Scioperi
operai, organizzazione sindacale, minoranze rivoluzionarie dalla fine degli anni
trenta alla fine della guerra negli USA
“Ora
siamo tutti come una famiglia felice. Stiamo bene e abbiamo molto da mangiare.
Abbiamo dei bravi suonatori di banjo e cantanti. Noi cantiamo e teniamo su i
ragazzi della Fischer e loro fanno lo stesso con noi”
“Sto
divertendomi molto, è qualcosa di nuovo, di diverso, un sacco di roba da
mangiare e di music”.
Alcuni
operai che raccontavano della loro esperienza di occupazione di una fabbrica di
Flint, Detroit a fine anni trenta
Il
processo organizzativo della Congress of Industrial Organizations si apre
con “il movimento dello sciopero bianco” nel ’35 e si conclude con
l’adesione al sindacato della maggiore concentrazione di operai del paese, lo
stabilimento della Ford a River Rouge a Detroit, nel ’42, che contava, nel
picco della produzione bellica, circa 90.000 lavoratori.
L’AFL
era stata sempre ostile ad organizzare i lavoratori non specializzati e anche ad
accogliere tra le sue fila i lavoratori qualificati di colore, che negli anni
trenta erano circa 50.000, ma molti altri venivano volutamente ignorati dal
sindacato.
Solo
nel sindacato dei minatori, la United Mine Workers, sotto la direzione di
J.L.Lewis, che successivamente si rifiutò di accettare la pace sociale imposta
dal governo in regime di guerra, scioperando durante il conflitto, era pressoché
assente la discriminazione razziale.
Il
sindacato dei minatori, insieme agli elementi più militanti dell’AFL e ad
alcuni organizzatori di sindacati di lavoratori afro-americani, come A.Philip
Randolph, esponente di spicco del sindacato dei pulitori dei treni e
successivamente del movimento per la marcia su Washinghton, stimolò, durante la
depressione, l’organizzazione su base industriale degli operai comuni,
formando una commissione apposita all’interno dell’AFL.
Nel
’37, questa venne espulsa dalla centrale sindacale e divenne Congress of
Industrial Organizations.
Così
James Boggs, militante operaio di Detroit,
descrive quella stagione del movimento operaio: <<Gli operai degli
stabilimenti cominciarono ad organizzarsi in maniera clandestina, come avviene
solitamente in movimenti simili prima di una grande riforma sociale: nelle
cantine, nei bar, nei garage, (…) Chi si occupava di far procedere questo
movimento erano comunisti, socialisti, wobblies, radicali di ogni tipo,
insieme a predicatori e a un nuovo strato di operai militanti. (…) Per
afferrare il significato sociale della CIO bisogna capire chiaramente che gli
operai diventavano influenti ma non avevano in mano il potere. Diventavano
influenti solo negli stabilimenti>>[1].
La
messa in discussione pratica delle condizioni di lavoro e l’organizzazione su
base industriale, e non in base al mestiere, di una classe operaia modellata dal
processo produttivo moderno, con le sue economie di scala e il suo livello
tecnologico, ebbero un impatto significativo nelle relazioni tra Capitale e
Lavoro negli USA ed aprirono una stagione di conflitti che, mutando forma, non
cessarono, ma anzi si intensificarono nel corso della seconda guerra mondiale.
È
nella fase ancora “ascendente” della stagione organizzativa
del CIO, che iniziò il tentativo di limitazione del diritto di sciopero,
intrapreso con l’accordo alla General Motors per il disciplinamento degli
scioperi selvaggi da parte della United Auto Workers, e proseguì fino
all’entrata in guerra degli Stati Uniti dopo “l’aggressione” giapponese
a Pearl Harbor il 7 Dicembre del ’41, per culminare con la costituzione del
War Labor Board.
Il
WLB era una commissione trilaterale costituita da una rappresentanza
governativa, una sindacale ed una imprenditoriale, creata per la risoluzione
pacifica dei conflitti industriali – niente scioperi dei lavoratori e niente
serrate da parte padronale – e l’ottimizzazione dello sforzo produttivo
durante lo svolgimento del conflitto.
La
legislazione antisciopero implicava la rinuncia formale alla messa in
discussione delle condizioni di lavoro e quindi l’adeguamento forzato alle
condizioni imposte dall’esigenze belliche: aumento dell’orario di lavoro non
adeguatamente ricompensato, imposizione di una disciplina militare instaurata
con l’aiuto di funzionari dell’esercito, impossibilità di cambiare
occupazione, ecc…
Il
cosìdetto “social unionism” di cui la CIO divenne portatrice
<<era semplicemente una tendenza a muovere il movimento operaio nella
direzione dell’incorporazione nelle strutture del “welfare state”.(…)Le
azioni dei leaders del CIO, Oltre alle loro necessità burocratiche di controllo
sui propri aderenti, erano anche guidate dal loro desiderio di essere
incorporate dentro la macchina statale. Sebbene questo venisse presentato come
un desiderio del movimento operaio di accedere ad una rappresentanza dei
lavoratori nelle agenzie governative, divenne presto più una rappresentanza del
governo nel movimento operaio, che non il contrario.>>[2]
Questa
politica corporativa del sindacato costituiva la base dell’attivo sostegno
allo sforzo bellico statunitense,
il seducente richiamo dell’anti-fascismo democratico portarono esponenti
spicco dell’opposizione sociale d’anteguerra a immolarsi alla causa
patriottica.
Gli
Almanac Singers, un gruppo nati nel 1941, si iniziativa di Peter Seeger, che
raccoglieva le esperienze più importanti della canzone popolare e militanate
degli States, si schierarono decisamente su questo “fronte”.
Peter Seeger cantava in Dear Mr President:
La
guerra vuol dire straordinari e prezzi alti
Ma
siamo tutti pronti a fare sacrifici
Smetterei
pure di litigare con mia suocera
C’è
bisogno anche di lei per vincere la guerra
Mentre
Buch Hawes, gli faceva eco in Uaw-Cio:
è
la Uaw e la Cio che manda avanti l’esercito
producendo
le jeeps e i carri armati
e
gli aeroplani tutti i giorni
è
la Uaw e la Cio che manda avanti l’esercito
mette
le ruote agli Usa
Anche
Woody Guthrie partì per la guerra con entusiasmo, anche se era un pacifista
convinto. Si arruolò nella marina mercantile, sulla chitarrà aveva scritto una
frase che diverrà celebre: questa macchine uccide i fascisti.
In
There’s a better world’ A-Comin’:
C’è
un mondo migliore che viene
Non
lo vedi?
Sono un
uomo del sindacato in una guerra del sindacato
E
combatto per un mondo del sindacato
C’è
un mondo migliore che viene
Non
lo vedi?
Vedo
venire un mondo migliore
Ammazzerò
la discriminazione e il razzismo
In
mare e in cielo
Vedo
venire un mondo migliore
E ti ho detto il perché
Come
ha scritto Alessandro Portelli: <<la guerra segna infatti la
definitiva subordinazione dei sindacati all’ideologia
liberale-corporativa del grande capitale americano: l’ingresso di Sidney
Hillman, dirigente del sindacato a tradizione socialista dei lavoratori
dell’abbigliamento, nella direzione dell’ente per la produzione bellica a
fianco del presidente della General Motors è il segno del compimento di questa
parabola>>[3].
Lo
scambio politico si sostanziava con l’obbligatorietà dell’iscrizione al
sindacato per accedere ad un posto di lavoro in aziende sindacalizzate, il
cosiddetto closed shop, e la maintenance of membership, cioè la
norma per cui un operaio, una volta iscrittosi al sindacato, non poteva più
uscirne fino alla scadenza del contratto collettivo con il datore di lavoro. La
quota sindacale veniva direttamente detratta dalla busta paga, indipendentemente
dalla sua intenzione di aderire al sindacato o meno.
In
questo modo i sindacati, i dirigenti sindacali si sbarazzavano anche
dell’ultimo legame che li obbligava a soddisfare la base se volevano
continuare ad incassare i contributi.
La
guerra aveva visto la formazione di una “industrial community”, come
verrà poi definita nella seconda parte dell’American Worker da Ria
Stone.
La
guerra mutò radicalmente la composizione di classe del proletariato negli USA,
con l’afflusso di molti neri e bianchi del sud, nonché di donne bianche,
generalmente con esperienze lavorative precedenti in altri settori, che si
riversavano nel cuore dell’industria americana, in particolare quella
automobilistica.
Al
fronte, come nelle retrovie, milioni di uomini e donne si trovarono in poco
tempo a svolgere occupazioni nuove per loro, e fino ad allora precluse dalla
disoccupazione o dalla discriminazione di razza e genere, a fare i conti con una
organizzazione scientifica del lavoro, e con una collettività per loro nuova,
con una vita sociale profondamente differente: <<l’esercito industriale
di riserva di diciassette milioni di disoccupati emerse(?) insieme con i milioni
occupati al banco e alla linea di montaggio e creò la più larga e potente
classe operaia industriale che il mondo avesse mai conosciuto>>
Nel
caso degli afro-americani, questo avvenne anche grazie alla spinta data dal
Movimento per la marcia su Washington, movimento che, con la minaccia di
marciare sulla capitale federale, rivendicava la fine della discriminazione
razziale nell’assunzioni[4].
Wartime
strikes, studia, anche attraverso anche il
filtro della propria esperienza diretta di quegli anni e le registrazioni di
interviste di militanti sindacali conservate nel Archivi of Labor History, WSU,
sia il movimento di opposizione alla legislazione antisciopero all’interno del
sindacato, il Rank and File Caucus, iniziato nell’estate del ’44 e uscito
formalmente perdente dallo scontro contro la linea della direzione sindacale,
sia l’incremento per tutto il periodo della guerra degli scioperi “a gatto
selvaggio”: “Nel 1941 ci sono stati più scioperi di ogni altro anno prima
del 1937 e più lavoratori coinvolti che in ogni anno dal 1919.(…)Nel 1943
c’è stato un sostanziale aumento nel numero di scioperi, con un totale di
giorni persi più che raddoppiati.(…)Nel 1944 ci fu un ulteriore incremento
del numero delle fermate che raggiunsero il livello più alto del secolo”.
Sebbene
i lavoratori, specialmente i redneck venuti dal sud, potessero essere
imbevuti di spirito patriottico e di sentimenti razzisti, e tutti in genere,
preoccupati per amici e parenti impegnati al fronte, sebbene si trovassero sotto
la martellante campagna di diffamazione mass-mediatica rispetto ad ogni loro
azione – la Detroit Free Press, nello stile di linciaggio giornalistico, era
giunta a pubblicare nomi e indirizzi dei lavoratori che scioperavano – e sotto
la minaccia del trasferimento al fronte – destino comune di molti militanti
che si opponevano alla linea sindacale – scioperarono illegalmente.
<<Per
esperienza personale, in uno dei maggiori scioperi selvaggi che fermarono la
produzione in tutti gli stabilimenti della Crysler a Detroit nel ’43, ho visto
membri del sindacato che avevano costantemente appoggiato le clausole
anti-sciopero divenire elementi attivi nei picchetti che arrestarono la
produzione negli stabilimenti>>[5]
Il
“fronte interno” degli Stati Uniti fu quello che vacillo di più, proprio
nei settori centrali, non in termini di una generica mancanza di consenso e di
una inversione di rotta dell’opinione pubblica, ma per un problema di gestione
della macchina bellica nel suo ingranaggio più delicato e fondamentale: la
classe operaia industriale e i lavoratori del settore minerario.
Successivamente solo il movimento di massa degli obiettori di coscienza, che si rifiutarono di rispondere alla chiamata di leva e le diserzioni sul campo di battaglia, durante la guerra nel Vietnam, insieme ad altri fattori di criticità, sarà in grado, non solo di incrinare, ma di far crollare, il fronte interno.
amici di Marinus Van Der Lubbe
[1]
Pagine dal block-notes di un
lavoratore negro James Bogs: la rivoluzone americana,
Jaka Book, Milano, 1958
[2] Wartime strikes, the struggle against the no-strike pledge in the UAW during the Word War II, Martin Glaberman, Bewick/ed, Detroit, 1980; vedi anche Walther Reuther, “Social Unionist”, Martin Glaberman, Monthly review nov. 1996, sul sito: www.monthlyreview.org
[3]
La canzone popolare in
america, La rivoluzione musicale di Woody Guthrie,
Alessandro Portelli, De Donato editore, 1975, Bari
[4]
Questo movimento che aveva conosciuto una
rapida espansione, fortemente osteggiato dal Communist Party,
portò Roosvelt a promulgare, il Fair Employement Practices Committee,
che teoricamente doveva porre fine alle discriminazioni nelle assunzioni.
L’industria
automobilistica aveva attirato manodopera di colore durante il primo
conflitto bellico, mentre negli anni ’10 su circa 106.000 lavoratori del
settore a Detroit, solo meno di seicento erano afro-americani.
Negli
anni trenta su circa 640.000 lavoratori, solo quasi 26.000 erano di colore,
a cui venivano affidati generalmente i lavori di pulizie o i lavoratori
nelle fonderie.
Tranne
che allo stabilimento di River Rouge della Ford, dove era concentrata la
maggioranza assoluta dei lavoratori di colore, i lavori specializzati, erano
a loro preclusi.
[5]
Back to the future. The
continuing relevance of Marx,
M.Glaberman, Seymour Faber, sul sito: www.ca.geocities.com/red_black_ca
dove è possibile trovare anche altri testi di Marty.