SMART:
UNO SCIOPERO NON COME GLI ALTRI
da Echanges 2000
La
fabbrica che fa la macchina Smart, in Mosella, è stata presentata come un
modello di produzione a ciclo continuo e di organizzazione “moderna”,
raggruppante nello stesso luogo tutti i fornitori necessari alla sua
fabbricazione. Uno sciopero presso uno di questi fornitori, in novembre 1999, ha
dimostrato la vulnerabilità di questo modello di produzione, al di là di
questa vulnerabilità, ciò che traspare da questo sciopero, è la difficoltà
della lotta di classe di fare a meno di una serie di vincoli concepiti sia per
massimizzare il profitto sia per parcellizzare e dividere tutte le resistenze
alla dominazione sulla forza lavoro.
Nell’accumularsi
di conflitti sull’applicazione della legge sulle 35 ore, uno sciopero ha
attirato particolarmente l’attenzione dei media, non tanto per la sua
importanza ma perché anteriormente era colato molto inchiostro su una fabbrica
modello, l’ultimo grido del capitalismo industriale. Infatti, Ciò che potava
sembrare uno sciopero ordinario alla fin fine perturbava seriamente una
organizzazione del lavoro così finemente studiata da assicurare una produttività
massima. Al di là della vulnerabilità di un simile sistema di produzione, ciò
che ci interessa e che traspare da questo sciopero, è la difficoltà della
lotta di classe di fare a meno di una serie di vincoli concepiti sia per
massimizzare il profitto sia per parcellizzare e dividere tutte le resistenze
alla dominazione sulla forza lavoro. Prima di cercare di descrivere lo
svolgimento di questo sciopero, dobbiamo precisare che, per le ragioni che
abbiamo esposto, le informazioni precise tendenti a sviluppare e a provare ciò
che ci interessa nelle lotte, sono malgrado i numerosi articoli che vi sono
stati consacrati, particolarmente incomplete e parziali. Si troveranno in questo
articolo sia delle supposizioni che dei fatti concreti verificabili.
***
Il
lunedì 8 novembre 1999, 70 operai della Magna Châssis, azienda terzista
fornitrice di Micro Compact Car (MCC), filiale di Daimler-Chrysler, fabbricante
di una piccola automobile, la Smart, a Hambach (Moselle, Frontiera tedesca
vicino la Sarre) si mettono in sciopero.
Trovandosi
queste fabbriche terziste all’inizio della catena di fabbricazione (montaggio
dei telai), la produzione è seriamente perturbata, ma non arrestata. E’
difficile sapere, a questo punto, come è scoppiato lo sciopero, benché FO (Force Ouvrière), il solo sindacato apparentemente presente in queste aziende
terziste, ne rivendicano la paternità e la direzione (avendo ottenuto questo
sindacato, due mesi prima, la maggioranza alle prime elezioni del comitato
d’impresa; le nostre rsu ndt). Il solo punto interessante è che si tratta di
lavoratori tutti giovani (età media 23 anni in questa unità) che lavorano là
dall’inizio nel 1998. La rivendicazione unica sembra riguardare i salari: 1500
franchi in più al mese, mentre il salario di base mensile è di
Non
abbiamo notizie esatte sulla prima reazione padronale e quali discussioni si
sarebbero tenute con i sindacati - poco presenti presso le fabbriche, che
raggruppano 1800 lavoratori. Sembra che gli scioperanti si siano resi conto del
poco interesse che ha suscitato la loro reazione minoritaria, sia per la
direzione che sembra trattarla con disprezzo sperando che essa perisse da sola
(senza alcun intervento padronale N.d.T.), sia per i loro compagni di lavoro
perché almeno all’inizio, nessuno si assocerà al loro sciopero.
Non
sappiamo se gli altri operai di Magna Châssis abbiano continuato a lavorare, ma
sembra, a questo stadio, che la produzione dell’insieme della fabbrica non si
sia fermata (in fabbrica si lavora a ciclo continuo e, è la performance vantata
fin dall’inizio della sua messa in opera e, sembrerebbe che, un arresto di un
quarto d’ora presso uno degli stabilimenti di un terzista provocherebbe
l’arresto totale della produzione). E’ verosimilmente ciò che fa sì che
l’indomani martedì 9 novembre, i 70 (scioperanti N.d.T.), constatando i
scarsi risultati della loro lotta, spalleggiati da alcuni operai della fabbrica
vicina Behr (1000 operai) che fabbrica, fra l’altro, dei componenti per la
Smart, ma che non è in sciopero, bloccano con delle barricate di pneumatici i
collegamenti stradali che permettono il traffico d’ingresso e d’uscita del
complesso industriale Smart.
Il
blocco della strada ferma i camion e le vetture ma non si oppone all’ingresso
dei non scioperanti, operai sia di Magna Châssis che di altre aziende terziste
o della fabbrica madre MCC (dove 480 operai in due squadre lavorano sulla catena
di montaggio finale). Sembra che il risultato sia un blocco della catena il
mercoledì 10 novembre, ma la direzione di MCC non prende a questo momento delle
misure di messa in sciopero tecnico, soprattutto pensando che il conflitto si
sarebbe risolto.
I
media parlano di 10 giorni di sciopero a “Smartville”: non è esatto perché
questo mercoledì 10 novembre, nel pomeriggio, si apre un periodo di ferie
dall’ undici novembre, un week end prolungato che va a mettere la fabbrica in
riposo fino a lunedì 15 novembre. La Smart si vende male e MCC non ha nessuna
intenzione di spingere alla produzione, utilizzando così l’opportunità dei
giorni non lavorativi, questo anche perché è in corso la fabbricazione di un
nuovo modello diesel, il che potrebbe rendere necessario l’adattamento delle
macchine realizzato durante questi giorni di riposo (ci si potrebbe dunque
interrogare sulla opportunità di questo sciopero che da un lato potrebbe
utilizzare il ritardo nel lancio del nuovo modello come mezzo di pressione ma
dall’altro permette questo adattamento - cosa che si saprà effettivamente
dopo lo sciopero- e lo smaltimento delle giacenze di magazzino invendute)(1).
Non sappiamo se nonostante questa sospensione il blocco stradale è sempre
attivo ma senza dubbio, nelle sfere dirigenti, questo periodo sarà utilizzato
per fermare lo sciopero.
Non
sappiamo di più su quando, come e all’appello di quale sindacato (sembra che
sia solo FO; Force Ouvriére N.d.T.) gli operai di altri due terzisti, Magna
Doors (135 operai che fabbricano gli sportelli) (giuridicamente distinti benché
appartenenti allo stesso gruppo canadese di Magna Châssis) e Sartama (200
operai che lavorano nella verniciatura nella filiale di una impresa tedesca)
vanno in sciopero- forse uno sciopero interno- con le stesse rivendicazioni. Si
svolgeranno delle discussioni dietro le quinte fra sindacati, MCC e aziende
terziste ma con una evidente opacità. Nello stesso tempo le rivendicazioni
iniziali sono state edulcorate. Nuove proposte (sembra 400 franchi per novembre
dicembre e 680 mensili nel 2000) sono trasmesse dal segretario della sede locale
di FO a una assemblea di 50 scioperanti di Magna Châssis domenica 14 novembre.
Esse
sono rifiutate e lo sciopero continua il lunedì 15; una certa confusione sembra
crearsi attorno alla fabbrica, materializzando sembrerebbe una certa rottura fra
i responsabili sindacali di dipartimento, che sembra controllino le trattative,
e una base determinata. Ciò che è certo, è che il blocco stradale è ripreso
il martedì 15 alle ore 18,30, bloccando di nuovo gli accessi alla fabbrica, e
che la direzione di MCC e delle aziende terzista decidono di mettere 1300 operai
su 1830 in “disoccupazione tecnica” a partire della squadra del mattino di
martedì 16 novembre. E, segno che i dirigenti sindacali non hanno le loro
truppe in mano, (il protocollo d’accordo firmato dai sindacati sarebbe stato
rigettato dalla base), segno, in altre parole, di una certa combattività di
base, la direzione di MCC cita in giudizio “la mangiata di
irriducibili”(secondo le parole dell’avvocato della direzione davanti al
tribunale di Sarreguemines) che “mette in pericolo il lavoro di 3500
lavoratori” “d’ostacolo alla libertà di lavoro, alla libera circolazione
e attenta alle regole della negoziazione”.
Non
sappiamo che pressioni sono esercitate sugli “irriducibili” ma il blocco
stradale viene tolto questo mercoledì pomeriggio, quando si riunisce il
tribunale, e la condanna per “esercizio anormale del diritto di sciopero” e
le “conseguenze sproporzionate all’obiettivo ricercato” cade la sera nel
vuoto. Il lavoro riprenderà il giovedì 18 novembre alle 5 e 30 del mattino
dopo un voto “unanime” di 30 scioperanti il 17 sera.
Apparentemente
si applica -almeno a Magna Châssis e Magna Doors- un aumento di 200 franchi
mensile al 1° gennaio 200; un premio presenza di 400 franchi sarà pagato in
novembre e dicembre; è messo in discussione il pagamento di un premio annuale
di presenza di 3600 franchi (che rappresenterebbe un aumento variabile di circa
l’8%).
Come
abbiamo segnalato all’inizio di questo articolo, l’interesse di questo
sciopero non risiede tanto nella sua originalità quanto nelle sue conseguenze
per l’organizzazione di un sistema di produzione presentato come
“rivoluzionario”. Non possiamo ad ogni modo apprezzare questa originalità,
ancorpiù che lo sciopero sembra sia stato minoritario, senza far riferimento
alle specifiche condizioni di lavoro alla Magna Châssis (la pure troveremo una
direzione ostile ad ogni dialogo, anche con i sindacati).
Per
esaminare queste conseguenze, è necessario delineare ciò che è stato
l’installazione e la concezione di questa fabbrica in una regione di frontiera
fra la Francia e la Germania. La scelta di questa localizzazione della azienda
tedesca Mercedes(parte del gruppo mondiale Daimler-Chrysler) è perfettamente
riassunto in una lettera indirizzata nel 1993 al presidente di Mercedes-Benz dal
presidente della fabbrica tedesca Continental già installata a Sarreguemines.
Si
è detto che si trova in quella regione di frontiera “una mentalità di lavoro
tedesca, dei salari francesi (4), del personale qualificato, di eccellenti
relazioni sociali, del personale bilingue, un posizionamento geografico
centrale, delle risposte rapide dell’amministrazione, un posto appropriato,
una costruzione rapida degli stabili”.
Non
mancano al quadro idilliaco per una impresa capitalista che le sovvenzioni, che
sotto differenti forme pioveranno sulla fabbrica Smart come in passato su altre
fabbriche gipponesi, coreane ecc. e che si suppone possano risolvere il problema
arduo della riconversione delle miniere e della siderurgia lorena (che si fa
sotto l’autorità di un prefetto speciale segretario della confederazione
sindacaleCFDT). Oltre agli altri vantaggi diretti di installazione a carico
della collettività locale, la società semipubblica di finanziamento di questa
riconversione ha preso e possiede ancora una partecipazione azionaria del 25 %
del capitale di MCC (l’aiuto pubblico rappresentava all’inizio, 17%
dell’investimento totale). Conoscendo l’interpenetrazione dei sindacati
notoriamente CGT e CFDT in questi organismi, di concerto con le miniere di
carbone nazionalizzate e le imprese siderurgiche, possiamo avere un’idea del
genere di intrecci che stanno dietro ai fondi battesimali della smart.
Per
il gruppo Daimler-Chrysler, la fabbrica era anche una fabbrica pilota sotto
tutti questi aspetti. Il lancio del nuovo modello era alla fin fine secondario
rispetto all’innovazione di un nuovo modo di finanziamento, di relazioni
specifiche di produzione e delle relazioni di lavoro conseguenti.
Il
finanziamento potrebbe sembrare secondario, rispetto ai problemi della lotta di
classeche ci interessano ma indirettamente esso influisce sulle condizioni di
lavoro: ritmi di lavoro e salari. E’ noto che le aziende terziste, per
conservare il loro rapporto con il grupppo a cui fornivano componenti, dovevano
proporre dei prezzi competitivi sfruttare sempre più una mano d’opera che
difficilmente può difendersi, trattandosi spesso di piccole imprese.
Per
la fabbrica Smart, l’impegno delle aziende terziste era stato spinto al
massimo dell’impegno finanziario e questa pressione finanziaria può spegare
perchè le condizioni di lavoro erano particolarmente drastiche e le direzioni
particolarmente sorde a tutte le rivedicazioni. L’utilizzo di aziende terziste
- o l’esternalizzazione per usare il nuovo gergo tecnocratico - era stata
spinta al massimo fin dalla costituzione della società MCC: le assunzioni erano
state affidate ad una azienda esterna (PA Consulting Group) che lavorava in
comune con l’ANPE (associazione nazionale piccole imprese N.dT.) regionale,
MCC interveniva solo per la firma del contratto individuale di ogni lavoratore;
erano esternalizzato i trasporti; la gestione dei magazzini, le assunzioni, la
finanza, il controllo di gestione, la rete di distribuzione, l’informatica (Andersen
Consulting la cui remunerazione è proporzionale al numero di vetture prodotte)
e, naturalmente la fabbricazione di componenti. Era su quest’ultimo punto che
la fabbrica Smart innovava.
Uno
dei problemi della moltiplicazione dell’utilizzo di azende terziste nella
produzione o nella distribuzione con un ciclo continuorisiede nelle possibili
difficoltà causate da intoppi alla circolazione stradale o ferroviaria (in
parte causate dalla moltiplicazione di scioperi e azioni diverse non solo nei
trasporti ma aventi come obiettivo la paralisi, anche temporanea delle vie di
circolazione).
Da
qui l’idea nuova, dopo la separazione geografica delle aziende terziste di
sceglire le migliori offerenti sui prezzi, di imporre all’impresa terzista di
essre localizzata in prossimità dell’imprese madre. Presso la MCC, si contano
non meno di 14 aziende terziste per la fabbricazione di componenti, che
costruiscono delle parti importanti della automobile e che arrivano fino
all’intervento sulla catena di montaggio per fissare questi componenti (2). Ma
queste 14 imprese terziste sono state costrette a stabilirsi negli stabilimenti,
costruiti appositamente attorno alla catena principale e restanti di proprietà
di MCC, in modo di avere una distanza minima per la consegna delle loro
fabricazioni. Queste aziende terziste dovevano contribuire ad un livello di 35%
al finanziamento del posto e in più, devono prendere in locazione gli
stabilimenti dove sono costrette a installarsi, ma di cui MCC resta la
propietaria. In altri termini, MCC riduce al minimo i suoi rischi ma in
contropartita di una enorme pressione su quelli che partecipano così alla
costruzione e al funzionamento della fabbrica modello, pressione che
naturalmente si ripercuote sulla maglia finale della produzione, i lavoratori
(5).
L’interesse
per questo nuovo modello di fabbrica è che esso non è del tutto nuovo: i
vincoli economici, parte dovuti alla lotta di classe, parte dovuti ad uno
sviluppo caotico spingono a ricostituire la fabbrica integrata così come
esisteva una volta e che la ricerca del profitto massimo nella esternalizzazione
aveva fatto smembrare.
Ma,
per i lavoratori, anche se si trovano raggruppati in modo così numeroso su un
solo sito indutriale, la loro situazione resta estremamente differente. Perchè,
intenzionalmente o indirettamente come conseguenza di altre preoccupazioni,
questi lavoratori che concorrono alla stessa produzione sono mantenuti in una
divisione che, per artificiale che possa sembrare non è meno reale sul piano
delle relazioni di lavoro: le 14 aziende terziste sono imprese giuridicamente
distinte sotto la MCC, essa stessa distinta dal gruppo Daimler-Chrysler, il vero
propietario. Questa dispersione è così spinta che la stessa impresa canadese
Magna controlla due aziende terziste, l’una fabbricante i telai, Magna Châssis,
l’altra le porte, Magna Door, i lavoratori di queste “Magna” si presume si
ignorino.
Per
perfezionare questa divisione operaia, la fabbrica centrale MCC (conserva solo
la progettazione e l’assmblaggio), che essenzialmente gestisce la catena di
montaggio, raggruppa 480 operai in due squadre per giorno (sui 700 lavoratori di
MCC) ripartiti in gruppi da 4 a 8 operatori di cui uno di loro, il “team coach”,
anche se fa lo stesso lavoro, è meglio pagato con un premio speciale perchè ha
la responsabilità della squadra; questi “teams” e il loro
“coordinatore” formano un “group” suprvisionato da un “group coach”
e diversi “groups” sono a loro volta supervisionati. Vi sono nella fabbrica
anche dei tecnici tedeschi di Mercedes che, a lavoro uguale, guadagnano il 40%
in più di quelli farncesi.
Non
possiamo che ammirare l’utilizzo della semantica dove l’inglese è molto
pratico a camuffare il taylorismo moderno con la stessa gerarchia industriale
tradizionale. Gli apologeti della fabbrica insisteranno fortemente sulla
“responsabilità degli operatori” e la “solidarietà” nel lavoro in
“team” ma, quale che sia la modulazione del taylorismo e la ripartizione dei
compiti nei differenti posti che deve occupare il gruppo di lavoro sotto
l’autorità del “team coach”, è la direzione di MCC, che conserva
gelosamente la fissazione dei ritmi di lavoro della catena. Inoltre, alcune
postazioni sono particolarmente dure oltre per il ritmo di lavoro, perchè
comportano il fissaggio di pezzi pesanti fino a 20 Kg.
Non
sappiamo se presso ogni azienda terzista, la raffinatezza è altrettanto spinta
nella organizzazione del lavoro, ma ciò che è certo, è che questo ritmo si
impone nelle stesse condizioni, perchè ciascuno di loro deve assicurare un
approvvigionamento regolare della catena di montaggio. Il paradosso
dell’insieme di questa situazione, è che le necessità di queste nuove
tecniche di produzione obbligano a creare una unificazione che si nega d’altro
modo cercando di evitare, con astuzie giuridiche o organizzative, che esse
ricostituiscano una unità proletaria, negandola in qualche maniera. Potremmo
moltiplicare gli esempi di questa unificazione proletaria dietro queste
costruzioni fittizie: l’unità di luogo, l’unità di ritmo di lavoro,
l’unità negli orari (a causa del coclo continuo spinto al massimo, tutte le
unità distinte devono avere gli stessi orari), etc.
Non
sappiamo molto su come si è svolto uno sciopero di due ore il 15 settembre
1998, apparentemente organizzato dalla CGT per i salari e contro le condizioni
di lavoro. La CFDT vi è ostile e un responsabile locale della CGT fa una
dichiarazione piuttosto ambigua: “non vi è stata che una sopensione dal
lavoro ma noi non abbiamo dichiarato lo sciopero” (3).
Ma
l’obbligo di negare la divisione estrema, che si suppone possa rendere una
redditività massima, traspare di già durante le discussioni sulle 35 ore. I
primi tentativi di discussione ristretta alle singole unità giuridiche hanno
rapidamente inciampato sulla necessità assoluta, vista l’organizzazione della
produzione e il suo ritmo, di avere una piattaforma comune di discussione con
tutte le “imprese distinte” e i sindacati adeguati affinchè tutto vada allo
stesso passo. E’ effettivamente ciò che avviene sotto l’egida della
direzione di MCC, la vera madre del complesso.
L’accordo
sulle 35 ore fu firmato in maggio (dopo sembrerebbe, 8 mesi di negoziazioni) e
diverrà effettivo il 28 giugno 1999. Tutti i sindacati sono, firmatari, tranna
FO. L’accordo prevede fra l’altro l’annualizzazione del tempo di lavoro,
il che fa scaturire una riduzione del 10% (cioè 48 minuti) dell’orario
quotidiano, una flessibilità da 0 a 44 ore, 74 nuovi assunti e il blocco dei
salari per un anno. Ma non conosciamo i dettagli che permettono certamente, come
altrove, di mantenere i costi con degli aggiustamenti riguardanti il ritmo e il
periodo di lavoro.
Una
prima constatazione tocca la questione delle 35 ore. Il fatto che FO sia stata
scartata dall’accordo di maggio 1999 non può far mettere da parte l’idea di
conflitti di presenza e di influenza fra confederazioni (vedi nota 5). Ma il
punto importante è che un prima interruzione del lavoro dopo questo sciopero
mostra che gli accordi sulle 35 ore, qualsiasi sia l’effettiva modalità,
vengano messi in discussione sia sulla questione dei salari sia
sull’organizzazione del lavoro. Possiamo prevedere che si rimetterà in
discussione tutta l’economia del sistema e vi sarà un irrigdimento padronale
nel tentativo di accerescere la produttività del lavoro, già spinta al
massimo.
Come
abbiamo sottolineato, la stessa gestione di questo complesso obbliga, per
ottenere lo scopo ricercato, di ricostruire l’unità di porduzione che si era
voluto mantenere separata e quindi di ricostituire nello stesso tempo l’unità
operaia che si era pensato di dividere all’estremo.
Una
seconda constatazione concerne gli stessi metodi di produzione. Il complesso
industriale SMART è una sorta di performance impossibile. Il perfezionamento
della costruzione tecnica, giuridica e sociale che esso rappresenta mostra
quanto sia difficile spingersi al di là di questo modello e nello stesso tempo
ne rivela l’estrema vulnerabilità. In queste situazioni, la lotta di una
frazione infima di lavoratori (appena il 4% dei lavoratori di SMART furono
direttamente coinvolti in questa lotta) destabilizza rapidamente l’insieme.
Involontariamente, nel ricercare il profitto, il capitalismo ristabilisce un
rapporto di forza che aveva cercato di eliminare. La lezione non è certamente
persa per i lavoratori di SMART come daltronde per gli altri lavoratori.
HS
gennaio 2000
NOTE
1)
La
direzione di MCC rivelerà dopo lo sciopero che l’arresto della catena è
stato utilizzato proficuamente per modificare certi elementi tecnici della
automobile. Inoltre, per far fronte alla riduzione della produzione, delle ferie
saranno obbligatoriamente presi come era stato reso possibile dalla svendita
delle ferie accordata nel quadro di trattative per le 35 ore. Si può vedere
come “il conteggio dei giorni di riposo” (corrisponde alla banca ore del
contratti italiani, meccanismo per il quale le ore lavorate come straordinario
non saranno pagate ma si trasformano in ore non lavorate N.d.T.) può essere
utilizzato unilateralmente, secondo la volontà del padrone, per rispondere agli
imperativi della produzione. Inoltre, la direzione di MCC annuncerà è stata
persa solo una giornata e mezza di produzione e che questa sarà recuperata in
tre settimane.
2)
Nel 1995, per un salario europeo medio di 100, questa media era di 97 in
Francia, e 159 in Germania e 156 in Svizzera. In più all’epoca, si vantava
negli ambienti padronali per la Lorena una “organizzazione degli orari di
lavoro eccessivamente flessibile”. Un’altra impresa tedesca, Sofirem,
impiantata in Lorena, spiegherà che “l’imposta sulle società resta meno
alta in Francia che in Germania, che il costo della mano d’opera ugualmente più
basso e che la produttività è almeno lo stesso buona” e che “il costo
della nostra produzione è inferiore dal 15 % al 25 % ai costi tedeschi”.
3)
Fra le aziende terziste, si trava la Magna (Canada) (sportelli e telai),
Eisenman (tedesca, verniciatura), VDO (tedesca, cruscotto), Krupp Hoesh
(tedesca, treni posteriori), Bosh (tedesca, moduli anteriori), Dynamite Nobel
(svedese, carrozzria), Ymos. Il complesso Smart utilizza la fornitura esterna da
terzisti per l’80%, contro una media di 60% nell’automobile.
4)
Questa situazione, così come è stata descritta, non è esclusiva della
fabbrica Smart, ma è una tendenza dell’industria dell’automobile, messa
alle strette dalle concorrenza dell’estremo oriente e dalla sovrapproduzione
occidentale, a “associare” le aziende terziste con, fral’altro,
l’obbligo di una specifica localizzazione. Volkswagen in una fabbrica che
produce la Skoda a Mlada Boleslav, a nord di Praga, obbliga sei aziende terziste
a raggrupparsi vicino la catena di montaggio costruita appositamente ad U per
ridurre i costi e le perturbazioni in quella costruzione, battezzata “la
fabbrica dalle corte distanze”. Un consorzio automobilistico, nella fabbrica
di Resenda, in Braqsile, va anche oltre affidando ad aziende terziste interi
settori della catena di montaggio, cosa che non avviene nel caso della Smart se
no per una sola azienda.
5)
E’ difficile conoscere quale sia stato l’intervento dei sindacati
all’epoca della installazione della MCC a Hambach. Influenza la CFDT (vedere
nel testo), il ruolo preponderante della CGT nelle miniere di carbone (di cui
l’genzia di formazione fa dei corsi agli operai Smart) e nella siderurgia.
Sembra che i minatori delle miniere di carbone lorene abbiano rifiutato di
andare a lavorare in questa fabbrica malgrado una importante indennizzazione.
D’altra parte. La sindacalizzazione nelle diverse unità giuridiche era molto
debole e, e per dei mesi, non è esistito alcun rappresentante sindacale in
queste unità. Possono essere avanzate molte spiegazioni. Di fatto, durante le
trattative sulle 35 ore così come durante lo sciopero, le relazioni con le
direzioni furono assicurate non da delegati di base ma da burocrati locali
dell’uno e dell’altro sindacato. Come abbiamo sottolineato, non può essere
escluso che un malcontento dovuto alle condizioni di lavoro sia stato utilizzato
dall’una o dall’altra delle centrali per impiantare delle sezioni di base.
Note
alla traduzione: il termine francese sous-traitant o contratto di sous-traitance,
è stato tradotto con il termine terzista o fornitore. Con questo termine si
deve intendere non un normale rapporto di fornitura, come avverrebbe con un
semplice acquisto sul mercato di un prodotto standard, ma di una fornitura che
segue le specifiche tecniche del prodotto stabilite dal committente, per cui il
fornitore fa quel prodotto solo per quel committente; a volte si instaurano
rapporti per cui il fornitore deve seguire anche una direttiva del committente
sulle caratteristiche tecniche del processo produttivo, oltre che del prodotto
naturalmente.