Disoccupati
ricalcitranti e ristrutturazione dello Stato Sociale oggi nel Regno Unito
(Da Aufheben)
1. Introduzione
Negli ultimi tempi, le varie forme del
sussidio di disoccupazione inglese, "the dole", sono state al centro
di diverse proteste nel Regno Unito. Il gruppo che scrive Aufheben ha preso
parte a queste proteste.
Quali proletari a cui in certe circostanze
occorre ricorrere al sussidio come mezzo di sussistenza, lottare per difenderlo
e' tutt'uno con la difesa dei nostri bisogni. Ma questa lotta ha conseguenze che
vanno al di la' dei bisogni della particolare categoria dei disoccupati. Di
fatto, la nostra strategia di lotta si e' concentrata sulla connessione tra
sussidio e salario. In un certo senso, infatti, i sussidi giocano il ruolo di
valore base dei salari: se tale base viene attaccata, anche i salari sono sotto
attacco. L'attuale attacco contro i sussidi da parte del governo deve essere
quindi visto nel contesto di un piu' ampio programma di ristrutturazione,
progettato per riorientare la classe operaia all'accettazione un carico maggiore
di lavoro e condizioni di lavoro e salari peggiori[1].
In questo articolo spieghiamo in che modo il
sussidio di disoccupazione sia nato come conseguenza dell'integrazione dei
bisogni della classe operaia nello stato socialdemocratico. Con il riflusso
della socialdemocrazia, lo Stato britannico ha ripetutamente tentato di
"riformare" lo Stato Sociale. Il recente "New
Deal" per i disoccupati e' uno di questi tentativi. Sebbene portato
avanti dal partito laburista, partito tradizionalmente associato alla
socialdemocrazia, il New Deal e' parte
di una tattica riformatrice che accetta molti postulati "neoliberisti"
del prcedente Governo (Conservatore), ma che cerca di sviluppare un nuovo
programma. Noi pensiamo che, nonostante le specificita' inglesi, quello che
avviene nel nostro Paese sia importante per gli sviluppi della situazione nel
resto d'Europa.
2. Il
trionfo e il riflusso della socialdemocrazia nel Regno Unito.
La svolta di questo secolo nei rapporti tra
capitale inglese e classe operaia fu la seconda guerra mondiale, che spiano' la
strada al consolidamento della produzione e consumo di massa fordista
("pile 'em high, sell'em cheap"). Prima della guerra, queste relazioni
di produzione avevano dato origine a forti conflitti di classe, specie negli
Stati Uniti dove erano state introdotte per prime. La guerra, e la vittoria
degli USA, spianarono la strada all'introduzione di queste relazioni a tutto il
blocco occidentale. Tuttavia, tale ristrutturazione delle relazioni di
produzione e riproduzione capitaliste non poteva essere semplicemente imposta
sulla classe lavoratrice, specialmente nei Paesi vincitori. Nell'integrare la
classe lavoratrice nelle nuove relazioni i sindacati e i partiti
socialdemocratici giocarono un ruolo fondamentale.
Il "modo di accumulazione"[2]
precedente si basava sulla restrizione dell'offerta di merci al fine di
mantenere il monopolio sui prezzi, che serviva a far fronte alle rivendicazioni
delle categorie specializzate e organizzate della classe operaia. Diversamente,
il fordismo richiedeva l'espansione libera della produzione. Il dominio reale
del capitale e lo sviluppo "scientifico" del processo industriale
permise col fordismo un continuo aumento della produttivita' del lavoro. In
cambio della resa del controllo sul processo di lavoro, alla classe operaia
veniva garantito di fatto un aumento continuo del salario reale entro i limiti
della crescita della produttivita'. Tali salari crescenti a loro volta fornivano
la base per una crescente domanda, e quindi produzione, di merci (auto,
lavatrici, ecc.).Il nuovo modo di accumulazione acquisto' stabilita' nel Regno
Unito, e in altre economie occidentali che avevano aderito al sistema di tassi
di cambio fissi di Bretton Woods, secondo il quale ogni moneta nazionale si
impegnava a mantenere la parita' fissa col dollaro. Tutto cio' costitui' la base
della strategia economica keynesiana basata sul management
della domanda adottata da governi inglesi successivi di entrambi i due partiti
maggiori.
Nel sociale, la realizzazione degli
"accordi del dopoguerra" ("post-war settlement")
rappresento' una condizione essenziale per il fordismo. La pressione da parte
della classe operaia e la paura, nella classe dirigente, della rivoluzione,
portarono, alla fine della seconda guerra mondiale, all'introduzione di uno
Stato Sociale esteso e completo, del corporativismo (organizzazioni tripartite e
diritti sindacali), del pieno impiego e della redistribuzione delle ricchezze
attraverso il sistema fiscale. In realta', la classe operaia rinunciava al
desiderio della rivoluzione o di ulteriori cambiamenti sociali in cambio
dell'integrazione delle sue rivendicazioni nello Stato e nel Capitale. Le
"conquiste" della classe lavoratrice - per esempio, la sanita'
pubblica, un sistema di sussidi universale, la creazione di alloggi per il
proletariato- comportarono necessariamente il riflusso dalla lotta. Le comunita'
di lavoratori si disgregarono quando vennero costruite le nuove zone di sviluppo
urbano. Le vecchie reti di mutuo soccorso e solidarieta' vennero sostituite
dall'amministrazione burocratica dello Stato Sociale, e cosi' via. Nello stesso
tempo, la crescita dei salari reali comporto' una crescente intensita' e
monotonia del lavoro. Con queste "conquiste", la socialdemocrazia -
cioe', la
rappresentazione politica della classe lavoratrice quale lavoro all'interno del
Capitale e dello Stato borghese,tramite partiti socialdemocratici, e, a livello
economico, tramite sindacati - aveva infine trionfato. Il presupposto per un
movimento rivoluzionario divenne quindi in un attacco a questa rappresentazione:
la classe lavoratrice doveva superare il contenimento socialdemocratico della
sua lotta.
Gli "accordi del dopoguerra"
potevano essere mantenuti solamente in una situazione economica di boom ma nello
stesso tempo ne minavano le condizioni. Alla fine degli anni sessanta, i termini
stabiliti nel dopoguerra erano diventati un'intollerabile palla al piede per il
capitale inglese e servivano a rafforzare la classe lavoratrice. Le
rivendicazioni di maggiori salari e minore lavoro cominciavano ad eccedere i
limiti del compromesso socialdemocratico. Nel 1974, uno sciopero dei minatori,
il settore piu' forte della classe operaia inglese, determino' la caduta del
governo conservatore. Il governo laburista che gli succedette tento' di
disinnescare la combattivita' della classe lavoratrice entro i termini della
socialdemocrazia. Al fine di contenere le crescenti rivendicazioni salariali,
tento' di distribuire equamente a tutti gli strati della classe lavoratrice un
carico di "sacrifici" per mezzo di un "contratto sociale"
mediato dai sindacati. Ma questo tentativo crollo' durante "l'inverno dello
scontento" (1978-9), quando molti settori chiave della classe lavoratrice
entrarono in agitazione, portando il Paese quasi alla paralisi.
In seguito il governo Thatcher abbandono' il
"consenso del dopoguerra" e affermo' invece il diritto del capitale di
gestire l'economia. Al centro della ristrutturazione thatcheriana c'erano sia
leggi contro lo sciopero, sia l'abbandono di politiche di controllo della
disoccupazione di massa. Dal punto di vista del capitale, la ristrutturazione
della Thatcher ebbe un gran successo. Il Regno Unito cesso' di essere il Paese
leader nel mondo industrializzato in fatto di scioperi e astensionismi per
divenire uno dei Paesi con il piu' basso numero di scioperi e con la classe
operaia piu' sottomessa. La maggior parte dei leader del movimento laburista in
realta' accetto' la tesi della Thatcher che non ci fosse "altra
alternativa"; l'illusione idealistica di una socialdemocrazia progressiva
lascio' il posto ad un "nuovo realismo" di riconciliazione col
mercato. Politicamente, il New Labour (il nuovo Partito Laburista) rappresenta lo sviluppo di
tutto cio'.
3. Disoccupazione di massa e "autonomia nel sussidio"
Il New
Labour rappresenta il riconoscimento, da parte della leadership politica
della socialdemocrazia inglese, del fatto che la ridefinizione degli accordi del
dopoguerra iniziata dalla Thatcher era irreversibile ma incompleta: un ulteriore
passo necessario era reintegrare molti elementi della classe lavoratrice nella
disciplina del mercato del lavoro. Per comprendere questa necessita' e la
centralita' del valore etico del lavoro nel progetto del New
Labour, dobbiamo andare a vedere alcune conseguenze inaspettate dell'uso
strategico della disoccupazione di massa di cui la Thatcher si era
avvantaggiata.
La disoccupazione di massa ebbe certamente
l'effetto desiderato su molti settori del mercato del lavoro, quello di
eliminare in un colpo i piu' combattivi. Lo smantellamento quasi completo
dell'industria mineraria inglese e' l'esempio piu' eclatante.
Questa strategia basata sulla disoccupazione
di massa non ebbe successo pero' in un altro dei suoi obbiettivi: quello di
contenere i livelli salariali creando un esercito di riserva sul mercato del
lavoro. Quello che avvenne invece fu che il mercato del lavoro si scisse in due:
la maggioranza dei disoccupati a lungo termine si "abituo'" alla
disoccupazione. Considerati "inimpiegabili" da qualunque datore di
lavoro, privi non solo di specializzazioni ma persino di disciplina, molti
furono esclusi dal mercato del lavoro. Questo esercito di riserva quindi non si
dimostro' affatto utile a creare competizione e a esercitare pressione sui
salari esistenti. L'atteggiamento ricalcitrante dei disoccupati ebbe l'effetto
che, in molti settori, i lavoratori esistenti cervavano lavoro passando da
un'azienda all'altra e continuavano ad avere tale forza negoziale da mantenere
alti i salari. Ampi settori del capitale inglese quindi restavano scarsamente
competitivi.
Era un fatto che gran parte dei disoccupati
cercava lavoro, almeno perche' aveva bisogno di denaro. Altri, sebbene una
minoranza, sfruttarono la mancanza di lavoro a loro vantaggio. Fu cosi' che,
negli anni ottanta, il sussidio divenne la base di un gran numero di progetti e
movimenti creativi, alcuni dei quali erano apertamente politici. In pratica, il
sussidio divenne lo "stipendio del casinaro". Questa situazione ando'
avanti fino agli anni novanta. I piu' impegnati militanti nelle proteste
ecologiste di questo decennio contro la costruzione di nuove strade non
avrebbero potuto occupare permanentemente alberi e case destinate alla
demolizione senza l'assegno bimestrale del sussidio. Si potrebbe dire che il
"rifiuto del lavoro", un comportamento antagonista che si era
sviluppato negli anni sessanta e settanta, adesso si trasferiva nella
vita-nel-sussidio. Ma tale genere di vita portava con se' anche la
marginalizzazione; mentre il "rifiuto del lavoro" degli anni sessanta
minacciava di diffondersi nelle fabbriche e di creare legami tra categorie
diverse, la nuova "autonomia nel sussidio" comporto' molto spesso una
cultura individualistica e il fenomeno del "lifestyle"[3].
Questo individualismo oggi si rivela acutamente nel modo atomizzato in cui i
disoccupati rispondono agli attacchi al sussidio.
Durante gli anni ottanta, il governo fece
numerosi tentativi di restringere le regole per ottenere il sussidio. Molti di
questi tentativi ebbero poco effetto, soprattutto per via della resistenza dei
lavoratori (dole workers) degli uffici
di collocamento (Jobcentres), che non
volevano avere resa la vita difficile nei loro rapporti con i
"clienti". Nel 1996 venne introdotta la Job Seekers' Allowance (JSA):
un tentativo molto piu' studiato per gestire il problema dei disoccupati
ricalcitranti. Come tale, essa codificava e sistematizzava la pressione sui
disoccupati al fine di spronarli a cercare lavoro (di ogni tipo), con la
minaccia di togliere loro il sussidio. La JSA era apertamente parte
dell'ideologia neoliberista[4],
progettata per incrementare l'efficienza dell'esercito di riserva industriale e
quindi la competizione sul mercato del lavoro e per tentare di abbassare il
livello dei salari.
L'opposizione organizzata contro la JSA prese
bene o male due forme. Da un lato, si creo', a livello nazionale, una piccola
rete anti-JSA formata da anarchici e gruppi vicini a questi. Questi gruppi
"Di base" ("Groundswell") erano spesso collegati a "claimant
unions'[5]
o a "community action groups"
ed erano formati per la maggior parte da disoccupati che avevano scelto di
esserlo. Anche se i gruppi partecipanti a "Groundswell" organizzarono
delle manifestazioni e qualche occupazione o picchettaggio, la maggior parte di
loro era piu' interessata a volantinare consigli (su come aggirare gli aspetti
piu' punitivi della JSA) nel tentativo di creare solidarieta' a livello della
comunita' locale.
La
seconda forma di opposizione organizzata contro la JSA si ebbe all'interno dei Jobcentre
stessi. Molti dole worker erano da
parte loro contrari alla JSA perche' col nuovo regime aumentava l'aspetto
"controllore" del loro lavoro nei confronti dei disoccupati,
minacciando di creare tensioni tra lavoratori e utenti nei Jobcentre.
Lo sciopero dei Jobcentre nell'inverno
del 1995-6 non fu contro la JSA in se', a causa anche della legislazione contro
lo sciopero di cui si e' parlato sopra, ma fu contro la "performance
related pay" (secondo la quale gli impiegati sono pagati in base al numero
dei disoccupati che riescono a togliere dal registro esercitando pressioni varie
su di loro). I dole worker non
vinsero; tuttavia lo stato d'agitazione riusci' ad indebolire la capacita', da
parte dei manager, di applicare la "performance related pay",
indebolendo di conseguenza l'efficacia della JSA. Inoltre la prolungata
astensione dal lavoro servi' a ritardare l'applicazione della JSA di tre mesi.
A
Brighton i Jobcentre entrarono in
sciopero ad oltranza. Quelli di noi che presero parte alla campagna contro la
JSA a Brighton sostennero che fosse necessario appoggiarli per motivi pratici. A
parte i motivi pratici della solidarieta' tra i dole worker e il nostro gruppo (Brighton Claimant Action Group),
bisogna aggiungere che i Jobcentre
fanno parte del settore pubblico, che ha visto una crescente proletarizzazione:
molti degli impiegati hanno contratti a termine e bassi salari, per cui si
trovano in una situazione simile a quella dei disoccupati che amministrano.
Cosi' il gruppo di Brighton contro la JSA si uni' ai loro picchetti e volantino'
ai disoccupati che trovavano gli uffici chiusi, spiegando loro che lo sciopero
era nel loro interesse. Vincendo, i lavoratori dei Jobcentre
sarebbero stati forti contro i loro manager e quindi contro l'introduzione della
JSA.
Sulla base dell'azione congiunta durante lo
sciopero dei Jobcentre, Brighton
Claimant Action Group riusci' a stabilire legami con i dole
worker piu' combattivi. Il nostro sostegno incoraggio' i dole
worker a resistere alle pressioni dei manager. A loro, volta, essi ci
passarono informazioni e collaborarono nella scelta delle tattiche. Il giorno in
cui fu introdotta la JSA (ottobre 1996), piu' di 300 persone assediarono tutti i
Jobcentre della citta' e i dole worker
ne approfittarono per astenersi dal lavoro, portando l'intero regime nel caos.
Sfortunatamente, questa stessa cosa non avvenne da nessun'altra parte. Da
allora, sebbene la JSA sia formalmente applicata, i Jobcentre di Brighton sono tra i piu' "indulgenti" in
tutto il Paese; e gli impiegati di Brighton sono rinomati per la solidarieta'
che mostrano ai disoccupati nell'amministrazione della JSA.
Quella manifestazione fu forse l'apice del
"movimento" contro la JSA. Le azioni che seguirono ebbero meno
successo. Una nuova serie di proteste fu diretta contro uno schema di workfare,
"Project Work", in cui un certo numero di disoccupati era tenuto a
lavorare per organizzazioni di beneficenza locali in cambio del sussidio.
Picchetti e occupazioni costrinsero molte di queste organizzazioni a ritirate
umilianti. Il fatto che questo schema fosse sottofinanziato e mancasse di
legittimazione popolare rese piu' facile ai piccoli gruppi militanti
danneggiarlo.
Il vero problema e' che non si riusci' a
costruire un movimento di disoccupati. E' stato enormemente difficile
organizzarci. Molti disoccupati ritengono di potere evitare le sanzioni della
JSA tramite iniziative individuali. Anche gran parte di coloro che usano il
sussidio come "stipendio del casinaro" adotto' quasi esclusivamente
soluzioni individuali: alcuni usarono sotterfugi per evitare il lavoro, altri
cambiarono citta', altri si iscrissero all'Universita', altri rinunciarono al
sussidio e si lanciarono in piccole iniziative commerciali... Nonostante
l'enorme forza di recenti movimenti ecologici, creativi, DIY[6],
etc., che necessitano di fatto l'uso del sussidio, essi non riescono a vedere, e
quindi a difendere, il sussidio come condizione prima per le loro lotte,
attivita' e "lifestyle". Come movimento,
essi ritengono di potere semplicemente ignorare le minacce ai sussidi.
Comunque, il problema del governo fu che la
stessa JSA non bastava di fronte alla generale resistenza dei disoccupati. Molti
giovani mancavano di "disposizione al lavoro", consapevole o meno, e
cio' rappresentava un grave ostacolo alla ristrutturazione. Occorreva un passo
ulteriore al fine di introdurre piu' lavoratori "impiegabili" sul
mercato del lavoro. Il "New Deal"
rappresenta tale passo.
4. Un "New Deal" per i disoccupati
Gran parte dei tentativi da parte del governo conservatore di attaccare i
sussidi era stata accolta con cinismo e resistenza passiva. Il partito
laburista, invece, essendo quello che "ha creato lo Stato Sociale",
presenta se stesso come il soggetto piu' affidabile a "riformarlo". Il
"New Deal" per i giovani
disoccupati - una ricetta fatta di consulenza sui lavori disponibili, offerte di
posti di lavoro finanziati dallo schema e di training, e' parte della strategia
del New Labour detta "Welfare
to Work". Il Welfare to Work
e' presentato come il fiore all'occhiello della politica del governo. Infatti
esso ingloba i "valori" chiave del New
Labour: il ruolo sociale del
lavoro, l'importanza del lavoro nel rispetto di se stessi, il concetto di giusto
scambio di diritti e doveri, rispecchiato nel dovere di cercare e accettare un
posto offerto in cambio del sussidio, e la "partecipazione", intesa
come l'opposto del conflitto di classe, - quest'ultima e' rispecchiata dal fatto
che il New Labour richiede alle
imprese di prendere a cuore la socializzazione dei disoccupati[7].
Il New Deal rappresenta un novita'
rispetto all'atteggiamento "neoliberista", esplicitamente punitivo,
del governo precedente nei confronti dei disoccupati, mirando ad una maggiore
integrazione dei lavoratori, ma non all'integrazione socialdemocratica. Offrendo
"training" e consulenze personalizzate, il New
Deal mostra di offrire ai disoccupati quello che desiderano: un appiglio al
mercato del lavoro. In realta' esso non crea nuovi posti di lavoro, e le sue
fondamenta poggiano comunque nel regime duro introdotto con la JSA: chi rifiuta
le consulenze personalizzate o le "opzioni" del New Deal perde il sussidio in virtu' delle sanzioni previste dalla
JSA.
Le origini del New
Deal risalgono ai programmi di creazione di posti di lavoro della vecchia
sinistra laburista, che erano pero' parte di piu' ampie strategie economiche.
Esse includevano strategie Keynesiane di investimenti nel settore pubblico che
avrebbero innalzato la domanda di manodopera. La reflazione dell'economia
sarebbe stata accompagnata, tipicamente, al controllo dell'import-export e dei
movimenti di capitale. Un programma quale il New
Deal allora era parte integrante di questa strategia economica, poiche'
occorreva fornire del training ai disoccupati che avrebbero occupato i posti di
lavoro creati. Ma le strategie del New
Labour comportano l'abbandono delle strategie economiche Keynesiane della
sinistra in favore di una rigida ortodossia "neoliberista". Per fare
un esempio, la determinazione dei tassi di interesse
e' stata affidata alla Banca d'Inghilterra, e la spesa pubblica deve
essere tenuta strettamente nei limiti determinati dagli obbiettivi di
contenimento dell'inflazione.
Della vecchia strategia, il New
Deal mantiene solo l'offerta, e l'obbligo, del training per il disoccupato.
Considerando la piu' ampia strategia del governo laburista mirante all'abbandono
della socialdemocrazia, quale funzione avrebbe adesso l'elemento del
"training" tratto da un vecchio programma di sinistra?
Ideologicamente, tale schema workfaristico, estrapolato dal suo vecchio contesto
socialdemocratico, si armonizza con i nuovi valori del New
Labour basati su "diritti e responsabilita'". Il governo offre ai
disoccupati la capacita' di rendersi competitivi sul mercato del lavoro - in
cambio, ci si aspetta di competere piu' spietatamente per lo stesso numero di
posti di lavoro esistenti. Cio' e' quanto intendono quando parlano di
"conferire piu' potere ai disoccupati sul mercato del lavoro" e di
"combattere l'esclusione sociale". Il New
Deal e' un programma socialdemocratico in apparenza, riadattato e messo al
servizio della flessibilita' del mercato del lavoro. I suoi principi e mezzi,
come quelli della JSA (che, ricordiamo, era stata introdotta dal Partito
conservatore), consistono nell'incrementare l'efficienza dell'esercito di
riserva industriale e quindi di aumentare le competizione sul mercato del
lavoro.
In pratica, pero', le
"specializzazioni" che il New
Deal offirebbe ai disoccupati in generale non coincidono con quello che la
gran parte di questi desidera. Come simili schemi precedenti, alla maggioranza
dei partecipanti il New Deal non offre
niente di piu' utile della capacita' di alzarsi in orario la mattina. Comunque,
per i datori di lavoro, e' essenziale che si inculchi nella manodopera la
disciplina del lavoro. E' vero che c'e' domanda di manodopera specializzata in
certi settori (programmazione e settore edile) ma molti dei lavori che non
trovano manodopera o in cui nuovi impiegati vanno e vengono continuamente
(solitamente impieghi con paghe bassissime), richiedono, piu' che
specializzazioni, affidabilita'. Il New
Deal si puo' quindi vedere come parte di un'offensiva ideologica mirata ad
inculcare l'etica del lavoro in quei settori dei disoccupati tradizionalmente
considerati "inimpiegabili" al fine di insegnare all'intero mercato
del lavoro il valore del lavoro e la flessibilita'. In particolare, i genitori single
e la gente col sussidio d'invalidita', tradizionalmente considerati fuori dal
mercato del lavoro, sono adesso nel mirino del New
Deal.
La JSA si poteva criticare piu' facilmente. Ma
il fatto che il New Deal ha avuto un
certo successo nel presentarsi come "cio' che il disoccupato desidera"
ha reso piu' difficile per i disoccupati organizzarsi in un movimento di
opposizione. Molti dei gruppi appartenenti a Groundswell
stanno degenerando verso le loro origini di "claimant unions" invece
di affrontare il dibattito su come costruire un movimento di opposizione. Un
serio problema e' che nessun nuovo disoccupato si e' fatto avanti e unito ai
vari gruppi - in particolare, i giovani disoccupati, la categoria piu'
pesantemente soggetta al New Deal. I
gruppi di protesta dei disoccupati sono formati per la maggior parte da
militanti sempre piu' anziani e hanno ben pochi contatti col territorio al di
fuori della loro ristretta cerchia.
Tale problema si aggiunge al successo
apparente del governo nel guadagnare l'approvazione di molti dole
worker per il nuovo interesse per il "cliente" dimostrato dal New
Deal (con le varie offerte da scegliere, le consulenze personalizzate etc.).
Anche se l'opposizione al New
Deal non e' forte, tuttavia ci apettiamo che esso possa crollare per altre
ragioni. La nuova tanto vantata etica di "attenzione al cliente"
probabilmente entrera' ben presto in conflitto con i tentativi del governo di
aumentare l'efficienza del programma rispetto ai costi, in particolare
privatizzando delle funzioni dei Jobcentre.
Per esempio, l'agenzia interinale Reed ha in subappalto alcuni servizi del New Deal in zone di Londra. I "consulenti" di Reed, piu'
degli impiegati pubblici, basano il loro reddito su premi dipendenti dal numero
di gente che riescono a togliere dalle liste di disoccupazione dando loro
qualche lavoro (di qualunque natura e paga). Quando i Jobcentre si troveranno di fronte alla competizione creata dalle
agenzie interinali come Reed, la "nuova etica" e quindi la
credibilita' del New Deal non
sopravviveranno.
Un secondo problema, forse molto piu' grave
per le prospettive del New Deal, e' lo
stato dell'economia. Alcuni settori dell'economia sono gia' in recessione e la
disoccupazione mostra segni di risalita. Se questa tendenza continuera', il
numero dei possibili posti offeri dal New Deal comincera' a scarseggiare di fronte al crescente numero di
"clienti". Resteranno solo le opzioni meno attraenti e meno credibili
e, in un mercato del lavoro piu' competitivo, il fenomeno della sostituzione di
posti di lavoro con training (non pagati) offerti dal New Deal alle imprese entrera' al centro di nuove polemiche.
5. La
situazione inglese e' peculiare?
Tra i socialisti europei, sia
"riformisti" che "rivoluzionari", e' in corso un dibattito
sul salario minimo garantito e sulla riduzione del tempo di lavoro. Il parallelo
inglese piu' vicino a cio' si potrebbe vedere nelle recenti rivendicazioni di un
piu' alto livello del salario minimo per i lavoratori (il salario minimo e'
stato introdotto da poco). Il salario minimo deve essere inteso come parte del
tentativo, da parte del Governo, di spostare le spese dello stato sociale dai
non lavoratori (disoccupati, genitori single,
disabili) a chi lavora. Se si considera che i sussidi sono in effetti sussidi al
salario, il salario minimo impedisce ai datori di lavoro di spostare i costi
della riproduzione della forza lavoro sullo Stato. I socialisti che tentano di
agitare i lavoratori sull'aumento del salario minimo (attualmente di £3,60
all'ora per i maggiori di 21 anni) cercano di mantenere l'illusione che la sua
recente introduzione sia una riforma socialdemocratica su cui si puo' far leva
per ottenere di piu'. Invece, esso e' parte integrante del progetto del New
Labour di reimporre il lavoro.
Gli attacchi attuali al sistema dei sussidi,
componente chiave di questo progetto mirato a reimporre il lavoro, fanno parte
del modo particolare in cui lo Stato inglese risponde all'autonomia globale del
capitale finanziario che e' emersa dalle lotte di classe degli anni sessanta e
settanta. Pero' gli imperativi imposti da tale potere internazionale del
capitale sono condivisi sia dal Regno Unito che da tutti gli altri Paesi
europei. Tutti gli Stati nazionali sono soggetti a pressioni economiche grosso
modo simili, dovute all'apparente esternalizzazione degli imperativi
dell'accumulazione del capitale. I tagli ai sussidi e l'introduzione di schemi
di workfare (schemi che obbligano i
disoccupati a lavorare per il sussidio) riflettono tale contesto condiviso in
tutta Europa. Sebbene in gradi differenti e partendo da situazioni diverse, sia
nel Regno Unito che negli altri Paesi europei, le vecchie forme
socialdemocratiche sono in fase di riflusso.
Naturalmente, la situazione nel Regno Unito
differisce dal resto dell'Europa in certi aspetti cruciali. Non c'e' stata da
nessun'altra parte in Europa una situazione equivalente alla brusca e
conflittuale ristrutturazione operata dalla Thatcher. Il Regno Unito, col suo
settore capitale-finanziario storicamente fondamentale, poteva sacrificare
l'arretrato settore manifatturiero, dato che il valore di surplus si poteva
attingere dall'estero tramite il mercato finanziario. Invece, in Germania, dove
non c'era mai stata una strategia Keynesiana, non c'era altra alternativa che
continuare a basare l'economia sul settore manifatturiero. Quindi, la Germania,
a differenza del Regno Unito, mantenne le strategie socialdemocratiche chiave
come il corporativismo durante il decennio in cui, insieme al Regno Unito, essa
fu costretta a perseguire politiche volte a controllare l'offerta di denaro.
Le
differenze tra il Regno Unito e il resto dell'europa persistono. Mentre
l'elezione del New Labour nel Regno Unito fu interpretata come la consolidazione
dei risultati "neoliberisti" del periodo Thatcher, la risalita dei
"socialisti" altrove in Europa fu vista da molti, inclusi isolati
socialdemocratici inglesi, come una risalita parziale della socialdemocrazia.
Non c'e' alcun "neo-riformismo" qui nel Regno Unito, quindi, ma
piuttosto una tendenza verso la flessibilita' del mercato del lavoro nella forma
di un nuovo consenso "post-socialista".
Tuttavia, la relazione tra le forme
di alcune strategie del New Labour e
il loro obbiettivo finale punta a un parallelo cruciale tra Regno Unito e
controparte europea. Come abbiamo dimostrato, la "nuova etica" delle
consulenze personalizzate ai disoccupati, etc. che si presenta come "quello
che i disoccupati chiedono al New Deal"
e' parte di un programma "neoliberista": il prezzo di tutto cio' e' un
carico di lavoro maggiore, un salario minore, la precarizzazione e uno stato
sociale meno generoso.
Mentre si potrebbe immaginare che la
rivendicazione di una riduzione del tempo di lavoro in Germania e Francia serva
ad un avanzamento cruciale dei diritti dei lavoratori, in realta', come si nota
negli altri articoli di questa raccolta, essa e' legata alla flessibilita' sotto
le mentite spoglie di una rivendicazione progressiva. La realta' della
"riduzione del tempo di lavoro" negoziata dai sindacati tedeschi si e'
rivelata nella sua chiarezza quando questa riduzione fu importata
dall'"Europa sociale" nel contesto britannico. Qui, l'introduzione, da
parte della BMW, di pratiche di lavoro tedesche nelle fabbriche delle
sussidiarie della Rover e' stata giustamente vista come un attacco fondamentale
alle condizioni di lavoro esistenti , agli straordinari pagati, etc. Tali
pratiche sono state imposte soltanto attraverso il ricatto di chiudere la
fabbrica da parte della BMW e di ritirarsi dal Regno Unito.
Allo stesso modo, e' chiaro che le
rivendicazioni di un salario minimo garantito in Europa siano qualcosa di
facilmente recuperabile da parte del capitale. Quello che e' garantito veramente
e' che tale salario minimo sarebbe fissato a livelli tali da mantenere o
incrementare la competitivita' e la profittabilita' dell'economia. Anche se una
pressione politica riuscisse a far fissare tale salario minimo a un livello
ragionevolmente alto, e' probabile che lo Stato lo abbasserebbe col tempo sotto
il precedente livello dei sussidi. Ogni intervento "radicale" in
questo campo quindi avrebbe semplicemente la conseguenza di aiutare lo Stato a
ristrutturare lo Stato sociale.
In questo senso,
l'apparenza solialdemocratica delle rivendicazioni attuali e' stata di fatto
feticizzata: la sostenza attuale degli sviluppi proposti rappresenta l'inversione
dei guadagni socialdemocratici del passato. In ogni caso, quello a
cui assistiamo e' l'uso di principi apparentemente socialdemocratici in
una strategia complessiva di resa alle pressioni imposte dall'autonomia del
capitale finanziario globale. Il "nuovo consenso", che sia il New
Labour che i governi di sinistra europei apparentemente piu'
socialdemocratici tentano di creare, consiste nell'aumentare l'intensita' del
lavoro e incrementare la flessibilita' del mercato del lavoro - con ogni mezzo
necessario! Mentre il New Labour e'
onesto nell'abbandonare esplicitamente la socialdemocrazia e imporre gli
imperativi del mercato, le politiche dei governi di sinistra europei sono mirate
a uno svuotamento della socialdemocrazia stessa.
Sia in forma che in sostanza, le concessioni
socialdemocratiche non sono intrinsecamente progressive, ma solo forme di
mediazione delle rivendicazioni della classe lavoratrice. Quello che e'
particolarmente efficace in tali concessioni dal punto di vista del capitale e'
che esse servono a far si' che la classe operaia rivendichi e organizzi la sua
stessa alienazione.
[1]
Per una discussione piu' approfondita su questo punto vedere il nostro
articolo ‘Dole Autonomy Versus the Re-imposition of Work: Analysis of the
Current Tendency to Workfare in the UK’, pubblicato nel 1998 in forma di
pamphlet e in via di stampa sul libro The
Planetary Work Machine: Explorations in Global Capital, Subjectivity and
Resistance (ed. Franco
Barchiesi & Steve Wright).
[2]
Il modo di produzione capitalista
e', naturalmente, una categoria essenziale per comprendere la forma attuale
di societa' di classe, definita dalla produzione di merci generalizzata e
dal lavoro salariato, in cui la classe dominante estrae lavoro di surplus in
forma di valore di surplus (che viene ridiviso in profitto, affitto,
interesse, ecc.). Ma oltre a questo livello di analisi, ci sembra necessario
periodizzare il modo di produzione capitalista al fine di comprendere i
cambiamenti che si succedono. Il concetto di "modo di
accumulazione" e' uno strumento utile a cio'. Bisogna comunque ricordare che questo concetto e' stato
sviluppato dall'accademica Regulation School in un ambito strutturalista e
deterministico (determinismo tecnologico). Per noi, nel descrivere le
caratteristiche dei vari periodi, e' essenziale riconoscere che le loro
fondamenta poggiano sui rapporti di forza nella lotta di classe e non sulle
espressioni oggettificate di questi. Quindi, pur trovando il concetto di
"fordismo" utile a comprendere la natura del boom del dopoguerra,
noi non accettiamo il concetto di "post-fordismo", che e' spesso
inteso come "post-capitalismo". Per una interessante discussione
su questo argomento, vedere F. Gambino 'A critique of the Fordism of the
Regulation School', Common Sense 19.
[3]
Che consiste nel vedere l'opposizione politica solamente in termini di stile
di vita individuale - per esempio, del modo di vestirsi, di come si mangia o
di che musica si ascolta
[4]
L' ideologia neoliberista e' espressione della liberta' del capitale
finanziario globale. In risposta alla lotta di classe degli anni sessanta e
settanta e alle difficolta' nel mantenere l'accumulazione, gli Stati
intrapresero azioni (come abbandonare Bretton Woods) che crearono in pratica
le condizioni per lo sviluppo dell'autonomia relativa del capitale
finanziario globale. Prendendo una forma piu' autonoma, il capitale poteva
accerchiare i punti di forza della classe lavoratrice. Si creo' una
situazione in cui i governi degli Stati nazionali potevano affermare di non
avere liberta' di manovra, ma che dovevano piuttosto far fronte alla
competizione internazionale in termini di flessibilita' del lavoro, costi
sociali, ecc. per mantenere la competitivita' e attrarre investimenti.
L'ideologia e le pratiche "neoliberiste" della Gran Bretagna e
degli USA sono solamente gli esempi piu' duri di una tendenza comune -
quella per cui gli Stati adesso impongono misure aggressive contro la classe
lavoratrice presentandole come dettate da forze esterne. Le politiche della
"Terza via" che questi Stati adesso portano avanti sono per lo
piu' una continuazione di questi attacchi, presentati con una retorica piu'
morbida, ma che si appella comunque alle "nuove realta' globali".
Quelli che protestano contro il "neoliberismo" e la "globalizzazione"
cadono nella trappola di opporre lo Stato al Capitale e si appellano quindi
allo Stato chiedendo ad esso di tenere l'economia sotto controllo. Essi
piagnucolano sull'irresponsabilita' del capitale e si lamentano del fatto
che le istituzioni democratiche saranno minate dalla sua autonomia. Ma
bisogna ricordare che gli stessi Stati democratici hanno partecipato alla
creazione delle strutture dell'economia globale e alla realizzazione della
relazione economica attuale tra capitale finanziario e industriale. La sfera
politica e quella economica, piuttosto che essere due sfere separate, sono
due lati della stessa medaglia, la medaglia del dominio del capitale. Dalla
prospettiva del proletariato bisogna sempre ricordare che il capitale
finanziario, anche nella sua manifestazione globale piu' autonoma, non e'
una entita' separata, ma e' semplicemente una forma che assume il capitale.
Esso deve sempre in ultima analisi ritornare al lavoro concreto - allo
sfruttamento e all'insubordinazione. La lotta di classe deve essere
combattuta dai lavoratori concreti in situazioni concrete.
[5]
Sindacati di disoccupati auto-organizzati, la cui attivita' principale non
e' andata molto al di la' del fornire consulenza su sussidi e assistenza
pubblica ai disoccupati
[6] ‘Do it Yourself’. Vedere i nostri articoli 'Kill or chill? Analysis of the opposition to the Criminal Justice Bill' in Aufheben 4, Summer 1995, e ‘The politics of anti-road struggle and the struggles of anti-road politics: The case of the No M11 Link Road Campaign’ in DiY Culture: Party & Protest in Nineties Britain (ed. George McKay; Verso, 1998).
[7]
Alcune imprese risposero a tale richiesta regalando sveglie e saponette ai
disoccupati!