QUIEORA

N.0 DICEMBRE 2000

 

Editoriale

Da Sassari a Poggioreale, o viceversa?

Perché ci interessa la questione carcere

Schede di approfondimento

i GOM
UGAP
Corpo di Polizia Penitenziaria
La lobby campana
Cosa hanno ottenuto le guardie
Medicina penitenziaria

Ottobre 2000... a proposito di indulto e indultini...

Lettere dal carcere di Parma

lista di lamentele
ritorsioni
L'intervento dell'ambulanza in istituto penitenziario
Perché il carcere di Parma è ridotto in questo modo
L'inverno nel carcere di Parma
Allergia al carcere di Parma
Il carcere di Parma ha colpito di nuovo
Che cosa è un detenuto modello?
Sulla massima sicurezza

Alla ricerca della memoria perduta: dal carcere di S.Vittore (1971)

Questo giornale...

 

editoriale 

Le nuove carceri modello sono progettate e costruite nelle periferie delle città, distanti ed isolate dal "libero" svolgimento della vita sociale. Evidentemente oggi non è più necessario collocare il carcere nel centro della città poiché la paura suscitata alla sola vista  non è più sufficiente ad intimorire se confrontata con la totale incoerenza delle sue finalità.

Il carcere non serve né all'espiazione della colpa attraverso la privazione e la sofferenza, come avveniva nelle carceri dell'800, e nemmeno alla rieducazione e al reinserimento sociale del detenuto.

Tutta la retorica cattolica, fascista e borghese che ha cercato di giustificare la funzione sociale del carcere si trova oggi davanti all'unica giustificazione credibile: la reclusione, l'isolamento, il ricatto, la privazione non servono a risolvere le contraddizioni sociali ma semplicemente a contenerle e a nasconderle alla vista. Una verità difficile da ammettere!

L'unico consenso possibile verso il carcere è ottenuto sfruttando il crescente senso di paura e disorientamento causato dai conflitti sociali prodotti  dall' organizzazione capitalistica di questa società.

La criminalizzazione di sempre nuove fasce sociali offre di volta in volta un nuovo "nemico pubblico" come valvola di sfogo all’ inquietudine e alla rabbia sociale: la crescente criminalizzazione degli immigrati extraeuropei ha portato alla nascita dei Centri di  Detenzione Temporanea, veri e propri carceri-lager dove rinchiudere, reprimere ed isolare chi ha la sola colpa di non essere nato nella fortezza Europa (mica ci mettono dentro gli americani degli Stati Uniti che pure loro sono extracomunitari).

Da questa paura, abilmente coltivata sulla pelle dei soggetti più deboli e meno organizzati, nasce la nuova parola d'ordine di questo inizio secolo: SICUREZZA.

La "sicurezza del cittadino", l'osso su cui Polo ed Ulivo si azzannano bavosi alla vigilia del nuovo spettacolo elettorale del maggio 2001, consiste in una serie di leggi, decreti, provvedimenti, regolamenti che espandono l'uso della reclusione e delle pene detentive e assegnano sempre più risorse, autonomia e potere ai corpi di polizia.

Le misure contenute nel "pacchetto Fassino", il nuovo regolamento penitenziario e le agguerrite manifestazioni della Polizia Penitenziaria a tutela dei propri interessi corporativi, apertesi di fatto in conseguenza degli 82 ordini di custodia cautelare emessi a carico dei "colleghi" responsabili del brutale pestaggio avvenuto nel carcere di S. Sebastiano (SS), costituiscono non solo un esempio di quanto detto ma una probabile tendenza.

 

DA SASSARI A POGGIOREALE O VICEVERSA?

E' il 2000, l'anno del Giubileo, i detenuti e le detenute si aspettano un atto di clemenza: minchia è il Giubileo, capita una volta ogni 50 anni! Nessun passo verrà mosso in questa direzione: il timore dei partiti di perdere consenso è troppo forte. Ad ottobre sarà invece approvato dal Senato il provvedimento definito “indultino" che contiene una breve riduzione dei tempi di carcerazione (niente a che vedere con l'indulto) e, soprattutto, una serie di norme che facilitano l'espulsione degli immigrati extraeuropei al primo reato.

Ma le mobilitazioni portate avanti dai detenuti e dalle detenute di mezza Italia nei mesi di maggio, giugno e luglio hanno soprattutto svelato a chi non ancora sapeva, o preferiva non sapere, lo stato di degrado, violenza e abuso in cui versano le prigioni di questo paese. Sassari, Napoli, Roma, Milano, Trieste, Genova, Bergamo, Bologna, Novara, Livorno, Pisa, Prato, S.Gimignano, Pistoia e in istituti di tante altre città, i detenuti e le detenute hanno richiesto LIBERTA’ E MIGLIORI CONDIZIONI DI VITA, DENTRO E FUORI DAL CARCERE.

D'altra parte le lotte dei detenuti e delle detenute sono anche state strumentalizzate.

La sinistra istituzionale e la chiesa hanno usato la questione amnistia-indulto per farsi propaganda ma solo fino al 9 luglio, giornata giubilare del detenuto, dopo di che non si sono più curati di quella "patata bollente" così impopolare in questi ultimi tempi.

L'apparato politico-militare penitenziario ha rafforzato  ulteriormente il proprio potere. Gli svariati

benefici ottenuti dalla Polizia Penitenziaria per il "difficile compito che svolge" ed altri elementi esposti più avanti in queste pagine, svelano come dietro al pestaggio di Sassari, premessa delle successive manifestazioni sindacali della PP solidali con i "colleghi" colpiti da ordine di custodia cautelare, vi siano in realtà forti interessi e tendenze corporative. Il potenziamento e l'autonomia ottenuti attraverso i provvedimenti legislativi degli ultimi 10 anni, pongono il corpo di Polizia Penitenziaria come l’unico soggetto a cui delegare la gestione del carcere e il controllo sui detenuti e le detenute. Rispetto alle lotte dei detenuti il messaggio è stato chiaro: far temere che la situazione nei carceri precipitasse per presentarsi poi come gli unici in grado di affrontare lo scontro sul piano militare.

Nonostante il "caso carceri“ abbia oggi sempre meno rilevanza nel dibattito politico istituzionale e sulla stampa ufficiale abbiamo proseguito il percorso di intervento sul carcere. Questa prima pubblicazione contiene alcune riflessioni e contributi al dibattito e alla lotta.

Per riuscire ad avere un quadro della situazione di quest’ultimo anno cerchiamo di fare una breve cronistoria di alcuni fatti avvenuti nei carceri d’Italia negli ultimi mesi e dei cambiamenti apportati al sistema carcerario negli ultimi anni.

16 gennaio 

Parma, via Burla; sette detenuti sequestrano un agente per sei ore; chiedono il trasferimento in strutture di altre città, a causa delle pessime condizioni di vita a cui sono costretti. Pochi giorni dopo, un detenuto paraplegico, Antonio Fabiani, viene trovato, privo delle stampelle, impiccato ad una grata dell'infermeria. Qualche giorno prima di morire in un fax spedito alla moglie scriveva: "qualsiasi cosa avvenga, fatemi fare l'autopsia", “qui sembra di essere all’inferno”. L'inchiesta viene archiviata come suicidio.

La rivolta appare un fatto isolato; quanto accadrà nei mesi seguenti a Sassari e nelle carceri di tutta Italia metterà in luce un elemento comune: l'invivibilità delle prigioni.

Il sindacato dei direttori dei penitenziari (SIDIPE)  indice uno sciopero per il 28 e 29 marzo. Il blocco negli istituti è totale e provoca la reazione dei detenuti di tutta Italia che danno vita ad una serie di proteste contro i disagi provocati dallo sciopero; in Sardegna la protesta assume forme più radicali.

Il provveditore delle carceri sarde, Giuseppe Della Vecchia, comunica al Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria (DAP)  che attuerà una perquisizione straordinaria nel carcere di San Sebastiano (SS) a causa della situazione di ingovernabilità dell’istituto.

3 aprile

Un gruppo di agenti speciali del Gruppo Operativo Mobile (GOM) entra a San Sebastiano e a tutti i detenuti viene intimato di scendere nell’androne del carcere. Qui vengono spogliati e pestati a sangue.

7 aprile

L'ANSA diffonde una prima notizia sul pestaggio avvenuto durante l'intervento degli agenti costringendo il direttore generale del DAP, Giancarlo Caselli, ad inviare un ispettore a Sassari per confermare la notizia. Il provveditore regionale dell'amministrazione penitenziaria Della Vecchia, la direttrice del carcere Cristina Di Marzio e il comandante delle guardie di Sassari Ettore Tomassi vengono sospesi in seguito alle fotografie fatte scattare dai magistrati, atti che documentano le tumefazioni e i lividi sui corpi dei prigionieri.

Immediatamente dopo che la procura di Sassari spicca 82 ordini di custodia cautelare per gli agenti autori del pestaggio, il SAPPE (Sindacato Autonomo di PP) organizza una manifestazione lungo le strade di Sassari per rivendicare  l'uso giusto della violenza da parte degli agenti e per denunciare la difficoltà di vivere e lavorare in quell'ambiente; "non siamo mica all'asilo", diranno in seguito.

La stampa nazionale dà grande rilievo alle proteste dei secondini, i quali, alla fine delle mobilitazioni, appariranno come coloro che più subiscono il sistema carcerario. Per rimediare alle “sopraffazioni" dei detenuti richiedono:

- nuove assunzioni per il corpo;

- nuove strutture più moderne e più efficienti dal punto di vista della sicurezza.

4 maggio

Emergono nuove notizie su altri gravi episodi di violenze accaduti nei carceri italiani.

Secondigliano (NA). 24 agenti sotto processo per ripetute violenze ai danni dei detenuti: i fatti vanno dal '95 al '99.

Reggio Calabria. 12 agenti rinviati a giudizio per favoreggiamento ed altri 12 per omicidio volontario di un giovane di 28 anni morto per una serie di colpi di bastone e manganello.

Nuoro. Rimosso il comandante del carcere di Bad 'e Carros, dove il 23 marzo morì suicida Luigi Acquaviva che il giorno prima aveva sequestrato un agente di custodia

Torino. Carcere minorile Ferrante Aporti. Alla vigilia di pasqua un ragazzo maghrebino si da fuoco per protestare contro i maltrattamenti e le ingiustizie di cui è stato vittima.

Sassari. Il quotidiano "L'Unione Sarda” pubblica un'intervista ad un secondino che avrebbe partecipato al pestaggio del 3 aprile. L'uomo, che ha chiesto di conservare l'anonimato, conferma le denunce dei detenuti.

Iniziano a trapelare alcune novità riguardo al trasferimento del comandante delle guardie Ettore Tomassi  dal carcere di Benevento a quello di Sassari: pare che il provvedimento sia stato disposto autonomamente dal capo del personale Emilio Di Somma e dal suo vice Zaccagnino. L'ex-comandante del carcere di Sassari, ispettore Capula, appena rimosso, denuncia pubblicamente su una lettera inviata a "La Repubblica": “la sostituzione è avvenuta in maniera scorretta nei miei confronti, perché quella è l'aria che tira al Dipartimento dell'Amministrazione Penitenziaria”. Secondo ”La Repubblica”, Capula si riferisce ad una lobby di potere del quale i beneventani Della Vecchia e Tomassi fanno parte assieme ad altri.

7 maggio 

Le guardie penitenziarie scendono in piazza anche a Napoli scegliendo le mura del carcere di Poggioreale.

Perché, per protestare contro l'arresto di 82 "colleghi", si decide di organizzare una manifestazione proprio a Napoli? E’ solo un caso che, pochi giorni prima del pestaggio di Sassari, Della Vecchia, ex-direttore del carcere di Benevento, fa trasferire il suo ex braccio destro Ettore Tomassi in Sardegna?

Nonostante i manifestanti siano pochi (solo un centinaio di secondini, rispetto alle migliaia annunciate) la presenza di stampa e televisioni è massiccia e consente agli agenti di rivendicare pubblicamente l’aumento dell’organico, il potenziamento dei mezzi e delle strutture e l’istituzione del ruolo direttivo di PP.

Il giorno dopo CGIL, CISL e UIL promuovono una sottoscrizione in tutti gli istituti penitenziari per sostenere economicamente la guardie indagate e  organizzano una manifestazione nazionale a Roma “per rendere manifesto l’impegno e la presenza del sindacato in un settore ad alta esposizione sul piano della sicurezza, della legalità e della convivenza sociale”: il Gip di Sassari revoca le misure cautelari nei confronti degli  82 inquisiti per il pestaggio.

Nel frattempo il ministro di grazia e giustizia uscente, Oliviero Diliberto, approfitta per farsi propaganda: da emerito politicante quale è, invia una lettera ai  secondini dove ricorda i risultati ottenuti dal governo per  il corpo:

- ruoli direttivi e dirigenti

- il nuovo regolamento di servizio

- la partecipazione della PP alle missioni all'estero

- il salvataggio del pagamento dello straordinario

- lo stanziamento di altri finaziamenti  per le nuove divise

- lo stemma araldico del corpo

- la richiesta al capo dello stato per il diploma di lungo corso

e, dulcis in fundo, il decreto legge sul condono delle sanzioni disciplinari a carico della PP!

Vale a dire: più soldi e più potere. Avrà a dire in seguito: "...ma soprattutto abbiamo ottenuto qualcosa che non ha prezzo; è la dignità ritrovata e l'orgoglio di appartenenza al Corpo, che va di pari passo con il rispetto che oggi più di ieri vi portano le altre forze di polizia. Non siete più un corpo di serie B" (!!???)

Cosa fa un piccolo partito come i Comunisti Italiani, appena uscito da una scissione, senza una solida base sociale e con poco consenso elettorale, quando occupa un ministero importante come quello della giustizia? Si guarda intorno e scopre che nelle carceri italiane ci sono 44.000 agenti di PP, che significano 44.000 famiglie di agenti, cioè un potenziale elettorale di 200.000 persone.

Ed è infatti proprio Diliberto che, tra il '98 e il '99, attua una serie di riforme al corpo di PP, scatenando le aspre reazioni dei direttori colpiti nei propri interessi corporativi dalla concessione agli agenti di una propria autonoma carica dirigenziale che consente loro l’accesso alle alte cariche del ministero. Essi dovrebbero, secondo la riforma, assumere la responsabilità della direzione delle aree della sicurezza e il controllo dei regimi disciplinari. Nel febbraio del 1999, sempre Diliberto istituisce l'UGAP chiamando il generale Enrico Ragosa a gestire e dirigere questa nuova struttura e portando avanti il processo di pericolosa militarizzazione del corpo di PP.

62 tra sottufficiali e guardie responsabili del pestaggio di Sassari sono tornati in servizio; 17 sono stati trasferiti in altri istituti. Della Vecchia e Tomassi, sospesi dal servizio, dovranno risiedere fuori dalla Sardegna; la Di Marzio viene trasferita al ministero.

 

perché ci interessa la questione carcere

Negli ultimi mesi abbiamo cominciato ad intervenire sulla questione del carcere perché crediamo che non sia un luogo separato dalla società in cui vengono rinchiuse le "mele marce".

Indubbiamente molti dei reati per cui si finisce dentro, ad esempio sfruttamento della prostituzione e violenza carnale, suscitano sofferenza e rabbia. D'altra parte tanto la prostituzione quanto lo stupro fanno parte della "normalità" di questa società malata che ha fatto del corpo della donna una merce che si può vendere e comprare, un oggetto su cui realizzare enormi profitti e sul quale sfogare le proprie frustrazioni e repressioni. Infatti, se consideriamo la prostituzione come scambio fra corpo e denaro possiamo capire come tutta la società sia

organizzata sulla violenza del ricatto economico e sulla

prostituzione delle persone. Benché il carcere sia spesso separato fisicamente dalla città esso non è separato dalla società. La società è carcere perché è fatta a sua immagine: sopraffazione, legge del più forte, isolamento, privazioni, assenza di spazio, cemento, sfruttamento del lavoro, alienazione, costrizione a fare ciò che non si vuole sono tutte regole della vita esterna al carcere che trovano la loro massima espressione dentro le mura del carcere, fuori da occhi indiscreti.

Il carcere non è l'eccezione ma la regola. Il carcere è dovunque ci sia sfruttamento!

delinquenza e criminalità

Quando si pensa ai detenuti e alle detenute nel carcere spesso ci vengono in mente immagini violente e raccapriccianti che abbiamo visto a ripetizione su televisioni e giornali. Sono immagini che suscitano paura e inquietudine nei confronti del detenuto che viene immediatamente associato allo spacciatore, alla prostituta, allo stupratore, al pedofilo, al serial-killer, all'eco-terrorista, al mafioso. Spesso a questa immagine si associa la figura dell'extracomunitario che data la sua provenienza e la sua cultura "misteriosa" incute ancora più timori e paure.

Con questo non vogliamo certo dire che pedofilia, prostituzione, stupri e killer seriali siano invenzione dei mass media ma è certo che se si scrivesse sul giornale che un imprenditore veneto è andato in Albania per affari e la sera nell'albergo gli è stata offerta la possibilità di acquistare cocaina e scegliere fra alcune ragazze (non importa di che età) con le quali passare la notte, la notizia non farebbe colpo su nessuno. Perché? Perché questa è la normalità, è una cosa accettata! Non fa notizia nemmeno parlare degli stupri e le violenze che quotidianamente avvengono nella "normalità" della vita domestica.

Dimentichiamo che ogni giorno ci sono in Italia più di 2000 infortuni sul lavoro (di cui circa 4 mortali)? Quale serial-killer può competere con i padroni di molte delle imprese edili che organizzano in nero e senza alcuna sicurezza il lavoro nei cantieri? Quale spacciatore di sostanze stupefacenti può competere con gli industriali dei settori chimici e farmaceutici (l'eroina è stata prodotta dalla casa farmaceutica Bayer)? Quale eco-terrorista potrebbe fare più danno dei palazzinari che buttano cemento in ogni centimetro quadrato di territorio, di chi devasta completamente l'ambiente costruendo ad esempio le linee ferroviarie ad Alta Velocità e di chi ha ricoperto l'intera ex Jugoslavia di bombe all'uranio?

 

carcere e delinquenti

Il carcere non è solamente fatto di mura, sbarre e cancelli. Il carcere è prima di tutto uno strumento per dominare le classi sociali più svantaggiate. Quasi tutti i detenuti provengono da situazioni sociali estremamente difficili, quasi sempre da zone con alta disoccupazione e scarse possibilità di istruzione, dove é alto il grado di sfruttamento per quei pochi ai quali è concesso di lavorare (lavoro a cottimo, sottopagato, in nero, con orari, ritmi e condizioni estenuanti, ad alto rischio di infortunio); sono luoghi in cui si è costretti ad arrangiarsi se si vuole campare e, spesso, arrangiarsi significa varcare il confine di ciò che è legale.

Ma come nel lavoro legale anche in quello illegale c'è una gerarchia di potere cioè ci sono quelli che comandano e quelli invece che stanno sotto, che devono solamente eseguire gli ordini. Sono questi ultimi, i "manovali del crimine", che finiscono in carcere. Ma dietro a tutti quelli che trafficano con le sostanze illegali, con le armi, con le merci rubate, con il trasporto di "clandestini", con la prostituzione c'è sempre qualche "rispettabile" signore in doppio petto che dalla poltrona di casa sua realizza enormi guadagni distribuendo briciole ai suoi manovali.

Non vogliamo dire che tutti i detenuti siano brave persone; ci interessa invece dire che quasi tutti i detenuti sono di estrazione proletaria cioè senza possibilità di sopravvivere al di fuori della condizione di "manovalanza" (legale o illegale) e che la maggior parte dei reati per cui si finisce rinchiusi sono legati al disagio economico e alla sofferenza psicologica a cui ci costringe la "normale" vita quotidiana.

Una volta chiusi in carcere si dovrebbe essere "rieducati" ed integrati nella società. Ma un manovale del crimine anche se potesse diventare un "onesto lavoratore" non può riscattarsi dalla sua condizione sociale: è e resta un manovale sfruttato sia nell'impresa legale che in quella illegale.

 

guardie carcerarie

Le guardie carcerarie provengono spesso dalle stesse situazioni sociali e dalle medesime zone geografiche di quelle dei detenuti. Anche loro, infatti, per poter campare, accettano questo tipo di lavoro che indubbiamente è un lavoro di merda.

Anche se chiaramente ci sono quelli più "umani" e quelli invece che non hanno alcun rispetto della dignità dei detenuti, sono tutti "manovali dello Stato" ai quali è concesso di sfuggire alla miseria della disoccupazione ma non alla loro condizione di manovali subordinati.

Indossando la divisa hanno accettato di servire lo Stato, ubbidendo agli ordini dei loro superiori hanno tradito sé stessi perché hanno accettato le gerarchie del potere e quindi il ruolo che questa società ha dato loro: manovali al soldo dei padroni. Forti contro i deboli e deboli con i forti.

A quelli che pensano di essere dalla parte della giustizia, di combattere la delinquenza, di lavorare per un mondo migliore e più onesto, ci piacerebbe chiedere cosa ne sarebbe di loro se non ci fossero i delinquenti. La risposta è semplice: tornerebbero ad essere disoccupati e, col passare del tempo, forse sarebbero proprio loro i primi delinquenti. Non sentiamo altro che disprezzo per questo infame mestiere e per coloro che per una ragione o per l'altra accettano di servire l'ingiustizia legalizzata.

chi siamo

Siamo un gruppo di studenti, lavoratori, disoccupati, del nord e del sud Italia, del nord e del sud del mondo. Siamo compagni e compagne motivati dalla rabbia che ci produce la "normale" vita quotidiana e che rifiutiamo di sfogare nell'ebbrezza del consumo, nell'autodistruzione o nella violenza insensata e non invece mossi dallo "spirito di compassione". La rabbia che abbiamo dentro è un bene prezioso che non va sciupato o dimenticato con una "terapia" ma organizzato per uno scopo.

Vogliamo riprendere in mano le nostre vite; vogliamo combattere quelle stesse regole che costringono uomini e donne dentro a quelle scatole di cemento e noi, fuori dal carcere, dentro altre scatole. Vogliamo spezzare quel senso di impotenza, di rassegnazione e di paura che ci accompagna giorno per giorno; vogliamo rompere l'isolamento a cui siamo tutti costretti. Vogliamo rimettere in discussione che cos'è la giustizia perché sicuramente non coincide con ciò che è legale. Vogliamo organizzarci sui nostri territori affinché si possa ricominciare a vivere e non più a sopravvivere.

Non ci fidiamo dei partiti politici e di tutto il teatrino elettorale poiché essi rappresentano gli interessi di gruppi economici, politici e sindacali che sono direttamente contrapposti ai nostri progetti.

Sappiamo che la nostra rabbia è anche la vostra rabbia.

 

schede di approfondimento

l GOM

Questo è il Gruppo Operativo Mobile nato nel 1994 in sostituzione dello SCOP. Il GOM è costituito da un gruppo di circa 600 uomini, alle dirette dipendenze del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria (DAP). Il gruppo è stato autore del recente pestaggio nel carcere di S.Sebastiano (SS) e nel 1998, durante  una perquisizione straordinaria nel carcere milanese di Opera, alcuni agenti racconteranno di essere quasi arrivati alle mani con i colleghi del GOM.

UGAP

Ufficio per la Garanzia Penitenziaria del dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria. E’ una struttura di intelligence creata dall’ex-ministro Diliberto, nel 1999 con il compito di vigilare sulla sicurezza degli istituti penitenziari. La decisione sollevò parecchi sospetti, scatenando una serie di interrogazioni parlamentari. Il timore era che l’UGAP fosse l’ennesima struttura che avrebbe negato ogni trasparenza. Inoltre a Diliberto fu contestato che a gestire l’UGAP fosse chiamato il gen. Enrico Ragosa, allora dirigente del S.I.S.D.E. e fino al 1996 responsabile del Servizio Coordinamento Operativo (SCOP), autore di numerosi pestaggi di detenuti, come accadde a Secondigliano nel 1993 e a Pianosa, nel 1992.

Corpo di Polizia Penitenziaria

Nasce con la legge 395 del 15/12/90, dalle ceneri del Corpo degli Agenti di Custodia e quello delle Vigilatrici Penitenziarie. Con questa legge il corpo viene chiamato a far parte delle forze di polizia ed assume nuovi compiti, quali quelli delle traduzioni dei detenuti e il piantonamento in luoghi esterni di cura. La crescita esponenziale della PP ha inizio proprio a partire da questa legge: in poco meno di 10 anni passano da 28 mila a 44 mila unità e conquistano un’assetto gerarchico che prevede circa 12 passaggi di carriera; di recente hanno ottenuto l’istituzione di un proprio ruolo dirigenziale che li sottrae, di fatto, al rapporto gerarchico con la dirigenza civile del penitenziario. Ciò ha provocato la reazione dei direttori, che temono la nascita di una nuova classe dirigente, non proveniente dai loro ambienti, e in concorrenza per i salti di carriera verso gli uffici centrali del ministero.

La lobby campana

Il provveditore della Sardegna, arrestato dalla Procura di Sassari in seguito ai fatti di S.Sebastiano è Giuseppe Della Vecchia, per anni direttore del carcere di Benevento. Il comandante degli agenti autori del pestaggio è l’ispettore Ettore Tomassi, cresciuto nel carcere di Poggioreale (NA), in seguito braccio destro di Della Vecchia a Benevento e da quest’ultimo fortemente voluto a Sassari il giorno prima del pestaggio. Il direttore del personale penitenziario della Sardegna è Emilio Di Somma, ex vice direttore nel carcere di Poggioreale; il suo vice è Zaccagnino anche lui  passato da Poggioreale. A dirigere alcuni tra i provveditorati regionali penitenziari più importanti vi sono: in Sicilia, Antonio Passarenti, ex direttore del carcere di Secondigliano (NA); in Puglia, Mario Mascolo, ex vice direttore di Poggioreale; in Campania Giuseppe Brunetti; a dirigere il GOM, il gen. Alfonso Mattiello, anch’egli proveniente da Poggioreale.

Cosa hanno ottenuto le guardie

- subito 2300 agenti in più

- stanziamento di fondi previsti nella nuova legge finanziaria per la costruzione di nuovi carceri

- 300 miliardi per l’ammodernamento del parco mezzi

- apertura di 4 nuovi istituti già finiti

- assunzione di 743 impiegati per gli uffici

- utilizzo di 2000 ausiliari dell’esercito

- impiego degli obiettori di coscienza per svolgere compiti di ufficio

- immediata istituzione del ruolo dirigente e direttivo della PP: 200 ispettori diventeranno commissari, 500 nuove assunzioni di dirigenti tramite concorso

- promozione per i provveditori che diventeranno tutti dirigenti generali

Medicina penitenziaria

Su 54 mila detenuti e detenute, la sanità penitenziaria conta circa 5 mila addetti di cui 350 medici incaricati, 2100 medici specialisti, 1650 medici di guardia, 150 tecnici, 300 infermieri convenzionati con le ASL, 400 infermieri professionali di ruolo e 1000 infermieri convenzionati puri. I contratti sono stipulati direttamente col carcere; i medici vengono retribuiti per ogni “consulenza” che prestano all’interno del carcere: più ne fanno e più guadagnano anche per visite puramente formali. Ben si può capire la forte opposizione dei medici  penitenziari e del DAP al passaggio di competenze della sanità penitenziaria al Sistema Sanitario Nazionale (in attuazione in questi mesi). Questi meccanismi assicurano l’assoluta adesione dei medici e degli infermieri alle ragioni di sicurezza imposte dalla direzione carceraria, giudicate più importanti delle ragioni di cura e prevenzione.

ITALIA: 54 mila detenuti, 44 mila agenti di PP, 1500 unità di operatori nel trattamento di rieducazione e reinserimento

FRANCIA: 58 mila detenuti, 19 mila agenti di PP, 6500 unità di personale socio-rieducativo

GERMANIA: 60 mila detenuti, 26 mila agenti di PP, 9500 addetti alle funzioni trattamentali

 

Ottobre 2000... a proposito di indulto e indultini...

Indultino... ma che cazzo mi rappresenta ora “sto’ indultino”? Ascolto il lurido Gad Lerner, ormai in putrefazione, annunciare trionfante l’ennesima presa per il culo del famigerato governo democratico di sinistra, riempendosi la bocca di frasi tanto banali quanto vaghe. Tempo un’ora mi procuro il disegno di legge in questione dal titolo “MODIFICHE AL CODICE DI PROCEDURA PENALE E NUOVE NORME IN MATERIA DI ESPULSIONE DELLO STRANIERO”. E subito appare chiaro che l’indulto è l’ultimo dei problemi trattati da questo testo di legge, anzi non c’entra proprio nulla.

L’indulto infatti consiste in un provvedimento di carattere generale, incondizionato, riguardante alcuni tipologie di reati di cui verrebbe estinta la pena. Qui invece si interviene soltanto su quella parte di pena  da ridurre per “buona condotta” (concedendo invece di 45, 60 giorni di sconto ogni 6 mesi di carcere) ed esclusivamente per le condanne definitive che vanno dal ’95 al 2000. In concreto sono non più di 150 giorni di riduzione della pena (e pensare che per delle cazzate commesse dentro ci si beccano  decine di giorni in più). Tutto questo con l’indulto non ha niente a che fare; chiamarlo “indultino” è solo un’altra

prova dell’estrema miseria e del cinismo che distinguono questa classe politica. Qui al massimo si potrà parlare di liberazione anticipata comunque condizionata dai “sintetici rapporti informativi circa la partecipazione all’opera di rieducazione del condannato” (meglio conosciuti col nome di “sintesi”) e dalla solita discrezionalità della direzione dell’istituto che comunque ha il compito di inviare al magistrato di sorveglianza le richieste di liberazione anticipata.

Decisamente questo provvedimento non risponde alle rivendicazioni dei detenuti fatte durante la proteste dei mesi scorsi, nei confronti di un’improbabile amnistia o indulto e rispetto ad un miglioramento generale delle condizioni di detenzione.

Quello che è certo è che tale provvedimento contribuisce a peggiorare  ulteriormente la situazione degli stranieri, facilitando la possibilità di espulsione prima della condanna definitiva, e di conseguenza favorendo la costruzione dei centri di detenzione temporanea, veri e propri LAGER dove rinchiudere gli stranieri in attesa di espulsione.

 

lettere

Lista di lamentele

Sono un detenuto della casa di reclusione di Parma, via Burla 3, 43100 Parma, da anni detenuto in questo istituto. Dopo tanti di sofferenza inutile, visto che non è sempre stata solo la privazione della libertà ma bensì una tortura psicologica, mi sono deciso a scrivere al Ministro di Giustizia, al Tribunale di Sorveglianza di Bologna, al Magistrato di sorveglianza di Reggio Emilia, al Direttore Generale delle Carceri e ad altri uffici competenti e a voi della stampa. Tutto questo per mostrare quanto succede in questo istituto di Parma. Devo precisare che sono qui da anni, sono sempre stato un detenuto modello ma quando si passa i limiti della ragione di vita, dell'umanità in generale, allora qualcuno si deve decidere a portare alla luce tutta questa assurda realtà. E' quello che ho deciso di fare: qui di seguito allego una lista di lamentele così vi potete rendere conto di quello che scrivo. Mi assumo con questa mia tutte le responsabilità di quanto scritto. Non ho nessuna paura di farlo visto che è la realtà attuale di questo istituto. Sono sicuro e certo che sia giusto che l'opinione pubblica conosca tutto questo.

 

1 Una spesa interna con prezzi esorbitanti; il regolamento penitenziario prevede che i prezzi non devono superare quelli del supermercato. Le merci (la carne in particolare) arrivano senza le etichette recanti il peso, il prezzo, la data di scadenza e il luogo di provenienza [alla faccia della mucca pazza!!! NDR].

2 Il vitto del carcere è molte volte immangiabile; carne che fa odore di marcio.

3 La commissione cucina (controllo da parte dei rappresentanti detenuti) è inesistente per il fatto che da quando arrivano per controllare la merce, qualità e peso, purtroppo una parte sta già nelle pentole, poi non riescono a restare sul posto per un controllo della cottura e preparazione, vanno lì, firmano e vanno via. Una formalità che qui ti obbligano a seguire.

4 I campanelli delle sezioni per chiamare gli agenti che non funzionano da anni: si deve urlare per chiamare l'agente e avere pazienza.

5 Domandine fatte senza avere risposta (mod.393)

6 Non poter andare al colloquio con una caramella per i bambini o una bottiglia di acqua.

L'umiliazione di spogliarsi nelle perquisizioni in cella, giù gli slip e flessioni.

7 Lettere che spariscono; non arrivano a destinazione.

8 Da giorni è cambiato il modo di segnarsi per un colloquio con l'educatore, per il fatto, dicono, che c'è un'esuberanza di domandine. In realtà non è così: dopo un controllo hanno trovato circa 40 domandine fatte da un solo detenuto che si era visto respingere un permesso per mancanza di sintesi*; lui si difendeva dicendo che dopo tante richieste non aveva mai visto un educatore. Ma se il controllo fosse stato generale avrebbero trovato migliaia di domandine così! Così ora non si fanno più domandine e non sarà più possibile da parte dei detenuti dimostrare di essersi segnati. Io chiamo questo un bavaglio alla verità dell'inefficienza e carenza di chiarezza da parte di questo istituto.

9 Consegna documenti, permessi, ecc... tramite matricola. Si presenta un agente addetto alla matricola a ritirare quanto abbiamo da dare ma non ci viene dato in cambio nulla di scritto che abbiamo consegnato quel dato documento (così si deve solo sperare che dio ce la mandi buona).

10 Trasferimento con manette... uno scandalo. Si parte alle 7,30 per andare a Bologna, poi si rientra alle 15,30. Al di fuori dei 15 minuti che passiamo nella camera di consiglio, tutto il resto del tempo sei ammanettato malgrado che nel blindato ci sono delle celle di sicurezza dove almeno lì si potrebbe levare le manette.

11 Una saletta per la socialità che fa si e no 30 metri quadri con 3 tavoli, 12 sedie e 1 calcetto per una sezione di 50 detenuti.

12 Un cortile di circa 150 metri quadri con muri alti 5 metri sempre per 50 detenuti; se usciamo tutti ci ritroviamo in una scatola di sardine. Campo sportivo 1 volta alla settimana, 2 ore, tempo permettendo, per solo 15 persone alla volta: così a turni ci aspetta il campo ogni 21 giorni circa.

13 Sala cinema o teatro: mai visto un film.

14 Abbiamo da più di 2 anni, 2 campi da bocce fatti nuovi e mai utilizzati.

15 Lavanderia di 40 metri quadri con 6 fili da 2 metri e mezzo per stendere abiti di 50 persone; gli abiti non asciugano mai in inverno.

16 Mancanza di iniziativa da parte della direzione per agevolare giochi culturali, tornei di ogni tipo.

17 Il barbiere taglia i capelli dei detenuti all'interno della lavanderia dove abbiamo i vestiti messi a asciugare: i capelli tagliati volano sopra gli abiti.

18 Se qualcuno prende l'iniziativa di scrivere una petizione, si ritrova in isolamento.

19 Nessun rispetto dei morti, nel senso che i decessi (molti) vengono comunicati alle famiglie solo molti giorni dopo.

20 Isolamento: senza tavolo per mangiare e niente per appoggiare i piatti, mancanza di igiene per lavare piatti e posate; per dissetarsi c'è un tubo a circa 50 centimetri di altezza sopra la turca per lavare, bere, ecc... A mio parere questo riguarda il dirigente sanitario che è al corrente di questa situazione da molto tempo ma nulla è cambiato fino ad oggi.

21 Manca la presenza di civili per vedere la realtà di questo posto di tortura psicologica.

22 Quando viene un politico o una visita al carcere purtroppo non passano nelle sezioni a parlare con i detenuti, gli fanno fare un giro turistico dove possono solo vedere il lato positivo e se fanno un incontro con qualche detenuto si tratta di persone scelte dalla direzione, molte volte bisognosi del loro posto di lavoro oppure persone che si sa che non si lamenteranno (una presa in giro).

23 Prelievo del sangue fatto all'interno delle celle dei detenuti.

24 Mancano medicinali di ogni tipo almeno 3 volte all'anno per varie ragioni.

25 Di notte c'è solo un agente per 2 sezioni. Questo comporta che se un detenuto si sente male e l'agente in quel momento è nell'altra sezione si deve urlare, battere sui blindi, chiamare tramite la finestra all'agente che è sul muro di cinta... il tempo passa, se uno è seriamente malato può morire tranquillamente.

26 Una sezione per paraplegici non idonea per un malato. In questo stato è una vergogna totale, inumana, da confrontare ad un campo di concentramento.

27 Non c'è pluralismo culturale, la nostra biblioteca è sprovvista di libri e dizionari in lingua straniera.

28 Più del 50% dei detenuti nei termini dei permessi senza sintesi malgrado che sono qui da anni!

29 Difficoltà a poter portare con sé le carte processuali o altro all'udienza con il proprio avvocato quando questi vengono a trovarci in istituto.

 

Per finire vorrei dirvi che c'è dell'altro che mi riservo di scrivere per il fatto che questo riguarda fatti punibili dalla legge. Spero che qualcuno prenderà in considerazione tutto questo al più presto, prima che si decidono a toglierci anche le brande, manca poco ormai. Siamo spogliati di tutto, un po' alla volta ci siamo ridotti in questo stato grazie al nuovo comandante e al nuovo direttore, la coppia di persone che il diavolo vorrebbe avere al suo fianco.

Fine.

(ottobre 2000, lettera di un detenuto nel carcere di Parma)

 

* SINTESI: per avere permessi, semilibertà o altri benefici di legge ci vuole una relazione che si chiama "sintesi". Questa viene fatta da una psicologa, un educatore, il direttore, agenti penitenziari che poi fanno un'equipe tra di loro per decidere se il detenuto può accedere ai benefici. La sintesi dovrebbe essere aggiornata ogni 6 mesi. Quando un detenuto chiede un permesso o altro, la sintesi dovrebbe essere chiusa in positivo o in negativo ma invece, qui nel carcere di Parma, ci vogliono anni prima di avere una sintesi e così ti rispondono sempre che la tua richiesta è stata respinta per mancanza di sintesi. Io sono andato la prima volta in permesso dopo 4 anni che ne avevo diritto.

Ritorsioni

Dopo aver letto i vostri volantini non so se questa mia vi arrivi comunque ci provo. Sono a Parma da 6 mesi e mi sono bastati per capire in che macello sono capitato. Sono

18 anni che sono in carcere senza mai aver preso un rapporto ma mai e poi mai pensavo che in Italia ci si dovesse ridurre in questo stato. Il primo giorno cioè al mio arrivo da un altro istituto ho preso il primo rapporto. Durante la perquisizione dopo avermi spogliato nudo e ribadisco nudo volevano che camminassi davanti a loro e mi fossi sollevato scusate la parola le palle; al mio rifiuto, apriti cielo, mi hanno fatto ogni sorta di minaccia. Se non mi hanno menato è solo perché era in atto la protesta della Sardegna ma non l'hanno dimenticato, infatti sono salito dall'isolamento solo ieri dopo averci passato 5 giorni d'inferno per un secondo rapporto preso 12 giorni fa che ora vi racconto come sono andate le cose.

Eravamo in saletta durante la socialità (come viene chiamata) parlando tra noi compagni del malfunzionamento di questo istituto e senza rendermi conto dell'arrivo dell'agente mi sono lasciato scappare che siamo comandati da un pazzo che dopo averlo cacciato da Modena dove era, è venuto a rovinare Parma. Cose legittime, lo dicono tutti ma per me è scattata la molla. L'agente ha fatto rapporto così il giorno dopo vengo chiamato davanti al consiglio disciplinare. Mi hanno letto il contenuto ed io non ho potuto che ridere e raccogliere la palla al volo raccontando tutti gli abusi che avvengono in questo istituto confermando ciò che c'era scritto.

Dopo un breve parlare fra loro, la sentenza, 5 giorni di sospensione dalle attività in comune; poco male, ho pensato, mi riposo 5 giorni e invece la sorpresa: 4 agenti mi prendono così com'ero (1 paio di jeans estivi e maglietta a maniche corte) e portato all'isolamento sito nei sotterranei o piano terra. So solo che faceva un gran freddo, sospinto in una cella con una branda murata, un materasso umido, 2  lenzuola di carta, piatti di plastica riciclati, 1 turca. Verso sera mi hanno dato una coperta, tremavo come una foglia dal freddo ed alla richiesta di una doppia coperta fatta personalmente al comandante capo  in visita al suo capolavoro, con un sorriso da ebete mi ha risposto: fai la domandina. Come dire, stai al freddo. La porta si è tornata ad aprire il giorno 10/10. Faccio presente che non sono più un ragazzino ed ho problemi alla schiena, per tutta risposta mi hanno detto che non è colpa loro!

Io sono pronto ad ogni sorte ormai ho già perso ciò che mi ero costruito perciò sono pronto anche a un confronto diretto raccontando ciò che ho visto in questi 6 mesi. Dimenticavo il bunker è pieno e stanno soffrendo ciò che io ho sofferto e piango per loro.

Ecco signori, questo è parma oggi, non diverso da ieri anche se i messaggi non arrivano.

(ottobre 2000, lettera di un detenuto nel carcere di Parma)

L'intervento dell'ambulanza in istituto penitenziario

Qui c'è da ridere. Si, so che la parola ridere è forte quando si parla di un intervento urgente dove molte volte un minuto può salvare la vita ad una persona ma dovete per primo ricordarvi che un detenuto, per come è trattato a Parma, non è una persona ma bensì un detenuto. Così si può spiegare tutto questo: in caso che serva un intervento urgente, prima di tutto, l'agente della sezione va a vedere il detenuto. Se sta male chiama il capoposto che a sua volta chiama un medico che molte volte si fa precedere da un infermiere. Quando arriva il medico, se decide che è grave, allora si chiama l'intervento dell'ambulanza, questa parte immediatamente con sirene lampeggianti, attraversa la città e arriva finalmente all'entrata del carcere. Lì si spengono i lampeggianti e sirena e si passa al controllo dell'ambulanza, documenti, ecc... poi dopo tutto questo riparte, fa 200 metri e si ferma di nuovo, dove c'è un tunnel con due porte, passato quello, riparte per altri 200 metri e si trova davanti alla matricola. Li aspettano il malato, lo caricano e fanno il tragitto al contrario, si perde circa, quando tutto va bene, 20 minuti più i minuti iniziali da quando ha chiamato l'agente. Se tutto va bene, arriverà dopo un'ora all'ospedale. Dal primo istante che qualcuno si è accorto che questo detenuto sta male, come potete constatare, non è più una questione di minuti. Per questa ragione ogni detenuto deve sperare di non ammalarsi mai. Quante persone sono morte per questo fatto, troppe, ma malgrado tutte queste vittime vanno avanti nello stesso modo. E questo sarebbe un intervento cosiddetto tempestivo.

(novembre 2000, lettera di un detenuto nel carcere di Parma)

Perché il carcere di Parma è ridotto in questo modo

Anni fa c'era una convivenza tra detenuti e direzione, tutto procedeva per il meglio, detenuti di altri istituti avrebbero pagato per poter venire qui a Parma. Oggi pagherebbero quelli che sono qui per andarsene, per il fatto che non si può più vivere. Questo in gran parte a causa del comandante. Al suo arrivo nessuno lo conosceva ma lo conoscevano tutti a Modena dove lavorava prima. Addirittura i detenuti di Modena hanno fatto una festa dalla contentezza dopo che se ne era andato via; hanno fatto di tutto per mandarlo via e ci sono riusciti così ora ce l'abbiamo noi. Lui vede solo nel modo repressivo, ha scambiato un carcere per un campo di concentramento. Dopo il suo arrivo qui è successo di tutto, sul piano negativo. Molti detenuti hanno fatto delle brutte azioni per colpa del loro malcontento, sentirsi soffocare lentamente, poi un giorno da esseri umani non sono più riusciti a sopportare questa situazione e hanno fatto atti illegali pensando di risolvere qualcosa. Hanno solo danneggiato loro stessi. Ma la colpa ci chi è? Di chi fa un'azione illegale oppure di chi ti obbliga a farlo per disperazione? Questa è la realtà ma è stata sottovalutata fino ad oggi da tutti i responsabili dell'amministrazione penitenziaria, con grande delusione per noi detenuti. E' vero che abbiamo da pagare un debito verso la società ma non per questo dobbiamo subire torture psicologiche ed altro per anni. Mi chiedo come sarà quel detenuto quando sarà rimesso in libertà? Senza dimenticare che per anni ha subito ogni genere di ingiustizia, accumulando solo odio dalla mattina alla sera. Io lo so come sarà questa persona fuori e posso garantirvi che la vostra immaginazione è lontana. Per dirvi la verità abbiamo anche un direttore ma solo sulla carta: in realtà è come se non ci fosse, incapace di svolgere il suo incarico, influenzato dal comandante. Sinceramente mi fa pietà, spero soltanto che riesca, prima possibile, ad avere una sua propria personalità. Ci sono altri servizi come quello degli educatori, al primo posto nella lista nazionale dei latitanti. Queste cose sono delle piccole condanne aggiunte a quelle che il tribunale ha inflitto ad ognuno di noi. Come potete constatare siamo, se si può dire, trattati da esseri ancora sconosciuti al nostro pianeta. Tutto questo sarebbe il famoso trattamento inframurale, affinché un detenuto sia realizzato nella società. Con l'immenso piacere di essere torturato in questo modo lascio a voi tutti un messaggio: non sarebbe meglio una condanna a morte per ogni reato, piccolo o grande che sia? Si potrebbe così risparmiare a noi detenuti queste sofferenze continue e subire solo quella della morte che è più rapida e meno crudele.

(novembre 2000, lettera di un detenuto nel carcere di Parma)

L'inverno nel carcere di Parma

Si può dire che in inverno entriamo tutti in ibernazione totale. E' il periodo dell'anno che per il tempo, per la mancanza di spazio al coperto e per il fatto che abbiamo sempre le celle chiuse molte volte non usciamo dalla cella così restiamo dentro 24 ore al giorno, se ci va bene 20 ore. Ma non credo che si può far capire cosa vuol dire stare tutte queste ore chiuso in 14 metri quadri circa, in 2 persone. E' vero che abbiamo un televisore ma dopo un po' di anni uno si stanca anche di questo. Se usciamo all'aria, 2 ore al mattino e 2 ore al pomeriggio, vedi sempre le stesse persone, i discorsi sono sempre gli stessi, poi molte volte parliamo di quello che non funziona, e così giorno dopo giorno. La domenica c'è la messa, questo cambia un po' la routine della settimana, la sera abbiamo la socialità e si può andare in un'altra cella per mangiare o fare quattro chiacchiere, dalle ore 16.30 alle ore 18.30. Non tutti lo fanno e non si può sempre fare questo per il fatto che sei chiuso lì come nella tua cella, non cambia nulla, solo che per 2 ore sei un po' più stretto. Non è molto ma è tutto quello che abbiamo.

Se pensate che per anni uno può fare questo genere di vita senza imparare ad odiare allora dico di provare, qui la realtà supera di molto la fantasia, la mancanza di realtà sociale e la realtà inumana che si vive tra queste mura fabbrica un genere umano sconosciuto da voi, simile dal di fuori (fisicamente) ma internamente incompreso da tutti voi fuori. Io non voglio la pietà delle persone, questo no, ma semplicemente dirvi di non credere che questo nostro modo di sopravvivere possa in qualche modo migliorare le cose per quanto riguarda il reinserimento nella società. Ci allontanano così crudelmente, ci fanno subire ogni tipo di ingiustizia, non siamo considerati nemmeno esseri umani, allora sono due le possibilità: o cambia la società oppure, più semplicemente, cambiano il modo di gestire il carcere di Parma. Se dico questo è per il fatto che altri carceri funzionano meglio, hanno le porte aperte, i detenuti sono quasi sempre liberi all'interno dell'istituto e non hanno tutti i problemi che abbiamo qui, per l'unica ragione che hanno un direttore e un comandante in grado di farlo funzionare, questo è quello che speriamo succeda anche qui: un cambiamento di gestione di questa direzione che vede nel modo repressivo l'unico modo di gestire il carcere e mai verso il reinserimento sociale.

Tutto questo succede per la mancanza di controllo da parte del giudice di sorveglianza di Reggio Emilia e del provveditorato di Bologna e di altri uffici di competenza. Sentire un detenuto che si lamenta può solo far ridere ma quel detenuto che soffre in questo modo, una volta finita la sua condanna, farà ancora ridere? Cosa ne pensate? Basta immaginare il vostro orto, se seminato bene la raccolta sarà assicurata ma se si è convinti di aver seminato male non credo che la sola speranza possa bastare per una buona raccolta. Il risultato può essere così così oppure disastroso ma poiché siete voi a decidere come seminare il risultato sarà sempre il frutto del vostro operato.

(ottobre 2000, lettera di un detenuto nel carcere di Parma)

Allergia al carcere di Parma

Chiediamo aiuto a tutti i medici del mondo per darci al più presto una speranza per far si che il nostro ufficio educatori e i suoi componenti trovino un rimedio a questo loro problema: da anni soffrono tutti dell'allergia al detenuto, così non li vediamo mai; siamo molto preoccupati della loro sorte. Con questa richiesta di aiuto internazionale speriamo di trovare qualcuno che trovi l'antidoto. Siamo addolorati di saperli così afflitti e ammalati, poi siamo d'altra parte preoccupati del contagio che si è esteso dalla direzione fino al magistrato di sorveglianza ed altri uffici penitenziari e, se non vado errato, è arrivato fino a Roma.

Così per colpa di questa allergia che è tutta italiana, credo che tutta l'opinione pubblica faccia quanto è nelle loro possibilità per aiutare questa povera gente, influenzati perennemente e senza poter svolgere il loro mestiere. Spero che sia riconosciuta dal Ministero della Sanità ma nel frattempo non hanno problemi visto che percepiscono il loro stipendio normalmente... chissà che questa allergia non sia proprio causata dal loro voler strafare... no, questo è impossibile, il virus è da cercare altrove, potrebbe trovarsi nel loro DNA?

S.O.S. carcere di Parma.

(novembre 2000, lettera di un detenuto nel carcere di Parma)

Il carcere di Parma ha colpito di nuovo

Un'altra vittima della disperazione a Parma. Un arresto, un nuovo arrivo per il carcere, una nuova vittima. Questo carcere è così disumano che il primo contatto con queste mura è un colpo assicurato. Il vedere dal primo istante che anche la speranza, qui dentro, è morta da tempo fa si che un detenuto al suo arrivo fa la scelta di impiccarsi quanto prima; decide per una sofferenza rapida e unica.

Questo è un gesto estremo che uno può fare. Ma come ho già ripetuto tante volte è sicuramente quello meno crudele, è l'unica alternativa che qui a Parma abbiamo di diritto. Malgrado questa ennesima vittima non cambierà nulla, il potere di questo istituto è tale che possono fare di tutto. Dopo tanti reclami ai responsabili dell'amministrazione penitenziaria non è cambiata una virgola, tutto come prima, nemmeno la morte qui fa più notizia, ormai sono abituati anche su questo.

Qualcuno come me, scrive lettere su lettere e poi non riceve mai una risposta, non vede cambiare nulla, nessuno che si interessa da chi di dovere: il magistrato di sorveglianza che è latitante, provveditorato e tribunale di sorveglianza inesistenti, per finire il Ministro di Giustizia e il direttore delle carceri Caselli, questi due stanno a Roma, una capitale così bella, con musei e opere d'arte da visitare. Nulla a Parma li può attirare per farli venire qui, salvo per ringraziare il direttore di Parma e per elogiarlo di quanto fa per rendere questo posto inumano. Certe volte mi sbaglio nel dire che questo posto è una dittatura, una dittatura è molto più umana di tutto questo posto.

(novembre 2000, lettera di un detenuto nel carcere di Parma)

Che cosa è un detenuto modello?

Qui c'è da capirsi bene, ce ne sono di due tipi. Il primo è un detenuto che si comporta normalmente, fa il suo lavoro o studia, non da fastidio a nessuno, cerca di fare quanto è nelle sue possibilità per migliorare il suo modo di vita per un futuro nella società. Poi c'è un secondo tipo, quello che piace alla direzione di Parma, è l'opposto del primo, fa la spia, il lecchino, si abbassa ad un livello che si può definire pietoso: quando non sa cosa dire si inventa delle storie che poi riporta alla direzione che per questo lo aspetta sempre a braccia aperte. Questi vermi dell'umanità si chiamano, qui a Parma, detenuti modello. Fanno questo per essere agevolati per un posto di lavoro, per un permesso, per non essere esclusi da un beneficio. L'incredibile è che vengono sempre creduti, sono definiti in certi casi "voci confidenziali". Potete capire che se un detenuto viene accusato da uno di questi non sa come difendersi, poi se viene assolto dal magistrato di sorveglianza è ancora peggio perché la direzione del carcere si offende di essere nel torto e poi si vendica con vari dispetti: non potrà più lavorare o sperare in qualche beneficio; per lui non ci sono più speranze a meno che questo non faccia a sua volta la spia o il lecchino. Questa è la realtà di questo istituto, il bello è che non si nascondono per proporti di fare la spia: se gli chiedi un lavoro ti rispondono che se ne può parlare ma sempre nell'ottica di scambio ( io ti do qualcosa e te e tu mi dai qualcosa a me). Come esempio di riabilitare un detenuto nella società non c'è male, in due parole vuol dire questo: fa del male e sarai ricompensato.

(novembre 2000, lettera di un detenuto del carcere di Parma)

Sulla massima sicurezza

Qui la situazione è sempre di invivibilità e a diversità dell'anno precedente siamo alla fine di ottobre e non è cominciato nessuno corso professionale ad eccezione delle elementari per i detenuti stranieri e la sezione staccata del Bodoni è stata soppressa così chi era arrivato, con grandi sacrifici, a frequentare fino alla terza ragioneria ora si è trovato (8 detenuti) con il prosieguo interrotto, senza alcuna spiegazione da parte della direzione. Per molti di noi i corsi professionali erano un modo positivo per invertire il tempo e non essere chiusi 20 ore in una cella a oziare e vegetare. Qui all'interno del carcere di Parma il verbo della SICUREZZA ha congelato tutta la struttura, l'ha resa immobile e non da ora. Gente chiusa in cella dalla direzione a non fare niente per 20 ore al giorno, assenza di lavoro, attività trattamentali vicine allo zero, frustrati sul nascere gli sforzi per accrescere le risorse per il lavoro, sia all'interno che all'esterno.

Ormai, non solo qui a Parma, ma in tutti gli istituti penitenziari, a fronte di disposizioni provenienti dal DAP (Dipartimento Amministrazione Penitenziaria) che ha timore di disordini e rivolte nelle carceri a causa delle invivibili condizioni di sovraffollamento, c'è la tendenza a dare spazio (potere) al corpo di polizia penitenziaria, privilegiando la sicurezza, senza preoccuparsi della costruzione reale del suo ruolo, dei suoi compiti, della capacità di costruire rapporti con le persone detenute e non soltanto di tenerle rinchiuse.

Il carcere quindi come luogo di punizione con il sottostante pregiudizio che punire equivale ad educare, a ricostruire un ordine che è stato infranto.

(ottobre 2000, lettera di un detenuto nel carcere di Parma)

 

...alla ricerca della memoria perduta

dal carcere di S.Vittore 1971

....Tutto quanto viene detto oggi sulla "rieducazione" il  "trattamento" ecc. è fasullo: Non perchè ci siano metodi errati perchè manchino i mezzi  o perchè il detenuto sia irrecuperabile  o psicopatico, o in esso "alberghi il maligno" ma perchè il presupposto da cui parte è errato (parlo delle proposte borghesi, naturalmente). Infatti l'esistenza di frange asociali e delinquenti è un dato ineliminabile, in una società classista. Anzi, vengono artificialmente prodotte e riprodotte. Questo la classe dominante lo sa benissimo. Per i gonzi ci sono gli articoli divulgativi, la "posta dei lettori", i commenti della cronaca nera, e poi "nuovi regolamenti", le migliorie, Civitavecchia, Rebibbia, Alessandria etc. etc.... Una sola cosa non viene mai detta, dai dotti criminologi e penitenziaristi che la risocializzazione, non  è un fatto esterno, imposto, insegnato meccanicamente. Dev'essere conquistato dall'individuo, come soggetto e non oggetto, e come appartenente a una collettività. Questo significa che solamente acquistando coscienza sociale, di classe, il detenuto può rompere con la delinquenza, ma ciò porta ad una sola via di uscita: quella di diventare un rivoluzionario. Ecco perchè il sistema  borghese blocca questa soluzione e favorisce la produzione di criminali nelle carceri. Quindi siamo d'accordo su tutto. Anche sul fatto che qui dentro  gli "unici" rieducatori  possiamo essere noi cioè quei detenuti che hanno coscienza di classe.

(P. Cavallero, carcere di S.Vittore, Milano 1971)

 

questo giornale...

...è stato pensato e realizzato per conseguire alcuni obiettivi.

Anzitutto, vuole essere uno strumento di contro-informazione territoriale sul carcere poiché, come abbiamo già detto all'inizio di questo scritto, non siamo per niente convinti che il carcere sia il luogo dove siano rinchiusi i malvagi di questa società ed anche, del resto, che quasi mai la giustizia vada di pari passo con la legalità. E' fuori dubbio che in una società dove comanda il denaro, quelle parole LA LEGGE E’ UGUALE PER TUTTI, scritte a caratteri cubitali su tutti i tribunali, non corrispondano alla realtà dei fatti.

Pertanto questo giornale serve anche a ricominciare un lavoro d'inchiesta nel e sul carcere capace di verificare quelle ipotesi che in parte abbiamo già formulato e cioè che oggi come ieri nel carcere sono detenuti in massima parte proletari sfruttati nel Sud e nel Nord del mondo. Sono proprio questi ultimi i soggetti con i quali questo giornale vuole comunicare.

Con questo primo numero, da considerare sperimentale, abbiamo voluto dare ampio spazio alle lettere e alle riflessioni che provengono direttamente dai detenuti nel carcere di Parma. Attraverso questa esperienza puntiamo a coinvolgere nel dibattito politico e a mobilitare tutti quei soggetti che vivono sulla propria pelle, a diversi livelli, la violenza dell'organizzazione capitalistica di questa società.

Non possiamo più delegare questi problemi ai "professionisti" della politica, dell'economia, dell'informazione, della repressione e della pietà. Occorre ri-aprire un dibattito sul SENSO del carcere all'indomani del conclamato fallimento di ogni sua ipotetica funzione rieducativa e di reinserimento; occorre però non restare imbrigliati nelle torbide trame forcaiole inneggianti alla SICUREZZA DEL CITTADINO tanto più quando non risulta chiaro di CHI si stia parlando, se di cittadini proletari o invece borghesi, e da CHI dovrebbero essere protetti. E nemmeno, d'altra parte, si può rimanere vincolati alla sola possibilità di umanizzare il carcere se prima non riusciamo a portare una critica complessiva a questa società, capace di svelare come i meccanismi di costrizione che caratterizzano il carcere siano quegli stessi che regolano la vita sociale all'esterno, sebbene esercitati in FORME diverse. Altrimenti il rischio è quello di non riuscire a superare un atteggiamento individuale e passivo che vede nella pietà di origine cattolica l'unica possibilità di azione.

Un dibattito che si proponga di cogliere la funzione del carcere in questa fase storica deve anzitutto riuscire a non restare imprigionato fra quelle mura poiché se privazione, isolamento e passività sono i tratti distintivi di questa società, che nel carcere trovano la loro massima espressione, allora lottare contro il carcere è lottare contro tutti gli strumenti del dominio borghese che ci costringono alla disoccupazione o allo sfruttamento sul lavoro, a dover emigrare in un altro paese o restare stranieri nel proprio, a vendere il proprio corpo sulla strada o a prostituirsi in fabbrica.

Pertanto, sebbene questo giornale si rivolga al carcerario, auspichiamo che in futuro possa affrontare anche altre questioni senza mai però venire meno alla sua funzione: quella di essere un possibile strumento di ricomposizione di classe attraverso un lavoro di inchiesta, di collegamento, di lotte, di auto-organizzazione sul territorio.

 

giovedì 14 e Venerdì 15 dicembre 2000

distribuzione del giornale davanti al carcere

di via Burla in occasione dei colloqui (dalle ore 11)

 

per una società

 

SENZA GALERE

SENZA FRONTIERE

SENZA SFRUTTAMENTO