatte a fronteggiare la situazione, non perché il movimento
fosse troppo debole per ammetterne un’applicazione pratica, ma perché i
metodi anarchici di organizzazione delle differenti fasi della lotta erano in
contraddizione con la realtà oggettiva. Questo livello di sviluppo mostra delle
somiglianze sorprendenti con i bolscevichi russi del 1917. Come questi ultimi
vennero costretti ad abbandonare una dopo l’altra le loro vecchie teorie finché,
in conclusione, dovettero sfruttare gli operai e i contadini secondo i metodi
capitalistico-borghesi, così gli anarchici in Spagna sono ora obbligati ad
accettare misure da loro stessi denunciate in passato come centralistiche e
oppressive. Lo sviluppo della Rivoluzione russa ha dimostrato che le teorie
bolsceviche non erano valide per risolvere i problemi posti dalla lotta di
classe proletaria; egualmente, la guerra civile spagnola rivela l'inadeguatezza
delle dottrine anarchiche.
Ci sembra abbastanza importante
rilevare gli errori commessi dagli anarchici, soprattutto perché la loro
valorosa lotta ha indotto molti operai – che vedevano chiaramente il ruolo di
traditori svolto dai rappresentanti della Seconda e della Terza Internazionale – a credere che, dopo tutto,
essi avessero ragione. Dal nostro punto di vista, ciò è un grosso pericolo,
poichÈ tende ad accrescere la confusione già dilagante nella classe operaia.
Consideriamo sia nostro dovere
dimostrare, a partire dall’esempio spagnolo, che la posizione antimarxista
degli anarchici è sbagliata; al
contrario, è la dottrina anarchica ad avere fallito. Quando si tratta di
comprendere una certa situazione, o di indicare vie e metodi in una data lotta
rivoluzionaria, il marxismo serve ancora da guida ed è in netto contrasto allo
pseudo-marxismo dei partiti della Seconda
e della Terza Internazionale.
La debolezza delle teorie degli
anarchici è stata messa in evidenza dalle loro organizzazioni, anzitutto, sulla
questione del potere politico. Secondo la loro teoria, la vittoria
rivoluzionaria sarebbe assicurata e garantita ponendo il funzionamento delle
fabbriche in mano ai sindacati (unioni). Gli anarchici non hanno mai tentato di
togliere il potere al governo di Fronte Popolare, e nemmeno hanno lavorato in
vista dell'organizzazione di un potere politico dei soviet. Invece di
propagandare la lotta di classe contro la borghesia, hanno predicato l’armonia
tra le classi a tutti i gruppi aderenti al fronte antifascista. Quando la
borghesia ha cominciato a limitare il potere delle organizzazioni operaie, si
sono uniti al nuovo governo, Ð il che costituisce una notevole deviazione dai
loro principì di base. Gli anarchici hanno tentato di spiegare questo gesto con
la scusa che, grazie alla collettivizzazione, il nuovo governo di Fronte
Popolare non avrebbe rappresentato pi, come prima, un potere politico, ma un
mero potere economico Ð giacchÈ i suoi membri sarebbero stati rappresentativi
dei sindacati Ð, al quale, tuttavia, appartengono anche membri dell'Esquerra
piccolo-borghese. Gli anarchici sostengono che, poiché il potere è
nelle fabbriche, e le fabbriche sono controllate dai sindacati, allora il potere
è nelle mani degli operai. Vedremo poi cosa accade realmente.
Mentre gli anarchici
partecipavano al governo, è stato emanato il decreto di scioglimento delle
milizie. L'incorporazione delle milizie, la costituzione di un esercito
regolare, la soppressione del poum
a Madrid, sono stati decretati con la loro approvazione. Gli anarchici hanno
contribuito a organizzare un potere politico borghese ma non hanno fatto niente
per la formazione di un potere politico proletario.
Non è nostra intenzione renderli
responsabili dello sviluppo seguito dalla lotta antifascista e della sua
deviazione in un vicolo cieco borghese. Altri fattori vanno denunciati, in
particolare l'atteggiamento passivo degli operai degli altri Paesi. Ciò che
critichiamo pi severamente è il fatto che gli anarchici hanno smesso di
lavorare a un'autentica rivoluzione proletaria e si sono identificati con
l'attuale sviluppo della lotta. Così hanno offuscato l’antagonismo tra gli
operai e la borghesia, e hanno dato corso a illusioni ch’essi stessi, temiamo,
pagheranno assai duramente.
Le tattiche degli anarchici
spagnoli hanno trovato un certo numero di critici nei gruppi libertari
stranieri; alcuni li accusano persino di tradimento degli ideali anarchici. Ma
siccome questi critici non comprendono la reale situazione che affrontano i loro
compagni spagnoli, le loro critiche restano negative. Ma non poteva andare
altrimenti. Semplicemente, le dottrine anarchiche non possono rispondere alle
questioni sollevate dalla pratica rivoluzionaria. Nessuna partecipazione al
governo, nessuna organizzazione del potere politico, sindacalizzazione della
produzione: questi sono gli slogan anarchici basilari.
Con tali parole d'ordine è
impossibile essere effettivamente in sintonia con gli interessi della
rivoluzione proletaria. Gli anarchici spagnoli sono ricaduti nelle pratiche
borghesi perchè sono stati incapaci di sostituire i propri irrealizzabili
slogan con quelli del proletariato rivoluzionario. Proprio per questa ragione, i
critici e i consiglieri libertari di altri Paesi non possono offrire alcuna
soluzione per tali problemi, risolvibili soltanto sulla base della teoria
marxiana.
La posizione più estrema tra gli
anarchici stranieri è quella degli olandesi (a eccezione degli
anarco-sindacalisti olandesi del nsv
– Netherlands Syndikalist Vuband). Gli «intransigenti» anarchici d’Olanda
rifiutano ogni scontro che impieghi armi militari, poiché una tale lotta
sarebbe in contraddizione con l’ideale e il fine anarchici; negano
l’esistenza delle classi e nello stesso tempo non possono impedirsi di
esprimere la loro simpatia per le masse in lotta contro il fascismo. In realtà,
la loro posizione equivale a un sabotaggio della lotta. Essi denunciano ogni
azione avente lo scopo di aiutare gli operai spagnoli, come ad esempio l’invio
di armi. Il fondo della loro propaganda è questo: fare qualsiasi cosa pur di
evitare l’estensione del conflitto ad altri Paesi europei. Essi raccomandano
la Çresistenza passivaÈ alla Ghandi, la cui filosofia, tradotta nella realtà
oggettiva, significa la resa dei lavoratori indifesi ai carnefici fascisti.
Gli anarchici di opposizione
ritengono che il potere centralizzato nelle mani della dittatura del
proletariato o di uno Stato Maggiore militare, condurrebbe a un'altra forma di
repressione delle masse. In risposta, gli anarchici spagnoli sottolineano di
stare lavorando non per un potere politico, ma al contrario, per favorire la
sindacalizzazione, che escluderebbe lo sfruttamento dei lavoratori; credono sul
serio che le fabbriche siano nelle mani degli operai e che non sia necessario
organizzarle tutte su di una base centralistica e politica. L’attuale
sviluppo, tuttavia, ha già dimostrato che la centralizzazione della produzione
sta prendendo piede e gli anarchici sono costretti ad adattarsi alle nuove
condizioni, anche contro la propria volontà. Ovunque gli operai anarchici non
si curano di organizzare il proprio potere politicamente e in maniera
centralizzata, nelle fabbriche e nelle comuni, se ne fanno carico i
rappresentanti dei partiti capitalistico-borghesi (inclusi il Partito socialista
e quello comunista). Ciò significa che i sindacati, invece di essere
controllati direttamente dagli operai nelle fabbriche, saranno diretti in base a
leggi e decreti emanati dal governo capitalistico-borghese.
II
Da questo punto di vista si pone
la questione seguente: è vero che in Catalogna gli operai detenevano il potere
nelle fabbriche dopo la sindacalizzazione della produzione operata dagli
anarchici? Per rispondere, ci basta citare qualche paragrafo dell’opuscolo Cosa
sono la cnt e la fai?
(pubblicazione ufficiale della cnt-fai).
«La direzione delle imprese
collettivizzate è nelle mani dei Consigli di fabbrica che vengono eletti
nell'assemblea generale di fabbrica. Questi Consigli contano da cinque a
quindici membri. La partecipazione al Consiglio può durare fino a due anni...
«I Consigli di fabbrica sono
responsabili di fronte all’assemblea generale di fabbrica e al Consiglio
della categoria d’industria. La produzione è regolata dal Consiglio di
fabbrica insieme al Consiglio di categoria. Inoltre, essi regolano le
questioni della retribuzione, delle condizioni sanitarie ecc.
«Ogni Consiglio di fabbrica
designa un direttore. Nelle imprese che occupano pi di 500 operai, questa
nomina dev'essere approvata dal Consiglio di categoria. In accordo con
gli operai della fabbrica, ogni impresa delega uno dei membri del Consiglio di
fabbrica al Consiglio economico della Generalitat. I Consigli di
fabbrica riferiscono con regolarità circa i loro lavori e i loro piani tanto
all’assemblea generale che al Consiglio di categoria.
«In caso d’incompatibilità o
di rifiuto nell’applicazione delle decisioni prese, i membri del Consiglio di
fabbrica possono essere destituiti sia dall'assemblea generale sia dal Consiglio
di categoria.
«Se un membro del Consiglio di
fabbrica viene dimissionato dal Consiglio di categoria contro il parere
degli operai, questi hanno diritto di fare ricorso davanti al Consiglio
economico della Generalitat, che decide sentito la relazione del Consiglio
economico generale antifascista...
«Il Consiglio economico
generale delle varie categorie d’industria è composto da 4 rappresentanti
dei Consigli di fabbrica, 8 rappresentanti dei diversi sindacati (secondo le
proporzioni delle differenti tendenze politiche) e 4 tecnici, nominati dal Consiglio
economico generale antifascista. Questo comitato è presieduto da un membro
del Consiglio della Generalitat.
«Il Consiglio economico
generale svolge i seguenti compiti: organizzazione della produzione, calcolo
dei costi, eliminazione della concorrenza tra le imprese, studio della domanda
di prodotti industriali, così come dei mercati interni ed esteri..., aumento
della redditività e consolidamento delle fabbriche, riorganizzazione dei metodi
di produzione, fissazione delle tariffe doganali, edificazione di mercati
centrali, acquisizione degli strumenti di lavoro, delle materie prime e dei
crediti, installazione di laboratori tecnici, elaborazione di statistiche per la
produzione e il consumo, programmazione della sostituzione di materiali
stranieri con prodotti spagnoli ecc.»
Non c’è bisogno di
scervellarsi per rendersi conto che queste proposte pongono tutte le funzioni
economiche nelle mani del Consiglio economico generale [ceg]. Come abbiamo visto, il ceg
è costituito da 8 rappresentanti dei sindacati: 4 tecnici nominati dal Consiglio
economico generale antifascista e 4 rappresentanti dei Consigli di fabbrica.
Il Consiglio economico generale antifascista venne organizzato
all’inizio della rivoluzione e si compone di rappresentanti dei sindacati e
della piccola borghesia (Esquerra catalana ecc.). Soltanto i quattro delegati
del Consiglio di fabbrica possono essere considerati come rappresentanti diretti
degli operai. Notiamo, inoltre, che in caso di sospensione dei rappresentanti
del Consiglio di fabbrica, il Consiglio d’industria della Generalitat e
il Consiglio economico generale antifascista hanno un’influenza
decisiva. Il ceg può destituire
gli oppositori nel Consiglio di fabbrica; contro questa misura gli operai
possono fare appello al Consiglio della Generalitat ma la decisione
spetta, in ultima istanza, al Consiglio economico generale antifascista.
I Consigli di fabbrica organizzano le condizioni di lavoro; sono responsabili
non soltanto di fronte ai lavoratori dell'impresa ma anche al Consiglio di
categoria. Il Consiglio di fabbrica può designare un direttore, ma per le
imprese più grandi, il consenso del Consiglio di categoria è
necessario.
In breve si può dire che
attualmente gli operai hanno ben poca voce in capitolo sull’organizzazione e
sul controllo delle fabbriche. In realtà, governano i sindacati. Vedremo in
seguito cosa ciò significhi.
Considerando i vari fatti citati,
non riusciamo a condividere l'entusiasmo della cnt a proposito dello «sviluppo sociale». «Negli uffici
pubblici, pulsa la vita di una rivoluzione veramente costruttiva», scrive
Rosselli in Che cosa sono la cnt
e la fai (pp. 38-39, ed.
tedesca). Secondo noi, il polso di una rivoluzione autentica, non si sente negli
uffici amministrativi, ma nelle fabbriche. Negli uffici batte il cuore di una
vita differente, quella della burocrazia.
Non critichiamo i fatti. I fatti,
la realtà, sono determinati da circostanze e condizioni che sfuggono al
controllo dei singoli gruppi; il fatto che gli operai di Catalogna non abbiamo
instaurato la dittatura del proletariato non è una loro mancanza. La vera
ragione risiede nella confusa situazione internazionale che contrappone gli
operai spagnoli al resto del mondo. In tali condizioni, è impossibile per il
proletariato spagnolo liberarsi dai suoi alleati piccolo-borghesi. La
rivoluzione era condannata ancora prima di essere realmente cominciata.
No, non critichiamo i fatti.
Critichiamo, tuttavia, gli anarchici per aver considerato socialiste le
condizioni esistenti in Catalogna. Tutti quelli che parlano agli operai di
socialismo in Catalogna Ð in parte perchÈ attualmente ci credono, in parte
perchÈ non vogliono perdere il contatto e l’influenza sullo sviluppo del
movimento – impediscono ai lavoratori di vedere quanto sta accadendo in
Spagna. Non capiscono niente dei principi rivoluzionari, rendendo così più
difficile lo sviluppo di lotte radicali.
I lavoratori spagnoli non possono
permettersi di lottare effettivamente contro il ruolo dei sindacati, giacchÈ ciò
porterebbe a un collasso completo del fronte militare. Essi non hanno altra
alternativa: devono lottare contro i fascisti per salvarsi la vita, devono
accettare qualsiasi aiuto senza guardare da dove proviene. Non si chiedono se il
risultato di questa lotta sarà il socialismo o il capitalismo; sanno soltanto
che devono lottare fino alla fine. Solo una piccola frazione del proletariato è
coscientemente rivoluzionaria.
FinchÈ i sindacati
organizzeranno la lotta militare, i lavoratori li sosterranno; non si può
negare che ciò comporti dei compromessi con la borghesia, ma è considerato un
male necessario. La parola d'ordine della cnt:
«Innanzitutto la vittoria sui fascisti, poi la rivoluzione sociale», esprime
il sentimento prevalente tra i militanti operai. Ma questo sentimento può anche
essere spiegato con la generale arretratezza del Paese, la quale non solo rende
possibile, ma addirittura costringe il proletariato a compromessi con la
borghesia. Risulta, così, che il carattere della lotta rivoluzionaria subisce
enormi cambiamenti e che al posto di tendere al rovesciamento della borghesia
essa conduce al consolidamento di un nuovo ordine capitalista.
L’aiuto straniero strangola la
rivoluzione
La classe operaia in Spagna non
lotta soltanto contro la borghesia fascista, ma contro la borghesia del mondo
intero. I Paesi fascisti – Italia, Germania, Portogallo e Argentina –
sostengono i fascisti spagnoli in questa lotta con tutti i mezzi a loro
disposizione. Questo basta a rendere impossibile la vittoria della rivoluzione
in Spagna. L'enorme potere degli Stati nemici è troppo forte per il
proletariato spagnolo. Se i fascisti spagnoli, nonostante il loro tremendo
potere, non hanno sinora vinto, venendo anzi sconfitti su vari fronti, ciò
dipende dalle forniture di armi dall’estero di cui ha goduto il governo
antifascista. Mentre il Messico ha dato fin dall’inizio il suo appoggio,
seppur limitato, con armi e munizioni, la Russia ha cominciato solo dopo cinque
mesi di guerra. L’aiuto è giunto dopo che le truppe fasciste, equipaggiate
con moderne armi italiane e tedesche, e inoltre aiutate in ogni modo dai Paesi
fascisti, hanno fatto indietreggiare le milizie antifasciste. L’aiuto
sovietico ha permesso di proseguire la lotta. Un'altra conseguenza è stata che
la Germania e l'Italia sono state spinte a inviare ancora pi armi e anche
truppe. In tal modo, questi Paesi sono divenuti sempre pi influenti sulla
situazione politica. Con un tale sviluppo degli eventi, la Francia e
l'Inghilterra, preoccupate per le relazioni con le proprie colonie, non potevano
rimanere indifferenti. é così che la lotta in Spagna ha assunto il carattere
di un conflitto internazionale tra le grandi potenze imperialiste che,
apertamente o segretamente, partecipano alla guerra per difendere antiche
posizioni di dominio o per conquistarne di nuove. Da entrambe le parti, i fronti
antagonisti in Spagna sono ora sostenuti con armi e con altri aiuti materiali.
Non si può ancora sapere quando e dove questa lotta finirà.
Nello stesso istante in cui i
lavoratori spagnoli vengono salvati da questo aiuto straniero la rivoluzione
riceve il colpo di grazia. Le moderne armi straniere hanno reso possibile la
lotta sul piano militare e, di conseguenza, il proletariato spagnolo è stato
soggiogato agli interessi imperialisti e, prima di tutto, agli interessi russi.
L'Unione Sovietica non aiuta il governo spagnolo per portare avanti la
rivoluzione, ma per impedire la crescita dell'influenza italiana e tedesca nella
zona mediterranea. Il blocco delle navi russe e il loro sequestro, mostra
chiaramente all’urss ciò che
l’aspetta qualora lasciasse la vittoria alla Germania e all’Italia.
La Russia tenta d’insediarsi in
Spagna. Indicheremo come, in seguito alla pressione ch’essa esercita, gli
operai spagnoli stiano perdendo gradualmente la loro influenza sullo sviluppo
degli eventi; come i comitati della milizia siano dissolti, il poum
escluso dal governo, e vengano legate le mani alla cnt.
Da mesi, si rifiutano armi e
munizioni al poum e alla cnt
sul fronte di Aragona. Tutto ciò prova che il potere, da cui dipendono
materialmente gli antifascisti spagnoli, dirige anche la lotta degli operai di
Spagna. Questi ultimi, se possono provare a liberarsi dall’influenza della
Russia, non possono fare a meno del suo aiuto e, in ultima istanza, devono
accondiscendere a ogni sua richiesta. FinchÈ gli operai all'estero non si
rivolteranno contro le loro proprie borghesie, dando così un sostegno attivo
alla lotta rivoluzionaria in Spagna, gli operai spagnoli dovranno sacrificare il
proprio fine socialista.
La causa reale del fallimento
interno della rivoluzione spagnola sta nel fatto che gli operai spagnoli hanno
dipeso dall’appoggio materiale dei Paesi capitalisti (in questo caso, il
capitalismo di Stato russo). Se la rivoluzione si estendesse su un’area
sufficientemente ampia, se, per esempio, si effettuasse in Inghilterra, Francia,
Italia, Germania, Belgio, allora le cose assumerebbero un altro aspetto.
Soltanto se la controrivoluzione nelle regioni industriali più importanti
dell’Europa fosse schiacciata, così come lo è ora a Madrid, in Catalogna,
nelle Asturie, il potere della borghesia fascista verrebbe spezzato. Le guardie
bianche nelle zone reazionarie potrebbero certamente mettere in pericolo la
rivoluzione; ma alla lunga non batterla. Truppe che non siano sostenute da una
struttura industriale adeguata perdono presto ogni potere. Se nelle principali
regioni industriali europee si realizzasse la rivoluzione proletaria, i
lavoratori spagnoli non dipenderebbero oltre dal capitale straniero. Potrebbero
impadronirsi di tutto il potere. Così, ancora una volta, sosteniamo che la
rivoluzione proletaria può essere vittoriosa soltanto se è internazionale. Se
resta confinata a una piccola regione, sarà o schiacciata dalle armi, o
snaturata dagli interessi imperialisti. Se la rivoluzione proletaria è
sufficientemente forte su scala internazionale, allora non ha più motivo di
temere di degenerare in direzione di un capitalismo di Stato o privato. Nella
parte seguente, tratteremo delle questioni che si porrebbero in tali
circostanze.
La lotta di classe nella Spagna
«rossa»
Benché nella parte precedente
abbiamo mostrato come la situazione internazionale costringa gli operai spagnoli
a dei compromessi con la borghesia, non ne abbiamo concluso che la lotta di
classe nella Spagna «rossa» sia terminata. Al contrario, essa continua dietro
la facciata del Fronte Popolare antifascista, come è dimostrato dagli assalti
della borghesia contro ogni roccaforte dei comitati operai, e dal continuo
rafforzamento della posizione del governo. Gli operai della Spagna «rossa» non
possono rimanere indifferenti a questi sviluppi, devono tentare di conservare le
posizioni conquistate per evitare ulteriori sconfinamenti da parte della
borghesia e per dare una nuova direzione rivoluzionaria agli eventi.
Se gli operai in Catalogna non si
battono contro le nuove avanzate della borghesia, la loro totale sconfitta è
certa. Se il governo frontista eventualmente battesse i fascisti, utilizzerebbe
tutto il proprio potere per ricacciare indietro il proletariato. La lotta tra la
classe operaia e la borghesia continuerebbe ma in condizioni ben peggiori per il
proletariato; perchÈ la borghesia Çdemocratica», dopo la vittoria contro i
fascisti riportata dai lavoratori, userebbe in seguito tutte le loro
forze in una battaglia antiproletaria. La disintegrazione sistematica del potere
degli operai va avanti da mesi; e nei comizi di Caballero si può già
intravedere cosa devono aspettarsi i lavoratori dall'attuale governo, una volta
assicuratagli la vittoria.
Abbiamo detto che la rivoluzione
spagnola non può essere vittoriosa se non diventa internazionale. Ma gli operai
spagnoli non possono aspettare che la rivoluzione cominci in altre parti
d’Europa; non possono attendere quell’aiuto rimasto finora soltanto un pio
desiderio. Devono ora, subito, difendere la loro causa, non soltanto contro i
fascisti, ma contro i propri alleati borghesi. L'organizzazione del loro potere
è dunque, nella presente situazione, una necessità urgente.
Ma come risponde a tale domanda
il movimento degli operai spagnoli? La sola organizzazione a dare una risposta
concreta è il poum, che propugna
l’elezione di un congresso generale dei Consigli, da cui dovrebbe uscire un
governo realmente proletario.
A ciò rispondiamo che il
fondamento di una tale proposta non esiste ancora. I cosiddetti «Consigli
operai», nella misura in cui non sono ancora stati liquidati, sono per la
maggior parte sotto l’influenza della Generalitat che esercita un
controllo serrato sulla loro composizione. Peraltro, l’elezione del congresso
non garantirebbe il potere degli operai sulla produzione. Potere sociale
significa più che mero controllo del governo. Soltanto se il potere proletario
permea l'intera vita sociale, può mantenersi. Il potere politico centrale, per
quanto grande possa esserne l'importanza, è semplicemente un anello del potere
che ha le proprie radici in ogni ambito della vita sociale.
Se gli operai vogliono
organizzare il proprio potere contro la borghesia, devono cominciare dal basso.
Innanzitutto, devono liberare le proprie organizzazioni di fabbrica
dall'influenza dei partiti e dei sindacati ufficiali, giacchÈ questi legano gli
operai al governo attuale e, con ciò, alla società capitalista. Attraverso le
proprie organizzazioni di fabbrica, i lavoratori devono provare a influenzare
ogni aspetto della vita sociale. Soltanto su questa base è possibile costituire
il potere proletario; soltanto su questa base, le forze della classe operaia
possono lavorare in armonia.
L’organizzazione economica
della rivoluzione
Le questioni
dell’organizzazione politica ed economica sono indissociabili. Gli anarchici
che negano la necessità di un’organizzazione politica, non possono dunque
risolvere i problemi dell’organizzazione economica. C’è interrelazione tra
il problema del collegamento del lavoro nelle differenti fabbriche e quello
della circolazione dei beni, nella misura in cui è in causa la formazione del
potere politico operaio.
Il potere operaio nelle fabbriche
non può essere mantenuto senza l’instaurazione di un potere politico dei
lavoratori, e quest’ultimo non può mantenersi come potere dei lavoratori se
non è radicato in un’organizzazione di Consigli di fabbrica. Così, una volta
dimostrata la necessità di un potere politico, ci si può interrogare sulla
forma del potere proletario, su come integri la società e si radichi nelle
fabbriche.
Supponiamo che gli operai delle
principali zone industriali, per esempio in Europa, abbiano preso il potere e
perciò spezzato il potere militare della borghesia in una vasta area. La pi
grave minaccia esterna alla rivoluzione sarebbe dunque superata. Ma gli operai,
in quanto proprietari collettivi delle officine, come devono rimettere in moto
la produzione per soddisfare i bisogni della società? Occorrono le materie
prime; ma da dove provengono? Una volta fabbricato il prodotto, dove mandarlo? E
chi ne ha bisogno?
Non si può risolvere nessuno di
questi problemi se ogni fabbrica funziona isolatamente. Le materie prime
destinate alle fabbriche vengono da ogni parte del mondo, e i prodotti ottenuti
da tali materie sono consumati ovunque. Come faranno a sapere, gli operai, dove
procurarsi queste materie prime? Come faranno a trovare consumatori per i loro
prodotti, che non possono essere fabbricati a caso? Gli operai non possono
fornire prodotti e materie prime senza sapere se verranno utilizzati in maniera
appropriata. Affinché la vita economica non si fermi immediatamente, occorre
mettere a punto modalità per l’organizzazione della circolazione dei beni.
La difficoltà sta qui. Nel
capitalismo, questo compito è svolto dal libero mercato ed è mediato dal
denaro. Sul mercato, i capitalisti, in quanto proprietari dei prodotti, si
affrontano reciprocamente; è qui che si accertano i bisogni sociali. Il denaro
ne è la misura. I prezzi esprimono il valore approssimativo dei prodotti. Nel
comunismo, queste forme economiche, che derivano dalla proprietà privata e vi
sono legate, scompariranno. La questione che si pone è quindi: come si devono
accertare, determinare, i bisogni sociali nel comunismo?
Sappiamo che il libero mercato può
svolgere il suo ruolo in maniera molto limitata; ciò che misura non è
determinato dai bisogni reali degli individui ma dal potere d’acquisto dei
possidenti e dall’ammontare dei salari operai. Nel comunismo, per contro,
conteranno i bisogni reali delle masse e non il contenuto dei portafogli.
È chiaro ora che i bisogni reali
delle masse non possono essere accertati da alcun tipo di apparato burocratico,
ma solo dagli stessi operai. La prima questione sollevata da tale constatazione
è quindi non tanto di sapere se gli operai siano capaci di realizzare questo
compito, ma chi debba disporre dei prodotti della società. Permettendo a un
apparato burocratico di determinare i bisogni delle masse, si crea un nuovo
strumento di potere sulla classe operaia. Per questo è essenziale che gli
operai si uniscano in cooperative di consumatori e creino così l’organismo
che esprimerà i loro bisogni. Lo stesso principio vale per le fabbriche; gli
operai, uniti nelle organizzazioni di fabbrica, fissano la quantità di materie
prime necessaria alla produzione. Non c’è che un mezzo nel comunismo per
accertare i bisogni reali delle masse: l’organizzazione dei produttori e dei
consumatori; l'organizzazione degli operai in Consigli di fabbrica e in
cooperative di consumo.
Tuttavia, non basta che gli
operai sappiano di cosa hanno bisogno per la propria sussistenza, né è
sufficiente che le officine conoscano la quantità di materie prime necessarie.
Le fabbriche si scambiano i prodotti; c'è una trasformazione materiale, i
prodotti passano per fasi e fabbriche diverse, prima di entrare nella sfera del
consumo. Per rendere possibile questo processo, è necessario, non soltanto
accertare delle quantità, ma anche gestirle. Così, arriviamo alla seconda
parte del meccanismo che deve sostituirsi al libero mercato; cioè alla «contabilità»
sociale generale, che deve includere rendiconti provenienti dalle varie
fabbriche e cooperative di consumatori, per dare un quadro chiaro che consenta
una conoscenza completa dei bisogni e delle possibilità della società.
Se non s’istituisce una
contabilità centrale, allora tutta la produzione sarà sommersa dal caos dopo
l’abolizione della proprietà privata dei mezzi di produzione e, con essa, del
libero mercato. Questo non può essere abolito prima che la produzione e la
distribuzione dei beni siano state organizzate dalle cooperative dei produttori
e dei consumatori, e prima della creazione di una contabilità centrale.
La Russia ha mostrato come si sia
mantenuto il «libero mercato» malgrado tutte le misure soppressive dei
bolscevichi, giacché gli organi che avrebbero dovuto sostituirlo non
funzionarono. In Spagna, l’impotenza delle organizzazioni nel dar vita a una
produzione comunista è chiaramente dimostrata dall'esistenza del libero
mercato. La vecchia forma di proprietà ha ora un altro aspetto. Al posto della
proprietà personale dei mezzi di produzione, i sindacati giocano in parte il
ruolo degli antichi proprietari, in una forma leggermente modificata. La forma
è cambiata, ma il sistema rimane. La proprietà, in quanto tale, non è
abolita. Lo scambio delle merci non scompare. Ecco il grande pericolo che la
rivoluzione spagnola affronta al suo interno.
Il compito degli operai è
trovare una nuova forma di distribuzione dei beni. Se mantengono le forme
attuali, gli operai non faranno che spalancare le porte a una restaurazione
completa del capitalismo. Nel caso realizzassero una distribuzione centrale dei
beni, certamente avrebbero da mantenere sotto il proprio controllo tale apparato
centrale. Creato ai soli fini di registrazione e di statistica, questo apparato
ha in sÈ la possibilità di impadronirsi del potere e di dotarsi di uno
strumento di coercizione utilizzabile contro gli operai. Un tale sviluppo
sarebbe il primo passo nella direzione del capitalismo di Stato.
L’assunzione della produzione
da parte dei sindacati
In Spagna, questa tendenza è
chiaramente ravvisabile. I funzionari sindacali sono in grado di disporre
dell'apparato di produzione e hanno anche un'influenza decisiva sulle formazioni
militari. L'influenza degli operai sulla vita economica non va al di là di
quella che hanno i loro sindacati. La sua limitatezza è dimostrata dal fatto
che le misure sindacali hanno fallito nel condurre un serio attacco alla
proprietà privata.
Se gli operai s’incaricano
della regolazione della vita economica, uno dei loro primi atti dovrà essere
diretto contro i parassiti. Il potere magico del denaro, capace di aprire tutte
le porte e di comprare tutto, scomparirà. Uno dei primi atti dei lavoratori sarà,
senza dubbio, la creazione di una sorta di buoni-lavoro. Questi buoni potranno
essere ottenuti solo da chi compie un lavoro utile. (Misure speciali,
concernenti gli anziani, i malati, i bambini ecc., saranno certamente
necessarie.)
In Catalogna, questo non è
successo. Il denaro resta il mezzo di scambio dei beni. Anche se è stato
introdotto un certo controllo sul movimento delle merci, ciò non ha risparmiato
ai lavoratori di dover portare i propri miseri averi al monte di pietà, mentre
i proprietari mobiliari, ad esempio, ricevevano rendite garantite del 4%
circa («L’Espagne antifasciste», 10 ottobre).
È innegabile che i sindacati
siano incapaci di prendere altre misure, se non a rischio di mettere in pericolo
il fronte unito antifascista. Il carattere libertario della cnt
dovrebbe garantire la sicurezza che riavranno ciò che hanno perduto, dopo la
vittoria degli antifascisti e la realizzazione di tutte le riforme necessarie.
Chi ragiona così commette gli
stessi errori delle varie specie di bolscevichi, sia di destra sia di sinistra.
Le misure realizzate finora dimostrano chiaramente che agli operai manca ancora
il potere. Come si può sostenere che lo stesso apparato sindacale che oggi
domina gli operai, dopo la sconfitta del fascismo, metterà volontariamente il
proprio potere nelle loro mani?
Certamente la cnt
è libertaria. Ma anche supponendo che i funzionari di questa organizzazione
siano pronti a disfarsi del potere quando la situazione militare lo permetterà,
che cosa cambierà realmente con ciò? Il potere non sta nelle mani di questo o
quel leader, ma appartiene al grande apparato, composto da innumerevoli Çpezzi
grossiÈ che detengono le posizioni chiave così come i posti secondari. Costoro
sono in grado, nel momento in cui li si allontana dai loro posti privilegiati,
di far crollare l’intera produzione. Ecco sollevato lo stesso problema che ha
giocato un ruolo così decisivo nella Rivoluzione russa. L’apparato
burocratico sabotò l’intera vita economica, mentre gli operai controllavano
le fabbriche. Lo stesso vale per la Spagna.
Tutto l’entusiasmo che la cnt
mostra per l’idea del diritto all’autodeterminazione delle fabbriche,
non toglie che siano le centrali sindacali, in realtà, ad assumersi la funzione
dell’imprenditore e che, di conseguenza, siano costrette al ruolo dello
sfruttatore del lavoro. In Spagna, il sistema del salariato è mantenuto.
Soltanto un aspetto è mutato: prima al servizio del capitalista, il lavoro
salariato è ora al servizio dei sindacati. A mo’ di dimostrazione citiamo da
un articolo de «L’Espagne antifasciste», n. 24, 28 novembre 1936, intitolato
La Révolution s’organise elle-même:
«Il plenum provinciale di
Granada, riunitosi a Cadice dal 2 ottobre al 4 ottobre, 1936, ha adottato le
seguenti risoluzioni:
5. Il comitato delle unità
sindacali controllerà l’intera produzione (compresa l’agricoltura). A
questo scopo, tutto il materiale necessario alla semina e alla mietitura del
raccolto sarà messo a sua disposizione.
6. Come base per lavorare con
altre regioni, ogni comitato deve rendere possibile lo scambio dei beni
comparando i valori dei prodotti in base ai prezzi correnti.
7. Per facilitare il lavoro, il
comitato deve censire tutti gli abili e inabili al lavoro, al fine di sapere su
quale potenziale lavorativo può contare, e come dev’essere razionato il cibo
in funzione della dimensione delle famiglie.
8. La terra confiscata è
dichiarata proprietà comune. Tuttavia, l’appezzamento di chi ha capacità
fisiche e professionali sufficienti, non può essere diviso. Questo per ottenere
la massima redditività.È
(Inoltre, la terra dei piccoli
proprietari non può essere confiscata. Alla divisione devono essere presenti
organi della cnt e dell’ugt.)
Queste risoluzioni vanno
considerate come una sorta di piano con cui il comitato delle unità
sindacali organizzerà la produzione agricola. Ma, allo stesso tempo,
notiamo chiaramente che la direzione delle piccoli aziende, così come di quelle
grandi Ð in cui va garantita la massima redditività Ð resterà nelle mani dei
vecchi proprietari. Il resto della terra sarà destinato a scopi comunitari. Ciò
vuol dire che dev'essere posta sotto il controllo dei comitati sindacali.
Inoltre, il comitato delle unità sindacali (ucc) ottiene il controllo sull’intera produzione. Ma
non una parola indica il ruolo che debbono svolgere i produttori stessi in
questo nuovo ordine produttivo. Tale problema non sembra esistere per l’ugt.
I suoi membri vedono come proprio compito unicamente la formazione di un'altra
leadership, e cioè quella della ucc,
che rimarrà la base del lavoro salariato. Così, la questione del mantenimento
del lavoro salariato determina il corso della rivoluzione proletaria. Se gli
operai, come prima, rimangono lavoratori salariati, anche posti al servizio di
un comitato preposto dal loro sindacato, la loro posizione nel sistema di
produzione resta immutata. La rivoluzione sociale sarà allontanata dalla
direzione voluta dagli operai a causa dell'inevitabile lotta che sorgerà tra i
partiti o i sindacati per l’influenza sull’economia. Ci si può allora
domandare: fino a che punto il sindacato può essere considerato come il reale
rappresentante dei lavoratori? In altri termini, che influenza hanno gli operai
sui comitati centrali dei sindacati che dominano l’intera vita
economica?
La realtà ci insegna che gli
operai perdono ogni influenza o potere su queste organizzazioni; anche nel
migliore dei casi, se tutti fossero organizzati nella cnt o nell’ugt
e se eleggessero loro stessi i propri comitati. Questi ultimi gradualmente si
trasformano se funzionano come autonomi organi di potere. I comitati fissano
tutte le norme della produzione e della distribuzione senza esserne responsabili
di fronte agli operai che li hanno eletti, ma che non possono revocarli quando
vogliono. I comitati hanno il diritto di disporre di tutti i mezzi di produzione
necessari al lavoro, così come di tutti i prodotti, mentre l’operaio riceve
solo l’ammontare del salario in base al lavoro erogato. Il problema per gli
operai spagnoli consiste, dunque, al presente, nel salvaguardare il proprio
potere sui comitati sindacali che dirigono la produzione e la distribuzione. Qui
si vede chiaramente che la propaganda anarco-sindacalista produce l'effetto
opposto: gli anarco-sindacalisti ritengono che tutti gli ostacoli siano superati
con la direzione sindacale della produzione. Vedono il pericolo della formazione
di una burocrazia solo negli organi statali, ma non nei sindacati; ritengono che
il credo libertario renda impossibile un tale sviluppo.
Ma al contrario, si è dimostrato
– e non soltanto in Spagna – che il credo libertario è stato subito messo
da parte dalle necessità materiali. Anche gli anarchici confermano lo
svilupparsi di una burocrazia. «L’Espagne antifasciste», nel primo numero
di gennaio, contiene un articolo tratto da «Tierra y Libertad» (organo
della fai), da cui citiamo:
«L’ultimo plenum della
Federazione Regionale dei gruppi anarchici della Catalogna ha [...] messo in
chiaro il punto di vista dell'anarchismo rispetto alle domande del presente. Ne
pubblicheremo le conclusioni con brevi commentiÈ.
La citazione seguente è tratta
da queste risoluzioni commentate:
«4. È necessario abolire la
burocrazia parassitaria, ampiamente sviluppatasi a tutti i livelli negli organi
dello Stato».
Lo Stato è l’eterna culla per
una determinata classe: la burocrazia. Oggi, la situazione è divenuta tanto
critica da trascinarci in una corrente che minaccia la rivoluzione. La
collettivizzazione delle imprese, la costituzione di Consigli e di comitati
diventa un suolo fertile per lo sviluppo di una nuova burocrazia di origine
operaia. Trascurando i compiti del socialismo e separandosi dallo spirito della
rivoluzione, questi elementi, che dirigono i luoghi di produzione o le industrie
al di fuori del controllo sindacale, agiscono spesso come burocrati dotati di
autorità assoluta, e si comportano come nuovi padroni. Negli uffici dello Stato
e nelle amministrazioni locali, si può osservare la crescita di questi «virtuosi
della poltrona». Un tale stato di cose deve finire. È il compito dei sindacati
e degli operai erigere uno sbarramento contro questa corrente di burocratismo.
È l’organizzazione sindacale che deve risolvere questo problema. «I
parassiti devono sparire dalla nuova società. Il nostro dovere pi urgente è
cominciare la lotta con le nostre armi pi affilate e senza pi attendere
oltre.È
Ma scacciare la burocrazia coi
sindacati è come voler scacciare il demonio con Belzebù, perché sono le
condizioni del potere, e non i dogmi idealistici, a determinare lo sviluppo
degli eventi. Gli anarcosindacalisti spagnoli, nutriti delle dottrine
anarchiche, si dichiarano per il libero comunismo e contro tutte le forme di
potere centralizzato; il loro potere è già concentrato nei sindacati, che
sarebbero perciò lo strumento con cui realizzare il «libero» comunismo.
L’anarco-sindacalismo
Abbiamo visto, così, che la
pratica e la teoria degli anarco-sindacalisti spagnoli sono tra loro
completamente differenti. Questo era già evidente quando la cnt
e la fai, per consolidare le
proprie posizioni, dovettero rinunciare un po’ alla volta al loro precedente
atteggiamento anti-politico, e lo stesso si riflette ora nella «struttura
economica» della rivoluzione.
In teoria, gli
anarco-sindacalisti si considerano l’avanguardia del «libero» comunismo.
Tuttavia, per far funzionare le «libere» imprese nell’interesse della
rivoluzione, sono costretti a privarle della loro libertà e a subordinare la
produzione a una gestione centralizzata. La pratica costringe all’abbandono
della teoria, e ciò significa che la teoria non è adatta alla pratica.
Troveremo una spiegazione per
tale discrepanza analizzando il ruolo di queste teorie del «libero» comunismo
che, in ultima istanza, sono le concezioni di Proudhon adattate da Bakunin ai
moderni metodi di produzione.
Le concezioni socialiste avanzate
da Proudhon un centinaio di anni fa, altro non sono che le concezioni idealiste
della piccola borghesia, che vedeva nella libera concorrenza tra le piccole
imprese il fine ideale dello sviluppo economico. La libera concorrenza avrebbe
dovuto sopprimere automaticamente tutti i privilegi derivanti dal monopolio
bancario del denaro e dall'effettivo monopolio fondiario dei grossi
proprietari terrieri. In questo modo, il controllo dall’alto diventava
superfluo: i profitti sarebbero scomparsi e ciascuno avrebbe ricevuto il «frutto
integrale del proprio lavoro», giacché, in accordo con Proudhon, i profitti
derivavano solo dal monopolio dei grandi affari. ÇNon ho intenzione di
sopprimere la proprietà privata, ma di socializzarla; cioè, di ridurla in
piccole imprese e privarla del suo potere.» Proudhon non condanna i diritti di
proprietà in quanto tali; egli vede la «libertà reale» nella libera
disposizione dei frutti del lavoro e condanna la proprietà privata solamente in
quanto privilegio e potere, in quanto diritto del padrone (Gottfried Salomon,
Proudhon et le socialisme, p. 31). Ad esempio, per eliminare il
monopolio del denaro, Proudhon aveva in mente la costituzione di una banca
centrale di sconto per il mutuo credito dei produttori, sopprimendo così il
costo del denaro. Questo ci ricorda l'affermazione che segue, tratta da ÇL'Espagne
antifascisteÈ del 10 ottobre:
«Il sindacato cnt
degli impiegati bancari di Madrid propone la trasformazione immediata di tutte
le banche di sconto in istituti di credito gratuito per la classe operaia,
ossia, con un interesse annuo del 2%...».
Comunque, l’influenza di
Proudhon sulla concezione degli anarco-sindacalisti non si limita a tali
questioni relativamente secondarie. Il suo socialismo è fondamentalmente alla
base dell'intera dottrina anarco-sindacalista, con lievi modifiche dovute alle
condizioni moderne altamente industrializzate.
Nella sua prospettiva di un «socialismo
della libera concorrenza», la cnt
considera le imprese semplicemente come unità indipendenti. È vero che gli
anarco-sindacalisti non vogliono il ritorno alla piccola impresa; propongono di
liquidarla, o meglio di lasciarla morire di morte naturale quando non funzioni
in modo abbastanza razionale. Tuttavia, basta sostituire i termini proudhoniani
Òpiccole impreseÓ e ÒartigianiÓ rispettivamente con Ògrandi impreseÓ e Òsindacati
operaiÓ, per avere un'immagine del socialismo della cnt.
La necessità della produzione
pianificata
In realtà, queste teorie sono
utopistiche e particolarmente inapplicabili alle condizioni spagnole. La libera
competizione a questo stadio di sviluppo non è più possibile, men che meno in
un contesto di guerra e caos come in Catalogna. Dove un certo numero di imprese
o di intere comunità si sono liberate e rese indipendenti dal resto del sistema
di produzione Ð in realtà solo per sfruttare i propri consumatori Ð la cnt
e la fai devono ora subire le
conseguenze delle proprie teorie economiche. Sono costrette a questo passo perché
una lotta di tutti contro tutti appare altrimenti inevitabile, il che sarebbe
molto pericoloso in un momento in cui la guerra civile esige l’unione di tutte
le forze. Gli anarco-sindacalisti non conoscono altra via d’uscita che quella
già adottata dai bolscevichi e dai socialdemocratici: l’abolizione
dell’indipendenza delle imprese e la loro subordinazione a una gestione
economica centrale. Che a realizzare tale gestione siano i loro sindacati, non
diminuisce in nulla la portata di un tale atto. Un sistema di produzione
centralizzato, in cui gli operai non sono altro che dei salariati è, a dispetto
della cnt, nient’altro che un
sistema funzionante in base a principi capitalistici.
Questa contraddizione tra la
teoria e la pratica degli anarco-sindacalisti, è dovuta in parte alla loro
incapacità di trovare una soluzione al problema principale della rivoluzione
proletaria nell'ambito dell'organizzazione economica: in che quantità, e come,
sarà determinata la quota di prodotto totale spettante a ogni membro e partecipante
del sistema produttivo? In base alla teoria anarco-sindacalista, questa
ripartizione dovrebbe essere determinata dalle imprese indipendenti, o dai
liberi individui, mediante l’impiego del "libero capitaleÈ: con la
produzione per il mercato e il ritorno del valore integrale al produttore
attraverso lo scambio. Questo principio venne mantenuto anche quando, anni
addietro, la necessità di una produzione pianificata Ð e di conseguenza di una
contabilità centrale – era ovvia. Gli anarco-sindacalisti riconoscono la
necessità di pianificare la vita economica e ritengono che ciò non sia
fattibile senza una contabilità centrale, ossia un’organizzazione statistica
dei fattori produttivi e dei bisogni sociali; tuttavia, tralasciano di dare una
base effettiva a queste necessità statistiche. È un fatto che la produzione
non può essere contabilizzata statisticamente né organizzata su di una base
pianificata senza applicare un’unità di misura ai prodotti.
Modo di produzione bolscevico
contro modo di produzione comunista
Comunismo significa produzione
sulla base dei bisogni delle grandi masse. Il problema della determinazione
delle quantità destinate al consumo individuale e del volume di materie prime e
di prodotti semilavorati da distribuire tra le diverse fabbriche, non può
essere risolto per via monetaria come nel capitalismo. Il denaro è
l'espressione di determinati rapporti di proprietà privata e assicura una certa
parte del prodotto sociale al suo detentore: ciò vale per gli individui singoli
come per le imprese. Benché nel comunismo non esista proprietà privata dei
mezzi di produzione, nondimeno, ogni individuo godrà di una parte della
ricchezza sociale per il proprio consumo, e ogni fabbrica disporrà delle
materie prime e dei mezzi di produzione necessari. Alla domanda su come tutto ciò
sarà realizzato, gli anarco-sindacalisti rispondono soltanto vagamente,
riferendosi ai metodi statistici. È questo un problema molto difficile per la
rivoluzione proletaria. Se gli operai, per determinare la propria quota, si
affidassero semplicemente a un "ufficio statistico", creerebbero in
tal modo un potere di cui perderebbero il controllo. D'altra parte, una
produzione regolata non è possibile se i lavoratori nelle fabbriche hanno
diritto a una quantità qualsiasi di beni.
Siamo alle prese con il problema:
com’è possibile unire, mettere d’accordo, questi due principi che a prima
vista sembrano contraddittori, cioè: tutto il potere agli operai, –
che implica un federalismo concentrato –, e la regolazione pianificata
della produzione – che coincide con una centralizzazione estrema? Possiamo
risolvere questo paradosso solo considerando le basi reali della produzione
sociale totale. I lavoratori non danno alla società che una stessa e identica
cosa: la propria forza-lavoro. In una società senza sfruttamento, come quella
comunista, solo la forza-lavoro erogata da ciascuno potrà fungere da misura per
ricevere dalla società i mezzi di esistenza.
Nel processo di produzione, le
materie prime sono trasformate in beni di consumo con l’applicazione di
forza-lavoro. Un ufficio statistico sarebbe oggigiorno totalmente incapace di
determinare la quantità di lavoro incorporato in un dato prodotto. Il prodotto
è passato attraverso molte mani; inoltre, una quantità gigantesca di macchine,
strumenti, materie prime e prodotti semilavorati è stata impiegata nella sua
fabbricazione. Se un ufficio statistico centrale è in grado di raccogliere i
dati necessari per comporre un quadro chiaro di tutti i settori dell'intero
processo di produzione, allora le singole imprese o le fabbriche sono in una
posizione migliore per determinare la quantità di lavoro cristallizzato nei
prodotti finiti, mediante il calcolo del tempo di lavoro incorporato nelle
materie prime e di quello necessario alla produzione di nuovi beni. Quando tutte
le imprese sono interconnesse nel processo produttivo, è facile per ciascuna
determinare la quantità totale di tempo di lavoro necessario per realizzare un
prodotto finito sulla base dei dati disponibili. Meglio ancora, è facilissimo
trovare il tempo di lavoro sociale medio dividendo la quantità del tempo
di lavoro erogato per la quantità dei prodotti. Questo è il fattore finale
determinante per il consumatore. Per poter ottenere un prodotto, questi dovrà
semplicemente dimostrare di aver dato alla società, benchè in una forma
differente, la stessa quantità di tempo di lavoro cristallizzata nel prodotto
che desidera. Ciò esclude lo sfruttamento. Ciascuno riceve per ciò che ha
dato, ciascuno dà per ciò che riceve: la stessa quantità di tempo di
lavoro sociale medio. Nella società comunista non c’è posto per un
ufficio statistico centrale libero di determinare la «spettanza» delle
differenti categorie dei lavoratori.
La quantità destinata al consumo
di ogni operaio, non è determinata "dall'alto"; ciascuno stabilisce
da sé, tramite il proprio lavoro, quanto può chiedere alla società. Non c'è
altra possibilità nel comunismo, almeno non durante il primo stadio. Gli uffici
statistici possono servire solo a fini amministrativi. Ad esempio, possono
calcolare i valori sociali medi in base ai dati ottenuti dalle singole
fabbriche; ma tali uffici vanno considerati come imprese, allo stesso titolo
delle altre; non hanno privilegi. Il comunismo non può esistere dove un ufficio
centrale esercita funzioni esecutive; in tali circostanze, possono esistere
soltanto lo sfruttamento, l’oppressione, il capitalismo.
Vogliamo qui sottolineare due
punti:
1) Se s’instaurasse un’altra
dittatura, questa non potrebbe essere separata dai fondamentali principi di
produzione e di distribuzione prevalenti nella società.
2) Se il tempo di lavoro non è
la misura diretta della produzione e della distribuzione, ma l’attività
economica è regolata soltanto da un «ufficio di statistica» che determina la
"razione" per i lavoratori, allora questa situazione comporta un
sistema di sfruttamento combinato.
Gli anarco-sindacalisti sono
incapaci di rispondere adeguatamente alla questione della distribuzione. Questo
punto è affrontato solo in un’occasione, nella discussione sulla
ricostruzione economica apparsa in «L’Espagne antifasciste» dell’11
dicembre 1936:
"In caso s’introduca un
mezzo di scambio – che non potrà avere alcuna somiglianza con il denaro
attuale e che servirà soltanto a semplificare lo scambio –, sarebbe
amministrato da un 'Consiglio del credito'".
La necessità di un’unità di
conto – che permetta la valutazione dei bisogni sociali e che serva in tal
modo anche da misura del consumo e della produzione – è completamente
ignorata: i mezzi di scambio hanno solo la funzione di semplificare il processo
di scambio. Come ciò si realizzi, resta un mistero. Nessun cenno è fatto circa
la misura necessaria per esprimere il valore dei prodotti con tali mezzi di
scambio; non s'indica alcun criterio per accertare i bisogni delle masse, se
attraverso i Consigli di fabbrica o le organizzazioni di consumatori, oppure
attraverso i tecnici degli uffici amministrativi. Per contro,
l’equipaggiamento tecnico dell’apparato produttivo viene descritto in
dettaglio. Così, gli anarco-sindacalisti convertono i problemi economici in problemi
tecnici.
In proposito c’è una stretta
relazione tra gli anarco-sindacalisti e i bolscevichi; il loro interesse
principale è incentrato sull’organizzazione tecnica della produzione. La sola
differenza tra le due concezioni è la maggiore ingenuità dei primi. Gli uni e
gli altri tentano di eludere la questione dell'elaborazione di nuove leggi
economiche. I bolscevichi sono in grado di rispondere concretamente soltanto
alla questione dell’organizzazione tecnica, che significa una centralizzazione
assoluta sotto la direzione di un apparato dittatoriale. Gli
anarco-sindacalisti, d’altra parte, nel loro desiderio «d’indipendenza
della singola impresa», sono pur essi incapaci di risolvere questo problema. In
realtà, quando tentano di farlo, sacrificano il diritto all'autodeterminazione
degli operai.
Il diritto
all’autodeterminazione degli operai nelle fabbriche e nelle imprese, da un
lato, e dall’altro una gestione centralizzata della produzione sono
incompatibili finché i fondamenti del capitalismo – il denaro e la produzione
di merci – non saranno stati aboliti e un nuovo modo di produzione, basato sul
tempo di lavoro sociale medio, non li avrà sostituiti.
Per realizzare questo fine gli operai non devono contare sul’aiuto dei partiti ma soltanto sulla propria azione autonoma.