Per un breve
dossier sull’edilizia
“La lotta rivoluzionaria per lo
sventramento dei paurosi agglomerati tentacolari può definirsi: ossigeno
comunista contro la fogna capitalista. Spazio contro cemento” (A.Bordiga, Il programma comunista, 8-24 gennaio 1953, n.1)
Il
lavoro nell’edilizia è uno dei pochi spazi dove il prodotto e la lavorazione si sono modificate ma mantiene tipologie antiche. La
formazione, i ruoli, il modo di produrre e l’abilità operaia, si mantengono
sostanzialmente simili a molti anni
fa. La prima grande innnovazione fu la progressiva introduzione in cantiere di
manufatti industriali grezzi, semi lavorati o finiti prodotti dell’induztria,
sia per sostituzione di tecnologie in uso (mattoni a macchina, travi in ferro,
infissi prodotti industrialmente, ecc.) sia con l’evoluzione del prodotto
(impianti igenici, di riscaldamento, di illuminazione, strutture di grande luce)
ma la squadra di muratori rimane la costante del cantiere: lo segue dalle
fondamenta al tetto, ne festeggia la copertura (bandiga), ne regola i tempi di
esecuzione, gli approvigionamenti e determina le caratteristiche stesse di tutta
una serie di particolari esecutivi dettati dalle “regole dell’arte”. La
stessa introduzione, vera e propria rivoluzione produttiva, delle strutture a
travi e pilastri in cemento armato, non introduce nel cantiere nuovi comparti ma
ne recupera di vecchi: le capacità tecniche di carpentieri in legno e fabbri
che già vi venivano impegnati per l’esecuzione di strutture ed implcature
provvisorie. Poco a poco, tuttavia, e nel nostro paese dopo la fine dell’utlima
guerra, pur rimanendo il prodotto edilizio sostanzialmente costante, si
introduce progressivamente nel cantiere una sempre più sostanziale divisione
del lavoro sopratutto attraverso la pratica del sub-appalto. Imprese
specializzate in lavorazioni che richiedono attrezzature particolari, quali i
lavori di fondazione, ovvero competenze che esulano dal normale bagaglio dell’adetto
al cantiere, o dall’altra parte produttori autonomi, variamente organizzati,
spesso perfino in forme criminose di sfruttamento, assumono in proprio la
gestione di singole lavorazioni, con i relativi rischi e oneri, mentre
l’impresa edile si sviluppa come organizzatore generale finanziario, economico
e produttivo, nel cantiere tende a mantenere il minimo di manodopera dipendente
compatibile con le sue funzioni.
Il
cantiere diviene la prima tappa per la proletarizzazine e l’ubanizzazione
delle masse contadine e in generale paesane espulse dalle campagne e dal
mezzogiorno[1].
La
produzione industriale mette inoltre a disposizione delle imprese edili, che
divengono in alcuni periodi il principale committente dell’industria un
completo armamentario per la meccanizzazione (i sistemi di movimento delle Gru
si semplificano notevolmente, tanto da arrivare ora ad essere usati dopo qualche
settimana di prova-insegnamento) e la razionalizzazione del cantiere,
finalizzato sopratutto a rendere il lavoro edile, come già quello di fabbrica,
semplice, ripetitivo, programmabile. E’
nel campo dell’edilizia abitativa l’epoca d’oro dei palazzinari: trionfo
del cottimo, dell’infortunio e della rendita sui terreni. E’ propria di
quegli anni tutta una filmografia che esalta-deride la figura dello speculatore
edile e del “palazzinaro”,: “I terreni sulla luna si potranno lottizzare?
va bè che quando arriva Kruscev già ci trova le palazzzine
dell’Immobiliare”, Il sorpasso (1962). “Qua costruiscono, costruiscono, ma
il miracolo economico è finito: ce ne accorgeremo”, La rimpatriata (1963). Di
fronte al fabbisogno di abitazioni generato dal boom si registrano punte
produttive mai viste dall’edilizia in Italia; si generalizza quell’edilizia
di “mezzo lusso”, priva di ogni pregio urbano e orripilante per la qualità
delle finiture e dei prodotti usati, che caratterizza gran parte delle città, e
si preparano le condizioni economiche e finanziarie per le successive crisi
edilizie. In Emilia un esempio su tutti sono i quartieri operai di Reggio
Emilia, case a 4-5 piani, ricoperte esternamente di resine che puntualmente si
sono staccate dopo 10 anni. Ora la maggior parte di queste case rappresentano la
vecchia cintura periferica, ormai sorpassata dalle più mastodontiche
“schifezze” abitative.
Le
prime recessioni economiche della metà degli anni sessanta, aprendo l’epoca
dei governi di centro-sinistra (vade retro Saragat...), danno l’avvio ad una
serie di ripensamenti.
Si
stava arrivando ai prefabbricati, vero mito di un intera epoca per l’edilizia.
Essa venne, da un lato, propagandata e favorita da enti e imprese pubbliche,
corentemente con i principi innovativi e pianificatori della componente
socialista del Centro-Sinistra, mediante l’importazione, di progetti,
macchinari, tecnologie. Dall’altro ebbe un grande sucesso tra quelle forze
culturali, cooperative e sindacali che la ritenevano un indispensabile
avanzamento produttivo del settore, preliminare al suo riassetto
economico-sociale. Un caso a parte è dato dalle Cooperative fra Muratori
dell’Emilia Romagna, forse le uniche imprese edili ad aver mantenuto durante
il boom una consistenza occupazionale. Nelle Cooperative l’industrializzazione
e la prefabbricazione, se furono l’occasione di promozione sociale e culturale
dei quadri tecnici ed intermedi, riscossero anche una sostanziale adesione della
base operaia, che vedeva nella loro introduzione un momento di progresso, di
programmazione democratica e di soluzione del problema della casa.
In
questo spirito mentre il settore edile smobilitava produttivamente e
culturalmente sotto i colpi della crisi, le Cooperative muratori, mettendo in
gioco tutte le loro risorse matrimoniali e umane conquistano una larghissima
fetta del mercato dell’edilizia industrializzata, escono dall’ambito
provinciale e si espandono a scala nazionale e internazionale, presentandosi, a
differenza di molti privati concorrenti, anche con un bagaglio tecnologico
elaborato e sperimentato autonomamente.
Nella
fase di impianto della industrializzazione di cantiere, la presenza delle
cooperative edili di una base operaia e di quadri intermedi eredi delle
tradizioni dell’arte muraria, consente a queste in larga misura di autogestire
la messa a punto di nuove tecnologie produttive, avvalendosi anche di uffici
cooperativi di progettazione non solo tecnicamente capaci, ma fortemente
integrati con il cantiere. L’industrializzazione integrale dell’edilizia
comporta non solo l’impiego di macchine e di procedure di controllo di tipo
industriale ma, sopratutto l’esecuzione di un edificio avente precisi
requisiti di semplificazione e ripetitività delle parti. Essa consente alcune
limitate economie rispetto ai costi di produzione di un cantiere tradizionale
ben gestito, solo a patto di una radicale standarizzazione non solo degli
edifici singoli, ma dell’intero tessuto urbano da loro composto. Occorre
quindi imporre all’utenza un prodotto edilizio che non rientra nelle sue
abitudini e aspetative: da qui uno sforzo che, da un lato punta
sull’abitazione di iniziaiva pubblica a basso costo, dall’altra
sull’accettazione dei nuovi tipi anche da parte di quegli utenti, come i soci
delle cooperative di abitazione, che dovranno costruire il nerbo dei nuovi
insediamenti programmati dai Comuni coi Piani di Zone per l’Edilizia Economica
e Popolare. Il processo è anche questa volta lento e contraddittorio, ma alla
fine il risultato è raggiunto; l’introduzione della prefabbricazione, della
costruzione con i sistemi “banches et tables” e “coffrege tunnel” che
permettono la costruzione simultanea dimuti e solai in cemento armato e cadenza
complessive di un alloggio al giorno, trasformando il cantiere e il suo prodotto
in qualcosa di completamente nuovo.
Il
cantiere infatti è condotto da pochi uomini, divisi insquadre specializzate,
che lavorano con cadenze e ritmi programmati, quasi in qualsiasi condizione di
tempo. Molte lavorazioni, che un tempo erono scorporate e si svolgevano in tempi
sucessivi, sono icorporate in quella principale, come gli intonaci che spesso
non esistono più, gli impianti che sono eseguiti nelle strutture le facciate,
che vengono eseguite finite, salvo la pulizia e le tinte.
I
muratori specializzati sono relegati a operazioni di aggiustamento o ripresa, o
ad eseguire sistemazioni particolari, nelle quali le loro doti di preparazione e
polivalenza vengono sfruttate per finiture marginali o abbellimenti,
indispensabili per rendere acettabile il prodotto.
Finiture
in subappalto e a cottimo continuano ad essere eseguite, a loro volta, anche con
procedimenti industrializzati e semplificati, quali blocchi idro-sanitari
completi o i tramezzi di cartongesso. Il cartongesso rappresentera e rappresenta
un ulteriore segmetazione della forza lavoro, creando ditte specializzate in
questa lavorazione. Il materiale, non ad alto costo e a breve montaggio, sarà
presente ed è presente nella maggior parte delle case costruite ora o
ristrutturate.
Le
squadre di operai che impartiscono la cadenza a tutto il cantiere sono quelle
che gravitano attorno alle casseforme a tavole o a tunnel e alle relative
armature e getti. Questi operai sono sogetti a ritmi e condizioni di lavoro che
presentano il massimo di nocività e di gravosità in tutto il cantiere, in
quanto ai tradizionali inconvenienti si sono aggiunti quelli derivanti
dall’uso della maturazione a vapore, della vibrazione dei getti,
dell’impiego di additivi e disarmanti aggressivi, della movimentazione di
oggetti pesanti decine di tonellate ed estremamente voluminosi.
L’industrializzazione
comporta, tra l’altro, l’immissione nel cantire, i cui adetti avevano in
molti casi raggiunto un età media tra i quarantacinque ed i cinquantanni, di
operai giovani, ma anche professionalmente diversi dal classico muratore. Si è
cosi giunti rapidamente con una produzione industrializzata allo stesso livello
di altri settori dell’economia, ad un prodotto edilizio che sopratutto nel
settore abitativo, è molto diverso da cio che forma il tessuto delle città. Si
tratta infatti di complessi di alloggi progettati ed eseguiti al di fuori e al
di sopra di qualsiasi possibilità di intervento dell’utente; di tessuti
urbani, di quesrtieri nei quali non solo la composizione dell’alloggio ma la
stessa determinazione del livello dei servizi sono “eterodiretti” come punto
di incontro di una pianificazione economica degli enti pubblici, di una
progettazione urbanistica degli uffici tecnici comunali, di una realizzazione
diretta rigorosamente dalla ripetizione di tecnologie pretabilite. Un esempio su
tutti è la “tecnologia-applicata” al modello architettonico abitativo di
gran parte dei quartieri popolari di Genova-ponente. Questa riorganizzazione
industriale dell’edilizia, che ha come più evidente conseguenza sociale
l’inquadramento di almeno una parte degli adetti in condizioni analoghe a
quelle del lavoratore dell’industria, avvine però alla soglia di una crisi
economica: la crisi energetica e la ristrutturazione del mondo industrializzato.
Gli aspetti più evidenti di tale crisi che si riflettono sul settore edile
sono: la restrizione del mercato, la necessità di recupero di beni e tecnologie
del passsato. Si è sviluppato notevolmente il settore del “recupero” di
edifici e strutture urbane esistenti, storiche e non. Non è un caso che il
numero dei -restauratori- (specializzati nella conservazione è aumentato a
dismisura tanto da far avere un suo sportello specifico negli uffici di
collocamento come a Bologna). Il vastissimo patrimonio di edilizia urbana di
buona qualità derivante dalla tradizione storica del paese rende possibile ed
economicamente necessario nell’edilizia italiana un vero e proprio comparto
produttivo che investe, come è noto, intere aree urbane: da Bologna a Roma, da
Venezia a Napoli, alle cento città minori, alle strutture agricole e al
recupero degli edifici produttivi. L’intervento su tali strutture richiede,
paradossalmente, il dispiegamento di tutte le tradizionali capacità
dell’”arte muraria”, proprio nel momento in cui l’industrializzazione
dell’edilizia e di quella generale hanno portato alla loro progressiva
estinzione. Viene nel recupero edilizio, ricomposta almeno in parte l’unità
di tecnica e manualità del cantiere tradizionale. I costi rendono possibile
aprire una miriade di ditte inserite su questo terreno.
Questo
boom della piccola ditta viene mitigato con l’ondata lunga dei “ruggenti”
anni 80, che vedono nella modificazione urbana nuova linfa per il settore edile.
Si sviluppono i centri commerciali, le strutture di servizio e le infrastrutture
pubbliche “del benessere socialista craxiano” che vedrà nei mondiali di
Calcio del 90 l’utimo rigurgito. Per queste lavorazioni vi sarà un estensione
dell’utilizzo di macchine industriali e specializzazione, legata tuttavia ad
una cospicua manodopera relegata alla “manovalanza” che aiuterà le figure
specializzate. Si avranno macroditte specializzate in alcune lavorazioni
intervenire in mastodontici cantieri. Ci sarà l’ultima ondata di grosse ditte
che crollerano quando il sistema degli appalti verrà sconvolto da
“tangentopoli”. In una regione come L’Emilia questo fa si che il settore
edile rappresenta l’unica area dove il cosiddetto lavoro autonomo ha tenuto.
Il lavoro autonomo in questi ultimissimi anni ha avuto una prima-concentrazione
di lavoratori autonomi delle diverse categorie, tuttavia nel ramo edile con la
crisi delle grosse ditte, molti lavoratori hanno dovuto iniziare a lavorare per
proprio conto. Sono riante ditte a base famigliare, note sono quelle del sud,
che lavorano 7 giorni su 7, dove la turnazione è per i famigliari, ma
difficilmente per i dipendenti (è in queste ditte dove si registrano punte di
lavoratori in nero elevatissime). La presenza di flussi immigratori importanti
ha notevolmente cambiato il “colore” dei lavoratori, si assiste in numerose
città ad un normazione-clandestina dei salari (per i lavoratori in nero)
rispetto alla propria comunità di origine, un albanese guadagna meno di un
nord-africano che guadagna meno a sua volta di un italiano. La capacità della
comunità di immigrati di avere un peso cittadino modifica le tabelle salariali.
Le maccanizzazione è subentrata anche nella piccola ditta, esitano ormai
macchinari che “sparano” l’intonaco non ecessivamente costosi per
l’azienda. E’ avvenuto tuttavia anche nel “piccolo” un modello “di
catena di montaggio”, per ristrutturare una casa medio-grande possono essere
presenti numerose ditte attraverso i subappalti specializzate in diverse
mansioni. nelle piccole ristrutturazioni questo avviene di solito con
l’utilizzo esterno di imbianchini, cartongessisti, piastrellisti. Un altro
dato che ha permesso lo sviluppo della piccola azienda e dei lavoratori autonomi
sono state le normative europee riguardo alle abitazioni (impianti gas, luce
ecc..). Pur essendo stata introdotta la 626 e una normativa europea rispetto al
materiale (pesi, strumenti ecc..) vi sono numerosi ritardi (i sacchi di sabbia e
legante non devono superare i 25Kg, tuttavia vi sono numerose ditte fornitrici
che non hanno ancora tarato il materiale.
“l’organizzazione è il principio
fondamentale della lotta di classe operaia per la propria emancipazione. Da ciò
consegue, dal punto di vista del movimento pratico, che il problema più
importante è quello delle forme che tale organizzazione deve assumere. Queste
sono naturalmente determinate sia dalle condizioni sociali che dagli scopi della
lotta. Ben lungi dal risultare dai capricci della teoria, esse non possono
essere create se non dalla classe operaia che agisce spontaneamente in funzione
dei propri bisogni immediati”
Per
chi cerca di impostare un azione politica all’interno dei cantieri che miri
alla difesa dei propri interessi (salario, riduzione dei ritmi di lavoro,
sicurezza e chissa l’abolizione del lavoro salariato...)
si trova sommerso da una realtà immobilizzata. Le piccole aziende
artigianali, coprono una buona fetta del mercato. All’interno delle piccole
ditte vige il cosiddetto sentimento di famiglia: nessuna
distinzione tra i padroni e i lavoratori (nella stragrande maggioranza
dei casi i padroni lavorano fianco a fianco ai dipendenti). Questo comporta una
scarsissima propensione a collegarsi con altri lavoratori di altri cantieri,
visto che i problemi si risolvono in famiglia... Ci sono pure dei veri coglioni,
che distruggendosi giorno dopo giorno la salute si ritrovono alla sera a
guardarsi i bicipidi. Nelle grosse ditte pur avendo maggiore controllo sui ritmi
si è in balia dei capi cantieri, il trattamento nelle cooperative è anche
peggio... Vi è una miriade di tipologie di assunzione che, sviluppate
maggiormente nella piccola ditta, dividono i lavoratori. Gli organismi sindacali
sono il più delle volte fittizi, incapaci di leggere una realtà dove il
“lavoro nero” dilaga. Il loro ruolo è solamente quello di un ufficio di
consulenza (anche se in alcuni casi non arrivano a fare neppure questo).
Per
chi non avesse ben chiaro cosa sono i padroni possiamo dire che questi oltre a
sfruttarci possono a differenza di noi ricominciare dopo una crisi o in assenza
di lavoro (sgravi per le aziende). Chi è in nero o che lavora da pochi anni
nella categoria sa bene che si è costretti a subire ogni ricatto previo la
perdita del posto di lavoro. La possibilità di una azione autonoma fatta da noi
lavoratori appare difficile tuttavia noi viviamo quotidianamente tutte le
“gratificazioni” del nostro lavoro: rischi di incidenti, impossibilità di
contrattare un aumento salariale categorie, cottimo e aumento delle ore di
lavoro, il lavoro nero.
Per
poter fermare questa tendenza l’unica via è quella più difficile ma reale:
la capacità di collegarci come lavoratori edili e di creare forme di resistenza
attiva.
Nello
specifico noi lavoratori edili dovremmo iniziare a socializzare le nostre
esperienze di lavoro e non creare barriere tra chi lavora fisso e chi è in
nero, tra chi è italiano, albanese o tunisino,
l’unica discriminate dovrebbe essere quella contro i padroni. Così
come abolire il nonnismo ossia la divisione tra lavoratori specializzati e i
manovali. La capacità manuale produce meccanismi di caserma, gerarchie che
colpiscono tutti, non è scontato per noi dire che siamo contro le categorie del
settore edile e le relative qualifiche, se questo non trova una compatibilità
sindacale tanto meglio siamo consapevoli che attualmente una posizione classita
e comunista è direttamente minoritaria tra i lavoratori, tuttavia possiamo
osservare che da alcuni comportamenti e una relativa livellazione della qualità
del lavoro possono nascere forme di lotta, anche se non-coscenti o individuali.
Se non si parte da queste “piccole” questioni si rimarrà immobili. Questo
può apparire impossibile, visto che la maggior parte di noi non a nessuna
esperienza di lotte (e consapevolezza della nostra forza collettiva), tuttavia
questa è l’unica arma che abbiamo, il non usarla ci relega a
“muli-edificatori”. Per fare questo abbiamo bisogno di forza e quindi di
trovare un unione. I sindacati confederali non possono darci questo visto che la
loro unione è quella con padroni e governo, dove con il ricatto della
disoccupazione e sulle “difficoltà” delle piccole aziende sono contro di
noi. Possiamo creare qualcosa di
nuovo, sperimentare forme di autodifesa ( Conoscere e far rispettare le norme di
sicurezza, lottare per un salario uguale per tutti e forse farla finità con i
padroni...) indipendentemente da quelle strutture intermedie che ci confondono e
non parlano mai di migliorare le nostre condizioni. Non dobbiamo rinchiuderci
nella nostra categoria, ma essere partecipi a tutte quelle lotte fatte da altri
lavoratori che contrastono le manovre padronali. Stringere rapporti con tutti
quei lavoratori salariati che si organizzano autonomamente contro i
padroni. Riportiamo qui una scheda di un compagno edile che racconta una
esperienza rispetto alla “formazione” nell’edilizia.
“lo scopo della ricerca sarebbe di far conoscere a se stessa,
inanzitutto, questa nuova classe operaia” (D.Montaldi, 3 marzo 1975)
Dal
lavoro nero all’assunzione
Per
chi vuole trovare un lavoro, subito la categoria che offre maggiori possibilità
rimane ancora il ramo edile, basta fare un giro per i cantieri che un posto da
manovale nel giro di qualche giorno lo si trova (in nero ovviamente). Se si
pensa che quello possa essere il proprio lavoro, inizia un periodo di manovale,
il più delle volte le ditte tengono i lavoratori qualche mese in nero e
successivamente ci si vede assunti con un contratto di formazione lavoro,
nell’edilizia dura 18 mesi. Per esperienze diretta difficilmente durante il
periodo in nero si ha la possibilità di imparare qualcosa, visto che si viene
utilizzati come “montacarichi”, le cose non cambiano molto durante il
contratto di formazione, anche se per il contratto dovrebbero insegnarti i
rudimenti del mestiere nella programmazione di un cantiere tu continui ad essere
il “montacarichi”. Così per imparare qualcosa devi rubare attimi di tempo,
pause, per provare tecniche e gli strumenti. Succede per esempio in una gettata
(il procedimento per fare un massetto per il pavimento o le fonamenta o i solai)
che tu fai l’impasto lo porti e dopo nei tempi morti, o durante la pausa dei
muratori, provi anche tu a “tirarlo”, la stessa cosa per la costruzione dei
muri e degli intonaci. Dipende quindi tutto dalla “bonta” del mastro-capo
cantiere-. Nei grandi cantieri si può per svariati anni continuare ad essere
manovali. Il vestiario difficilmente se lavori in una piccola ditta ti viene
pagato (guanti, tute, scarpe antiinfortunistiche)[2].
C’è un generale utilizzo dell’evasione fiscale da parte del padronato, ti
pagano le trasferte in nero e non in busta, la mensa idem- quanto ti va bene-.
L’organizzazione del lavoro ricorda sempre più la fabbrica, esistono ormai
figure edili che fanno solo intonaci, pavimenti, muri. Fino a qualche anno fa un
muratore poteva costruirsi una casa riuscendo ad avere delle competenze in tutti
i campi dalla muratura all’idraulica all’elettrico. Non per ultimo nomino la
sicurezza, i tetti d’amianto, gli scarichi d’amianto vengono
“allegramente” scoibentati da lavoratori edili senza le minime protezioni. I
ponteggi, le carrucole, i montacarichi, solo alcune volte rispettano le
procedure di sicurezza. Sulle gru si arriva a barare sulla portata del mezzo e
si potenzia la velocità di rotazione. Può apparire ottocentesco questa breve
scheda ma al sossoscritto è capitato più volte di lavorare sui tetti con metà
ponteggio e difficilmente per le situazioni pericolose con la cintura di
sicurezza.... Domandarsi perchè i lavoratori accettano tutto questo è
semplice: nell’edilizia la maggiorparte dei lavoratori arrivano dalle fascie
più povere della società ( non è un caso che nei cantieri del nord si parla
dialetti, meriodionali, arabi, polacchi, albanesi). Quando poi sei in un piccolo
cantiere le cose possono anche essere peggio, ti senti fermato dai tui stessi
colleghi di lavoro che hanno paura della chiusura della ditta o di un
peggioramento delle condizioni di lavoro
Precari Nati