Un ricordo dovuto a Paul Mattick
Antonio
Pagliarone
L’analisi
marxista della società capitalista non
è
mai più necessaria di oggi in quanto il sistema
non
è mai stato tanto frainteso quanto
nelle
attuali condizioni della sua esistenza
Paul Mattick
Quando
Paul Mattick morì il 7 febbraio del 1981 nella sua casa di campagna a Cambridge
nel Massachussets non era ancora crollato il muro di Berlino. Aveva 76 anni
eppure avrebbe potuto vivere forse uno dei momenti più importanti della sua
vita. Sarebbe stato molto interessante conoscere le sue opinioni in merito ad un
evento così spettacolare ma così inaspettato dalla maggior parte degli
esponenti della sinistra. Paul Mattick è sempre stato un eretico tra gli pseudo
eretici dell’ultrasinistra, ed è stato etichettato come uno degli ultimi
esponenti della cosiddetta corrente ‘consigliare’ vista la sua
partecipazione in giovane età al movimento dei Consigli in Germania all’epoca
della nascita del KAPD (Partito comunista operaio tedesco) sorto dalla scissione
della corrente di sinistra del KPD (partito comunista tedesco) in occasione del
Congresso di Heidelberg del 1919 cui aderisce immediatamente. Fino al 1926
cercherà di sopravvivere tra un lavoro e l’altro, continuando ad essere
attivo nei movimenti più radicali della sinistra tedesca. In America Mattick si
avvicina dapprima alla comunità tedesca se non altro per il problema
linguistico che assilla tutti gli immigrati, ma alla fine degli anni 20 entra in
rapporto con gli Industrial Workers of the World , l’unica organizzazione che
si avvicina alle sue posizioni radicali, all’interno dei quali cerca di
introdurre momenti di riflessione come nel testo "Crisi mondiale e
movimento operaio" inserito nel "Programma degli IWW" a Chicago
nel 1933. Ma Paul Mattick, pur continuando a mantenere dei rapporti con i
radicali tedeschi in America e con i comunisti dei consigli olandesi che
pubblicavano Ratekorrespondenze, si rende conto di vivere nel paese dove lo
sviluppo del modo di produzione capitalistico è estremamente avanzato e di
essere immerso in un laboratorio che permette di studiare più precisamente le
dinamiche stesse del capitalismo anche grazie alla ricchezza di dati empirici.
La crisi del 1929 e le sue conseguenze spingeranno ulteriormente Paul Mattick
verso l’approfondimento dell’analisi sulla natura della crisi del sistema
capitalistico anche grazie alla pubblicazione nello stesso anno del testo di
H.Grossmann " Das Akkumulations- und Zusammenbruchsgesetz des
Kapitalistischen Systems" (La legge dell’accumulazione e del crollo del
sistema capitalista"). La teoria del crollo ‘automatico’ proposta da
Grossmann si fonda sulle critiche operate dall’autore del modello di
riproduzione del sistema capitalista che Otto Bauer aveva introdotto nel
dibattito della sinistra in Germania. Infatti, Grossmann, utilizzando la stessa
metodologia numerica proposta da Bauer, cercò di dimostrare che il modo di
produzione capitalistico non è in grado di riprodursi indefinitamente ma al
contrario esso contiene in sé gli elementi che lo portano all’inevitabile
declino. Basandosi sul modello marxiano della crisi capitalista espresso nel
Capitale, in special modo nel terzo volume, Grossmann va ad ispezionare il cuore
del processo di accumulazione capitalista ed utilizzando la formula generale
della produzione arguisce che l’incremento continuo della composizione
organica provocherà, sul lungo periodo, un lento declino del saggio medio del
profitto che porterà all’inevitabile crollo del sistema capitalista. Infatti:
" Secondo Marx, la caduta del saggio del profitto esprime il rapporto
decrescente tra il plusvalore ed il capitale complessivo anticipato,
indipendentemente dal numero di capitali in cui si scinde, o dal fatto che nella
produzione si ipotizzi l’esistenza di soltanto due sezioni" Questa tesi
otterrà un certo successo negli ambienti della sinistra consiliare tedesca ed
olandese anche se non mancheranno delle critiche, ed andrà ad intaccare il
modello proposto da Rosa Luxemburg, considerato non coerente con il modello
marxiano in quanto la natura della crisi capitalistica "non risiedeva nella
produzione del profitto bensì nella realizzazione del mercato". Infatti
per la Luxemburg la realizzazione del plusvalore doveva avvenire al di fuori del
mercato capitalistico, sul mercato allorché si realizza il profitto dalla
vendita delle merci. "Grossmann ha avuto il merito di ricondurre i
dibattiti sull’accumulazione nell’ambito dei rapporti di produzione
capitalistici e quindi di ricondurli alla trattazione marxiana della produzione
del valore e del plusvalore" . Purtroppo a parte Paul Mattick nessuno
presterà attenzione, successivamente, al lavoro di Grossmann e l’analisi
sulla natura delle crisi capitalistiche verrà concentrata nell’ambito della
realizzazione del plusvalore, nella circolazione. Le polemiche tra Lenin e la
Luxemburg, cui si inserisce in seguito Bucharin, non consentiranno un
approfondimento dello schema di Grossmann, sino agli ultimi vent’anni.
Quando
Mattick nella sua introduzione al volumetto di Grossmann afferma che:
"L’aumento
della produttività e la crescente composizione organica, la caduta tendenziale
del saggio del profitto e l’accumulazione, secondo Marx, sono soltanto
differenti aspetti dello stesso processo e, dal punto di vista teorico,
indipendenti dalle condizioni di scambio delle due grandi sezioni della
produzione che soltanto se concepite come un’unità ci danno il concetto di
capitale complessivo", tende a sfatare un altro mito creatosi in seguito,
cioè che la sola caduta tendenziale fosse l’elemento portante della teoria
marxiana mentre essa è solo uno degli aspetti generali che caratterizzano il
processo di accumulazione. Infatti contro coloro che criticavano il modello di
Grossmann giudicandolo schematico, economicista, contrapponendovi il ruolo
centrale della lotta di classe nel provocare la crisi ed il crollo, Mattick
replica citando lo stesso Grossmann: "Nessun sistema economico, per quanto
debole esso sia, crolla ‘automaticamente’; esso comunque deve venire
abbattuto".
Occorre
sottolineare però che le teorie delle crisi del capitalismo sono esplicitate
prevalentemente nel III volume del Capitale che Marx non era riuscito a
terminare definitivamente per darlo alle stampe, infatti alla sua morte fu
Engels, anche per le pressioni dei leaders socialdemocratici della II
Internazionale, che si occupò di redigere l’opera con interventi piuttosto
diffusi. Con la recente pubblicazione a cura del MEGA Institute delle opere
complete di Marx è ora disponibile il manoscritto originale del III volume e
molti studiosi hanno messo in evidenza gli interventi piuttosto esagerati di
Engels che addirittura mostrano una teoria definita delle crisi mentre dai
manoscritti risulta ancora un aspetto che Marx lascia abbastanza aperto. E’
famoso il passo nel quale si esplicita la tesi dell’ "immiserimento
crescente" divenuto, insieme alla sovrapproduzione ed alla caduta
tendenziale del saggio del profitto uno degli slogan preferiti del militantismo
marxista del secolo scorso.
Negli
anni trenta Mattick inizia ad osservare le dinamiche conseguenti
all’introduzione del New Deal da parte di Roosvelt grazie al quale le
politiche di intervento dello Stato appaiono ai più sprovveduti come
risolutorie sia dei contrasti sociali dovuti al crollo economico, grazie ai
sussidi statali, sia dei fallimenti delle imprese, grazie alle politiche del
credito garantite dallo Stato che nel frattempo provvede ad una generale
ristrutturazione del sistema bancario. Nel frattempo lo Stato si inserisce nel
sistema economico con opere pubbliche e con la rilevazione delle imprese
fallite. E’ in questo clima che vede le pubblicazioni nel 1934 la rivista
"International Council Correspondence" che non contiene solo articoli
di natura "politica" in cui si mostra la vicinanza al movimento dei
Consigli, ma anche interventi sulla natura del capitalismo. In seguito nel 1938
la rivista assumerà il titolo di "Living Marxism" fino agli inizi
della II guerra mondiale quando uscirà , nel 1942, con il titolo meno
compromettente di "New Essays" che cesserà le pubblicazioni nel 1943.
Con
la fine della guerra vengono applicate nei paesi avanzati le politiche
keynesiane già avviate nel periodo tra le due guerre e Paul Mattick inizia a
sistemare una serie di articoli scritti a partire dagli anni quaranta, nel
frattempo ha abbandonato New York nei primi anni cinquanta per ritirarsi nella
sua casa del Vermont (che si era costruito con le sue mani come mi ha riferito
Paul Mattick J. in un incontro a Milano) ma continua ad avere contatti e
rapporti con le tendenze più radicali che vanno contro corrente rispetto alla
sinistra ufficiale e l’ultrasinsitra classica. Dai gruppi più o meno piccoli
come l’OCR e l’RKD, ex trozkisti e bordighisti francesi e tedeschi, che
pubblicavano la rivista "Communisme", avvicinatisi al movimento
consiliare, all’ ‘Union Communiste’ di Chazè che abbandonerà in seguito
il mito leninista, ai consiliari olandesi di Canne Mejer ecc.. Negli anni 60 i
contati con M. Rubel garantiranno la pubblicazione di alcuni suoi lavori in
francese nei "Chahiers de Marxologie" ed in italiano sulla rivista
internazionale di Lelio Basso. Nel 1969 uscirà il "Marx e Keynes, i limiti
dell’economia mista", considerato il testo più importante scritto da Pul
Mattick, nel quale riesce a smontare pezzo per pezzo tutte le mitologie della
"rivoluzione keynesiana" che si presentava come unica forma di
superamento delle contraddizioni insite nel sistema capitalistico liberista in
grado di risolvere ogni tipo di crisi nel processo di accumulazione. La
contrapposizione della teoria classica di Marx non veniva proposta da Mattick in
forma dogmatica ma come strumento che mostrava l’inevitabile declino futuro
dell’intervento statale a causa dell’incremento delle spese improduttive o
di interventi che potevano solo momentaneamente contrastare fasi di declino
dell’accumulazione.
L’intervento
dello stato, secondo Mattick, non può invertire la dinamica della tendenza alla
caduta del saggio medio del profitto, caso mai la può rallentare nel breve
periodo, accelerando il processo di concentrazione del capitale verso il
monopolio già iniziata precedentemente. In tal modo sul lungo periodo riprenderà
inevitabilmente la tendenza alla caduta visto che l’intervento sempre più
pressante dello stato determinerà un incremento continuo della tassazione del
capitale che verrà sempre meno reinvestito nel campo della produzione. Nello
stesso tempo le entrate dello stato a sfavore del capitale verranno riutilizzate
nel settore pubblico garantendo salari senza realizzazione di profitti.
Obiettivo dello stato è quindi sostenere l’economia del settore produttivo
come volano che, favorendo il consumo di massa, stimola la produzione e quindi
la ripresa. Ed è grazie alle politiche keynesiane di stimolo al consumo che
dopo la crisi del 37 gli Stati Uniti vedranno lo sviluppo dell’industria
bellica che porterà inevitabilmente alla partecipazione al secondo conflitto
mondiale. Ancora una volta si ripresenta l’errore che consiste nel considerare
le dinamiche delle crisi e quindi la possibile ripresa solo dal lato del consumo
e non dal lato della produzione di merci all’interno della quale agisce
inesorabilmente la dinamica descritta da Grossmann. A lungo andare il meccanismo
determinerà un continuo deficit pubblico a spese del capitale e dei lavoratori
che provocherà l’inevitabile crollo del sistema keynesiano stesso, come
abbiamo osservato in questi ultimi venti anni e che Mattick pur avendolo
previsto non ha avuto il piacere di vedere confermata l’ipotesi che aveva
formulato.
Il
keynesismo però si imporrà in tutto il periodo caratterizzato, dopo la guerra,
dal Golden Age soprattutto nella sua forma ideologica inserendosi in maniera
subdola, anche grazie ad intellettuali marxisti estremamente faciloni, nei
luoghi comuni espressi dalla gente ed amplificati dai mezzi di comunicazione.
Così si era realizzata pienamente la tanto ricercata terza via che salvava il
capitalismo senza però disdegnare le forme a capitalismo di stato nelle sue
varie espressioni (dalla forma democratica dei paesi scandinavi alla forma
staliniana dei paesi dell’Est). Il marxismo degli anni sessanta e settanta
viene ormai associato nel bene e nel male al semplice intervento dello Stato
nell’economia e alle più generali dinamiche della regolazione. Addirittura da
tutte le espressioni della sinistra veniva sostenuto ormai strumento ben
collaudato di integrazione della classe lavoratrice all’interno delle
istituzioni espresse dalla nuova forma economica. Tutti gli intellettuali, e gli
economisti accademici, ormai sposano l’ideologia keynesiana a tal punto da
influenzare anche i piccoli movimenti sorti dopo l’esplosione momentanea del
68, che fanno a gara per diventare i veri rappresentanti di una classe
lavoratrice che vuole dal capitalismo tutto ciò che è possibile guardandosi
bene dal metterne in discussione le fondamenta. Se gli intellettuali dei partiti
istituzionali della sinistra mutano il loro volto trasformandosi da stalinisti,
con l’ambizione di divenire i nuovi funzionari di un sistema sovietico, in
riformisti, con l’ambizione di governare il processo di trasformazione
attraverso la pianificazione del sistema capitalista, le nuove leve dell’ultrasinsitra
non fanno altro che agitare i pochi lavoratori che li seguono perché venga
accelerato un processo di integrazione altrimenti di lunga durata se affidato
alle rappresentanze istituzionali. Mattick questo lo comprende e con la critica
a Marcuse, fa i conti con i luoghi comuni più diffusi secondo i quali già
negli anni sessanta l’introduzione delle innovazioni tecnologiche nel processo
produttivo avrebbero determinato un aumento della produttività del lavoro
grazie al macchinario con notevole risparmio di forza-lavoro ed incrementi dei
redditi dei lavoratori salariati nei paesi a capitalismo avanzato. Mattick
ancora una volta dimostrerà che l’ aumento di produttività viene determinato
dall’uso di forza lavoro con la conseguente dinamica, sul lungo periodo, di
declino della profittabilità
Attraverso
numerosi interventi sulla riviste Paul Mattick criticherà le tesi assai diffuse
di Baran e Sweezy sul capitale monopolistico, il tardo capitalismo di Ernest
Mandel, il libro di Leontiev "Input/output economics" del 1966, sulle
considerazioni di Myrdall relative alla povertà dei paesi asiatici (1968),
sulle rilevazioni operate sul modello marxiano di Samuelson (1971)
Possiamo
ora aggiungere che una critica analoga andava fatta anche verso quelle tendenze
ultraminoritarie che facevano esse stesse parte di un inevitabile tendenza
all’integrazione della classe operaia attraverso la monetizzazione di tutte le
contraddizioni che vivono gli operai nelle fabbriche e nella società,
mascherando il loro keynesismo radicale con l’ "operaismo" di
facciata. Mattick, pur con estrema correttezza, interviene anche per criticare
l’ideologia operaista presente nella pubblicistica degli anni settanta con una
recensione a "L’altro movimento operaio" di K.H.Roth nella quale
viene sfatato il mito dell’ "operaio massa" (uno dei tanti soggetti
rivoluzionari creati dall’immaginario dell’ultrasinistra), prodotto delle
"nuove" tecnologie applicate alla produzione. Coerente con
l’impostazione marxiana, ma anche attento ai fenomeni che lo circondano,
Mattick rileva semplicemente che: "Le lotte di classe degli ultimi anni,
gli innumerevoli scioperi, legali e selvaggi, non sono stati fatti soltanto
dall’ ‘operaio massa’, ma da lavoratori di ogni settore, compresi gli
operai specializzati, da impiegati del settore privato e pubblico, sino ai
postelegrafonici e alla polizia. Che essi siano rimasti sotto il controllo dei
sindacati, oppure che, sfuggiti loro di mano in un primo tempo, siano poi
rientrati nell’ordine, ebbene ciò non ha nulla a che vedere con gli operai
specializzati o con gli operai di linea, ma con il semplice fatto che si
trattava appunto di lotte sindacali e non di lotte contro il sistema
capitalistico in se. Anche l’operaio massa non ha superato finora il carattere
sindacale delle sue lotte e là dove esiste da molti anni ha dato vita ad
organizzazioni, nel settore industriale, che non sono meno interne al sistema
capitalistico di quanto lo siano le organizzazioni operaie tradizionali" e
per concludere con i miti possiamo affermare con lui che: "Incapaci di fare
la rivoluzione, gli operai hanno tentato di arrangiarsi in qualche modo
all’interno del sistema capitalista".
Mattick,
nei primi anni settanta, fece un viaggio in Europa invitato dai gruppi
dell’ultrasinistra francese ed italiana. Non dimenticherò mai il resoconto
che un militante del gruppo parigino del GLAT (uno dei prodotti del disfcimento
di Socialisme ou Barbarie) mi fece dell’assemblea di tutte le formazioni
consiliari francesi organizzata proprio in occasione dell’arrivo di Mattick. I
vari leaderini continuarono a litigare tra loro impedendogli di intervenire
finchè, forse disgustato ma certamente stufo, Mattick abbandonò la sala.
Nel
suo viaggio in Italia, Mattick stabilì dei contatti con alcuni militanti
dell’area autonoma di Roma che iniziarono a pubblicare a partire dal gennaio
1976 la rivista "Marxiana", di cui sono usciti solo due numeri, nella
quale veniva tentata l’introduzione di punti di vista distanti dal
sociologismo imperante negli ambienti della sinistra conditi dal politicantismo
dell’ideologia marxista-leninista. Nei due numeri apparvero gli articoli
"L’inflazione" e "Consigli e Partito", ma i contributi di
Mattick venivano sommersi (per poterli integrare) nella fraseologia
dell’autonomia che a quel tempo andava molto di moda..
Anche
se il crollo della forma keynesiana nelle economie dei paesi occidentali,
iniziato a partire dalla crisi del 73, ha portato ad una inversione di tendenza
verso il disimpegno dello Stato specie nelle cosiddette forme di Welfare, la
trasformazione nella "nuova" forma di capitalismo liberista alla laissez
faire avvenuta a partire dai primi anni 80 non è stata determinata da
scelte di politica economica, ma dalle dinamiche stesse dell’accumulazione
indirizzate verso il ristabilimento di margini di profitto accettabili o
addirittura in aumento. Il disimpegno dello stato, che ha avuto la maggiore
spettacolarità nel periodo Reaganiano negli USA e Tatcheriano nel Regno Unito
(fenomeno in realtà già avviatosi nel precedente governo laburista di Healy)
ha posto le basi per il ristabilimento dei margini di profitto non in nuovi
investimenti nel settore produttivo ma grazie ad una tendenza verso una
crescente speculazione finanziaria che garantiva, per pochi, redditività
elevate in tempi sempre più ristretti. Il graduale smantellamento degli asset
tipici del settore industriale, spacciato come "ritrutturazione" era
in realtà finalizzato al reinvestimento degli utili di impresa o delle
speculazioni sulle aree urbane ridotte ad archeologia industriale (che tanto
affascina gli intellettuali) in titoli e buoni che si concentravano sempre più
nelle mani di poche imprese o fondi pensione divenuti i grandi protagonisti
dell’economia moderna. Il processo è proseguito inesorabilmente grazie ad un
ruolo sempre più imponente delle dinamiche del credito che hanno portato,
specialmente nell’ultimo decennio del secolo scorso, ad incancrenire in
maniera irreversibile un sistema economico ormai sull’orlo del collasso.
Invitato
più volte a partire dagli anni settanta per tenere dei cicli di conferenze in
numerose università europee, Paul Mattick non ha mai assunto un atteggiamento
accademico, ambiente questo assai riluttante al suo stile di lavoro, ma nello
stesso tempo si è preoccupato di dare continuità al suo metodo di indagine che
rimane ancora oggi originale e convincente. Numerosi studiosi sono cresciuti nel
suo stile andando anche al di là del suo modello di interpretazione, anche
grazie all’abbondanza di dati empirici su cui lavorare a partire dagli ultimi
trent’anni (dati che ai suoi tempi erano carenti anche nelle statistiche
americane). Interessante lo studio di uno dei suoi "allievi" sulla
dinamica dell’accumulazione negli USA e l’andamento del saggio del profitto
. Possiamo ricordare insieme a Michael Buckmiller che "Coloro che hanno
avuto il privilegio di conoscerlo hanno potuto percepire la tenacità ed il
rigore che metteva nelle questioni teoriche, della stupefacente ampiezza dei
suoi interessi e delle sue conoscenze della valentia con la quale manteneva le
sue posizioni – razionalmente ma senza dogmatismo e controcorrente rispetto
alle mode intellettuali – e la totale assenza di vanità personale".
Negli
ultimi vent’anni si è sviluppata, fuori dall’Italia, una corrente di
ricercatori che hanno ulteriormente approfondito le analisi delle dinamiche
delle crisi avendo come riferimento il modello marxiano "classico" che
hanno dato numerosi contributi interessanti, tanto da poter affermare che esiste
una nuova corrente marxiana che affronta i problemi da un punto di vista
empirico che in Italia è conosciuta da un pubblico molto ristretto grazie alla
rivista Plusvalore.