Sull’uso della violenza

 

Cari compagni,

l’approccio “marxista” solito è senza dubbio non rivoluzionario (intendo pseudomarxista).

La grande maggioranza della gente di estrema sinistra dichiara di condividere in pieno la necessità di una azione armata e di una guerra civile nel futuro. Per loro si tratta di un mero principio. Non si deve soltanto dire: se vuoi la pace preparati per la rivoluzione, ma anche se vuoi la rivoluzione preparati per la guerra, la guerra civile.

E’ così facile finire nel delirio che non si è mai troppo prudenti trattando questo argomento. D’altro lato la tendenza di molti gruppi politici che si rifiutano di prendere sul serio il problema va denunciata come reazionaria.

Io credo che il più delle volte i cosiddetti rivoluzionari si riferiscano alla violenza da un punto di vista puramente politico, nel senso in cui Marx ha tanto attaccato la politica: per esempio nel suo articolo del 1844 sul Re di Prussia e la riforma sociale. Il fine della politica è di cambiare il sistema di governo, non i fondamenti della società; cambiare il modo di far funzionare il sistema non il sistema stesso. Se analizziamo i gruppi della sinistra, trotskisti, maoisti o anche anarchici, noi vediamo che la loro prefigurazione di una società futura non è molto diversa da quella in cui viviamo ora. Chi porta davvero avanti il programma comunista? Chi tra di loro discute davvero dell’abolizione della produzione di consumi, dell’abolizione delle scienze economiche e dell’economia come campi separati?

Ciò che essi vogliono è un capitalismo controllato democraticamente dove i lavoratori sarebbero apparentemente i nuovi gestori… naturalmente attraverso la mediazione dei loro rappresentanti. A fatica chi è in gruppi rivoluzionari intende la rivoluzione come l’emergere di nuovi rapporti sociali, per i quali la base materiale già esiste.

Quelli che sostengono ufficialmente queste tesi, le interpretano abitualmente nel senso che un tale mutamento è possibile ora e deve cominciare ora. Questo è chiaramente un totale rifiuto della rivoluzione come si scopre nella controcultura e altrove.

Tutto questo deve risultare un po’ confusionario ma è importante realizzare che l’uso della violenza nella rivoluzione e anche prima dipende dal programma sociale della rivoluzione.

Fondamentalmente, il contenuto del movimento è quello di sempre ma la strada che percorre sarà differente. Al tempo di Marx, il proletariato aveva ancora da sviluppare le forze produttive, al giorno d’oggi deve solo trasformarle, renderle comuniste, per così dire. Ai tempi di Marx, come nel 1920, c’era ancora una importante frazione piccolo-borghese della popolazione anche in paesi come la Germania. Il partito poteva solo mostrarsi come un corpo separato, come una organizzazione formale. Il suo compito era prima di tutto sconfiggere lo Stato e il suo esercito e solo allora iniziare a trasformare la società. Ora la trasformazione comunista della società può cominciare subito ed è già parte della pura azione militare. Noi dobbiamo rendere la borghesia e lo Stato, gli organi dell’economia capitalista dei consumi, completamente inutili, distruggendo quell’economia e sostituendola con il comunismo. Dal nostro punto di vista la lotta militare include ora armi sociali che non esistevano cinquanta anni fa o che esistevano ad un livello molto inferiore.

D’altro lato, dal punto di vista del capitale, lo Stato è diventato molto più efficiente di quanto sia mai stato. Certamente conoscete “War without end” di M. Klare. Sebbene tratti soprattutto dei conflitti nelle aree sottosviluppate, fornisce utili informazioni circa la strategia dei grandi stati capitalistici che si stanno preparando per la guerra civile nel mondo avanzato (naturalmente sono comprese URSS e Cina: il tipo di reazione cinese di fronte all’insurrezione di Ceylon è stato esemplare).

Lo Stato sa ciò che le sinistre ignorano, cioè che questa trasformazione comunista è possibile ed è un concreto pericolo per la sua esistenza. Esso tenterà di isolare gli elementi rivoluzionari con l’aiuto delle organizzazioni ufficiali (sindacati, partiti comunisti, socialisti, laburisti e gran parte dei gruppi della sinistra extraparlamentare). La sua strategia consisterà probabilmente nel separare le aree rivoluzionarie le une dalle altre. La sua tattica finale prevederà la distruzione sistematica in queste aree, in modo da prevenirle da un ulteriore sviluppo del comunismo attraverso la distruzione delle sue condizioni materiali: industria, energia, trasporti, ecc…

Lo Stato non esiterà a radere al suolo queste aree se necessario, usando gli stessi metodi usati nella seconda guerra mondiale (che era imperialista da tutti i lati come la prima). Prima di raggiungere questo livello tenterà di spezzare il movimento rivoluzionario usando truppe scelte. Se consideriamo il problema da un semplice punto di vista materiale, la superiorità del capitale è schiacciante: la nostra sola speranza sta in una sovversione così generalizzata e tuttavia coerente che lo Stato sarà attaccato da noi da ogni parte. Credo però che non si possano fare quadri generali come questi. Ci sono cose da fare immediatamente. Se guardiamo ai Tupamaros o ai Baader, sembra che essi abbiano scelto la lotta armata per dare una specie di scossa alla società e anche perché non sopportavano più di usare i metodi di lotta tradizionali. Questa seconda ragione non è un errore: proprio non potevano fare altro.

Erano stufi e disgustati da questo mondo. Io non li critico per questo elemento “irrazionale”. Si deve però ammettere che questa tendenza confina con la pazzia. Non ho niente contro la pazzia. Chi viene definito pazzo è solo un individuo prodotto dalla nostra società e non adatto ad essa. Questa società elimina anche gli elementi sovversivi con il portarli alla pazzia. Ma essi hanno dato anche l’avvio alla lotta armata con il fine di far muovere il proletariato. Speravano di sollevarlo. Questa era pura illusione, tipica della politica. La mentalità politica tenta sempre di agire prima sugli altri, di organizzarli, di forzarli a fare qualcosa mentre essa si colloca al di fuori del movimento sociale.

Il nostro compito è politico solo fino al momento in cui esso si compie con la distruzione del potere politico. Il principale compito dei comunisti non è di raccogliere gli altri. Essi si autorganizzano insieme agli altri mentre si impegnano nei compiti che emergono dai loro stessi bisogni personali e sociali, immediati e teorici.

Questo è sfortunatamente espresso con una forma molto stentata. Ciò che vorrei sottolineare è che il nostro obiettivo principale non può essere l’agire sulla coscienza della gente in modo da cambiarla. C’è un’illusione nella propaganda, sia essa fatta con scritti o azioni. Noi non convinciamo nessuno. Noi possiamo solo esprimere ciò che sta andando avanti.

Non possiamo creare un movimento nella società. Noi possiamo solo agire all’interno del movimento al quale apparteniamo.

Trattando della questione militare, è valido lo stesso principio. E’ ovvio che bisogna spiegare il programma militare della rivoluzione, con scritti, opuscoli, ecc… In pratica ci sono molte cose da fare. Ma esse devono sempre mirare a qualcosa che è già sotto attacco in un modo o nell’altro, o che provoca risentimento, o che è in attiva contraddizione, per quanto piccola possa essere. Farò un esempio: se qualcuno è stato particolarmente nocivo per gli operai (un capitalista, un pezzo grosso), non ne segue necessariamente che lo si debba attaccare personalmente come se fosse un simbolo. Questo potrebbe risultare utile o dannoso a seconda della situazione. Sarebbe infantile convincersi che il proletariato capirà il significato del gesto e cambierà concordemente idea o tendenza. Questo avverrà solo nel caso in cui il proletariato sia già impegnato in qualche tipo di azione violenta. Altrimenti questo attacco finirà per rinforzare lo Stato.

D’altro lato se una minoranza organizza una azione contro l’esercito, contro un decisivo aspetto della sua funzione e del suo ruolo futuro controrivoluzionario, questo potrebbe avere un suo peso, sebbene, al momento attuale, nessuna forza sociale sembri lavorare contro l’esercito nei nostri paesi. Una attività di questo tipo aiuterà a mostrare, anche solo a poche persone, che i rivoluzionari sono già in guerra contro l’esercito. La condizione per questo sta nella nostra abilità a spiegare il significato dei nostri atti, che richiede almeno una certa capacità di comunicare. Al momento attuale noi siamo molto deboli, voi e noi. La sinistra ufficiale e l’estrema sinistra hanno il monopolio della comunicazione. Questo può essere difficile da spiegare, e io mi rendo conto che ciò che sto scrivendo è molto astratto.

Tenterò allora di esprimere il mio punto di vista da un diverso approccio.

Una della armi del capitale è che la popolazione, anche il proletariato, non immagina neppure quanto lontano lo Stato andrà con la guerra civile. Molti eventi futuri li SORPRENDERANNO. E’ estremamente utile fissare adesso gli aspetti fondamentali della futura guerra civile. Ci piacerebbe moltissimo entrare in contatto con elementi radicali (e persino “liberali”) all’interno dell’esercito. All’inizio tali azioni sembrano essere del tutto esterne allo stato attuale del movimento sociale. Ma questo non vuol dire: ci sono molti operai radicali che già si pongono la questione militare.

Io non credo che le Angry Brigade, Baader e gli altri “abbiano sbagliato”. Essi sono stati vittime di un tipo di delirio, dove la logica interna della violenza e isolamento sociale hanno partorito violenza e isolamento sociale. Io ho solo espresso punti di vista parziali. Comunque, niente di buono può essere fatto se noi non colleghiamo la nostra attività attuale con ciò che già possiamo sapere circa la rivoluzione nel futuro.

Respingo l’autodistruzione. Ogni compiacenza su questo punto è irresponsabile e criminale.

Dovete aver avuto notizie delle agitazioni sviluppatesi in Francia, sulla questione della ferma militare, nei licei e nelle università.

Potreste difficilmente immaginare l’ideologia dei gruppi trotskisti e maoisti (il partito comunista è naturalmente nazionalista, come è sempre stato dal 1934). Pochi giorni fa ho letto un opuscolo maoista che chiedeva il controllo popolare dell’esercito!. L’estrema sinistra si rifiuta di dire: fine del servizio militare, dal momento che essa crede che l’esistenza dell’esercito sia almeno un po’ più democratica e popolare di un esercito di volontari. I più radicali arrivano a dire: basta con l’esercito.

Ma nessuno ha detto una parola a proposito della guerra civile. I dettagli sono anche peggio. Questo è il motivo che ci ha indotti a scrivere un pezzo così dogmatico: almeno si stabilisce il principio che la questione militare è una parte necessaria della rivoluzione.

E’ persino divertente vedere che anche i rivoluzionari più sinceri cadano in un atteggiamento così ingenuo a questo proposito.

Vi prego di guardare a questa lettera solo come una lettera, e non come a un testo vero e proprio.

 

J. Barrot - 1974 Parigi