Mariàtegui Josè Carlos

Nazionalismo e Internazionalismo

 

 

15° conferenza de ciclo “Storia della crisi mondiale”, tenuta presso l’Università Popolare “ Manuel Gonzàles Prada” del Perù il 2/11/1923.

 

In varie delle mie conferenze ho spiegato come ha acquistato solidarietà, come si è uniformata e come si è internazionalizzata, la vita dei genere umano. Più esatta­mente la vita del genere umano occidentale. Tra tutte le nazioni assimilate alla civiltà europea, alla civiltà occidentale si sono stabiliti vincoli e legami nuovi nella storia dell'umanità. L'internazionalismo non è solamente un ideale; è una realtà storica. L’internazionalismo esiste come ideale perché è la nuova realtà, la realtà nascente. Non è un ideale arbitrario, non è un ideale assurdo di qualche sognatore e di qualche utopista. É quell'ideale che Hegel e Marx definiscono Come la nuova e superiore realtà storica che, rinchiusa nelle viscere della realtà attuale, lotta per affermarsi e che fino a quando non è attuata o mentre è in via di attuazione, appare come un'ideale di fronte alla vecchia e decadente realtà. Un grande ideale umano, una grande aspirazione umana non nasce dal cervello né emerge dall'immaginazione di un uomo più o meno geniale. Nasce dalla vita. Emerge dalla realtà storica. É la pre­sente realtà storica. L'umanità non insegue mai chimere insensate né irraggiungibili; l'umanità corre dietro a quegli ideali la cui realizzazione avverte vicina, avverte matura e possibile. Con l'umanità avviene lo stesso che avviene con l'individuo. L'indivi­duo non aspira mai a una cosa assolutamente impossibile. Aspira sempre a una cosa relativamente possibile, una cosa relativamente raggiungibile. Un umile uomo di paese, a meno che non si tratti di un pazzo, non sogna mai l'amore di una principes­sa né di una plurimilionaria lontana e sconosciuta, sogna invece l'amore di una ragazza di paese a cui lui possa parlare e che possa convincere. Al bambino che inse­gue una farfalla può capitare di non afferrarla, di non riuscire mai a prenderla; ma perché corra dietro ad essa è indispensabile che la creda o che la senta relativamente alla sua portata. Se la farfalla se ne va lontano, se il suo volo è molto veloce, il bambino rinuncia alla sua Impossibile conquista. Lo stesso e l'atteggiamento dell'umanità di fronte all'ideale. Un ideale capriccioso, un'utopia impossibile, per belli che siano, non commuovono mai le masse. Le masse si emozionano e si appassionano davanti a quella teoria che costituisce una meta vicina, una meta probabile; davanti a quella dottrina che si basa sulla possibilità; davanti a quella dottrina che non è altro che la rivelazione di una nuova realtà in movimento, di una nuova realtà in cammino. Vediamo per esempio come sono apparse le idee socialiste e perché hanno appassionato le masse. Kautsky, quando ancora era un socialista rivoluzionario, insegnava, d'accordo con la storia, che la volontà di realizzare il socialismo nacque dalla crea­zione della grande industria. Dove prevale la piccola industria I'ideale di chi non possiede nulla non è la socializzazione della proprietà ma l'ottenimento di un poco di proprietà individuale. La piccola industria genera sempre la volontà di conservare la proprietà privata dei mezzi di produzione e non la volontà di socializzare la pro­prietà e di istituire il socialismo. Questa volontà sorge lì dove la grande industria è sviluppata, dove non vi siano ormai dubbi sulla sua superiorità rispetto alla piccola industria, dove il ritorno alla piccola industria sarebbe un passo indietro, significhe­rebbe una regressione economica e sociale. La crescita della grande industria, il sor­gere delle grandi fabbriche uccide la piccola industria, rovina il piccolo artigiano; ma nello stesso tempo crea la possibilità materiale della realizzazione del socialismo e crea, soprattutto, la volontà di portare a termine questa realizzazione. La fabbrica riunisce una grande massa di operai; cinquecento, mille, duemila operai; e genera in questa massa non il desiderio del lavoro individuale e solitario, ma il desiderio dello sfruttamento collettivo e associato di questo strumento di ricchezza. Pensate a come comprende e come sente l'operaio della fabbrica l'ideale sindacale e l'idea collettivi­sta; e pensate, invece, come la stessa idea è difficilmente comprensibile per il lavora­tore isolato della piccola officina, per l'operaio isolato che lavora per conto proprio. La coscienza di classe germoglia facilmente nelle grandi masse delle fabbriche e delle vaste contrattazioni; germoglia difficilmente nelle masse disperse dell'artigianato e della piccola industria. II latifondo industriale e il latifondo agricolo conducono l'operano prima alla organizzazione per la difesa dei suoi interessi di classe e, dopo, alla volontà di espropriare il latifondo e di sfruttarlo collettivamente. Il socialismo, il sindacalismo, non sono scaturiti così da nessun libro geniale: sono sorti dalla nuova realtà sociale, dalla nuova realtà economica. E lo stesso accade con I'internazionalismo.

Da molti lustri, da quasi un secolo approssimativamente, si osserva nella civiltà europea la tendenza a preparare un'organizzazione internazionale delle nazioni d'occidente Questa tendenza non ha solo manifestazioni proletarie; ma anche manifestazioni borghesi. Bene, nessuna di queste manifestazioni è stata arbitraria né si è prodotta a caso; è stato sempre, al contrario, il riconoscimento istintivo di un nuovo stato di cose, latente. Il regime borghese, il regime individualista liberò da ogni impaccio gli interessi economici. Il capitalismo, all'interno del regime borghese, non produce per il mercato nazionale; produce per il mercato internazionale. La sua necessità di aumentare ogni giorno di più la produzione lo lancia alla conquista di nuovi mercati. Il suo prodotto, la sua merce non conoscono frontiere; lotta per sorpassare e per assoggettarne i confini politici. La concorrenza tra gli industriali è internazionale. Gli industriali, oltre ai mer­cati, si contendono in campo internazionale le materie prime. L'industria di un paese si rifornisce del carbone, del petrolio, dei minerali di diversi e lontani paesi. In conse­guenza di questo tessuto internazionale di interessi economici, le grandi banche dell'Europa e degli Stati Uniti risultano delle entità profondamente internazionali e cosmopolite. Queste banche investono capitali in Australia, in India, in Cina, nel Transvaall. La circolazione di capitali, attraverso le banche, è una circolazione interna­zionale. Il finanziere inglese che deposita il suo denaro in una banca di Londra ignora forse dove sarà investito il suo capitale, da dove proviene il suo reddito, il suo dividen­do. Ignora se la banca destina il suo capitale, per esempio, all'acquisto di azioni della, Peruvian Corporation; in questo caso, il finanziere inglese risulta, senza saperlo, comproprietario delle ferrovie peruviane. Lo sciopero dei Ferrocarril Central può colpirlo, può diminuire il suo dividendo. Il finanziere inglese lo ignora. Allo stesso modo, l'operaio delle ferrovie, il macchinista peruviano ignorano l'esistenza di questo finanziere inglese nel cui portafoglio andrà a finire una parte del loro lavoro. Questo esempio, questo caso, ci servono per spiegarci i legami economici, la solidarietà economica della vita internazionale della nostra epoca. E ci servono per spiegarci l'origine dell'internazionalismo borghese e l'origine dell'internazionalismo operaio che è un'origine comune e opposta allo stesso tempo. Il proprietario di una fabbrica di tessuti dell'Inghilterra ha interesse a dare ai suoi operai un salario minore di quello pagato dal proprietario di una fabbrica di tessuti degli Stati Uniti, affinché la sua merce possa essere venduta più a buon prezzo e in modo vantaggioso e abbondante. E questo fa sì che l'operaio tessile nordamericano abbia interesse al fatto che non venga abbassato il salario dell'operaio tessile inglese. Una diminuzione dei salari nell'industria tessile inglese è una minaccia per l'operaio di Vitarte, per l'operaio di Santa Catalina In virtù di questi fatti i lavoratori hanno proclamato la loro solidarietà e la loro fratellanza al di sopra delle frontiere delle nazionalità. I lavoratori hanno visto che quando conducevano una battaglia non era solo contro la classe capitalista del proprio paese; ma anche contro la classe capitalista del mondo. Quando gli operai dell'Europa hanno lottato per la conquista della giornata lavorativa di otto ore, hanno lottato non solo per il proletariato europeo ma anche per il proletariato mondiale. A voi, lavoratori del Perù, è stato facile conquistare la legge delle otto ore perché la legge delle otto ore era già in via di attuazione in Europa. II capitalismo peruviano ha ceduto alle vostre richieste perché sapeva che anche il capitalismo europeo stava cedendo. E, allo stesso modo, naturalmente, non sono indifferenti alla vostra sorte le battaglie che conducono attualmente i lavoratori dell'Europa. Ognuno degli operai che cade in questi momenti sulle strade di Berlino o sulle barricate di Amburgo non cade solo per la causa del proletariato tedesco. Cade anche per la vostra causa, compagni del Perù.

E per questo, è per questa constatazione di un fatto storico che da più di mezzo secolo, da quando Marx ed Engels fondarono la Prima Internazionale, le classi lavoratrici del mondo tendono a creare associazioni di solidarietà internazionale che unisca­no la loro azione e uniformino il loro ideale. Ma a questo stesso effetto della vita economica moderna non è insensibile, nel campo opposto, la politica capitalista. Il liberalismo borghese, il liberalismo economico che ha consentito agli interessi capitalistici di espandersi, di stabilire contatti e di asso­ciarsi, al di sopra delle Nazioni e delle frontiere, ha dovuto per forza includere nel suo programma il libero scambio. Il libero scambio, la teoria del libero scambio corrisponde a una necessità profonda e concreta di un periodo della produzione capitalistica. Che cos'è il libero scambio? Il libero scambio, la libera circolazione, è il libero commercio delle merci attraverso tutte le frontiere di tutti i paesi. Tra le nazioni non esistono solo frontiere politiche, frontiere geografiche. Esistono anche frontiere economiche. Queste frontiere economiche sono le dogane Le dogane che, all'entrata nel paese, gravano sulla merce con un'imposta. II libero scambio pretende di abbattere queste frontiere economiche, di abbattere le dogane, di esentare da tasse il libero passaggio delle merci in tutti i paesi. In questo periodo di apogeo della teoria del libero scambio la borghesia è stata, in conclusione, eminentemente internazionalista. Qual'era la causa del suo libero scam­bio e la causa del suo internazionalismo? Era la necessità economica la necessità commerciale dell'industria di espandersi liberamente nel mondo. II capitalismo di alcuni paesi molto sviluppati economicamente trovava un impedimento alla sua espansione nelle frontiere economiche e pretendeva di abbatterle. Questo capitalismo basato sul libero scambio che naturalmente non comprende tutto il campo capitalista ma solo una parte di questo, fu anche pacifista. Sosteneva la pace e il disarmo, perché vedeva nella guerra un elemento di disordine e di turbamento della produzione. Il liberoscambismo era un'offensiva del capitalismo britannico, il più sviluppato del mondo, il più preparato a concorrere con i capitalismi rivali. In realtà, il capitalismo non poteva fare a meno di essere internazionalista perché il capitalismo è per natura e per necessità imperialista. Il capitalismo crea un nuovo tipo di conflitti storici e di conflitti bellici. Conflitti non tra le nazioni, non tra le razze, non tra le nazionalità antagoniste, ma conflitti tra blocchi, tra i conglomerati di interessi economici e industriali. Questo confitto tra due capitalismi rivali, quello britannico e quello tedesco, ha condotto il mondo all'ultima grande guerra. E da questa, come già ho avuto occasione di spiegarvi, la società borghese è uscita profondamente minata e indebolita, proprio a causa del contrasto tra le passioni nazio­naliste dei popoli che li separano e li rendono nemici, e la necessità della collaborazione, della solidarietà e della amnistia reciproca tra di essi, come unico mezzo per una comune ricostruzione. La crisi capitalista, in uno dei suoi aspetti principali, risiede proprio in questo: nella contraddizione della politica della società capitalista con l'econo­mia della società capitalista. Nella società attuale la politica e l'economia hanno smesso di coincidere, hanno smesso di andare d'accordo. La politica della società attuale è nazionalista; la sua economia è internazionalista. Lo Stato borghese è costruito su una base nazionale; l'economia borghese ha bisogno di poggiare su di una base internazio­nale. Lo Stato borghese ha educato l'uomo al culto della nazionalità, lo ha contagiato di avversioni e di differenza e anche di odio verso le altre nazionalità; l'economia borghese ha bisogno, invece, di accordi e di intesa tra nazionalità diverse e anche nemiche. L'insegnamento tradizionalmente nazionalista dello Stato Borghese, eccitato e stimolato nel periodo della guerra, ha creato, soprattutto nella classe media, uno stato d'animo intensamente nazionalista. E adesso e questo stato d’animo ciò che impedisce che le nazioni europee si mettano d'accordo e si coordinino intorno a un programma comune di ricostruzione dell'economia capitalista. Questa contraddizione tra la struttura politica del regime capitalista e la sua struttura economica è il sintomo più profondo, più eloquen­te della decadenza e della dissoluzione di questo ordine sociale. É anche la rivelazione, o meglio la conferma del fatto che la vecchia organizzazione politica della società non può sussistere perché all'interno dei suoi modelli, all'interno delle sue forme rigidamente nazionaliste non possono prosperare, non possono svilupparsi le nuove tendenze economiche e produttive del mondo, la cui caratteristica è l'internazionalismo. Questo ordine sociale è in declino e decade perché ormai dentro ad esso non trova spazio l'espansione delle forze economiche e produttive del mondo. Queste forze eco­nomiche e produttive aspirano a un'organizzazione internazionale che consenta il loro sviluppo, la loro circolazione e la loro crescita. Questa organizzazione internazionale non può essere capitalista perché lo Stato capitalista, senza rinnegare la sua struttura, senza rinnegare la sua origine, non può smettere di essere Stato nazionalista .

Ma questa incapacità della società capitalista e individualista a trasformarsi, in armonia con le necessità internazionali dell'economia, non impedisce che appaiono in essa dei segnali preliminari di un'organizzazione internazionale dell'umanità. All'interno del regime borghese, nazionalista e sciovinista, che allontana i popoli e li rende nemici, si tesse una fitta rete di solidarietà internazionale che prepara il futuro dell'umanità. La borghesia stessa non può astenersi dal creare con le sue mani organismi e istituti inter­nazionali che attenuino la rigidità della sua teoria e della sua pratica nazionalista. Abbiamo visto così apparire la Società delle Nazioni. La Società delle Nazioni, come ho detto nella conferenza ad essa dedicata, è nel fondo un omaggio dell'ideologia borghese all'ideologia internazionalista. La Società delle Nazioni è un'illusione perché nessun potere umano può evitare che al suo interno si producano i conflitti, le inimicizie e gli squilibri inerenti all'organizzazione capitalista e nazionalista della società. Supponendo che la Società delle Nazioni arrivasse a comprendere tutte le nazioni del mondo, non per questo la sua azione sarebbe efficacemente pacifista né capace di regolare efficacemente i conflitti e i contrasti tra le nazioni, perché l'umanità, riflessa e sintetizzata nella sua assemblea, sarebbe sempre la stessa umanità nazionalista di prima. La Società delle Nazioni avrebbe riunito i delegati dei popoli; ma non avrebbe riunito i popoli stessi. Non avrebbe eliminato i motivi di contrasto tra questi. Le stesse divisioni, le stesse rivalità che avvicinano o rendono nemiche le nazioni nella geografia e nella storia, le avrebbero avvicinate o rese: nemiche all'interno della Società delle Nazioni. Si sarebbero con­servate le alleanze, i compromessi, le ententes che riuniscono i popoli in blocchi antagonisti e nemici La Società delle Nazioni, infine, sarebbe stata un'internazionale di classi sociali, un'Internazionale di Stati; ma non un'Internazionale di popoli. La Società delle Nazioni sarebbe stata un internazionalismo di etichetta, un internazionalismo di faccia­ta. Questa sarebbe stata la Società delle Nazioni nel caso in cui avesse riunito nel suo seno tutti i governi, tutti gli Stati. Attualmente, quando non riunisce altro che una parte dei governi e una parte degli Stati, la Società delle Nazioni rappresenta molto meno ancora. É un tribunale senza autorità, senza giurisdizione e senza forza, al margine del quale le nazioni contrattano e litigano, negoziano e si attaccano.

Ma, nonostante tutto, la comparsa, l'esistenza dell'idea della Società delle Nazioni, il tentativo di realizzarla è un riconoscimento, è una dichiarazione dell'evidente realtà dell'internazionalismo della vita contemporanea, delle necessità internazionali della vita dei nostri tempi. Tutto tende a vincolare, tutto tende a collegare gli uomini e i popoli in questo secolo. Nei tempi passati lo scenario di una civiltà era ridotto, era piccolo; nella nostra storia e quasi tutto il mondo. Il colono inglese che si stabilisce in un angolo selvaggio dell'Africa porta in quell'angolo il telefono, il telegrafo, I'automobile. In quell'angolo risuona l’eco dell'ultima arringa di Poincaré o dell'ultimo discorso di Lloyd George. Il progresso delle comunicazioni ha collegato e unificato fino a un grado inverosimile l'attività e la storia delle nazioni. Accade che il pugno che mette a terra Firpo sul ring di New York sia conosciuto a Lima, in questa piccola capitale sudamericana, solo due minuti dopo essere stato visto dagli spettatori del macth. Due minuti dopo avere commosso gli spettatori delle tribune nordamericane, questo stesso pugno costernava la brava gente che stava facendo la coda davanti all'entrata dei gior­nali di Lima. Ricordo questo esempio per darvi la sensazione precisa dell'intensa comunicazione che esiste tra le nazioni del mondo occidentale, a causa della crescita e del perfezionamento delle comunicazioni. Le comunicazioni sono il tessuto nervoso di questa umanità internazionalizzata e solidale. Una delle caratteristiche della nostra epoca è la rapidità, la velocità con cui si propagano le idee, con cui si trasmettono le correnti di pensiero e la cultura. Un'idea nuova, che spunta in Inghilterra, è un'idea inglese solo durante il tempo necessario affinché sia stampata. Una volta lanciata nello spazio dai giornali questa idea, se traduce qualche verità universale, può trasformarsi istantaneamente anch'essa in un'idea universale. Quanto avrebbe tardato, Einstein in altri tempi a raggiungere una popolarità mondiale? Nel nostro tempo, la teoria della relatività, nonostante la sua complicazione e il suo tecnicismo, ha fatto il giro del mondo in pochissimi anni. Tutti questi fatti sono altrettanti segni dell'internazionalismo e della solidarietà della vita contemporanea.

In tutte le attività intellettuali, artistiche, scientifiche, filantropiche, morali, ecc. si osserva oggi la tendenza a costruire organi internazionali di comunicazione e di coordi­namento. In Svizzera ci sono le sedi di più di ottanta associazioni internazionali. C'è un'internazionale dei maestri, un'internazionale dei giornalisti, c'è un'internazionale femminista, c'è un'internazionale studentesca. Perfino i giocatori di scacchi, se non mi sbaglio, hanno uffici internazionali o cose simili. I maestri di ballo hanno tenuto a Parigi un congresso internazionale nel quale hanno discusso sulla convenienza di mantenere in voga il fox trot o di resuscitare la pavana. Si sono gettate così le basi di un'internazionale dei ballerini. C'è di più. Tra le correnti internazionaliste, tra i movimenti internazio­nalisti ce n'è uno che sta prendendo forma, curioso e paradossale come nessun altro. Mi riferisco all'internazionale fascista. I movimenti fascisti sono, come sapete, ferocemente sciovinisti e patriottardi. Succede, tuttavia, che si stimolino e si aiutino tra di loro. I fascisti italiani aiutano, a quanto si dice, i fascisti ungheresi. Mussolini una volta fu invi­tato dai fascisti tedeschi a visitare Monaco. Il governo fascista italiano ha accolto con esplicita ed entusiastica simpatia il sorgere del governo filofascista spagnolo. Perfino il nazionalismo, dunque, non può prescindere da una certa fisionomia internazionalista.