Cronache da Melfi
Martedì
3 dicembre. Giornata piovosa. Nella piana di Melfi il tempo è contro gli operai.
Dopo giorni con clima primaverile, proprio oggi arriva l’inverno. Gli operai di
Termini Imerese arrivano con i pullman pagati anche dalla solidarietà militante,
ma principalmente dal sindacato e dagli enti locali siciliani. Una cassa di
sciopero autonoma non esiste. Viene immediatamente da chiedersi cosa
succederebbe se questa alleanza si sfaldasse, se gli operai cominciassero ad
andare avanti da soli, se questa copertura svanisse.
Il blocco è totale. Passano solo quelli della Barilla che hanno accessi comuni
alla SATA e i poliziotti. Gli operai di Melfi rimangono a casa. Solo pochi
crumiri si affacciano e fanno dietro front. I pullman di solito pieni, oggi
girano vuoti. Davanti agli ingressi, principalmente operai di Termini Imerese.
Rappresentanze da diverse fabbriche. Da Pomigliano Fiom e Slai. Ci sono gruppi
organizzati e singoli compagni che danno una mano nel pomeriggio. C’è una grossa
affluenza di giornalisti. Si sprecano le interviste. Di Melfi c’è solo la
minoranza più combattiva della fabbrica, sono FIOM, SLAI, FAILMS. Mancano
completamente FIM e UILM. Corre voce addirittura che quelli della FIM stanno
organizzandosi per sfondare i picchetti. E’ ufficiale che non sono d’accordo con
questa “guerra tra poveri”, come la definiscono. In effetti, ragionandoci, c’è
da ricordare che questi sono solo e sempre d’accordo con l’azienda.
Viene la sera. Il tempo peggiora. Ai picchetti rimangono gli operai di Termini
Imerese e quelli che ancora resistono di Melfi. Sono quasi ventiquattro ore di
fila in piedi. La “logistica” risulta un fallimento. Le palestre promesse per
dormire non vengono date. Da mangiare, panini, qualche pezzo di pizza, acqua. I
più stanchi dormono nei pullman.
In piena notte arrivano i compagni della New Holland da Modena. Passa la notte.
La mattina primo turno e qualche battibecco con un crumiro. Ma anche stamattina
i pullman sono vuoti.
In mattinata inoltrata passano veloci due auto di carabinieri. L’accordo è
quello di farli circolare, ma passano veloci, rasenti al picchetto. Alcuni
compagni riconoscono nelle auto un dirigente SATA e due impiegate. Sale la
rabbia. Da quel momento si decide di non far passare più nessuno, compresi i
poliziotti, se i tre che sono entrati non escono immediatamente. Pochi minuti e
questi escono. E’ la migliore dimostrazione del clima che c’è. Non conviene far
salire la tensione. I poliziotti sono stranamente gentili. Hanno avuto l’ordine
di smorzare ogni tensione, parlano con gli operai ai picchetti. La FIAT oggi è
una polveriera e gli operai di Termini Imerese sono la miccia che può farla
esplodere.
In giornata arrivano altri compagni. Dalla Magneti Marelli di Bologna arriva,
benedetta, una cucina da campo. Delegati FIOM da Pomigliano. Cinquanta NO GLOBAL
con Caruso appena liberato. Melfi è una calamita per rompiscatole.
Nel pomeriggio si comincia a discutere. La dirigenza FIOM vorrebbe liberare le
entrate il giorno dopo per andare a Roma in occasione della trattativa. La
maggior parte degli operai non è d’accordo. I più sono convinti a continuare il
blocco. E’ qui che la FIAT si fa più male, sul portafoglio. Arriva la sera e
nessuna decisione è stata ancora presa.
Mercoledì 4 dicembre, pomeriggio. Anche al secondo turno non è entrato nessuno.
Comincia a calare la sera. Strane voci circolano ai picchetti. Si dice che una
parte degli operai vuole andare a Roma il giorno dopo in occasione della
trattativa. La prima reazione è di riflessione. Sono solo voci per ora. Poi
arriva la posizione ufficiale: la RSU di Termini Imerese, “dopo ampio dibattito”
ha deciso di lasciare Melfi la mattina dopo. La reazione operaia ora è di aperta
opposizione a questa smobilitazione. La parola d’ordine è: “Tre giorni di blocco
abbiamo deciso e tre giorni saranno”. I compagni della SATA e della New Holland,
presenti ai picchetti, improvvisano veri e propri comizi per sostenere il
blocco, ma tra gli operai di Termini Imerese la voglia di rimanere è già più
forte di tutto. “Cosa ci andiamo a fare a Roma”? E’ qui che facciamo più danno
ad Agnelli”. La CGIL ha paura di quello che essa stessa ha evocato: centinaia di
operai combattivi che vogliono far perdere soldi al padrone, questa volta senza
tentennamenti, determinati. Farli rimanere lì fuori è pericoloso. Specialmente
ora che a Roma si tratta. Se ne esce un accordo bidone chi li fermerà più? Le
pressioni sulla CGIL, per ricordarle la sua storia di sindacato “responsabile”,
devono essere tantissime. E i sindacalisti non demordono. Quella che era apparsa
una posizione della RSU di Termini Imerese diventa sempre più la posizione
ufficiale della CGIL e della FIOM. Comincia il lavoro ai fianchi. Si smobilita
la cucina da campo della Magneti Marelli di Bologna. Vengono i furgoncini della
CGIL per prendersi i tendoni dei picchetti, ma gli operai glieli rifiutano. Si
ha notizia che i giornali radio stanno già comunicando che il “blocco di Melfi è
finito”. Arrivano dirigenti sindacali per convincere gli operai a smobilitare.
Compare anche la segretaria di Rifondazione Comunista di Potenza, che comincia a
disseminare dubbi e timori. “Se continuate i blocchi” dice ad un nutrito gruppo
di operai “sarete senza copertura politica e sindacale e ciò può essere molto
pericoloso”. Ma la rabbia sale e la segretaria capisce ben presto che è il caso
di cambiare aria e, così, si dilegua alla chetichella. Ai picchetti tutti
capiscono che è un colpo basso. All’indomani, grazie alle notizie dei giornali
radio verranno molti più operai per riprendere il lavoro e la tensione salirà.
Si parla di vero e proprio tradimento. Si cominciano a notare figure strane ai
picchetti che ascoltano le discussioni individuando i più determinati. Qualche
compagno avverte tutti di queste “strane” presenze. Sembra che gli operai stiano
cedendo. I sindacalisti presenti riprendono coraggio e cominciano ad affermare
apertamente che il “blocco è finito”. Non si parla neanche più di Roma. Vogliono
semplicemente riportare tutti a casa. Ma hanno sbagliato le previsioni, perché
nessun pullman va via. A sparire da quel momento saranno solo tutti i
responsabili sindacali, che non si vedranno più.
La notte che passa è carica di tensione. Quelli che sono ai picchetti hanno solo
un po’ di vino, il fuoco dei falò e le “merendine” che il vicino stabilimento
della Barilla fa avere agli operai in cambio del lasciapassare ai picchetti per
i propri lavoratori. Grande affermazione di solidarietà di classe tra
capitalisti!
Si fanno le 5.00 del 5 dicembre. Ai picchetti si è in pochi. Sono decine di ore
di veglia per tutti. Gli operai melfitani e modenesi che hanno sostenuto più di
tutti l’importanza della continuazione del blocco tra gli operai di Termini
Imerese sono esausti, senza voce. Arrivano i poliziotti. Sono molti di più di
ieri. Scendono dai loro gipponi, alcuni si avvicinano ai fuochi. Il clima è
pesante. Molti poliziotti e pochi operai e il primo turno si avvicina. Sono le
5,20. Cominciano ad arrivare gli altri operai di Termini Imerese, hanno dormito
nei Pullman. Il picchetto si anima. Sono ancora tutti lì. L’affluenza degli
operai del primo turno è molto più massiccia del giorno prima, hanno ascoltato
la radio e credevano che si lavorasse. Sono molti. I compagni ai picchetti
parlano. Le loro voci martoriate da ore di discussione e di freddo devono
rianimarsi per forza, devono convincere. Gli operai che arrivano non fanno
storie. Prendono atto che il blocco continua, salutano e vanno via. Qualcuno
rimane e solidarizza. Si fanno passare solo i lavoratori della Barilla. Si cerca
di discutere e di evitare casini. I poliziotti sono stati addolciti con un bel
po’ di “merendine” Barilla, ma sono sempre lì e ci ricordano con la loro
presenza che se qualcuno di quelli che arrivano volesse entrare, loro non
avrebbero dubbi con chi schierarsi tra la FIAT e gli operai ai picchetti. Il
turno viene bloccato. Comincia a fare giorno. Si tira un sospiro di sollievo. I
“fratelli” si guardano negli occhi e sorridono.
In mattinata arrivano delegazioni SLAI COBAS da Pomigliano e da Termoli.
Arrivano alcuni pullman con giovani di Rifondazione. I compagni dei picchetti li
vogliono utilizzare per rinforzare il blocco. Ormai sono esausti, ma vogliono
tirare almeno fino al secondo turno. Si riaffaccia alla ribalta la segretaria di
Rifondazione di Potenza, quella che sosteneva i sindacalisti la sera prima nel
tentativo di smobilitazione. Dice che i ragazzi di Rifondazione non accettano
“cappelli in testa” e non si fanno comandare da nessuno. Un compagno dei
picchetti, della SATA, anche lui di Rifondazione si arrabbia e a muso duro, le
chiede allora che cosa è venuta a fare lì. Di fronte a questa elementare
domanda, la tensione si stempera. I giovani di Rifondazione decidono di andare
tutti insieme a rinforzare un picchetto. Si arriva fino alle 15,30. Il secondo
turno è bloccato. Gli operai decidono che è arrivato il tempo di tornare a casa.
“Tre giorni di blocco abbiamo deciso e tre giorni saranno”. La promessa è stata
mantenuta nonostante i voltafaccia dei sindacalisti. I pullman di Termini
Imerese vanno via. Passano tutti al picchetto della “Barilla”. Giù ci sono i
melfitani e i modenesi. I saluti sono calorosi.
Per tre giorni, contro ogni avversità e contro quelli che volevano smobilitare,
hanno resistito.
Una sola classe, un solo interesse, un’unica testa. Fratelli.
Operai della Case New Holland aderenti alla Associazione per la Liberazione
degli Operai