Dossier sulla questione della casa a Treviso
e su alcuni modi usati dagli immigrati per farvi fronte
Il dossier che presentiamo tratta di una lotta ancora in corso nella provincia di Treviso, centro nevralgico e sintesi di quello che viene chiamato comunemente “il fenomeno nordest”, e che proprio da questo è generata.
Gli
estensori di questo dossier sono un gruppo eterogeneo di persone che è
intervenuto in una delle contraddizioni di questo tessuto sociale (quello del
nordest appunto) per sostenere le lotte degli sfruttati e fomentare una
situazione di conflitto.
Innanzi tutto bisogna spendere quattro parole per specificare il contesto in cui si sviluppa la nostra lotta, per meglio chiarire cos’è questo fumoso fenomeno nordest oramai sulla bocca di tutti.
Il
Nordest d’Italia non è solo un’area geografica ma anche un concetto
costruito di recente per rappresentare un’omogeneità economica e produttiva.
Si tratta in realtà di una regione che deve il suo recente successo ad un
assetto produttivo fondato su piccole e medie imprese sparse nel territorio e
collegate tra loro da reti di vincoli e scambi. La storica presenza di piccole
imprese artigianali - sorte e sostenute da finanziamenti pubblici, secondo il
progetto democristiano di creazione di un tessuto produttivo a basso conflitto
sociale – si è evoluta grazie alla possibilità recente di accedere a basso
costo alle innovazioni elettroniche e informatiche coniugandosi perfettamente
con le nuove esigenze del capitalismo odierno: una produzione snella che si
adatti facilmente e rapidamente alle esigenze di un mercato in perenne
fluttuazione e che consente margini sempre più esigui di profitto.
Ad
eccezione di Porto Marghera non esistono grosse concentrazioni industriali. La
produzione è diffusa sull’intero territorio e affidata a piccole unità
interponesse da un utilizzo strategico delle infrastrutture. L’urbanizzazione
del territorio è lo specchio di questa struttura produttiva: non esistono
grosse città ma, nei fatti un’unica area metropolitana; il fronte
conflittuale non si localizza in un centro ma si disperde in una miriade di
microconflitti diffusi.
Se
la produzione si realizza in piccole fabbriche all’interno di un sistema
reticolare, la direzione di questo non è affatto orizzontale bensì guidata da
un numero ristretto di imprese più grandi che dispongono di capitali e di
conoscenza della produzione, della vendita e della comunicazione del prodotto
sul mercato. Grandi gruppi – il più famoso è Benetton – utilizzano questo
sistema dinamico di subforniture che gli consente di ammortizzare le
fluttuazioni del mercato, ridurre i costi e contenere lo scontro sociale: le
piccole imprese che realizzano materialmente i prodotti dipendono infatti dalle
commesse dei grandi marchi che le commercializzano; questi, acquistando
semilavorati e non forza lavoro, sono privi di obblighi nei confronti degli
operai che producono le loro merci. Necessità e conseguenza di questo modello
sono le condizioni di vita precarie degli sfruttati: contratti di lavoro
atipici, contratti di formazione lavoro, di apprendistato, lavoro interinale o
in appalto tramite cooperative, l’attacco alle garanzie minime offerte dallo
Statuto dei lavoratori - tra queste l’art. 18 contro i licenziamenti senza
giusta causa - e, per finire, il ricorso massiccio, soprattutto in Veneto, al
lavoro “in nero”, sono gli strumenti che inducono questa precarietà.
Da
un lato l’esigenza di lavoratori usa e
getta, dall’altro il raggiungimento di una piena occupazione producono sul
mercato del lavoro locale la richiesta di una manodopera generica, poco
qualificata e, suo malgrado, costretta ad accettare un brutale sfruttamento. Per
far fronte a questa richiesta si è fatto ricorso ad un sistema mafioso di
accaparramenti di aree depresse in cui esportare industrie e capitali e da cui
importare manodopera a basso costo, facilmente ricattabile: lo Stato e il
Capitale fanno sì che gli immigrati corrispondano a queste esigenze,
mantenendoli forzatamente in una condizione di precarietà e di esclusione. La
continua minaccia del controllo poliziesco e, peculiarità del Nordest,
l’indisponibilità di alloggi per gli stranieri immigrati costituiscono i
fattori principali di questa condizione.
Negli
ultimi anni, nella provincia di Treviso in particolare, ma è un fenomeno
estendibile a tutto il Veneto, assistiamo ad occupazioni spontanee di
fabbricati, il più delle volte vecchie fabbriche in disuso e spesso
pericolanti, di case cantoniere e vecchi caselli ferroviari abbandonati, da
parte di immigrati spinti ai margini da una società dalla netta volontà da
parte degli organismi politici (di destra e di sinistra), istituzionali (chiesa,
banche, associazioni), ma soprattutto del padronato, di emarginare e
precarizzare, assieme agli immigrati, anche il resto degli sfruttati.
È
evidente che un proletariato disunito e a cui viene tolta anche la dignità di
un tetto sicuro, sotto la costante minaccia poliziesca di controlli, arresti,
sgomberi ed espulsioni, non ha la forza necessaria per opporsi al più bieco
sfruttamento sul posto di lavoro, alle vessazioni, al licenziamento, ai salari
bassi ecc.
Ed
è proprio in seguito allo sgombero di una scuola in provincia di Treviso nel
novembre 2001, occupata da immigrati del centro Africa assieme al Comitato lotta
per la casa che inizia, dopo una serie di incontri, a formarsi questo
coordinamento ed a stringere rapporti con alcuni immigrati.
Il
nostro obiettivo era quello, attraverso l’occupazione di un posto migliore, di
cercare di ridurre la loro precarietà dandogli maggior forza, e di legare le
lotte degli immigrati a quelle degli altri proletari, senza per questo scadere
in una sorta di loro sindacato o associazione di servizi.
È
necessario aggiungere, a scanso di equivoci, che nel trevigiano l’emergenza
immigrazione ha dato vita nel tempo a varie tavole rotonde e manifestazioni
promosse da associazioni e partiti politici che svolgono un importante compito
di pompieraggio (nel migliore dei casi), e di vero e proprio sciacallaggio nei
confronti degli immigrati stessi.
Si
fanno notare in particolar modo: l’associazione Fratelli d’Italia (caritas,
cgil/cisl/uil, pds), che riesce ad incamerare centinaia di migliaia di Euro per
la costruzione di alloggi per immigrati che nessuno ha mai visto; la Fondazione
Cassamarca che con la stessa scusa riesce ad acquisire per pochi soldi intere
aree dismesse; la Caritas e consorelle che, gestendo le case-alloggio per
immigrati ed il dormitorio, estorcono pigioni altissime a condizioni indecenti;
l’M21 (tute bianche di Treviso) che interviene a gestire le emergenze della
casa per gli immigrati con lo scopo di mettere le mani su una fetta dei
finanziamenti regionali per l’immigrazione e garantendo alla Questura il
controllo degli immigrati stessi.
Ed
è in questo scenario che in una nebbiosissima mattina di marzo occupiamo a
Preganziol di Treviso, paese retto da una Giunta di sinistra, l’area della
fabbrica ex-Secco abbandonata da alcuni anni e di proprietà della Fondazione
Cassamarca. Tale Fondazione, emanazione dell’omonima Banca, in apparente
contrasto col famigerato sindaco di Treviso Gentilini, va accaparrandosi le
simpatie dei benpensanti di sinistra grazie alle esternazioni del suo
Presidente, De Poli, che assicura la sua volontà di risolvere il problema degli
alloggi per gli immigrati. In realtà ha avuto buon gioco ad acquistare a poco
prezzo beni comunali e non, per costruire o ristrutturare musei, teatri, per non
parlare dell’Università di cui la Fondazione è principale promoter e
sponsor. L’area ex-Secco rientra nei progetti di Cassamarca relativi
all’Università dovendo diventare alloggio per i frequentanti il master di
economia per super manager.
Nei
primi giorni di occupazione si cerca un rapporto con la popolazione del paese e
allo scopo si distribuisce il volantino dal titolo Una
rivolta della sofferenza sotto silenzio e si organizzano altre iniziative.
Dopo circa un mese il Comune prospetta velatamente una possibilità di sgombero
dovuta a motivi sanitari: improvvisamente avevano scoperto la presenza di
eternit sul tetto della fabbrica, alla quale farà seguito il volantino Una fuga d’amianto, nel quale denunciamo le reali intenzioni
del comune, e di Cassamarca.
Ma
i nostri problemi non finiscono qui, infatti poco tempo dopo, in seguito
all’operazione del governo denominata “alto impatto”, che riguarderà
tutta la penisola, gli sbirri faranno irruzione nello stabile in pieno giorno
(quando il posto era quasi deserto perché la maggior parte era al lavoro)
armati di tronchesi e mazze, spaccando tutto quello che trovavano, con
l’obiettivo dichiarato di cercare clandestini.
Infatti
verranno sequestrati e tradotti nel lager di Lecce cinque ragazzi di nazionalità
algerina senza alcuna accusa.
A
quest’ultima intimidazione si risponde con il volantino Il
giorno dei cristalli nel quale si denunciano i modi e la finalità di tutta
l’operazione al quale la Questura si sentirà in dovere di controbattere dalle
pagine dei quotidiani locali.
In
questi mesi abbiamo comunque cercato un posto migliore e così a fine giugno ci
siamo trasferiti presso l’ex seminario dei padri Sacramentini nel vicino
comune di Casier anch’esso con una giunta di sinistra.
Da
allora il numero degli occupanti è aumentato da 50 a 100 persone circa
comprendendo in larga parte algerini e centroafricani.
La
situazione igienico-sanitaria è abbastanza soddisfacente anche grazie alla
presenza di luce, acqua, e del servizio di nettezza urbana, ma nonostante
questo, ed al fatto che la situazione sia tranquilla, ogni tanto appaiono
appelli all’ordine pubblico da parte del sindaco o di altri consiglieri
comunali che hanno molti interessi nella costruzione di alloggi per immigrati
nel loro territorio.
Non
saremmo obiettivi però se non parlassimo anche dei problemi e degli errori da
noi commessi in questo anno, che si riferiscono in particolar modo al fatto di
non essere riusciti a legare le lotte degli immigrati in un contesto più ampio,
che travalicasse il problema abitativo e si congiungesse alle lotte degli
italiani.
Molto rimane ancora da fare, anche in vista della scadenza dell’undici novembre, ultima data utile per presentare le richieste di regolarizzazione in seno alla legge Bossi-Fini.
Internazionale
Precaria, Treviso 2002