Note
sulla questione antirazzista
risposta
dei compagni (Precari nati) di Bologna al documento della FAS
Abbiamo
letto con interesse il documento dei compagni della FAS, Federazione Anarchica
Siciliana, riguardo alle problematiche rispetto all’immigrazione, cercheremo
con queste note di esporre il nostro punto di vista rispondendo ad alcune
considerazioni che ci trovano distanti dai compagni della FAS. Per chi volesse
comunque leggere la valutazione che Precari Nati. da del fenomeno
dell’immigrazione, e in special modo nel bolognese, lo rimandiamo
all’articolo: Proletari erranti, note sull’immigrazione a Bologna, comparso sul
n.7 di Precari Nati.
I
compagni della FAS giustamente individuano un processo di ristrutturazione
interna nella politica delle forze dell’ordine nel controllare i
“clandestini”, dividendo e quindi diminuendo gli spazi di visibilità di
queste comunità recluse.
Tale
manovra crediamo che sia scaturita più che dalla pressione del movimento, che
rimane più che altro una forza d’opinione, dalla potenzialità extralegale
che un raggruppamento di proletari “clandesitini” pone attualmente alla
società e alle forze dell’ordine. Lo stesso fenomeno si è visto non tanto
tempo fa nello smembramento dei settori carcerari classici, scaturito dal
pericolo delle rivolte interne agli istituti penitenziari
Gli
immigrati clandestini, in quanto esercito industriale di riserva, non possono
far valere la loro forza nelle sfera economica, attaccando la produzione, ma
riversandosi sul territorio, dando vita a fenomeni di rivolte sociali
extralegali (non vi sono altre vie per questo settore di classe), utilizzando la
loro precisa “concentrazione” e collocazione urbana. Tuttavia tali
manifestazioni, molto comuni in paesi come gli USA, la Francia, la GB, non
sortiscono di per se una prospettiva rivoluzionaria. Non perchè mancanti di una
illuminata guida, che non crediamo sia mai la discriminante per un movimento
sociale, ma a causa della loro stessa composizione sociale e del loro ruolo
nella società. La spinta di questo settore può toccare generalmente solo il
livello della circolazione della merce e mai quello della produzione. Ora, un
attacco che parta da questo segmento, risulta monco e perdente in partenza,
visto che non sfiora i gangli vitali del sistema di produzione capitalista. Vi
è inoltre una difficile “socializzazione” della lotta, che si tramuta
spesso in una guerra tra bande, o più semplicemente tra comunità linguistiche
e di colore della pelle. Manca comunque il referente principale su cui riversare
l’attacco. Con questo ribadiamo la nostra estrema attenzione a tutti i
fenomeni di extralegalità che questo settore manifesta, in quanto arrecano dei
danni al sistema capitalista e al tempo stesso possono essere di stimolo per
altri settori di classe.
Rispetto
al livello repressivo che i compagni della FAS denunciano, non riscontriamo
questa emergenza: la società capitalista si difende e deve in varie forme
fomentare la controrivoluzione, dal carcere, all’inquadramento sul lavoro...
Lo stesso vale per il controllo sui militanti rivoluzionari, spesso siamo troppo
imbevuti di pregiudizi “democratici” e ci lasciamo sedurre da una del tutto
virtuale sfera dei diritti,
per renderci conto che tale configurazione del potere non è che la
risultante dei rapporti di forza tra le classi, ed è la migliore maschera
ideologica del dominio del capitale, in sintesi, quando si parla di democrazia,
si ignorano i legami esistenti tra la sfera economica e quella politica. In
paesi dove gli immigrati non sono rinchiusi nei “centri di accoglienza”
vengono immediatamente spinti dentro un carcere dopo essersi rifiutati di
lavorare come animali...
La
critica che fate al salario sociale è corretta ma al quanto limitata, tale
proposta se si prende seriamente in considerazione è una delle varianti dello
Stato Sociale, modello che in questa precisa fase è stato superato da
condizioni oggettive del sistema capitalista1. Se prendiamo le
valutazioni dei settori della PostAutonomia che parlano di Salario di
Cittadinanza Universale, possiamo riscontrare due prospettive:
Una
mininalista: se il movimento di classe porta come rivendicazione un salario
sociale universale, non si capisce perchè non possa parlare direttamente di
attacco contro il sistema di produzione capitalista e di comunismo libertario.
Una
massimalista: il gioco a chi la spara più alta è l’attività preferita da
alcuni settori del movimento, in quanto nella pratica, si arriverebbe a
richiedere e rivendicare allo Stato un maggiore ruolo a sinistra, andando così
a fomentare paradossalmente un maggiore protezionismo economico, che ovviamente
riguarda anche il controllo dei flussi migratori.
Tutto
questo non accorgendosi che già ora il proletariato, e in special modo quello
legato alle fasce immigrate, si prende pezzi di salario indiretto, non pagando i
trasporti, occupando le case, lottando per il salario dentro le aziende. Sono
proprio questi settori che inevitabilmente se acutizzano lo scontro, aprono un
solco tra il movimento autonomo di classe e le organizzazioni ufficiali di
sinistra. Queste battaglie sono un vero e proprio programma di classe, che trova
le sue forme di organizzazione nella lotta. Questo programma non è iscrivibile
a nessun programma di un qualsiasi gruppo politico ma appartiene alla stessa
classe proletaria. Saper cogliere questa sfumatura
è imprescindibile per un gruppo che si vuole dotare di una prospettiva
rivoluzionaria di più ampio respiro
Vi
è inoltre un altro dato da tenere in considerazione, gli immigrati in quanto
soggetto sociale a sé non esistono, e giustamente i compagni della FAS,
osservano l’immigrazione interna in Italia. Riportando con estrema correttezza
che le condizioni di vita di un lavoratore immigrato extracomunitario e di un
lavoratore immigrato italiano non sono così diverse per quanto riguarda le
condizioni di lavoro e sociali complessive. Vi è mai capitato di incontrare dei
giovani operai baresi a Budrio (prov di Bologna) dopo l’uscita da una fonderia
della zona, e rimanere sorpresi dall’analogia di problematiche che si trovano
ad affrontare se confrontati con un gruppo di giovani camerunensi che lavorano
sulle catene di montaggio della Ducati Motor di Bologna.
Per
quanto riguarda i disoccupati il problema è più complesso.
Si
è restii a considerare il problema della disoccupazione come esercito
industriale di riserva e come elemento fondante di questa società.
L’accumulazione del capitale si riproduce su scala allargata: più capitalisti
(o più grossi capitalisti) e conseguentemente più salariati perché
l’accumulazione del capitale è
l’aumento del proletariato. Ma con il progresso delle macchine (e il
relativo incremento della quantità di lavoro) sono necessari sempre meno operai
per produrre la medesima quantità di prodotti e si determina in alcune zone del
pianeta una diminuzione della classe operaia. Vi è quindi un soprannumero di
operai rispetto all’ampliarsi del capitale. Questa componente operaia è il
cosiddetto esercito industriale di riserva, che in questa fase viene pagato al
di sotto del valore del lavoro, viene impiegato irregolarmente o è abbandonato
alla miseria. Questo esercito di riserva è necessario al capitale in quanto
infrange la forza degli operai occupati regolarmente e permette di tenere i
salari bassi: “Quanto è maggiore è la
ricchezza sociale...tanto maggiore è la sovrappopolazione relativa ossia
l’esercito industriale di riserva. Ma quanto maggiore sarà questo esercito di
riserva in proporzione all’esercito operaio attivo (occupato regolarmente),
tantopiù in massa si consoliderà la sovrappopolazione, ossia gli strati operai
la cui miseria sta in rapporto inverso con il tormento del loro lavoro. Quanto
maggiore infine lo strato dei lazzari della classe operaia e l’esercito
industriale di riserva, tanto maggiore il pauperismo ufficiale. Questa è la
legge assoluta dell’accumulazione capitalista”k.Marx
Tale
fenomeno è proprio di questa società e solo in una sua piena trasformazione
avremo le chiavi per risolvere il problema.
Lo
stesso vale per i flussi migratori, se da un lato come abbiamo visto queste
fasce di proletari non occupati sono un arma di ricatto dei padroni,
dall’altra sono forza lavoro necessaria per tutta una serie di settori nei
quali il proletariato autoctono non vuole, a causa delle condizioni disumane,
lavorare. E’ interessante osservare la composizione dei braccianti agricoli
legati alla raccolta della frutta e della verdura in meridione, bacino per molti
lavoratori immigrati, lo stesso discorso vale per le fabbriche pesanti al nord.
Attenzione non parliamo di proletariato svogliato, ma di un preciso calcolo che
fa, rispetto a quello che gli viene in tasca, se inserito in settori dove la
paga è scarsa e il lavoro massacrante.
A
questo si lega la criminalità che per noi non è un demone, ma una delle
varianti possibili di vita del proletariato. E’ ora di farla finita di
assumere un punto di vista legalista, i criminali esistono perchè i padroni li
creano. In molti dei nostri materiali di propaganda cerchiamo di mettere in
evidenza che la maggiore violenza è quella che i proletari si subiscono quando
devono cercare di procurarsi reddito. Non ci si deve stupire che questa società
si scandalizzi di più per un furto che per una morte per il lavoro...
La
parte finale del documento è secondo noi la più debole, in quanto è zeppa di
buoni propositi, ma di deludenti prospettive.
I
compagni parlano del pericolo dell’integrazione e del rispetto delle culture e
dei popoli (ma esistono i popoli?). Le culture, le religioni, sono prodotti di
questa società che a tutte le longitudini del globo si basa sullo sfruttamento
dell’uomo sull’uomo, l’ignorarlo significa ricadere ancora nel mito della
democrazia e dei diritti (Bakunin sappiamo abbandono tale piano per aderire alla
I Internazionale).
Che
questa società fagocita ogni cosa, non è un bene, come non è un male, è un
meccanismo proprio interno. Tale contraddizione interna viene utilizzata di
volta in volta dai capitalisti, per meglio assecondare il proprio potere. La
classe non ha nulla da spartire con le cosiddette culture di popolo, anzi deve
sforzarsi di essere una comunità attiva dotata di propri bisogni e
rivendicazioni, in quanto lo è già ora in potenza a causa dell’estensione e
del grado di interrelazione del capitale a livello mondiale. Su un piano minimo
non neghiamo le differenze, ma queste devono essere utilizzate con cautela: in
una lotta la comunità di immigrati può avvalersi di forme di autodifesa
importanti, ma è evidente che tale struttura si riversa immediatamente contro i
settori proletari di tale comunità quando inizia ad agire in maniera autonoma.
Non è negare che esiste una stratificazione di classe differente rispetto
all’inquadramento nell’organizzazione del lavoro e nei diversi settori, anzi
su questo piano il movimento è profondamente in ritardo, ma cogliere le spinte
in avanti della comunità proletaria.
In conclusione ribadiamo il nostro invito perchè i gruppi di rivoluzionari interagiscono con queste fette di proletari, ma non si facciano assorbire dalla melassa socialdemocratica, sappiano legare le manifestazioni di conflitto che produce questo segmento e favorire ponti con altri settori di classe. La proposta della sinistra, estremo buonismo e quieto vivere, così come la durezza della destra, sono solo chiavi di lettura ideologiche di due rispettivi campi borghesi. L’immigrazione, la disoccupazione esisteranno sempre finchè esiterà il sistema di produzione capitalista.
2001
Precari
Nati
Note
1
Stato sociale contro la crisi, crisi dello stato sociale. Precari nati n.5