La lotta operaia del blocco FIAT

La vertenza FIAT sta tenendo banco da diverse settimane, gli operai ritornano ad occupare le prime pagine dei giornali e dei programmi TV.
Si susseguono manifestazioni, continui blocchi di autostrade, ferrovie, e aeroporti, cortei nazionali e comizi in molte piazze italiane. Gli operai oggi che si ritrovano nelle manifestazioni, nei picchetti, sono una galassia composita che raccoglie vecchi operai consumati dal lavoro, ma decisi a difendere il proprio salario, e giovani, storditi da un futuro che gli veniva descritto di benessere e che invece trovano precario. Le immagini televisive più volte inquadrano le braccia di questi operai, le articolazioni primarie del lavoro manuale. Braccia incrociate, braccia e mani che tengono bandiere, cartelli, reggono striscioni, a pugni alzati, non più rinchiusi dentro mortifere assemblee di partito o con in mano un telecomando, inebetiti dall’ultimo quiz televisivo.
Le assemblee si susseguono, di fronte ai cancelli, o dentro le camere del lavoro. Avvengono meccanismi di politicizzazione e autorganizzazione di massa, inimmaginabili fino a poco tempo fa. Il Coordinamento delle donne di Termini Imerese, ne è una prova. Può far ridere leggere qui in Emilia, che alla prima riunione delle donne di Termini, dentro la locale Camera del Lavoro della CGIL, l’assembla convocatoria fosse stata osteggiata da molti, in quanto la CdL della CGIL era la “casa dei comunisti”. L’assemblea si tenne con più di 80 donne, ed ora il comitato, nato spontaneamente davanti ai cancelli della FIAT di Termini, è uno dei soggetti più attivi e di supporto effettivo alla lotta degli operai FIAT. Gli stessi operai hanno sperimentato forme di lotta mobili, andando a incidere dove l’azienda produce. Il blocco di Melfi è uno straordinario esempio di intelligenza operaia, e di capacità di mobilitazione. A Torino un gruppo di operai ribelli ha organizzato blocchi delle linee della Punto, lottando contro la richiesta aziendale dello straordinario e del terzo turno. La Punto si produceva anche a Termini Imerese e la forma di solidarietà diretta di questi operai, osteggiati dalle burocrazie dei rispettivi sindacati, è stata più incisiva che le sfilate per Torino. Il sindacato ha criminalmente dato poco valore a questi scioperi e blocchi della produzione, rincorrendo ancora una volta la spettacolarizzazione della protesta a scapito dell’incisività della forma di lotta.

Fino ad un anno fa occupare i binari, le autostrade, era visto come una pericolosa attività terroristica che qualche estremista “sciamannato” proponeva per amore del casino, ora una tale azione extra-legale si è imposta grazie alla sua generalizzazione da parte di settori consistenti di classe operaia. Una simile pratica di lotta porta settori di classe operaia a confrontarsi con livelli repressivi più alti, inevitabili quando si sceglie di rendere le forme di lotta più incisive.
Gli operai hanno respinto e malmenato i giornalisti a Termini (era ora!), hanno subito provocazioni durante il corteo di Roma, trovandosi “cinturati” dalla polizia. E’ impietoso il balletto che tutti i politici fanno per la FIAT, desiderosi di voti, ma tutti attenti a non disturbare i manovratori. Nel caso della destra poi, assistiamo a padroni che utilizzano questa vertenza contro altri padroni per accaparrarsi ricchezze e nuove aziende (vedi in proposito il tentativo di Berlusconi di strappare il Corriere della Sera alla cordata legata alla FIAT).
Vi è stata inizialmente una diversificazione della lotta tra gli stabilimenti al Nord e quelli al Sud, dovuta ad una diversa situazione sociale legata al problema della disoccupazione.
La radicalità degli operai siciliani ha contagiato tuttavia le manifestazioni operaie al Nord. I blocchi degli aeroporti, delle strade, delle ferrovie, si susseguono.
La vivacità operaia ha provocato sussulti anche nelle aree alternative di sinistra. La galassia NO GLOBAL dopo aver teorizzato l’autoimpresa, la fine del lavoro operaio, si ritrova a dover rincorrere le mobilitazioni operaie1.
La vertenza FIAT si innesta in una situazione già calda, la spaccatura sindacale per il contratto metalmeccanici tra FIOM e FIM-UILM e la lotta per contrastare il Patto per l’Italia. In molti stabilimenti le stesse piattaforme aziendali sono separate, a Bologna abbiamo come esempio la GD e la Magneti Marelli.
Non ci dilungheremo a parlare dei motivi che hanno portato la FIAT a questa situazione, siamo convinti tuttavia che questa crisi non sia legata ad un singolo prodotto, ma rappresenti una spia di un processo generale di crisi del sistema di produzione capitalista che sta investendo le zone metropolitane del pianeta.

In Emilia le proprietà FIAT legate all’industria automobilistica sono diverse, dalla FERRARI di Modena ai trattori di Imola e Modena (New HOLLAND) ai due stabilimenti della MAGNETI MARELLI di Bologna, ecc..
Per non parlare dell’indotto legato a questi stabilimenti o ad altre ditte del gruppo FIAT.
La crisi del gruppo FIAT tocca a Bologna più di 80 lavoratori “espulsi” della MAGNETI MARELLI, e un numero imprecisato di lavoratori dell’indotto (si pensa a qualche centinaio).
La strategia della FIAT, del dividere le mobilitazioni e le ristrutturazioni azienda per azienda, vede gli operai di Bologna dividersi tra chi capisce l’importanza di unificare la lotta e una parte che continua una politica miope e supina di fronte alle scelte aziendali basandosi sulla triste logica: “tanto a me non mi riguarda… io non vengo licenziato”, la stessa cosa che pensavano, crediamo, la maggior parte degli operai ora in procinto di essere licenziati. Il ritardo con cui gli operai a Bologna e in Emilia si sono mossi conferma questo dato, vi è stato un solo blocco fatto dagli operai di Crevalcore (BO) della fonderia della Magneti Marelli e i tentativi di picchettare altre fabbriche si sono tramutati in un mezzo flop (come il blocco alla Ferrari), con una scarsa partecipazione ai picchetti. Se si esclude il generoso contributo di alcune avanguardie di fabbrica, presenti soprattutto alla New Holland di Modena, la capacità di mobilitazione è stata al di sotto del quadro nazionale.
Le manifestazioni organizzate al Motor Show di Bologna, hanno rincorso lo spettacolo mediatico, e al di la della clownesca “contestazione” organizzata dai Disobbedienti (pagando disciplinatamente il biglietto), le delegazioni operaie hanno conquistato a suon di ceffoni il diritto di entrare. Ma proprio l’attenzione per i media, ha depotenziato le forme di lotta, non toccando gli interessi produttivi della FIAT. Gli applausi che gli operai hanno avuto al Motor Show suonano alle nostre orecchie come una presa in giro.
A Bologna e più in generale in Emilia, le forme di ristrutturazione vengono percepite dalla classe in modo più soft, visto la tenuta del compromesso sociale, dato lo scarso numero di disoccupati. L’economia emiliana, vede ancora attestarsi l’occupazione su livelli alti.
Questo non nasconde i ritmi e turni massacranti, le paghe sempre più basse, ma sembra che finché c’è lavoro c’è speranza e quindi avanti a tirare la cinghia… 
L’andamento ancora favorevole dell’economia in Emilia non ci fa dimenticare che proprio in questa regione, la recessione potrà avere delle ricadute laceranti sul corpo sociale.
E’ semplice, chi è abituato ad avere tutto è maggiormente suscettibile ad agitarsi nel momento in cui gli tolgono delle garanzie sociali. In questo modo si possono leggere fenomeni come la radicalizzazione dei conflitti negli aeroportuali, nella scuola e più in generale nel pubblico impiego sul piano nazionale.
La rapidità con la quale il territorio emiliano e la relativa composizione di classe muta, stravolge in linea di tendenza le rappresentanze politiche storiche della classe in regione.
Il corpo centrale della classe operaia in Emilia, toccato dalla ristrutturazione, è legato alla mitologia sindacale e ripone in essa fiducia, sperando ancora nei margini di manovra. Realisticamente una tale visione l’assumiamo anche noi: la CGIL e i DS, al di là della crisi in cui versano in termini di progettualità, hanno una forza economica da riversare nelle trattative in atto. La stessa CGIL è cresciuta numericamente nelle recenti mobilitazioni. Questo tuttavia non nasconde il deficit rispetto al futuro, in cui versano simili strutture; la lotta contro il governo dei DS è strumentale al suo essere all’opposizione, mentre i programmi di fondo sono identici, lo stesso dicasi per la CGIL che antepone all’azione dei padroni, la concertazione. La battaglia del sindacato per l’articolo 18 è forse l’emblema di questo empasse: chiama a lottare gli operai, quegli stessi operai che in numero sempre maggiore sono contrattualmente già al di fuori dell’articolo 18. Questi aspetti specifici di critica alla sinistra ufficiale italiana non ci fanno dimenticare che queste formazioni sono criticabili non perché sono poco di sinistra ma in quanto strutture di sviluppo del capitalismo.

La Marelli di Bologna ha vissuto per anni tra la chiusura e il rinnovo, facendo ingoiare di tutto ai suoi operai che a sua volta autoisolavano le voci di dissenso, nel timore di disturbare il manovratore; peccato che il manovratore li stia buttando fuori uno ad uno, infischiandosene di quanti biglietti, gli zelanti passeggeri, avevano timbrato2. Comunque nulla è perduto, sono solo 80, e con una ritrita logica del dividere e comandare pensiamo che la ristrutturazione verrà governata, salvo felici novità dal fronte delle lotta di classe. 

Gli operai non si battono per la difesa del lavoro salariato, ma per la propria sopravvivenza. Al di la delle pilotate interviste che passano in TV, il lavoro salariato in fabbrica fa schifo, fa male al fisico, ed è di una noia mortale e non solo quella... Gli attuali processi di crisi tuttavia non si possono fermare, ma solo ribaltare sviluppando nuovi rapporti sociali. 
Bisogna evitare assolutamente forme autolesioniste, tipo scioperi della fame, incatenamenti, per diventare un problema di ordine pubblico. Bisogna aggredire il territorio, con azioni, manifestazioni, blocchi. E’ solo spaventando, facendogli male, ai borghesi, che si può ottenere qualcosa in termini economici immediati.
Nell’immediato è importante dare voce alle migliaia di operai dell’indotto e riversare la loro forza sociale nello scontro in atto, parallelamente individuare dove l’azienda FIAT è in attivo e colpirla (è forse più importante che scioperi l’Iveco di Brescia che l’Alfa di Arese), così come le aziende FIAT non immediatamente legate all’industria, siano essere assicurazioni, banche, agenzie di lavoro interinale ecc... Gli operai degli stabilimenti in chiusura, non possono fare più leva sul ricatto della produzione, e devono riversarsi sul territorio; parallelamente gli operai delle ditte attive del blocco FIAT, posseggono un arma di ricatto enorme nei confronti dei padroni: il blocco della produzione. Ogni proletario che si sente coinvolto nella ristrutturazione FIAT può dare il suo contributo, basta avere un po’ di fantasia...
L’aver organizzato il coordinamento di cassaintegrati prima di esserlo è stata francamente una immagine triste, che già mostrava l’arrendevolezza della strategia sindacale.
Con l'avanzare della crisi non si può programmare nulla a lunga scadenza. Gli stessi padroni sono costretti a dover inventarsi una produzione flessibile per non essere distrutti nella guerra di concorrenza.

I lavoratori sono chiamati a difendersi dalla ristrutturazione, una parte verrà riassorbita dalla FIAT, una parte rimanderà di poco l’uscita definitiva, ed una terza sarà mandata a casa senza troppi complimenti. Ora in una simile situazione è difficile individuare una strategia unificante. 
Avremo la capacità di parlare della FIAT non come blocco a se stante, ma come insieme di un processo di crisi mondiale? Avremo la capacità di vedere la condizione di lavoro FIAT, come parte di una ristrutturazione economica che chiede precarietà e distruzione scientifica delle organizzazioni del proletariato? I lavoratori impegnati in questa mobilitazione, al di la dell’esito finale (se mai ve ne sarà uno) hanno solo da guadagnare nella realizzazione di reti di mutuo appoggio, di solidarietà attiva, di capacità d’azione autonoma, elementi che noi definiamo nuovi rapporti sociali.

Noi nel nostro piccolo continueremo a supportare tutti i tentativi di collegamento e dibattito tra gli operai.

da Senza Freni N.0

inverno 2003


Note

1 E' interessante notare come vi sia una riproposizione di un meccanismo tardo sessantottino, i no global, novelli studenti contestatori, superata una prima fase di ubriacatura, il credere di essere il soggetto di cambiamento, si trovano a doversi confrontate con soggetti sociali reali, spesso lontani anni luce dalla loro condizione lavorativa e abitativa, e dover prendere posizione dentro i conflitti materiali delle classi, purtroppo scegliendo sempre le componenti più riformiste e recuperatrici rispetto alle istanze autonome di classe.

2 Fin a pochi anni fa era operante alla Magneti Marelli di Bologna il GOA, Gruppo Operaio Autorganizzato. Questo gruppo pubblicava un bollettino di fabbrica: Lavoratori svitati. Sulla storia della Magneti Marelli di Bologna si può leggere: la Weber Magneti Marelli, un punto di vista operaio, edito da Precari Nati, ora in www.autprol.org