Intervento
carceri 41/bis
Le
carceri speciali, in Italia, nascono nel ‘77 dalla necessità dello stato di
isolare i prigionieri politici, questo perché, con l’arrivo nelle carceri dei
compagni, dal ‘68 in poi, la situazione diventa sempre più esplosiva:
crescono le rivolte, si pretendono condizioni di vita dignitose ma soprattutto,
i detenuti per cause comuni, prendono coscienza dell’origine sociale e
politica della loro condizione, si sentono parte del proletariato, si crea un
forte legame tra proletariato fuori dalle carceri e proletariato detenuto. In
seguito, con la nascita delle organizzazioni combattenti, anche il proletariato
extra-legale si organizza nei N.A.P. (Nuclei armati proletari).
Lo
stato deve tentare di arginare la situazione, vara quindi la riforma carceraria,
che entrerà in vigore nel ‘76. Questa si muove in due direzioni che, da quel
momento in poi, saranno sempre presenti negli schemi delle leggi successive sul
carcere: da una parte, la concessione di benefici, condizioni carcerarie
migliori, permessi subordinati alla buona condotta e dall’altra, il
trattamento speciale per i prigionieri politici e per quei detenuti che si
espongono nelle lotte.
Ad
occuparsi del circuito delle carceri speciali, sono chiamati i carabinieri, il
cui comandante è il Generale C.A. Dalla Chiesa.
All’inizio
si creano sezioni speciali all’interno delle carceri normali,
contemporaneamente sono costruite nuove carceri, concepite già come speciali,
con caratteristiche, anche architettoniche, tali da permettere il massimo
controllo. Queste, nel corso degli anni, si andranno sempre più perfezionando
con il corollario di congegni elettronici e tecnologici.
Le
carceri speciali non se le sono inventate qui, l’Italia ha un modello da
seguire, la Germania occidentale.
L’Italia
e la Germania occidentale, in quegli anni, sono paesi centrali per la strategia
USA, sia come paesi di frontiera con l’area dell’Urss, sia nella strategia
americana contro le lotte di liberazione del Terzo Mondo.
In
Germania, in particolare nelle basi militari, esistono centri d’ intelligence
da dove sono gestite le operazioni, più o meno segrete, di propaganda,
d’informazione e anche militari, americane. A differenza dell’ Italia, dove
esisteva un forte partito comunista seppure revisionista, la Germania del
dopoguerra, ha cercato di estirpare, nel modo più radicale, ogni tipo
d’opposizione politica, infatti il partito comunista era fuorilegge,
dichiarato anticostituzionale fin dal ‘56. Dopo l’esplosione del movimento
del ‘68, lo stato tedesco reagisce varando, immediatamente, leggi speciali
d’emergenza.
All’inizio
degli anni ‘70 emergono due organizzazioni di guerriglia: gli anarchici del
“2 giugno”, che nascono dall’esperienza delle comuni, in particolare nel
quartiere di Keuzberg, a Berlino e la R.A.F. che, analizzando il ruolo
strategico della Germania ovest nei piani dell’ imperialismo USA, si pone
principalmente su un piano di lotta anti-imperialista. Una delle loro prime
azioni, sarà proprio l’attacco, nel ‘72, al quartier generale USA di
Heidelberg da dove erano coordinate le campagne di sterminio in Vietnam. Questa
e altre azioni contro le istituzioni americane, hanno rappresentato un aiuto
concreto al popolo vietnamita in lotta, tanto che, ad Hanoi erano affissi
manifesti con la notizia degli attentati e, dopo la liberazione di Saigon sarà
intitolata una strada ad Ulrike Meinhof per ricordare i compagni tedeschi. Un
altro punto importante è la solidarietà (come vedremo ricambiata), con la
lotta del popolo palestinese.
Dopo
il massacro, ricordato come “Settembre nero”, in Giordania, i compagni
palestinesi decidono di portare la lotta qui, nel cuore dell’Europa. Nel
‘72, con il sequestro della squadra israeliana che partecipa alle Olimpiadi di
Monaco e le azioni successive, la lotta di liberazione palestinese esce
dall’ambito regionale in cui era confinata e viene conosciuta in tutto il
mondo. Si prende coscienza del ruolo che Israele svolge in quella regione, che
va’ ben al di là di quello che appare, e che la lotta palestinese, non è
solo la lotta di liberazione di un popolo, ma un nodo centrale della lotta
antimperialista mondiale, ruolo che conserva ancora oggi.
Per
stroncare la guerriglia lo stato tedesco attuerà, contro i compagni, una
repressione durissima. Saranno rinchiusi, per anni, in carceri super
tecnologiche dove vige l’isolamento in celle singole insonorizzate, dove i
compagni verranno sottoposti a torture di tipo psicologico e farmacologico,
secondo tecniche, studiate fin dagli anni ‘50 in America, capaci di provocare
gravi problemi fisici e psichici, con lo scopo di annullarne la resistenza e
annientarli. Lo stato tedesco non riuscirà a piegare i compagni: resisteranno e
lotteranno strenuamente con scioperi della fame che porteranno alla morte del
compagno Holger Mains nel ‘74. E non ci riuscirà nemmeno con l’assassinio
in carcere, nel ‘76, di Ulrike Meinhof.
Non
ci riuscirà nel ‘77, quando la R.A.F. rapirà il presidente della
Confindustria Schleyer, che era stato attivo nazista nelle SS, e chiederà la
liberazione di 11 compagni. Un commando palestinese appoggerà le richieste
della R.A.F. sequestrando un Boeing 737 della Lufthansa che atterrerà a
Mogadiscio. Un commando dei corpi speciali tedeschi darà l’assalto
all’aereo della Lufthansa liberando i passeggeri e uccidendo i componenti del
commando palestinese. Questo è il primo intervento della Repubblica Federale
Tedesca su suolo straniero dal ‘45. Infine, verranno assassinati, nelle loro
celle, i compagni Andreas Baader, Gudrun Ensslin e Jan-Carl Raspe. La versione
ufficiale del governo sarà, ed è ancora oggi, “suicidio”, come già era
avvenuto per Urike Meinhof. L’uccisione dei compagni susciterà un’ondata di
proteste e ci saranno azioni contro obiettivi tedeschi in tutto il mondo. Le
B.R. la definiranno “la prima offensiva unitaria sul terreno della guerra di
classe”.
Il
tentativo di fermare la guerriglia assassinando i compagni andrà a vuoto.
La
guerriglia continuerà a combattere fino agli anni ‘90. Le tecniche d’
annientamento nelle carceri speciali tedesche, saranno il modello che verrà
esportato un pò ovunque, dall’Italia all’Irlanda, alla Spagna ...e non è
un caso che la Turchia, che chiede di entrare in Europa, si adegui a questo
modello con la costruzione dei blocchi, detti di tipo F, a cui i compagni turchi
stanno resistendo con uno sciopero della fame che ha già prodotto più di cento
morti.
Questo
il modello dunque... ma le cose, nell’Italia di quegli anni, che come abbiamo
visto non rappresenta un caso isolato, sono rese difficili dall’alto numero
dei prigionieri e dal livello delle lotte che si sono sviluppate ovunque, nelle
fabbriche, nelle scuole, nei quartieri e intorno al problema del carcere.
I
compagni prigionieri vengono trasferiti continuamente per impedire che una
situazione stabile possa permettere di organizzarsi e per rendere più
difficoltoso il contatto con l’esterno, essenzialmente con i familiari (se non
si è in qualche modo familiari, non vengono dati colloqui), i quali sono
costretti ad attraversare tutta l’Italia senza mai sapere se il loro compagno
è ancora lì.
Ma
nonostante “gli speciali”, la lotta non si ferma e raggiunge il suo culmine
con la rivolta dell’Asinara nel ‘79.
I
detenuti chiedono la chiusura del carcere per le condizioni di vita impossibili.
Le B.R., fuori, rafforzano la richiesta dei prigionieri con il rapimento del
direttore generale delle carceri, il magistrato D’Urso. Alla fine, il carcere
dell’Asinara, semidistrutto dalla rivolta, viene chiuso e D’Urso liberato.
Siamo
alla fine degli anni ‘70... la borghesia ha bisogno di portare avanti una
ristrutturazione sia a livello politico che a livello produttivo;
ristrutturazione che è già in atto negli altri paesi, ma che in Italia è
bloccata da più di dieci anni di durissima lotta di classe e dalla presenza di
avanguardie armate. È necessario, per lo stato borghese, usare ogni mezzo per
stroncare queste lotte. Attacca quindi su tutti i fronti, innanzitutto le
fabbriche: emblematica la sconfitta della Fiat con migliaia di cassaintegrati e
i 61 arrestati per “terrorismo”; il movimento, con teoremi come quello del 7
aprile, che porteranno centinaia di compagni in carcere e/o all’estero; cerca
di fare terra bruciata intorno ai prigionieri con arresti e intimidazioni a
familiari ed amici e a tutti quei settori di movimento che si occupano di
carcerario; arriva anche ad arrestare gli stessi avvocati difensori, accusandoli
di favoreggiamento nei confronti dei loro clienti (già successo, anni prima in
Germania).
Per
fermare a tutti i costi la guerriglia, verrà poi applicata la tortura a chi
viene arrestato, non la tortura psicologica, ma quella più spiccia, la corrente
nei coglioni per intenderci. Viene applicato anche l’art.90, che è, in
pratica, l’attuale 41 bis: colloqui con i vetri, isolamento, riduzione delle
ore d’aria, ecc.
Ma
a questo inferno c’é una via di uscita ...ed è la delazione, il pentimento,
il tradimento che porterà centinaia di compagni in carcere. Ma non basta, Peci,
l’infame tra gli infami, consegnerà le chiavi di un appartamento, in Via
Foracchia, a Genova: quattro compagni verranno uccisi.
La
situazione è durissima per tutti, ma ancora c’è la volontà di lottare
contro l’art. 90 e le torture.
Il
movimento si mobilita e manifestazioni e scontri si svolgono davanti alle
carceri speciali come Cuneo e Voghera L’art.
90 verrà infine abolito. Seguirà
poi la stagione delle abiure, la legge sulla dissociazione, i convegni, i
dibattiti e, alla fine, come si conviene alla società dello spettacolo, tutto
finisce in tv...ex-fascisti ed ex- comunisti, le stesse facce contrite in un
cono di luce, ci spiegano che tutto è finito.
Ma
la repressione continua... vengono, di nuovo, arrestati decine e decine di
anarchici; Laudi, nota avanguardia dell’anti-terrorismo, monta, a Torino, il
caso “squatter” contro i compagni che lottano contro il T.A.V. che porterà
al suicidio-assassinio di due compagni, Sole e Baleno. Intanto, i compagni che
non accettano compromessi, che continuano a resistere, restano nelle carceri
speciali rigorosamente isolati.
Ed
è principalmente a questi compagni che oggi vogliono applicare l’art. 41 bis.
E
allora ci chiediamo: perché proprio adesso ? Perché questo rigore verso dei
compagni che sono già nelle carceri speciali da moltissimi anni, alcuni 20,
addirittura 28? Accanimento gratuito? Non lo crediamo.
E
allora guardiamoci intorno. La classe sta subendo, ancora una volta, un attacco
durissimo; gli stabilimenti chiudono, migliaia di operai perdono il posto di
lavoro, nel contempo lo stato sociale viene smantellato, si susseguono gli
attacchi in tutte le direzioni (scuola, pensioni, sanità, etc.) la crisi
economica porta il capitale alla dislocazione produttiva, in paesi dove lo
sfruttamento e quindi il profitto sono maggiori; cresce il capitale finanziario.
Tutto questo fa sì che non ci sia più spazio per ipotesi riformiste. Lo stato
perde quindi, sempre di più, il ruolo di mediatore dei conflitti, poiché c’è
sempre meno da mediare, per assumere la veste repressiva e di controllo.
Le
emergenze si susseguono. All’emergenza permanente, lo stato dà risposte che
assomigliano, sempre di più, al carcere vero e proprio: aumentano i contenitori
per merce umana, i centri di detenzione per gli immigrati con il corollario
della legge Bossi-Fini, le comunità di recupero; si parla di abolire la 180 e
di riaprire i manicomi, fino alle casette chiuse per regolarizzare la schiavitù
della merce donna.
Lo
stato non ha dimenticato gli anni ‘70. La classe certo è sotto pressione,
costretta sulla difensiva, sempre più smembrata dal nuovo, anche se in realtà
vecchio, modo di produzione con i lavori atipici, a termine, part-time, a
chiamata...chi più ne ha più ne metta! A quale livello dunque, può, in questo
contesto, avvenire la ricomposizione di classe se non su un terreno politico?
Fermare
le avanguardie che potrebbero operare questa ricomposizione è essenziale:
questa è la vera emergenza.
Per
questo lo Stato attua una contro-rivoluzione preventiva contro tutti: i
lavoratori, che si mobilitano contro il Libro Bianco e l’art.18 (da notare la
rapida riconversione della CGIL a interprete-incanalatore delle lotte); il
movimento (i fatti di Napoli e di Genova che porteranno alla morte di Carlo
Giuliani, non sono casuali); la ripresa dell’attività combattente, preparando
gli strumenti di cui, l’art.41 bis è uno di questi. Ma la repressione, per
essere efficace, deve essere generalizzata. Ogni compagno deve sapere di essere
a rischio carcere.
Lo
Stato, per questo, non si limita mai a colpire solo “i responsabili”, ma
deve creare un clima di intimidazione, arrestando e inquisendo: i 20 arrestati a
Caserta lo dimostrano, non c’è bisogno di prove per il 270 bis.
La
repressione e l’inasprimento del carcere servono, da un lato, a ri-punire chi
non si è arreso e rivendica la propria identità politica dando una continuità
storica alle lotte e, dall’altro, a desolidarizzare, a spingere alla resa. Il
solito vecchio gioco.
Tutto
questo nulla ha a che vedere con il governo di centro-destra, anzi, basti dire
che, di fronte alla proposta di applicare l’art.41 bis per la durata della
legislatura, il centro-sinistra ha chiesto, e naturalmente ottenuto, che
l’applicazione del 41 bis sia a tempo indeterminato!
L’intensità
della repressione e del controllo sociale non dipendono dal tipo di governo, è
lo stato borghese, nel suo insieme, che non può permettersi un
’intensificazione della lotta di classe, che ha bisogno del controllo sociale
all’interno, per svolgere, al meglio, le sue funzioni di Stato imperialista,
poter affrontare, al meglio, l’intensificazione della contesa internazionale.
Uno scontro che è vitale per l’imperialismo; uno scontro, sempre più
complesso, che si svolge a tutti i livelli: commerciale, politico e sempre di più
militare che vede coinvolti tutti, dagli Usa all’Europa in via di costruzione,
alla Russia, alla Cina. Uno scontro che, in prospettiva, sarà guerra aperta.
Lo
stato imperialista deve, dunque, tenere sotto controllo la situazione interna
per massacrare, in pace, i popoli oppressi.
I
due piani, interno e internazionale, sono le due facce dello stesso problema. La
stessa parola d’ordine: annientare chi resiste.
Chi
non é con noi é contro di noi. Inutile cercare qualche eco di Voltaire in
questa frase. Il dominio borghese, nel procedere del suo cammino storico, ha
perso quei valore che, per secoli, ci ha propinato per camuffare la sua vera
essenza, ha perso ogni volontà di mediazione, ogni progetto di sviluppo, quello
che vediamo oggi è l’imperialismo ridotto all’osso, quello che i popoli
coloniali conoscevano già.
Chi
non é con noi é contro di noi. Non ci sono diritti, nemmeno la farsa dei
diritti umani ... pensiamo a Guantanamo, alla Palestina, all’auto colpita da
un missile nello Yemen. Israele ha aperto la strada alle esecuzioni mirate,
adesso ci provano gli Usa: silenzio assoluto, diventerà la norma. Compilano
liste dove si trovano le più svariate organizzazioni di lotta, non ci sono
ragioni legittime per opporsi, non c’è diritto alla resistenza.
Chi
non è con noi é contro di noi. La guerra non é più episodica per uscire da
uno stato di crisi irrisolvibile altrimenti. La crisi è permanente, la guerra
diventa strutturale, infinita, duratura. Guerra preventiva, non più missioni di
peacekeeping o guerra umanitaria, è la guerra e basta.
Chi
non é con noi é contro di noi... Estrema sintesi, il nocciolo duro del dominio
borghese.
Un
livello di scontro altissimo. Non siamo nel ‘17, oggi l’imperialismo è
giunto a un tale livello di compenetrazione tra le varie aree del pianeta che
non sopravvivrebbe a una rivoluzione russa, il suo bisogno di risorse è tale,
che non può permettersi di perdere nessuna area del pianeta. Deve controllare
tutto. Controllare, non governare.
Non
si piega nemmeno, e non potrebbe, alle richieste legittime di borghesie
nazionali che non vogliono certo cambiare il sistema ma, più semplicemente,
ritagliarsi un piccolo spazio, gestire in proprio le loro risorse. Non è più
tollerabile questo. Pensiamo al tentato golpe in Venezuela, l’attacco all’Irak,
quello che c’é stato e quello che ci sarà, la Somalia, la Iugoslavia, l’Afganistan
e poi l’islam, il male assoluto che si annida ovunque...lo cercano anche qui.
L’art.41
bis sarà applicato anche ai prigionieri islamici che si trovano nelle carceri
italiane (sono più di un centinaio); si susseguono, infatti, gli arresti di
presunti “terroristi” islamici, spesso è palese che si tratta,
semplicemente, di lavoratori di origini arabe arrestati a scopo propagandistico.
Pensiamo alla fantomatica nave carica di uranio radioattivo o all’arresto di
tre pescatori egiziani nelle cui casa, alla seconda perquisizione (non alla
prima), avvenuta una settimana dopo l’arresto, sarebbe stata trovata una
cintura esplosiva, fino a rasentare il ridicolo, con gli arresti nella chiesa di
S. Petronio a Bologna. Spesso, per questi arrestati, la situazione risulta
particolarmente dura, specie se difesi soltanto da avvocati d’ufficio, che non
si occupano certo delle condizioni di detenzione.
Sia
che siano vittime della propaganda che tende a dipingere gli arabi come “
terroristi “, sia che appartengano effettivamente ad organizzazioni islamiche,
li consideriamo detenuti politici. Naturalmente, é ovvio che non siamo
interessati al fine politico della loro lotta, il nostro fine è inconciliabile
con la Sharia; ma ci siamo interrogati sulle ragioni che spingono, in alcune
situazioni, i popoli arabi a cercare un punto di riferimento nell’Islam.
Sicuramente,
la caduta dell’Urss non permette più, ai paesi del Terzo mondo, di trovare
una via per uscire dal sottosviluppo entrando a far parte della sfera sovietica;
il neoliberismo ha aggravato la situazione di questi paesi come del resto in
tutte le altre parti del mondo, dall’Europa dell’Est all’ America Latina,
all’Africa, lasciandoli senza vie d’ uscita, sempre più poveri e sempre più
legati e sottomessi al volere imperialista.
Le
contraddizioni sono diventate enormi. In questo contesto si inserisce l’ Islam
che, pur non essendo un fenomeno unitario, in alcune situazioni, può esprimere
un forte carattere anti-imperialista. L’esempio forse più esplicativo di
questa parabola lo vediamo in Palestina dove, in un popolo sostanzialmente laico
che ha avuto per anni la sinistra all’avanguardia nella lotta di liberazione,
cresce il fenomeno islamico. Davvero c’ è un risveglio religioso? Non
crediamo sia questo il punto. Piuttosto, la sinistra è in crisi e non solo lì.
Le rappresentanze borghesi si sono messe o, per meglio dire, hanno provato a
mettersi, sulla via delle trattative, mentre gli islamici, favoriti all’inizio
proprio in funzione anti-sinistra, sono sfuggiti al controllo, hanno continuato
la lotta, (questo conta, in un paese sotto un’occupazione durissima come
quella israeliana), hanno utilizzato i fondi che venivano dai paesi islamici per
sviluppare servizi sociali, asili, scuole, presidi sanitari, ecc, tutte cose che
contano per chi vive in un campo profughi. Stessa politica portata avanti, nel
sud del Libano, dagli Hezbollah, occupando, quindi, uno spazio lasciato vuoto
dalle forze laiche e di sinistra.
Non
si tratta, dunque, di arretramento culturale ma, piuttosto, la manifestazione
del bisogno che hanno i popoli arabi di opporsi all’occidente imperialista e
al sionismo, comunque.
Da
comunisti, sappiamo che anche in una fase di debolezza, possiamo interagire con
la realtà, pena l’isolamento. E allora, così come i compagni in Palestina,
in nome dell’unità nazionale, lottano insieme agli islamici contro Israele
pur portando avanti una lotta specifica, così noi qui, in un altro contesto,
non possiamo ignorare che l’Islam è un collante culturale importante per gli
immigrati arabi nel nostro paese e non possiamo non confrontarci con loro, che
sono poi con noi, nelle fabbriche e anche nelle carceri, con i nostri stessi
problemi.
Non
uniamoci alla campagna contro il cosiddetto “ terrorismo islamico “ e alla
guerra scatenata dall’imperialismo. Proprio perché sappiamo che non c’é
scontro di civiltà, ma uno scontro di classe, tutto dipenderà dalla nostra
capacità, come sinistra internazionale, di costruire delle alternative
credibili, una prospettiva storica e di farlo non solo a parole, ma lottando
concretamente a fianco dei popoli arabi. L’Islam o Saddam, non sono il nostro
nemico principale oggi.
Abbiamo
cercato di inserire il discorso carcere in un ambito più generale perché, al
di là della nostra condizione soggettiva, molti di noi seguono da anni compagni
in carcere, non vogliamo specializzarci nel carcerario, non avrebbe senso.
Vogliamo, piuttosto, cercare di fare in modo che la lotta contro il carcere e
l’art.41 bis, entrino a far parte delle altre lotte. Non possiamo fare un
discorso separato dal contesto generale perché i compagni prigionieri sono
parte integrante di una lotta internazionale.
I
compagni prigionieri rivoluzionari rappresentano un percorso storico che è
impossibile ignorare se vogliamo andare avanti e, se vogliamo andare avanti, i
nostri compagni ce li dobbiamo rivendicare, questo non significa necessariamente
condividere la loro proposta strategica di lotta, ma fare in modo che la loro
resistenza diventi anche la nostra.
dicembre 2002
Familiari ed amici dei prigionieri rivoluzionari