INTERVENTO DI ALCUNI COMPAGNI E COMPAGNE
DI ZONA INDUSTRIALE IN MERITO
ALL'ASSEMBLEA PUBBLICA DELLA LIBERA
UNIVERSITA DI CONTROPIANI
SUL MONDO DEL LAVORO A
BOLOGNA
ALCUNI
DATI
“La
protagonista assoluta dello scenario regionale è sempre l’industria
manifatturiera”......La disoccupazione nell’ultimo trimestre 2000 è scesa
dal 4,6 al 4,5 (a Bologna nel 1999
era del 3,3 %) con un aumento dei lavoratori proveniente da fuori regione ed
extra comunitari...i nuovi lavori a tempo determinato rappresentano il 70% delle
nuove assunzioni, ma nell’arco di tre anni si stabilizzano nel 93% dei casi.
La percentuale degli atipici sul totale era nel 99 il 15,4% sul totale
dell’occupazione. La maggior occupazione è nel terziario ma nell’industria
la media è al di sopra del nazionale. La variazione della occupazione nei vari
settori è stata la seguente:
Settore |
1998 |
1999 |
2000 |
Agricoltura |
0,9 |
0,0 |
1,7 |
Industria |
1,5 |
1,6 |
2,2 |
Terziario |
0,1 |
2,8 |
2,6 |
Nella
distribuzione la parte da Leone la fa sempre più la grande distribuzione che
raggiunge il 50 % dei metri quadri della superficie di vendita.
Dati
tratti da: RAPPORTI DEL SOLE 24 ORE LUNEDI 26 GIUGNO 2000
Per
quanto riguarda l’immigrazione i lavori loro offerti in Italia sono:
Conciatori |
Fonderie |
Ind.
Legno |
Facchinaggio |
Edilizia |
Operai
ind. Plastiche |
Minatori |
Ass.
Sanitari |
Lavapiatti,
camerieri |
Macellazione |
34,4 |
32 |
30,8 |
30,4 |
30,1 |
29,8 |
29,1 |
29,1 |
26,3 |
23,6 |
Dati
tratti da Il Resto del Carlino, Martedì 3 ottobre 2000.
Occupati
per settore di attività Bologna:
Settore |
1997 |
1998 |
Agricoltura |
5% |
5% |
Industria |
32% |
34% |
Terziario |
63% |
61% |
Dati
tratti da: ECONOMIA BOLOGNESE Rapporto Semestrale, edito da CCIA Bologna
E’
da considerare che i lavoratori delle cooperative inseriti nel ciclo di
“produzione” aziendale, come la logistica della Bonfiglioli gestita da TNT
Traco, sono considerati lavoratori
dei servizi (sempre alla Bonfiglioli viene applicato il contratto commercio).
INDUSTRIA
E CLASSE OPERAIA A BOLOGNA
Abbiamo
riportato alcuni dati necessari a sviluppare il dibattito. Parlando ad un
dibattito sulla deindustrializzazione a Bologna ci sembrava necessario far
riflettere sul fatto che, nonostante la chiusura e ristrutturazione di alcune
fabbriche, l’economia cittadina è fortemente incentrata sull’industria, con
un notevole aumento della forza lavoro immigrata, precarietà e lavori di bassa
qualifica. Da questo emerge una centralità del settore industriale da un punto
di vista puramente “quantitativo”, cioè del numero di persone che vi lavora
e come settore in continuo sviluppo. Risulta essere ancora più importante se si
considera che l’estrazione del plusvalore avviene proprio nella produzione, e
che è il settore innovativo e sperimentale per l’introduzione di nuovi
modelli organizzativi, cioè dei modi per spremere sempre più gli operai. Solo
qualche esempio: il lavoro interinale è stato introdotto per primo
nell’industria per le basse qualifiche e adesso si fa strada anche nei
servizi. Il modello di produzione Taylorista, che ormai caratterizza la maggior
parte delle industrie (corretto con i nuovi paradigmi giapponesi, vedi in
proposito il numero 1 di Zona industriale), lo ritroviamo nella organizzazione
dei call center. Assistiamo quindi ad una estensione del modello produttivo
della fabbrica, ad una forte proletarizzazione di alcune fasce sociali, e alla
crescita della immigrazione che trova lavoro in questo contesto. Questo apre
spazi per un intervento politico teso a trasformare in senso rivoluzionario le
contraddizioni fra capitale e lavoro, cogliendo in primo luogo le forme di
conflitto che oggi gli operai esprimono, sia pure come forme, attualmente,
puramente resistenziali, come il seme per un allargamento del potere operaio.
Nel
ricercare e promuovere le potenzialità rivoluzionarie degli operai non ci
affidiamo alla ricerca di un soggetto come potrebbe essere l’operaio massa, o
il lavoratore autonomo di terza generazione, ma constatiamo:
la potenzialità della classe dategli dall’essere inserita nella produzione di
plusvalore o nella circolazione di questo, a cui si contrappone quindi la
possibilità di arrestare il meccanismo principale di funzionamento della società
capitalista, l’accumulazione di capitale;
le condizioni di sfruttamento che la classe operaia deve subire come mera
venditrice di forza lavoro;
la socializzazione di medesime condizioni di lavoro e di “vita”, che portano
gli operai a riconoscersi e agire come classe;
l’incapacità crescente della concertazione e del sindacato, per oggettivi
motivi di fase dell’accumulazione o ciclo congiunturale, di ottenere dalla
contrattazione seri guadagni per gli operai, ovvero la crisi sta riducendo gli
spazi di contrattazione assieme ai salari reali (vedi le ultime dichiarazione di
D’Amato disposto ormai a scendere in guerra per scardinare gli ultimi
“privilegi” rimasti ai lavoratori a tempo fisso);
L’INCHIESTA
OPERAIA
Da
questa analisi può partire un intervento che utilizza l’inchiesta operaia
come strumento militante. Cioè uno strumento usato dagli stessi operai
(politicizzati o semplicemente più incazzati se si vuole) per costruire un
tessuto militante, con lo scopo di amplificare le lotte, di fornirvi strumenti
pratici di azione e di controinformazione, a partire dallo studio della
organizzazione e della divisione sociale del lavoro, delle condizioni di lavoro
e di vita nei quartieri, cioè da ciò che è stato genericamente definito
“esperienza proletaria”. Non occorre inventare nuove quanto vuote
terminologie per superare il momento di stasi delle lotte proletarie, occorre
rivalutare e attualizzare le esperienze che meglio hanno saputo mostrare la
capacità creativa e rivoluzionaria della classe operaia. Terminologie come
globalizzazione, o migranti, o inchiesta metropolitana, sono usate con la
convinzione che oggi parlare di imperialismo emigrazione ed immigrazione e
inchiesta operaia sia fuori moda, e si va alla ricerca di novità incapaci di
rispecchiare la realtà. Per questo vogliamo citare Montaldi nella introduzione
al libro “l’operaio americano” di Paul Romano, pubblicato dal gruppo
americano Correspondence e tradotto in Italiano su Battaglia Comunista a partire
dal febbraio 1954 “....l’operaio è innanzi tutto un essere che vive nella
produzione e nella fabbrica capitalista prima di essere l’aderente di un
partito, un militante della rivoluzione o il suddito di un futuro potere
socialista; ed è nella produzione che si forma tanto la sua rivolta contro lo
sfruttamento quanto la sua capacità di costruire un tipo superiore di società,
la sua solidarietà di classe con gli altri operai e il suo odio per lo
sfruttamento gli sfruttatori, i padroni classici di ieri e i burocrati
impersonali di oggi e di domani....”
L’inchiesta,
quella che ci interessa, anche se fatta in città deve avere un connotato
sociale e deve avere uno scopo rivoluzionario, per cui la chiamiamo operaia non
“metropolitana” e ci riteniamo militanti e non sociologi.
LA
RETE OPERAIA E ZONA INDUSTRIALE
Il
collettivo Rete Operaia può essere considerato una rete di militanti più che
una organizzazione in senso formale, per cui esiste una prospettiva comunista da
vedere nel quotidiano, nelle lotte che contrappongono i proletari al capitale.
L’inchiesta si concretizza in strumenti: Zona Industriale, foglio operaio
territoriale, volantini, bollettini aziendali, opuscoli, riunioni e
partecipazione attiva a momenti di lotta.
Ci
si propone di essere uno strumento di supporto alle lotte e di coordinamento fra
lavoratori; studiare l’organizzazione del capitale per usarla contro i
padroni, indicandone i punti deboli. In questo ci viene utile la “mobilità”
che alcuni compagni hanno come lavoratori precari, che ci permette di entrare in
contatto con molti realtà lavorative.
Alcune
considerazioni su come la crisi e la proletarizzazione abbiano ristretto i
margini di contrattazione che avevano prima i sindacati, ci hanno spinto a non
utilizzare il modello sindacale, con vertenze e rivendicazioni, non solo da un
punto di vista politico ma anche come agire coerente dentro l’attuale società
capitalista. Il problema principale è allargare “spazi di potere” dove
possibile, e sviluppare autonomia proletaria. Esempi di come i sindacati abbiano
perso terreno possono essere sia la vicenda della Casaralta, che ha visto
fallire per la prima volta la concertazione fra padronato sindacato e
istituzioni locali nel tentativo di salvare il salvabile di quella fabbrica, e
l’incapacità dei sindacati di offrire alcunché di interessante per le nuove
generazioni di operai precari.
Naturalmente
i Padroni non stanno a guardare, in momenti difficili dove il recupero del
profitto si appoggia anche sul borbandamento ideologico da parte padronale per
impaurire e coinvolgere gli operai nella splendida organizzazione di fabbrica su
turni, ritmi altissimi e morti sul lavoro, una voce di dissenso politico va
repressa. Con questa ottica il padrone della Bonfiglioli ha chiamato la Digos in
fabbrica per “scoprire” chi aveva distribuito Zona Industriale, facendo
pressione su alcuni sindacalisti e operai perchè facessero i delatori. Alla
Ducati-Motor il sindacato ha creato un clima di -terrore- dicendo che vi erano i
“terroristi” in fabbrica. Per finire alcuni compagni della Rete Operaia sono
stati accusati di aderire alla ricostituzione delle Brigate Rosse, l’inchiesta
si è chiusa in un flop galattico. Questa reazione così forte è il segno della
debolezza del capitale, che non può permettersi un minimo tentativo di
costruzione dell’organizzazione autonoma operaia.
zona industriale 2001