Luci e ombre della sporca lotta dei lavoratori delle pulizie

 

La lotta dei lavoratori delle pulizie ferroviarie pone più problemi che soluzioni per chi, all’interno del processo d’organizzazione di classe, si pone dal punto di vista della trasformazione delle attuali relazioni sociali.

La durata temporale della vertenza - tra l’altro non ancora risolta - dall’autunno scorso all’Aprile di quest’anno, la sua particolare intensità in tre momenti distinti particolarmente significativi, metà Dicembre del 2001, Febbraio e Aprile di quest’anno, il suo carattere allo stesso tempo locale e nazionale, la porzione di classe coinvolta, i suoi contenuti, le forme di lotta, impongono un’analisi e una riflessione, anche per i nodi non sciolti e problemi, ancora aperti, dell’attuale stato del conflitto di classe. 

Questa vertenza non si esaurisce con la momentanea “uscita di scena” di questa porzione di classe, perché il corso di questa vicenda s’inserisce in un processo, geograficamente e temporalmente, più ampio e perché, in generale, le conseguenze di una lotta non sono mai prevedibili nell’immediato.

Non si può stimare fino in fondo l’ampiezza dell’eco di una vicenda particolare per il movimento di classe generale: la sua reale ricezione e registrazione sono aspetti che si possono conoscere quando il fiume carsico della lotta di classe, nel suo accidentato e invisibile percorso, riemerge in superficie e rende visibile cos’ha catturato e fatto proprio. 

Questa lotta interressa innanzi tutto tutti ferrovieri, coinvolti da anni in un processo di ristrutturazione, e tutti i dipendenti delle ditte dei servizi alle imprese nel mondo del global service.

La sua temporanea risoluzione è stata additata dagli analisti un esempio da seguire nella direzione delle relazioni industriali: un piccolo segnale di dialogo tra tanta conflittualità, come titola un commento del Il Sole 24-Ore, il giorno dopo l’accordo sulla “griglia tecnica” da cui incominciare le trattative.

 

Luci…

La forza della classe diviene forza propulsiva effettiva nella misura in cui vengono superate nella lotta stessa  le divisioni interne.

Le forme d’organizzazione del lavoro, in questo caso il lavoro a squadre e il lavoro nei vari plessi, che modellano l’azione collettiva, sono il legante iniziale, mentre lo sforzo di coinvolgere positivamente tutti i lavoratori della stessa rete aziendale, in questo caso, gli altri lavoratori della ditta di servizi e gli altri lavoratori delle ferrovie, sono passaggi fondamentali per lo sviluppo della propria forza.

Il primo passaggio non è stato completamente compiuto, il secondo è stato, per quanto ne sappiamo, solo parzialmente intrapreso.

Gli operai hanno usato dinamicamente l’organizzazione del lavoro, andando oltre una concezione della lotta da “guerra di trincea”.

Non hanno auto-limitato la propria azione al solo sciopero, che, senza dubbio, avrebbe creato qualche disagio, ma non avrebbe spezzato la routine dell’organizzazione del trasporto della forza-lavoro pendolare e il sistema di trasporto su rotaia, ma hanno occupato i binari e fatto blocchi stradali in tutt’Italia.

Non hanno auto-confinato il proprio raggio d’azione ad una sola stazione, ma lo hanno allargato all’intera città, muovendosi in massa da un posto all’altro per dirigersi verso le altre stazioni, per occupare il traffico, ecc.

Questa pratica è stata il punto più alto, dal punto di vista delle capacità offensive, raggiunto da questa lotta.

I lavoratori hanno dimostrato di sapersi muovere sul terreno del nemico colpendolo quando meno se lo aspetta, dove meno se lo aspetta, o dovunque, ad ogni modo, gli avrebbe fatto più male, magari neutralizzando temporaneamente la sua capacità di reazione secondo la logica ci sgomberano dai binari…Allora si occupano le strade;  si usano i crumiri… Li si spazza via; tutti sanno che andremo là…Bene, allora vuol dire che colpiremo da un’altra parte e così via.

A Milano, il 5 Dicembre era bastato un semplice passa-parola per organizzare l’occupazione dei binari, in Febbraio è bastata un’assemblea di qualche in minuto in centrale, dopo una settimana di mobilitazione, in cui solo i sindacalisti si interrogavano sul da farsi e volevano discutere democraticamente come continuare, mentre tutti sapevano quello che si doveva fare e l’hanno fatto, ad Aprile le situazioni più calde hanno bloccato i binari prima che incominciasse lo sciopero ufficiale.

 

Ombre…

I lavoratori fissi, hanno subordinato l’ esigenza di dare voce ad una parte di loro, come i lavoratori precari, relegandola ad un ruolo secondario, se non marginale: non si sono in pratica fatti carico, in una logica di mutuo appoggio, delle istanze di questi lavoratori.

Inoltre è effettivamente mancata è stata la solidarietà attiva dei lavoratori del comparto ferroviario, anch’essi interessati dal processo di ristrutturazione delle ferrovie, che scontano ancora retaggi corporativi e un’incapacità di azione comune con tutti gli altri lavoratori del settore.

La necessità di collegamento tra differenti realtà territoriali non è stata sentita come primaria da Dicembre, ma solo dopo Febbraio, anche se la lotta ha avuto carattere nazionale. Questo ha permesso al sindacato di potersi porre, anche se scavalcato e più volte messo alla berlina dai lavoratori, di essere l’unico soggetto in grado di trattare per i lavoratori tutti, incrementando il suo peso tutelare e conseguentemente la tendenza a delegare ad altri il proprio destino.

Finché si accetta una divisione sociale del lavoro, anche nella lotta, per cui i lavoratori direttamente interessati lottano, altri supportano e gli altri contrattano, e si subordina la propria azione al piano della mediazione a perdere, si legittima implicitamente il risultato della contrattazione stessa.

 

E mo’?

L’accordo firmato il 2 Maggio, spacciato come una vittoria dai sindacati confederali, e non bocciato completamente dal sindacalismo di base, oltre a non prevedere una continuità di rapporto di lavoro per i lavoratori precari, che sono circa 1/3 dell’intera forza lavoro, prefigura una ri-organizzazione dell’organico secondo le esigenze aziendali, prevedendo la mobilità geografica dei lavoratori e l’esubero di altri.

Si prevede un passaggio del TFR maturato dai lavoratori alle ditte subentranti, che avranno modo di pagare i lavoratori con i soldi precedentemente guadagnati da questi!

Nonostante questo, le attuali ditte d’appalto intendono procedere ad un pesante alleggerimento dell’organico, annullando la premessa dell’accordo che parla esplicitamente di salvaguardia del posto di lavoro e delle condizioni retributive, quando da Dicembre si sono licenziati volontariamente a Milano quasi 250 lavoratori e la cronica mancanza di manodopera che costringe gli operai ad un intensificazione dei ritmi di lavoro e ad un estensione delle ore di lavoro, è stata parzialmente colmata con l’assunzione di lavoratori precari: interinali e contratti a tempo determinato.

Nei parchi e suo piazzali ora regna di nuovo l’incertezza, le persone si mettono in mutua a ripetizione e chi può cerca di trovare una soluzione individuale ad un problema collettivo.

L’unica chance per non farsi scremare ulteriormente e non accettare la ri-organizzazione orchestrata da padroni, governo e sindacati sta nel ricominciare a lottare con la stessa consapevolezza, espressa nei mesi precedenti, di voler arrivare fino alla fine.

 

da Inflessibili, n.0 - 2002