Considerazioni sull’azione di classe
L’esperienza di un foglio di fabbrica (Granarolo) a Bologna
(Precari nati)
L’ipotesi di uno sviluppo autonomo dell’azione di classe
non nega l’apporto di un arcipelago di soggetti politici pre-esistenti ad un reale movimento di lotta e non ignora il possibile sviluppo dialettico tra una minoranza ‘politicizzata’ di proletari, che gode di un particolare rapporto di internità con la classe - attraverso il suo lavoro costante di indagine e contro-informazione - ed il corpo attivo di questa, all’interno di un ciclo di lotta. Secondo noi, l’intervento di questa minoranza si dovrebbe porre nella dimensione del contributo agli organismi che scaturiscono dalla lotta stessa, pensando al proprio contributo, in termini di analisi e proposte, come ad un contributo tra gli altri. Questa minoranza non si dovrebbe porre né come ‘testa pensante’ e interprete del livello di ‘coscienza’ raggiunto dai proletari in lotta, fornendogli un supporto teorico ‘adeguato’ in grado di mostrare quale dovrebbe essere l’orientamento complessivo della loro azione, né tanto meno dovrebbe cercare di incanalare le istanze e le pratiche emerse dalla lotta, dando a queste una ‘ricetta’ ed uno ‘sbocco’ politico-organizzativo che verrebbe ad essere un filtro ed una mediazione tra l’azione diretta di classe e la sua organizzazione.
riconduce all’interno del conflitto i processi organizzativi significativi quali il nascere di organismi di lotta sui posti di lavoro gestiti dai lavoratori stessi, e sottolinea il grado di elaborazione teorica qualitativamente elevata raggiunta in tali momenti, e soprattutto il peso e l’efficacia reale dell’intervento pratico dei proletari stessi: lo sviluppo di una reale rottura con l’esistente attraverso l’auto-attivazione della classe che ridisegna la dialettica capitale - lavoro salariato sui luoghi di lavoro, innervandosi e estendendosi nel territorio a tutte le sfere dell’esistenza.
focalizza la sua attenzione sui luoghi di lavoro, analizzando contemporaneamente: sia le forme di resistenza quotidiana, per quanto queste siano frammentarie, occasionali e parziali, sia le forme di conflitto più attive, estese, evidenti, che interrompono la routine della vita aziendale. Mette in evidenza lo sviluppo di rapporti di mutuo appoggio, che pongono le basi per un’azione solidaristica più ampia. Questo tipo di relazioni, anche in contesti di sostanziale sopravvivenza e adattamento alle esigenze di profitto, fanno sì che quanto meno si radichi la percezione della sorte e della condizione comune tra proletari, facendo sfumare i pregiudizi reciproci e la divisione all’interno della classe.
Ciclicamente c’è chi scrive di ‘integrazione avvenuta’, ‘addomesticazione’, ‘irreversibile passività’ della classe, per poi essere puntualmente smentito dai fatti, riscoprendo magari tempestivi ri-innamoramenti.
Noi non ‘sogniamo’ un proletariato brutale e ‘selvaggio’, luddista per inclinazione naturale, geneticamente ultra-conflittuale, che immesso nel processo produttivo non possa che provocare danni e fare richieste che vadano oltre le compatibilità del sistema capitalistico, proletariato che - dispiegando la propria connaturata violenza contro ogni dominio - sgretoli inconsapevolmente le basi dell’accumulazione capitalistica. Allo stesso tempo non ci ‘rassegniamo’ all’ipotesi di un proletariato ‘mite’ che, in assenza di welfare, si arrangia da sé alla meno peggio, autogestendosi fortune e sfortune, cotto nella salamoia democratica, assopito nell’anossica civiltà mercantile-spettacolare.
ridimensiona l’importanza dello sforzo volontaristico dei militanti nel pubblicizzare parole d’ordine, come nel proporre piattaforme politiche, cogliendone la scarsa incisività sociale, quale che sia la mole e la qualità di questo intervento.
Sperimenta attualmente l’inattualità della propria proposta e la scomodità del proprio punto di vista sui luoghi di lavoro...
La professionalità intesa come acquisizione data per età, o per capacità quando serve a cementificare la gerarchia e la stratificazione sociale all’interno della classe - sul piano salariale come nella vita quotidiana sui luoghi di lavoro - non può che essere osteggiata. La tendenziale parificazione salariale al di là della qualifica, dell’età, del ruolo rivestito nel processo produttivo è l’unica ipotesi di vertenza salariale che ci sentiamo di condividere e che rompe con <<tutta la vecchia merda>>(K.Marx) che ci viviamo tutti i giorni.
La tutela della salute è in antitesi con la co-gestione della nocività sui luoghi di lavoro. Non può assolutamente essere delegata a chi che sia e solo il costante e vigile controllo ed intervento dei lavoratori, non solo deve impedire una monetizzazione dell’usura psico-fisica provocata dal lavoro, ma negare la possibilità di ‘concertare’ il proprio deperimento, la possibilità che accadano infortuni, l’(in)salubrità del luogo di lavoro (stato dello stabilimento, materiali utilizzati, ecc.). Talvolta gli appelli per l’aumento dei controlli e per una più rigida applicazione della 626 appaiono come parole prive di senso viste le statistiche sugli infortuni e le disfunzioni fisiche dovute alla propria occupazione.
Le nostre ragioni non vengono né da una valorizzazione dell’attività umana sottoposta alla schiavitù salariale, a differenza dell’ideologia del ‘vecchio movimento operaio’; né si fondano su di una più equa distribuzione della ricchezza sociale prodotta, né su una gestione ‘più democratica’ della vita produttiva, ma hanno come prospettiva il radicale cambiamento del modo di produzione e di distribuzione esistente, non un suo miglioramento attraverso un ipotizzabile miglioramento della mediazione capitale-lavoro tramite una qualsiasi organizzazione esistente sia di tipo politico che sindacale.
Riscontriamo quotidianamente la difficoltà di intervenire con il nostro portato ed il nostro senso di marcia tramite una pratica politico-sindacale, per esempio proponendoci come rappresentanti sindacali sui luoghi di lavoro, o ‘lavorando’ per una qualsiasi organizzazione sindacale a livello aziendale, categoriale, territoriale che sia, vuoi per la pochezza(assenza) dei risultati che, dal nostro punto di vista, riusciremmo ad ottenere, vuoi perché crediamo che solo dalla rottura del piano sindacale stesso, per quanto questo sia ‘militante’ e ‘combattivo’, possa scaturire qualcosa di nuovo come la <<vecchia lotta di classe>>(P.Mattick). Sia la finalità del progetto sindacale e lo <<spirito sindacalista>>(A. Rosmer) che anima alcuni compagni con cui collaboriamo, per quanto rispettosi dello sviluppo autonomo dell’azione proletaria, carichi di spirito auto-emancipativo e dotati di fluidità pratico-teorica nel concepire l’organizzazione, cercano comunque di far coinvolgere prevalentemente - per la loro stessa ragione di esistenza l’azione di classe all’interno del progetto sindacale.
Non sposeremo, né sottoscriveremo piattaforme politiche per la paura di restare fuori dal ‘mercato della politica’, o per la paura di non trovare il nostro spazio ed il nostro diritto di cittadinanza all’interno di un circuito di militanza fortemente auto-referenziale, che spesso si sgancia progressivamente dal conflitto sociale per approdare a più facili e democratici lidi, o cede ai richiami spettacolari e virtuali della ‘politica’ per abbandonare il più difficile, impegnativo e sostanzialmente disillusorio lavoro di base sui posti di lavoro, come sul territorio.
l’esperienza
di un giornale di fabbrica:
Soda
Caustica
organo
dei lavoratori della Granarolo Felsinea
Durante l’estate del ’98 alcuni compagni del collettivo precari-nati sono stati assunti come ‘stagionali’ nel caseificio della Granarolo-Felsinea di Cadriano e sono venuti in contatto con alcuni giovani lavoratori, di cui due facenti parte delle RSU, che avevano dato vita da un paio di anni ad un giornale di fabbrica. Dall’iniziale intenzione di pubblicare autonomamente un proprio giornale - in ideale continuità con il lavoro iniziato con la divulgazione di materiali di contro-informazione sulle agenzie di lavoro interinale, sulla precarietà ed il mondo del lavoro in genere -, vista poi la disponibilità e la volontà di collaborazione dei redattori di Soda Caustica , nonché l’effettivo ruolo di ‘contenitore’ e luogo di dibattito aperto ai lavoratori, abbiamo deciso di fornire i nostri contributi a SC.
L’intervista
che segue vuole fornire alcune informazioni e svolgere una funzione di indagine,
senz’altro parzialissima, su una realtà produttiva (aziendale e di gruppo) in
espansione, come su una realtà territoriale, piuttosto che riportare il
dibattito tra l’interlocutrice (assunta a tempo determinato, facente parte
dell’RSU da tempo, membro della CGIL, con una intensa attività politica alle
spalle) e l’intervistatore; riporta parte di un rapporto di conricerca che si è instaurato - tra militanti di base
di differente estrazione ed orientamento politico - sulla realtà sociale del
lavoro salariato.
Giacomo:
Come e quando è nata SD
?
‘Betta:
Nell’autunno del ’95 l’azienda diede di nascosto dei premi ad alcuni
lavoratori, sperando vanamente che la cosa non trapelasse. Uno di noi ebbe
l’idea di disegnare una vignetta che rivelasse ironicamente l’‘orrenda
verità’ già in parte trapelata. ‘Detto-fatto’. l’appendemmo a tutte le
macchine distributrici di caffè dell’azienda, suscitando un vivace interesse
ed un certo consenso. Viste le reazioni e sentito profondamente il deficit di
comunicazione tra i lavoratori, abbiamo deciso di lanciare questo ‘ponte’ e
di concretizzare questa possibilità di far fermentare idee, commenti,
incazzature. Questa mancanza era ed è imputabile sia a cause
oggettive: la lontananza fisica dei vari settori dell’azienda, la disparità
dei turni, la limitatezza delle
assemblee, per citarne alcune; sia, secondo noi,
a cause soggettive quali la
timidezza, e la difficoltà a fare emergere pubblicamente le proprie
impressioni, i mugugni più o meno marcati che si potevano e si possono cogliere
nelle discussioni sporadiche durante il tempo speso in azienda, ed i vari punti
di vista che si confrontavano in discussioni meno occasionali.
G: Uno degli elementi più apprezzabili e apprezzati del giornale mi sembra essere da un lato la sua collocazione autonoma dall’RSU e dai sindacati presenti in azienda, seppure partecipano e sono promotori della vita redazionale anche degli RSU: essere letto appunto dai lavoratori come luogo di discussione sulla vita aziendale e l’essere stato scelto da questi come interlocutore, senz’altro preferito al giornale ufficiale della Granarolo: Granarolo News... Pubblicazione che ogni mese tutti i lavoratori si trovano in busta (insieme alle mirabolanti e ‘fantozziane’ proposte del Circolo Aziendale: viaggi, conti in banca, gite di pesca sportiva, ecc.) fatto da esterni e naturalmente del tutto apologetico rispetto alle scelte dell’azienda.
L’altro
aspetto interessante di SC è il taglio ultra-comunicativo, immediato, l’umorismo ed il
sarcasmo che improntano questa esperienza dal primo numero...
B: Bisogna dire che all’inizio il gruppo redazionale era composto da 4 persone e che sapevamo, e l’abbiamo scritto, che senza contributi esterni , arrivati ‘a singhiozzo’, la vita di SC sarebbe stata breve e sarebbe venuta meno l’interesse che avevamo dal principio riscontrato, cioè la convinzione comune che ci fossero le basi per adoperarsi a fare un prodotto del genere. In più si era deciso che si sarebbe dovuta mantenere l’eterogeneicità iniziale dei componenti, viste le differenti ‘scuole di pensiero’ all’interno, nonché l’impronta provocatoria del lavoro...
Stigmatizzare
il linguaggio del management per esempio ed i suoi modelli culturali di
riferimento, come quello delle burocrazie sindacali. Questi sono linguaggi
sempre più simili ed incomprensibili ai più, conditi di espressioni in lingua
inglese il più delle volte usate a sproposito...Shelf-life[1],
che diventa e viene tradotto self-life
come è capitato ad un sindacalista della U.I.L. o magari capita che un
capo-reparto, rimproverandoti per qualche scatola imballata male, ti spara:
<<bisogna migliorare il packaging>>
e così via...
G:
Puoi stabilire un rapporto tra ciò che accadeva in azienda e l’interesse per SC?
B: È difficile stabilire un rapporto tra gli avvenimenti ‘esterni’ per così dire che caratterizzavano la vita aziendale e l’interesse verso Soda Caustica, è certo che i pezzi più letti erano e sono quelli più scherzosi e quelli immediatamente collocabili e riguardanti la vita in azienda....
G:
Una delle funzioni importanti di SC in termini di sensibilizzazione e
comunicazione è stata svolta in occasione dello sciopero per il reintegro negli
effettivi dell’azienda degli impiegati in CIGS, colpiti da un imprevisto
provvedimento di mobilità che li avrebbe portati al licenziamento...
B: Diciamo subito che ciò che stava per attuarsi era la seconda fase di ristrutturazione degli organici con mansioni impiegatizie e che la ‘mobilità’ toccava circa una sessantina di persone, di cui venti a Bologna. Questo provvedimento annullava i contenuti degli accordi sottoscritti nel Febbraio ‘94. L’azienda avendo deciso unilateralmente per la mobilità inasprì irreversibilmente il clima di tensione su di una vicenda seguita con particolare attenzione dai lavoratori di tutti i reparti... facemmo subito delle assemblee come RSU rispettivamente dei turnisti diurni e di quelli notturni durante l’ora di sciopero che avevamo indetto...Bisogna dire che quando la Granarolo s.p.a era ancora un consorzio che riuniva le cooperative dei produttori di latte emiliano-romagnoli, CERPL appunto, le ore di sciopero erano uno strumento di pressione, aventi l’intento di celerizzare la conciliazione del conflitto. La prassi che si consolidò fu quella di un tacito patto tra le parti, di uno scambio che da un lato prevedeva il pagamento delle ore di sciopero, tra l’altro poco frequenti, al 50% e dall’altra un comportamento che non arrecasse troppo danno all’azienda. La produzione non veniva effettivamente sabotata, ma ne venivano diluiti i tempi. In questo caso, invece, parlo dello sciopero del di venerdì 15 Dicembre del ’95, i camion del latte che giungevano venivano respinti e probabilmente dirottati verso l’UHT e verso altri lidi. Il latte non veniva pastorizzato e perdeva di valore. I vari responsabili, visibilmente e verbalmente incazzati, che avvertiti tempestivamente passarono con me e con altre due RSU la notte in portineria, non facevano che ripetermi con una certa dose di incredulità : <<Ma vi rendete conto di cosa state facendo ?>>
Comunque,
le cose andarono così: ci incontrammo di nascosto per fare gli striscioni nel
pomeriggio, per esporli la sera, prima dell’entrata dei lavoratori del
pastorizzato ai cancelli, rendendo così immediatamente comprensibile la
situazione a chi si presentava. Inoltre telefonammo preventivamente ai
lavoratori informandoli dello sciopero, e
accogliendo coloro che arrivarono, spiegandogli la situazione. Il tutto, con i
vari responsabili che facevano nervosi sopraluoghi, spostandosi nervosamente
fuori-dentro i cancelli...
G: Fu partecipato lo sciopero ?
B:
Sì, pochissimi entrarono, non ostante la tempestività della decisione, la
pioggia battente ed il freddo intenso. Fino alla riapertura in tarda mattinata
delle trattative si formarono capannelli di lavoratori, che scambiavano
opinioni, testimonianze, punti di vista scaldando il clima che più di vacanza
pre-natalizia fu di tensione e di lotta. L’azienda accettò il reintegro a
parità salariale degli impiegati, nei ranghi tra l’altro di operai. Qualcuno
preferì andare altrove o godendo di altre decenti entrate salariali a livello
familiare si prese una pausa.
G: Mi sembra che i contributi a SC dei lavoratori degli uffici siano sempre molto critici rispetto alle condizioni del luogo di lavoro: il clima dittatorial-clientelare che certi capi-uffici instaurano, la stupidità di un atteggiamento rampante un po’ troppo istrionico e smaccatamente pieno di sé di alcuni manager, la continua delega di pratiche da parte dei superiori ai propri ‘collaboratori’. Per non parlare delle misure prese dall’azienda per migliorare le condizioni fisiche del luogo di lavoro, dettate più da logiche di cosmesi ispirate ad uno spirito estetico pseudo-modernizzante ed in realtà kitchissimo e quasi fantozziano...
Tutte
queste situazioni sembrano del tutto speculari a quelle che si riscontrano al
caseificio, piuttosto che al pastorizzato, od in altri reparti...
B: Sì, i carichi ed i ritmi di lavoro sono fortemente aumentati negli ultimi anni per i lavoratori degli uffici. Permane generalmente una certa reticenza a partecipare alla vita sindacale o comunque a rendere pubblici, se non in maniera anonima come denuncia o come sberleffo, i propri malumori...
A
volte il sindacato è sentito da questi come una ulteriore mediazione, un
ulteriore ostacolo al conseguimento dei propri fini...
G:
Dicevi che le questioni riguardanti fatti non immediatamente riconducibili alla
vita aziendale sono lette con minore interesse o se no, del tutto ‘scartate’...
Ho trovato per esempio scarso interesse rispetto alle 35 ore, non ostante Soda
Caustica abbia dedicato puntualmente spazio alla riduzione di orario a parità
di salario, e nonostante ci sia stato un questionario promosso dalle RSU in
azienda, come una manifestazione a Bologna promossa dagli RSU dall’area della
sinistra sindacale...Il caso Bonfiglioli a Bologna, per esempio, è stato
riportato in maniera documentata...
B: La Bonfiglioli è una industria metalmeccanica in forte espansione, con una condizione economica sicuramente positiva e con richieste di prodotto in aumento, tanto in aumento da portare l’azienda ed il sindacato ad un tavolo di trattativa in cui discutere l’ampliamento della capacità produttiva. Il risultato è un accordo sicuramente innovativo, che vede come punti salienti l’introduzione del lavoro notturno (dalle 22 alle 4) e del Sabato lavorativo, a fronte di una forte riduzione dell’orario di lavoro, portato ad una media di 31,5 ore settimanali, un aumento del salario ed un aumento del personale occupato. I lavoratori di questa azienda lavorano dal Lunedì al Sabato in turni settimanali di 8 ore per 4 giorni per quanto riguarda i turni diurni, e di 5 giorni ( dal Lunedì al Venerdì) per 6 ore per i turni notturni.
Per
quanto riguarda l’aspetto
salariale è previsto un aumento medio a regime di 200.000 lire... La votazione
sull’accordo, ha riscontrato il 65% dei voti favorevoli: una maggioranza
tutt’altro che plebiscitaria che segnala come l’introduzione di turni
designati, come il notturno ed il Sabato, sia un grosso ostacolo ai normali
ritmi di vita di un lavoratore... L’aver riportato il caso della Bonfiglioli,
con tanto di tabella dei turni, era funzionale ad una facile verifica da parte
dei lavoratori tramite canali più meno informali: l’amico, l’amico
dell’amico, il familiare e così via... Dall’altro, guardandolo dal nostro
punto di vista di lavoratori di una azienda dove il lavoro notturno e festivo
sono considerati ‘ordinaria amministrazione’, e dove per questo non ci viene
ridotto l’orario di lavoro, né ci viene data una adeguata compensazione
salariale, questo tipo di accordo può essere un modello praticabile ed uno
scambio accettabile, rispetto al modello presente.
G:
La de-industrializzazione del territorio bolognese sebbene sta conoscendo toni
sempre più hard, ha una reazione
molto mite che solo episodicamente si trasforma in una pressione sociale
evidente, non ostante le sue conseguenze... Parlando con un lavoratore mi diceva
che per esempio, per ciò che riguarda l’Hatù, ultimo caso di chiusura di uno
stabilimento, tra l’altro in attivo, come per ciò che riguarda la Moretti,
sono state le lavoratrici in catena, come gli operai generici, che non avendo
una particolare qualifica si sono trovati rispetto ai lavoratori più
qualificati, come i manutentori in generale od i casari, per ciò che riguarda
la Moretti, ‘in strada’. In particolare la composizione femminile delle
aziende, una volta fuori dalla produzione, ha perso la sua indipendenza
salariale, che sosteneva parzialmente le basi di sufficienza di quella
familiare, trovandosi forzatamente a casa, senza immediate possibilità di
reddito.
B: Sono i gruppi storici che stanno chiudendo i battenti: Casaralta, Menarini, Fochi, SiderPali, Carettieri Marzabotto, la stessa Weber-Magneti Marelli è in odore di ristrutturazione...Stabilimenti dove un forte tasso di sindacalizzazione o quanto meno di attenzione rispetto alla propria condizione materiale s’era sedimentato nel tempo, aziende dove tutta una serie di professionalità interne, tranne il settore metalmeccanico, sono difficilmente spendibili all’esterno, in un mercato del lavoro che va tra l’altro restringendosi. Ci sono due ordini di ragioni: la prima è un tentativo di riduzione del costo del lavoro e di celerizzazione delle procedure economiche che non devono passare dalla mediazione politico-sindacale, da qui lo scarso interesse dell’istituzione locali ed il loro spostarsi altrove...
L’area
dove è costruita la Casaralta, per esempio, è un possibile terreno di
espansione della zona fieristica, settore commerciale altamente redditizio nel
bolognese...La zona dove c’era la Menarini è posta sulla linea d’espansione
dell’industria verso Ferrara, sfruttabile per edificare stabilimenti più
redditizi. La stessa Hatù è sita in una zona in espansione come quella di
Casalecchio di Reno ed in più di pressante speculazione edilizia. La Moretti
d’altro canto è stata acquistata con tanto di operai dentro dalla Beghelli...
G:
Tornando alla Granarolo, alcuni stabilimenti sono stati interessati a processi
di esternalizzazione prima dei viaggiatori-piazzisti e succesivamente degli
addetti al magazzino e alla logistica, entrambe conclusesi a Bologna con la
formazione nel primo caso e nell’ampliamento dell’organico e delle fuzioni
nel secondo caso, di una cooperativa di soci-lavoratori: la Cooperativa
Trasporto Latte, avente in gestione la piattaforma di Cadriano, teatro
quest’estate di uno ‘scomodo’ omicidio bianco...
B:
La prima esternalizzazione è avvenuta prima che fossi assunta, la seconda è
avvenuta nel ’97 ed ha interessato gli stabilimenti di Bologna, Ferrara e
Mestre. A Mestre ed a Ferrara, la cooperativa che si è formata si chiama, tanto
per la cronaca CoopSer. Comunque di fronte alla possibilità di restare
dipendenti, come prevede la legge sulla cessione di un ramo di azienda,
lavorando altrove, a Cesena piuttosto che a Parma...Gli ex-dipendenti della
Granarolo hanno preferito restare a lavorare a Cadriano, accontentandosi di un
buono uscita di circa 15 milioni e di formare una cooperativa... In realtà ora,
dei soci iniziali ne sono rimasti circa la metà, visti i ritmi ed i carichi di
lavoro, gli straordinari del tutto ordinari ed il salario percepito.
G: Ricordo, che subito dopo la morte di quel lavoratore si sono immediatamente adoperati per non far trapelare niente, quando, stando ai racconti, sembra che in assenza di un bidone ‘ribaltabile’[2](strumento di cui il CTL sembra non essere fornito), l’incidente sia avvenuto mentre stava salendo sulle forche del ‘muletto’ per gettare l’immondizia nel container, cadendo e ferendosi al capo.
Ricordo lo stralcio dell’articolo di giornale che mi avevi fatto vedere in cui veniva riportato l’accaduto in maniera molto confusa:<<caduto da 50 cm. da un macchinario>> o giù di lì. Ricordo la rabbia ed allo stesso tempo l’impotenza, i tentativi di far conoscere la notizia della morte ai più con i capi-reparti che ti squadravano e ti seguivano fino a mensa...
Comunque,
non ostante il comunicato ufficiale dell’RSU e il mio articolo su SC
non ho visto nessuno che facesse una colletta, nessuno che comunicasse la
notizia del decesso in mensa, s’è respirato generalmente un clima di
indifferenza e di menefreghismo...
G:
Parlando della composizione dei lavori a tempo determinato, mi era parso di
capire che per la prima volta quest’anno ci fosse una forte presenza di
lavoratori abbondantemente fuori dai parametri di assunzione tramite un
Contratto di Formazione Lavoro, provenienti dal sud, con la necessità di un
reddito stabile e quindi di un rapporto di lavoro meno precario...
B:
Gli altri anni gli stagionali difficilmente si avvicinavano alla trentina, erano
solitamente ragazzi usciti di fresco dagli studi, ancora in famiglia, che un
po’ per sbarcare il lunario e provare un lavoro, un po’ per farsi i soldi
per pagarsi una spesa extra: la motocicletta, piuttosto che un viaggio, si
facevano l’estate a Cadriano... Ora invece incontri persone che ti chiedono e
ti fanno pressioni come RSU per l’assunzione, quasi che potessimo garantire
chissà che, persone con una famiglia a carico, ed una età anagrafica poco
gradita dal mercato del lavoro, cercano un’occupazione fissa, mostrandosi
sempre disponibili all’azienda e rivolgendosi al sindacato in maniera
clientelare...Il rassicurare l’uno anziché l’altro, il manifestare simpatie
per l’uno anziché per l’altro, sembrano espressione di un qualche
favoreggiamento che può risolversi positivamente o negativamente nel momento
del bisogno.
Giacomo
Marchetti
La ‘fisiologicità’ delle forme di resistenza quotidiana individuali e collettive presenti nel processo produttivo, a causa della sua natura sotterranea e per così dire invisibile, viene spesso o trascurata nell’analisi sociale dei conflitti di lavoro o contrariamente diventa paradigma portante di questa, connotando i comportamenti di una particolare porzione della classe.
Il
problema dell’interpretazione di tali comportamenti, insieme alla valutazione del portato di questi: da un lato, la comprensione dei limiti connessi e delle prospettive
contestuali all’interno di un ciclo di lotta
non solo meramente resistenziale, e dall’altro
la loro potenziale destrutturazione-distruzione da parte del processo di
ristrutturazione capitalistico, sono stati - quando la diffusione di queste
pratiche marcava più estesamente
il processo produttivo nel corso degli anni ’70 - punti nodali sia
dell’analisi della scuola di composizione di classe italiana, sia del
dibattito del milieu ultra-sinistro
internazionale.
Recentemente
i contributi più interessanti che intrecciano il piano soggettivo
dell’esperienza quotidiana e la volontà di una riflessione oggettiva,
sembrano provenire dalla rivista ‘statunitense’ Collective Action Notes, e dal gruppo ‘indiano’ Komunist
Kranti. L’analisi dei primi coglie, nel fiume carsico dell’espressione
difficilmente visibile della classe, <<una doppia dinamica>> di
<<resistenza>> e di <<adattamento>>, polarizzazione che
dialettizza la logica dei comportamenti proletari, distinguendoli nel periodo
attuale. L’analisi dei secondi è centrata sull’avanzato processo di
rackettizzazione e di collusione dei sindacati indiani con i poteri forti. Il
tentativo di assoggettare il continuo manifestarsi dell’azione autonoma del
proletariato industriale all’interno e contro il processo di produzione,
dandogli una forma sindacale e rendendoli facilmente assoggettabili agli interessi di potere dell’organizzazione
sindacale.
Sul
piano della ricerca storiografica, il contributo di Micheal Seidman sullo studio
dei comportamenti della classe operaia durante i fronti popolari in Spagna e
Francia ed il loro rapporto con le organizzazioni ufficiali, mette in luce le
forme di resistenza che caratterizzano la vita operaia del periodo.
L’auto-riduzione dei ritmi di lavoro, l’assenteismo o il ritardo
all’entrata come l’uscita anticipata, il furto od il dannegiamento
volontario, lo sciopero selvaggio che non trova repentinamente una
canalizzazione sindacale, accomunano nell’analisi comparata di Workers
angaist work, il proletariato parigino come quello di Barcellona.
A Barcellona per incentivare alla produzione il cottimo precedentemente abolito verrà reintrodotto sotto la spinta degli organi di gestione promossi dalla CGT, come dalla UGT, che si faranno carico di una maggiore sorveglianza e controllo, in sintesi del ‘disciplinamento’, degli organici allo stesso tempo inclini all’assenteismo e all’abbassamento delle performances produtttive, e restii alla partecipazione alla ‘vita’ gestionale delle imprese collettivizzate e o socializzate.
Le necessità economiche si scontravano puntualmente con gli interessi delle base sociale. Lo sviluppo delle forze produttive, promosso dalle organizzazioni ufficiali, attraverso la razionalizzazione e l’efficientizzazione della produzione da un lato e la moralizzazione della classe obrera dall’altro si scontrò puntualmente con l’indifferenza e l’ostilità di quella base sociale che doveva garantirne la realizzazione e la cui partecipazione attiva rivestiva un ruolo centrale ed indispensanbile.
La
sostanziale continuità delle condizioni del lavoro salariato e come
dell’alienazione nel e del processo produttivo ed il carattere solo
parzialmente emancipativo della condizione operaia sono i nervi più scoperti
dell'esperienza delle collettivizzazioni, costituiscono i limiti oggettivi del
progetto e della pratica dell’organizzazioni del movimento operaio iberico.
Se
da un lato l’enunciato negriano secondo il quale: <<nessuna affermazione
comunista, più di quella del rifiuto del lavoro, è stata violentemente
espulsa, soppressa, mistificata dalla tradizione e dalla ideologia
socialista>> va inquadrato storicamente e va problematizzato all’interno
della cornice teorica in cui era inserito, insieme alla cornice stessa, questa
riflessione coglie, per così dire in
negativo, le radici produttiviste, di parte del ‘vecchio movimento
operaio’ e l’etica lavorista della cultura PCI-ista, come dell’universo di
riferimento dei <<comitati burocratici dissidenti>> della
<<nuova sinistra>>.
[1] ‘Durata commerciale del prodotto’, letteralmente: ‘vita del prodotto nello scaffale’.
[2] Particolare tipo di cassonetto che permette di gettare i rifiuti col ‘muletto’ senza compiere le acrobazie a cui si è costretti quotidianamente: caricare i sacchi sulle forche del ‘muletto’, compiere il tragitto evitando che i sacchi caschino dalle forche, posizionare le forche sull’orlo del container, scendere dal ‘muletto’, salire sulle forche e gettare i sacchi (di solito sempre abbastanza pesanti) nel container, sperando contemporaneamente:
1) che il ‘muletto’ non si ribalti;
2) di possedere quell’equilibrio da provetto trapezzista che ti permetta di non scivolare...