De la politique

Reflexions autour de la dissolution

de la Ligue Communiste et d’Ordre Nouveau

«Le Mouvement Communiste», Paris, n. 5, octobre 1973

 

 

«La loro intelligenza politica celava loro la radice della loro miseria sociale, falsava in loro la comprensione dei loro autentici scopi, è così che la loro intelligenza politica ingannava il loro istinto sociale». Karl Marx, 1844.

 

 

Ogni sistema sociale è allo stesso tempo una forza personale e impersonale. Se si dimentica il primo termine, la società diventa solo un’entità al di sopra di tutti i rapporti sociali; se si dimentica il secondo, non è possibile alcuna visione d’insieme, e non se ne comprende la dinamica. Inoltre, il capitale è contemporaneamente concorrenza e solidarietà, contraddizione e unità. Il suo movimento è al contempo centrifugo e centripeto. Il Libro III de Il Capitale non ha lo scopo di turare un buco per motivi di semplice coerenza scientifica: Marx vi studia il «processo d’insieme» al fine di mettere in luce questo duplice movimento. Si è detto, giustamente, che Il Capitale non era un’opera di economia, ma una critica della scienza economica come studio separato di un’attività separata. Infatti, non insiste sul livello economico se non al fine di situarlo in un insieme più vasto, di cui lo studio dello Stato e del marcato mondiale costituiva la conclusione, che Marx non ebbe né il tempo né la forza di elaborare (1). Sia per ragioni materiali sia perché non ne discerneva tutta la portata. Eppure è a partire dallo studio del capitale, e dunque del Capitale, che si può affrontare la politica, riprendendo a) l’inizio del Libro I, e b) lla sintesi parziale costituita dalle prime sezioni del Libro III. Uno stesso filo unisce l’analisi della merce con quella del processo globale del capitale.

 

Se l’Internationale Situationniste ha parlato di «società dello spettacolo», la prima sezione del Libro I fornisce gli elementi di un tema analogo, circa la nozione di rappresentazione. La questione ebraica, Per la critica della filosofia del diritto di Hegel. Introduzione, Critica del diritto statuale hegeliano, e Glosse critiche. In margine all’articolo “Il re di Prussia e la riforma sociale: osservazioni di un Prussiano” (2) avevano abbozzato questa riflessione sulla separazione e sulla politica. La merce è la forma cellulare, l’elemento di base dell’economia del capitale. Ma, in un senso più largo, il rapporto mercantile è l’archetipo del legame sociale nel mondo capitalista. Una merce si rapporta a un’altra merce solo in funzione non di ciò che è quest’altro bene ma di ciò ch’esso rappresenta, della quantità di lavoro astratto ivi cristallizzato. Poco importa il contenuto reale dell’oggetto contro il quale la merce si scambia: le interessa solo ciò di cui è il «supporto». Allo stesso modo, gli individui impegnati nello scambio si guardano senza vedersi, giacché considerano l’altro solo un mezzo per accrescere una somma di valore. Inoltre, ciascuno finisce per considerarsi lui stesso come supporto di qualcos’altro da sé: il lavoro è un mezzo per guadagnarsi la vita invece di viverla. L’attività è un mezzo per accedere ad altro rispetto al suo contenuto proprio. E questo «altro» – vedere gli amici, viaggiare, amare ecc. – tende esso stesso a comportarsi come riproduzione di un’immagine della vita, dunque come rappresentazione, imposta dal capitale. Le merci, ma anche coloro che ne sono i portatori, percorrono una galleria di specchi nei quali possono esistere solo contemplandosi.

«Reso estraneo al prodotto del suo lavoro, alla sua attività vitale, al suo essere generico, l’uomo viventa estraneo all’uomo. Quando gli si trova di fronte, è l’altro che è presente davanti a lui. Ciò che è vero circa il rapporto dell’uomo con il suo lavoro, con il prodotto del suo lavoro e con se stesso, è vero circa il suo rapporto con l’altro, così come con il lavoro e l’oggetto del lavoro altrui.

In maniera generale, la tesi secondo cui l’uomo è reso estraneo al suo essere generico significa che gli uomini sono resi estranei gli uni agli altri, e che ciascuno è reso estraneo rispetto alla specie umana» (3). Il rapporto con l’altro non importa in quanto tale, e ha per scopo l’autovalorizzazione sia reale sia simbolica. Questo movimeno si approfondisce passando dall’economia mercantile semplice all’economia mercantile capitalista, ma il fondamento permane. Quegli uomini mercificati che sono i venditori di forza-lavoro non si rapportano gli uni agli altri se non in funzione della loro valorizzazione sociale (4). Ogni merce s’interessa solo al valore di scambio delle altre merci, non al loro valore d’uso, e soprattutto considera il proprio valore d’uso, il proprio stesso essere, solo come supporto del proprio valore di scambio. Si hanno relazioni con gli altri solo per ciò ch’essi rappresentano, non per ciò sono. Negli Stati Uniti, ove Marx notava già nel secolo scorso l’indifferenza del lavoratore per il contenuto del suo lavoro, l’isolamento degli individui genera una «vita sociale» in cui il buon americano si presume appartenga a diversi clubs e associazioni, ove di volta in volta impersoni il ruolo che ci si attende da lui: buon cristiano, buon cittadino, buon padre ecc. A livello individuale, il senso degli atti gli sfugge: nulla di ciò che faccio ha un legame con la ragione per cui lo faccio. Credo di agire, ma sono agito dalla società. A livello dei gruppi sociali, una classe, agli occhi di un’altra classe, è solo il supporto della sua esistenza. Ma prima di tutto, se il valore impone la propria legge, la logica dei suoi atti sfugge alla società. Nella misura in cui l’unità è svanita, la società dev’essere riorganizzata come attività privilegiata, e persino principale. La gestione diventa il problema, e la decisione il momento privilegiato dell’azione. Siccome l’azione è divisa e spezzettata, la decisione se ne distacca e diventa il compito di un apparato, di un’istituzione specializzata. Il potere si costituisce come attività e funzione separata soltanto perché l’attività sociale è essa stessa separata. Nasce il problema del potere, nel senso stretto di questo verbo, perché gli uomini hanno perso il potere di agire e di trasformarsi. La filosofia greca, cercando un modello di società in cui l’élite si occupi di amministrare il potere, di gestire la società, teorizza e idealizza un’alienazione dolorosa, di cui tenta peraltro il superamento sul piano artistico: ma in entrambi i casi si tratta già di uno sforzo per fondare delle mediazioni perché la relazione immediata è scomparsa. Non è solo a causa delle lotte di classe che c’è bisogno di una struttura incaricata di mantenere l’unità della società. Più esattamente, la «lotta» di classe non è che un aspetto – l’elemento attivo – di una realtà più vasta. C’è contraddizione tra i gruppi sociali così come tra le attività. La logica mercantile s’impone all’equilibrio sociale. Le minacce che gravano sulla vita del Pianeta ne sono la prova, e confermano ciò che si chiama (unilateralmente) la prospettiva catastrofica del comunismo teorico. Ma il mondo antico conosceva già, seppur diversamente, questo problema, e le costruzioni politiche di Platone e Aristotele hanno essenzialmente l’obiettivo di preservare un equilibrio tra le classi, messo in pericolo dallo sviluppo della ricchezza. L’originalità dell’Africa Nera è di avere tentato di conservare a lungo, spesso fino al xix secolo, uno stato stabile tra a) i resti delle antiche comunità fondate sui legami di parentela e sulla globalità della vita sociale, e b) lo sviluppo delle attività mercantili. Il mondo nero ha limitato, seppure senza poterla impedire, lo sviluppo della politica come attività speciale di unificazione della separazione e del potere come istituzione speciale preposta a questa funzione.

«Di conseguenza, a partire pressappoco dal 1450, il problema centrale della politica imperiale sta nel bisogno di trovare un equilibrio fra gli interessi delle città – con i loro mercanti, i funzionari e il crescente interesse per l’accumulazione – e gli interessi contrari della campagna, estesamente egualitaria» (5).

 

Le prime tre sezioni del Libro III mostrano il meccanismo d’insieme del capitale. Concorrenza e centralizzazione sono i due momenti del suo movimento. Il processo attraverso il quale si stabilisce un tasso medio di profitto è anche quello attraverso cui il capitale si organizza come forza sociale, nel mentre si concentra ed elimina gli elementi meno produttivi. Marx parla di un comunismo capitalista (6). Partita dalla cellula elementare del capitalismo, l’analisi giunge alla sua regolazione generale. La dinamica è duplice. Da una parte, il capitale si unifica tanto economicamente che socialmente dandosi i mezzi per affrontare su tutti i piani sia i suoi concorrenti sia il proletariato. Dall’altra, questa unità può esistere soltanto come tendenza, sintesi sempre da rifare. Vi sono concentrazione e dispersione. Pure la politica è duplice nel mondo capitalista. Da un lato, è il capitale stesso ad assicurare sempre più l’unificazione della società. I differenti programmi sono delle varianti di un medesimo programma fondamentale. Da un altro lato, il  perdurare dei problemi del capitale fa rinascere i problemi politici, di organizzazione e riorganizzazione del capitale, anche negli Stati Uniti (7). La politica non è morta. La sua integrazione nel capitale, a causa delle contraddizioni capitaliste, non è sinonimo di scomparsa. Sarebbe altrettanto assurdo affermare il «primato della politica» che negare la realtà politica, vedendovi una semplice ideologia. Ogni teoria che parta dalla politica è sterile e sfocia in una ricerca del potere. Invece di mirare a un cambiamento, anche limitato, dei rapporti sociali si vuole organizzare gli altri in vista di un qualche fine. Questa separazione si accompagna a un’altra, interna all’individuo stesso, trasformato in militante. Si paragonino i dibattiti tra i gauchisti sulla sessualità con questa lettera di Karl a Jenny Marx: «Io mi sento di nuovo un uomo, perché provo una grande passione, e la molteplicità in cui lo studio e la cultura moderna ci impigliano, e lo scetticismo con cui necessariamente siamo portati a criticare tutte le impressioni soggettive e oggettive, sono fatti apposta per renderci tutti piccoli e deboli e lamentosi e irrisoluti. Ma l’amore non per l’uomo di Feuerbach, non per il metabolismo di Moleschott, non per il proletariato, bensì l’amore per l’amata, per te, fa dell’uomo nuovamente un uomo» (8).

Il militante crede di elevarsi al di sopra delle costrizioni sociali mentre ne è vittima a un grado ben più elevato rispetto al salariato ordinario. Infatti il militante interiorizza la lacerazione e la spoliazione costitutive dell’uomo moderno. Il militante è il cittadino compiuto. L’uomo normale assume la propria separazione politica solo nel momento in cui partecipa «attivamente» alla politica (votazioni). Il militante ne fa una regola di vita.

«Nell’individuo si mostra cos’è la legge generale: la società civile e lo Stato sono separati. Dunque il cittadino nello Stato e il cittadino come semplice membro della società civile sono egualmente separati. Bisogna dunque ch’egli operi una rottura essenziale con se stesso […]. Il cittadino deve dismettere il suo stato, lo stato civile, lo stato privato, per acquistare significato e attività politici […]» (9).

Per contro, identificando politica e capitale, si finisce in un vicolo cieco. Giacché: cos’è il capitale? Non esiste e non non può esistere un capitale universale. Chi dice capitale dice lotta; chi dice lotta dice regolazione periodica delle condizioni di questa lotta. Non si può ridurre la politica al capitale: si può solo sviluppare l’analisi della politica a partire da quella del capitale.

 

Si ottiene una veduta d’insieme del capitalismo sviluppando i diversi significati della nozione di rappresentazione. Nella rappresentazione intesa come spettacolo, lo scambio, e ancor più lo scambio capitalista, fa vivere nell’immagine della trasformazione. Anche quando si agisce, non si trasforma più. Nel senso datole da Marx all’inizio del Libro I, beni e persone lavorano solo in vista di altro dal lavoro stesso: si lavora per ciò che il lavoro rappresenta, ovvero il valore. Infine, la società mercantile può vivere solo creando una struttura di totalizzazione; non può esistere come totalità, perché le relazioni sociali che la compongono minacciano di farla esplodere. La totalità costituita dai rapporti economici (cfr. Libro III) esige, attraverso le contraddizioni che l’animano, una struttura incaricata di conservarla. È la prova di una lacerazione nel seno della società, così come l’esistenza e il relativo successo terapeutico della psicanalisi attestano la lacerazione interna all’individuo. È questo il senso della critica di Marx alla teoria hegeliana del diritto: se la società ha bisogno di un elemento che la rappresenti, per essere tale, se non basta a sé medesima, se non può essere se stessa, questa menomazione prova la sua natura profondamente contraddittoria. La società mercantile crea la propria totalità non da se stessa ma al di là di se stessa. Non che la politica sia esterna alla società: lo Stato rappresenta la società (in tutte le accezioni del verbo “rappresentare”), la simbolizza. E il senso comune non immagina neanche una società senza Stato; idem per i politici, giacché dà loro da vivere. Come scriveva «France nouvelle», settimanale centrale del pcf, il 15 maggio 1973: «Ogni Stato è fatto della fatica degli uomini, dei loro sacrifici, delle loro lotte, delle loro realizzazioni». Questo elogio poetico e interessato non deve far dimenticare la realtà dello Stato. Se la società crea lo Stato, e non l’inverso, non ne discende che lo Stato sia una illusione. La società, e innanzitutto la classe dominante, lo incarica di risolvere problemi ben reali. La separazione si costituisce in realtà, diventa essa stessa la realtà per eccellenza. La statolatria ridicolizzata da Amadeo Bordiga funziona come il feticismo della merce. Lo Stato viene visto come una cosa, un essere, e non un rapporto. Questa inversione riproduce il rovesciamento che accompagna lo scambio: si vede una creazione dove c’è una mediazione, un soggetto dove c’è un oggetto.

«Più lo Stato è potente, più un Paese è dunque politicoECC. ECC» (10).

Lo critica rivoluzionaria non disvela l’onnipotenza della politica per rinfacciargliela, bensì al contrario la sua debolezza. Vi vede una forma impotente, il cui contenuto è altrove, e che vive solo della difficoltà della società a perseverare nel suo essere. La politica non è mistificazione, non è inconsistente. Nella misura in cui si cristallizza nello Stato (vedi sotto), diventa una forza sociale, e i considerevoli mezzi di repressione a disposizione degli Stati ne attestano la realtà. Ma la tendenza ineluttabile dello Stato contemporaneo a dominare la totalità della vita, è solo una risposta alla crisi del capitale manifestatasi dopo il 1914, sia sul piano economico sia su quello sociale.

La politica non riguarda solo i politici. I politicanti fanno leva sulla tendenza intrinseca all’uomo contemporaneo, all’uomo del capitale, a cercare la verità e la soluzione della sua condizione in un altrove, al di là dei rapporti sociali. Non è per una coincidenza storica che la religione, la filosofia e la politica sono state criticate da Marx simultaneamente o, più precisamente, in un medesimo movimento critico. In ogni caso, ci si trasferisce a un altro livello: invece di trasformare la realtà, la si disloca. I politici servono solo da mediatori tra i rapporti sociali e questa realtà altra che è la regolazione delle contraddizioni. Si costituiscono come gestori della mediazione. Se la gestione operaia è conservatrice  perché fa partecipare il salariato al proprio sfruttamento, l’autogestione della politica da parte di tutti è un asservimento ben più profondo.

 

Note

 

1 Vedi il piano di Marx del 1857, in Œuvres I, Gallimard, Paris, 1963, p. 263.

2 mettere fonti.

3 Karl Marx, Manoscritti economico-filosofici del 1844, p.

4 Karl Marx, Lineamenti fondamentali della critica dell’economia politica, pp.

5 Basil Davidson, La civiltà africana, Einaudi, Torino, 1972, p. 197.

Tra crescita dello scambio e sviluppo della politica e dello Stato non si dà né parallelismo evolutivo né automatismo. Non esiste un modello universale di sviluppo lineare delle società. Oltre alla distinzione necessaria tra scambio mercantile e scambio rituale o cerimoniale, esistono società in cui lo scambio è relativamente bloccato, e che tuttavia conoscono un notevole sviluppo statale: per esempio nel modo di produzione asiatico. Ciò che è vero è che la politica si autonomizza solo se il valore si autonomizza, se lo scambio mercantile si estende.

6 Libro III: Œuvres II, cit., p. 877. Si veda anche il § 4, “La legge del valore”, in Jean Barrot, Contributo alla critica della ideologia ultrasinistra, Eizioni G.d.C., Caserta, 1973.

7 Tale questione fu affrontata nel 1967 nell’introduzione di un opuscolo di Pouvoir Ouvrier: Impérialisme et bureaucratie face aux révolutions dans le tiers-monde. Si veda anche Paul Mattick, Marx e Keynes, De Donato, Bari, 1972.

8 Karl Marx a Jenny Marx, 21 giugno 1856, in Opere complete, vol.

9 Critica del diritto statuale hegeliano, in Opere complete, cit. p.

10 Glosse critiche. In margine all’articolo “Il re di Prussia e la riforma sociale: osservazioni di un Prussiano”, cit.