Per
una comparazione tra orari contrattuali e di fatto nell'industria (fine anni 60
anni 90)
Cercheremo
in questo articolo di dimostrare come non possa esistere nessuna parola
d’ordine miracolosa per invertire i rapporti di forza tra le classi, e come
sia molto più interessante osservare per agire nei confronti dell’attuale
sistema di produzione capitalista piuttosto che ipotizzare in maniera
volantarista soluzioni indipendenti dall’attuale scontro di classe. Fornire
liste delle spesa sperando che la classe, si “ricomponga”, sentendo queste
parole miracolose, è una pia illusione. Questo vale, ovviemente, anche per i
cosidetti portatori di “coscienza di classe”, che si dimenticano che non ha
importanza ciò che il proletariato pensa ma ciò che il suo essere lo costringe
a fare.
In
questo periodo abbiamo la consapevolezza di non poter creare grandi
organizzazioni. In un periodo di scarso fermento sociale, figlio di una fase in
cui la crisi economica non può ancora manifestarsi nella sua interezza sociale,
la ricerca del numero e del realismo politico si tramuta in accodiscendenza
verso i padroni. E’ per questo motivo che osserviamo con maggior interesse i
fenomeni spontanei della lotta di classe, la relativa composizione, la loro
capacità di dare un nuovo contenuto alle lotte piuttosto che autoproclamarci
sindacato o avanguardia. Magari è improprio parlare di lotte, ma il vedere e il
dare forma alla sotterranea resistenza dei lavoratori contro i padroni, ed
allargare l’odio di classe, è per noi l’unico terreno possibile
dell’agire “politico” dei lavoratori.
Anche
se attualmente non è visibile una comunità proletaria attiva, questo non
toglie che esista “anche se ferma”. All’interna di essa il ruolo dei
militanti è quello di operare dove esistono delle fratture sociali,
partecipando e fornendo gli strumenti sia pratici (giornali, solidarietà,
ecc..) sia analitici. In questi momenti di “frattura sociale”, al di la
degli esiti della lotta, i lavoratori sperimentano altre forme di socialità e
organizzazione.
L’assenteismo
Un
aspetto che ci preme rilevare è l’utilizzo operaio dell’assenteismo. Tale
pratica rompe il produttivismo padronal-sindacale e fa si che tale fenomeno sia
difficilmente avvallato dai burocrati. Esso è utilizzato da alcuni settori di
classe, non per la pressione di un qualche gruppo dirigente di partito, ma per
il bisogno concreto di difendersi dai ritmi e dalla vita alienante e defaticante
dell’azienda. Le manifestazioni di disaffezzione al lavoro, come
l’assenteismo, non sono il risultato di un programma di qualche gruppo
politico, ma la diretta conseguenza dei rapporti sociali. E’ per questo che
tali pratiche possono essere osservate nei lavoratori di “sinistra” come
quelli di “destra”, e come sia stata ed è ancora possibile una
radicalizzazione di fette di lavoratori che fino al giorno prima erano state
definite “imborghesite”. Insiatiamo in definitiva che la lotta di classe sia
prima di tutto una risultante dei rapporti sociali e non della cultura.
Lotte
o leggi
Un
ultimo aspetto importante di questa ricerca è il rapporto debolissimo che
esiste tra il diritto e i rapporti di forza. Non ci sarà mai per decreto legge
una diminuzione dell’orario che favorisca i lavoratori, se questa non viene
avallata da un potere reale che i lavoratori esercitano sui posti di lavoro. La
legge in questo caso sarvirebbe per rincorre il potere esercitato dai lavoratori
e per affievolire la pressione diretta che questi esercitano sulla società. In
assenza di una pressione da parte della classe l’introduzione per via legale
di un migliormamento delle condizioni dei lavoratori sarebbe dettato da una
politica pianificata del padronato, per attutire i contrasti di classe e per un
bisogno oggettivo della produzione.
Nello
specifico
Quello
che è avvenuto in Italia è una continua divergenza tra orari contrattuali e
orari di fatto. Lo scopo di questa scheda è quello di descrivere le ragioni di
questa divergenza e il ruolo delle diverse componenti dell'orario di fatto nel
determinarla (1). Le componenti dell'orario di fatto sono:
L'orario
contrattuale +
Gli
straordinari +
Le
assenze dal lavoro -
La
cassa integrazione guadagni - (2)
Dalla
somma algebrica di queste componenti in cui ovviamente tutti i termini devono
essere espressi pro-capite, deriva l'orario di fatto medio, la ricerca non
prendeva in considerazione il part-time, in quanto la sua incidenza nella grande
industria era molto modesta.
I
primi anni 70
Nei
primi anni70 la dinamica degli orari di fatto seguiva quella degli orari
contrattuali, anzi, la diminuzione degli orari di fatto era ancora più forte di
quella degli orari contrattuali (il passaggio dalle 44 alle 40 ore settimanali).
Questo poteva essere imputato a due fattori: l'aumento dell'assenteismo, che
prima del 1969, l'anno dell'autunno caldo, era sugli stessi livelli di intensità
della metà degli anni 80; la diminuzione degli straordinari, che alla fine
degli anni 60 inizio dei 70, erano allo stesso livello della seconda metà degli
anni 80. Sia l'assenteismo che la diminuzione degli straordinari rappresentavano
in modo evidente una vivacità sociale che si formalizzava in una rete di
'comportamenti autonomi di classe' ossia nella capacità dei lavoratori di
muoversi in maniera indipendente dai partiti e dai sindacati. Questo non
avveniva secondo una formalizzazione di un programma politico rivoluzionario, ma
si innescava nella pratica di lotta dei “nuovi” rapporti sociali. Bisogna
tuttavia osservare che queste lotte rappresentavano una risposta alla
ristrutturazione e che, il più delle volte, queste erano incapaci di legare
momenti di organizzazione diretta di classe tra grandi distretti produttivi e la
rete multiforme della piccola media impresa in Italia. Tutta la letteratura
apologetica che si produsse in
quegli anni, inoltre, non si accorse delle difficoltà intrinseche che il
periodo storico stava attraversato.
Il
minimo dell'orario di fatto venne toccato nel 1975 in coincidenza con il livello
minimo degli straordinari, con livelli quasi massimi dell'assenteismo e con un
primo massimo relativo della CIG, oltreché ovviamente con una forte riduzione
dell'orario contrattuale.
Per
rendere più esplicativo il periodo si può analizzare brevemente il caso del
Petrolchimico di Marghera(3), famoso in Italia per le aspre lotte sociali e le
forme autonome di lotta e organizzazione. Gli operai di Marghera avevano
conquistato attraverso un vero ribaltamento dei rapporti di forza una riduzione
d'orario che veniva concessa dal padrone informalmente, cioè non riconosciuta
legalmente. Nello specifico agli operai veniva concesso, dopo la pulizia delle
macchine, di andare
a casa. Il tempo per pulire una macchina era stato pattuito in un’ora, mentre
in realtà per pulire i macchinari si aveva bisogno di soli 10 minuti. Il
padronato locale, quindi, sapeva benissimo che avrebbe perso del tempo, tuttavia
il rapporto di forza era tale che aveva dovuto concedere una riduzione reale del
tempo di lavoro. Questo era un elemento di forza e di debolezza allo stesso
tempo. Un elemento di forza, per la capacità di superare il blocco legale e
sindacale e di imporre al padrone, con un puro rapporto di forza (di classe), i
propri ritmi. Un elemento di debolezza, visto che il padronato non poteva
rendere legale quella 'concessione' senza incorrere in una guerra frontale con
la CONFINDUSTRIA. Come abbiamo ricordato prima molto andrebbe detto sulla
disparità del conflitto sociale avvenuto all’interno delle grandi imprese,
che vivevano un primo periodo di esternalizzazione, rispetto alle piccole
imprese che iniziavano ad ampliarsi. Un altro dato da non sottovalutare fu
l'aumento, in questo periodo, di fenomeni come il doppio lavoro, che visto con
disincanto, rende più contraddittorio il periodo sopra descritto. Tuttavia
rimane evidente che esistevano strati operai più combattivi, che si
allontanavano da altre attitudini e interessi conservatori, l'organizzazione
autonoma si sviluppava proprio in questi settori, ma non si poteva certamente
parlare di condizioni favorevoli per una organizzazione operaia,
che fosse tesa a riunire i comportamenti autonomi e organizzativi degli
strati operai che avevano un comportamento più duro. Vani, ed in alcuni casi
reazionari, saranno i tentativi ipervolontaristi di centralizzare queste
manifestazioni di autonomia di classe, arrivando a negare i presupposti
dell’autonomia dei lavoratori per ritornare in un più semplice e
avanguardista schema leninista: il partito comanda la classe esegue.
Ritornando
al tema del paragrafo si poteva registrare tra il 1972 ed il 1975 una riduzione
in termini contrattuali pari circa a 100 ore, mentre gli straordinari, che nel
biennio 1972-1973 erano intorno alle 70 ore annue, non superarono per tutta la
seconda metà degli anni 70 le 45 ore.
Dal
75 agli anni 80
Dal
1976 al 1984, mentre gli orari contrattuali restano sostanzialmente costanti, si
registrano oscillazioni abbastanza contenute degli orari di fatto.
Vi
è una oscillazione dell'assenteismo. Infatti al minimo relativo nel 1978
corrisponde il massimo relativo degli orari di fatto e, viceversa al nuovo picco
dell'assenteismo nel 1979 corrisponde un nuovo minimo dell'orario di fatto. Un
ruolo, in questa crescita e riduzione, lo giocano anche le limitate e
corrispondenti diminuzioni ed aumenti della CIG. Questo si verifica anche tra il
79 e l984 in relazione al ciclo economico e agli imponenti processi di
razionalizzazione. Andando sullo specifico, tra il 79 e l983, le assenze di
lavoro passano da una media di circa 290 ore annue pro-capite a 150, tuttavia,
le ore di fatto rimangono su valori medio bassi, tra 1500 e 1550 ore annue del
periodo precedente. Si vede come l'introduzione della CIG abbia influito sulla
riduzione degli orari di fatto, infatti in quel periodo la CIG aumenta da circa
40 ore annue pro-capite a quasi 140 risultando più che triplicate. La massima
incidenza della CIG, nell'intero periodo di osservazione, verrà comunque
raggiunto nel 1984, toccando un livello che, almeno per l'industria nel
complesso, non verrà toccato neanche nella recessione dei primi anni 90.
Dall'83
al 90 gli orari di fatto mostrano un forte aumento fino ad un massimo nel
biennio 1986-89, per poi tornare a diminuire negli anni successivi, anche se
l'orario contrattuale diminui gradualmente grazie alla conquista di ulteriori
riduzioni d'orario a titolo di monte ore annuo di permessi retribuiti, che in
realtà non si traducevano in riduzioni d'orario effettive.
La
crescita degli orari di fatto corrispondeva ad una riduzione della CIG procapite
dal livello massimo dell'84 al punto minimo dell'89 e alla contemporanea
crescita degli straordinari fino ad un massimo nello stesso anno. Entrambi i
fenomeni erano legati sia al riassorbimento delle conseguenze della fase di
ristrutturazione e razionalizzazione 'intensiva' dei primi anni 80 sia alla
forte fase espansiva del periodo 85-90.
Si
verificò il crollo dell'assenteismo e le relative riduzioni contrattuali
d'orario su base annua, successive al 1985, non ebbero effetti pratici, ma
furono conquistati come permessi retribuiti in un ammontare medio di circa 70
ore annue pro capite.
Si
assiste ad un cambio vertiginoso in Italia negli anni 80, con la riduzione
dell'assenteismo, il calo vertiginoso degli scioperi ed indirettamente il mutato
clima nelle aziende (oltre alla repressione poliziesca e alle buone uscite
padronali per i facinorosi). L'attenuarsi del conflitto sociale e la relativa
pressione sull'occupazione che aveva caratterizzato la fase di ristrutturazione
e di recessione degli anni ottanta, va legata alla fine della scala mobile e
all'imponente razionalizzazione di questo periodo dell'apparato industriale. L'esternalizzazione
produttiva, come l'espulsione dalla grande fabbrica, crearono una nebulosa di
proletari, che in un clima di atomizzazione e di precarietà sociale montante,
rese più difficile la percezione di una “esperienza proletaria”. I
lavoratori si trovarono a confrontarsi reciprocamente in maniera conflittuale,
recidendo quei legami di solidarietà e desertificando quell'universo di
relazioni che si erano date nell’ “azione collettiva” della forza-lavoro
industriale. La perdita della visibilità operaia, legata allo smembramento
delle cattedrali industriali, portava ad una “mezzanotte del secolo”
teorico-progettuale. Vi fu, inoltre, una riduzione dell'occupazione, figlia di
un ciclo di investimenti in innovazioni in concomitanza con una fase economica
recessiva: “L’espulsione dei lavoratori, l’origine dell’esercito
industriale di riserva, non è causata dal fatto tecnico dell’introduzione
delle macchine, ma dalla valorizzazione insufficente. I lavoratori vengono
espulsi non perchè essi vengono soppiantati dalle macchine, ma perchè a un
certo livello dell’accumulazione di capitale il profitto diviene troppo
piccolo e dunque non rende” H.Grossmann in “La legge dell’accumulazione e
del crollo del sistema capitalistico” edizioni Jaca Book, Milano, 1970. Tutto
questo avveniva con un forte rialzo dei tassi di interesse reali ed in presenza
di una rapida obsolescenza dei macchinari legata ai nuovi ritmi del progresso
tecnico. Tale situazione determinava una accresciuta convenienza ad una
utilizzazione 'spinta' degli impianti e, quindi, al prolungamento dell'orario
attraverso l'aumento degli straordinari e un più rigido controllo
dell'assenteismo, ottenuto anche per via normativa. Si aveva la tenuta del
sindacato confederale e la caduta verticale di ogni ipotesi di organizzazione
autonoma stabile, i comportamenti autonomi erano per lo più invisibili e vi era
una cronica incapacità di saper dare forma alle poche manifestazioni di
rottura.
Gli
anni 90
La
fase recessiva dei primi anni 90 (-5,5%, la produzione industriale nel 1993
rispetto al 1990) è coincisa con una riduzione degli orari di fatto, in ragione
all'aumento della CIG e alla diminuzione degli straordinari. L'elemento centrale
in questo periodo non è l'assenteismo, ma la CIG. Nel 1993 nella grande
industria, la CIG arriva al suo massimo storico (143 ore annue pro capite). Ciò
non si verifica, invece, nel complesso dell'industria, dove evidentemente, le
forme sostitutive alla CIG di lungo periodo (mobilità lunga, prepensionamenti)
hanno avuto più importanza. Inoltre si verifica una estensione dei ritmi
rispetto ai tempi produttivi, si arriva infatti al just in time. Nel 94, in
Italia viene meno per la prima volta una caratteristica considerata strutturale
della disoccupazione: l'essere costituita per la grande maggioranza da giovani
in cerca di prima occupazione. Questa caratteristica ha fatto si che fino ad ora
la disoccupazione fosse per
gran parte a carico delle famiglie e che gravasse solo parzialmente sulla
spesa pubblica. Questa forte crescita dei disoccupati adulti è sicuramente
dovuta al fatto che nelle precedenti fasi di crisi, una parte della
disoccupazione restava occultata nella CIGS di lunga durata, la quale consentiva
di mantenere uno status, anche se spesso fittizio, di lavoratore dipendente
occupato. Con l'introduzione dell'istituto dell'indennità di mobilità le
stesse figure, prima considerati disoccupati perchè in cassa integrazione, si
manifestano come disoccupati. Una parte rilevante della mobilità lunga viene
usata come accompagnamento all'età del prepensionamento, un prepensionamento
anticipato; un’altra è il frutto di una vera e propria disoccupazione,
risultato della crisi che ha investito le medie e piccole imprese. A questo si
aggiunge un continuo proliferare di normative che favoriscono i contratti a
tempo determinato per i nuovi assunti e una relativa diminuzione dei lavoratori
a tempo indeterminato dovuta anche ai
prepensionamenti. Il monte ore varierà secondo le esigenze dei modelli
di programmazione della produzione, che impongono sempre piùflessibilità.
E'
interessante notare che nella grande industria al massimo storico della CIG non
corrisponde affatto un minimo degli straordinari, che rimangono nel 1993 su
valori piuttosto elevati (lo stesso del 1987, anno ben diverso dal punto di
vista del ciclo economico). Il sistema produttivo sembra quindi funzionare con
più straordinari e più cassa integrazione, situazione che sembra essere il
corollario perfetto per la produzione just in time.
Le
recenti manovre contrattuali introdotte nel contratto metalmeccanici da padroni
sindacati e governo favoriranno sempre più questa direzione, grazie al
meccanismo della cosidetta “banca ore”.
Alcune
conclusioni
Come
abbiamo visto la Cassa integrazione ha una influenza molto rilevante sulla
dinamica degli orari di fatto così come rilevati dall'indagine ISTAT sulla
grande industria. Negli anni 70 quando la CIG era ancora su livelli medio bassi
(al di sotto delle 50 ore medie annue pro capite) l'andatura degli orari di
fatto e quella stimata al netto della CIG hanno un andamento sostanzialmente
coerente, cioè al crescere della CIG diminuiva l'orario di fatto. Dal 1979 vi
è una scissione, la CIG è in aumento costante, fino all'88, mentre per il
periodo 79-84 vi è una riduzione dell'assenteismo, come effetto anche dei
timori per la perdita del posto di lavoro, e nel periodo 84-88 si assiste
prevalentemente all'aumento degli straordinari, per cui, la crescita delle ore
di CIG non ha inciso sugli orari di fatto. Nel periodo 90-93, in connessione ad
un periodo di grave crisi, si registra un aumento delle ore di fatto (al netto
della CIG), nonostante che diminuiscono anche gli straordinari. Si rende di
nuovo evidente, come era avvenuto precedentemente nel periodo 80-84, come in un
periodo di crisi, il timore per il posto di lavoro fa diminuire le assenze.
La
scissione tra orari di fatto e orari contrattuali è la migliore dimostrazione
della debolezza di una qualsiasi proposta in campo legale a cominciare dalla
proposta per le 35 ore. Sono è saranno sempre i rapporti di forza a muovere la
bilancia degli interessi di classe, e credere che per via legale sia possibile
pormuovere una legge tesa a migliorare la condizione operaia è puro
velleitarismo. Anche l’insistere sulla riduzione d’orario come possibile
momento di riunificazione dei lavoratori ci appare riduttivo e pericoloso, visto
che, in altre nazioni, i padroni hanno utilizzato benissimo la riduzione
d’orario per assecondare la flessibilità. Dalla capacità di una lenta e
articolata risposta di classe si può determinare una diminuzione d'orario. Le
ipotesi di intervento e di azione sono però veicolate dalle attuali
manifestazioni del conflitto sociale e non da manifestazioni virtuali di
consenso politico-sindacale.
Si
arriva forse a preferire più ore di lavoro e più salario, rifiutando una
diminuzione del lavoro e la relativa flessibilità produttiva, tuttavia i tempi
di vita non sono secondari in quelle sotterrane manifestazioni di non
addomesticamento della classe lavoratrice.
Se
per i lavoratori il salario rimane ovviamente l'obiettivo principale, non si
deve dimenticare una “nuova” risposta sui ritmi di lavoro: le tecniche di
sabotaggio dell'orologio interno alle macchine per il conteggio dei pezzi, alle
mutue pianificate, alla rigida applicazione degli ordini produttivi che se
rispettati a norma creano scompensi per l'azienda visto i livelli burocratici
dell'organizzazione del lavoro, all’utilizzo della mutua di sabato in quelle
fabbriche che avevano introdotto il sabato lavorativo.
Note:
(1)
Per fare questa comparazione abbiamo utilizzato dati presi dalle statistiche
ufficiali e da materiali dei sindacati metalmeccanici.
Circoscriveremo
l'analisi di questa ricerca alla grande industria, sia per la quantità di dati
in possesso sia per il settore tradizionalmente preso ad 'avanguardia' del
movimento sociale.
(2)La
CIG è uno strumento tipico del welfarestate italiano. In casi previsti dalla
legge come: forza maggiore, crisi di mercato e ristrutturazioni aziendali i
padroni possono concordare con i sindacati un periodo parziale o totale ”a
zero ore” di sospensione dal lavoro. Durante questo periodo il lavoratore
percepisce l’80% del salario ”perduto”, pagati dalla CIG e i contributi
previdenziali.
Questo
permette ai padroni di far fronte facilmente ad una riduzione della produzione
momentanea grazie ad un immediato recupero finanziario e in caso la sospensione
segue in un ”licenziamento collettivo” la CIG rappresenta un vero e proprio
”sussidio di disoccupazione” con tutti i risvolti di pacificazione sociale
legati a questo tipo di misure sociali.
(3)
All’interno del complesso petrolchimico si svilupperà uno dei primi comitati
operai poi sviluppatosi nelle Assemblee Autonome di Porto Marghera.
Successivamente, nel 1974, si inizierà a pubblicare Lavoro Zero, e diventerà
l’espressione degli ex di Potere Operaio in Veneto. Questa perdità di
indipendenza, a vantaggio di una presunta “radicalità” politica rappresentà
per noi un passo indietro rispetto alla pratica dell’autonomia proletaria. La
classe ha nel suo continuo combattere contro le leggi dell’economia un altro
nemico: il politicismo. Il politicismo è un momento di divisione in gruppi
correnti ecc... Il perchè di questa perdità di autonomia è da legarsi ad un
generale riflusso delle lotte ed a una rinnovata capacità del capitale di
contrastare l’autonomia proletaria. Si può richiedere del materiale storico
sull’esperienza di Porto Marghera contattando Precari Nati.
(4)
Noi vediamo il processo di precarizzazione della forza lavoro un dato costante,
proprio di questa specifica fase sociale. Siamo consapevoli delle varianti del
piano capitalista rispetto alla modificazione del tessuto produttivo flessibile
in merito alle tendenze al decentramento o alla concentrazione produttiva, cosa
che evità facili pressapochismi o deliranti ipotesi che vedono il ruolo della
fabbrica finito in
questa società o una relativa precarizzazione di massa generalizzabile. E’
tuttavia evidente il livello di conentrazione accellerata di capitali.
Pino
Tagliazucchi, Piccolo è stupido, processi di centralizzazione del capitale:
fusioni e acquisizioni, La città del Sole, 1999, Napoli. Paolo Giussani, Un
mondo nuovo o un mondo di nati ieri?, Altreuropa, ott-dic 1996. V.Grisi, Il
fascino discreto del post-fordismo, Collegamenti Wobbly, 4-5 1997-1998. M.Donato
G.Pala, La catena e gli anelli, divisione internazionale del lavoro, capitale
finanaziario e filiere di produzione, La Città del Sole, 1999, Napoli