Matériaux pour un lexique de Marx: Armée

Louis Janover – Maximilien Rubel

in «économies et Sociétés», Cahiers de l’ismea

Série S (Etudes de Marxologie), n. 21-22

Tome xv, n. 6-7, juin-juillet 1981

 

Il problema della violenza militare occupa nell’opera di Marx un posto assai meno considerevole che in quella del suo amico e collaboratore Engels, che se ne è fatto una specialità. Tuttavia, come fondatore della concezione materialistica della storia, Marx ha influenzato indirettamente le vedute teoriche dell’Engels «stratega», che, in cambio, gli ha fornito numerosi contributi per le sue corrispondenze inviate al «New York Daily Tribune» (per esempio, durante la Guerra di Crimea). Avendo adottato come «filo conduttore» delle sue ricerche lo studio critico dell’economia politica, Marx ha creduto di cogliere la natura, cioè l’«anatomia», non soltanto della società civile ma anche di quella militare. Nel suo campo di osservazione, il concetto di forze produttive assume un’importanza tanto maggiore in quanto fornisce all’osservatore e all’analisi il criterio fondamentale dello sviluppo dei fenomeni militari. È il caso di certi Paesi la cui storia testimonia della stretta interdipendenza della struttura sociale e di quella militare: «Il feudalesimo non fu affatto portato bello e pronto dalla Germania, ma ebbe origine, durante la conquista stessa, da parte dei conquistatori nell’organizzazione militare dell’esercito, e questa si sviluppò in vero e proprio feudalesimo soltanto dopo la conquista, sotto l’effetto delle forze produttive incontrate nei paesi conquistati. Fino a che punto questa forma fosse condizionata dalle forze produttive è dimostrato dai falliti tentativi di imporre altre forme derivate da reminiscenze dell’antichità romana (Carlo Magno ecc.)». (Marx-Engels, L’ideologia tedesca, 1845-’46, mew, III, p. 64 sgg. [Opere complete, vol. IV, Editori Riuniti, Roma, 1972, p. 71])

Inversamente, le modificazioni e i progressi dell’arte militare reagiscono sulla struttura sociale degli eserciti.

«Nella produzione gli uomini non entrano solamente in rapporto con la natura. Essi non producono che cooperando in una maniera determinata e scambiando le loro attività. Per produrre, entrano in relazioni e in rapporti determinati gli uni con gli altri, ed è solo nel quadro di queste relazioni e di questi rapporti sociali che si stabilisce il loro rapporto con la natura, altrimenti detto produzione.

A seconda del carattere dei mezzi di produzione, i rapporti sociali che i produttori intrattengono tra di loro, le condizioni nelle quali essi scambiano le loro attività e partecipano al processo totale della produzione saranno naturalmente del tutto differenti. Con la scoperta di un nuovo ordigno bellico, l’arma da fuoco, tutta l’organizzazione interna dell’esercito è stata necessariamente modificata; le condizioni nelle quali gli individui costituiscono – e possono agire come – un esercito si sono trovate trasformate, e i rapporti dei diversi eserciti tra loro sono stati ugualmente cambiati.» (1849, mew, VI, pp. 407 sgg.)

Sempre riguardo ai rapporti sociali nell’epoca feudale: «[...] non bisogna mai dimenticare: 1º che in una fase determinata questi rapporti rivestono all’interno della loro sfera un carattere materiale, come è attestato, per esempio, dall’evoluzione dei rapporti di proprietà fondiari a partire da rapporti di subordinazione puramente militari; ma che 2º i rapporti materiali in cui si perdono, avendo essi stessi un carattere limitato, determinato dalla natura, appaiono come rapporti personali, mentre, nel mondo moderno, i rapporti personali si presentano come una semplice emanazione dei rapporti di produzione e di scambio». (K. Marx, Grundrisse, 1857, Principes, Pléiade, II, p. 218)

In altre epoche, l’esercito adempie funzioni di forza produttiva, come nell’antica Roma.

«Presso i Romani, l’esercito rappresentava una massa – già separata dal resto del popolo – disciplinata dal lavoro, il cui surplus di tempo apparteneva allo stato; essa vendeva tutto il proprio tempo di lavoro allo Stato e scambiava la propria forza-lavoro contro un salario necessario alla conservazione della propria vita, così come fa il lavoratore con il capitalista. Era l’epoca in cui l’esercito romano non era più formato da cittadini ma da mercenari. Per i soldati si trattava dunque proprio della vendita libera del lavoro. Ma lo Stato non acquistava questo lavoro in vista della produzione di valore. È per questo che, benché la forma del salario sembri esistere dall’origine degli eserciti, questa istituzione mercenaria differisce essenzialmente dal lavoro salariato. La rassomiglianza viene dal fatto che lo Stato impiega l’esercito per accrescere la propria potenza e ricchezza.» (K. Marx, Grundrisse, 1857, Principes, Pléiade, II, p. 428)

In una strategia di lotta di classe in periodo post e pre rivoluzionario, come dopo la sconfitta della rivoluzione del 1848 in Germania, la parola d’ordine del «popolo in armi» rimane attuale e urgente. Prima del marzo 1848, una delle rivendicazioni del Partito Comunista tedesco era stata: «4) Armamento generale del popolo. Le armate sono in avvenire, nello stesso tempo, armate di lavoratori, così che l’esercito non si limiti a consumare, come prima, ma produca ancor più dell’ammontare dei suoi costi di mantenimento: è questo, inoltre, un mezzo per l’organizzazione del lavoro.» (Rivendicazioni del Partito Comunista in Germania, 1848, mew, V, p. 3 [cit. nella “Presentazione” di Bruno Maffi a Marx-Engels, Il Quarantotto. La «Neue Rheinische Zeitung», trad. it. di B. Maffi, La Nuova Italia, Firenze, 1970, p. XI])

In un periodo di reazione, allorché la democrazia borghese rischia di crollare a scapito degli interessi della classe operaia, come fu il caso in Germania dopo il 1849, Marx ed Engels prevedono il ritorno imminente di un proletariato «in armi»: «Ma, per potersi opporre energicamente e pericolosamente a quel partito il cui tradimento verso gli operai comincerà fin dalla prima ora della vittoria, gli operai devono essere armati e organizzati. Bisogna ottenere immediatamente l’armamento di tutti i proletari con fucili, cannoni e munizioni; occorre opporsi al reinsediamento delle vecchie guardie civiche dirette contro di loro. Laddove questo reinsediamento non può essere impedito, gli operai devono cercare di organizzarsi in guardia proletaria autonoma, con un capo e il suo Stato Maggiore eletti da loro stessi, e agli ordini non del potere pubblico, ma dei consigli municipali rivoluzionari ottenuti dagli operai. Laddove gli operai, lavorano per contro dello Stato, occorre che realizzino il loro armamento e la loro organizzazione in un corpo speciale con capi di loro scelta e in distaccamenti della guardia proletaria. Non si deve, sotto nessun pretesto, privarsi delle armi e delle munizioni; ogni tentativo di disarmo deve, se necessario, essere impedito con la forza. Annichilire l’influenza dei democratici borghesi sugli operai, realizzare immediatamente l’organizzazione autonoma e armata degli operai, ostacolare il dominio, per il momento inevitabile, della democrazia borghese, intralciandola e compromettendola, ecco i punti principali che il proletariato e, in seguito, la Lega devono costantemente avere sotto gli occhi durante e dopo l’insurrezione imminente». (1850, mew, VII, p. 250)

Un dettaglio storico illustra il fatto che la moneta, «categoria» economica «semplice», è un fenomeno al tempo stesso antico e moderno.

«Nell’Impero romano al suo apogeo, l’imposta in natura e le prestazioni in natura sono rimaste fondamentali. La moneta propriamente detta si è completamente sviluppata solo nell’esercito. Essa non ha tuttavia mai dominato totalmente il lavoro.» (1857, “Introduction” inédite, Grundrisse)

È lo stesso per il salario: «La storia dell’esercito illustra meglio di qualsiasi cosa la giustezza della nostra concezione del legame tra le forze produttive e le condizioni sociali. L’esercito, in generale, ha una grande importanza per lo sviluppo economico. Il salario, per esempio, è stato completamente sviluppato innanzitutto negli eserciti. Tutta la storia delle forme della società borghese vi si riassume in maniera sorprendente». (Lettera di Marx a Engels, 25 settembre 1857)

Lungi dall’essere un pacifista incondizionato, Marx fa entrare la guerra – e dunque gli eserciti – nel calcolo delle prospettive del movimento rivoluzionario. La «Neue Rheinische Zeitung» (1848-’49) faceva mostra di un «bellicismo» esagerato nei confronti della Russia zarista, della quale Marx ed Engels denunciavano l’influenza politica su di una Germania in lotta per la propria unità. Nel 1867, Marx si leverà contro il movimento pacifista lanciato da degli intellettuali tra cui figurava Victor Hugo.

La Lega della Pace e della Libertà, fondata nel 1857, aveva tenuto a Ginevra il suo primo congresso subito dopo quello dell’ait, svoltosi a Losanna dal 2 all’8 settembre dello stesso anno. Il 13 agosto, Marx di fronte al Consiglio Generale aveva parlato a lungo di questa Lega e proposto una risoluzione che vietava ai delegati del Consiglio di partecipare, a titolo ufficiale, al Congresso di Ginevra. Nel suo discorso, Marx aveva dichiarato che «il Congresso dell’ait era già in quanto tale un congresso della pace, poiché l’unione della classe operaia dei diversi Paesi doveva in fin dei conti rendere impossibili le guerre tra nazioni». Aveva parlato inoltre del militarismo e degli eserciti permanenti, «risultato necessario dello stato attuale della società», mantenuti non per combattere delle guerre, ma per domare gli operai. Aveva affrontato poi gli «apologeti della pace a tutti i costi» che «desidererebbero lasciare la sola Russia in possesso dei mezzi adatti per condurre una guerra contro il resto dell’Europa», quando «la sola esistenza di una potenza quale la Russia sarebbe una ragione sufficiente per lasciar sussistere i loro eserciti» (cfr. mew, XVI, p. 529 sgg.). Questo atteggiamento bellicista di Marx ed Engels di fronte allo zarismo è una delle costanti della loro azione politica.

Nel Capitale, studiando la storia dell’espropriazione della popolazione rurale, Marx ha prestato un’attenzione tutta particolare all’Inghilterra e al fenomeno conosciuto sotto il nome di enclosures: la riduzione dei piccoli proprietari alla condizione di braccianti e salariati. Citando Appiano, evoca i conflitti sociali dell’antica Roma :

«“I ricchi, occupata la maggior parte della terra indivisa e resi sicuri col passar del tempo che nessuno più l’avrebbe loro tolta, quante altre piccole proprietà di poveri erano loro vicine o le compravano con la persuasione o le prendevano con la forza, sì da coltivare estesi latifondi al posto di semplici poderi. Essi vi impiegavano, nei lavori dei campi e nel pascolo, degli schiavi, dato che i liberi sarebbero stati distolti per il servizio militare dalle fatiche della terra. D’altro canto il capitale rappresentato da questa mano d’opera arrecava loro molto guadagno per la prolificità degli schiavi, che si moltiplicavano senza pericoli, stante la loro esclusione dalla milizia. In tal modo i ricchi continuavano a diventarlo sempre più e gli schiavi aumentavano per le campagne, mentre la scarsità e la mancanza di popolazione affliggevano gli Italici, rovinati dalla povertà, dalle imposte e dal servizio militare. Se per caso avevano un po’ di respiro dalla milizia, si trovavano disoccupati, poiché la terra era posseduta dai ricchi, che impiegavano a coltivarla lavoratori schiavi anziché liberi” (Appiano, Bellorum Civilium, lib. I, 7). Questo passo si riferisce all’epoca precedente le Leggi Licinie-Sestie. Il servizio militare, che tanto affrettò la rovina del plebeo romano, fu anche uno dei mezzi principali con cui Carlo Magno promosse artificialmente la trasformazione dei liberi coltivatori tedeschi in contadini obbligati e servi della gleba». (1867, Economie, I, p. 1183 [K. Marx, Il Capitale, Libro primo, Utet, Torino, 1974, p. 912])

La riflessione di Marx sul ruolo dell’esercito francese sotto il Secondo Impero basterebbero a riempire un piccolo volume. Per gli scopi di questo lessico, limiteremo la nostra scelta a degli estratti imperniati essenzialmente sul colpo di Stato del 2 dicembre 1851, il «18 Brumaio di Luigi Bonaparte».

«Reazione dei contadini [...] contro le altre classi della nazione», della «campagna contro la città», l’elezione di Luigi Bonaparte alla presidenza fu ben accolta dall’esercito, deluso dalla Repubblica borghese, e dai proletari e dai piccoli borghesi, che si vendicavano così del loro boia Cavaignac.

«Il periodo che va dal 20 dicembre 1848 sino allo scioglimento della Costituente nel maggio 1849, abbraccia la storia della caduta dei repubblicani borghesi. Dopo aver fondato una repubblica per la borghesia, sbarazzato il terreno dal proletariato rivoluzionario e ridotto temporaneamente al silenzio la piccola borghesia democratica, essi stessi vengono messi in un canto dalla massa della borghesia, che a buon diritto mette questa repubblica sotto sequestro, come sua proprietà.» (K. Marx, Il 18 brumaio di Luigi Bonaparte, Einaudi, Torino, 1976, p. 196)

Essendo stato schiacciato il proletariato rivoluzionario, restavano soli faccia a faccia la borghesia, rappresentata dal partito dell’Ordine e i «piccoli borghesi democratici», raggruppati nella «Montagna». Il conflitto non poteva risolversi che nelle strade, e il partito dell’Ordine fece in modo di aizzare la Montagna contro l’Assemblea nazionale, offrendo così alle truppe di Changarnier l’occasione di spezzare legalmente con la forza, il 13 giugno 1849, una manifestazione di guardie nazionali democratiche; in seguito a ciò, la parte radicale della piccola borghesia fu messa fuori legge; da allora era aperta la via al principe-presidente.

«La dimostrazione del 13 giugno era stata anzitutto una dimostrazione delle guardie nazionali democratiche. È vero che esse avevano opposto all’esercito non le loro armi, ma le loro uniformi; ma proprio in quell’uniforme stava il talismano. L’esercito si convinse che quell’uniforme era uno straccio di lana come tutti gli altri. L’incanto era rotto. Nelle giornate di giugno 1848 borghesia e piccola borghesia, come Guardia nazionale, si erano unite con l’esercito contro il proletariato; il 13 giugno 1949 la borghesia fece disperdere dall’esercito la Guardia nazionale piccolo-borghese; il 2 dicembre 1851 scomparve anche la Guardia nazionale della borghesia, e Bonaparte, quando più tardi ne firmò il decreto di scioglimento, non fece altro che prender atto del fatto compiuto. Così la borghesia aveva spezzato essa stessa la sua ultima arma contro l’esercito, e l’aveva dovuta spezzare a partire dal momento in cui la piccola borghesia, invece di continuare ad essere sottomessa come un vassallo, si era levata contro di essa in atteggiamento di ribellione. Allo stesso modo la borghesia, dal momento che essa stessa era diventata assolutista, doveva spezzare con le proprie mani, in generale, tutti i suoi mezzi di difesa contro l’assolutismo.» (K. Marx, Il 18 brumaio di Luigi Bonaparte, Einaudi, Torino, 1976, p. 224)

Luigi Bonaparte aveva organizzato i sottoproletari parigini in sezioni segrete, sotto la copertura di una società di beneficenza, la Società del 10 dicembre, che rappresentava «in forma di massa gli interessi da lui personalmente perseguiti»; egli aveva riconosciuto «in questo rifiuto, in questa feccia, in questa schiuma di tutte le classi [...] la sola classe su cui egli può appoggiare senza riserve»:

«La Società del 10 dicembre doveva restare l’esercito personale privato di Bonaparte fino a quando non gli fosse riuscito di trasformare l’esercito regolare in una Società del 10 dicembre». (K. Marx, Il 18 brumaio di Luigi Bonaparte, Einaudi, Torino, 1976, p. 247)

Dopo aver dichiarato che «conformemente alle disposizioni espresse dalla Costituzione, il presidente, solo, dispone dell’esercito», Luigi Bonaparte ottenne dal partito dell’Ordine la destituzione di Changarnier, che si trovava alla testa dell’esercito, togliendo così il suo ultimo appoggio all’Assemblea nazionale.

«Respingendo l’esercito che si era posto a sua disposizione nella persona di Changarnier e ponendolo in modo così irrevocabile nelle mani del presidente, il partito dell’ordine dichiarava che la borghesia aveva perduto la missione di comandare. Non esisteva più un ministero parlamentare; avendo perduto ora anche la possibilità di disporre dell’esercito e della Guardia nazionale, quale altro mezzo di azione gli rimaneva per difendere in pari tempo il potere strappato dal Parlamento al popolo e il proprio potere costituzionale contro il presidente? Nessuno. Gli rimaneva ancora l’appello a principî privi di potenza, che esso stesso aveva sempre considerati soltanto come regole generali che si prescrivono agli altri per potersi muovere tanto più liberamente. Con la destituzione di Changarnier, con l’attribuzione del potere militare a Bonaparte, si chiude la prima parte del periodo che stiamo considerando, del periodo della lotta tra il partito dell’ordine e il potere esecutivo.» (Ibid., pp. 259-60)

«[...] appariva in modo incontrovertibile che mancava ormai soltanto una cosa per rendere completa la vera immagine di questa repubblica: rendere permanenti le vacanze del Parlamento e sostituire al motto della repubblica: Liberté, égalité, fraternité, le parole di significato non equivoco: Fanteria, cavalleria, artiglieria.» (Ibid., p. 225)

«Se il potere esecutivo con la sua proposta di ristabilire il suffragio universale, faceva appello dall’Assemblea nazionale al popolo, il potere legislativo, con la sua legge dei questori faceva appello dal popolo all’esercito. Questa legge dei questori tendeva a stabilire il diritto dell’Assemblea di requisire direttamente la truppa, di formare esercito parlamentare. Se in questo modo il potere legislativo faceva dell’esercito l’arbitro tra se stesso e il popolo, tra se stesso e Bonaparte, se riconosceva l’esercito quale potere decisivo dello Stato, era costretto d’altra parte a confermare che da un pezzo aveva rinunciato alla pretesa di comandare l’esercito stesso. Nel momento in cui, invece di requisire senz’altro le truppe, esso discuteva il diritto di requisirle, tradiva i dubbi sulla propria forza. Respingendo la legge dei questori, l’Assemblea confessò apertamente la propria impotenza. La legge venne respinta con una minoranza di 108 voti: la Montagna aveva dunque deciso dell’esito della votazione. Essa si trovava nella situazione dell’asino di Buridano, ma non tra due mucchi di fieno e dovendo decidere quale fosse il più appetitoso, bensì tra due sacchi di legnate e dovendo decidere quale fosse il più duro. Da un lato la paura di Changarnier, dall’altro la paura di Bonaparte. Si deve riconoscere che la situazione non aveva niente di eroico.» (Ibid., pp. 289-90)

«Il punto culminante delle “idees napoléoniennes” è, finalmente, la preponderanza dell’esercito. L’esercito era il point d’honneur del piccolo contadino: era il piccolo contadino stesso trasformato in eroe, che difendeva la nuova forma di proprietà contro lo straniero, esaltava la sua nazione da poco conquistata, saccheggiava il mondo e vi portava la rivoluzione. L’uniforme militare era la sua pubblica divisa; la guerra la sua poesia; la patria era il piccolo appezzamento prolungato e arrotondato dalla fantasia; il patriottismo era la forma ideale del sentimento di proprietà. Ma i nemici contro cui il contadino francese deve difendere oggi la sua proprietà non sono più i cosacchi; sono gli huissiers [ufficiali giudiziari] e gli agenti delle imposte. Il piccolo appezzamento di terreno non si trova più nella cosiddetta patria, ma nel registro delle ipoteche. L’esercito stesso non è più il fiore della gioventù contadina; è l’infiorescenza di palude del sottoproletariato agricolo. Esso si compone in gran parte di remplaçants, di sostituti, che prendono il posto di altri, così come il secondo Bonaparte è anche lui soltanto un remplaçant, un surrogato di Napoleone. Le sue azioni eroiche consistono ora nelle cacce e nelle battute contro i contadini, nel servizio di gendarmeria; e se le contraddizioni interne del suo sistema spingeranno il capo della Società del 10 dicembre al di là dei confini della Francia, dopo aver compiuto alcuni atti di banditismo, l’esercito non raccoglierà allori, ma legnate.» (Ibid., pp. 311-12)

Il ruolo dell’esercito francese sotto il Secondo Impero fu seguito attentamente da Marx durante la crisi del 1858, dopo l’attentato di Orsini, la cui conseguenza immediata fu l’instaurazione del terrore militare. L’analogia storica suggerisce al cronista di caratterizzare questo tipo di dominio come «regime dei pretoriani».

In un articolo pubblicato sul «New York Daily Tribune» del 22 febbraio 1858, Marx dichiara che l’«antagonismo tra l’esercito e la popolazione è organizzato come una garanzia di “Pubblica Sicurezza” o meglio ancora: di “Sicurezza degli eroi del Satory e della sua dinastia”». Che ne è del principio del ruolo dominante della classe possidente nella società borghese? L’esercito può essere considerato come una classe sociale? Certamente no, ma quali sono di fatto i rapporti dell’esercito e della classe dominante?

«Sono certo classi differenti quelle che hanno regnato sotto l’Impero, la Restaurazione, Luigi Filippo e sotto la Repubblica del 1848. Sotto il primo, predominava il contadiname, frutto della Rivoluzione del 1789; sotto la seconda, la grossa proprietà fondiaria; sotto il terzo, la borghesia; e nell’ultima, non in conformità alle intenzioni dei suoi fondatori, ma di fatto, si espresse un tentativo prematuro di dividere il potere in parti eguali tra gli uomini della monarchia legittima e gli uomini della Monarchia di luglio. Però, tutti questi regimi si appoggiavano allo stesso modo sull’esercito. La Costituzione della Repubblica del 1848 non è stata essa stessa elaborata e proclamata sotto lo stato d’assedio, altrimenti detto regno della sciabola? Quella Repubblica non era personificata dal generale Cavignac? Non è stata salvata dall’esercito nel giugno 1848, poi di nuovo nel giugno 1849, per essere infine abbandonata da questo esercito nel 1851? Quindi, qual è la novità del regime che Luigi Bonaparte inaugura? È il fatto che regna mediante l’esercito? Tutti i suoi predecessori hanno regnato così dopo le giornate di Termidoro. Tuttavia, se nel passato la classe dominante, la cui potenza corrispondeva a uno sviluppo specifico della società francese, poggiava in ultima istanza sull’esercito contro i suoi avversari, un interesse sociale specifico predominava sempre. Sotto il Secondo Impero, ciò che predomina, è l’interesse dell’esercito che non ha più per compito di mantenere il regno di una parte della nazione sull’altra: esso è chiamato a mantenere il proprio dominio personificato con la propria dinastia sul popolo francese nel suo insieme. Deve rappresentare lo Stato nel suo antagonismo con la Società.» («New York Daily Tribune», 12 marzo 1858)

Così, senza rimettere in causa il principio fondamentale della sua teoria sociale, Marx, opponendo radicalmente l’esercito-Stato e la società, intende mostrare che la società francese e dunque il capitalismo francese non si sviluppano in conformità a delle leggi sovrastoriche, ma secondo un determinismo particolare. Essendo la struttura di classe della società francese differente da quella da lui osservata in Inghilterra, la «legge economica» dello sviluppo della società francese non poteva essere la stessa di quella della società inglese: l’esercito giocava un ruolo particolare a fianco del «fattore economico», elemento motore dello sviluppo sociale.

Nel marzo 1858, dopo la nomina di Pélissier come ambasciatore a Londra da parte di Napoleone, Marx caratterizza una volta di più il «regime pretoriano»: «Di tutte le posizioni governative, la più critica è quella di un civile alla testa di uno Stato militare dispotico [...]. Mentre il Paese s’impazientisce sotto il giogo dell’esercito, quest’ultimo ardisce a soggiogare Bonaparte. Dopo il 10 dicembre, Bonaparte poteva vantarsi di essere l’eletto della nazione francese. Dopo il tentativo del 14 gennaio, egli si sa alla mercé dell’esercito. È stato costretto ad ammettere che governa grazie a esso; è dunque naturale che l’esercito cerchi di governare per lui». («New York Daily Tribune», 15 aprile 1858)

Un anno più tardi Marx, ritornerà sul soggetto delle «orde pretoriane» di Napoleone III a proposito delle voci circa un’invasione dell’Inghilterra da parte delle truppe francesi.

«Tutte le volte che Bonaparte conclude una nuova pace, l’Inghilterra si domanda istintivamente se non sia venuto il suo turno di sopportare il cozzo. Una guerra tra la Francia e l’Inghilterra è dunque ormai solo una questione di tempo. Per paura della rivoluzione, l’Europa ufficiale ha accettato il regime di Luigi Bonaparte, ma il ricorso periodico alla guerra è la condizione vitale di questo regime.» («New York Daily Tribune», 9 dicembre 1859)

Gli articoli specificamente militari sulla Guerra di Crimea (1853-’56) destinati al «New York Daily Tribune» sono stati scritti da Engels e firmati da Marx. In compenso, quest’ultimo ha fornito al giornale americano numerose corrispondenze aventi per tema le origini e le conseguenze economiche e politiche del conflitto. Nello stesso modo, Marx ha osservato il movimento rivoluzionario in Spagna (1854) per mostrare che esso oltrepassava il quadro di un’insurrezione militare, per la partecipazione delle masse popolari (cfr. il «New York Daily Tribune» del 4 giugno 1854, mew, X, pp. 349 sgg.).

Per comprendere la Spagna contemporanea, Marx ha cercato di conoscere la Spagna rivoluzionaria del passato, soprattutto a partire dal trattato di Tilsit del 7 luglio 1807, dall’invasione francese del 1808, infine dalla guerra d’indipendenza contro l’esercito di Napoleone. In un passo della serie di articoli dati al «New York Daily Tribune» tra settembre e dicembre 1854 sulla Spagna rivoluzionaria, Marx fa notare che la «ripartizione del potere tra le diverse giunte provinciali aveva salvato la Spagna dal primo urto dell’invasione napoleonica, non solamente perché essa moltiplicava le risorse del Paese, ma anche perché poneva l’invasore nell’impossibilità di concentrare gli sforzi su di un obiettivo determinato. I francesi furono estremamente sorpresi di constatare che il centro della resistenza spagnola era ovunque e da nessuna parte. [...] L’esercito francese che, a parte le truppe comandate dal maresciallo Bessières, si era ritirato nel più grande disordine sulla linea dell’Ebro, avrebbe potuto venire disperso facilmente, se fosse stato incalzato da presso, o quantomeno costretto a ripassare la frontiera. Al contrario esso riuscì a riprendersi e a occupare una forte posizione».(Œuvres politiques, t. viii, p. 139 sgg.)

Capita che la mew attribuisca a Marx degli articoli su soggetti abitualmente riservati a Engels, quali la corrispondenza del 28 marzo 1855, apparsa come editoriale sul «New York Daily Tribune» del 14 aprile 1855: L’esercito britannico. Si tratta di una denuncia severa della condotta non soltanto dei comandanti dell’esercito in Crimea, ma anche dei servizi amministrativi e ospedalieri.

Su domanda di Marx, Engels scrisse una serie di articoli circa Gli eserciti europei per la «Putnam’s Monthly» (dall’agosto al dicembre 1855), ma Marx s’incaricò delle ricerche al British Museum (vedi la lettera di Marx del 3 luglio 1855 che ragguagliava Engels intorno all’Esercito Napoletano).

In un articolo scritto per la «Neue Oder-Zeitung», Marx dà un’idea degli effettivi militari impegnati dagli alleati contro la Russia (14 agosto 1855) e in un’altra corrispondenza inviata allo stesso giornale, fa un’autentica requisitoria contro l’utilizzazione nell’esercito inglese del «gatto a nove code», strumento di tortura che «marchia un uomo per tutta la vita» e che svolge una funzione sociale ben precisa. È lo «strumento che mantiene il carattere aristocratico dell’esercito inglese» e che garantisce ai cadetti dell’aristocrazia e della gentry tutti i posti superiori a partire dal grado di alfiere. La soppressione del «gatto a nove code» farebbe scomparire lo scarto enorme tra i soldati semplici e gli ufficiali, che divide l’esercito in due razze formalmente distinte. E nello stesso tempo l’esercito si recluterebbe nelle classi sociali più elevate che non in passato. La vecchia costituzione dell’esercito inglese ne verrebbe sconvolta da cima a fondo. Il «gatto a nove code» è il Cerbero che custodisce il tesoro dell’aristocrazia («Neue Oder-Zeitung», 31 agosto 1855, mew, XI, p. 509 sgg;, Œuvres politiques, t. viii, p. 12 sgg.).

In un articolo scritto per «The People’s Paper» dal titolo La Francia di Bonaparte il Piccolo, dopo aver mostrato i due volti del Paese – la Francia delle orge napoleoniche e quella dei deportati e dei torturati alla Cayenna e a Belle-Ile, dei soldati morenti in Crimea eccetera – Marx tratta della campagna orientale (5 aprile 1856, mew, XI, p. 596 sgg.).

Le lotte rivoluzionarie in Spagna durante l’estate 1856 – conclusione della quarta tappa della rivoluzione borghese in questo Paese – fornirono a Marx il tema per due articoli in cui troviamo delle riflessioni generali sulla vocazione rivoluzionaria dell’esercito spagnolo e sulla decadenza di Espartero («New York Daily Tribune», 8 agosto 1856, mew, XII, p. 42; 18 agosto 1856, ibid., p. 47).

Nel 1857-’58, Engels – proclamato «primo teorico militare del proletariato» dagli editori della mew, vol. XIX, p. 7 – scriveva per The New American Cyncopaedia una serie di articoli dedicati alle questioni militari, certo con l’aiuto di Marx che aveva fornito al suo amico alcuni materiali documentari e redatto lui stesso alcuni ritratti militari della Francia napoleonica: Bernadotte, Berthier, Bessières, Brune, Bugeaud eccetera. Si tratta, come dirà Engels successivamente, di «scritti alimentari», senza valore originale, per lo più composti a partire da altre enciclopedie. Alcuni articoli furono redatti congiuntamente da Engels e da Marx (Blücher, Bem eccetera). Riportiamo questa definizione di esercito di Engels:

«Esercito – l’unità organizzata che uno Stato mantiene in vista della guerra offensiva o difensiva». (The New American Cyncopaedia. A Popular Dictionary of General Knowledge, vol. I, 1859)

Resta il fatto che Marx in certi momenti della sua attività giornalistica, se non addirittura scientifica, ebbe a interessarsi di questioni militari. È però difficile stabilire con certezza quali tra le corrispondenze inviate al «New York Daily Tribune», per esempio, sono interamente o parzialmente sue. L’edizione mew attribuisce a Marx degli articoli i cui titoli figurano in un carnet ove sua moglie e lui annotavano gli invii a New York. Si possono ricordare numerosi articoli sulla rivolta dei Sepoy (reggimenti inglesi formati da indigeni): Il sollevamento nell’esercito indiano, «nydt», 15 luglio 1857; Il sollevamento in India, «nydt», 4 agosto 1857; Nuove dall’India, «nydt», 14 agosto 1857; Lo stato dell’insurrezione indiana, «nydt», 18 agosto 1857; L’insurrezione indiana, «nydt», 29 agosto 1857; L’insurrezione in India, «nydt», 15 settembre 1857; L’insurrezione indiana, «nydt», 16 settembre 1857; L’insurrezione in India, «nydt», 3 ottobre 1857; 13 ottobre 1857; 23 ottobre 1857; 14 novembre 1857.

La Comune di Parigi fu per Marx l’occasione per riaprire il discorso dell’utopia, altrimenti detta immaginazione razionale. Basandosi su di un piccolo numero di sintomi intravisti nei proclami dei combattenti entusiasti e dei sognatori avidi di umanità, egli edifica la Città della ragione umana e fa scomparire sublimandoli l’esercito, la polizia e i tribunali. Tuttavia, la condanna del militarismo e del dispotismo militare non implica l’adesione a un pacifismo incondizionato, essendo la violenza delle lotte di classe un dato costante della storia delle nazioni e dei popoli.

«Parigi, sede centrale del vecchio potere governativo, e, nello stesso tempo, fortezza sociale della classe operaia francese, era balzata in armi contro il tentativo di Thiers e dei suoi rurali di restaurare e perpetuare il vecchio potere governativo ereditato dall’Impero. Parigi poteva solamente resistere solo perché, in conseguenza dell’assedio, si era sbarazzata dell’esercito e lo aveva sostituito con una Guardia nazionale, la cui massa era costituita da operai. È questo stato di fatto che doveva, ora, essere trasformato in un’istituzione permanente. Il primo decreto della Comune, quindi, fu la soppressione dell’esercito permanente, e la sua sostituzione con il popolo in armi.

[...] In un abbozzo sommario dell’organizzazione nazionale, che la Comune non ebbe il tempo di sviluppare, è detto espressamente che la Comune doveva essere la forma politica anche del più piccolo villaggio e che nelle regioni rurali l’esercito permanente doveva essere sostituito da una milizia popolare con un periodo di servizio estremamente breve.» (La Comune, 1871, sw, I, pp. 470 sgg. [Friedrich Engels – Karl Marx, 1871. La Comune di Parigi. La guerra civile in Francia, Ed. International – La Vecchia Talpa, Savona-Napoli, 1975, pp. 133-34])