indice n.158

“Students always lead the way”
Mobilitazioni nelle università italiane
La sinistra tedesca ha un problema di sionismo
Il 25 Aprile di quest’anno a Milano
L’Aquila sezione distaccata della procura di Telaviv
Lettere dal carcere di Terni
dalle lotta contro i campi di internamento
Non solo il Beccaria. Il carcere minorile va chiuso
LETTERA DAL CARCERE DI IVREA (TO)
Lettera dal carcere di Milano-Opera
A rebibbia comincia lo sciopero della spesa
Lettera dal carcere di Vigevano (PV)
Lettera dal carcere di Secondigliano (Na)
Lettere dal carcere di Palermo
Cabi Cattaneo allo scoperto
Lettera dal carcere di Sulmona (AQ)
La lotta contro il 41 bis e la repressione che l'accompagna
de SUPPOSTE e de MATTONI



“Students always lead the way”
Si estende la protesta nelle università statunitensi
Sono circa una trentina, negli Stati Uniti, gli atenei che vedono fiorire accampamenti in solidarietà con la Palestina.
La scintilla che ha incendiato la prateria è scoccata il 17 aprile alla Columbia, al centro di New York, ma molte altre
università hanno raccolto il testimone e rilanciato l’iniziativa per cercare di porre fine al genocidio palestinese,
interrompere le relazioni con le aziende implicate nella macchina da guerra sionista e opporsi al sostegno statunitense
allo “Stato ebraico”.
La protesta si rafforza e si estende, nonostante l’intervento delle varie “forze per la sicurezza” che hanno proceduto
ad arresti di massa. Come è stato fatto notare, sono state impiegate forze di polizia che spesso o hanno ricevuto
addestramento in Israele o da personale israeliano. Corpi il cui modus operandi è stato rivelato al mondo e messo in
discussione dalla prima, e sopratutto dalla seconda, ondata del movimento #BlackLiveMatters. Secondo una stima del New
York Times 108 manifestanti sono stati arrestati il 18 aprile dalla New York City police a Manhattan, 28 alla Emory
University di Atlanta (dopo lo sgombero con gas urticanti), 93 alla University of South California, a Los Angeles, dopo
uno sgombero violento; 108 sono stati arrestati all’Emerson College di Boston, 57 all’University of Texas di Austin. E
l’elenco potrebbe continuare… Nella stima fatta dal NYT il 24 aprile, il numero degli arrestati è già molto oltre i 400.
La Reuters, in un calcolo aggiornato al 26 aprile, afferma che sono più di 550.
Le azioni poliziesche sono state condannate da Human Right Watch e dalla American Civil Liberties Union.
Le accuse di “antisemitismo” rivolte agli studenti – fatte proprie dallo stesso premier israeliano che in un discorso
sembra voler dettare l’agenda politica all’amministrazione statunitense anche riguardo di ciò che succede nelle
università nord-americane – sono piuttosto paradossali considerato che, tra l’altro, tra gli animatori della protesta ci
sono molti studenti di origine ebraica dell’associazione Jewish Voice of Peace.
La scorrettezza semantica – si dovrebbe usare il termine “antiebraico” e non “antisemita”, visto gli arabi sono “semiti”
– è tutt’altro che casuale, ma rivela una forte intenzionalità politica. E’ infatti chiaro che in Occidente qualsiasi
critica alla politica israeliana nei confronti dei palestinesi viene ormai definita tale per attivare un dispositivo
criminalizzante.
Negli Stati Uniti, oltretutto, una legge votata in maniera bipartisan ha equiparato l’antisionismo (la critica radicale
ad un progetto politico colonialista) all’antisemitismo (l’odio per una religione e/o un popolo). L’intellettuale ed
attivista statunitense di origini ebraiche Naomi Klein, in una dimostrazione a Brooklyn, di fronte a centinaia di ebrei
di New York ha recentemente affermato: “Non abbiamo bisogno o non vogliamo il falso idolo del sionismo. Vogliamo essere
liberi da un progetto che commette il genocidio nei nostri nomi”. Più chiara di così…
Il canale d’informazione indipendente Democracy Now ha intervistato diversi studenti e sturdentesse di origini ebraiche
attive in queste proteste.
Ad esempio Sarah King, arrestata alla Columbia e “sospesa”, oltre ad essere cacciata dal dormitorio universitario dove
alloggiava, senza più la possibilità di consumare i pasti e infine bandita dal campus.
Ma si tratta di una “punizione collettiva” nei confronti molti studenti mobilitati, e sa di vera e propria rappresaglia
da parte della governance di istituti presentati come il fiore all’occhiello del “libero” Occidente, dove studenti
pagano rette da capogiro che diventano spesso lucrosi investimenti.
“Ora stanno minacciando di mandare la National Guard” – afferma Sara – “rischiando un’altra Jackson State, un’altra Kent
State, dove degli studenti sono stati uccisi per l’intervento della National Guard contro di loro”. Si riferisce, non
casualmente, alle stragi avvenute durante il movimento contro la guerra in Vietnam, negli anni ’60 e ’70.
A Kent State, in Ohio, il 4 maggio del 1970, la Guardia Nazionale uccise 4 studenti e ne ferì altri nove. Un episodio
poi reso celebre anche dalla canzone Ohio di Crosby, Stills, Nash & Young.
Nel forse meno conosciuto massacro di Jackson State, nel Mississippi, il 15 maggio dello stesso anno, la polizia aprì il
fuoco su studenti e passanti, uccidendo due studenti afro-americani e ferendone 12.
Sara continua più avanti affermando che: “La lotta studentesca per la liberazione della Palestina è parte di una
coalizione interraziale – molti studenti sono ebrei, islamici, afro-americani, latino-americani, ed arabi – che lavorano
insieme per la causa della libertà”.
Oltre a Jewish Voice for Peace, creata nel 1996, sono attive le oltre 200 sezioni della coalizione Students for justice
in Palestine, ed organizzazioni più recenti come IfNoNow, un gruppo di ebrei di sinistra nato nel 2014…
A fare le spese della repressione anche alcuni professori, soprattutto donne, come Caroline Fohlin a Emory, specialista
riconosciuta in storia del sistema finanziario, e la filosofa Noëlle McAfee. Ma l’impressionante cacofonia dei media
mainstream statunitensi sembra voler distogliere l’attenzione dai motivi reali della protesta. Testimonia uno studente –
che come gli altri preferisce restare anonimo – alla rete di informazione Al Jazeera: “Siamo qui per Gaza. Gaza è il
motivo per cui stiamo facendo questo”. Alle motivazioni legate alla questione palestinese se ne sono aggiunte altre,
come la fine delle rappresaglie contro gli studenti pro-palestinesi e la richiesta di non inviare forze dell’ordine nei
campus.
Si è creata una sorta di “cortocircuito” tra ciò che gli istituti insegnano e ciò che è permesso fare agli studenti,
spiega un altro anonimo studente alla rete qatariota: “Come studenti a cui è stato insegnato cosa è il colonialismo,
cosa sono i diritti dei popoli nativi, quali siano stati gli effetti dell’azione non-violenta nella storia, sarebbe
stato estremamente ipocrita se non avessimo agito”.
Ed agire nel “ventre della bestia” per il boicottaggio accademico ha un significato tutto particolare. Alcuni studenti
del prestigioso MIT, a Cambridge (Massachusetts), hanno pubblicato i nomi dei ricercatori i cui lavori sono finanziati
dal ministero della difesa israeliano.
Ad Atlanta – città per metà afro-americana – gli studenti esigono la fine dei programmi che legano certi centri di studi
universitari, specializzati nel “mantenimento dell’ordine”, con le polizie statunitensi e israeliane.
A Princeton vengono denunciate gli investimenti di questa università, attraverso dei fondi finanziari, in società
militari che producono droni, F-35 o dispostivi di riconoscimento facciale utilizzati da Israele.
Insomma, a essere messa sotto accusa è un modello di formazione e di ricerca universitario intrinsecamente collegato al
military-industrial complex storicamente interconnesso con l’esercito di Israele.
Gli USA sostengono annualmente Israele con 3,8 miliardi di dollari in aiuti militari, e proprio Biden ha firmato un
pacchetto di aiuti che oltre all’Ucraina e a Taiwan, fornisce 17 miliardi di sostegni supplementari all’entità sionista
impegnata nel genocidio a Gaza.
É chiaro che di fronte ad un genocidio che ha assunto anche il profilo dello “scolasticidio” non si poteva stare
indifferenti. La definizione è stata formulata in un parere emesso da esperti dell’ONU il 18 aprile, e tiene conto dei
5.500 studenti, 261 insegnanti e 95 docenti universitari fin qui uccisi a Gaza, dove l’80% delle scuole sono state
distrutte o danneggiate. Non si poteva restare indiferenti, specie se le aziende che ne traggono profitto sono partner
delle università statunitensi in cui studiano i giovani nord-americani.
Quello che sta succedendo nelle università statunitensi sta ora giustamente ricevendo un’attenzione a livello mondiale;
ed il parallelo con il movimento contro la guerra in Vietnam è quasi scontato.
Alcuni siti di informazione alternativi – come Mintpress – hanno elaborato degli efficaci “fotomontaggi” assemblando le
occupazioni di allora e quelle di oggi alla Columbia, Minnesota, Yale, Standford.
Ma è lo stesso scrittore ed editorialista del NYT, Charles Blow, ad affermare che “il fantasma del movimento contro la
guerra del 1968 sta tornando”.
Oggi come allora gli studenti mettono in discussione i propri “privilegi” – ai tempi erano esclusi dalla leva militare,
a differenza dei loro coetanei più poveri – per protestare contro il ruolo del governo e la complicità delle proprie
università nel complesso militare industriale.
Oggi come allora è la “bancarotta morale” delle élite politiche occidentali; ed in particolare della leadership del
Partito Democratico, a pochi mesi dalle elezioni presidenziali che si terranno a novembre. “Biden ha sviluppato un
incendio”, ha commentato sul suo account X Edward Snownden, mentre la destra repubblicana – Trump in prima fila – vomita
tutto il suo odio contro gli studenti. Come ha detto la storica militante e studiosa Angela Davis, riferendosi alle
proteste dei campus: “gli studenti hanno sempre indicato la via”.

27 aprile 2024, da contropiano.org

***
Comunicato degli studemti della Columbia
Noi della Columbia University salutiamo i nostri compagni, sia qui che all'estero, che si stanno sollevando in una
feroce opposizione allo status quo. Stiamo dicendo chiaramente alla nostra classe dirigente che il sionismo non ha posto
in un mondo liberato e giusto. Agiamo con chiarezza morale e con un'urgenza implacabile. Che si tratti di amministratori
di college, o della Polizia di New York, o della Guardia Nazionale, o della JDL, o dei Proud Boys, o di qualsiasi altro
tipo di fascisti asserviti allo Stato, non ci lasceremo scoraggiare. È nostro dovere lottare per la nostra libertà,
dalla Palestina a Turtle Island, e sappiamo che vinceremo. (tradotto da workers.org)

Comunicato degli studenti di Gaza
Noi, studenti di Gaza, salutiamo gli studenti della Columbia University, della Yale University, della New York
University, della Rutgers University, dell'Università del Michigan e di decine di università in tutti gli Stati Uniti
che si stanno sollevando in solidarietà con Gaza e per porre fine al genocidio sionista-statunitense contro il nostro
popolo. Mentre siamo sotto le bombe dell'occupazione, resistendo al genocidio nazista, piangendo i nostri compagni e
docenti martiri e assistendo alla distruzione delle nostre università, accogliamo con gioia gli esempi di solidarietà
degli studenti all'estero che affrontano arresti, subiscono la violenza della polizia, la sospensione ed espulsione
dalle proprie facoltà e gli sgomberi dei campus occupati per chiedere che le loro università mettano fine alla
complicità nel genocidio sionista-statunitense e rinuncino al loro sostegno all'occupazione e ai guerrafondai che la
armano. Abbiamo visto centinaia di studenti arrestati in tutti gli Stati Uniti mentre cercavano di trasformare le loro
università in "Università popolari per Gaza".
Gli studenti, i docenti e il personale universitario stanno interrompendo le attività universitarie e stanno chiarendo
che mentre le università di Gaza vengono bombardate, le facoltà non possono continuare le proprie attività come se nulla
fosse negli Stati Uniti. Queste azioni arrivano mentre le amministrazioni universitarie collaborano con i membri del
Congresso per screditare gli studenti attivisti e i docenti coscienziosi, espellere gli studenti, vietare le iniziative
in solidarietà, rendere illegali le organizzazioni studentesche come Studenti per la Giustizia in Palestina e condannare
gli attivisti che lavorano per porre fine al genocidio nazista. Allo stesso tempo, queste stesse università investono
nelle aziende che traggono profitto dalla continua vendita di armi al regime sionista per continuare la sua offensiva
genocida. I nostri studenti - e il nostro sistema educativo nel suo complesso - nella Palestina occupata sono sottoposti
a continue aggressioni genocide: le nostre università distrutte e bombardate, le nostre organizzazioni studentesche
messe al bando e i nostri leader studenteschi sottoposti a torture, assassini e imprigionamenti di massa. Tuttavia, in
Palestina e nel mondo, il movimento studentesco è sempre stato una forza trainante della nostra lotta di liberazione.
Quando oggi vediamo video e immagini dalle università americane, ci viene in mente la nostra storia di lotta studentesca
e le rivolte studentesche del 1968, che hanno sfidato l'imperialismo dal Vietnam alla Palestina e hanno ridisegnato il
volto dell'Europa e degli Stati Uniti. Ora, nel 2024, il movimento studentesco è ancora una volta in prima linea.
Da qui a Gaza, vi vediamo e vi salutiamo. Le vostre azioni e il vostro attivismo sono importanti, soprattutto nel cuore
dell'impero, negli Stati Uniti. Mentre i membri del Congresso Usa accettano di fornire 26 miliardi di dollari in armi
per bombardare il nostro popolo e continuare il genocidio sionista-statunitense, voi state intraprendendo azioni
significative per fermare la macchina da guerra nei vostri campus. È chiaro che sta nascendo una nuova generazione che
non accetterà più il sionismo, il razzismo e il genocidio, e che sta dalla parte della Palestina e della nostra
liberazione dal fiume al mare.
La vostra solidarietà internazionale studentesca sta rompendo i confini ed è ora di distruggere la macchina da guerra
imperialista statunitense. Da Gaza alla Columbia, ad Ann Arbor e Berkeley, le nostre mani sono unite per porre fine al
genocidio nazista e raggiungere la nostra liberazione collettiva. (25 aprile 2024, tradotto da Samidoun.net)

Il prigioniero politico Mumia Abu-Jamal - giornalista ed ex Pantera Nera, detenuto da 42 anni - parla all'occupazione
CUNY durante una telefonata dal carcere e li esorta a chiedere di più: "Non è sufficiente chiedere un cessate il fuoco.
Che ne dite di questo? Chiedete che cessi l'occupazione! Cessate l'occupazione! Lasciate che questo sia il vostro
appello alla battaglia, perché questo è l'appello della storia, di cui tutti voi fate parte. Siete parte di qualcosa di
magnanimo, magnifico e che cambia l’anima, la mente, la storia.
Non lasciare andare questo momento. Rendilo più grande, rendilo più massiccio, rendilo più potente. Fallo riecheggiare
tra le stelle. Non inchinatevi a coloro che vogliono che voi tacciate. È tempo, proprio ora, questo giorno, questo mese,
questo momento, di essere ascoltati. E scuotete la terra affinché il popolo di Gaza, il popolo di Rafah, il popolo della
Cisgiordania, il popolo della Palestina, possono sentire la tua solidarietà con loro." (Da osservatoriorepressione.info)


Mobilitazioni nelle università italiane
Da due mesi nelle università di tutta Italia le studentesse e gli studenti, ma anche il corpo accademico, dalla docenza
alla ricerca, nonché lavoratrici e lavoratori delle utenze degli atenei, stanno protestando contro il genocidio in corso
in Palestina. La mobilitazione è portata avanti da collettivi e associazioni studentesche di orizzonti diversi, che però
si raggruppano intorno all’idea che le università non possono essere complici del massacro in corso a Gaza e
dell’escalation bellica in Medio Oriente. Le richieste si sono quindi definite in modo omogeneo nelle varie città dove
si sono svolte le proteste, e vertono in particolare intorno a tre temi.
Il primo riguarda la collaborazione scientifica tra gli atenei italiani e quelli israeliani inquadrata all’interno
dell’Accordo di cooperazione industriale, scientifica e tecnologica Italia-Israele stipulato per le rispettive parti dal
Ministero degli Affari esteri e della cooperazione internazionale (Maeci) e dal Ministero dell’Innovazione, scienza e
tecnologia (Most).
Il bando offriva ai progetti vincitori finanziamenti di ricerca in campi come le tecnologie del suolo, il trattamento
delle acque, le ottiche di precisione e le tecnologie quantistiche, come i nuovi misuratori di onde gravitazionali. La
questione evidenziata dalle proteste universitarie è che i risultati che emergono da questi progetti sono per molti
campi dual use, ovvero applicabili sia in contesti civili che militari. In questo modo, le università italiane si
troverebbe in diretta linea di responsabilità nella realizzazione di nuove tecnologie belliche utilizzate nel contesto
del genocidio in Palestina.
La seconda rivendicazione è invece legata ai rapporti che alcune rettrici e alcuni rettori hanno con il comitato
scientifico della Fondazione Med-Or, nata, come si legge sul sito «per iniziativa di Leonardo Spa nella primavera del
2021 con l’obiettivo di promuovere attività culturali, di ricerca e formazione scientifica, al fine di rafforzare i
legami, gli scambi e i rapporti internazionali tra l’Italia e i Paesi dell’area del Mediterraneo allargato fino al
Sahel, Corno d’Africa e Mar Rosso (“Med”) e del Medio ed Estremo Oriente (“Or”)». Leonardo, si ricorda, è una delle
principali aziende belliche italiane e intrattiene rapporti commerciali correnti con Israele.
La terza richiesta riguarda più in generale di interrompere i rapporti e i finanziamenti tra le università e le aziende
italiane fortemente coinvolte con lo Stato israeliano, come per esempio l’Eni, che si avvia a sfruttare i giacimenti di
gas a largo della costa di Gaza, oppure la stessa Leonardo che vende armamenti all’esercito israeliano.
Anche se queste rivendicazioni non costituiscono una piattaforma omogenea e condivisa tra le varie mobilitazione che
sono avvenute in queste settimane, le parole d’ordine sono quasi sempre le stesse. Ma facciamo un po’ di genealogia.
L’attenzione intorno alle mobilitazioni studentesche in solidarietà con la Palestina è emersa già il 23 febbraio, quando
la celere ha manganellato a Pisa un corteo di un centinaio di studentesse e studenti universitarie e liceali che voleva
raggiungere piazza dei Cavalieri. L’evento ha scatenato un’ondata di proteste e di indignazione per la gestione violenta
e muscolare della celere. Anche il Presidente della Repubblica Matterella ha espresso preoccupazione per il
comportamento dei poliziotti. In risposta alle cariche, il 2 marzo è stata convocata una manifestazione cittadina, che
ha contato circa 6mila persone.
A Roma, il 5 marzo, un corteo interno all’Università La Sapienza ha protestato contro la partecipazione dell’ateneo al
bando Maeci e ha chiesto alla rettrice Polimeni di dimettersi dal board scientifico della Fondazione Med-Or. La
manifestazione si è svolta mentre all’interno del rettorato si teneva il Senato accademico, che ha rifiutato di
ascoltare una delegazione di studentesse e studenti.
Poche settimane dopo, il 19 marzo, il Senato accademico dell’Università di Torino ha deliberato che non rinnoverà il
bando del Maeci. In particolare l’ateneo ha sottolineato l’interruzione di nuove ricerche nel settore elettronico “dual
use”. La decisione del Senato accademico è stata preceduta da un’azione della componente studentesca, che ha aperto uno
striscione nell’aula dove si teneva la riunione. Il giorno dopo, in occasione dell’inaugurazione dell’anno accademico,
gli studenti dell’Università di Bologna hanno protestato per chiedere lo stop agli accordi tra l’ateneo e le università
israeliane, oltre a richiedere il cessate il fuoco a Gaza. Il corteo è stato represso con cariche della polizia. In
contemporanea, è stato permesso a due studentesse di intervenire durante la seduta istituzionale. Mentre una di loro
parlava, il rettore l’ha interrotta togliendole il microfono.
All’Università La Sapienza a Roma, il 25 e il 26 marzo le studentesse e gli studenti hanno occupato il rettorato e
impedito così che si potesse svolgere in quei luoghi il Senato accademico, il quale ha continuato a ignorare le
proteste. Sempre il 26 marzo la Scuole Normale superiore di Pisa ha approvato un documento che chiedeva il cessate il
fuoco a Gaza e ha preso piede un dibattito interno per riconsiderare le collaborazioni scientifiche applicabili anche in
campo militare con le università israeliane.
L’8 aprile le studentesse e gli studenti dell’Università di Napoli Federico II hanno occupato il rettorato del loro
ateneo per protestare contro la collaborazione scientifica con le università israeliane. Lo stesso giorno, nel
pomeriggio, un corteo si è mosso verso il teatro San Carlo per protestare contro la celebrazione del 75esimo
anniversario nella Nato e per la pace in Palestina. Anche in questa occasione si sono verificate cariche da parte delle
forze dell’ordine.
Il 9 aprile, il Senato accademico dell’Università di Bari si è convocata per parlare unicamente della partecipazione al
bando Maeci. Nessun docente ha partecipato al bando, mentre il rettore ha sottolineato l’importanza di una ricerca
libera e collaborativa con gli atenei di tutto il mondo, ispirandosi al principio di pace sancito dall’articolo 11 della
Carta. Inoltre il rettore si è dimesso anche dal comitato scientifico della Fondazione Med-Or a seguito delle richieste
delle studentesse e degli studenti.
In questi ultimi giorni all’Università La Sapienza a Roma si sono svolte nuove mobilitazioni. In particolare martedì 16
aprile, dopo un corteo che in mattinata ha chiesto di nuovo al Senato accademico di prendere posizione sulle stragi che
avvengono in Palestina, nel pomeriggio per quattro volte le studentesse e gli studenti sono stati manganellate dalla
polizia mentre provavano a uscire in corteo dall’università. Alla fine della giornata risulteranno due persone
arrestate.
La componente studentesca delle università sta in prima fila nelle proteste per il cessate il fuoco a Gaza e per la pace
in Palestina, ma non bisogna dimenticare che si sono mobilitate anche ricercatrici e ricercatori.
Al momento le mobilitazioni universitarie in solidarietà con il popolo palestinese hanno ottenuto un riconoscimento
dalla loro controparte accademica, sia negli atenei dove hanno effettivamente conseguito dei risultati concreti, come a
Torino o a Bari, sia in quelli dove invece le risposte sono state negative. La Sapienza, nonostante abbia alla fine
votato una delibera che condannava le violenze in Palestina senza parlare mai delle responsabilità dello Stato
israeliano e del suo esercito, ha risposto direttamente alle studentesse, agli studenti, al corpo docente e alle
ricercatrici e i ricercatori in mobilitazione per la Palestina, considerandoli un soggetto con cui dover interloquire.
Ma la risposta delle istituzioni, anche ai più alti livelli, sembra voler fermare questa mobilitazione in modo chiaro.
Proprio questa settimana la Conferenza dei rettori delle università italiane (Crui), per bocca della sua presidente
Giovanna Iannantuoni, ha ribadito che «non c’è nessun boicottaggio da parte degli atenei italiani nei rapporti
scientifici esistenti con le università israeliane». Inoltre, anche la ministra dell’Università e della ricerca Anna
Maria Bernini si è più volte espressa contro le richieste di sospensione degli accordi tra atenei italiani e israeliani.
A tal proposito, nella lettera aperta dello scorso 8 aprile, docenti, ricercatrici e ricercatori contro il bando Maeci,
sostengono che “la questione della collaborazione universitaria con istituzioni di ricerca implicate nella sistematica
violazione di diritti umani, sociali e civili – come lo sono le università e i centri di ricerca israeliani – dovrebbe
sempre accompagnare la nostra professione. Ad oggi, non esiste alcuna istituzione israeliana che si sia dissociata dalla
linea governativa e non abbia sostenuto la continuazione dell’attacco militare contro Gaza. Le colleghe e i colleghi che
hanno osato dissentire sono state prontamente punite dalle loro istituzioni con sospensioni, licenziamenti e, nel caso
della collega Shalhoub-Kevorkian della Hebrew University, come è ormai noto, persino con la detenzione temporanea e la
confisca temporanea del passaporto.”
La richiesta di sospendere il bando del MAECI, si affianca anche alla denuncia delle “altre collaborazioni con
istituzioni israeliane, ben più lucrose, che esistono nel contesto dei bandi Horizon Europe e dei consorzi tra i
politecnici e le facoltà scientifiche. Il ruolo di istituti di ricerca come il Technion, per citare un caso famoso,
nella produzione e sperimentazione di armi d’avanguardia è ben noto, e altrettanto nota è l’attenzione riservata a
questo istituto dall’Italia. Molti altri esempi della sistematica complicità del sistema universitario e di ricerca
isareliano con le violazioni dei diritti umani dei palestinesi li abbiamo riportati nella nostra risposta alla Ministra
Bernini, pubblicata sull’Huffington Post nel marzo del 2024”.
Ricercatori e ricercatrici fanno anche riferimento alla lunga inchiesta pubblicata sulle testate giornalistiche +972 e
Local Call, ripresa in Italia dal quotidiano Il Manifesto, sull’utilizzo dell’intelligenza artificiale nell’industria
bellica israeliana, in cui viene mostrato come questa sia la causa “tecnica” di un numero di vittime così elevato a Gaza
oggi. Per questo, nella lettera viene sottolineato come il “sistema bellico Lavender, generato e operativizzato
dall’intelligenza artificiale, sia stato presentato presso l’Università di Tel Aviv durante le giornate dedicate
all’intelligenza artificiale, organizzate nel 2023 dall’ateneo stesso, e come a presentarlo sia stato invitato il
comandante del centro segreto di Scienza dei Dati e AI dell’Unità 8200 dell’esercito israeliano, il colonnello Yoav,
come anche riportato dal quotidiano israeliano Haaretz. La normalizzazione da parte dell’Università di Tel Aviv del
sistema Lavender e dei software a questo correlati e del loro modo di operare è un altro esempio della interconnessione
sistemica tra gli atenei e l’esercito israeliani. L’estensione di tale interconnessione, tuttavia, va oltre Gaza e il
plausibile genocidio in corso.”.
Nella lettera aperta i docenti concludono: “Di fronte al plausibile genocidio in corso a Gaza ma anche di fronte a
Frontex o agli enormi interessi di Leonardo, che sono investiti nell’industria bellica israeliana e che determinano il
sostegno del nostro governo a regimi dittatoriali come quello egiziano – sostegno che rende ipocrita la retorica
governativa sui diritti umani e sugli sforzi per assicurare alla giustizia gli assassini di Giulio Regeni – pensiamo che
non si possa fare altro che opporsi”.
20 aprile 2024, da dinamopress.it

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Contro l’esercitazione "Mare Aperto"
Presidio in Statale 13 maggio 2024
Il 3 maggio 2024 inizia l'esercitazione Mare Aperto, il più grande evento addestrativo della marina militare italiana.
Da diversi anni vi partecipano anche alcune università che inviano a bordo delle navi studentx tirocinanti e docenti
accompagnatori. Fra questi alcunx studentx di scienze politiche della Statale e dell'Università Cattolica di Milano che
si addestrano come Legal e Political Advisors, figure incaricate di inquadrare dal punto di vista legale e politico le
decisioni del comando militare. Il proliferare di collaborazioni fra mondo dell'istruzione e forze armate è espressione
dello stato di guerra che stiamo attraversando in cui l'università, nelle parole dello Stato Maggiore della Difesa, si
configura come "elemento strategico nel panorama nazionale" per diffondere, attraverso il coinvolgimento dellx studentx
la cosiddetta "cultura della difesa", ideologia che promuove l'attuale militarizzazione della società. Un ruolo quindi,
quello dell'università, di attore attivo nella legittimazione ideologica e culturale della corsa italiana ed europea al
riarmo. Non solo: l'avvicinamento e la formazione simultanea di figure civili e militari, così come la ricerca
scientifica "dual use", permettono un concreto rafforzamento delle capacità militari italiane e del blocco Nato. Per
questo l'opposizione alla guerra in università non è solo una questione etica da affrontare da una posizione di
privilegio, ma una vera e propria necessità di liberazione per noi giovani che oggi veniamo preparati a
sostenere il crescente impegno militare dello stato.
La mobilitazione studentesca a sostegno della Palestina che da mesi anima le università italiane ha già dimostrato a
Napoli, Bari e Torino che è possibile boicottare concretamente i piani di guerra e genocidio alimentati e legittimati
dalle collaborazioni accademiche. Disertiamo insieme la guerra, denunciamo il ruolo delle università nella sua
preparazione e legittimazione!
No al reclutamento dellx studentx nell'esercitazione Mare Aperto!
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Attacco repressivo contro un lavoratore della scuola
Denunciamo l'ennesimo attacco repressivo ai danni di un lavoratore della scuola, un nostro compagno, avvenuto lunedì
mattina. Il dirigente scolastico lo ha convocato per comunicargli che, a causa della sua militanza politica, non era più
persona gradita all'interno dell'istituto. Questo ha portato al mancato rinnovo del contratto e, di conseguenza, alla
perdita del posto di lavoro.
Va sottolineato il comportamento del dirigente scolastico che non ha mai tempo per rispondere degli allagamenti della
scuola, degli spazi inadatti per gli studenti e non si preoccupa di interrogare il ministero per la continua mancanza di
fondi. Riesce per a trovare subito il modo per rispondere alla Digos e convocare il compagno; evidentemente ha ben altre
priorità. E’ stata proprio la Digos di Padova a informare il dirigente della militanza del compagno. Inoltre, la stessa,
si è presentata sul posto di lavoro per notificare decreti relativi all'inchiesta del 14 maggio relativa a delle scritte
in favore della resistenza palestinese apparse a Padova a gennaio. Il 14 maggio, oltre alla perquisizione della nostra
sede, tre compagni sono stati perquisiti, prelevati e portati in Questura.
La Questura di Padova continua ad attaccare, in perfetta linea con il mandato del Ministero dell'Interno, coloro che si
schierano al fianco della Resistenza palestinese, dagli studenti in lotta ai lavoratori. Questo attacco va inserito in
un clima generale di repressione e guerra, in cui lo Stato e i padroni cercano di zittire qualsiasi dissenso, in
particolare contro il movimento di solidarietà alla Palestina. In questo contesto la scuola è osservata speciale, luogo
dove reprimere, minacciare e sanzionare qualunque voce contro lo stato sionista e la Nato.
Un altro episodio emblematico è l'attacco subito qualche giorno fa da un educatore, Seif Bensouibat, che lavorava nella
scuola francese Chateaubriand a Roma. A seguito di un post pro-Palestina, si è visto togliere il lavoro, lo status di
rifugiato ed è stato rinchiuso in un Cpr, con il rischio di essere espulso.
Tutto questo si inserisce in un quadro molto chiaro: quello della continua militarizzazione della scuola a cui
assistiamo da anni. Il comparto industriale-militare e della difesa si è sempre più incuneato nel mondo dell'istruzione
con l'inserimento di orientamenti professionali, borse di studio e progetti di alternanza scuola-lavoro in caserme e
basi militari, e ancora con gite, parate, mostre e sfilate, con l'obiettivo di propagandare l'adesione all'ideologia
della guerra tra le nuove generazioni, anche al fine di reclutare nuova carne da macello per le imprese belliche.
In questo clima, i precari sono la componente tra i lavoratori maggiormente sotto attacco perché è più facile liberarsi
di loro. Solo nel comparto scuola si contano più del 18% dei precari, frutto di decenni di riforme e tagli, che non
vedono alcuna prospettiva di essere stabilizzati. Lo Stato risparmia sugli stipendi e dispone così di manodopera
ricattabile e facilmente scaricabile, mentre il personale di ruolo si ritrova sempre più risicato e con tutto il carico
di lavoro addosso.
Questi episodi si inseriscono in una fase in cui il processo di militarizzazione della scuola va di pari passo con un
processo di militarizzazione più generale della società, accelerato dalla generale tendenza alla guerra.
Non ci faremo intimidire da questa ennesima provocazione e continueremo a sostenere le lotte per la liberazione della
Palestina e di tutti i popoli oppressi all'interno dei nostri posti di lavoro, nelle nostre scuole, nell'università e
nella nostra città, pronti a lottare per cambiare questo sistema di repressione e morte. Prendiamo esempio dalla
resistenza palestinese che da oltre 76 anni resiste contro il nemico sionista e dall'intifada studentesca, che inonda le
università del mondo per gridare all'unisono: rescindiamo gli accordi con Israele.
La repressione non ci fermerà! Portiamo l'intifada nel cuore dell'imperialismo!

Padova, maggio 2024, Collettivo Politico Comunista Levante


La sinistra tedesca ha un problema di sionismo
È difficile dare una rappresentazione fedele del livello di repressione che vive in Germania chi si oppone al genocidio
in Palestina, perché ogni tentativo di descriverla sembra non renderne pienamente la gravità. Tra l’infinità di esempi
che si potrebbero dare, c’è uno dei tanti casi di violenza che non ha attratto l’attenzione di grandi testate
giornalistiche, ma che serve a illustrare la brutalità della repressione anti-palestinese in Germania.
Alla manifestazione annuale di commemorazione di Rosa Luxemburg e Karl Liebknecht a Berlino, a gennaio di quest’anno, si
era aggregato un blocco pro-palestinese con tanto di kefiyeh, bandiere e cartelloni. La polizia si era presentata in
numeri assolutamente sproporzionati per la grandezza del corteo e decisamente più alti degli anni scorsi, con tanto di
elmi e telecamere. Dopo aver diviso il corteo in due e con il pretesto di arrestare qualcuno che aveva gridato lo slogan
presunto antisemita “From the river to the sea, Palestine will be free”, la polizia ha caricato tredici manifestanti,
ferendo gravemente almeno una decina di persone. Uno di loro, un uomo di sessantacinque anni spinto a terra dalla
polizia, ha perso conoscenza e mentre sanguinava dal naso e dalla bocca la polizia si è rifiutata di chiamare
un’ambulanza, impedendo a paramedici e giornalisti di soccorrerlo. L’uomo è poi stato portato in ospedale e pare abbia
avuto un infarto, anche se la polizia non ha voluto confermare la diagnosi. Le immagini di quella violenza sono state
diffuse sui social, a nutrire la rabbia di chi continua a scendere in piazza, ma senza che la violenza della repressione
sia diminuita [...]
Gli attacchi contro il movimento pro-palestinese – composto prevalentemente dalla comunità palestinese e dalle tante
altre comunità esiliate in Germania – sono su tutti i fronti. Dalle università, alle piazze, al mondo dell’arte, della
musica e del cinema. All’ultima edizione del festival di cinema Berlinale, il premio per il miglior documentario è stato
conferito al film palestinese-israeliano No other land, che tratta gli insediamenti illegali in Cisgiordania. Durante la
premiazione, i due registi Basel Adra e Yuval Abraham hanno espresso la loro opposizione all’occupazione e all’apartheid
e chiesto lo stop alla fornitura di armi a Israele da parte della Germania [...] Adra e Abraham hanno ricevuto minacce
di morte contro di loro e le loro famiglie. Alla stampa tedesca questo “scandalo” ha fornito materiale per settimane;
politici hanno espresso la loro disapprovazione per le scelte della direzione della Berlinale e addirittura messo in
dubbio l’utilità del festival a seguito di questa vicenda, al punto che la ministra per la cultura si è sentita in
dovere di prendere la parola, non per difendere il festival, ma per precisare che lei durante la premiazione aveva
applaudito solo il regista israeliano, non quello palestinese [...] Gli attacchi diffamatori contro i due registi sono
solo il caso più recente in una lunga lista di accuse simili nei confronti di chi si esprime contro colonialismo,
apartheid e genocidio [...]
Ma la censura e la repressione non si manifestano solo in casi eclatanti. Non è solo la diffamazione di figure pubbliche
o la revoca di inviti a parlare, non è solo la brutalità della polizia in piazza, il lacrimogeno usato contro ragazzini,
gli arresti di anziani e minori, la profilazione di chiunque porti simboli di identità palestinesi o di solidarietà alla
Palestina, non sono solo i divieti di manifestazioni per la Palestina – che peraltro non sono stati in vigore per la
prima volta lo scorso ottobre, ma erano già stati applicati per impedire commemorazioni della Nakba nel 2023 e nel 2022.
La repressione si rivela anche nella paura diffusa di esprimersi sul posto di lavoro o nei social media per timore di
compromettere la propria carriera [...] Attraverso il controllo dei contenuti, il background-check di individui e
collettivi e delle loro posizioni politiche, l’esclusione da eventi, il rifiuto di piattaforme per parlare e luoghi per
incontrarsi che non siano a rischio di razzie, lo spazio per confrontarsi e sviluppare analisi e modalità nuove, al
passo con i tempi, si sta riducendo a vista d’occhio.
Anti-antisemitismo e antideutsche. La motivazione ufficiale di questa repressione totale di qualsiasi critica
dell’occupazione e del governo israeliano è la lotta all’antisemitismo. In Germania, la distinzione tra antisemitismo e
antisionismo è resa impossibile, perché l’antisionismo stesso viene considerato come antisemitismo mascherato. E non
sembrano esserci limiti all’assurdità nell’applicazione di questo principio. L’argomentazione razionale e l’analisi
storica non hanno rilevanza davanti al sospetto di “odio degli ebrei” o di (praticamente interscambiabile) “odio
d’Israele”.
L’anti-antisemitismo è uno strumento utilizzato per mettere a tacere e criminalizzare comunità palestinesi, arabe,
musulmane, e tutte quelle voci della comunità ebraica che non sostengono fanaticamente il progetto sionista. Come dice
Rachael Shapiro, in Germania, non rientrare nell’immaginario tedesco di cosa vuol dire essere ebrei, ovvero ortodossi e
sionisti, vuol dire non essere riconosciuti come veramente ebrei. E chi non sostiene il governo fascista di Netanyahu
per la Germania è un ebreo che odia sé stesso. A oggi in Germania tutti, chi più e chi meno consciamente, subiscono
questo clima opprimente di censura. Un clima che ai tanti esiliati politici che avevano cercato rifugio a Berlino
ricorda i peggiori momenti della svolta autoritaria nei loro paesi.
Questo clima si è esasperato negli ultimi anni, in particolare dopo che nel 2019 il parlamento tedesco ha approvato una
risoluzione che definiva il movimento di boicottaggio, disinvestimenti e sanzioni a Israele (BDS) come antisemita [...]
La risoluzione non è legge, quindi non è vincolante, ma ciononostante ha creato un sospetto generale contro chi si
esprime per la liberazione palestinese, in particolar modo giornaliste, autrici, attivisti e accademici palestinesi.
L’intero arco parlamentare si è schierato in questa lotta anti-antisemita che viene combattuta su tutti i fronti, dalle
istituzioni culturali, alle università, alle scuole, alle piazze – e che molti commentatori ebrei considerano una
manifestazione esasperata di filosemitismo opprimente e paternalista [...] Nonostante le criticità, sia il parlamento
tedesco, che un numero in crescita di istituzioni culturali e scientifiche, nonché la maggior parte delle università
hanno adottato questa definizione.
In parte, la sua diffusione è riconducibile all’influenza di una corrente intellettuale legata al movimento
“antideutsch” (anti-tedesco) della sinistra radicale tedesca. È un movimento che si definisce anti-nazionalista, nel
senso che rifiuta l’esistenza della nazione tedesca in quanto esecutrice del genocidio contro gli ebrei, come espresso
nel loro slogan “Nie wieder Deutschland” (mai più la Germania). Gli antideutsche sono un fenomeno peculiare,
inimmaginabile al di fuori della Germania, che è nato all’inizio degli anni Novanta in opposizione ai movimenti di
sinistra radicale pro-palestinesi dei decenni precedenti, presunti antisemiti, e in vista della riunificazione tedesca,
che creava il rischio di una rinascita nazionalista in Germania (quindi anti-nazionalisti tranne per quanto riguarda
Israele, che deve invece essere uno stato etno-nazionalista forte, come unica presunta garanzia di sicurezza per gli
ebrei nel mondo). In quegli anni, negli atenei leggevano Moishe Postone ed esponenti della scuola di Francoforte,
soprattutto Adorno, concludendone che qualsiasi paragone della Shoah con altri fenomeni storici era una forma di
relativizzazione e che qualsiasi critica del capitalismo troppo personalizzata, non sufficientemente astratta, era
antisemitismo nascosto. Così cercavano antisemitismo ovunque, con una predilezione per “l’antisemitismo di sinistra”. In
più, gli anni della war on terror hanno poi dato legittimità alle tendenze più anti-palestinesi e anti-islamiche tra gli
antideutsche. Con queste posizioni hanno fatto carriera, arrivando a dominare i dipartimenti di scienze politiche,
filosofia e di studi ebraici, e influenzando una generazione di intellettuali tedeschi. Si è consolidata così la
narrazione che nasceva da un attacco contro la sinistra militante della Germania Ovest e che vede nel popolo palestinese
e in chiunque si solidarizzi con esso i nuovi carnefici del popolo ebraico.
È irritante e un sintomo stesso del problema che lo si debba dire, ma (ovviamente) le statistiche sui casi di
antisemitismo registrate dalla polizia in Germania parlano chiaro: gli attacchi antisemiti sono sproporzionatamente,
ovvero più del novanta per cento, di matrice di destra. Però questo dato statistico viene ignorato, si preferisce
contribuire allo spauracchio dell’estremismo di sinistra. Per farsi un’idea della totale sproporzione che c’è tra i
livelli di pericolosità della destra e l’inazione da parte dell’apparato di sicurezza, basta guardare alla recentissima
vicenda dell’arresto di una ex militante della RAF (Rote Armee Fraktion-Frazione dell’Armata Rossa), dissoltasi nel
1998. A febbraio di quest’anno la polizia giudiziaria a Berlino ha arrestato Daniela Klette, che nel frattempo aveva
compiuto sessantacinque anni, aveva abbandonato la militanza e viveva una vita tranquilla. Continua la ricerca dei due
ex compagni di Klette. Mentre nel 2023 si contavano più di seicentocinquanta neonazisti latitanti, tra scandali sulla
scomparsa di armi dall’arsenale dell’esercito, piani di golpe e contatti tra l’estrema destra e i servizi segreti – lo
stato tedesco dispiega invece le sue forze per arrestare tre militanti pensionati [...]
Un monito per tutti. Le misure repressive descritte in principio non sono particolarmente sorprendenti o inspiegabili,
anche se estreme. In Francia e nel Regno Unito si sono osservati sviluppi simili da anni, e sempre di più anche negli
Stati Uniti. La particolarità della Germania, però, è la mancanza di un dissenso sostanzioso e diffuso a queste
pratiche. Non solo la sinistra non si oppone alle politiche estere del governo nel contesto palestinese, ma addirittura
approva misure sempre più autoritarie all’interno del paese. Quello che rende la Germania un caso straordinario e allo
stesso tempo allarmante, è la complicità della sinistra nel sostegno al progetto sionista. Dai partiti, ai movimenti
ambientalisti e antifascisti, il razzismo antipalestinese è totalmente normalizzato perché la sinistra è in linea con
l’anti-antisemitismo e il supporto allo stato israeliano. Nelle manifestazioni di massa contro il partito di estrema
destra Alternative für Deutschland in tutto il paese ci sono state aggressioni contro palestinesi ed ebrei antisionisti
che erano venuti con kefiyah e bandiera palestinese. Qualche giorno fa, vicino all’università berlinese con il movimento
studentesco pro-palestinese più visibile e rumoroso, sono apparse le scritte “la popolazione palestinese si raddoppia
ogni venticinque anni” e “la tua critica di Israele è antisemita”.
Se gli antideutsche non hanno più una grande rilevanza come corrente della sinistra, le loro posizioni sono pienamente
in linea con quelle dello stato tedesco, incluso l’attuale governo, il che rende il nome alquanto ridicolo. Gli
antideutsche nel frattempo hanno cattedre universitarie, fanno i giornalisti, lavorano per Ong e fondazioni. Non si
vedono più nelle piazze vestiti da black bloc con la bandiera israeliana, come negli anni Novanta a scandire “nie wieder
Deutschland”. Il problema è che in un contesto come la Germania, in cui la sinistra già era debole, loro sono riusciti a
dividerla ulteriormente. Gli eredi del movimento antideutsch, se non sono sionisti accaniti, sono totalmente
depoliticizzati per quanto riguarda principi di sinistra come l’antimperialismo e la liberazione della Palestina e sono
incapaci o disinteressati a opporsi al sostegno che la Germania fornisce a Israele.
La risposta che viene data a questa mancata solidarietà è il senso di colpa dei tedeschi per la responsabilità storica
dell’Olocausto. Questa spiegazione però non basta, anzi, è fuorviante. Delle fallacie della politica della memoria nella
Germania post-riunificazione altri ne parlano meglio di come potrei riassumere in breve qui. Rimane la domanda di fondo:
come è possibile che la solidarietà con la Palestina sia stata soppressa per decenni al punto che oggi ci troviamo nel
mezzo di un genocidio e del sostegno militare da parte del nostro governo a quello di un fascista che ha intenzione di
annientare e rioccupare Gaza, con la maggior parte dei sindacati, movimenti come Fridays for Future o il partito die
Linke che continuano a dichiarare piena solidarietà allo stato israeliano?
Indubbiamente, c’è più di una risposta. Qui ho solo potuto offrire degli spunti di riflessione. Quello che dice il
movimento tedesco di solidarietà alla Palestina da anni è che la repressione che subisce adesso chi si solidarizza con
la Palestina verrà applicata contro ogni forma di dissenso. D’altronde lo si è potuto constatare nella criminalizzazione
di Ultima Generazione. In Italia stanno prendendo piede posizioni simili a quelle antideutsch, come quando Non Una Di
Meno è stata criticata per aver posto al centro della giornata internazionale contro la violenza sulle donne la
liberazione palestinese invece di solidarizzarsi con le vittime di Hamas. La sinistra in Italia non è immune alla
presunta critica che divide i movimenti con accuse di antisemitismo. Quello che sta accadendo in Germania può sembrare
distopico, ma va invece visto come un monito, un fenomeno da comprendere per prepararsi ad affrontarlo anche altrove.

4 aprile 2024, tratto da monitor-italia.it


Il 25 Aprile di quest’anno a Milano
La giornata del 25 aprile 2024 di Milano è una di quelle che verrà ricordata. Da anni – meglio sarebbe dire: da decenni
– non si assisteva a una così compatta determinazione nel prendersi la piazza e contestare chi tentava, per l’ennesima
volta, di usurparne i contenuti. [...] Nelle istanze dei compagni veniva rivendicata non solo l’esigenza di una
cessazione dei massacri ma anche e soprattutto la legittimità della resistenza palestinese. Un’equazione, dunque, che
poneva sullo stesso piano la nostra storia di lotta al nazi-fascismo a quella di un popolo che resiste contro il
sionismo e l’imperialismo americano. Un salto di qualità forte ed evidente. Tantomeno, sarebbe stato accettato che in
Piazza del Duomo sfilassero sionisti, nazisti ucraini e sostenitori della NATO con i loro vessilli. Non si trattava
semplicemente di contestarli, ma di impedirgli l’agibilità della piazza. Un obiettivo ambizioso, forte, pieno di
insidie, eppure necessario e legittimo.
Il dibattito che ha preceduto il 25 aprile non è stato esente da distinzioni. Se sulle prime sembrava prevalere l’idea
di accodarsi al corteo ufficiale, accettando la posizione dei gruppi palestinesi, la presa di posizione dell’ANPI,
decisa a non dare alcuno spazio alle loro istanze e a sposare la linea politica del PD e dei sionisti milanesi, ha
contribuito al successo di ieri. Infatti, alla luce di questa “forzatura”, i Giovani Palestinesi e l’UDAP (Unione
Democratica Arabo-Palestinese) hanno rotto gli indugi, pubblicando nella giornata del 23 aprile un ottimo documento nel
quale ci si dava appuntamento direttamente in Piazza Duomo in anticipo di un paio d’ora sull’arrivo del corteo
ufficiale. [...] Alle 13:30, come previsto, la piazza era completamente presidiata. Centinaia di militanti ne avevano
preso possesso. Il palco era circondato da bandiere palestinesi e il monumento di Vittorio Emanuele a cavallo era
avvolto nei colori rosso, nero, bianco e verde di un enorme vessillo.
A quel punto, con quei numeri, appariva chiaro che nessuno avrebbe potuto sgombrare la piazza, se non a costo di duri
scontri. Altrettanto evidente che il comizio ufficiale sarebbe stato piuttosto “complicato” per gli oratori.
Soprattutto, era chiaro che in quella piazza non sarebbe potuto transitare alcun sionista, alcun nazionalista ucraino,
alcun sostenitore della NATO. Lo stesso PD non sarebbe mai arrivato in Piazza del Duomo. Consigliati dalla questura,
infatti, sionisti e nazisti ucraini hanno dovuto interrompere il loro corteo ben prima della sua conclusione,
allontanandosi con la coda tra le gambe. Questo il primo importante risultato: non consentire agli imperialisti di
impadronirsi del “palcoscenico mediatico” è cosa che – a memoria – non si ricorda a Milano.
Sono molti anni ormai che la Brigata ebraica viene utilizzata come provocazione nel corteo del 25 Aprile. Dopo Piombo
fuso, in particolare, la loro presenza segna la volontà di normalizzare i contenuti della lotta partigiana adeguandoli
agli interessi imperialisti, rappresentati dal PD e dai suoi alleati. [...] I sionisti non hanno avuto l’agibilità della
piazza. Si tratta di una novità di non poco conto. Quando la testa del corteo ufficiale entra in Piazza, le “autorità”
sono costrette a transitare tra due ali di folla che gli riversano addosso il peso della loro vergogna. L’inno di Mameli
viene subissato dai fischi, così come i “comizi” dei politicanti e dei comici presenti (pietoso l’intervento di un certo
PIF). Il sindaco Sala riesce a malapena a finire in suo intervento, anche se il più contestato appare il sindacalista
della UIL. A quel punto, il servizio d’ordine dell’ANPI e della CGIL si rende conto che forse ha bisogno dell’aiuto
della polizia per contenere la rabbia della piazza e la chiama in suo soccorso. Ne nascono alcune cariche che vengono
contenute molto bene dai cordoni dei compagni. [...]
Vanno anche segnalati gli scontri che hanno portato alle denunce e ai fermi di alcuni ragazzi che si sono battuti
direttamente con sionisti e forze dell’ordine. Se anche questi scontri sono stati una scintilla improvvisa, distante un
centinaio di metri da dove ci trovavamo, ciò non toglie che questa scintilla fa parte della stessa rabbia che ha
alimentato la nostra piazza e – in tal senso – quei ragazzi meritano la nostra solidarietà.

29 aprile 2024, tratto da contropiano.org

***
Appello dei Giovani Palestinesi d’Italia per il 25 aprile
In Italia, la data del 25 aprile è stata individuata da più parti come un momento importante in cui difendere l’attuale
resistenza palestinese e non cedere spazio a chi tenta di appropriarsi della memoria partigiana addirittura per
sostenere la NATO. In questo senso scrivono i Giovani Palestinesi d’Italia: “Il 25 aprile non è una ricorrenza” si
cantava nella piazze. Invece il 25 aprile non solo è diventato una ricorrenza, ma un rituale di Stato della peggior
specie. Non siamo disposti, quest’anno meno che mai, a condividere la piazza con bandiere della NATO, dell’entità
sionista, degli Stati Uniti o con ambigui vessilli della pace. […] Il fascismo non è la Meloni, come il sionismo non è
Netanyahu: il fascismo è incarnato nell’impotenza e nichilismo che permeano la popolazione italiana, è il degrado morale
e culturale della società; è la posizione interventista di tutto l’arco parlamentare. Sono tre ragazzi palestinesi
arrestati perché lo Stato italiano vuole criminalizzare la resistenza palestinese […]

***
Il mondo al diritto. Ilaria Salis, l’Ungheria e noi
Il 23 maggio Ilaria è uscita dal carcere di Budapest ed è agli arresti domiciliari nella stessa città in attesa del
processo del 24 maggio. Va sottolineato che per la legislazione ungherese cinque giorni di domiciliari equivalgono ad un
giorno di carcere. Di seguito pubblichiamo un articolo tratto da dinamopress.it del 29 marzo che racconta del viaggio a
Budapest per il processo di Ilaria Salis.

[…] Siamo arrivati a Budapest il giorno prima del processo (visto che sarebbe iniziato la mattina presto) e abbiamo
potuto dedicare la giornata a incontrare i compagni di Ilaria, il padre e parlare anche con una larga parte della
delegazione italiana, composta anche da parlamentari con i quali, per una semplice questione di condivisione di spazi
(stesso hotel, stesso aereo) ho avuto modo di parlare e condividere del tempo, cosa che negli anni passati (della
militanza) non mi era mai capitato. […]
Quello che mi ha fatto pensare è vedere un mondo che andava dagli anarchici, dalla sinistra più radicale, passando per i
giuristi democratici arrivando fino ai parlamentari di Alleanza Verdi-Sinistra e del Partito Democratico, essere lì, in
quelle aule di tribunale, forse per motivazioni diverse ma in un modo o nell’altro a tentare di dare un supporto a
Ilaria. […] Sì perché qui non si tratta di dire che Ilaria è una brava ragazza innocente e vittima, si tratta di
qualcosa di più complesso, cioè si tratta di uno scontro politico sull’interpretazione di ciò che significa la parola
“politica”. Si torna finalmente al tema della legittimità e della necessità di segnare una linea tra visioni del mondo
contrapposte che non possono essere riassunte semplicemente come antifascismo e fascismo, che letta così vuol dire molto
poco. Siamo scesi a Budapest pensando di trovare nazisti dietro ogni angolo pronti ad accoltellarci, ronde militari e
bandiere con svastiche o chissà quale altro scenario […]. E allora dove è questa destra che si vede così forte […]? Dove
è questo allarme di clima ostile di cui parlano tanto questi che vanno a dare solidarietà a Salis? Per esempio è nel
fatto che siamo stati seguiti per tutto il tragitto e per tutti i nostri spostamenti da persone che non sapevamo chi
fossero, che si davano il cambio continuamente e ci aspettavano all’uscita dei locali. Oppure nel fatto che nel
tribunale non ci fosse la polizia ma ad attenderci un gruppo ben folto di nazisti con tanto di magliette e tatuaggi
inconfondibili che ci minacciavano e intimavano di scoprire i volti per riprenderci. Questo mondo al diritto quindi si
vede in questa costante repressione, in questa società del controllo ma ancora di più si vedrà dentro al tribunale nello
svolgimento del processo. L’idea di una giustizia che non deve rieducare ma deve punire, punire sempre in maniera
esemplare. Quando si parla di pene esemplari, quando vengono meno i principi garantisti, quando si vuole sostituire le
risposte ai problemi sociali con misure penali e quindi la povertà e ciò che ne deriva diventano una colpa e una
condizione dalla quale è impossibile uscire. Un classismo insito non solo nella destra, ma anche nella sinistra e in
quel mondo dell’attivismo social (e non) di vario genere che dimentica sempre di più il principio universalistico che
deve avere con sé ogni lotta. […] Vedere Ilaria in catene in tribunale è stato un pugno in pancia. Il giudice non si è
nemmeno dovuto ritirare per pensarci, ha subito letto la sentenza, motivando burocraticamente nella maniera più gelida
possibile. […] Perché siamo andati a Budapest? Per sostenere Ilaria e per ribadire che anche quando non sembra ci
riguarda sempre.


L’Aquila sezione distaccata della procura di Telaviv
Da gennaio di quest'anno Anan Yaeesh è privato della libertà in Italia, senza accuse né processo. Su di lui pesa una
richiesta di estradizione da parte di Israele, accolta dal ministro della giustizia Nordio e tradotta nella misura
cautelare più restrittiva: la detenzione. A marzo, appena 24 ore prima della decisione sulla sua estradizione in
Israele, Anan Yaeesh si ritrova invischiato in un’indagine per terrorismo della Dda dell’Aquila costruita attraverso
elementi forniti dagli investigatori di Tel Aviv. Insieme a lui altri due palestinesi: Ali Saji Rabhi Irar e Mansour
Doghmosh, entrambi arrestati. Di seguito pubblichiamo due sue lettere, di aprile e di maggio.

Evidentemente gli apparati antiterrorismo italiani e israeliani non erano sicuri dell’estradizione di Anan Yaeesh di cui
si discuterà in relazione alla custodia in carcere in udienza domani alla corte di appello dell’Aquila. E quindi al
mandato di arresto emesso da Tel Aviv del quale è stata chiesta la revoca da parte dell’avvocato Flavio Rossi Albertini
se n’è aggiunto un altro firmato dal gip del capoluogo abruzzese con l’accusa di associazione per delinquere finalizzata
al terrorismo internazionale che riguarda anche altri due palestinesi.
I tre avrebbero fatto operazioni di proselitismo e sarebbero stati pronti a compiere attentati anche suicidari. Questo
riportano le agenzie di stampa e i siti online dei giornali insieme a dichiarazioni di politici entusiasti del blitz a
cominciare dal ministro dell’Interno Matteo Piantedosi. Pare di capire che l’estradizione di un cittadino palestinese
verso Israele che è un paese in guerra sarebbe complicata. Di qui la decisione di arrestarlo per decisione della
magistratura italiana. In questo modo c’è la sicurezza di tenerlo in galera e di non doverlo liberare in caso di un
rigetto della richiesta di consegnarlo a Israele.
Le indagini, il condizionale è più che mai d’obbligo, avrebbero accertato la costituzione di una struttura operativa
militare denominata “Gruppo di risposta rapida – Brugate Tulkarem articolazione delle Brigate dei Martiti di Al – Aqsa
che si propone il compimento di atti di violenza con finalità di terrorismo anche contro uno stato estero. Per gli
avvocati della difesa ci sarebbe il rischio concreto ed effettivo che Yaeesh venga sottoposto a trattamenti inumani e
degradanti contesa la tortura.
11 marzo 2024, da giustiziami.it


Lettere dal carcere di Terni
Vi scrivo e sono contento di farlo oggi nella Giornata internazionale di Solidarietà con i prigionieri palestinesi. Mi
auguro per tutti loro che tornino liberi molto presto perché la vita là è davvero dura e lo so perché sono stato nelle
carceri israeliane per 4 anni e so come passa il tempo là. Sono in AS2 con Juan e Cesare, sono miei fratelli ora. Juan
mi aiuta a imparare l'italiano e a leggere la vostra lettera. Grazie tante ancora per il vostro interessamento e il
supporto. Sapete che siamo forti perchè ogni volta dietro di noi gente come voi ci dà l'energia di riempire la nostra
vita e continuare a lottare per conquistare la nostra libertà e la libertà dei nostri cari. Anan Yaeesh

***
Cara amica, dovrei spiegarti una cosa. Oggi sono in un carcere italiano perché vogliono mostrare a Israele che gli
italiani sono con loro, con Israele, quindi quello che succede non è normale. Ad esempio nel 2005, quando ero bambino,
sono stato arrestato in un carcere americano e inglese perché ero nelle Brigate di Al-Aqsa. Israele ha provato a
uccidermi 4 volte per questo motivo. Per la stessa ragione sono stato arrestato nel 2006 e mi hanno cacciato dalla
Palestina nel 2013. Per la stessa ragione Israele ha fatto la stessa richiesta in Norvegia nel 2015 e per lo stesso
motivo sono venuto in Italia, ho chiesto rifugio e l'ho ottenuto, perché sono nelle Brigate di Al-Aqsa. Sono stato
arrestato in Giordania l'anno scorso per lo stesso motivo e ora l'Italia mi ha arrestato per gli stessi motivi. Quindi
niente di nuovo, ma è qualcosa di politico, solo per dimostrare che Israele mi segue da molto tempo non solo adesso, e
lo so, sono sicuro, che se sarò libero o se rimarrò qualche anno e dopo sarò libero, Israele non si arrenderà mai e non
mi lascerà mai, non si fermeranno prima di uccidermi. E questo è il loro messaggio per me, ma sicuramente non ne
parleranno in TV o in pubblico. E la polizia italiana lo sa, sono sicuri al 100% che Ali e Mansour sono solo miei amici.
Non fanno niente e non sapevano niente, ma li hanno arrestati solo per dire che la polizia ha arrestato un gruppo di
terroristi non solo Anan, che lo vuole Israele. Quindi la mia vita non è segreta, la gente non mi conosce, ma tutta la
polizia di tutti i paesi mi conosce molto bene, è solo un gioco politico. Ma, come ho detto prima, non mi arrenderò mai
finché non avremo la nostra libertà per la Palestina e i palestinesi, perché la mia vita e tutto quello che ho è per la
Palestina, perché la Palestina merita sempre di più.
Grazie mia cara, e grazie a tutti quelli che ci sostengono. Sì, Flavio [avvocato] mi ha detto che il 30 aprile c'è stato
un gruppo di persone che si sono presentate in tribunale a sostenermi, e come sicuramente sai Israele ha respinto la
richiesta, ma è solo un gioco tra di loro. Ma ora il mio tribunale sarà pubblico, non come prima. Quindi chiunque potrà
entrare e guardare. Quindi mi piacerebbe vedervi lì. Certo, sarò in videoconferenza, ma posso vedere tutto. Grazie a
tutt per il vostro potere e le vostre parole positive; ed è vero che noi non saremo mai terroristi, perché la resistenza
è un atto di amore, e io, che amo la vita più di chiunque altro, preferirei morire per ottenere la libertà del mio
popolo, per vedere tutti i bambini in Palestina andare a scuola senza paura, per vedere tutte le ragazze andare per
strada senza paura, quindi amo la mia vita, ho molti sogni come tutti in questa vita, ho molti sentimenti nel mio cuore,
amo vivere in pace e farmi una famiglia, ma la Palestina è la cosa più importante prima di ogni cosa e prima della mia
vita.
Cara amica ancora una volta grazie per ogni cosa e spero di poter fare te e tutti quelli che sono con te, felici un
giorno con tutti i miei auguri e un grande abbraccio. Vostro amico. Palestine for Palestinian.

Anan Yaeesh, Str. delle Campore, 32 - 05100 Terni (TR)

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Prigionieri palestinesi e massacri sionisti
Secondo l’Associazione Addameer per il sostegno ai prigionieri e i diritti umani, quasi 10.000 palestinesi sono
attualmente detenuti nelle carceri israeliane (di cui circa 7.000 arrestati in Cisgiordania dal 7 ottobre), 3.880 in
detenzione amministrativa. Di questi detenuti, 200 sono bambini e 80 sono donne. Secondo Defence for Children
International – Palestine, “i numeri non sono mai stati così alti”. 61 bambini sono attualmente detenuti dalle forze
israeliane senza accusa o processo, pari a circa uno su tre di tutti i bambini palestinesi detenuti”. La detenzione
amministrativa “è uno strumento crudele usato dall’esercito israeliano per detenere i palestinesi, compresi i bambini,
sulla base di ‘accuse segrete’ non presentate ad essi o ai loro avvocati”, ha aggiunto il DCIP. I detenuti sono
trattenuti per un periodo rinnovabile fino a sei mesi, “creando un ambiente di ansia insopportabile per genitori e
bambini che non sanno quando potranno tornare a casa”.
18 palestinesi sono morti a causa di torture, negligenza medica e fame, nelle carceri israeliane dall’inizio della
guerra israeliana nella Striscia di Gaza, il 7 ottobre, ha affermato la Società dei Prigionieri Palestinesi (PPS). Il
bilancio comprende solo i dichiarati morti dalle autorità israeliane, mentre fonti dei media israeliani hanno affermato
che sono 27 i detenuti di Gaza morti nelle carceri israeliane dal 7 ottobre. (4 maggio 2024, da infopal.it)

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La CNN ha diffuso immagini trapelate del campo di tortura israeliano Sde Teiman, nel deserto del Negev, dove Israele
perpetua gravi crimini contro i prigionieri palestinesi rapiti da Gaza. Tre ex dipendenti israeliani hanno denunciato
alla CNN dettagli inquietanti sul campo di detenzione nel deserto di Sde Teiman, usato per detenere palestinesi durante
l'invasione israeliana di Gaza. Sono stato descritti uomini detenuti in condizioni disumane, con divieti di movimento e
comunicazione, e accuse di maltrattamenti da parte delle guardie. Alcuni detenuti avrebbero subito amputazioni a causa
delle lesioni da manette, mentre i trattamenti medici sarebbero stati eseguiti da personale poco qualificato. (10 maggio
2024, da Resistance News Network)

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Dal Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina Ufficio dei Martiri, Prigionieri e feriti (11 maggio 2024)
Le istituzioni internazionali, in particolare la Croce Rossa, sono completamente complici di questi crimini efferati.
Ciò che è stato rivelato sui centri di detenzione segreti in cui vengono commesse pratiche brutali contro i detenuti di
Gaza è un crimine che supera ogni limite.
Il Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina ha confermato che ciò che è stato trasmesso dalla rete americana
CNN sulle pratiche brutali commesse contro i detenuti palestinesi della Striscia di Gaza nelle strutture di detenzione
segrete all'interno dell'entità di occupazione è un crimine che supera ogni limite e una vergogna sulla fronte
dell'umanità.
Il Fronte ha aggiunto che l'indagine della rete internazionale ha rivelato la conversione delle basi militari in centri
di detenzione segreti nel deserto del Naqab. dove vengono praticate le peggiori forme di tortura e di abuso nei
confronti dei detenuti palestinesi della Striscia di Gaza, inclusi i feriti, e privandoli dei loro diritti umani e
legali più elementari, e ciò costituisce un genocidio commesso dal criminale nemico sionista inogni senso della parola.
Il Fronte ha sottolineato che la comunità internazionale e le istituzioni internazionali, con in testa la Croce Rossa
Internazionale, sono completamente complici di questi crimini orribili, in quanto hanno fallito nelle loro
responsabilità e non sono intervenuti con urgenza per salvare le vite di questi prigionieri che languono in prigioni
segrete nonostante l’esibizione delle violazioni e delle torture in corso da parecchi mesi.
Il Fronte ha ritenuto che la promulgazione da parte dell'entità di occupazione della legge sui cosiddetti "combattenti
illegali", che ha ampliato l'autorità dell'esercito di arrestare i sospetti militanti, così come li descrivono, supera
anche quanto accadde nelle prigioni naziste e fasciste. Questa legge dà all'occupazione legittimità a giustiziare i
prigionieri e ad abusare di loro, cosa che è stata attuata sul campo con notizie confermate di diversi prigionieri
martirizzati a causa delle torture e della sistematica lentezza delle esecuzioni.
Il Fronte conclude la sua dichiarazione sottolineando l'urgente necessità di inviare una missione internazionale per
ispezionare queste strutture segrete di detenzione e stabilire la sorte di questi prigionieri, considerarli come
prigionieri di guerra, garantire un minimo di diritti umani, documentare tutti i crimini commessi contro di loro e
inserirli tra i fascicoli sul genocidio presentati alla Corte internazionale di giustizia.

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Alcuni dati sul massacro in corso in Palestina
Genocidio israelo-statunitense a Gaza: 16 maggio 2024, 222° giorno. Bilancio dal 7 ottobre: 35.800 morti, 79.141 feriti,
più di 11.000 i dispersi sotto le macerie, 10.000 disabili causati dalle bombe, circa 200 palestinesi disabili sono
stati uccisi durante la campagna di bombardamenti di “israele”, 450 mila palestinesi sono stati sfollati con la forza da
Rafah dal 6 maggio.500 operatori sanitari uccisi nella Striscia di Gaza. Oltre 520 corpi rinvenuti in 7 fosse comuni nei
dintorni di ospedali a Gaza. Oltre 120 giornalisti uccisi. In Cisgiordania, costantemente attaccata dai sionisti,
esercito e coloni, i morti ad ora sono circa 500. Le città sono invase dall’esercito, gli arresti sono continui, le
aggressioni dei coloni ai coltivatori, ai pastori e ai beduini non si fermano. Per completare l’opera i soldati
distruggono le strade, oltre ai negozi, alle scuole e alle abitazioni.
Oltre 1,7 milioni di palestinesi di Gaza sono stati evacuati internamente a causa dell'aggressione israeliana in corso
dal 7 ottobre. C’è chi si è spostato già due, tre o anche dieci volte da un posto all’altro sempre inseguito da
bombardamenti. In realtà non c’è mai stato un luogo sicuro in cui sfollare.
14 maggio. Coloni israeliani, portando come a una festa le famiglie e i loro bambini, hanno attaccato i camion di aiuti
umanitari a ovest di Hebron, impedendone il passaggio dalla Cisgiordania occupata alla Striscia di Gaza, e hanno gettato
a terra il contenuto di uno di essi. Da una settimana, Israele continua a chiudere i valichi di Rafah e Kerem Abu Salaam
al passaggio degli aiuti, rendendo più disastrosa la situazione a Gaza, dove vivono circa 2,3 milioni di cittadini
palestinesi. Fonti israeliane hanno riferito che i cosiddetti “membri dell’Ordine 9” e altri manifestanti hanno impedito
ai camion di aiuti partiti da Hebron di dirigersi verso Gaza. “Ordine 9” è un gruppo israeliano di destra che sta
guidando le proteste per impedire ai camion degli aiuti umanitari di entrare a Gaza, sottoposta a una devastante
aggressione israeliana dallo scorso 7 ottobre.
Intanto, nel deserto del Negev, le autorità israeliane hanno demolito 47 case palestinesi. Secondo il Comitato direttivo
superiore degli arabi del Negev, questa è stata la più grande campagna di demolizione israeliana in un solo giorno in
diversi anni nella regione del Negev.


dalle lotta contro i campi di internamento
CPR di Ponte Galeria (Roma). Seif Bensouibat, cittadino algerino e rifugiato politico in Italia dal 6 dicembre 2013,
educatore al liceo francese di Roma Chateaubriand, è stato licenziato e ha perso lo status di rifugiato a seguito di
post critici su Instagram riguardo alla situazione a Gaza. L’insegnante è stato soggetto a perquisizioni ed è stato
messo nel CPR di Ponte Galeria, in attesa dell'udienza di convalida del decreto d'espulsione che poi, il 23 maggio, non
è stato convalidato. Domenica 19 maggio, circa 200 persone si sono radunate davanti al CPR di Ponte Galeria, rompendo
per due ore la normalità e il silenzio. I cori e gli interventi si sono intrecciati con le grida di chi è recluso.
Due ore di musica e solidarietà nei confronti dellx detenutx, di chi è reclusx e torturatx, nelle gabbie come i CPR così
come in quelle a cielo aperto come Gaza. Il presidio è stato un’occasione per comunicare all’interno quanto sta
emergendo pubblicamente sui centri di espulsione. Solo grazie alle lotte delle persone recluse si sono nuovamente accesi
i riflettori sulla quotidiana violenza dello stato: dagli psicofarmaci elargiti come metodo di contenzione, alle ragioni
delle numerose proteste ed evasioni, dall’isolamento brutale che caratterizza la sezione femminile di Ponte Galeria,
alle pesanti negligenze delle ASL che condannano a malattie e morte le persone internate.

CPR di Gradisca di Isonzo (Go), 10 marzo. Sappiamo quali siano le condizioni del CPR di Gradisca, di ogni lager di quel
tipo. La tortura e la segregazione sono il loro ordine di funzionamento. Lo vediamo quando cerchiamo di portare qualche
pacco ai reclusi all'interno: forze di polizia di ogni tipo, in costante tenuta antisommossa, a governare la macchina
dell'internamento e della deportazione con il manganello. Sappiamo anche quanto i reclusi all'interno siano combattivi e
resistenti: le rivolte sono continue, i tentativi di evasione si susseguono. Viva la libertà! Scriviamo tutto questo
perché sappiamo che in questi minuti due persone, in un tentativo di evasione, sono salite sul tetto, braccate dalle
guardie sotto. Minacciano di gettarsi nel vuoto, a questo sono costretti. Ci sono proteste in corso. Mandiamo il nostro
caloroso abbraccio a tutti i reclusi, a tutti i resistenti. E che tutti sappiano, così almeno da evitare i loro
maledetti insabbiamenti, il silenzio in cui vogliono confinare le vite tra quelle mura!
La sera del 28 aprile ha avuto luogo un altro tentativo di fuga. Otto prigionieri hanno cercato di evadere,
fortunatamente tre di essi sono riusciti a far perdere le proprie tracce, complice il buio. Un altro, cadendo dal muro
di cinta si è fratturato la caviglia ed è stato trasportato all’ospedale (ci risulta attualmente libero), gli altri,
alla fine di una notte passata sui tetti, sono stati poi riportati nelle celle dalle guardie. (Da brughiere.noblogs)
Sui fatti all’aeroporto di Malpensa, Terminal 1, pista di decollo del 20 Marzo. Mercoledì 20 Marzo si è venuti a
conoscenza dell’imminente deportazione di Jamal, compagno torinese trattenuto nel CPR di Gradisca d’Isonzo. Appena
ricevuta la notizia alcuni compagni e compagne si sono mossi verso l’aeroporto di Milano Malpensa dove i solidali sono
riusciti ad accedere alle piste e mettersi davanti all’aereo della Royal Air Maroc diretto a Casablanca, bloccandolo e
ritardando la partenza del volo. Si è scoperto in seguito che Jamal era stato portato all’aeroporto di Bologna e da lì
deportato in Marocco. Sull’aereo bloccato a Malpensa era comunque presente una persona la cui espulsione è stata
probabilmente impedita grazie al blocco dell’aereo e al successivo rifiuto del pilota di eseguire la deportazione. I
compagn sono stat trattenut fino a tarda serata; una compagna è stata poi rilasciata con la denuncia di interruzione di
pubblico servizio, gli altri si trovano invece in carcere in attesa della convalida di arresto e sono accusati di
resistenza a pubblico ufficiale, interruzione di pubblico servizio e attentato alla sicurezza dei trasporti.
Di fronte alla violenza sistemica della macchina di gestione ed espulsione di persone senza documenti europei, questi
momenti di coraggio e determinazione ci ricordano che non è tutto inevitabile e che inceppare il meccanismo è possibile.
Se l’obiettivo statale è la normalizzazione delle pratiche di espulsione, l’isolamento e il silenziamento delle proteste
e delle rivolte che infiammano i centri di detenzione dal canto nostro non lasceremo solo chi si oppone a ciò dentro
come fuori. Bloccare le deportazioni è possibile, scendere sulle piste degli aeroporti ancora di più!
Il 20 Marzo hanno deportato Jamal, compagno e amico. L’informazione del suo imminente rimpatrio coatto, arrivava da uno
dentro che crede ancora, e forse sempre di più, nella comunicazione solidale con il fuori. Gli avevano teso una trappola
e poco della sua sorte imminente – che fosse il trasferimento in un altro CPR o la deportazione – si sapeva. A volte
basta lanciare il cuore oltre una porta di emergenza, dei tornelli, un maniglione antipanico per trovarsi ai piedi di un
aereo. A volte basta correre lungo la sua fiancata, guardare negli occhi un pilota e ricordargli che sta deportando: che
si sta rendendo parte di una macchina razzista e iniqua esistente in parte grazie ad un’obbedienza vaga e una mera
indifferenza. Se il 28 Febbraio alla ASL di via Farinelli di Torino non si sono sottratti ad adempiere servilmente al
ruolo di collaboratori della violenza razzista, consentendo la detenzione di Jamal (e probabilmente di tanti prima e
dopo di lui; ieri un pilota l’ha fatto – chissà se scosso da chi ha dato forza alle proprie gambe e ha corso al fianco
di quell’aereo.
Che in quell’aereo – a differenza di ciò che ritenevamo – la persona da deportare non fosse Jamal poco importa. Ciò che
vale la pena è ribadire che la macchina delle espulsioni può essere inceppata, che la creatività che nasce dallo slancio
di lotta, di rabbia e di amore può rompere il muro dell’indifferenza e mostrare le brutali contraddizioni del presente,
nude, evidenti su una pista di decollo. Così reali da non poter che prenderne atto. L’unica cosa che ci viene da
ribadire è che tutto ciò che è successo a Torino e a Malpensa è potenzialmente replicabile e riproducibile.
All’udienza di convalida dell’arresto è caduta l’accusa di attentato alla sicurezza dei trasporti (432 c.p.) restano
resistenza in concorso (337, 110 c.p.) e interruzione pubblico servizio (340, c.p.), i 4 compx vengono scarcerati con
obbligo di dimora a Torino, rientro notturno presso la propri abitazione e firme quotidiane.
A Jamal, oggi in Marocco, deportato dallo Stato. Alla sua libertà. A Josto, Ele, Miri, Peppe. Alla loro libertà. Che dei
CPR non rimangano che macerie. Fuoco alle galere. Libertà per tuttx (23 marzo, tratto da nocprtorino.noblogs)

Il NAGA chiede il sequestro del CPR di Milano. Ieri, martedì 16 aprile, l’avvocato Eugenio Losco del Foro di Milano ha
depositato per conto della Associazione Naga di Milano formale esposto presso la Procura della Repubblica di Milano
perché vengano effettuate le opportune indagini per accertare le responsabilità sia in relazione agli episodi relativi
alla violenza esercitata all’interno del Centro di Permanenza per il Rimpatrio di via Corelli 28 da parte di alcuni
appartenenti alle Forze di Pubblica Sicurezza, sia in relazione al malfunzionamento del CPR sotto l’aspetto
amministrativo ed igienico sanitario.
L’associazione è venuta a conoscenza di quanto messo all’attenzione della Magistratura attraverso messaggi audio e video
e foto provenienti da persone trattenute nel centro nel periodo tra il 10 e il 18 febbraio; alle segnalazioni hanno
quindi fatto seguito tre accessi alla struttura effettuati allo scopo di accertare quanto stava accadendo... I fatti a
cui l’esposto si riferisce sono avvenuti in un periodo in cui il ramo d’azienda di Martinina srl che gestiva il centro
era già stato sequestrato su richiesta della Procura della Repubblica di Milano, accolta dal GIP il 21 dicembre 2023; da
quella data il CPR è quindi sottoposto tramite il Commissario al controllo della Magistratura, potere di garanzia per
eccellenza. Purtroppo nella vita quotidiana delle persone rinchiuse nel CPR non sembra esserci stato nessun cambiamento
tangibili... Al fine di evitare il ripetersi dei trattamenti disumani e degradanti che vengono segnalati fin dalla sua
riapertura come centro di detenzione amministrativa nel settembre del 2020, l’esposto presentato dal Naga si chiude
perciò con la richiesta di sottoporre a sequestro preventivo l’intera struttura con l’effetto di chiuderla.
Sabato 27 aprile il centralino SOS CPR è stato contattato da H, diciottenne tunisino citato nell’esposto presentato dal
Naga alla Procura della Repubblica di Milano; così scrivevamo nella sintesi dell’esposto resa pubblica nel corso
conferenza stampa dello scorso 17 aprile: “Le prime notizie di violenze subite arrivano, intorno alle 22.41 [di sabato
10 febbraio]. Un giovane ragazzo tunisino lamentava di essere stato picchiato da agenti di polizia. Dalle 2.10 in poi,
arrivavano alcuni video che mostravano 20 agenti della Guardia di Finanza, entrati nel modulo, mentre prendevano a
manganellate lo stesso ragazzo e un altro uomo che aveva tentato di difenderlo”. Il referto del Pronto Soccorso, dove H
sarà inviato solo nella tarda mattinata dell’11 febbraio a seguito della diffusione del video delle violenze,
riscontrerà come conseguenza del pestaggio la frattura di tre costole.
H chiamava dalla Tunisia, dove si trovava già da tre giorni a seguito del suo rimpatrio forzato; il suo racconto narra
di un fermo eseguito a Rimini con immediato trasferimento in un centro siciliano, un CPR o forse uno di quei ‘luoghi
idonei’ al trattenimento di persone da deportare con procedure rapide, istituiti dal decreto Salvini e sempre più
diffusi sul territorio nazionale; con rapidità davvero insolita, solo cinque giorni dopo veniva collocato su un volo con
destinazione Tunisi. Il fermo, dunque, sarebbe avvenuto il 19 o il 20 aprile, appena due o tre giorni dopo la
presentazione dell’esposto del Naga: difficile pensare che i funzionari che hanno gestito questa operazione non fossero
a conoscenza della sua storia, che, come ricordato sopra, era stata già stata resa pubblica da un post della rete Mai
più lager - No ai CPR la notte stessa dei fatti.
(Associazione NAGA)

Nuovo bando da 24 mesi per la gestione del Cpr di Milano. Raddoppiate le cifre per la gestione. Appalto da 7,7 milioni
per 48 posti in due settori. Piano di ristrutturazione affidato al Genio dell’Aeronautica. Una nuova gestione per
ripartire dopo l’inchiesta giudiziaria, il commissariamento e le polemiche politiche con annessa richiesta di chiusura.
Un bando con cifre molto più alte rispetto al passato... Nel 2022 il prezzo a base di gara per il servizio di gestione
era pari a 45,45 euro al giorno per migrante, nel 2024 la cifra è salita a 82,84 euro, quasi il doppio; per quanto
riguarda la fornitura del kit, si è passati da 150 a 173 euro... Del resto, l’ispezione della Finanza del primo dicembre
2023 e gli accertamenti investigativi legati anche ai report del Naga hanno fatto emergere le pessime condizioni
igienico-sanitarie in cui erano costretti a vivere gli ospiti del Cpr, nonché l’inadeguatezza del servizio di
ristorazione e il mancato rispetto degli accordi presi dai gestori su assistenza sanitaria e legale e mediazione
linguistica... C’è tempo fino al 20 maggio per presentare la candidatura. Fissati anche i paletti per il personale: tre
operatori diurni dalle 6 alle 22 e due notturni da mezzanotte alle 6; un infermiere sempre presente nel corso della
giornata e medico per 28 ore settimanali; dovranno essere garantiti anche uno psicologo per 32 ore a settimana e un
operatore sociale per 30 ore, due mediatori linguistici di giorno (16 ore al giorno) e due di notte (8 ore) e 14 ore di
informazione normativa.

Blitz notturno e sgombero di migranti alla caserma Cavarzerani (Ud). Sgombero con blitz della polizia alle 4 del mattino
del 9 maggio alla caserma Cavarzerani a Udine, dove alloggiavano circa 150 migranti e richiedenti asilo. Uno sgombero
avvenuto con “modalità offensive della dignità umana”, così l’ha definito la Rete DASI, Diritti accoglienza e
solidarietà internazionale del Friuli Venezia Giulia. Che denunciano: “la larga maggioranza delle persone che erano
state ammassate in condizioni di estremo degrado nella cosiddetta ‘moschea’ erano titolari di un diritto all’accoglienza
che non veniva loro riconosciuto in violazione della legge. Non c’era dunque alcun motivo per attuare un’aggressiva
operazione di polizia alle 4 del mattino” per spostarli in altri spazi della caserma o in altri centri, anche lontani
dal Friuli, come in Sardegna. (Da Radio Onda d’Urto)

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Non chiamatela scafista!
Presidio il 10 maggio al Tribunale di Crotone
Il 10 maggio, alle 9.00, saremo al tribunale di Crotone, dove si terrà la seconda udienza del processo che vede imputata
Maysoon Majidi.
Già il 26 marzo scorso c’era stata un’iniziativa di protesta al carcere di Castrovillari, sostenuta da persone indignate
per la surreale reclusione subita dalla regista e attivista curdo-iraniana, in cella dal 31 dicembre del 2023, con
l’accusa di essere una scafista.
Il caso di Maysoon non è l’unico. In Calabria c’è un’altra donna, Marjan Jamali, reclusa dal 27 ottobre 2023 in un altro
carcere, quello di Reggio, con la stessa accusa e ci sono anche due minorenni, ‘scafisti’, nel carcere minorile di
Catanzaro, il kazako Mukamadi Mukammad e l’egiziano Hamdi Ebebawi.
È noto che chi intasca i soldi, decine di migliaia di euro per questi viaggi, non parte, non corre il rischio di morire
in mare, resta in Libia, o da qualche altra parte, ad organizzare comodamente i suoi traffici; mentre è chi si trova a
corto di soldi che, pur di intraprendere quel viaggio per approdare ad una vita migliore, potrebbe accettare di mettersi
al timone.
Non si tratta di spietati traghettatori che lucrano sulla pelle di persone in fuga, al contrario di vittime di un
sistema che produce profughi, viaggi a rischio, morti. L’ingiusta reclusione di Maysoon è un caso paradigmatico per
comprendere meglio anche l’insensatezza e la pericolosità del Decreto Cutro, nato dopo la tragica morte, in Calabria, di
94 migranti, lasciati in balia delle onde, senza rispondere alle richieste di soccorso, tanto che la Procura di Crotone,
nei mesi scorsi, ha iscritto nel registro degli indagati tre ufficiali della guardia di finanza per mancato soccorso.
Dopo questa tragedia, il governo Meloni riunisce proprio a Cutro il Consiglio dei Ministri e da lì fa passare il famoso
decreto Cutro, che sancisce l’ennesima riduzione dei diritti umani e spiana la strada alla carcerazione facile ed
ingiusta.
Nel frattempo, durante il processo per la strage di Cutro, alcuni sopravvissuti hanno dichiarato che sono stati indotti
dalle forze dell’ordine a indicare come scafisti delle persone che non lo erano. Questo rappresenta un caso che aiuta a
capire come vengono forzati i vincoli della verità pur di “produrre colpevoli scafisti“.
Per fortuna, ci sono alcuni spiragli in questa feroce produzione di trappole per migranti-finti scafisti. Il 4 aprile,
al tribunale di Ragusa, il Collegio giudicante ha assolto tre migranti dall’accusa di essere degli scafisti: uno dei tre
migranti per non aver commesso il fatto e gli altri due perché le loro azioni erano dettate dallo “stato di necessità”.
La sentenza ha così messo fine ad una lunga ed ingiusta reclusione risalente agli sbarchi del maggio 2017 a Pozzallo.
Lunghi anni di carcerazione che si sarebbero potuti evitare. La speranza è che questa sentenza, così come le altre che
ci sono state, aiutino a ristabilire un minimo di giustizia là dove sembra proprio mancare.
10 Maggio 2024, da contropiano.org


Non solo il Beccaria. Il carcere minorile va chiuso
Il 22 aprile 2024 vengono sottoposti a misure cautelari 21 agenti del carcere minorile "Beccaria" di Milano. Di questi,
13 vengono arrestati mentre 8 sospesi dal servizio. Sono accusati a vario titolo di matrattamenti, abuso di potere e
tortura. Stando a La Repubblica del 15 maggio, alcune settimane dopo, alcuni di loro hanno scritto delle lettere a tre
dei ragazzi vittime dei pestaggi, si sono addirittura scusati, giustificati per le condizioni estreme e hanno offerto
loro tra i 500 e 700 euro di risarcimento a causa delle "ristrettezze economiche". Considerando la violenza perpretata,
queste scuse creano ancora più rabbia.
Il 24 aprile si è svolto un presidio sotto le mura del carcere minorile Beccaria. La risposta dei ragazzi reclusi è
stata molto forte ed emozionante. Al microfono è intervenuta una piccola bambina residente nelle vicinanze che ha
mandato parole commoventi ai giovani detenuti che l’hanno ascoltata molto partecipi e in perfetto silenzio, alla fine
l’hanno ringraziata di cuore.
Un secondo presidio si è tenuto il 26 maggio, molti i giovani, fra i quali alcuni amici dei minori reclusi con i quali
hanno a lungo parlato, ogni domenica vanno infatti a salutarli. Musica e interventi per ricordare i fatti accaduti, i
pestaggi, le violenze e le molestie da parte delle guardie, si è rimasti sotto le mura per qualche ora.

In questi giorni media e giornali hanno messo nelle loro prime pagine la tortura e la violenza nei confronti dei giovani
reclusi all’Istituto penale minorile Cesare Beccaria di Milano. Le deposizioni, le immagini interne e le intercettazioni
hanno restituito storie terribili. Tredici agenti penitenziari sono stati tradotti alla Casa di Reclusione di Bollate e
altri otto sono stati sospesi dal servizio. Un fatto epocale. [...]
Emergono ogni giorno nuovi tasselli dell’inchiesta della procura, emergono con chiarezza violenza e ipocrisia di questa
istituzione. Ricerche dettagliate (vedi il rapporto annuale di Antigone) denunciano da decenni le condizioni di
gravissimo disagio delle carceri italiane con puntuali analisi sugli istituti penali minorili. Numerosi reportage e
approfondimenti giornalistici, [...] restituiscono, gli scenari di coercizione, violenza e degrado, vissuti dai ragazzi
reclusi in questi istituti. Tutto questo veniva detto in modo molto chiaro ben prima dell’inchiesta della procura che
oggi giustamente sta riscuotendo l’attenzione che merita (per esempio: Chi li ascolterà?). [...]
Sulle sofferenze, sulle violenze subite e agite, sull’autolesionismo (“teatralizzato” per sbattere in faccia il
terribile dolore quotidiano per la propria condizione), si trova poca traccia in tutti i ragionamenti fatti e che si
fanno; dei rapporti conflittuali e difficili con gli educatori e le educatrici, con le assistenti sociali, con gli
agenti, con i compagni di detenzione, si dice nulla; sulle mancate possibilità e sulla voglia di far fronte a queste
mancanze non ci si confronta; le terapie annientanti, gli scioperi della fame, le pile stilo ingoiate, i tagli sulle
braccia e sullo stomaco, le risse e i pestaggi, i suicidi, sono l’indicibile. [...]
Oggi dobbiamo dare risposte nette, chiare, alla situazione di violenza e degradazione che cronaca e magistratura stanno
facendo emergere. È necessario domandarsi seriamente a cosa serve il carcere oggi in Italia. [...] E a cosa serve un
istituto penale minorile? Tutte le volte che un minorenne finisce in un carcere si materializza una sconfitta per la
comunità intera, per ognuna delle istituzioni sociali che ai minori dovrebbero dedicarsi, per qualunque società che si
ritiene o si definisce avanzata. È l’esistenza stessa di questi istituti di pena a convalidare questa sconfitta, giacché
essi provocano e riproducono solo disagio e sofferenza. Le carceri minorili dovrebbero chiudere perché non risolvono
nessun problema, perché non hanno soluzioni. Perché questi luoghi non guariscono il male, ma anzi lo riproducono e lo
amplificano.

26 aprile 2024, tratto da monitor-italia.it


LETTERA DAL CARCERE DI IVREA (TO)
Ciao carissimi compagni e compagne e OlGa, ho ricevuto il vostro pacco e per me è doveroso dirvi grazie, anche se un
semplice grazie non basta mai perchè so quanto sia problematico per voi accontentare tutti e più che accontentare
supportare. Vi avevo detto che andavano bene anche cose usate ma va bene come avete fatto voi almeno ora ho qualcosa di
caldo visto che in questi giorni fa molto freddo, poi qui le celle sono fredde e molti di noi ci siamo allagati perchè
le finestre non aderiscono bene ai battenti, pensate in che situazione ci tocca vivere per giunta le docce sono fuori
cella e si rischia di prenderci una bronchite. Comunque per ora vi scrivo in breve perchè fa freddo e dal letto sto
scomodo ma appena possibile vi mando un esposto da pubblicare su OlGa.
[...] qui non danno nulla, solo carta igienica uno straccio da pavimento e sapone scadente ammuffito che si sgretola,
del resto, spazzolino e lamette etc ci tocca comprarlo chi ha i soldi, chi no si arrangia e non è facile perchè si vive
in sovraffollamento e la maggior parte nessuno ha da dare come si faceva anni addietro. Che dirvi cari compagni e
compagne si aspetta questa riforma della giustizia che tra l'altro si risolverà ben poco perchè il ministro Nordio di
questa ipotetica giustizia che funziona all'inverso, ma la parola "funziona" è troppo perchè non funziona nè in un modo
nè in un altro e qui la gente si suicida, si rivoltano uno contro l'altro, ogni giorno succedono risse perchè i carceri
traboccano e sono gestiti male. Funzionano solo per i cavoli loro uffici caldi a 5 stelle con tanto di arredo
modernissimo e noi sui sgabellini che ci spezzano la schiena se ci stai più di un paio di ore, materassi scadenti,
sporchi che hanno oltre 20 anni e si rischia malattie tipo scabbia, eruzioni cutanee che poi l'Asl interno tampona con
pomate tipo gentalin beta o cortisone che non va bene. Perlomeno qui in questo carcere. Il vitto non ne parliamo, spesso
la sera si va a letto con pancia che brontola o con crampi allo stomaco perchè quello che si riesce a mangiare a pranzo
è mal cucinato, pasta che è colla, secondo sempre le stesse cose, wusterl, pesce che puzza perchè è merluzzo se merluzzo
lo vogliamo chiamare è solo bollito nelle teglie ed emana un odore che non vi dico. Ecco chi ha soldi si cucina, chi no
si deve arrangiare con qualcosa di commestibile, uova sode, formaggi tipo sottilette, formaggini, qualche po' di verdura
quando è buona sennò si fa passo perchè non è condita, specie quando ci sono i crauti solo lessati. Vabbe qui è un caso
a parte e posso dirvi che chi stava a Marassi Genova si lamentava e ora se lo rimpiangono. Pure io a dirvi il vero me lo
rimpiango non tanto per le cose ordinarie ma stavo lì da 4 anni e un po' voi e un po' qualche volontario mi sostenevate
e non mi potevo lamentare, tranne le restrizioni che vigevano come anche qui vigono e sono più restrittive di Genova
Marassi, queste sono le lamentele ma non è solo questo perchè le carceri sono strapiene e solo in pochi godono del
lavoro, dai corsi o qualcosa che ti distrae dall'oziare o fare comunelle, cosa che porta solo a liti, bisticci,
predominare su cose dove c'è profitto come vendita di psicofarmaci, spaccio di sostanze, telefonici etc etc. Io ne sto
fuori perchè ho la mia missione da portarmi avanti, la lotta di sempre che è quella che anche voi da fuori perorate, ma
molti non capiscono e se ne parlo con qualcuno mi prende per bombarolo, insurrezionalista o che prevarico su cose che a
loro stanno bene perchè hanno le famiglie vicino e da un lato non gli do torto, ma poi la dignità il principio dove
vanno a finire? E' una diatriba ma per conto mio mi porto avanti il mio principio, poi si vince o si perde, sempre
gloria sarà, almeno hai lottato per qualcosa, mentre gli altri sono presi da cose futili che vi ho appena detto ed è un
male anche per loro perchè poi vengono beccati e le restrizioni sono per tutti più di quelli che già vivono, ma lasciamo
stare.
Poco tempo fa è morto un detenuto che non lo hanno curato a dovere, era cardiopatico e gli misuravano la pressione, due
pasticche calmanti e su in cella e un bel mattino trovato cadavere, non suicida, nel suo letto. Il giorno dopo sono
venute le autorità, ma il giorno dopo, come non fosse successo nulla. è [...]

13 marzo 2024
Rosario Mazzone, Corso Vercelli, 165 - 10015 Ivrea (TO)


Lettera dal carcere di Milano-Opera
Ciao mi auguro che questa mia missiva ti arrivi e ti accolga al meglio. Come hai notato dal mittente sono Tony dal
carcere di Opera. Purtroppo qui siamo sempre alle solite, mi riferisco alle ulcere o meglio alle medicazioni. Faccio
fatica a credere a tutta questa disumanità. Mi riferisco anche alla nuova dottoressa che mi dà l'impressione che se ne
freghi un po' del prossimo. Mi sono preso il primo rapporto disciplinare, il motivo? il giorno 17/4 ore 18 circa, erano
passati due tre giorni che chiedevo di fare la medicazione. Allora a distanza di un'ora ho ingoiato tagliaunghie,
batteria mini stilo, e lametta: il resto è storia. Solo il giorno dopo verso le 12/13 mi hanno portato all'ospedale
Fatebene Fratelli e dopo la conferma dei dottori che aveva ingerito quanto dichiarato, ho riferito che l'avevo fatto
perché non mi seguivano le medicazioni, e se potevano farmela. La risposta è stata: non possiamo perché non abbiamo
questo tipo di meditazione. Lì ho sclerato e sono andato su tutte le furie. adesso sto aspettando il magistrato di
sorveglianza, ma so che è una battaglia persa, ma non voglio mollare e dopo che avrò parlato col magistrato potrò dare
sfogo a tutte le realtà che le persone fuori, forse, sono nei film può immaginarle. Perché da quando sono qui quattro
detenuti che perdono la vita sono troppi. Siamo nella media di uno ogni cinque mesi.

Antonio Girardi, via Camporgnago, 40 - 20090 Milano-Opera


Nel carcere di rebibbia comincia lo sciopero della spesa
Da lunedì 6 maggio, a tempo indeterminato, i detenuti e le detenute del Carcere di Rebibbia a Roma hanno iniziato uno
sciopero contro le condizioni della detenzione a cui sono obbligati. Si tratta di uno sciopero particolare, poiché
attraverso la rinuncia alla spesa interna mira a privare la struttura carceraria di una parte considerevole delle
proprie entrate. Riportiamo parte di una lettera di uno dei detenuti all'associazione “Nessuno Tocchi Caino”.

Sono Giovanni Granieri, detenuto presso il Carcere di Rebibbia Nuovo Complesso. Vi scrivo per informarvi che avrà inizio
uno sciopero nazionale ad oltranza nelle carceri italiane [ad ora risultano le adesioni solo da Rebibbia, ndr]. I
detenuti non acquisteranno più la spesa fino a data da destinarsi. Questo sciopero è un atto di estrema necessità per
protestare contro le condizioni disumane in cui noi detenuti siamo costretti a vivere. Le condizioni delle carceri, già
difficili, sono diventate ormai insostenibili e non mostrano alcun segno di miglioramento. Nella mia cella, ad esempio,
siamo in sei persone, non abbiamo armadietti per riporre le nostre cose e c'è una sola turca, situata proprio accanto al
tavolo dove cuciniamo. Non riceviamo adeguata assistenza sanitaria né cure mediche, non possiamo accedere con continuità
a programmi educativi, non abbiamo assistenza psicologica permanente e la Polizia Penitenziaria non riesce a gestire
tutte le problematiche relative alla sicurezza. Avevamo riposto qualche speranza nell'approvazione dell'aumento dei
giorni di Liberazione Anticipata (D.d.l. C 552), ma anche questa speranza sembra sfumare a causa delle continue
opposizioni e rinvii. Questa situazione non ha nulla a che fare con la pena che stiamo scontando per gli errori che
abbiamo commesso e ricordiamo che ci sono moltissime persone vittime di errori giudiziari, ancor più persone in attesa
di giudizio e molti malati terminali." In queste condizioni, la rieducazione sancita dall'art.27 della Costituzione
Italiana diventa impossibile. Così non puo esserci rieducazione! Le condizioni carcerarie rappresentano un problema
strutturale che va oltre le singole responsabilità. Il sistema penitenziario necessita di una profonda riforma per
garantire giustizia e dignità a tutti i detenuti. Con questo sciopero, chiediamo alle autorità competenti di intervenire
con urgenza per migliorare le condizioni di vita nelle carceri italiane. Non possiamo più accettare di vivere in
condizioni che violano i nostri diritti umani fondamentali e chiediamo a voi sostegno in questa iniziativa assolutamente
pacifica, in quanto crediamo che la violenza NON SIA MAI una risposta e riteniamo che la nonviolenza sia l'unico
strumento efficace per ottenere il cambiamento, confidando nel dialogo e nella collaborazione per risolvere i problemi
del sistema carcerario. Chiediamo a Voi che vi battete per i diritti dei detenuti di incontrarci se vorrete e di
aiutarci nella realizzazione di uno striscione da esporre in Piazza San Pietro durante la messa domenicale del Papa per
diffondere il messaggio alla popolazione mondiale.
Vi preghiamo anche di diffondere questo comunicato stampa il più possibile per sensibilizzare l'opinione pubblica sulle
condizioni disumane nelle carceri italiane. Il vostro aiuto sarebbe fondamentale per realizzare questo importante gesto
di sensibilizzazione. LA DIGNITA' NON PUO' PIU' ATTENDERE! Grazie da tutti noi.

Roma, 10 maggio 2024, da Radio Onda Rossa


Lettera dal carcere di Vigevano (PV)
Da alcune lettere e cartoline ricevute, veniamo a conoscenza di una nuova ordinanza attiva in alcune carceri che vieta
di ricevere pacchi e vaglia da amici o persone non autorizzate. La cosa è confermata anche dal rinvio al mittente
“sconosciuto” di pacchi inviati ad alcuni detenuti.

Ciao, vengo a rispondere alla vostra lettera dell'8/4/2024. Condivido pienamente quanto espresso nello scritto.
Purtroppo impugnai la censura più volte, ma il tribunale di sorveglianza di Milano l'impugnazione la ritenne
inammissibile in quanto mantengo rapporti con gruppi sovversivi di sinistra e con gruppi anarchici a cui appartengo e
anch'io sarei monitorato in quanto risulto anarchico insurrezionalista. Allora feci l'impugnazione al tribunale di
sorveglianza di Firenze e anche qui venne considerata inammissibile in quanto non mi sono dissociato dai gruppi di
appartenenza. Già la motivazione basta e avanza per capire dove vogliono arrivare. Il fatto che tu non abbia visto la
censura sulla mia lettera non vuol dire che non ce l'abbia, purtroppo mi è stata rinnovata per altri tre mesi, che
scadono il 28 maggio.
Ho ricevuto anche la cartolina dove mi viene chiesto se possono mandarmi un vaglia o soldi tramite l'IBAN e, come
risposto, purtroppo non posso ricevere né uno né l'altro perché la direzione ha messo un avviso che non possiamo
ricevere né soldi dagli amici né pacchi con indumenti da amici, quindi vi ringrazio a tutti- e voi del vostro pensiero,
è già tanto che possa ricevere i vostri scritti. Vi abbraccio tutti-e. Mauro.

17 aprile 2024
Rossetti Busa Mauro, via Gravellona, 240 - 27029 Vigevano (Pavia)


Lettera dal carcere di Secondigliano (Na)
Un abbraccio a tutt* i/le compagn* di Ampi Orizzonti e del collettivo Olga, da Claudio. Ho ricevuto con molto piacere
il piego che mi avete inviato contenente il testo “Quando muoiono le insurrezioni”. Sarà un piacere aggiungerlo alle mie
letture e sono sicuro che accrescerà felicemente i campi del mio scibile.
In questi giorni rileggevo un testo di Fabrizio de André che parlava del suo album del 1973 “Storia di un impiegato”. La
realtà carceraria in questa sua disamina, al di là delle “implicazioni di degradazione di cui tutti siamo a conoscenza”,
è il simbolo dell’oppressione, ma rappresenta anche l’uguaglianza. A dire il vero è con estremo rammarico e con tanta
tristezza, che termini e valori come “uguaglianza” oggi sono sempre più labili tra queste quattro mura. Ciò che rimane è
l’oppressione. Purtroppo la cultura dell’edonismo fugace come un giro di roulette è penetrata prepotentemente anche
nelle carceri. Ivan Illich nel suo testo “La convivialità” ci fa pensare su come il senso di comunità, l’intimità,
l’incontro con l’altro ecc. vengano a volte ostacolati dalla nostra forma sociale. Ciò che lui definisce “non
conviviale” è quello come le scuole che “confezionano l’apprendimento” selezionando l’individuo, o le “pressioni che
determinano i bisogni”. Secondo Illich la creazione dei “bisogni di base” ha trasformato la natura umana.
Negli ultimi 40 anni anche le carceri hanno subito un processo evolutivo.
Se prima la commissione dei reati era legata all’esigenza di soddisfare i bisogni primari, oggi abbiamo un’inversione di
rotta dove molti reati sono legati al soddisfacimento di quei bisogni impari e fugaci che la società ci propina.
Questo ha fatto sì che le forze più nobili di interazione sociale, di empatia, di solidarietà, di collettività
lasciassero il posto alle nuove forme sociali di individualismo ed egocentrismo. La società dell’“Io”.
Logicamente la mia è una pura riflessione che può benissimo non essere condivisa. Un abbraccio solidale a tutt* i/le
compagn* e prigionier*. Claudio.

24 marzo 2024
Claudio Cipriani, Via Roma verso Scampia, 350 - 80144 Napoli-Secondigiano
Lettere dal carcere di Palermo
Di seguito due lettere di Luigi, di fine marzo e di metà aprile, pubblicate sul sito web del collettivo Antudo di
Palermo, arrestato lo scorso marzo perché accusato con altre persone di aver lanciato delle molotov contro la sede della
Leonardo SpA di via Villagrazia a Palermo e di avere rivendicato l'azione tramite un video. Ora Luigi è stato trasferito
nella sezione AS2 del carcere di Alessandria da cui ha scritto la seconda lettera qui riportata.

Con queste righe vorrei rincuorare quanti in questi giorni si sono preoccupati per la mia situazione: i compagni e le
compagne, i ragazzi e le ragazze della Palestra Popolare di Palermo, i miei compagni di lavoro e tutti gli amici e le
amiche che, sono sicuro, mi stanno pensando e di cui sento forte la vicinanza. Purtroppo non mi è stato possibile
scrivere prima e spero che questa lettera vi arrivi presto.
Giorno 21, una volta condotto al carcere Pagliarelli, dopo la burocrazia di rito, sono stato subito portato al reparto
di alta sorveglianza e qui portato in isolamento dove ancora mi trovo da dieci giorni. Nonostante la freddezza
dell’ambiente e la costrizione sono stato accolto con affetto dalla comunità carceraria che mi ha fatto avere generi di
prima necessità e di comfort visto che al mio ingresso alla matricola mi sono stati sequestrati tanti dei miei, ritenuti
non autorizzati. Alcuni detenuti, comunque, come dicevo, hanno condiviso con me cibo e prodotti per l’igiene che mi sono
stati portati dai lavoranti. Sto bene e mi sento in forze.
Mi mancano tantissimo i miei bambini e mia moglie ma il mio morale è alto come sempre. I primi giorni che ero qui sono
venuto a sapere indirettamente, tramite i racconti dei miei compagni di sezione, con cui riesco a comunicare attraverso
le sbarre del cancello e della finestra della cella, che la notizia del mio arresto ha avuto un certo risvolto mediatico
e mi hanno detto anche del corteo del giorno dopo.
Qui sono “U pumpieri” e quando sono arrivato mi hanno cantato la canzoncina “Il pompiere paura non ne ha!” Grandi!!!
A proposito del risvolto che ha avuto la vicenda, il primo giorno, un ragazzo qui in isolamento nella cella di fianco
alla mia, dopo essersi informato sulla vicenda e avermi fatto diverse domande mi ha detto: «ma come quelli lucrano e si
arricchiscono fabbricando armi, fanno morire una marea di persone innocenti e a te ti trattano da terrorista?»
Forse questa è la sintesi perfetta di tutte le considerazioni che si potrebbero fare sulla vicenda e di come siamo
immersi in una propaganda di guerra.
Mando un abbraccio forte a tutte e a tutti, soprattutto a chi in questi mesi è stato impegnato con me nella costruzione
delle mobilitazioni contro il genocidio messo in atto a danno del popolo palestinese da parte del governo israeliano,
contro l’industria bellica e le implicazioni del governo italiano nel commercio di armi con paesi imperialisti e
guerrafondai. Contro le politiche coloniali estrattiviste e di distruzione dei territori connesse alla guerra e contro
le grandi opere funzionali alla guerra come il ponte sullo Stretto di Messina. E in generale contro le guerra
imperialiste messe in atto in questa nostra epoca, come sempre, per annientare l’autodeterminazione dei popoli.
Questo provvedimento inflitto a me, Marco e Domiziana, nelle sue tempistiche, nelle sue forme e nella sua narrazione è
anche un tentativo di intimidire e un attacco nei confronti del movimento.
Continuiamo nel nostro percorso di lotta a testa alta e facciamo tutto ciò che ci è possibile per far sentire la voce
dei popoli oppressi e dar forza alla loro lotta di liberazione. È questo il nostro compito oggi. Non c’è altra strada
per opporsi alle guerre imperialiste di quella che mette in campo la solidarietà tra i territori. Non lasciamoci
intimidire né distrarre dalla repressione. Siamo dalla parte giusta della storia. ANTUDO!

***
Ciao a tutte e tutti, vi scrivo dalla casa di reclusione “San Michele” di Alessandria. Sono stato tradotto dal
Pagliarelli in questa struttura la mattina di venerdì 12 aprile. Mi hanno portato qui perché c’è una sezione di alta
sorveglianza specifica (AS2) per i detenuti accusati o condannati per reati eversivi.
È un carcere di piccole dimensioni e anche la sezione ha un’estensione abbastanza ridotta, un corridoio con una decina
di celle in tutto e qualche saletta per le attività di socialità. Siamo in sette in tutto, i miei sei compagni di
sezione sono tutti bravi ragazzi con una lunga esperienza detentiva che supera i quarant’anni. Mi hanno accolto anche
qui con grande simpatia e amicizia.
Nonostante l’amministrazione carceraria mi abbia applicato temporaneamente alcune restrizioni aggiuntive a quelle del
regime della sezione (faccio le ore d’aria isolato e in sezione resto chiuso in cella anche quando gli altri fanno la
socialità) mi vengono tutti a trovare e chiacchieriamo attraverso il cancello del cubicolo. Mi hanno anche portato
libri, riviste, stoviglie e un fornello da campeggio, per cui riesco a far passare il tempo leggendo e cucinando.
Ho seguito con apprensione e interesse (per via della mia deformazione professionale) la terribile strage di operai
della centrale idroelettrica di Suviana e le successive operazioni di messa in sicurezza e recupero dei dispersi che ha
visto i miei compagni di lavoro impegnati nelle ore successive all’esplosione e che, come sempre, hanno dimostrato
impegno, professionalità e generosità.
Una vicenda eclatante, ma purtroppo non isolata. Sette morti ammazzati sul posto di lavoro che si aggiungono alla triste
e troppo lunga lista di vittime di una guerra interna ai nostri confini nazionali, come d’altronde sono anche le vittime
della malasanità e della mancata messa in sicurezza dei territori per esempio.
Parlo di “guerra” non a caso. La guerra combattuta con le armi e con le tecnologie belliche (prodotte anche in Italia)
che miete migliaia e migliaia di vittime civili in tutto il modo e la guerra combattuta a suon di tagli e
definanziamenti che uccide centinaia di lavoratori e cittadini sul territorio italiano. Da un lato, infatti, il governo
italiano, in continuità coi precedenti, investe nell’escalation bellica, finanziando la produzione di armamenti da
vendere a paesi aggressori e fatturando sulla morte di interi popoli, dall’altro taglia su welfare, sanità e sicurezza
sul lavoro, producendo morti anche all’interno del proprio territorio. D’altronde il benessere, la salute e la sicurezza
dei territori e dei lavoratori non generano plusvalore. Una logica, quella degli stati capitalisti, che governa le
nostre vite secondo dinamiche aziendali in cui i diritti sociali devono scomparire in quanto costi di bilancio.
Ma torniamo a noi: mi ha fatto tantissimo piacere e mi ha riempito di orgoglio sentirvi sotto il carcere di Palermo la
sera di mercoledì 10 aprile, vedere i fuochi d’artificio e sentire i cori e la musica. Anche i ragazzi detenuti con me
hanno apprezzato ed erano emozionati nel vedere e sentire questa testimonianza di solidarietà arrivare da fuori, cosi
rumorosa e festosa poi. Grazie!!
Abbiamo apprezzato soprattutto il contributo musicale. Nonostante le nuove influenze più di tendenza, i grandi classici
impegnati ed intramontabili (come “Dint’a a sta cella”) restano sempre al top delle classifiche.
Sono certo che anche le mobilitazioni in sostegno alla resistenza del popolo palestinese stanno proseguendo e spero ci
sia anche un crescendo di partecipazione. Qui, nonostante il silenzio quasi totale dell’informazione mainstream
sull’argomento, qualche notizia sulle mobilitazioni comincia ad arrivare bucando la cortina della censura. Ho visto dai
TG e letto dai giornali delle iniziative organizzate in varie università e della puntuale politica del manganello che
hanno ricevuto come risposta, oltre alle infamanti accuse di antisemitismo. Ma come sappiamo bene, l’essere descritti
dalla controparte come mostri è già un buon segnale del fatto che si stia percorrendo la strada giusta e che il proprio
operato cominci ad avere una certa efficacia. Mando un forte abbraccio a tutte e a tutti, scrivetemi e aggiornatemi. A
presto, Luigi.

Luigi Spera, Strada Casale, 50/a - 15122 San Michele (AL)

***
«Uccidere delle persone e distruggere delle cose»
Il sistema degli Stati si prepara alla guerra
Viviamo il tempo in cui gli stati/capitale si preparano alla grande guerra.
«Dobbiamo essere preparati – dice Ursula von der Leyen – dobbiamo convincere i nostri finanziatori, sia pubblici sia
privati a sostenere la nostra industria della difesa. … Così come siamo riusciti a fare per i vaccini».
Intanto Macron, di fresca irritazione per la perdita di terreno nel Sael (con le sue preziose risorse minerarie) e in
vena di rivincita, prospetta la possibilità di intervenire direttamente con truppe NATO in Ucraina.
Il presidente del Consiglio Europeo rilancia: «Dobbiamo essere pronti a difenderci e passare a una modalità di “economia
di guerra” … dobbiamo rafforzare la nostra prontezza alla difesa. Per farlo sarà necessario che il nostro pensiero
compia una transizione radicale e irreversibile verso una forma mentis incentrata sulla sicurezza strategica».
Insomma, per il Consiglio Europeo c’è la necessità “imperativa” di mettere in atto una «preparazione militare-civile
rafforzata nonché coordinata».
In Italia, oltre alla madonna di Trevignano con il suo vaticinio “Fate scorte, la guerra è alle porte”, è tutto un
arrabattarsi di proposte su modelli di forze armate, sull’utilità di formare una riserva combat da impiegare in caso di
necessità. E mentre già ci si adopera per la «rimodulazione in aumento dell’organico delle Forze Armate», il ministro
Crosetto – dal suo Comitato per lo sviluppo e la valorizzazione della cultura della Difesa – avverte che «in un
rinnovato e complesso quadro geopolitico, dovrà cambiare la percezione dello Strumento Militare nazionale rispetto al
passato».
«Cambiare la percezione» significa in altre parole sviluppare una massiccia azione di propaganda, promuovere una
operazione capillare di costruzione del “fronte interno”. Si tratta di una operazione che attraversa per intero il corpo
sociale, per mezzo dei media, delle scuole, delle ciniche parole dei vecchi e nuovi adepti del liberalismo ipocrita e
guerrafondaio, di partiti e governo e delle polizie. È così che sui media al posto dei virologi ora abbiamo i generali –
gli ex e quelli in servizio – chiamati a dir la loro sulle vicende belliche in corso e in prospettiva. E c’è pure
KKossiga (questo di K se ne merita una in più del padre) che avverte della necessità di educare alla guerra e cioè –
citando un comandante inglese della guerra del Golfo – a «uccidere delle persone e distruggere delle cose».
Il Kkossiga, presidente AIAD (la Federazione delle aziende italiane per l’aerospazio, la difesa e la sicurezza), ci
spiega che è necessario «far accettare ai nostri giovani che esistono momenti in cui questo comportamento non dico sia
virtuoso ma comunque necessario … deve diventare una cosa non dico normale ma accettabile». Insomma una questione di
forma mentis come appunto sostiene il presidente del Consiglio Europeo.
D’altro canto – scrive il segretario generale della NATO Jens Stoltenberg – ci troviamo «in un mondo sempre più
pericoloso e competitivo» e non ci si può davvero tirare indietro, prepariamoci alla guerra, quindi, anzi prepariamo la
popolazione alla guerra, alla sua necessità, a “uccidere delle persone e distruggere delle cose”, come ricorda
Kkossiga.
E gongolano le società aderenti all’AIAD, con in testa Leonardo Spa con il suo gran fatturato di sangue. E sugli schermi
scorrono le immagini dell’efficacia delle armi che producono: i palazzi sventrati di Gaza, i droni che attaccano da
remoto, gli “omicidi mirati” e quelli di massa.
Ma se la guerra è l’opzione principale per il sistema degli Stati/capitale in competizione per il posto di prossimo
centro economico e finanziario mondiale e quindi per l’egemonia su quello che vorrebbero fosse il prossimo ciclo di
accumulazione materiale di ricchezza – per i popoli di tutto il mondo questa opzione rappresenta la più devastante delle
sciagure.
Occorre sin da subito e con determinazione opporsi alla guerra, sabotare la diffusione della loro propaganda e la
costruzione del fronte interno.
Costruire un grande, diffuso, organizzato fronte del rifiuto della LORO guerra, dei LORO schieramenti, dei LORO
interessi, riteniamo sia oggi il compito delle insorgenze sociali che si muovono per trasformare in senso
anticapitalista il contesto sociale in cui vivono.
Fermare la guerra significa disfarsi, liberarsi da chi la genera, significa sottrarsi dal dominio degli Stati/capitale.
Antudo si è mossa e si muove in questo senso. Oggi si ritrova con tre suoi militanti indagati di cui uno, Luigi, agli
arresti con accuse di terrorismo – accusato del lancio di molotov contro la sede palermitana della Leonardo spa – e in
via di trasferimento in Piemonte nel carcere di Alessandria con trattamento Alta Sorveglianza 2. Gli altri due per
concorso e per diffusione delle immagini del lancio contro la Leonardo spa.
Le molotov contro Leonardo spa sono state senz’altro un atto di ostilità contro le fabbriche di morte. Come Antudo
condividiamo questa ostilità e per questo motivo ricevute le immagini le abbiamo divulgate mentre altre testate
giornalistiche se ne sono ben guardate di farlo.
Le accuse contro Luigi sono del tutto pretestuose. Tentano di intimorire chi si oppone alla guerra e alla costituzione
di un fronte interno per la guerra.
Luigi libero. Solidarietà a chi lotta contro la guerra e le fabbriche di morte.

12 aprile 2024, da antudo.info


***
Verso il G7 in Puglia
Per l’unità dei popoli contro guerra e capitale
Tra il 13 e il 15 giugno a Borgo Ignazia, nei pressi di Fasano, si terrà il summit del G7 in un momento delicatissimo
per il mondo.
I venti di guerra montano in Europa come in Medioriente e, con l’abbandono della diplomazia internazionale da parte
delle leadership politiche, il rischio di un conflitto mondiale a dimensione nucleare sembra aver superato la fase della
possibilità, entrando drammaticamente in quella della probabilità.
La politica di potenza sembra essere l’unico parametro nelle relazioni internazionali portando a un grave irrigidimento
nel già precario rapporto tra i principali Stati dello scacchiere mondiale, i primis Stati Uniti, Russia e Cina. Di
fronte a questo scenario, la crescita del movimento pacifista prima contro la guerra russo-ucraina e poi anche contro il
terribile genocidio a Gaza del popolo palestinese per mano israeliana è un importante segnale che si scontra purtroppo
con la criminalizzazione e repressione violenta dei movimenti da parte dei Governi.
Eppure, crediamo che una mobilitazione per la Pace non possa prescindere dal comprendere le ragioni della
militarizzazione come unica soluzione proposta dai governi capitalisti, in crisi di legittimazione. Siamo convinti che
la guerra sia lo strumento di sopravvivenza di un modello economico in crisi e il suo tentativo, attraverso la logica
della contrapposizione armata, di ridefinire un ordine internazionale a tutela di un sistema di dominazione fondato
sugli interessi della grande finanza, delle industrie delle armi e delle lobby mondiali dell’energia.
Non si può capire questa fase senza fare riferimento alle dinamiche di centralizzazione del capitale, accumulazione
delle ricchezze e conseguente crisi della leadership politica nordamericana. Gli Stati Uniti, che hanno gradualmente
imposto la globalizzazione neoliberista attraverso politiche finanziare e pratiche di delocalizzazione industriale,
fondate sullo sfruttamento di manodopera a basso costo nei paesi in via di sviluppo e crescente precarizzazione in
Occidente, oggi si trovano ad essere il più grande paese debitore al mondo. L’emergere di nuove potenze economiche (in
primis quella cinese) ha fortemente indebolito la competitività del sistema occidentale. Gli Usa, che importano più di
quanto esportino, si sono trovati in una evidente crisi da cui cercano di uscire attraverso politiche protezioniste
(dazi) o inventando sanzioni contro le economie considerate più competitive. Si tratta di una vera guerra economica che
ha impiegato pochi anni a diventare anche guerra militare (Afghanistan, Iraq, Libia, Siria e, più recentemente, creando
le condizioni della guerra russo/ucraina).
I paesi creditori hanno reagito alle sanzioni e alle pressioni dell’Occidente (anche con l’estensione della Nato)
attraverso una riorganizzazione politico-militare. In aggiunta, assistiamo da decenni a una crisi della supremazia del
dollaro anche attraverso accordi economici tra paesi non allineati che propongono scambi in altre valute (si pensi alla
banca di Shangai).
La nascita e l’affermazione dei Brics rappresenta un tentativo di liberarsi da questo giogo, recuperando fette di
sovranità politico-economica.
In questo contesto, l’Unione Europea sembra essere l’unica entità a non rivendicare i propri interessi economici.
Subalterna alle regole del gioco stabilite dagli Stati Uniti fino ad accettare una guerra a bassa intensità nel proprio
cuore, pur di garantire l’affermazione della egemonia Usa. Anche se questo vuol dire spingere alla recessione le
principali economie europee.
Questo quadro ha dunque delle ricadute dirette sui singoli Stati che, soprattutto in Occidente e in Europa, promuovono
politiche di instabilità economica e del lavoro, in genere rinunciando a finanziare i principali diritti sociali,
rafforzando al contempo una stretta repressiva contro ogni forma di dissenso. Appare dunque chiaro che in gioco non vi è
solo la pace nel mondo e la giustizia sociale, ma anche la tenuta stessa della democrazia come modello di organizzazione
del conflitto nelle società moderne.
L’appello [...] è a mobilitarci tutti contro il G7. Un invito all’unità di tutti coloro che credono nella possibilità di
un mondo diverso da quello attuale, in cui i popoli assumano su di sé il compito di fermare le guerre e costruire un
mondo più giusto.
Promotori: Salento per la Palestina, Udap – Unione Democratica Arabo Palestinese, Union of Palestinian Communites and
Organizations -Europe

14 maggio 2024, da salentoperlapalestina.altervista.org
“Cabi Cattaneo” complice del genocidio palestinese
In via Gallarate a Milano si trova un edificio con la facciata a riquadri rossi e bianchi, un cancello basso e il tipico
tetto a dente di sega. I colori vivaci e l’insegna vintage richiamano l’immaginario delle fabbriche di giocattoli;
niente farebbe presagire che proprio lì, a due passi da un grande centro commerciale, si progettano metodi sempre più
letali di combattere sott’acqua. Le grandi fabbriche di armi si trovano quasi tutte fuori città e in luoghi isolati, ma
per Cabi Cattaneo è un’altra storia: l’azienda fondata negli anni Trenta del Novecento si trova ancora nella sua sede
storica a Milano. “È l’unica azienda rimasta nella zona”, come conferma Alberto Villa presidente e amministratore
delegato della stessa in un’audizione alla Camera dei deputati.
Ed è proprio in quella zona popolare e residenziale, nella quiete serale di venerdì 22 marzo che un corteo cittadino ha
sfilato da piazzale Accursio fino quasi all’ingresso della fabbrica. I manifestanti – poco più di un centinaio – sono
stati fermati dalla polizia in tenuta antisommossa nei pressi del civico 64, hanno poi invertito la rotta e bloccato il
traffico in diverse vie fino a raggiungere il centro commerciale Portello. Striscioni che recitavano “Blocchiamo chi
arma Israele”, “No missione Aspides”, “Fuori l’Italia dalla guerra”, “Blocchiamo la filiera della morte” sono stati
esposti tra i negozi e diversi interventi a favore del cessate il fuoco e della resistenza del popolo palestinese hanno
echeggiato nei vari reparti. Alcuni abitanti si sono uniti al corteo, altri hanno applaudito e cantato slogan dai
balconi e il volantino “Il genocidio inizia da Casa nostra – Blocchiamo Cabi Cattaneo che arma Israele” è girato di mano
in mano. «Non sapevamo dell’esistenza di questa fabbrica – riferisce un passante –, se lo avessimo saputo saremmo scesi
per strada prima».
Il punto è che dello storico produttore di sottomarini si sa poco, da una parte perché è un settore di nicchia,
dall’altra perché è solo nell’ultimo decennio che è uscito allo scoperto per ragioni strategiche. Nel 2016 mostra
pubblicamente un hangar e una barca rigida gonfiabile di sua produzione per la prima volta e viene citata come
un’azienda con “livelli di esportazione altamente competitivi” e una salda reputazione. In seguito, in concomitanza con
l’audizione alla Camera del 17 maggio 2021, alla Cabi Cattaneo vengono destinati circa due milioni di fondi pubblici per
la “ricerca tecnologica nel settore della difesa” e questo solo nel trimestre che va da aprile a giugno 2021. Alla
parata della Festa della Repubblica del 2023 viene declassificato un altro mezzo, un sottomarino degli anni Novanta con
una tecnologia molto avanzata, “almeno di dieci anni avanti rispetto alla concorrenza”. Due mesi dopo, Cabi stringe
un’alleanza con Fincantieri e, nel pieno del genocidio del popolo palestinese, il 12 dicembre 2023 presenta con Leonardo
al Polo nazionale della dimensione subacquea di La Spezia un mezzo molto sofisticato utilizzato per le incursioni, ben
noto alla marina statunitense e israeliana.
È chiaro che i sessantadue operai specializzati non sono alle prime armi, si tramandano il mestiere di padre in figlio,
fidelizzati a una realtà che vanta un’esperienza quasi centenaria: il fondatore Giustino Cattaneo progettò i Mas
(Motobarca armata svan, poi Motoscafo anti sommergibile) che vennero commissionati dalla Regia Marina per far fronte
alla flotta austro-ungarica. Inoltre, Cabi ha dato la sua “entusiasta adesione al progetto” di un libro in più volumi
dedicato agli “eroici assaltatori della Decima Flottiglia Mas della Regia Marina” che l’11 settembre, in seguito
all’armistizio del ’43, si dichiararono alleati della Germania nazista e si attivarono anche contro la resistenza dei
partigiani italiani. Capriotti della Decima Mas e un suo collega di Cabi Cattaneo addestrarono gli operatori della
Tredicesima Flottiglia Commando di Israele fin dalla sua fondazione e nel ’48 i siluri a lunga o a lenta corsa (i
maiali) progettati da Cabi furono usati dal neonato stato ebraico per rompere l’accerchiamento egiziano nel porto di
Gaza.
La collaborazione è continuata, come si evince dal memorandum ventennale tra Italia e Israele in ambito militare-
industriale e di ricerca scientifica e dalle indagini della società civile: nel 2020 le autorizzazioni in valore di euro
avevano superato i ventuno milioni e, anche se la documentazione riguarda più che altro il settore dell’aeronautica e
della sorveglianza, tra le aziende italiane beneficiate dall’export di armi citate da Osservatorio Diritti figura anche
Cabi Cattaneo. Importante segnalare come la Marina israeliana, che è stata tra le prime al mondo a utilizzare il cannone
super rapido 6 di Leonardo (ormai fusa all’israeliana Rada Electronics S.p.a.), abbia un reparto incursori (la
tredicesima flottiglia di cui sopra) di cui, secondo l’amministratore delegato di Cabi, Comsubin (raggruppamento
italiano subacquei e incursori) sarebbe “un’entità gemella, anzi, la sua origine e c’è un bellissimo rapporto”. Uomini
del Comsubin sono attualmente impegnati nella missione Ue Aspides nel Mar Rosso sulla fregata Martinengo in cui l’Italia
avrebbe il comando tattico per garantire il passaggio delle armi mercantili nel Mediterraneo.
Tutto ciò, secondo la rete Milano per la Palestina, “manifesta chiaramente la volontà del governo di continuare a essere
complice del genocidio del popolo palestinese e del massacro di altri popoli per lo sfruttamento delle risorse e per
l’egemonia politico-militare nella logica imperialista, coloniale e capitalista dell’Occidente, con Stati Uniti ed
Europa in prima fila”. Il presidio si è svolto nella cornice della Israeli Genocide Week (18-22 marzo), la settimana per
il boicottaggio dell’entità sionista che è stata lanciata dai Giovani palestinesi (Gpi) a partire dalle università.
Oltre a Cabi, Milano ha espresso dissenso contro Eni, Confindustria e contro l’evento “Sinistra per Israele” che si è
tenuto giovedì 21 marzo in corso de Amicis.
Sabato 23 marzo al ventiquattresimo corteo per la Palestina in centro città è stata celebrata la resistenza del popolo
palestinese. Resistenza e Liberazione sono le parole d’ordine dell’assemblea pubblica che si terrà giovedì 28 marzo alle
20 in via Arquà 15 per organizzare un 25 aprile che sia “un giorno di ricordo per le lotte passate, presenti e future”.

25 marzo 2024, da monitor-italia.it
Lettera dal carcere di Sulmona (AQ)
Carissimi compagni, vi spedisco questo scritto per farvi avere mie notizie ed informarvi che ho ricevuto l'opuscolo e il
libro che leggo con piacere. Dovete sapere che condivido le vostre iniziative tutto quello che scrivete per un mondo di
libertà e di uomini liberi. Non c'é bisogno di molte parole per descrivere le condizioni di vita nelle prigioni, il 41
bis è una tortura disumana come tanti altri regimi, basta una parola carcere opprimente, governo tirannico, pene
infinite, assistenza medica minima o inesistente a parte la somministrazione massiccia di pasticche con cuicreano dei
drogati (persone inermi). Noi prigionieri ci rendiamo conto ogni giorno di quanto e quante volte quei principi vengano
violati, quindi chi non lotta è come essere inerme. Contro l'ergastolo, per l'abolizione dell'ergastolo; contro il 41
bis, forma detentiva disumana che si può paragonare a un vero e proprio strumento di tortura; contro l'art. 4 bis, nella
sua forma più restrittiva (dico 4 bis che ancora oggi in tanti come il sottoscritto formalmente ci viene applicato per
ridurre i benefici). Un uomo deve sapere lottare, andare avanti e vincere anche se pieno di dolore, senza perdere il
senso della misura di quel che dev'essere la vita di un uomo nelle condizioni in cui si può essere umani, ecco allora la
dignità con tutto il suo possente potere.
Per la questione dell'aolizione dell'ergastolo, il vostro pensiero è molto importante come tutte le iniziative sulla
questione dell'ergastolo e del 41 bis. Certamente è una questione delicata e di certo non è un problema nuovo quello
della situazione degli ergastolani ed è da sempre una contraddizione anche per lo stato stesso che afferma di basare il
suo apparato nella "rieducazione" e il "reinserimento" quando poi incarcera a vita. Solo una delle tante
contraddizioni...
Il fattoche non sia un problema nuovo non significa che non sia urgente, anzi è importante qualsiasi iniziativa in cui
si parli della situazione degli ergastolani. Anche se discutere dell'ergastolo è difficile ma dell'ergastolo ostativo è
impossibile perché la zavorra del 4 bis non viene alleggerita anche se non deve essere più applicato ma, come dicevo, a
molti ergastolani ufficialmente viene applicato per non dare i benefici. Ciò non toglie che bisogna parlarne con
insistenza perchè il popolo crede nelle frottole di certi media, giornali e politici e cioè che l'ergastolo non esiste e
l pena non è certa. Tempo fa, il 1° dicembre 2007, tanti ergastolani iniziano una lotta per l'abolizione dell'ergastolo
e della sua disumanità nelle condizioni di reclusione. Purtroppo come succede da molti anni c'é un muro di silenzio da
parte dei mass media e una certa ipocrisia da parte di tanti politici. Solo tanti compagni anarchici attraverso la
solidarietà hanno sempre sostenuto la lotta dei prigionieri, nei limiti delle loro possibilità hanno dato rilievo alla
questione aprendo spaccati di controinformazione nonché rapportandosi con i prigionieri in lotta per l'abolizione
dell'ergastolo e con la solidarietà e per la libertà per il compagno Alfredo Cospito. Credo che oggi con la guerra in
Palestina e in Ucraina sia molto difficile che ci sia un interesse per la situazione carceri e per la situazione degli
ergastolani e non penso che questa società abbia la capacità e la virtù di fare integrare al suo internola persona che
"ha pagato il proprio debito".
Contro tutte le galere perché nulla c'é di buono, per un mondo di uomini liberi. Cari saluti a tutti. Antonino.

Sulmona, 27 marzo 2024
Antonino Faro, P.zle Vittime del dovere, 1 - 67039 Sulmona (L'Aquila)


La lotta contro il 41 bis e la repressione che l'accompagna
Per le mobilitazioni dello scorso anno durante lo sciopero della fame di Alfredo Cospito stanno arrivando provvedimenti
repressivi.
Il 25 giugno del 2023 a Milano scatta un’operazione di Polizia che vede emesse sei misure cautelari (obblighi di dimora,
divieti e firme) per il corteo dell’11 febbraio scorso in solidarietà allo sciopero della fame di Alfredo Cospito.
All’oggi di quelle misure non resta più nulla; il 14 dicembre infatti il gip, su richiesta del pm, ha deciso di revocare
tutte le misure cautelari.
Al momento le indagini risultano chiuse, il numero delle persone coinvolte è però salito a 13, imputati a vario titolo
di resistenza aggravata travisamento e danneggiamento. Per il prossimo 3 luglio 2024 è stata fissata l'udienza
preliminare di rinvio a giudizio.
Il 22 aprile a Torino, 19 misure cautelari e 75 indagati per la manifestazione del 4 marzo 2023. 3 detenzioni
domiciliari, 1 divieto di dimora e 15 tra obblighi di dimora e di firma quotidiana, misure inquadrate nella cosiddetta
Operazione City. A Bologna, il 3 maggio, sono state disposte 3 misure cautelari (obbligo di firma per 2 compagnx,
obbligo di dimora con rientro notturno e obbligo di firma per una compagna). Le misure sono disposte per 2 reati: il
danneggiamento della recinzione di un cantiere durante l'occupazione di una gru in centro città con presidio solidale
per Alfredo nel dicembre 2022 e danneggiamento di alcuni ripetitori nel maggio 2022. Le indagini sono ancora in corso
per 270bis, ma in sede di applicazione delle misure cautelari la GIP non ha ritenuto sussistenti il reato di
associazione con finalità di terrorismo e delle aggravanti con finalità terrorismo.
Di seguito riportiamo stralci di un articolo sulla conferma della Cassazione del 41 ad Alfredo Cospito che ha respinto
il ricorso del difensore la giustizia con una motivazione che risulta il massimo della contraddittorietà.

[...] I supremi giudici da una lato citano le parole della procura nazionale antimafia e antiterrorismo secondo cui
Cospito pur da detenuto “continuava a compiere condotte apologetiche della violenza anarchica”.
Dall’altro lato viene letteralmente bocciato il parere della stessa Dna che dava atto di una ridotta pericolosità
dell’anarchico e concludeva per sostituire il regime del 41bis con quello dell’alta sorveglianza un gradino appena più
sotto mantenendo la censura sulla corrispondenza. Secondo la Cassazione il parere della Dna “seppure particolarmente
autorevole non costituisce un ‘fatto nuovo’ ma piuttosto una valutazione di carattere meramente giuridico come tale non
decisiva ai fini della revoca anticipata del regime carcerario di cui si tratta”. Insomma la Cassazione gira e rigira la
frittata affinché Alfredo Cospito sia seppellito vivo. Nemmeno le sentenze che avevano dichiarato insussistente
l’associazione sovversiva nei procedimenti “Bialystock” e “Sibilla” non influiscono in alcun modo sulla “operatività
della Federazione Anarchica Informale”. Per la Suprema Corte non c’è stata nessuna violazione di legge perché la
motivazione del Tribunale di Sorveglianza di Roma non risulta mancante avendo dato risposta a tutte le argomentazioni
contenute nella richiesta di revoca anticipata. Il ricorso viene così dichiarato inammissibile e il ricorrente
condannato a pagare le spese processuali e 3.000 euro in favore della cassa delle ammende. La Cassazione spiega la sua
decisione facendo riferimento al ruolo di Alfredo Cospito “descritto come figura di vertice del movimento anarchico
insurrezionalista Fai-FRI “ancora attivo e pericoloso”. Gli eventi prospettati dalla difesa di Cospito per la
Cassazione “erano già stati valutati in sede di ricorso avverso il decreto genetico del regime speciale oppure non
potevano considerarsi nuovi e come tali indicativi del venir meno delle condizioni poste a fondamento di detto
provvedimento prima della sua scadenza naturale”. La realtà è che Cospito viene considerato ancora più pericoloso dopo
il lunghissimo sciopero della fame che ne avrebbe aumentato il carisma nell’ambito dei movimenti anarchici. Insomma
siamo alla creazione di una sort
a di nuovo reato, “il digiuno a scopo di terrorismo”. Per cui reclami e ricorsi non servono. La continuazione dell’
apologia della violenza anarchica serve a confermare il regime del 41bis tradendolo e travisandolo nello spirito e nella
lettera perché il regime speciale dovrebbe (condizionale d’obbligo) servire esclusivamebte a impedire contatti con le
organizzazioni esterne. L’apologia insomna è un alibi perché non sanno che pesci pigliare.

da giustiziami.it del 30 aprile 2024

***
Dal 24 aprile, sono definitive le condanne a 23 anni e a 17 anni e 9 mesi di carcere per gli anarchici Alfredo Cospito e
Anna Beniamino. Così ha deciso la Cassazione per l’ordigno esploso a Fossano nel 2006, senza morti né feriti. I giudici
della sesta sezione hanno rigettato i ricorsi della Procura Generale di Torino e delle difese così come sollecitato dal
pg. Alfredo resta in 41 bis a Bancali. Non dimentichiamo.
Per scrivergli:
Anna Beniamino, via Bartolo Longo, 92 - 00156 Roma RM
Alfredo Cospito, CC Reclusione, Località Bancali - 07100 Sassari (SS)


de SUPPOSTE e de MATTONI: sgomberata torre maura a roma
Martedì 7 maggio 2O24 lo spazio occupato in via delle Averle nel quartiere Torre Maura, da più di 32 anni autogestito, è
stato sgomberato con un blitz poliziesco alle 6 del mattino. Mobilitati un centinaio di agenti di polizia di stato,
affiancati da vigili del fuoco e municipale, hanno proceduto allo scasso del cancello d’entrata, dopo aver prima rimosso
i cassonetti e poi le auto nei parcheggi adiacenti, per fare spazio a blindati e mezzi dell’impresa edile che
successivamente ha murato ogni possibile accesso. La casa è stata quindi invasa minacciando e trascinando fuori due
persone che al momento si trovavano all'interno.
Durante tutta la giornata, grande è stata la vicinanza dei solidali che spontaneamente sono arrivati numerosi sul posto
mossi dal comune sentimento per la difesa degli spazi di libertà.
Torre Maura Occupata è sempre stata punto di riferimento senza gerarchie né confini: da Centro Sociale ad Ateneo
Libertario a Casa Collettiva. Uno spazio di confronto e condivisione di conoscenze e attività senza finalità di
profitto: palestra, sala prove, erboristeria, serigrafia, biblioteca e gran bazar der raccatto/dono, a disposizione di
chiunque secondo i propri bisogni, contro spreco e consumismo. Quindi un luogo di resistenza all'avanzare di un sistema
omologante e intollerante verso chi risulti inadattabile ai suoi criteri. Una storia di lotta ad ogni tipo di
sopraffazione senza compromessi, per la Liberazione Animale e della Terra, contro nucleare ed ogni nocività, per la
distruzione di ogni forma di dominio, controllo e coercizione: dal carcere alla psichiatria ai centri di detenzione per
migranti.
La Narrazione di potere intenzionalmente occulta e mistifica la complessità di esperienze come questa,
significativamente e veracemente anomale nella società dello spettacolo, esultando per la restaurata legalità e il
trionfo dello Stato! Questa operazione mascherata da pubblico interesse con supposte finalità sanitarie, oltre ad essere
una vendetta del mini (sindaco) fascista nei confronti dello spazio da sempre antiautoritario, e già in passato sotto
attacco da sinistri rappresentanti locali, corrisponde alla solita strategia speculativa per la quale la miseria non può
che dilagare, creando nuovi nemici per distogliere lo sguardo dai reali responsabili di povertà, guerre e
discriminazioni di ogni tipo.
MA KE DAVERO ci si lascia ancora abbindolare da questa trita propaganda mediatica e dalle promesse elettorali?
MADDECHÉ!!!
NÉ SUPPOSTA NÉ MATTONE,
SENZA SERVI NESSUN PADRONE!
SEMPRE PADRONI di NULLA PEDONI di NESSUNO
PER L’AUTOGESTIONE OVUNQUE… VERSO L’ANARCHIA!
TORREMAURA SGOMBERATA MA MAI DOMA!