APPUNTI SUL PRESENTE

La crisi

 

L’enorme massa di capitali posti all’interno della finanza sono l’emblema della difficoltà del capitale di reggere sul livello produttivo. La spinta speculativa è la chiave di lettura dell’attuale fase. Tale forma è l’emblema del ruolo parassitario del capitale e della sua necessaria abolizione da parte della classe lavoratrice. Il capitalismo invece di guadagnare e accumulare poco producendo molto e facendo consumare molto, guadagna e accumula enormemente producendo poco e soddisfacendo male il consumo sociale. A questo si lega una sempre più accelerata divisione di classe, in un capitalismo che per sopravvivere deve accrescere i margini di sfruttamento sulla forza lavoro.

 

L’organizzazione del lavoro sul modello industriale sta assorbendo sempre più settori, imponendo i suoi ritmi e la sua alienazione. Il cosiddetto modello industriale è il paradigma socio-organizzativo del capitalismo moderno imposto alla classe lavoratrice. Accanto a questo fenomeno vi è una sempre più accellerata rincorsa verso le metropoli per le fasce proletarie. Le aree produttive si raccolgono in base a distretti produttivi specifici, localizzate sul territorio a rete. Un tale fenomeno investe l’Italia così come i paesi maggiormente sviluppati. Vi è quindi una interconnesione tra le varie componenti del lavoro, questo processo è provocato dalla stessa organizzazione del lavoro. Accanto a questo vi è l’estensione numerica della classe operaia a livello mondiale, scenario nuovo nella storia del capitalismo.

 

Lo Stato si modella confrontandosi con una sempre più spinta dimensione metropolitana e affina le forme di controllo e prevenzione, non attraverso una spinta autoritaria, ma sfruttando al massimo la ristrutturazione produttiva, la nuova composizione di classe (il mettere in concorrenza i proletari extracomunitari con quelli non). Se il tempo di produzione capitalista abbisogna di tempi più veloci lo Stato deve prendere questo tempo nell’esecuzione delle sue funzioni. Questo non toglie che il carcere, la polizia rimangono uno dei pilastri per il controllo e la prevenzione sociale.

 

Se il capitalismo è sempre stato globale, in quanto sistema espansivo, mai come ora lo sviluppo del sistema di produzione capitalista ha investito tutto il pianeta e pone la lotta di classe su un piano immediatamente internazionale.

Sul piano della politica internazionale gli USA presentano al loro interno i primi sintomi di questa crisi, che si lega ad una ancor più accelerata instabilità delle metropoli e una ripresa della lotta dei lavoratori, che hanno imposto al sindacato una linea più combattiva, o la nuova emergenza data dal proletariato nero e ispanico statunitense. Sul piano internazionale il blocco europeo si presenta come il miglior contendente sullo scenario mondiale all’impero USA, anche se ora la alleanza di capitali americani-europei nasconde le reciproche preoccupazioni rispetto alla magmatica e infinita Asia.

 

I due paradigmi dell’attuale sistema di produzione capitalista sono una flessibilità produttiva e una relativa precarietà contrattuale e sociale per la classe lavoratrice. Ora il capitalismo pur scomponendo la produzione, accelera i processi di concentrazione finanziaria e di ramificazione produttiva, cosa che rende la classe operaia unificata a livello mondiale. La flessibilità produttiva rende paradossalmente più precario il capitalismo, e più vulnerabile rispetto ad un attacco mirato della classe. In questo senso è di estremo interesse studiare i flussi produttivi per intervenire efficacemente in una lotta. Ci consola poco vedere le manifestazioni che si fanno contro gli Organismi Multinazionali da Seattle a Nizza se sul piano reale del capitale, l’azienda terreno dove si autoalimenta, e il territorio dove si abita non si è capaci di offrire uno straccio di strumento per l’azione. La sovra-determinazione di questi organismi nello sviluppo del capitale, non può essere presa a fenomeno di comprensione generale dello sviluppo capitalista, che intreccia lo sviluppo caotico del mercato alla programmazione dello sfruttamento e dell’utilizzo della scienza in funzione antioperaia, per aumentatare i margini di profitto. Lo sviluppo degli O.M. è un processo -naturale- del capitale, e come tale deve essere studiato e capito. Il capitalismo è un rapporto sociale, al cui interno agiscono vari soggetti. Non vi è stabilità nel capitale. Gli OM sono di fatto i controllori di queste spinte centrifughe del capitalismo, ma un tale fenomeno non può essere regolato, assumono quindi un ruolo immediatamente poliziesco e repressivo nei confronti della classe proletaria rivoluzionaria.

Se è vero che le mastodontiche cattedrali industriali negli USA e in Europa sono state smantellate, vi è una notevole capacità operativa del settore industriale nel ramificarsi per distretti e sfruttare al massimo la dimensione metropolitana. Il lavoro fra infrastrutture e aziende, che si conosce in Veneto e nella sempre più emergente Emilia va in questa direzione. In Italia la -fabbrica- ha subito  una forte ristrutturazione, tuttavia rimane un settore chiave per lo sviluppo dell’autonomia proletaria. Fabbrica qui non salamente intesa come luogo, ma come classe che esprime precisi interessi materiali, prodotti dal rapporto produttivo: classe-capitale, al tempo stesso fabbrica come sviluppo del sistema industriale che ingloba con i suoi tempi e spazi sempre più settori di lavoro.

La contrattualistica precaria introdotta per assecondare la flessibilità produttiva e per diminuire le spese per le aziende, agisce come una arma per ricattare gli operai, crea tuttavia una schiera di nuovi operai non avvezzi alla mitologia aziendale produttivista. I soggetti sociali che maggiormente vivono questa pauperizzazione accelerata sono i settori proletari di recente immigrazione o di bassa scolarizzazione, tuttavia il sempre meno lento disintegrarsi del “ceto medio” porta sempre più settori di lavoratori a scontrarsi con la politica fogocitatoria del capitale. Prende vita una porzione sociale espulsa dalla società del “benessere”, che perde una propria rappresentanza politica e sindacale. Non è slegato da questo parlare della rincorsa dei partiti ufficiali parlamentari al centro, che si traduce in pratica non tanto in politiche moderate (i tagli e l’abbassamento del livello di vita delle fasce operaie non possiamo ritenerle moderate) ma nell’acquisire come soggetto sociale di riferimento: la piccola- borghesia. In questo senso la forbice che si apre è nettissima, rispetto alle speranze che possono offrire le formazioni di sinistra rispetto ai segmenti proletari. Non polemizziamo sul mancato -verbalismo- in senso operaio e proletario delle formazioni parlamentari, ma constatiamo la loro incapacità di offrire una possibile situazione a questa sempre più inesorabile ascesa della crisi e polarizzazione sociale.

 

Si aprono spazi, in questo contesto, per l’ipotesi rivoluzionaria ?

 

La rivoluzione unica possibilità storica in senso materiale in mano al proletariato, per mettere fine alla sua condizione di schiavitù, non nasce dall’idea illuminata di qualche gruppo rivoluzionario, ma dalla già accennata separazione sociale che si viene a creare e dalla risposta proletaria nella lotta di classe generale attraverso forme di potere sul territorio.

In questo senso con il subentrare di un periodo di crisi del sistema di produzione capitalista, il padronato lo Stato diminuiscono le possibili donazioni, e mostrano un altro volto: controllo, miseria, intensificazione dei ritmi di lavoro, guerre.

Tutto questo ha bisogno di un soggetto che muove guerra alla società, e come detto precedentemente, non è appannaggio dei gruppi politici, ma questo “esercito” è la stessa classe operaia e proletaria, che vista rompersi il legame con la società può solo sviluppare azioni antisociali che inevitabilmente cozzano con il sistema di produzione capitalista. Classe che pur ammettendo la sua dimensione generale e collettiva, possiede al suo interno delle fasce che ne rappresentano le avanguardie. Tali avanguardie non sono ancora gruppi o sindacati, ma sono porzioni di classe che per la loro situazione sono spinti maggiormente nell’azione. All’interno di queste porzioni si struttura la frazione comunista del proletariato.

 

In questo spazio si colloca l’ipotesi comunista, di un comunismo ben inteso con altri contenuti, forme e classi sociali di quello che ha contraddistinto le esperienze del socialismo reale.. Non si deve conquistare l’economia del capitale ma distruggerla, in tale modo si svilupperanno forme di organizzazione sociale diverse da quelle precedenti, vista l’impossibilità di mantenere un tale modello. Arrivare a questo stadio, non sarà immediato, ne sarà semplice. I passaggi come spesso si è visto nella storia possono essere repentini, ma seguiti da un lento periodo di incubazione. Rimane comunque determinante in questa fase osservare come vi sia un lento ma continuo immagazinamento di questo esercito proletario rivoluzionario, e che sia lo stesso Capitale a stimolarne l’azione. La necessità quindi del comunismo si può leggere rispetto al progressivo imbarbarimento del pianeta, dovuto dalla crisi del capitale e nella spinta autonoma proletaria.

 

Le organizzazioni sindacali hanno smesso ormai da diverso tempo di essere strutture riformiste tese allo sviluppo del capitale: sono divenute anche esse capitale. Vedi in proposito la battaglia che si sta giocando rispetto ai fondi pensione e come tali strutture diventeranno colossi economici come sono già divenuti in altri Stati.

Le correnti rosse o l’arcipelago del sindacalismo di base-cobas cercano di opporsi a questo processo, tuttavia rimangono inbrigliate dalla stessa forma sindacale. Molto spesso la loro attività è fornire piattaforme rivendicative più dure, o forme organizzative sindacali meno burocratiche. Gli sbocchi di questa strategia non tocca minimamente lo sviluppo dell’autonomia operaia. Si riduce a scontro con le strutture burocratiche e capitaliste del sindacato, dove l’obiettivo è il controllo di piccole fette di potere all’interno della struttura sindacale (per le correnti rosse della triplice) oppure nelle RSU (per il sindacalismo di base).

 

Mentre il padronato manifesta il suo potere le strutture della sinistra sindacale lottano al ribasso per difendere quel poco che c’è, subordinando la loro azione al Capitale.

I contratti, le leggi vengono con molta rapidità scavalcati dal padronato. L’essere subordinati dalla politica del capitale vuol dire non porre l’accento sul piano del potere e di come questo venga manifestato a senso unico dal padronato. Riacquisire la capacità di offensiva, vuol dire osservare lo sviluppo dell’autonomia operaia nelle aziende e sul territorio, attraverso lotte che rompono il patto sociale. Ora tale pratica va ben al di la della singola collocazione dei lavoratori all’interno delle strutture sindacali. Tale salto non è da leggersi puramente in chiave formalistico, ma è la capacita di superare la divisione tra piano economico e politico. Lo sviluppo dell’autonomia proletaria e operaia sta nelle lotte e forme di contropotere sul territorio, e cozza inevitabilmente con lo schema del sindacalismo (difesa del piano legale, produttivismo, meritocrazia economica ecc..). Se i lavoratori per infrangere il muro padronale devono necessariamente dare vita a momenti di lotta dura, la struttura sindacale viene necessariamente ad essere una barriera da superare.

 

Nell’analizzare la crisi-modificazione del sindacato, non si può non mettere in evidenza come anche la mutazione della composizione di classe influisca in questo senso.

 

Avere ben chiaro cosa sono le strutture sindacali attuali, non significa fare del facile settarismo, ma capire anche le spinte autonome, quelle che esistono, che partono da settori del sindacato. Rimane comunque fuori discussione l’interesse che si pone all’azione autonoma dei lavoratori anche sindacalizzati, visto che è nell’azione che il proletariato acquisisce coscienza di sé e della sua storia. La critica va indirizzata quindi verso chi pensa di utilizzare tali forme per lo sviluppo dell’autonomia operaia, riducendo lo scontro di classe e il dispiegarsi dell’autonomia a passaggi burocratici e politici di precise correnti politiche, è all’occhio di tutti la triste involuzione dei cobas...

 

Già i CdF (Consigli di fabbrica) rappresentavano uno strumento di recupero da parte del capitale e delle organizzazioni riformiste (allora esistenti) rispetto alla spinta dell’autonomia operaia all’interno delle aziende e del territorio.

Il feticcio della rappresentanza nascondeva uno strumento in mano ai sindacati per riuscire a far avvallare in modo indolore la linea politica del padronato. Anche di fronte alla bocciatura di numerosi contratti avvenuti in molteplici posti di lavoro sanciti dai diversi Consigli di Fabbrica, questa volontà veniva scavalcata sul piano nazionale dal sindacato.

Attualmente con le RSU e la loro manifesta -blindatura- molti problemi rispetto alla ambiguità dei CdF non si pone più. E’ chiaro come queste strutture rappresentano un articolazione del sindacato per controllare maggiormente i lavoratori. Il sindacato oltre ad agire come agente economico indipendente agisce come area di manovra di determinate aree politiche, sia nella raccolta di fondi sia nella campagna elettorale. I presunti spazi all’interno di queste strutture, se vi sono, sono sempre vincolati da un sistema legislativo apertamente concertativo. Chi si batte per una ripresa dalla sinistra all’interno delle RSU nasconde per vie legali l’incapacità della classe di manifestare la sua forza e autonomia contro il capitale e ben più grave fa coincidere la lotta di classe a lotta di correnti, è fuorviante impostare battaglie contro il riformismo se si riduce a confronto tra programmi. Come già menzionato l’autonomia operaia è piano di rottura di classe proprio perchè è programma vissuto e diretto dalla stesso proletariato in lotta.

In una fase come questa è molto più utile interessarsi di tutti quei conflitti o manifestazioni che vanno al di là della compatibilità legale (assenteismo, mutue collettive, sabotaggi), o vedere all’interno degli scioperi la collettività operaia che si crea, indipendentemente dalla strutture sindacali che la controllano, per indicare la forza in potenza della classe, la stessa cosa vale per le forme d’azione proletaria sul territorio (occupazioni,autoriduzioni). Dove non vi è da parte della classe una spinta verso l’autonomia operaia vi è per forza integrazione accelerata e subalternità alla politica del capitale. Nel breve periodo può spaventare i compagni il diminuire degli spazi di rappresentanza, ma noi insistiamo sulla capacità e necessità del proletariato di darsi proprie forme. Questa forme si concretizzano all’interno dell’autonomia operaia, quando la classe riesce a manifestare la propria capacità d’azione. Scorciatoie non esistono, rispetto al dispiegarsi dell’autonomia operaia, e ci appare stupido scambiare un pan-sindacalismo duro con lo sviluppo dell’autonomia operaia.

Sulla destra montante...

Dopo che i governi di sinistra hanno traghettato l’Italia e permesso una riconversione obbligata per il capitale dello stato sociale, con l’aumentare della polarizzazione sociale l’argine che poteva garantire la sinistra contro le manifestazioni di lotta della classe non basta più, è per questo che prende vita e viene dato sempre maggior spazio ad una politica populista di destra con annesso l’arcipelago dell’estrema destra pronta alla manovalanza contro l’attacco portato dai proletari rivoluzionari.

Bisogna comunque smarcarsi da una ipotesi frontista che vede unità tra le formazioni di sinistra con i settori rivoluzionari dei lavoratori. Muoversi per battere le destre è un ipotesi fuorviante. Così come è servita al padronato la sinistra ora gli viene utile la destra. Insistere sull’antifascismo in molti casi è ripermettere alla sinistra riformista di ridarsi una legittimità nello scontro di classe. Per noi antifascismo vuol dire intensificare e dare maggior spazio all’attacco contro l’organizzazione del lavoro (lotte per la sicurezza, i ritmi, contro la produttività e le qualifiche) e nella società ( occupazioni di case, autoriduzioni). Se riusciremo a dare contenuto a queste lotte e manifestazioni di classe, e al tempo stesso offrire maggiori strumenti alla classe noi avremo colpito molto più efficacemente i fascisti che a una manifestazione con relativa sfilata.

Il panorama politico delle destre è molto vasto, va dalla cosiddetta nuova destra AN alle appendici leghiste fino alle formazioni militanti FN, Fiamma tricolore-MSI, Fronte Nazionale, ecc... Tuttavia non bisogna cadere nell’errore di credere che vi sia un blocco omogeneo, così come la campagna ideologica dell’anticomunismo sia una feroce trovata vincente della destre. Il perchè è perdente sui settori operai non è tanto perchè gli operai sono istintivamente comunisti, queste cazzate le lasciamo a qualche gruppino populista di sinistra, ma per l’estremo vuoto che esprime il contenitore destra nel termine anticomunismo, nasconde le scappatoie di un elaborazione prettamente ideologica che si deve arrampicare per trovare un collante in uno schieramento che vede al vertice delle formazioni una novella gioventù di imprenditori populisti e in molti casi dichiaratamente fascisti, ma una base ovviamente “popolare” che subisce una accelerazione della pressione economica, e che richiederà ben altro che tagliare i baffi a Stalin (e così per molti versi è sempre stato: le pagnotte degli americani e la rete ecclesiastica erano un viatico al procacciamento di cibo e sicurezza, prima di essere una fede e un muro contro il terribile comunismo).

Per molti versi la stessa compagna contro gli immigrati, può rivelarsi un tremendo autogol, anche se in questo senso non ad appannaggio della sinistra, anch’essa parte integrante del ceto economico che regge il paese. Queste fasce sociali sono oltre che le prime ad assaporare i golosi frutti del capitalismo della metropoli (lavoro abitazione), sono le più sottoposte alla pressione della propaganda borghese, che mette in relazione il proletariato di colore con il malavitoso (è significativo rileggersi passi delle descrizioni degli operai di Parigi nel 1848, sulle barricate, dove per la cosiddetta società civile francese dell’epoca gli operai erano canaglie che vivevano in modo promiscuo, e che erano portatori di violenza, un altro parallelismo evidente è la fetta della classe operaia bianca immigrata negli anni 30 e la classe operai nera negli anni 60-70 in USA). Ora una tale campagna accelera l’inquietudine e la rabbia, e crediamo che vi siano molte possibilità che questa si cementifichi con fette di classe operaia bianca, quando vi è un processo di centrifuga, attraverso la vita nelle aziende, l’evoluzione dei conflitti all’interno. La strada non è a senso unico, ma le possibilità vi sono.

 Precari Nati 2001