Per Di Base

La classe operaia va.......

Il problema principale posto nel dibattito attuale sul sindacalismo di base è quello della sopravvivenza di simili organizzazioni alternative rispetto alle confederazioni ufficiali ed ai sindacati autonomi e dello sforzo per mantenerle all’interno del flusso delle lotte attuali e future.  A livello europeo gli organismi “alternativi” pur in alcune nazioni emergenti non rivestono contenuti nuovi rispetto al modello sindacale classico. In Spagna il filone anarcosindacalista è ormai sclerotizzato e continua a produrre scissioni, la stessa CGT (Sindacato-libertario, maggioritario rispetto alla CNT-AIT anarcosindcalista) è un sindacato democratico con l’illusione autogestionaria della società, nel rispetto della proprietà privata e del libero mercato. Non stupisce quindi che questa confederazione tesseri e organizzi settori della polizia spagnola[1]. In Francia durante l’ultimo sciopero generale del dicembre del 95 si ha avuto un fiorire di strutture sindacali alternative, tuttavia in numerosissimi casi questi organismi erano prodotti da dirigenti di sindacati ufficiali che rompevano con i sindacati  ufficiali e portavano via ai medesimi la loro base di influenza[2]. Ne viene fuori un quadro non troppo positivo delle attuali potenzialità di simili strutture, cosa che è avvalorata dall’incapacità cronica di trovare luoghi e strumenti internazionali di lotta. Anche chi autoproclama internazionali sindacali alternative nasconde dietro a delle sigle l’assenza di qualsiasi strumento di collegamento internazionale e di organizzazione.

Quando nel 92 sulla spinta di un forte movimento di lotta si ingrandirono o iniziarono a nascere i sindacati di base ,la situazione di quel periodo era caratterizzata da tre fattori sostanziali:

Il 92 fu indubbiamente un breve ma intenso ciclo di lotte, riporterà migliaia di lavoratori in piazza riproponendo una “salubre” spaccatura tra i vertici e la base. Il bullone (o dado) sarebbe diventato il mezzo di comunicazione tra lavoratori e burocrati sindacali. Vale la pena di riproporre una gustosa esternazione di S.Cofferati del 26/9/92 sull’UNITA’ rispetto alle contestazioni a Torino: “Il gruppo che ci ha bersagliato fin dall’inizio del comizio era composto, secondo me, da naziskin”, ovviamente i naziskin li aveva visti solo lui.

Quel ciclo di lotte ha avuto al suo interno componenti politiche che ne hanno in parte modificato e “ristretto gli ambiti”, Rif Com anche se ha dato numerosi militanti ha indubbiamente fatto “regredire” quel movimento ponendosi in modo asfissiante come copertura politica, e reintroducendo meccanismi di controllo organizzativo-sindacale, vedi il ruolo di Essere Sindacato(CGIL) nel suo oscillare tra movimentismo e dogmatismo organizzativo.

Se nel 92 si consolidò un’asse tra vari segmenti del sindacalismo di base  si deve mettere in rilievo la frantumazione di diverse aree politico-sindacali del sindacalismo di base. Gli stessi organismi di base, con non poca fatica, riuscirono a stare dentro le lotte, incapaci di riprodurre quelle strutture di massa dei loro genitori maggiori (CGIL-CISL-UIL). Avveniva quindi un fatto “paradossale” le organizzazioni crescevano ma al tempo stesso si radicalizzavano le differenze, aumentando in maniera vertiginosa questo processo con l’evolversi di una fase di quiete sociale. L’evoluzione di varie esperienze è sintomatica a partire dai “neutri” della CUB passando per la “magmatica” ARCA fino alle “politiche” USI e Cobas-Slai[3]. Le divisioni, le scissioni avvengono sempre all’interno di gruppi dirigenti, con ciò intendiamo i compagni più politicizzati e militanti delle organizzazioni sindacali, non toccando minimamente gli interessi della base. E’ sintomatico come le battaglie per la democrazia nei sindacati di base e sulle strutture di rappresentanza (RSU) sono state ampiamente snobbate dalla stragrande maggioranza dei lavoratori non coinvolta in movimenti di lotta. Con questo non facciamo l’apologia del disimpegno ma pur sembrandoci generoso lo sforzo di quei compagni che si battono per forme antiautoritarie di gestione delle strutture sindacali ci pare inefficace perché va a cozzare con una assenza di movimenti reali che chiedono e si dotano di quei contenuti. Gli organismi sindacali, più in generale, crediamo che difficilmente possano promuovere dei movimenti di lotta, i soli a poter cambiare l’attuale situazione sociale. La stessa battaglia per i contratti per molti versi ha confermato l’affermazione detta precedentemente. Gli organismi sindacali alternativi sono stati ridimensionati dai reali rapporti di forze tra le classi quando è stato ora di lottare contro contratti capestro e si sono visti incapaci di muovere un attacco su questo terreno, le cifre onnipotenti sparate precedentemente sono state in tutta fretta ridimensionate. Un capitolo a parte meriterebbe la vicenda interna della C:U.B. - R.D.B.-Cub firmataria di contratti nazionali e assorbita nella logica di rappresentanza “virtuale” della classe.

Se vogliamo invece analizzare le diaspore politiche anche in questo “campo” possiamo rivedere le stesse dinamiche da cinghia di trasmissione PCI-CGIL tuttavia riproposto in sindacati, partiti e movimenti più piccoli. Un micro caso anche se emblematico nel panorama sindacale italiano è la vicenda USI e la sua scissione in due tronconi[4], rispetto alla “pratica e teoria”anarcosindacalista. Crediamo che l’anarcosindcalismo come corrente politica sia morta nell’estate del 36 in Spagna, soffocata dalle sue stesse contraddizioni, essere una struttura di “controllo” proletario e al tempo stesso propagandare l’autonomia della classe operaia, tuttavia senza naufragare in anni remoti e per non rendere il tutto un delirio storico, possiamo analizzare brevemente l’attuale impasse dell’anarcosindacalismo.

Vi è innanzitutto l’enigma irrisolto essere sindacato o organizzazione di quadri di militanti che svolgono attività di propaganda rivoluzionaria, questione che in un periodo dove non esistono movimenti di classe antagonistici porta molti compagni ad “automistificare” la propria attività. E’ significativo che quando la base di questi gruppi aumenta sensibilmente vi sono sempre ripercussioni organizzative che portano a scissioni, la difficoltà di far rimanere intatta l’intelaiatura “rivoluzionaria” della struttura cozza con le dinamiche della lotta di classe e delle relative forme di organizzazione dei lavoratori.

Successivamente vi è la questione del rapporto politico, l’anarcosindcalismo è una corrente, con una sua storia e degli organismi precisi, il credere che da una definizione ideologica si possano promuovere dei movimenti di lotta e  si organizzi il proletariato vuol dire ridurre l’autonomia proletaria a un problema di contenitore organizzativo. Riportiamo un passo sicuramente datato ma non privo di vivacità, sulla critica all’anarcosindcalismo, il brano che presentiamo è di Juanjo Ferna’Ndez redattore di Solidarietà Obrera  nel 1977(organo della CNT di Catalogna), è stato anche collaboratore della rivista “El Topo Avizor”, il suo articolo comparve su Comunismo Libertario n°3 marzo 1979(una rivista dell’autonomia libertaria di Bologna) e tratta del dibattito rispetto alla CNT ricostruita del dopo Franco e della sua burocratizzazione organizzativa: “In molti giovani “cenetisti” pur essendo restii alle etichette, saremmo disposti ad accettare la definizione di anarcosindacalisti in tal senso, anarcosindacalismo come pratica di lotta per il comunismo(libertario ben inteso).

Senza dubbio, tantomeno possiamo accettare tale definizione posto che non crediamo che le associazioni di proletari e/o rivoluzionari possono darsi a partire da definizioni ideologiche, da posizioni puramente formali. Il comunismo non è una ideologia, nè un obiettivo fissato da statuti: è il movimento reale che trasforma e sopprime le condizioni esistenti. La rivoluzione non è una questione di forme, bensì, specialmente di contenuti. Ossessionati da questioni formali ereditata dalla socialdemocrazia, dal leninismo e dall’anarcosindcalismo che riducono la rivoluzione a una questione di organizzazione, di forme- abbiamo perso di vista i problemi, i compiti del momento, il movimento reale. E’tempo di abbandonare discussioni bizantine sull’organizzazione, sognare con future AIT, estasiarsi con l’illusione di macro-organizzazioni che rappresentano in ogni momento, tutti gli interessi del proletariato. L’organizzazione è l’organizzazione dei compiti.”

Tutto questo avviene senza che ci si accorga che solo i rapporti di forza tra le classi sono il “motore” per il montare di lotte radicali e alternative. Ci si illude che attraverso una organizzazione più forte di massa i rapporti di forza tra le classi si invertano. A riprova di ciò è interessante notare tutte le battaglie sulla rappresentatività delle strutture del sindacalismo di base. Per nostra conoscenza diretta si può aprire una parentesi riguardante i comitati precari nati in questi ultimi mesi. Questi per la maggior parte delle lotte si battono appellandosi costantemente alle leggi non accorgendosi che le leggi esistono per non essere rispettate dal padronato. Avviene quindi un paradosso gli illegalisti sono i padroni mentre i legalisti i comitati precari. Le successive leggi sul lavoro precario hanno dimostrato che il padronato su questo terreno(ed è il suo terreno) riesce a far quel che vuole rendendo inefficaci anche le azioni legaliste dei precari.

Crediamo che sia impossibile mantenere strutture alternative in una fase sociale che non presenta nessuna spinta, in più crediamo nella inefficacia di simili strutture alla presenza di nuovi movimenti di lotta. Crediamo che un futuro movimento di lotta tenderà ad autonomizzarsi dalle organizzazioni sindacali esistenti (sia alternative, sia ufficiali), il movimento si modella secondo modi a lui congeniali. In questa fase l’apporto dei “politici” può anche assumere l’aspetto di freno se non si capisce la novità e il superamento che crea un movimento di lotta. A questo stadio, e finchè la lotta dura con la stessa forza, non cè alcuna necessità di pensare ad una permanenza delle organizzazioni di base poichè queste sono soddisfacenti rispetto alla situazione che le ha fatte nascere e perchè si modificano se la situazione si modifica (ad esempio con un allargamento). In queste fasi nessuno pensa ad una eventuale trasformazione in un sindacato alternativo perchè non è in nessun modo necessario alla lotta che si sta svolgendo. Le strutture create nella lotta appaiono a tutti i lavoratori coinvolti come un oltrepassamento delle forme precedenti, qualsiasi esse siano, e una trasformazione in una forma permanente e legale potrebbe essere interpretata come un tentativo inutile, come una manipolazione o una regressione dei contenuti della lotta stessa (vedi il recente sciopero illegale dei lavoratori dei trasporti pubblici a Roma, i sindacati di base sono stati scavalcati dalla maggioranza dei lavoratori che in quella fase specifica non hanno avuto problemi a rompere con le compatibilità della legge sindacale). E’ totalmente diverso quando la lotta declina e termina, poichè allora chi dava vita e forza a queste strutture autonome si ritira, le relazioni di produzione fanno di nuovo irruzione nelle relazioni individuali nel movimento, ma anche  coloro che hanno vissuto un altro tipo di relazione e di efficacia di lotta, mantengono l’impossibile, conservare una struttura per essere pronti per “tempi migliori”. Avviene allora il processo di integrazione e di inevitabile burocratizzazione. Detto questo non riteniamo inutile la presenza di militanti politico-sindacali di base in una fase di quiete sociale, non fosse altro per l’autodifesa che questi militanti costruiscono (casse di resistenza, uffici di consultazione sindacale, bollettini di informazione), tuttavia pensiamo che il ruolo di una simile soggettività (nella quale ci riconosciamo) sia “minore” e più modesto rispetto alla vulgata classica dei gruppi politici e del loro intervento all’interno della classe. Noi pensiamo che la coscienza di classe si manifesti autonoma all’interno del ciclo della lotta e che in primi dalla contrapposizione capitale lavoro si sviluppi una contraddizione e una spinta spontanea ad un nuovo modo di vivere e di interagire con gli individui. I militanti dei sindacati di base devono riconoscere che i movimenti plasmano le persone e cambiano le finalità, le “forme precostituite” dei lavoratori immersi nella lotta. Detto questo ci pare inutile invitare i lavoratori ad uscire dai sindacati, ma è importante capire la funzione che può avere una struttura sindacale in una lotta, sia a livello teorico: struttura di mediazione tra capitale-lavoro, sia a livello pratico: ruolo di pompieraggio e inquadramento “organizzativo”. Il perchè attualmente noi siamo nel sindacalismo di base è da individuare nel laboratorio e luogo di comunicazione diretta che si trova in questa area, per fare un esempio: noi facciamo parte di un collettivo precari tuttavia riponiamo pochissima fiducia nella capacità soggettiva (creare lotte, far nascere movimenti) di tale comitato, tuttavia questa struttura ci permette di interagire con situazioni a noi sconosciute del mondo sommerso del precariato e ci favorisce dandoci alcuni strumenti di difesa e di comunicazione.

Comunicare “al mondo” che esistono ancora scioperi e che i lavoratori possono anche alla fine del secondo millennio promuovere forme associative anticapitaliste serve prima di tutto a noi stessi, come forma di difesa individuale rispetto all’apatia spettacolare del capitale, se facendo questo noi riusciamo a entrare in contatto con altri lavoratori ne saremo felici per noi e per i nostri nuovi compagni di lotta.

Il perchè collaboriamo attivamente ad una esperienza come Di Base è nella misura in cui la rivista è un luogo di comunicazione sulla lotta di classe slegata da percorsi ideologici e da progetti organizzativi fissi.

Chiudiamo indicando tre temi di novità e/o costanti dell’attuale fase sociale:

In ultima analisi  pensiamo che un possibile movimento di classe che rompa con gli schemi del dominio non si possa individuare nell’attuale movimento sindacale, pensiamo che ci sia solo una fragile correlazione tra l’esplosione di fenomeni di autonomia proletaria con il lavoro politico-sindacale attuale. In una lotta i militanti possono fornire strumenti e una memoria storica, cosa che non serve a non commettere errori precedenti ma da al movimento una continuita storico politica tale da avere una ricaduta immediata sul movimento. Crediamo che necessariamente fenomeni sociali rivoluzionari nascano e si diffondano tramite movimenti che hanno ben poco di simile rispetto a movimenti del passato, tuttavia rialacciandosi ad essi nella critica immediata al valore della merce.  Sappiamo che i nostri ”orizonti” possano apparire lontani prima di tutto ai lavoratori ma anche a molti militanti sconfitti in varie epoche storiche, tuttavia vediamo all’interno della stessa lotta di classe un moto continuo in cui la sorte del capitale viene messa in gioco ogni volta dai lavoratori[5], dalla Corea agli Stati Uniti, dall’India alla Gran Bretagna. Non vogliamo però stabilire nulla, cerediamo che solo un movimento reale abbia la forza teorica-pratica-sperimentatrice per “vivere” la società futura......

 

alcuni compagni di Precari Nati

P.S.

L’articolo di V.Grisi sul n°4 di Di Base pur analizzando in modo corretto la crisi attuale del sindacalismo di base mette come alternativa “secca” la riscoperta della produzione comunista, secondo noi tale proposta pur non disprezzandola non riesce ad andare oltre la dichiarazione di principio. Definire a priori un modello produttivo comunista è uno sforzo generoso ma vano in quanto è impossibile pre definire le forme associative anticapitaliste che potrebbe darsi un movimento, utile ci pare invece smascherare attraverso questa chiave di lettura la “leggenda” dell’autogestione alternativa in epoca capitalista, poichè tale modello non mette in discussione la merce e il valore. Le smania autogestionaria che percorre la sinistra “antagonista” dal movimento anarchico passando per i settori maggioritari di Autonomia arrivando ad aree di dissidenti di Rif Comunista ci pare figlia di quel sentimento di sconfitta che ha contraddistinto gli anni 80, l’impossibilità del cambiamento radicale della società[6]. L’accenno costante all’autoimpresa e al cooperativismo nascondano la totale inefficienza e presenza del “movimento” sul terreno della lotta di classe e della cosiddetta guerra al mercato e al valore.


[1] Pur non condividendo lo spirito inquisitorio e complottistico dell’articolo, rimandiamo a “Con il vento nelle ali” storia ed ideologia della polizia “libertaria” della CGT spagnola” di Xavier Valle in Lotta di Classe, stampa sindacalista libertaria USI-AIT, n°13 settembre 1997

[2] In proposito si può vedere l’articolo premonitore di G.Soriano “I sindacati e la loro crisi” in Collegamenti Wobbly autunno 1992 n°31. L’articolo in questione affronta sia a livello storico sia a livello teorico le implicazioni della lotta sindacale, riportiamo un breve pezzo dell’articolo che ci pare anticipatore della fase che stiamo vivendo: “In Italia si è avviato un processo ricompositivo fra vari gruppi e sindacati emersi dall’ultimo ciclo di lotte, ma si ha l’impressione che il peso della cultura militante che ha funzionato come elemento di stimolo nella fase alta, possa diventare un freno rispetto alla capacità di trovare soluzioni nuove in una situazione meno vivace. Le divisioni fra i vari gruppi e le differenti ipotesi a cui questi si richiamano, se esprimono delle difficoltà e delle differenze reali, non sono meno pericolose per la sopravvivenza di un aggregato autonomo. Il corporativismo può essere una scorciatoia per ottenere a breve termine qualche risultato salariale, ma potrebbe, sul lungo periodo, riportare i nuovi aggregati alla logica tradizionale del sindacalismo autonomo; le lotte di gruppo per affermare una ipotesi rispetto alle altre, potrebbero diventare la guerra dei topi e delle rane; la necessità di una organizzazione efficiente potrebbe trasformarsi nella strada maestra per una rapida burocratizzazione”

[3] Si può leggere in proposito “Gli altri sindacati, viaggio nelle organizzazioni autonome e di base” di M.Carrieri e di L.Tatarelli, ed Ediesse, 1997, Roma. Il testo scritto da due ricercatori della Cgil e della Cisl fa una panoramica sulla galassia extraconfederale, andando dai Cobas fino ad arrivare alle esperienze leghiste sindacali. E’ interessante la parte che tratta della vita del sindacalismo di base e delle sue vicissitudini organizzative (scissioni, minacce, patti e disdette...). Ne viene fuori un quadretto che ricorda cinematograficamente “Brutti, sporchi e cattivi”di Scola, film nel quale alla fine la famiglia sottoproletaria e devastata tuttavia rimaneva “unita” nella miseria*. I due osservatori della triplice, pur sicuramente modesti nella loro ricerca piena di dimenticanze e strafalcioni storici importanti, hanno avuto come ciceroni alcuni degli attuali leader del sindacalismo di base che hanno tutti in modo “sindacalista” venduto cifre e importanza politica della loro organizzazione e contemporaneamente attaccato i loro colleghi di altri sindacati di base, assumendo questi contenziosi come problemi fondamentali per la salvezza del pensiero rivoluzionario e per la sorte del proletariato. 

*Per gli amanti del genere si può fare un parallelismo tra la visione del sottoproletariato di Scola rispetto a quello di Pasolini. Il primo vedeva il sottoproletariato urbano espulso dalla città ma alienato da questa esclusione, Pasolini invece vedeva in questa esclusione una forma di autoesclusione e di “comunità sottoproletaria” (Accattone, Mamma Roma). Questo dibattito politico cinematografico può essere usato per spiegare il comportamento di molti militanti del sindacalismo di base tra chi vede una autoemancipazione dalla triplice osservando il proprio isolamento o chi si muove per assumere un “contegno”  sindacale come la triplice. Alla base di questi comportamenti c’è sicuramente l’incapacità di individuare i propri limiti e l’assenza di movimenti di lotta, così come nella disputa cinematografica quel settore urbano in entrambi i casi era destinato a rimanere ai margini della società.

[4] Per i più precisi attualmente L’USI è contemporaneamente due organizzazioni sindacali, anche se solo una è quella riconosciuta dall’AIT. Vi è tuttavia un combattivo sindacato di categoria, USI-sanità, che si è distaccato da entrambe e continua a fare attività in modo indipendente. Per chi volesse leggere una delle due storie rispetto alla scissione USI può leggere “L’Unione Sindacale Italiana tra sindacalismo di base e trasformazione sociale”, quaderni di Lotta di Classe, n°1, di G.Careri, 4 settembre 1997

[5] Intendiamo per messa in discussione del capitale non solo la negazione del lavoro o il danneggiamento del mercato ma anche il meccanismo antimercantile che si instaura in uno sciopero mediante la solidarietà o la scomparsa per i lavoratori in lotta di mediazioni “politiche” quali la delega o il raket-organizzativo. Per chi volesse approfondire l’argomento lo rimandiamo alla base di discussione di Echanges et Mouvemant ( Gruppo franco-inglese che raccoglie informazioni sulla lotta di classe nel mondo e raccoglie varie esperienze teoriche “militanti” delle estrema-sinistra) tradotta recentemente dal nostro gruppo. Per chi volesse avere il meteriale in questione può contattarci attraverso l’indirizzo redazionale o scrivere al seguente indirizzo: Diego Negri CP 640, 40124 Bologna

[6] A livello storico e internazionale esistono numerosi casi in cui segmenti di lavoratori di sinistra hanno optato per scelte autogestionarie, pur essendo fortemente critici rispetto a queste esperienze troviamo tali dibattiti e strategie passate più interne a dinamiche sociali. Per chi volesse approfondire l’argomento può trovare numerosi spunti nelle posizioni politiche della  CFDT-francese, sindacato cattolico passato su posizioni gocsiste e autogestionarie nel 68,  o al dibattito sull’occupazione della L.I.P.in Francia. Per il primo esempio si può leggere “Sindacato e autogestione, le tesi della CFDT” di Detraz, Krumnow, Maire, ed.Jaca Book, 1974, Milano. Per il secondo esempio il dibattito uscito su Anarchismo n°4/5 1975 dal titolo “L’indomani della L.I.P.”. Sulle problematiche storiche relative l’autogestione rimandiamo a Cosimo Scarinzi, L’idra di Lerna, Zero in Condotta, 1991, Milano. Per una valutazione critica dell’ideologia “autogestionaria” vedere AAVV La mistificazione democratica, La Vecchia Talpa, Napoli, 1974. Jean Barrot, Capitalismo e comunismo, le mouvement communiste, La Vecchia Talpa, 1972.