I Consigli Operai

cenni storici e valutazioni

 

Nell’affrontare le problematiche e gli sviluppi della forma dei CONSIGLI OPERAI sicuramente tralasceremo alcune importanti date, tuttavia cercheremo di mettere in evidenza la portata di questa forma di autorganizzazione nella storia del movimento proletario. Non utilizzeremo tuttavia la scorciatoia della contrapposizione politica (sinistra riformista contro sinistra rivoluzionaria) per descrivere i limiti di questa esperienza, poiché tale visione semplicistica fa ricadere la sconfitta e lo svuotamento di queste forme di potere operaio alle organizzazioni politiche non rivoluzionarie, non cogliendo gli aspetti intrinsechi della composizione di classe nell’autorganizzazione operaia parametrata con la fase economica in cui si è sviluppata. La forma consiglio può trovare una sua nascita fin dall’epoca della Comune di Parigi:

“Questa è la Comune, forma politica dell’emancipazione sociale, della liberazione del lavoro dalle costrizioni (asservimento) di coloro che monopolizzano i mezzi di produzione, costruiti dagli stessi operai o costituenti un’eredità naturale. Dal momento che sia l’apparato statale che il parlamentarismo non sono il corpo reale delle classi dominanti, ma sono solamente le specifiche organizzazioni del loro dominio, le garanzie politiche, le forme e le espressioni del vecchio ordine delle cose; del pari, la Comune non è il movimento sociale della classe operaia, e, di conseguenza, il movimento rinnovatore di tutta l’umanità, ma soltanto lo strumento organico del suo movimento reale.” [1]

Fino ad essere trovata come forma quasi fino alla fine del secolo passato. Cercheremo di mettere in luce le esperienze più significative di questa determinata forma nella lotta di classe dell’organizzazione diretta di classe.

 

RUSSIA

E’ l’esperienza più famosa, che ha investito e condizionato con la sua portata lo sviluppo per quasi un secolo del movimento proletario.

Lo sviluppo della forma sovietista a come primo debutto la rivoluzione russa del 1905, rivoluzione borghese, appoggiata dalla borghesia liberale allo scopo di distruggere l’assolutismo degli zar, e far procedere la Russia, mediante una Assemblea Costituente, verso condizioni analoghe a quelle dei paesi capitalisticamente avanzati. Questa era la posizione di tutti i partiti socialisti esistenti in Russia. Lo sviluppo impetuoso dei soviet, nati da una serie di scioperi e dalla necessita di disporre di comitati d’agitazione e di rappresentanza che si occupassero del compito di trattare con le direzioni industriali e con le autorità legali, supero il piano di valutazione politica delle forze della sinistra russa. Queste credevano che tale forma di organizzazione operaia, fosse momentanea, e non ipotizzavano un carattere permanente di queste strutture. Un dato da tenere in considerazione fu che la composizione interna di chi materialmente si fece portatore degli scioperi fu di operai non sindacalizzati e non politicizzati, che erano una estrema minoranza prima del 1905, che utilizzarono la comunità di lavoro, l’azienda, per ribaltare contro i padroni questa comunità imposta dal capitale.

Il movimento riflui, tuttavia tale esperienza aveva notevolmente influenzato il dibattito dell’epoca.

Trockij scrisse:

“I soviet erano la realizzazione della necessità obiettiva di un’organizzazione che avesse autorità senza avere una tradizione, e che riuscisse contemporaneamente ad abbracciare centinaia di migliaia di lavoratori. Un’organizzazione, inoltre, che fosse capace di unificare tutte le tendenze rivoluzionarie all’interno del proletariato, che possedesse iniziative e autocontrollo, e che, e questa è la cosa più importante, potesse essere creata nello spazio di 24 ore.” [2]

I soviet attirarono gli operai politicizzati e più preparati, tuttavia rimaneva una differenza fondamentale tra le organizzazioni politiche socialiste e i soviet, in quanto le prime si sforzavano di essere organizzazioni  interne al proletaria, mentre i soviet erano l’organizzazione del proletariato.

Nel 1917 tale riaffermazione del sistema sovietista si innesto in un contesto di profonda crisi per la Russia, sfociato in un movimento spontaneo di protesta contro condizioni intollerabili di vita durante una guerra fallimentare. Scioperi e manifestazioni si succedevano sempre più, fino a condurre ad un sollevazione generale, che ottenne l’appoggio di alcune unità militari e portò al crollo del governo dello zar. La rivoluzione riceveva l’appoggio di un ampio strato della borghesia, e fu da questo gruppo che si formò il primo governo provvisorio. Anche se i partiti non diedero inizio alla rivoluzione, ebbero un ruolo maggiore che nel 1905, pur inseguendo ancora una volta il movimento proletario, cosi scrivevano i compagni del GO-PCR (B):

“Nel 1905 quando ancora nessuno, in paese, parlava dei consigli operai e nei libri si parlava solo di partiti, di associazioni, di leghe, la classe operaia russa attuò i consigli operai nelle fabbriche e nelle industrie. I consigli operai si presentano nel 1917 come guida della rivoluzione, non soltanto nella sostanza ma anche formalmente, e soldati, contadini, cosacchi si subordinano alla forma organizzativa del proletariato.” [3]

 Come nel 1905, così anche nel 1917 i soviet non avevano intenzione, inizialmente, di sostituirsi al governo provvisorio. Ma nel corso del processo rivoluzionario essi finirono per avere posizioni sempre di maggiore responsabilità; di fatto, il potere si divideva tra i soviet e il governo, proponendo, una soluzione di doppio potere che vedremo si ritroverà molto spesso nella forma consiliare, dimostrandone anche il suo limite.

L’ulteriore radicalizzazione del movimento in condizioni sociali che si andavano deteriorando e le politiche vacillanti della borghesia e dei partiti socialisti diedero presto ai bolscevichi quella maggioranza nei Soviet che fu di decisiva importanza, e portarono alla rivoluzione di ottobre che mise termine alla fase democratico-borghese della rivoluzione.

Dopo la presa del potere politico dei bolscevichi, saranno le condizioni oggettive a favorire il disegno di restaurazione di un economia mercantile dei bolscevichi. Le distruzioni terribili della guerra, la disorganizzazione dei trasporti, l’intervento straniero, la carenza dei tecnici, la massa contadina esterna al processo di socializzazione dei Soviet, fecero maturare un processo di centralizzazione a discapito delle iniziative autonome di potere operaio in Russia imbastite dai soviet.

I Soviet se avevano inferto un duro colpo all’organizzazione capitalistica (per quanto riguarda lo sviluppo in Russia della produzione industriale), tuttavia passata la marea rivoluzionaria, furono assorbiti dai sindacati (più tardi i sindacati subiranno la stessa sorte con la loro statalizzazione). In virtù di questo sforzo per il controllo della forza-lavoro, i sindacati acquisirono un ruolo importante nella riorganizzazione e nell’amministrazione dell’industria. Il primo congresso sindacale (gennaio 1918) stabili che:

“le organizzazioni sindacali, come organizzazioni di classe del proletariato ma costituite in base alle esigenze dell’industria, devono assumersi il compito essenziale di organizzare la produzione e restaurare le indebolite forze produttive del paese... Questi sono i compiti odierni.. Le organizzazioni sindacali devono trasformarsi in organi dello stato socialista”.

Veniva cosi negata ogni autonomia operaia, e si rintroducevano forme di controllo sulla forza lavoro fino alla militarizzazione del lavoro.

Col tempo, il regime divenne la dittatura del partito bolscevico. I Soviet delegittimati, venivano mantenuti in vita solo formalmente.

I Soviet pur essendo riusciti a consentire il rovesciamento sia della borghesia sia dello zarismo, e l’instaurazione di un nuovo sistema sociale, non erano riusciti a mantenere un potere operaio tale da non essere recuperati dalle convenienze politiche dei bolscevichi, non riuscendo a risolvere il problema della distribuzione e dell’isolamento con la campagna.

L’incapacità dei Soviet di affrontare il problema statale risulterà essere la via che porterà al potere i bolscevichi, il dualismo intravisto prima sarà l’arma della sinistra per distruggere l’autonomia operaia, con un partito che si fa stato. Il processo di atomizzazione dello Stato, in mancanza di un reale potere operaio, rendeva l’esperienza russa entità separata con le esigenze di un rivoluzione mondiale, e si innestava in quella primordiale forma di “socialismo in un paese solo” che sarà solamente un capitalismo di stato, cosi descritto da A.Pannekoek:

“Si può definire socialismo di stato questo tipo di organizzazione della produzione in Russia, dal momento che i mezzi di produzione sono nelle mani dello stato, il quale diventa così l’unico grande imprenditore. Anche qui gli operai non sono padroni dei mezzi di produzione, come nel capitalismo dell’Europa occidentale; essi ricevono un salario e sono sfruttati dallo stato, che è l’unico grande capitalista. Il socialismo di stato è quindi capitalismo di stato, La schiera degli impiegati e dei dirigenti, la burocrazia statale, rappresentano qui la classe dominante e sfruttatrice.” [4]

Tale sistema era fondato su le nuove classi sociali emergenti russe (che divenivano ed erano l’ossatura e la direzione del Partito bolscevico): la piccola borghesia rurale (kolkosiani) e dalla piccola borghesia dell’amministrazione (burocrati), la fusione di queste due categorie era ed è stata la classe dominante in URSS.

La spinta sovietista si infranse e venne svuotata di ogni contenuto, rimase in piedi solo per meglio colorare un regine capitalista.

I Soviet si formati prevalentemente da settori proletari metropolitani ed industriali [5], si trovarono a subire una doppia rivoluzione con delle classi sociali in movimento: da una parte la massa contadina e i settori piccolo borghesi, e dall’altra la massa operaia.

Quest’ultima spinse per un reale potere operaio indirizzato verso comunismo, tuttavia essendo minoranza fu schiacciati da queste altre classi sociali, rispetto alle sue espirazioni.. Si arriva cosi ad avere una rivolta che a come veicolo la forma sovietista operaia, per una rivoluzione socialmente borghese, dove l’unificazione tra la piccola burocrazia agraria e la burocrazia amministrativa sostituisce la classica borghesia individualistico imprenditoriale.

 

ITALIA

L’esperienza italiana, se si escludono i facili romanticismi è interessante da analizzare per due motivi fondamentali:

  1. La capacità dello Stato di adagiarsi sul potere dei consigli fornendogli spazi e svuotando la carica rivoluzionaria di questi in un periodo di crisi.

  2. L’estremo isolamento di un soggetto operaio che si trova ad esercitare un “potere” ma è incapace di farsi promotore di un movimento più ampio rispetto alle altre porzioni sociali di lavoratori

L’Italia, uscita dalla guerra, si presentava come un paese stremato, con una destra che iniziava ad utilizzare questo malcontento, canalizzando gli ex-combattenti nazionalisti delusi dal dopo conflitto bellico contro le sinistre rivoluzionarie che cercavo sotto il cielo infiammante della Russia di spingere per la rivoluzione sociale.

Nel marzo 1920 numerose officine sono occupate a Torino e a Milano. Cosi descrive il movimento B.Fortichiari:

“L’occupazione delle fabbriche era avvenuta in modo rapido e completo come se fosse stata preparata da uno stato maggiore perfettamente organizzato. Ma non c’era nessuna organizzazione... L’impeto e la spontanea tempestività degli operai nell’attuare l’occupazione degli stabilimenti, l’organizzazione interna, la difesa armata, furono dimostrazione eloquente della capacità che ha la massa operaia di realizzare in determinate situazioni atti di portata rivoluzionaria.”[6]

Il partito e il sindacato socialista (PSI e CGL) non muovono un dito per aiutare questo movimento che non riesce tuttavia a sbarazzarsi di queste organizzazioni. Ad agosto gli scioperi si moltiplicano, e i padroni si decidono alla serrata, a chiudere le fabbriche. Spontaneamente i lavoratori impediscono questa mossa occupandole. Oltre mezzo milione di operai sono sul posto di lavoro.

Il Primo ministro italiano, per superare la fase di stallo, annuncia la formazione di una commissione paritaria di studio per preparare un progetto di legge su “l’intervento degli operai sul controllo tecnico e finanziario e nell’amministrazione delle aziende”.

Il voto rispetto al quesito risulterà favorevole e gli operai usciranno dalle fabbriche occupate, mentre i padroni ne ritornavano in possesso.

Dopo due anni Mussolini prendeva il potere.

In questo modo lo Stato aveva volutamente, d’accordo con la componente padronale, abdicato momentaneamente, per proporre una cogestione, che permettesse agli operai di abbandonare il potere militare in fabbrica, per poi scatenare la reazione. Il partito socialista e la CGL (se si escludono alcune componenti neo-comunsite e anarchiche) si era prestato a questo gioco, sfruttando l’estrema articolazione e presenza all’interno del movimento operaio italiano, assicurando l’impossibilità di una scelta indipendente della forza operaia rispetto alle sue organizzazioni classiche.

I consigli quindi risultarono forze artificiali, con questo non si vuole negare la caratteristica proletaria di queste forme e lo sforzo-cratività operaia durante le occupazioni, ma è chiaro che tali forme erano viziate da una incapacità nell’affrontare il problema politico dello Stato con la sua duttilità trasformativa (oltre ai limiti gestionali dei trasporti e della distribuzione del movimento stesso).

La composizione di classe di questo movimento, che trovo nel modello consiglio la sua forma organizzata deriva sia dal rifiuto del sindacato di appoggiare le rivendicazioni radicali operaie sia all’estrema forza che il soggetto operaio coinvolto poteva esercitare nell’organizzazione del lavoro con la sua specializzazione e competenza nel processo produttivo. Era composto da operai della grande fabbrica, non ancora automatizzata. Erano operai che potevano vantare competenze pari ai tecnici (non è un caso che molti tecnici scappati durante l’occupazione, saranno sostituiti da operai), avevano un rapporto con la campagna diretto, ossia la maggior parte mantenevano legami famigliari nelle campagne (pur dando vita ad un soggetto propriamente metropolitano), cosa che permise il sostentamento di questi durante le giornate dell’occupazione.

Questo soggetto sociale era comunque in minoranza rispetto alla grande massa proletaria in Italia, e non riuscì a farsi avanguardia di un movimento più ampio, poiché all’interno non era abbastanza coeso, vedi in proposto l’incapacità di rompere con le organizzazioni politiche ufficiali.

In Italia il dibattito sui consigli avrà tre attori principali (escludendo i riformisti e i liberali): due delle componenti che formeranno il Partito Comunista d’Italia del 1921 e gli anarchici.

Le due componenti erano: IL SOVIET di Napoli (diretto da Bordiga) e l’ORDINE NUOVO (diretto in un primo memento da Tasca per poi passare a Gramsci).

Il dibattito che si innesterà sui consigli su queste due riviste si può ricondurre a questo: per IL SOVIET i consigli operai sono strutture di potere operaio solo se indirizzate contro lo stato e dirette da un forza politica (il partito) che sappia condurre questa guerra a buon fine:

“Non ci opponiamo alla costituzione dei consigli interni di fabbrica se li chiedono le maestranze stesse o le loro organizzazioni. Ma affermiamo che l’attività del partito comunista deve impostarsi su altra base: sulla lotta per la conquista del potere politico” [7].

Negavano quindi ogni autonomia operaio, ma giustamente vedevano il movimento dei consigli di Torino succube dell’incapacità politica di affrontare il problema del comunismo non come un modello gestionistico ma come rapporto sociale complessivo (potere statale-potere economico). La spinta operaia si infrangeva in una cogestione, per di più proposta dal governo, quello che avveniva era una democraticizzazione del lavoro capitalistico, ma non una sua messa in discussione.

Per l’ORDINE NUOVO, il movimento dei consigli, incensato, era la forma primordiale dello Stato operaio:

“L’officina con le sue commissioni interne, i circoli socialisti, le comunità contadine, sono i centri di vita proletaria nei quali occorre direttamente lavorare.

Le commissioni interne sono organi di democrazia operaia che occorre liberare dalle limitazioni imposta dagli imprenditori, e ai quali occorre infondere vita nuova ed energia. Oggi le commissioni interne limitano il potere del capitalista nella fabbrica e svolgono funzioni di arbitrato e di disciplina. Sviluppate e arricchite dovranno essere domani gli organi del potere proletario che sostituisce il capitalista in tutte le sue funzioni utili di direzione e di amministrazione”[8].

Tuttavia tale potere era solo un contropotere, in quanto non si rendeva conto di essere all’interno di uno Stato ancora forte. La teoria quindi di uno Stato operaio, nello Stato borghese, era non elemento fecondo ma chiara visione dei limiti intrinsechi del movimento, e della sua incapacità oggettiva di provocare delle forzature.

L’ODINE NUOVO, non prenderà quindi mai una posizione consiliarista [9], in quanto non romperà mai con le precedenti forme politiche dei lavoratori e non ne vedrà la pericolosità in funzione di elemento organico al capitale. La stessa teoria dello Stato operaio è una caricatura dell’autonomia operaia, in quanto è la teorizzazione della cogestione democratica tra produttori e imprenditori, aspettando un futuro socialista. I consigli operai in Italia non risolveranno il problema dello Stato, arriveranno a svuotare il contenuto socio-economico di questo in alcune città, ma non eliminano il suo contenuto di controllo e di struttura borghese.

La sottovalutazione dello Stato in ORDINE NUOVO, e la relativa sopravvalutazione dello Stato nel IL SOVIET, non renderà giustizia a questo movimento, che preso come fenomeno di lotta proletaria, rimane un interessante esempio di capacità del movimento operaio di rendere operante una comunità proletaria attiva, anche senza arrivare alla rottura rivoluzionaria.

Gli elementi di debolezza erano come detto precedentemente intrinsechi a questo movimento, anche se sul lato politico è da segnalare il ritardo nel rompere con le forme precedenti di organizzazione proletaria cosa che  invece l’estrema sinistra opererà in Germania, perdendo così l’elemento di estrema novità nei consigli operai: la rottura sul piano organizzativo con le vecchie organizzazioni e metodologie del vecchio movimento operaio.

Gli anarchici, che parteciparono a questo dibattito, presenti prevalentemente nell’UAI (Unione Anarchica Italiana) e nell’USI (Unione Sindacale Italiana) [10], pur spingendo per una generalizzazione del movimento e centrando abbastanza il problema della forza reazionaria militare dello Stato, non colsero i lati sociali di tale movimento, riproducendo schemi partitici e sindacali, e quindi non offrendo nessuna critica utile allo forma consiglio che si presentava in Italia.

 

UNGHERIA

Sul piano internazionale l’Unghieria offre l’unico esempio assieme ala Russia di presa del potere rivoluzionario. Ma l’esperienza ungherese è un altro esempio di fallimentare politica dell’Internazionale Comunista e dell’opportunismo dei partiti comunisti, vittime dei riformisti socialisti.

Come in Russia, gli operai dell’industria (1,5 milioni su 8 milioni di abitanti) erano concentrati nella regione di Budapest.

La borghesia era schiacciata dall’aristocrazia fondiaria. Fondato nel 1918 il partito comunista, prende il potere grazie al crollo del governo, infatti dopo la proclamazione della repubblica, il primo ministro si dimise per protestare contro le condizioni d’armistizio imposte al suo paese sconfitto. Il PC sostitui la forza uscente, insieme ai socialisti che ne facevano già parte.

La spinta operaia si canalizza attorno alla forma consiglio, coinvolgendo come nel caso russo, i consigli dei soldati che protestavano per le paghe da fame dopo la sconfitta della guerra.

Anche in questo caso la forza sociale dei contadini era ostile ad una socializzazione delle terre, spinta invece favorita all’interno dalle industrie dai consigli. Tuttavia la chiusura di questa esperienza non va imputata solo a questa lotta sociale intestina tra le classi. L’Ungheria indipendente comprendeva anche regioni con popolazioni non ungheresi (tedeschi, slovacchi), le forze reazionarie sfruttarono questa situazione per chiamare in loro aiuto le truppe rumene e ceche. Isolata nella regione della capitale, circondata dai contadini ostili, la repubblica dei consigli viene sconfitta: i socialisti allora abbandonano i comunisti alla repressione.

La leggerezza del PC nel unificarsi con il PS, e il credere che un fronte unico politico delle forze di sinistra equivalesse ad un fronte di classe complessivo, è la prima delle tortuose politiche frontiste che intraprenderà L’Internazionale Comunista a scapito dell’autonomia operaia. Si intravede quindi la contrapposizione del potere operaio rispetto alla piattaforma dei socialisti uniti in merito alla dittatura del proletariato.

I consigli operai erano in questo caso la copertura comunista alla collaborazione con i socialisti, frustrando fin da subito le manifestazioni di insorgenza operaia, canalizzandola in un piano democratico gestionista, mediato dal rapporto politico tra la sinistra(comunisti) e la destra(socialisti).

L’epilogo di questa repubblica durata 133 giorni fu la dittatura di Horty, un regime fascista tra i più duri in Europa.

 

GERMANIA

La rivoluzione in Germania, nata immediatamente dopo la fine della guerra, un conflitto che aveva portato alla fame una nazione ed aveva indebolito se non praticamente autodistrutto il potere costituito della monarchia tedesca. Tale rivoluzione apparve più significativa di quanto fu in realtà. Gli operai richiedevano con più spontaneo entusiasmo la fine della guerra, ma non il cambiamento dei rapporti sociali esistenti.  Cosi descrive il fenomeno C.Meijer:

“Questa carenza proviene dalla facilità stessa con la quale si formarono i consigli operai. L’apparato statale aveva perduto ogni autorità; se esso crollava qua e là, non era in conseguenza d’una lotta accanita e volontaria dei lavoratori. Il loro movimento incontrava il vuoto e si estendeva dunque senza difficoltà, senza che fosse necessario combattere e riflettere su quella lotta. Il solo obiettivo di cui si parlava era quello dell’insieme della popolazione: la pace.”[11]

Le loro richieste espresse dai consigli operai e dei soldati (la classe operai tedesca aveva a differenza di altre nazioni da solo fornito uomini per la carneficina mondiale). La Germania si presentava come una nazione dove il proletariato industriale era la quasi sola classe esistente all’interno delle classi proletarie (i piccoli contadini a differenza di altre nazioni erano decisamente in minoranza rispetto alla massa operaia industriale).

Le grandi masse tedesche rifiutavano l’ineguaglianza politica e il militarismo. Esse desideravano, infatti, semplicemente quelle riforme che con la guerra erano state interrotte dalla destra nazionalista e belligerante, per arrivare ad un capitalismo “buono”, che si adeguasse allo sviluppo in Germania.

Tuttavia in tale movimento, attraverso la forma consiliare, si mosse un tale fiume operaio che diede l’impressione di un processo rivoluzionario in atto, altro dato da tener in considerazione era che per la prima volta la classe operaia, parzialmente si dava forme di indipendenti di rappresentanza politica, superando la forma del mastodontico partito socialdemocratico e i sindacati.

Tale indipendenza veniva tuttavia presto svuotata:

“Di fatto le vecchie organizzazioni rimproveravano ai consigli di non lasciare loro un posto abbastanza grande ed anche di far loro concorrenza. Pronunciandosi per la democrazia operaia, i vecchi partiti e sindacati reclamavano che tutte le correnti del movimento operaio fossero rappresentate nei consigli, proporzionalmente alla loro rispettiva importanza...

La Maggior parte dei lavoratori era incapace di confutare questo argomento: esso corrispondeva troppo alle vecchie abitudini. Così i consigli operai riunirono i rappresentanti del partito socialdemocratico, dei sindacati, dei socialdemocratici di sinistra, delle cooperative di consumo, ecc..come dei delegati di fabbrica. E’ evidente che simili consigli non erano più gli organi d’equipes di lavoratori, riuniti dalla vita della fabbrica, ma delle forme uscite dal vecchio movimento operaio ed operanti alla restaurazione capitalistica sulla base del capitalismo dello stato democratico.” [12]

Mentre in Russia la debolezza del sistema consiliare è da imputare ad una oggettiva impreparazione generale alla trasformazione socialista in Germania si trattava di una mancanza soggettiva della volontà di costruire il socialismo, a causa dell’adozione di metodi rivoluzionari che furono in larga misura responsabili dei fallimenti del movimento consiliare, sia nell’uno che nell’atro paese.

In Germania l’opposizione alla guerra si espresse con scioperi nelle fabbriche, che a causa della posizione filobelligeranti dei socialdemocratici e dei sindacati, si espressero come forza organizzata in modo clandestino, attraverso comitati d’agitazione che coordinavano le mobilitazioni.

Nel 1918 sorsero consigli operai e di soldati che rovesciarono il governo. Le organizzazioni ufficiali di sinistra rincorsero questo movimento, non nato nel loro seno. La rivoluzione politica in atto, fu confusa da una minoranza di operi rivoluzionari come una rivoluzione sociale. La socializzazione della produzione invocata dai consigli (che divenivano parlamenti delle correnti della sinistra) era da considerare come un problema di governo che come un vero e proprio potere operaio affermato. Anche in questo caso il processo di svuotamento operato dallo Stato, gestito dai socialdemocratici e dai partiti liberali venne attuato, attraverso la formula del doppio potere, ossia un Assemblea Generale parlamentare che parallela alle assemblea dei consigli, man  mano rendeva insignificante la vita dei consigli.

Avveniva cosi il pieno svuotamento di questi organismi che porto mano a mano i socialdemocratici a dare il potere ai nazisti.

L’evoluzione della rivoluzione politica tedesca, tuttavia è importante non tanto per i contenuti che espresse ma per le forme e le problematiche che porto con se.

I consigli potevano rappresentare una alternativa al sistema capitalista, ma dovevano essere capaci di superare il dualismo di poteri, rompendo che le vecchie organizzazioni e principi del vecchio movimento operaio.

All’interno della sinistra tedesca quindi si sviluppo un interessante e vivace dibattito, anche provocato da lacerazioni violente, l’uccisione della Luxemburg e di Liebknecht da parte dei socialdemocratici polarizzo lo scontro all’interno delle sinistre, alla costituzione di una corrente operaia che rompesse con la sinistra ufficiale, e si modellasse sulla nuova forma di autorganizzazione operaia: i consigli operi.

Questo portò alla costituzione di due partiti comunisti in Germania, uno legato alla Russia filo parlamentarista e filosindacalista e un altro antiparlamentarista e antisindacalista denominato Partito Comunista Operaio Tedesco (KAPD).

Questa divisione era il frutto di un diverso approccio al movimento operaio e alla sua capacita di rompere con il passato. La sinistra comunista operaia tedesca, pose l’accento sui consigli operai, sulla necessita di definirli autonomi e indipendenti dallo Stato.

Dal programma della KAPD, rispetto alle organizzazioni operaie rivoluzionarie di fabbrica (strutture che avrebbero dovuto evolversi da comitati di agitazione in consigli operai):

“essa è conforme all’idea dei consigli, perciò non è affatto una pura forma o un nuovo gioco organizzativo, oppure un ideale mistico, bensì è la forma di manifestazione che cresce nel futuro e che forma il futuro di una rivoluzione sociale che tende alla società senza classi. Essa è un organizzazione di lotta puramente proletaria. Non disperso dalle differenze di mestiere lontano dal suo campo di battaglia, il proletariato può essere organizzato per il rivolgimento totale della vecchia società; ma questo deve avvenire all’interno della fabbrica... Qui la massa si pone come motore della produzione e preme continuamente per controllarla e dirigerla; qui la lotta ideale, il rivoluzionamento delle coscienze, passa da uomo a uomo, da massa a massa, come una corrente incessante.

Tutto è rivolto al più elevato interesse della classe, non ai particolarismi coorporativi, e l’interesse professionale è limitato alla giusta misura.

Una simile organizzazione, spina dorsale dei consigli di fabbrica, diventa uno strumento di lotta di classe continuamente trasformabile, un organismo rinvigorito da sangue sempre fresco per mezzo di relazioni e revoche sempre attuabili. Sviluppandosi all’interno e con le azioni di massa, la organizzazione di fabbrica si dovrà naturalmente dotare di quella sintesi centrale che corrisponde al suo sviluppo rivoluzionario. Il suo punto di forza principale sarà lo sviluppo rivoluzionario e non programmi, statuti o piani dettagliati. Essa non è una cassa di mutuo soccorso ne una assicurazione sulla vita. Anche se naturalmente non ha timore di raccogliere fondi per sovvenzioni di sciopero eventualmente necessarie. I suoi compiti sono la continua propaganda per il socialismo, riunioni di fabbrica, discussioni politiche, ecc; in breve, la rivoluzione nella fabbrica.

Lo scopo dell’organizzazione di fabbrica è, in generale, doppio. Il primo è rivolto alla distruzione dei sindacati, della loro base di sostegno generale e dell’ideologia non proletaria concentrata in essi...

Il secondo grosso obiettivo della organizzazione di fabbrica è la preparazione alla costruzione della società comunista. Membro dell’organizzazione di fabbrica può diventare ogni operaio che parteggia per la dittatura del proletariato. Di ciò fa parte il rifiuto assoluto dei sindacati, e il risoluto distacco dalla loro linee di pensiero. E’ nell’essenza e nella tendenza dell’organizzazione di fabbrica servire al comunismo e condurre alla società comunista. Qui si prepara organicamente l’unità del proletariato, che non è mai possibile sul terreno di un programma di partito. L’organizzazione di fabbrica è l’inizio di una configurazione comunista e sarà il fondamento della futura società comunista” [13]

I limiti di questa interpretazione erano il livello organizzativo di questo schema che prevedeva uno sviluppo dei consigli operai in un economia industriale classica e la facile contrapposizione di strutture operaie rivoluzionarie che si sbarazzavano della contrattazione sindacale invocando un crollo del sistema capitalista imminente, non presagendo la capacità di autoconservazione e recupero delle strutture riformiste. Non vi era posta attenzione alle stratificazioni all’interno della classe, e parallelamente si concepivano già come prefigurazione della società futura.

La ricchezza del dibattito comunque non si fermo a questo rifiuto della sinistra ufficiale ma investi anche le forme di organizzazione dei rivoluzionari rispetto al movimento di classe più in generale. Si sussegui quindi una spaccatura di questa corrente. Vi era chi partiva rigidamente dall’organizzazione operaia rivoluzionaria, a partire dalla fabbrica: AAUDE (Unione Operaia tedesca, unitaria) organizzazione unitaria che rifiutava una organizzazione operaia distinta dalla organizzazione politica. Questa organizzazione non doveva essere determinata dall’alto, ma controllata direttamente dai suoi membri. L’organizzazione operaia rivoluzionaria, impiantata all’interno delle fabbriche non avrebbe provocato un distacco tra gli interessi organizzativi e quelli di classe. Tale forma avrebbe preparato gli operai a servirsi della produzione su base comunista.

L’altra corrente era la KAPD con la struttura parallela della AAU(organizzazione formata da organizzazioni di officina, che rappresentava l’organizzazione economica della KAPD) che pur dando molto peso alle organizzazioni operaie rivoluzionarie riteneva che la forma partito doveva avere ancora un ruolo. I fautori del partito sostenevano che la coscienza di classe, cioè i rivoluzionari marxisticamente preparati, dovevano, pur partecipando alle organizzazioni di fabbrica, essere organizzati in un partito separato, allo scopo di salvaguardare e sviluppare la teoria rivoluzionaria e di sorvegliare l’organizzazione di fabbrica, impedendole di sviarsi.

Tutte queste correnti rimasero tuttavia sempre più isolate, schiacciate da una modificazione produttiva e da una ripresa del sistema capitalista che rendeva obsoleta la loro opzione. Organizzazioni nate per la rivoluzione, in mancanza di questa si contorcevano, in scissioni ed espulsioni, prive ormai del piano empirico.

Va segnalata tuttavia la nascita della KAUD (Unione operaia comunista tedesca), che raccoglieva i resti delle organizzazioni della sinistra comunista operaia tedesca negli anni 30, quando tuttavia si era decisamente chiusa l’ascesa del movimento proletario. Tale organizzazione, sempre impiantata all’interno delle fabbriche, radunava non i lavoratori animati da impeto rivoluzionario (vedi le AUU) ma solamente lavoratori comunisti coscienti. Non si concepiva come l’organizzazione del futuro, a differenza delle precedenti, ma invitava gli operai ad organizzarsi da se, per creare comitati d’agitazione e creare legami tra questi comitati. La lotta di classe “organizzata” non dipendeva più da una organizzazione costituita prima della lotta. Secondo l’impostazione della KAUD, la “classe organizzata” è la classe operaia autorganizzata in lotta. Si veniva così a concepire la lotta di classe e la rivoluzione non in modo statico ma come un processo, nel quale la classe operaia durante la lotta accellerava e controllava il cambiamento.

Il compito della KAUD si riduceva quindi alla propaganda comunista chiarendo gli obiettivi, incitando la classe operaia contro i padroni e le vecchie organizzazioni, soprattutto per mezzo dello sciopero selvaggio. Mostrando la forza e la debolezza della classe e delle sue forme di lotta. Appariva quindi la KAUD come uno strumento, come un gruppo di comunisti operai, che forniscono dei mezzi analitici e pratici per facilitare la lotta di classe in senso comunista, tuttavia il soggetto diventava la classe stessa. La rottura con il vecchio movimento operaio, i suoi modi di organizzazione, e l’intrinseca spinta verso il capitalismo che portava con se era stata individuata.

Tale forma, di organizzazione di militanti, è facile rintracciare in alcune strutture che si battevano per l’autonomia operaia in Italia, Spagna e Francia durante gli anni 70.

La stratificazione di classe in Germania, favori il modello consiliare, e ne rappresento per molti versi la forma organizzata di una figura operaia qualificata. Vi è in questa figura una vocazione gestionista della società ed è quella che meno avverte i limiti democratico-aziendalisti di questa forma, anzi ritiene necessaria un integrazione stato-consiglio, per una allargamento delle libertà costituzionali. Tuttavia se si osserva l’evoluzione di questa forma con la storia della Germania in quegli anni vedremo che accanto alla forma classica di operaio qualificato che trova nella forma del consiglio la struttura dove poter utilizzare il suo sapere operaio, avremo forme consiliari che avranno impulso da figure operaie non qualificate, che troveranno le loro più visibili manifestazioni nell’insurrezione della Ruhr del marzo 1920 e l’insurrezione della Germania centrale del marzo 1921 nota come “marzaktion”. Il denominatore comune di queste lotte, tutte -non a caso- con sbocco insurrezionale, e tutte represse nel sangue dell’esercito, è nel tentativo degli operai di dare attuazione concreta, con l’azione diretta, alle rivendicazioni più sentite, relative inanzitutto alla loro condizioni immediate di vita e lavoro.

Vi è in questa forma la messa in discussione del sistema, in quanto la collocazione produttiva di questo segmento di classe, non poteva vantare una collocazione privilegiata all’interno della società tedesca. In questo caso i consigli operarono come comunità di lotta per il collegamento degli operai armati in milizia. L’aspetto militare in questo caso prevale su quello gestionale, in quanto il soggetto che si muoveva aveva immediatamente il problema di un padronato che non poteva concedergli nulla nei termini di maggiore democraticizzazione del processo lavorativo, in quanto era figura di manovalanza e non tecnica. La capacità di porre comunque il consiglio di fabbrica o territoriale come elemento di ricomposizione, era l’unico strumento che potevano possedere.

Vi era, pur nella limitatezza del periodo storico, la sperimentazione di una altra forma consiliare, che basandosi su soggetti proletari non qualificati o in via di proletarizzazione forzata, portava una spinta nel superare la concezione aziendalista e riduttiva dell’autogestione, per farsi carico di problemi politici generali, investendo sia il terreno del potere statuale (milizie operaie) sia quello della critica radicale del lavoro salariato (riorganizzazione della produzione secondo principi comunisti, soppressione tendenziale della divisione tra lavoro manuale e lavoro intellettuale, fra dirigenti e esecutori, questo per sopperire all’economia durante la lotta).

Questa figura nell’organizzazione del lavoro in Germania non poteva richiedere o far valere le sue conoscenze, era il settore più colpito dalla crisi e doveva rispondere per resistere su livelli molto più ampi.

Questa fu un dei drammatici motivi dell’incapacità del movimento operaio tedesco di darsi un contenuto collettivo nella lotta. Vi erano divisioni profonde, che man mano che la crisi si acutizzava, assumevano comportamenti, culture politiche differenti.

La sinistra comunista operaia tedesca, visse questo periodo, accellerando i momenti di conflitto, ma non risolse il problema, e propose forme organizzative non adeguate alla stratificazione produttiva della Germania.

 

CONCLUSIONI

Abbiamo voluto fare inserire la forma del Consiglio Operaio in un determinato contesto storico politico, legato ad una precisa composizione di classe, che vedeva nella grande fabbrica manifatturiera (dove all’interno si concentravano tutte le fasi della lavorazione) il polo di attrazione e di sviluppo della forma consiliare Forma che si manifesta in periodi storici di cambiamento socio-economci importanti, con quasi sempre un potere statuale debole o in via di disfacimento indipendente.

I Consigli Operai si chiudono come esperienza legata a questa determinata fase sociale con le rivolte operaie nei paesi dell’est dalla Germania dell’Est all’Ungheria del 1956. Non è un caso che queste manifestazioni si hanno in paesi rimasti, essenzialmente allo stadio della grande industria meccanica. La modificazione dell’organizzazione del lavoro, rese cosi sempre più secondaria la figura operaia qualificata, e propose soluzioni in cui il processo di produzione non era più ad appannaggio degli operai.

La metamorfosi della fabbrica meccanica e il suo integrarsi nella società e in diversi settori, portò con se forme di organizzazione più complesse. L’estensione di settori quali i poli logistici e le comunicazioni-trasporti ha reso molto più complesso e quindi improponibile un sistema consiliare basato sul semplice controllo della produzione azienda per azienda. Vi sono miriadi di lavoratori che conoscono a malapena la posizione che hanno nell’organizzazione del flusso produttivo, spezzettatto nell’esternalizzazione generalizzata della produzione.

I tentativi nati negli anni 70 hanno cercato di portare questa complessità, che si innestava anche in un diverso rapporto con lo Stato e con le strutture politiche di sinistra, divenute strutture a base capitalistica.

Le forme che si svilupperanno successivamente a questa fase vedranno un progressivo superamento della forma produttivistica e si percepiranno come strutture mobili di lotta capaci di irradiarsi su più ambiti, vedi in proposito la nascita delle assemblee autonome in Italia, dei comitati di agitazione in Francia dei collettivi autonomi in Spagna. Tale forma pur avendo ancora nella fabbrica il suo centro, la maggior parte di queste avanguardie di classe si formeranno all’interno elle fabbriche manifatturiere, troveranno un allargamento nei servizi. Cosi scrivevano i compagni dell’Assemblea Autonoma della Pirelli-Alfa Romeo e del Comitato di lotta Sit Simens nel 1973:

“La possibilità di sviluppo degli organismi autonomi con la funzione che correttamente faccia fronte alla necessità che l’autonomia operaia esprime, si deve basare su tre principi:

la gestione della lotta nella fabbrica, in tutte le sue implicazioni, e fuori dalla fabbrica, attraverso collegamenti diretti, deve essere assicurata dalla capacità di direzione operaia.

L’organismo autonomo deve saper saldare, negli obiettivi, nei momenti organizzativi, nella linea strategica che ne consegue, la lotta economica con quella politica, rifiutando il riprodursi della separazione tipica delle organizzazioni operaie tradizionali, tutte naufragate nel riformismo, tra il sindacato da una parte e partito dall’altra.

L’organismo autonomo deve diventare momento centrale in cui, dall’interno della situazione di classe e sotto il controllo della direzione operaia, si elabora e su verifica nello stesso tempo la linea complessiva che deve tendere strategicamente ad opporsi al disegno del capitale, attaccandolo sul piano rivoluzionario.

E’ chiaro che per poter svolgere correttamente questa funzione si debbano attuare collegamenti sempre più stabili tra i vari organismi autonomi, delle fabbriche e del terreno sociale, che emergono dalle situazioni di classe.” [14]

La forma consiliare è superata, e dentro la nuova composizione di classe, è difficile per ora intravedere quali saranno le forme che prenderà la classe in lotta. Legato a questo vi è un secondo quesito, in che modo, attraverso questa organizzazione del lavoro, la lotta di classe e il relativo potere operaio esercitato, arriverà ad una dimensione comunista complessiva.

Le forme non crediamo che siano realmente discriminanti, ma piuttosto legate ad uno specifico livello del Capitale. Ora è improponibile una modellistica che si basa sui consigli, ma è altrettanto lontano una proto sindacale, o partito-stato.

In questi tre modelli tuttavia il più fecondo come contenuti rimane il modello consiliare, nella sua valorizzazione dell’autorganizzazione operaia, nel rifiuto delle gerarchie, nel basarsi su un punto rigidamnete materiale di classe, dove la classe si rende forte della sua comunità e trova i modi e le forme di attacco nella stessa organizzazione sociale creata dal Capitale. E’ questo che rimane dell’esperienza consilare è che apparira ogni qual volta che la classe si rende indipendente e negatrice del capitale. Quindi non tanto nella forma ma nei contenuti la pratica organizzativa dei consigli è da utilizzare come bussola. A.Pannekoek polemizzando con chi credeva in modo feticistico alla forma consiliare scriveva:

“La realizzazione di tale principio non passa attraverso una discussione teorica su quali possono essere le sue migliori possibili modalità di esecuzione. E’ una questione di lotta pratica contro l’apparato di dominazione capitalista. Ai giorni nostri, non si può affatto intendere per consigli operai un’associazione fraterna avente fine in se stessa; -consigli operai- equivale a -lotta di classe- (dove la fraternità trova pure il suo posto), significa l’azione rivoluzionaria contro il potere dello stato. Le rivoluzioni -è evidente- non si fanno su ordinazione; esse sorgono spontaneamente, quando la situazione diventa intollerabile, nei momenti di crisi. Esse non nascono se non quando questa sensazione di intollerabilità si radica sempre più nelle masse, quando appare in esse una certa coscienza omogenea di ciò che si deve fare...L’idea dei consigli operai non ha perciò nulla a che vedere con un programma di realizzazioni pratiche, da mettere domani, oppure l’anno prossimo, ma si tratta unicamente di un filo conduttore per la lunga e dura lotta di emancipazione che la classe operaia ha ancora davanti a sè. Marx un tempo diceva, certamente, a proposito di questa lotta: l’ora del capitalismo è suonata, ma aveva avuto cura di non vedere come, ai suoi occhi, questo -ora- ricopriva tutto un periodo storico” [15].

E’ da rigettare quindi una vuota prefigurazione della società futura attraverso i consigli, ma è altrettanto importante andare ad osservare e intervenire in quei settori che acquisiscono importanza rispetto al piano del capitale. Il ruolo di un gruppo di operai rivoluzionari non è invocare i consigli e neppure irrigimentarsi rispetto alla proprio organismo politico, ma offrire reali strumenti teorici e pratici al movimento proletario [16].

In questa breve ricostruzione abbiamo sicuramente tralasciato tappe importanti riguardo alla forma consiliare, dalla Comune di Parigi, all’esperienza spagnola del 1936, ai consigli operai in Cina nella fine degli anni 20, rimane tuttavia per noi importante rimarcare che in tale forma, pur all’interno di contraddizioni oggettive e soggettive, si realizzava una delle più lapidarie ed eterne enunciati del proletariato rivoluzionario della I Internazionale: L’emancipazione dei lavoratori sarà opera dei lavoratori stessi.

Precari Nati

 


[1] K.Marx, 1871 La Comune di Parigi, la guerra civile in Francia, International, 1971

[2] Trockij, 1905, La Nuova Italia, 1971

[3]Manifesto del Gruppo Operaio del Partito Comunista Russo (Bolscevico) 1923, ora in Roberto Sinigaglia, Mjasnikov e la rivoluzione russa, Jaca Book, 1973. Tale gruppo dava vita alla sinistra comunista russa, che si oppose alla burocratizzazione e all’interclassismo del partito bolscevico nei primi anni 20. Tale organizzazione venne distrutta dalla repressione esercitata dalla stato bolscevico contro le minoranze di estrema sinistra. Una delle tesi centrali di questo gruppo era la radicalizzazione del potere operaio attraverso i soviet.

[4] A. Pannekoek, la rivoluzione russa (testo del 1946), ora in: L’antistalinismo di sinistra e la natura sociale dell’URSS a cura di B.Bongiovanni, Feltrinelli, 1975

[5] Lo sviluppo del sistema industriale fu legato solo ad alcune aree metropolitane in Russia, tuttavia tale processo fu rapido e tumultuoso. Ovviamente la concentrazione operaia era particolarmente imponente nella capitale, Pietrogrado nel 1917 aveva 400.000 lavoratori per il 60% occupati nelle industrie metallurgiche. Tali concentramenti favorirono lo sviluppo della forma sovietista, tuttavia nel loro estremo isolamento contribuirono a frenare il movimento. L’organizzazione del lavoro interna alle fabbriche russe, era basata su modellistiche arretrate se si osservano le fabbriche in Europa dell’epoca, vi era l’utilizzo di figure operaie-semitecnici (sopratutto se si pensa che vi fu una conversione alla meta degli anni 10 rispetto all’industria bellica). Tale figura rappresentava la base sociale dei partiti socialisti (dai menscevichi ai bolscevichi),dotato di un istruzione era più propenso alla sindacalizzazione.

Esisteva tuttavia una massa informe operaia a basso profilo professionale, che rappresentava le ondate migratorie dei contadini proletarizzati verso la città. Questo soggetto si portava con se tutte le contraddizioni della campagna russa, ama al tempo stesso un livello elementare di ribellione “buntovstvo”. Pur aderendo al sistema sovietista, tale massa inizierà a prendere il sopravvento durante la rivoluzione in corso, rimettendo in discussione il potere del partito bolscevico e chiedendo maggiore potere ai soviet.

[6] B.Fortichiari, Ricordo di Gramsci (1957), ora in, A.Peragalli, Il comunismo di sinistra e Gramsci, Dedalo, 1978.

[7] A.Bordiga, Per la costituzione dei consigli operai in Italia, (1920) ora in A.Peragalli o.c.

[8] A.Gramsci, Democrazia Operaia, Ordine Nuovo (1919), ora in P.Spriano, L”Ordine Nuovo” e i consigli di fabbrica, Einaudi, 1973

[9] Se si tiene come riferimento la piena autonomia operaia e le sue forme di realizzazioni distinte e contrapposte dal vecchio movimento operaio e dalle sue forme organizzative. Questa rotture che si avranno sia a livello teorico sia organizzativo, riguarderanno formazioni politiche e esperienze di classe in Germania nel filone della sinistra comunista tedesca negli USA con gli IWW.

[10] L’Unione Sindacale Italiana, era composta da ampi settori di militanti anarchici, anche se il filone maggioritario rimaneva quello sindacalista rivoluzionario, spesso a torto fatto coincidere con quello anarchico. Tale organizzazione avrà il merito di portare in Italia, le nuove forme di organizzazione diretta di classe basate sull’industria, derivanti dall’esperienza americana della IWW. Spesso misconosciuta o volutamente ignorata, questa esperienza sindacale rivoluzionaria dette pur con tutti i limiti, uno dei più grandi contributi al movimento proletario rivoluzionario nei primi anni del secolo. Di questa esperienza rimane solo il nome attualmente, tenuto in piedi da una minoranza di anarchici nostalgici.

[11] C.Meijer, Il movimento dei Consigli in Germania (1919-1936), GdC, 1973

[12] C.Meijer o.c.

[13] Ora in Collegamenti per l’organizzazione diretta di classe, Consigli operai e comunismo dei consigli, Quaderno n.3, 1981

[14] Ora in Di Base, n.7, 1998

[15] Ora in S.Bricianer, Pannekoek e i consigli operai, Musolini, 1975

[16] Dalla presentazione della nostra esperienza pubblicata su alcuni dei nostri materiali di propaganda: “Precari nati vuole essere una rete operaia che favorisca la collaborazione con dei gruppi autonomi di lavoratori che cercano di elevare il livello delle lotte nelle loro aziende o territorio, la chiarificazione teorica (sulla situazione economica e sul portato storico del movimento proletario), la controinformazione e l’analisi di situazioni particolari (scioperi, resoconti sulle situazioni contrattuali-produttive di lavoro). Precari nati edita un bollettino di controinformazione e dei quaderni (Sul lavoro interinale, sulla situazione operaia, sulle nuove organizzazioni del lavoro, sulla memoria e teoria del movimento proletario, ecc...) e da vita ad una serie di fogli aziendali e territoriali”