Dopo
il marxismo, Marx
Il
Manifesto dopo 150 anni
di Paul Mattick
Dubito che esista ancora qualcuno che creda nella fine della storia, un quarto d'ora per Francis Fukujama è un periodo di tempo molto breve, ma risulta difficile negare che il marxismo, come dottrina e come programma politico o piuttosto come insieme di dottrine e di relativi programmi, sia giunto alla sua fine.
In
tal senso il Marxismo è stata la correlazione teorica tra ciò che amo definire
Sinistra Storica, i partiti dei lavoratori, i sindacati e le sette radicali che
si sono cristallizzati al di fuori dei movimenti dei lavoratori del
diciannovesimo secolo e dei primi anni del nostro secolo. Mentre queste tre
forme di organizzazione naturalmente esistono tuttora, i partiti politici
con un certo peso hanno abbandonato da tempo il socialismo, il sindacalismo non
solo non rappresenta una azione radicale ma batte in ritirata ovunque, le sette
poi vivono una realtà virtuale nei siti poco visitati di Internet. In tal senso
tutta la Sinistra, per quanto riguarda tutti gli obiettivi concreti, è finita a
partire dalla seconda guerra mondiale. La trasformazione della stessa Unione
Sovietica, identificata per lungo tempo con il Marxismo e non come parte
dell'ideologia capitalista e le cui vestigia erano nei cuori e nelle menti dei
"progressisti" di ogni parte, in un capitalismo gangsteristico è
solamente l'esempio più spettacolare di questa evoluzione.
Con
la sua scomparsa la Sinistra Storica si è portata con se il Marxismo come
visione del mondo, come teoria della storia, come guida o come giustificazione
della strategia politica e delle tattiche ed ha lasciato un residuo teorico, un
fantasma del suo passato che è stato relegato nelle accademie. Esiste una
storia dell'arte Marxista (o marxizzante), una critica letteraria,
l'antropologia ed infine (o soprattutto) una economia marxista. L' unica parte
della teoria che è venuta a mancare, in maniera piuttosto sorprendente, è
quella a cui Marx ha dedicato l' impegno maggiore: la critica dell'economia
politica. Uno
sguardo su volumi usciti recentemente come Marxism in the Postmodern
Age o Whither Marxism?
ci permette di scoprire che non esiste un solo saggio su quest'argomento
che al massimo viene appena menzionato. Anche gli adepti dell' "Economia
Marxista" per la maggior parte utilizzano adattamenti degli approcci alle
procedure teoriche di Marx che siano accettabili da un punto di vista
accademico. Allo stesso modo non esiste una discussione sull'obiettivo su cui
Marx aveva impostato la sua critica nel trattare il comunismo, in base al quale
egli considerava
il comunismo come l'abolizione contemporanea del lavoro salariato e dello stato.
Eppure, niente meno che un osservatorio di tendenza per gente di cultura media
come The New Yorker si è dimostrato adatto per inneggiare a Marx come
"il Nuovo Pensatore". Che questa predizione sia o meno accurata, il
150° anniversario della pubblicazione del Manifesto Comunista fornisce una
buona occasione per prendere in considerazione l'importanza di Marx nella
situazione attuale e nel futuro.
Per
essere precisi, il Manifesto dovrebbe essere attribuito congiuntamente a Marx e
ad Engels, qualsiasi divergenza successiva sorta tra di loro rispetto a
questioni come la dialettica della natura o l'elevazione del
"Marxismo" a dottrina totalizzante, il Manifesto mostra la stimolante
fusione prodotta dalla amicizia politica, intellettuale e personale del Zweimännerpartei
nel decennio del 1840. In particolare, come ha sostenuto in maniera valida
Richard Hunt, ad Engels dovrebbe essere attribuita l'idea, storicamente
concreta, dello stato moderno come
un "comitato per la gestione degli affari comuni di tutta la
borghesia", che appare nel loro lavoro comune, prendendo il posto del
concetto più astratto dello stato che si può ritrovare negli scritti
precedenti di Marx .
Il
Manifesto rappresenta un tentativo per applicare una concezione generale della
trasformazione sociale moderna per la comprensione di una situazione specifica,
l'Europa in generale ed in particolare la Germania alla vigilia del 1848. Una
successiva pubblicazione nel 1872 in Germania sulla scia della Comune di Parigi,
fu l'occasione per una nuova prefazione nella quale gli autori scrissero che il
programma politico del documento, come le sue analisi sulla situazione politica,
erano "superate". Per questi motivi essi giudicavano "il
Manifesto un documento storico che crediamo di non avere il diritto di
cambiare". Tuttavia ritenevano che "i principi generali esposti nel
documento sono completamente corretti oggi e per sempre".
I centoventicinque anni che sono passati da allora hanno forse messo in
discussione i principi generali?
Forse,
la debolezza teorica più consistente del Manifesto sta nella mancanza di
sviluppo della teoria economica, le crisi periodiche sono causate dalla
sovrapproduzione, che poteva essere superata dalla distruzione delle forze
produttive e dall'espansione del mercato.
Da
una parte, mentre Marx aveva dedicato un'intera vita di lavoro per sviluppare la
critica dell'economia politica, cosicché le crisi venivano considerate
prevalentemente relative alla dinamica dell'estrazione e dell'accumulazione del
plusvalore, egli non ha mai smesso di sottolineare la centralità delle crisi
nel determinare le spinte rivoluzionarie. Per Marx la coscienza è insita nella
pratica sociale. Così, i movimenti rivoluzionari non vengono prodotti dai
pensatori, comunque grandi, ma dalla pressione delle circostanze sulle masse di
individui le attività dei quali vengono radicalmente mutate dalla
trasformazione della vita sociale.
Una delle argomentazioni principali del Manifesto è l'affermazione che "la nostra epoca, l'epoca della borghesia, possiede [...] una caratteristica che la contraddistingue: sono stati semplificati gli antagonismi di classe", che portano ad un conflitto tra due grandi classi.
Marx
ed Engels credevano che lo sviluppo del capitalismo stava eliminando tutti i
raggruppamenti di classe precedenti l'epoca moderna non identificabili con il
lavoro salariato o col capitale, spingendo all'interno del proletariato gli
strati intermedi, come bottegai, artigiani, contadini. Allo stesso tempo,
venivano eliminate le distinzioni all'interno della classe operaia, come la
nazionalità, il sesso ed il reddito. Qui è interessante confrontare nuovamente
questa immagine che Marx elaborò negli ultimi anni. Una esperienza maggiore
aveva reso chiaro che l'impoverimento relativo che Marx aveva previsto non
implicava un impoverimento assoluto della classe operaia nel suo insieme. Mentre
Marx non riuscì mai a scrivere il libro sul lavoro salariato previsto dopo il
Capitale, la sua tesi successiva aveva dato uno spazio adeguato alla sfera dei
salari e delle condizioni che differenziavano i vari gruppi di lavoratori, e
l'importanza che egli (ed Engels) aveva dato nei suoi commenti giornalistici e
politici sullo sciovinismo anti-irlandese dei lavoratori inglesi, e sulle
tendenze razziali contro i neri degli irlandesi in America, dimostrano il suo
realismo sui limiti che presenta l'unità del proletariato.
Guardando indietro, possiamo osservare l'erroneità nella dichiarazione del Manifesto secondo la quale il capitalismo "ha sostituito il puro, spudorato, diretto e brutale sfruttamento" con le forme di sfruttamento più moderne "nascoste dalle illusioni religiose e politiche" in modo da permettere "nessun tipo di legame tra uomo ed uomo [...] se non l'inesorabile "pagamento in contanti" (487). Da una parte, persistono le vecchie illusioni: il capitalismo non ha, contrariamente alle affermazioni di Marx ed Engels, "soffocato il trasporto divino del fervore religioso" ed "il sentimentalismo filisteo, con il freddo calcolo egoistico" (487), ma, al contrario, ha trovato il modo di combinare le due cose.
Ancora
più importante, anche se spesso poco conosciuto, è che il capitalismo ha
prodotto nuovi tipi di illusione, come Marx stesso stava dimostrando in
dettaglio nel Capitale, l'economia ha fornito la più importante delle coperture
ideologiche della realtà borghese, così lo sfruttamento stesso, per esempio,
viene definito come approviggionamento di "lavoro", per es. di lavoro
salariato, a favore dei diversi dipendenti. L'emergere dell'economia come
principale ideologia dell'epoca moderna (con altre importanti strutture
ideologiche, come l'arte, comunemente considerata in contrasto con essa)
rappresenta nel mondo della filosofia l'equivalente della centralità del
"pagamento in contanti" nelle relazioni sociali di oggi.
Per fare un esempio importante, è
profondamente vero che "le differenze d'età, di sesso non hanno più
alcuna validità sociale determinata per la classe lavoratrice" (491)
l'integrazione delle donne nella forza lavoro procede incessantemente in tutto
il mondo accompagnata dalla richiesta di coscienza.
Mentre si può rimanere colpiti leggendo, nella parte dedicata ai
"valori della famiglia", l'affermazione in cui "la borghesia ha
estirpato dalla famiglia il suo carattere sentimentale", alla realtà della
quale danno una risposta gli slogan conservatori, è l'attuale inutilità
dell'ideale propagandistico.
Con dei genitori segregati negli ospizi e nei condomini assolati, bambini
abbandonati di fronte agli spettacoli commerciali da genitori che lavorano
continuamente, i single condannati alla povertà ed al disprezzo, la vita
familiare di oggi, nonostante le frasi raffinate dei politici e degli esperti,
invece è dominata dal "rapporto monetario".
Di
conseguenza la descrizione del capitalismo nel Manifesto era considerata come la
descrizione di una tendenza, e come tale così accurata che spesso sembra essere
un commento di ciò che accade oggi. La "globalizzazione" potrebbe
diventare lo slogan di oggi, ma nel 1848 Marx ed Engels avevano descritto come
"la borghesia, attraverso lo sfruttamento del mercato mondiale, ha fornito
un carattere cosmopolita alla produzione ed al consumo in ogni paese" che
si estende anche con la formazione di una "letteratura mondiale" dalle
letterature nazionali e locali (488). Essi hanno scritto sull'urbanizzazione e
sull'agglomerazione delle popolazioni in grandi centri, sulla formazione delle
multinazionali, sulla accelerazione continua dei cambiamenti tecnologici.
Se la "riforma del Welfare" è diventata una delle manie più
recenti dei governi, questa conferma in un nuovo modo, la previsione del
Manifesto che il capitale non non può sfruttare economicamente la totalità
della forza lavoro, in esso viene affermato che la borghesia "è incapace
di governare poiché non è in grado di garantire un'esistenza al suo schiavo
all'interno della sua schiavitù, in quanto non può garantirgli di cadere in
questo stato, poiché dovrebbe alimentarlo, invece di essere alimentata da
lui" (495-96).