indice n.156

con la resistenza palestinese, sempre
Venegono Superiore (VA), manifestazione contro Leonardo SpA
Lettera dal carcere di Vigevano (PV)
Lettere dal carcere di Milano-Opera
lettera dal carcere di genova
lettera dal carcere di viterbo
QUANDO C'E L'AMORE C'E TUTTO... NO, QUELLA E' LA SALUTE!
Lettera dal carcere di Sulmona (AQ)
Lettera dal carcere di Torino
Una cronaca delle sofferenze al Lorusso-Cotugno di Torino
Sgomberi a catena dal Sud al Nord Italia
sul nuovo “pacchetto sicurezza”
Nuovo attacco nei confronti del movimento No Tav
APPELLO PER UN CORTEO NAZIONALE ANTIFASCISTA A MILANO
RIPARTITI I LICENZIAMENTI IN GKN: “SCEGLIAMO DI NON CADERE”

con la resistenza palestinese, sempre
C’è una forte mobilitazione nel mondo che non si riscontrava da tanto tempo. I cortei in solidarietà con la Palestina
vedono una fortissima partecipazione come pure le iniziative di lotta, i blocchi di porti e fabbriche di armi, gli
attacchi contro gli interessi di Israele e di chi lo finanzia, lo arma e lo sostiene, le occupazioni di scuole e
università, gli scioperi-picchetti nel settore della logistica che sono tutti segnali decisamente incoraggianti, anche
se decisamente insufficienti rispetto al coraggio indomito dei resistenti e delle resistenti di Gaza e West Bank. In
particolare, restando all’Italia, le iniziative teoriche e pratiche per smascherare le collaborazioni tra le università,
lo Stato colonialista e razzista di Israele e, più in generale, la macchina bellica e del controllo sociale, sono state
a lungo opera di piccole minoranze rivoluzionarie. Oggi, di fronte all’orrore di una nuova Nakba, questo orientamento
sta diventando senso comune per migliaia di giovani. Ben vengano allora gli appelli a continuare le iniziative di lotta,
a radicalizzare contenuti e forme della solidarietà con il popolo palestinese. Anche perché l’attacco del 7 ottobre e la
violenza genocida che si abbatte sulla striscia di Gaza stanno aprendo crepe dentro la società israeliana. Mentre i
palestinesi sono, nel consesso di tutti gli Stati, pedine sacrificabili, l’azione internazionale e internazionalista può
assestare un duro colpo all’economia dell’apartheid e della pulizia etnica. La quale è in profonda crisi. Fermiamo il
genocidio! Per la fine del sistema coloniale, per la libera federazioni di individui e popoli in una Palestina senza
oppressori né oppressi!
A seguire alcuni articoli estratti da una rassegna di materiali che alleghiamo alla spedizione del presente opuscolo.

Prigionieri e prigioniere palestinesi
Al momento attuale, 69° giorno di resistenza palestinese, ci sono 7.800 prigionieri nelle carceri israeliane, di cui 200
bambini e 62 donne. Più di 2.000 sono in detenzione amministrativa, che significa reclusione senza sapere di cosa si è
accusati e nemmeno per quanto vi si resterà. Durante la sospensione del fuoco, in 117, di cui 30 donne e 87 bambini,
sono stati rilasciati, mentre negli stessi giorni 116 sono stati i nuovi arresti in West Bank e Gerusalemme occupata
arrivando a un totale di 3.540 dal 7 ottobre. Ma ricordiamo che tutti i palestinesi sono prigionieri, perché tutti i
palestinesi sono vittime della violenza senza limiti del colonialismo israeliano, dell’occupazione militare e
dell’apartheid. Nello scambio durante la sospensione del fuoco i termini utilizzati dai media sono stati: ostaggi per
gli israeliani e detenuti per i palestinesi, bambini gli ebrei e adolescenti i palestinesi. Un linguaggio che, se ce ne
fosse stato bisogno, dimostra ancora una volta il potere della propaganda pro “israele” che non si accontenta di
accusare di antisemitismo chiunque non sia d’accordo con loro e di mostrificare i palestinesi, ormai tutti e tutte
definiti terroristi, ma chiude qualunque spazio di critica, anche interna a “israele”. Ma se le immagini terribili di
cento prigionieri palestinesi incatenati, nudi e inginocchiati, alcuni giustiziati sul posto, vengono fatti passare, e
sui media così passano, come terroristi di Hamas arresi, allora non stupisce più nulla, semplicemente sgomenta. Sebbene
alcuni detenuti palestinesi siano considerati, nella visione di "israele", “security prisoners”, molti di loro sono
stati arrestati per semplici post sui social media, per lo status di WhatsApp o addirittura senza alcun motivo. Molte
donne palestinesi sono state imprigionate per aver fatto visita alle famiglie di altri prigionieri, o per aver pianto la
morte di giovani palestinesi uccisi da “israele”. Sebbene ogni palestinese sia importante, sia quelli uccisi a Gaza o in
West Bank e a Gerusalemme occupata, che quelli tenuti prigionieri nelle carceri israeliane, per i palestinesi e le
palestinesi tutto è collegato a un unico progetto chiamato liberazione. È per questa ambita libertà collettiva che hanno
combattuto, generazione dopo generazione, nonostante il prezzo della morte, della detenzione e della prigionia perpetua
e continuano a farlo in questa tragica fase.
Gaza sta per affrontare una catastrofe umanitaria senza precedenti secondo il Mediterranea Observatory. Nel contesto
attuale, in pieno collasso sanitario, la carenza di beni primari come acqua potabile, medicine, prodotti igienico
sanitari e disinfettanti, si somma a un numero impressionante (oltre 48mila) di feriti, e corpi in decomposizione sotto
tonnellate di macerie. Gli ospedali, ripetutamente bombardati, sono al collasso, non hanno più nulla per operare, lo
fanno ormai da settimane senza anestesia.
I medici lanciano appelli, inascoltati. La popolazione civile è esposta in modo costante ai gas, alle polveri sottili e
alle temperature elevate che derivano dai bombardamenti. L’esercito israeliano ha, inoltre, utilizzato più volte, e in
diverse aree della Striscia, bombe al fosforo bianco, un’arma vietata dalle convenzioni internazionali per la sua
pericolosa tossicità. I morti dal 7 ottobre superano la terribile cifra di 18mila.
In West Bank non va molto meglio, l’esercito di occupazione distrugge strade con i bulldozer, attacca, bombarda e uccide
nei campi profughi e nelle strade. Ma i resistenti resistono e combattono casa per casa, strada per strada, contro mezzi
blindati e soldati.
Le notizie dei risultati dei loro combattimenti non passano perché “israele” ha provveduto non solo a bloccare le
comunicazioni, con internet e compagnie telefoniche messe continuamente fuori uso, ma a diffondere notizie false,
palesemente contraffatte e la loro unica visione di quanto in corso. Vedere i loro video di propaganda dà il
voltastomaco per la ferocia e l’imbecillità dei contenuti, che però in questo occidente asservito fanno i loro sporco
effetto. Tanto che Italia, Francia, Germania e chissà chi altri chiedono addirittura sanzioni contro Hamas. Cosa
faranno? Non faranno arrivare gli aiuti che non arrivano più ormai da due mesi. Da Rafah, unico passaggio, non passano
camion anche perché “israele” bombarda. Quindi quali sanzioni prevedono questi stolti?
Il 6 dicembre, il ministro israeliano del Patrimonio, Amichai Eliyahu, ha chiesto l’esecuzione dei prigionieri
palestinesi in modo che non vengano rilasciati in qualsiasi futuro negoziato con la resistenza palestinese, ha detto:
“Siamo uno Stato che rispetta la legge, ma abbiamo urgentemente bisogno di deferirli a Dio, in modo che non vengano
rilasciati nei patti”.
Ma anche per i soldati israeliani in certi casi non c’è molto scampo, come dimostra il fuoco amico del 7 ottobre. Nel
1986, “israele” ha istituito una politica militare chiamata Direttiva Annibale, apparentemente dal nome del generale
cartaginese che si avvelenò piuttosto che essere catturato dai Romani, in seguito alla cattura di due soldati israeliani
da parte di Hezbollah. La direttiva è stata concepita per evitare che le truppe israeliane cadano nelle mani del nemico.
La direttiva sarebbe stata revocata nel 2016, ma quanto accaduto il 7 ottobre lascia dubbi. Un caso famoso si è
verificato nel 2006, quando Hamas catturò il soldato israeliano Gilad Shalit al confine di Gaza. Dopo averlo tenuto
prigioniero per cinque anni, Hamas è riuscito a scambiare Shalit con 1.027 palestinesi tenuti prigionieri in “israele”.
I prigionieri stanno affrontando la più feroce campagna di repressione, abusi e rastrellamenti nella loro storia
all’interno di una politica di esecuzioni sul campo contro chiunque combatta l’assalto dell’occupante e che ha portato
all’uccisione di sei prigionieri in meno di un mese. I metodi usati dall’occupazione comprendono tortura, pestaggi,
deliberate umiliazioni, intimidazioni, distruzione di proprietà pubbliche e private durante gli arresti. Varie forme di
tortura sono impiegate incluse disidratazione, riduzione alla fame, confisca dei beni di prima necessità, eliminazione
di materassi, lenzuola e coperte nonostante il freddo, affollamento in celle piccolissime, isolamento dopo le torture e
trasferimenti senza darne notizia. I prigionieri ammalati non vedono medici e non vengono portati in cliniche esterne,
quelle interne non esistono più. Divieto di visite e di comunicazione con familiari comprensibilmente preoccupati per il
loro destino, difficoltà enormi anche per gli incontri con gli avvocati. Ogni conquista fatta dai prigionieri in questi
decenni è stata revocata.
Le prigioniere sono in estrema difficoltà nelle carceri di Damon e Hasharon nei territori occupati. Subiscono offese e
violenze, oltre a minacce di colpire i loro cari. Dopo l’aggressione a Gaza, 4.000 lavoratori sono stati arrestati nella
Palestina occupata del 1948 con ritiro dei loro permessi. La Croce Rossa non poteva visitarli. 3.000 sono poi stati
deportati a Gaza mentre il destino di circa 700 di loro resta sconosciuto e non ci sono informazioni.
Nella carceri i prigionieri sono senza elettricità e con le forniture d’acqua tagliate, cibo ridotto a due volte al
giorno, non sufficiente a sfamare e marcio. Non possono cucinare e il cibo che avevano in cella è stato portato via. Non
possono ricevere visite. Più di 10 in una cella, isolamento per tanti. Via le Tv, distrutti i beni personali, i vestiti,
solo un cambio concesso in cella, confiscate radio e coperte. Chiusi i lavelli e i passeggi all’aria. Niente soccorso
sanitario, niente ospedale per i malati. Pestati ripetutamente, con assalti individuali e collettivi e uso di cani
poliziotto, raid nelle sezioni e nelle celle, trasferimenti da una sezione all’altra o in altre carceri senza
informazioni. In West Bank gli arrestati sono raddoppiati dal 7 ottobre, pure i detenuti amministrativi sono aumentati.
La Commissione dei Prigionieri da Ramallah parla di una serie di ulteriori misure abusive contro i detenuti. Le finestre
delle stanze restano aperte 24 ore su 24, perché fa molto freddo, soprattutto di notte. I medici non si recano nei
reparti, nonostante vi siano casi di patologie critiche e croniche che necessitano di un follow-up costante: per il 70%
dei pazienti, infatti, le medicine sono state sospese e limitate agli antidolorifici, in quantità molto limitate. La
mensa è chiusa. L’elettricità viene interrotta tutti i giorni dalle 18:00 alle 6:00. Le stanze sono molto affollate e ci
sono prigionieri che dormono sul pavimento. Attacchi contro i prigionieri nelle stanze per la minima ragione e anche
senza motivo, così come le ripetute incursioni nelle unità di ispezione e la repressione brutale e barbara. Negazione
delle visite di avvocati e familiari. Ai prigionieri non è consentito bere acqua minerale e l’acqua viene riempita dal
rubinetto del bagno. Al detenuto non è consentito possedere indumenti, ad eccezione di un cambio e di una sola
biancheria intima. Se gli indumenti si sporcano, è costretto a lavarli e ad aspettare che si asciughino per indossarli.
Palestinians Prisoners' Organizations ha ricevuto terrificanti video con immagini scioccanti di tortura su un gruppo di
indifesi civili palestinesi, con soldati che mettevano la bandiera degli occupanti sui prigionieri denudati e bendati.
In base alle testimonianze che hanno ricevuto i crimini sui prigionieri si intensificano con estenuante continuità, con
minacce di aprire il fuoco, brutali pestaggi, minacce di morte e di stupro, uso di cani poliziotto, distruzione delle
case dei prigionieri, assalto alle famiglie e familiari presi in ostaggio.
Il Fronte Popolare di Liberazione della Palestina afferma che “israele” è stato costretto allo scambio perché,
nonostante la massiccia distruzione di infrastrutture, strutture e brutale massacro e genocidio, non era stato in grado
di liberare i prigionieri. Durante l’attesa dei prigionieri liberati nello scambio, l’occupazione ha lanciato gas
lacrimogeni, proiettili di gomma e veri sulla folla e sulle case dei rilasciati. Familiari sono stati fermati e
trattenuti. Tutte le bandiere delle diverse organizzazioni erano presenti nell’attesa.
Riportiamo di seguito diverse testimonianze dirette dei rilasciati.
Parlano di specchi rotti, sequestro dei prodotti per pulire, dei materassi e delle lenzuola, restrizioni a 30 minuti per
accedere ai bagni, tolti cibo e l’acqua dai rubinetti. Assalti mirati e pestaggi. Non si possono ascoltare le notizie
dall’esterno se non da radio nascoste o da avvocati. Zero trattamenti sanitari dice Ahmed ferito durante l’arresto
“Entrano, ti pestano. Chiamano per interrogarti, ti fanno spogliare, ti pestano poi ti ridanno i vestiti”.
Da un altro prigioniero “Le condizioni sono pessime, l’occupazione deliberatamente abusa dei prigionieri, anche malati”.
Mohamed, 17 anni, “Qualcuno in cella è morto. Loro mi hanno rotto le braccia e colpito alla schiena, poi nessun soccorso
medico”.
Itaf “Mi hanno messo in isolamento per tre settimane e pestato nonostante sia diabetico, abbia la pressione alta e sia
cardiopatico”. Yasmine “Non potevamo comunicare, siamo state prese, pestate e messe in isolamento, spruzzate con gas
urticante”.
Un giovane rilasciato “I prigionieri non mangiano, bevono e dormono. Non ci sono lenzuola e materassi dopo che li hanno
tolti”. Ahmed, un altro giovane, “Ci danno solo due pasti al giorno, dormiamo affamati, e non c’è modo di comunicare”.
Ha perso 10 chili. Una donna rilasciata “Nessuno assiste a ciò a cui assistiamo noi là dentro. Ci torturano tanto”.
Ruba Assi “Ci denudano per perquisirci”. Segni di tortura sul corpo di giovani rilasciati. “Dopo il 7 ottobre, repressi,
colpiti con spray al peperoncino. Non ci sono leggi. Qualunque cosa qui è ammessa”. Lama Khater testimonia le torture
psicologiche (minacce di stupro) oltreché fisiche (niente acqua e alimenti nei dormitori e solo 15 minuti d'aria al
giorno, per alcuni solo il pavimento anche per dormire), a cui sono sottoposte in particolare le donne palestinesi
imprigionate. Parla dell'escalation delle brutalità su prigionieri e prigioniere a partire dal 7 ottobre, e ancora di
più dal 19 ottobre. Da allora i prigionieri tutti sono considerati "prigionieri di guerra" esecondo l'IDF a loro si
possono fare le cose più orribili. Testimonia di 10 donne, di cui si hanno nomi e cognomi, arrestate, anzi sequestrate a
random da Gaza che sono state isolate dal resto della popolazione carceraria femminile. La prigioniera Kholoud Al-Jarmi,
rilasciata nell’ambito dello scambio ha rivelato di essere stata torturata nella prigione di “Hasron”, poi le guardie
l’hanno trasferita brutalmente nella prigione di “Damon” e durante il viaggio è stata sottoposta a insulti.
Ha detto che l’occupazione ha isolato le prigioniere dall’esterno e le ha private dei loro diritti fondamentali,
compreso persino dell’acqua filtrata. Al-Abbasi ha descritto la prigione del Negev come un “cimitero” a causa delle
misure repressive praticate dall’occupazione contro i prigionieri. Ha rivelato che l’occupazione impedisce ai
prigionieri di cambiarsi d’abito, confisca i loro effetti personali, li picchia e li priva dei loro vari diritti
fondamentali. Al-Shibal Mamoun Hamed ha detto di essere stato picchiato sin dal suo arresto e poi all’interno della
prigione “Ofer”. Ha dichiarato che due “cuccioli di leone” in cattività [Lions’ Den, un’organizzazione di giovani attiva
in West Bank] sono entrati nel dipartimento sanguinanti dal viso e dagli occhi dopo essere stati brutalmente picchiati
dalle prigioni dell’occupazione. Ha sottolineato che l’occupazione tiene un gran numero di prigionieri in una stanza,
costringendoli a dormire sul pavimento, che l’occupazione priva i prigionieri del cibo e fornisce loro solo un piatto di
riso e un cartone di latte durante il giorno. I prigionieri sono stati isolati dal mondo a causa dell’occupazione e
hanno portato notizie alle loro famiglie, e tutto ciò che stanno aspettando ora è l’accordo.
La prigioniera liberata Omaima Bisharat: “I metodi degli investigatori erano brutali e la loro crudeltà nei confronti
delle donne aumentava: si radunavano intorno a me e mi insultavano”. La prigioniera Ahed Tamimi riferisce che l’hanno
minacciata così: “Se parli ricorda che abbiamo tuo padre” e aggiunge “La mia felicità non è completa senza le mie
sorelle che non sono con me”. Dall’inizio del rilascio dei prigionieri nell’ambito dell’accordo di scambio con la
resistenza, si sono moltiplicate le testimonianze dei rilasciati sulle brutali torture a cui sono stati sottoposti nelle
carceri. Molti di loro apparivano in cattive condizioni di salute ed emaciati a causa delle percosse subite dai
carcerieri e della privazione del cibo e dei diritti fondamentali dei detenuti.
Tutte e tutti confermano le condizioni e le menzogne e gli insulti che vengono loro rivolti, ma anche che dentro si
lotta contro il carcere, costantemente. “Noi non chiediamo condizioni migliori in prigione. Vogliamo la libertà!”. “La
Resistenza non pensa solo alla Striscia di Gaza e a come assicurare condizioni di vita qui. Loro pensano come liberare
la Palestina dal fiume al mare”. “I nostri prigionieri non sono innocenti, lottano per la liberazione della Palestina
con tutti i mezzi necessari”.
In una lettera del Movimento Nazionale dei Prigionieri, indirizzata “alle pazienti masse della nostra gente Palestinese
e alla nostra coraggiosa resistenza, alle nostre nazioni Arabe e Islamiche, ai mediatori Egiziani e Qatari, al Comitato
Internazionale della Croce Rossa, alle Nazioni Unite e ai paesi del mondo libero”, si dice che “le prigioni si stanno
trasformando in letali bare di ferro, con continui assassinii ed esecuzioni di prigionieri. Loro [i carcerieri] ci fanno
sapere che hanno istruzioni di ucciderci se protestiamo contro le misure punitive contro di noi. Abbiamo fatto questo
appello a voi, non vi chiediamo di liberarci dalle prigioni, questo è compito della resistenza che si prenderà cura di
noi, ma vi chiediamo di restare conformi alla vostra morale, umanitaria, e alla responsabilità internazionale per
fermare l’azione criminale dell’occupazione contro di noi e fermi questo Nazi-fascista assalto criminale vendicativo
contro di noi”.

I crimini di guerra israeliani su Gaza, perpetrati con un disprezzo genocida contro l’umanità, hanno lasciato più di
18.000 persone in fosse comuni, oltre 6.000 bambini e 4.000 donne a oggi, e migliaia ancora sono sepolti sotto le
macerie. Ospedali, cliniche, scuole, moschee, centri culturali, centrali idriche ed elettriche, centri di comunicazione,
tutto è stato raso al suolo insieme al 70% delle case, appartamenti e interi quartieri. Nessuno è stato risparmiato,
nemmeno i bambini nelle incubatrici, i pazienti in terapia intensiva, i chirurghi, le ambulanze e gli operatori
sanitari. Anche i feriti, i malati costretti a letto e i disabili sono tra il milione di persone a cui è stato imposto
di trasferirsi a sud, rischiando la vita per poi finire sotto bombardamenti anche là e “invitati” a evacuare ancora più
a sud, li vorrebbero cacciare in Egitto. Se questi esseri umani fossero stati israeliani, o in generale bianchi, la
classe politica e i media occidentali avrebbe chiesto la fine del genocidio con ogni mezzo necessario. Nessuno avrebbe
messo in dubbio la necessità di agire con un’azione militare efficace. Ma queste persone non sono bianche, e molti di
loro sono musulmani. Agli occhi della moltitudine di razzisti in "israele", i palestinesi sono “untermenschen”,
inferiori agli umani, addirittura animali. Di conseguenza l’idea che siano loro a prendere le armi contro l’oppressore,
viene respinta e tacciata di perversione morale. Implicitamente il presupposto è che debbano accettare l’oppressione,
compreso l’omicidio di massa. Ma la resistenza non si arrende da 75 anni e ancora adesso combatte, indomita nonostante
l’ecatombe in atto. E noi?

Milano, dicembre 2023

***
Sul blocco ai varchi genovesi. Col cuore a Gaza
Venerdì 10 novembre dalle 6 del mattino circa 500 persone hanno bloccato i varchi San Benigno e Albertazzi del porto
genovese rispondendo alla chiamata del Collettivo Autonomo Lavoratori Portuali e dell’Assemblea contro guerra e
repressione. Mentre proseguiva il blocco, dal presidio si è staccato un piccolo corteo che ha attraversato alcune strade
adiacenti, raggiungendo la sede della multinazionale israeliana Zim e dell’olandese Steinweg, concessionaria del
terminal dove approdano le navi della flotta Bahri.
Il presidio è poi terminato intorno alle 13. L’iniziativa aveva l’obiettivo di indicare il porto di Genova e la sua
logistica come uno snodo dei traffici di guerra e degli interessi economici di quei settori padronali (israeliani,
sauditi, europei) che lucrano sulla guerra e la rendono possibile.
Fermare le merci in transito nel porto ha un significato allo stesso tempo simbolico e concreto. Concreto, perché la
compagnia di navigazione israeliana Zim e quella saudita Bahri rappresentano un ingranaggio specifico della logistica di
guerra, così come i mezzi militari prodotti dalla Iveco, destinati all’esercito tunisino per la repressione dei flussi
migratori. Ostacolare i trasporti militari e gli interessi dell’economia di guerra vuol dire individuare il nemico da
combattere anche in casa nostra, vuol dire mettere un po’ di sabbia nel motore della macchina bellica. E se questa
macchina ha bisogno di consenso, in questo – da parte nostra – vanno aperte delle crepe, per fare circolare, idee, gesti
concreti, possibilità, e quel coraggio che si impara insieme.
La guerra comincia qui, come recitava lo striscione d’apertura del presidio, non significa soltanto che armi e mezzi
sono prodotti qui e partono da qui; ma anche che sono le società in cui viviamo, il modo in cui sono organizzate, le
stesse economie in cui siamo avvolti, ad essere in guerra. Lo si vede nella repressione interna del dissenso, lo si vede
nello schieramento della stampa (nei giorni precedenti tutti i giornali locali, con una eccezione, hanno cercato di
invisibilizzare il blocco annunciato per venerdì 10), lo si vede nella propaganda a senso unico che santifica “il
diritto di Israele a difendersi” (ovvero massacrando i palestinesi) e che cerca di mobilitarci al fianco della NATO
nella guerra in Ucraina, lo si vede nel militarismo che si insinua nelle strade, nelle scuole, nelle università, lo si
vede nei fatturati di aziende come Leonardo, che raddoppiano. Ed è a partire dalla consapevolezza di essere in guerra
che possiamo agire: sabotando quei meccanismi economici, ideologici e sociali che delle guerre sono il pilastro.
Non è solamente una nostra convinzione, ma quello che ci chiedono da Gaza e dalla Cisgiordania. È quello che ci chiedono
i sindacati e gli studenti palestinesi quando ci invitano a rendere concreta l’opposizione ai nostri governi complici
del massacro, quando ci invitano a non collaborare al sostegno militare ad Israele, quando invitano gli studenti a
occupare scuole e università, fucine del consenso alla guerra. Bloccare un varco, una fabbrica di armi, una base, uno
snodo logistico, un’università è quindi un modo per rompere la continuità di una società mortifera. Aprire delle crepe,
appunto, per arrivare a bloccare tutto. Non siamo usi ai trionfalismi su quel poco che facciamo e siamo consapevoli di
come venerdì scorso la controparte (i padroni, la Questura) si sia organizzata per fluidificare il traffico, per ridurre
i danni, diminuire gli effetti dei blocchi e dei rallentamenti che hanno comunque congestionato il porto. Ma se il
significato concreto ha avuto questi limiti, pensiamo che il significato simbolico rimanga solido. Simbolico non nella
sua accezione spettacolare, ma come esempio. Si è indicato un punto d’attacco, una pratica, ripetibile e migliorabile,
riproducibile da altri qui come altrove. Ed è un esempio che noi stessi abbiamo raccolto da altri: da chi in passato ha
dato corpo alla solidarietà internazionalista (il blocco dell’economia e lo sciopero generale come arma dei proletari
contro ogni guerra) e da chi in queste settimane le ha dato nuova concretezza: dai porti di Los Angeles, Melbourne e
Barcellona, dalle fabbriche di armi in Inghilterra e Belgio, fino ai movimenti pacifisti ebraici che si oppongono alla
brutalità di quello Stato che pretende di rappresentare tutti gli ebrei del mondo. Quando si arriva a bombardare una
popolazione per il 40% minorenne, stretta in un fazzoletto di terra da cui non può fuggire, quando si bombardano gli
ospedali (col plauso di decine di medici israeliani), quando si lasciano i detenuti arabi nelle prigioni d’Israele
senz’acqua, luce e cure mediche, quando un ministro parla di “soluzione nucleare” e nelle trasmissioni televisive in
Italia si dà spazio ad ambasciatori che invocano la “distruzione di Gaza” e la deportazione nel deserto dei gazawi, vuol
dire che la disumanità ha del tutto preso il potere e che dagli apparati di Stato essa scende verso il basso, pervadendo
la società. Alle ragioni storiche, e mai più attuali di oggi, per farla finita con gli Stati e il capitalismo si
aggiunge quindi l’insopportabilità di vivere in un’epoca che rende possibile una tale organizzazione tecnica della
disumanità. Restare umani, oggi, significa rompere la passività, significa agire. Nient’altro.

Se la guerra comincia qui...
Mentre sono ormai quasi due anni che in Ucraina si combatte una guerra che rappresenta la punta dell’iceberg di un
conflitto fra blocchi di Paesi capitalisti, mentre lo stato colonialista di Israele sta sferrando l’ennesimo attacco
genocida nei confronti degli oppressi e delle oppresse palestinesi, mentre in molti stati africani (Sudan, Gabon, Mali,
Niger, Burkina Faso, per citarne alcuni) si continua a combattere una guerra “di colpi di stato” che ulteriormente
dimostra come la competizione a livello globale fra blocchi si stia intensificando e palesando, appare sempre più
evidente come la guerra cominci da qui o forse ancora meglio sia anche qui.
Mentre infatti la propaganda di guerra i cui i principali strumenti sono i media e i giornali che ci mostrano la
carneficina di proletarie e proletari come se fossero fermo-immagini da scorrere una dietro l’altra, alimentando la
pornografia del dolore per i loro profitti, dipinge il mondo in modo semplificatorio e binario se non quando accusatorio
nei confronti del pensiero critico e divergente, imponendo una narrazione dominante di una guerra lontana, umanitaria, e
necessaria perché portatrice dei valori democratici contro un nemico barbaro e terrorista e per questo giusta, è sempre
più evidente come tale narrazione sia strumentale per mascherare i veri interessi che muovono le guerre, vale a dire i
profitti della classe padronale, e quindi a richiederci quando non imporci fedeltà ai loro valori. A dissimulare come la
realtà che stiamo vivendo anche in occidente è una realtà di guerra, non guerreggiata, certo, ma di guerra dove tutti i
giorni sui posti di lavoro si muore, dove chi non si arruola viene spinto sempre di più ai margini del giardino di casa,
dove i femminicidi sono in continuo aumento, dove il controllo tecnologico è sempre più pervasivo e la dimensione umana
viene spazzata via in cambio di qualche manciata di finta comodità, dove la ristrutturazione sociale in corso si
manifesta con una sempre più capillare repressione del dissenso, dove la necessità di irreggimentazione e
addomesticamento delle coscienze e dei pensieri risulta sempre più pervasiva. Il piano inclinato su cui ci troviamo di
fatto ci sta precipitando verso la necessità di prendere una posizione non ambigua nei confronti della guerra che si sta
consumando, una guerra dei padroni e dei loro interessi nei confronti degli sfruttati, e contro la quale è necessario
combattere e non solo difendersi. Se infatti la guerra è la risposta alla crisi del sistema economico e sociale
esistente, è altrettanto vero che questa crisi offre spiragli per costruire una prospettiva che tolga di mezzo i
meccanismi di sfruttamento e dominio dell’uomo sull’uomo e sulla natura e che metta al centro la solidarietà
internazionalista. La guerra in Ucrania, il genocidio del popolo palestinese e tutti gli altri conflitti in corso o che
si daranno nel prossimo futuro si alimentano anche della nostra incapacità di comprendere quali siano gli interessi in
gioco e chi sia il vero nemico da combattere, che è anche in casa nostra. La compagnia ZIM, la compagnia Bahri sono solo
alcuni degli esempi di come la guerra abbia una logistica che ha sede nei paesi occidentali, abbia necessità, per poter
continuare, di avere a disposizione mezzi oltre che volontà politiche e consenso.
Bloccare i varchi oggi vuol dire colpire gli interessi del padronato nazionale che è corresponsabile dei massacri e
delle guerre da cui continua a fare profitto, vuol dire mettere in pratica la nostra opposizione alla guerra e iniziare
a dare spallate all’attuale sistema economico e sociale. Siamo consapevoli, infatti, che non esistono soluzioni ai
conflitti e alla guerra se non quelle che prevedano l’abbattimento dello stato delle cose esistenti, e del resto quella
strada pacifista in cui si invoca il rispetto dei diritti internazionali da parte di quegli stessi stati o
organizzazioni che sono i primi a produrre le condizioni di guerra, alla stessa stregua di quella riformista che invoca
un capitalismo meno brutale e più umano stanno mostrando la corda e la loro incapacità nel gestire in modo più umano le
guerre/crisi che invece si esplicano sempre più frequentemente nei massacri.
Al di là dei meri proclami di solidarietà, è necessario iniziare ad avere una prospettiva altra e costruire una concreta
opposizione, disertando e bloccando questo sistema di guerra e sfruttamento.
Sabotiamo la macchina militare, inceppiamo la produzione bellica e blocchiamo i flussi della logistica militare.
Sabotiamo e blocchiamo ogni collaborazione di guerra a casa nostra. Solidarietà internazionalista agli oppressi e alle
oppresse palestinesi.
SPINGIAMO PER ROVESCIARE LA GUERRA DEI PADRONI IN GUERRA CONTRO I PADRONI
Assemblea contro la guerra e la repressione - Prexon@anche.no
novembre 2023, da ilrovescio.info

«In faccia alla morte mettiamo la vita»
Le compagne palestinesi in Italia hanno scritto una lettera in cui richiamano all’intersezionalità delle lotte e alla
solidarietà internazionalista. Ci raccontano di come il movimento femminista di resistenza palestinese abbia una lunga
storia che affonda le sue radici agli albori del 900, alla partecipazione diretta alla lotta armata durante la grande
rivolta degli anni trenta, nell’Intifada, nella Nakba e nella resistenza anti-coloniale contro la dominazione britannica
prima e contro quella israeliana dal 1947 ad oggi. E in quest’oggi denunciano la condizione delle donne sotto i
bombardamenti israeliani, di quelle morte, di quelle sopravvissute e ferite, di quelle che partoriranno in strada perché
Israele sta bombardando gli ospedali, di quelle che moriranno in strada perché non possono ricevere le cure oncologiche
salva vita e non hanno più una casa perché Israele l’ha bombardata. Di quelle che stanno vivendo sotto l’occupazione
israeliana in Cisgiordania dove subiscono quotidiane violenze, intimidazioni e soprusi. È a loro oggi che rivolgiamo la
nostra lotta, perché la possano sentire, perché nutra la loro forza, perché continuino a resistere, perché continuino a
lottare, perché continuino a vivere! Siamo consapevoli del privilegio che ci appartiene nel momento in cui possiamo
prendere parola senza la paura che una bomba interrompa la nostra voce e ponga termine alla nostra vita. Possiamo ancora
permetterci di non occuparci di come sopravvivere a una guerra ma dobbiamo occuparci di come disertare l’economia di
guerra attaccando la politica predatoria e manipolatoria dell’occidente in Medioriente. La guerra, le guerre, la
minaccia nucleare è la conseguenza ultima delle strategie di sterminio, oppressione e sfruttamento che l’imperialismo
mette in atto a partire dalle aziende che qui producono armi, e che da qui transitano per arrivare negli scenari di
guerra dove uccidono oppresse e oppressi. Siamo ancora nella possibilità di agire un attacco all’economia di guerra
dello stato italiano che sostiene apertamente Israele nell’ennesima operazione di sterminio. Non vogliamo essere
complici del saccheggio colonialista e imperialista delle nazioni, tutte. Ed è per questo che siamo qui oggi, per
mostrare in concreto la nostra solidarietà partecipando a questo presidio per bloccare insieme a tante altre
soggettività l’economia di guerra che si alimenta, qua da noi, nei nostri quartieri, nel porto di Genova.
Volgiamo la nostra solidarietà alla resistenza dei movimenti femministi palestinesi, kurdi, zapatisti, iraniani e di
tutte le donne che stanno attraversando i confini nel mentre che subiscono violenze per scappare da altre violenze e a
tutte le donne che stanno lottando per la libertà e per l’autodeterminazione. Lo possiamo fare trovando la forza nelle
radici secolari della nostra resistenza di soggettività oppresse da anni di patriarcato, di violenza e di sfruttamento.
Ricordiamoci e ricordiamogli che nessuna inquisizione è riuscita a spegnere la nostra esistenza né spegnerà la nostra
resistenza. Il fuoco cova sotto la cenere. Alimentiamo con la nostra rabbia, con la nostra forza, con la nostra
autodeterminazione, con le nostre strategie.
“Bildet Banden” dicevano le Rote Zora, costruiamo le nostre bande!
Lottiamo contro la militarizzazione nelle nostre strade e nelle nostre scuole.
Lottiamo contro l’economia di guerra che si muove tre le vie delle nostre città e dei nostri porti. Lottiamo contro i
luoghi di detenzione, di isolamento e di privazione della libertà come le carceri e i cpr. Lottiamo contro il ruolo
riproduttivo in cui ci vogliono incatenare per perpetuare la catena dello sfruttamento di cui hanno bisogno per generare
altre oppresse e altri oppressi.
Perché non saremo mai libere se tutte non saranno libere.
Di fronte al sessismo gridiamo donna.
In faccia alla morte mettiamo la vita.
Di fronte alla schiavitù lottiamo per la libertà.
Donna, vita, libertà.
Jin, Jîyan, Azadî!
Palestina Libera!

***
OMAGGIO A GAZA E AI PALESTINESI
Silenzio per Gaza, una poesia di Mahmoud Darwish (1973)
Si è legata l'esplosivo alla vita e si è fatta esplodere. Non si tratta di morte, non si tratta di suicidio. E' il modo
in cui Gaza dichiara che merita di vivere. Da quattro anni, la carne di Gaza schizza schegge di granate da ogni
direzione. Non si tratta di magia, non si tratta di prodigio. E' l'arma con cui Gaza difende il diritto a restare e
snerva il nemico. Da quattro anni, il nemico esulta per aver coronato i propri sogni, sedotto dal filtrare col tempo,
eccetto a Gaza. Perché Gaza è lontana dai suoi cari e attaccata ai suoi nemici, perché Gaza è un'isola. Ogni volta che
esplode, e non smette mai di farlo, sfregia il volto del nemico, spezza i suoi sogni e ne interrompe l'idillio con il
tempo. Perché il tempo a Gaza è un'altra cosa, perché il tempo a Gaza non è un elemento neutrale. Non spinge la gente
alla fredda contemplazione, ma piuttosto a esplodere e a cozzare contro la realtà.
Il tempo laggiù non porta i bambini dall'infanzia immediatamente alla vecchiaia, ma li rende uomini al primo incontro
con il nemico. Il tempo a Gaza non è relax, ma un assalto di calura cocente. Perché i valori a Gaza sono diversi,
completamente diversi. L'unico valore di chi vive sotto occupazione è il grado di resistenza all'occupante. Questa è
l'unica competizione in corso laggiù. E Gaza è dedita all'esercizio di questo insigne e crudele valore che non ha
imparato dai librio dai corsi accelerati per corrispondenza, né dalle fanfare spiegate della propaganda o dalle canzoni
patriottiche. L'ha imparato soltanto dall'esperienza e dal duro lavoro che non è svolto in funzione della pubblicità o
del ritorno d'immagine. Gaza non si vanta delle sue armi, né del suo spirito rivoluzionario, né del suo bilancio. Lei
offre la sua pellaccia dura, agisce di spontanea volontà e offre il suo sangue. Gaza non è un fine oratore, non ha gola.
E' la sua pelle a parlare attraverso il sangue, il sudore, le fiamme. Per questo, il nemico la odia fino alla morte, la
teme fino al punto di commettere crimini e cerca di affogarla nel mare, nel deserto, nel sangue. Per questo, gli amici e
i suoi cari la amano con un pudore che sfiora quasi la gelosia e talvolta la paura, perché Gaza è barbara lezione e
luminoso esempio sia per i nemici che per gli amici. Gaza non è la città più bella.
Il suo litorale non è più blu di quello di altre città arabe. Le sue arance non sono le migliori del bacino del
Mediterraneo. Gaza non è la città più ricca. (Pesce, arance, sabbia, tende abbandonate al vento, merce di contrabbando,
braccia a noleggio). Non è la città più raffinata, né la più grande, ma equivale alla storia di una nazione. Perché,
agli occhi dei nemici, è la più ripugnante, la più povera, la più disgraziata, la più feroce di tutti noi. Perché è la
più abile a guastare l'umore e il riposo del nemico ed è il suo incubo. Perché è arance esplosive, bambini senza
infanzia, vecchi senza vecchiaia, donne senza desideri. Proprio perché è tutte queste cose, lei è la più bella, la più
pura, la più ricca, la più degna d'amore tra tutti noi. Facciamo torto a Gaza quando cerchiamo le sue poesie. Non
sfiguriamone la bellezza che risiede nel suo essere priva di poesia. Al contrario, noi abbiamo cercato di sconfiggere il
nemico con le poesie, abbiamo creduto in noi e ci siamo rallegrati vedendo che il nemico ci lasciava cantare e noi lo
lasciavamo vincere. Nel mentre che le poesie si seccavano sulle nostre labbra, il nemico aveva già finito di costruire
strade, città, fortificazioni. Facciamo torto a Gaza quando la trasformiamo in un mito perché potremmo odiarla scoprendo
che non è niente più di una piccola e povera città che resiste. Quando ci chiediamo cos'è che l'ha resa un mito,
dovremmo mandare in pezzi tutti i nostri specchi e piangere se avessimo un po' di dignità, o dovremmo maledirla se
rifiutassimo di ribellarci contro noi stessi. Faremmo torto a Gaza se la glorificassimo. Perché la nostra fascinazione
per lei ci porterà ad aspettarla. Ma Gaza non verrà da noi, non ci libererà.
Non ha cavalleria, né aeronautica, né bacchetta magica, né uffici di rappresentanza nelle capitali straniere. In un
colpo solo, Gaza si scrolla di dosso i nostri attributi, la nostra lingua e i suoi invasori. Se la incontrassimo in
sogno forse non ci riconoscerebbe, perché lei ha natali di fuoco e noi natali d'attesa e di pianti per le case perdute.
Vero, Gaza ha circostanze particolari e tradizioni rivoluzionarie particolari. (Diciamo così non per giustificarci, ma
per liberarcene). Ma il suo segreto non è un mistero: la sua coesa resistenza popolare sa benissimo cosa vuole (vuole
scrollarsi il nemico di dosso). A Gaza il rapporto della resistenza con le masse è lo stesso della pelle con l'osso e
non quello dell'insegnante con gli allievi. La resistenza a Gaza non si è trasformata in una professione. La resistenza
a Gaza non si è trasformata in un'istituzione. Non ha accettato ordini da nessuno, non ha affidato il proprio destino
alla firma né al marchio di nessuno.
Non le importa affatto se ne conosciamo o meno il nome, l'immagine, l'eloquenza. Non ha mai creduto di essere
fotogenica, né tantomeno di essere un evento mediatico. Non si è mai messa in posa davanti alle telecamere sfoderando un
sorriso stampato. Lei non vuole questo, noi nemmeno. La ferita di Gaza non è stata trasformata in pulpito per le
prediche. La cosa bella di Gaza è che noi non ne parliamo molto, né incensiamo i suoi sogni con la fragranza femminile
delle nostre canzoni. Per questo Gaza sarà un pessimo affare per gli allibratori. Per questo, sarà un tesoro etico e
morale inestimabile per tutti gli arabi. La cosa bella di Gaza è che le nostre voci non la raggiungono, niente la
distoglie. Niente allontana il suo pugno dalla faccia del nemico. Né il modo di spartire le poltrone del Consiglio
Nazionale, né la forma di governo palestinese che fonderemo dalla parte est della Luna o nella parte ovest di Marte,
quando sarà completamente esplorato. Niente la distoglie.
E' dedita al dissenso: fame e dissenso, sete e dissenso, diaspora e dissenso, tortura e dissenso, assedio e dissenso,
morte e dissenso. I nemici possono avere la meglio su Gaza. (Il mare grosso può avere la meglio su una piccola isola).
Possono tagliarle tutti gli alberi. Possono spezzarle le ossa. Possono piantare carri armati nelle budella delle sue
donne e dei suoi bambini. Possono gettarla a mare, nella sabbia o nel sangue. Ma lei: non ripeterà le bugie. Non dirà sì
agli invasori. Continuerà a farsi esplodere. Non si tratta di morte, non si tratta di suicidio. Ma è il modo in cui Gaza
dichiara che merita di vivere.

***
Yemen: navi cargo attaccate nel Mar Rosso
Sono ormai numerose le imbarcazioni commerciali in navigazione nel Mar Rosso, che vengono colpite da droni e missili
lanciati dallo Yemen dai ribelli Houthi che avevano annunciato di fermare i mercantili diretti in Israele se non cessano
i bombardamenti su Gaza. Gia’ diverse le compagnie marittime che hanno deciso di cambiare rotta mentre gli Stati uniti
starebbero pensando a piani di attacco per contrastare i ribelli sostenuti dall’Iran.
Diverse navi della marina militare degli Stati Uniti nel Mediterraneo stanno convergendo sullo Yemen. Si tratta del
gruppo d’attacco portaerei Ford e del gruppo anfibio Bataan a cui si aggiungono cacciatorpediniere britannici e
francesi.
Lo Yemen, l’estremità meridionale della Penisola Arabica, è teatro di un violento conflitto civile ormai dal settembre
2014. Il nord del Paese, compresa la capitale Sana’a, è stata occupata dai miliziani Houthi. Questi ultimi hanno più
volte, negli ultimi anni, attaccato le navi israeliane che transitavano nei pressi del Golfo di Aden con lanci di droni
e di razzi. Tanto che Israele ha deciso da tempo di far cambiare rotta alle proprie navi.
Ora gli attacchi sono diretti a tutte le navi che transitano nel Mar Rosso. Per questo motivo la MSC (Mediterranean
Shopping Company), modificherà le rotte marittime. La comunicazione arriva subito dopo quella della società francese CMA
CGM, che ha seguito a sua volta il gigante danese Maersk e la società di trasporti tedesca Hapag-Lloyd.
Nelle ultime ore anche la compagnia petrolifera BP ha temporaneamente sospeso tutti i transiti attraverso il Mar Rosso,
ha detto oggi la compagnia petrolifera, in seguito agli attacchi del fine settimana da parte delle forze Houthi che
controllano la maggior parte dello Yemen. “La sicurezza e l’incolumità del nostro personale e di coloro che lavorano per
nostro conto è la priorità di BP,” ha detto la società.
Le ripercussioni immediate sono gli aumenti delle polizze assicurative , i costi e i tempi di viaggio, il calo di lavoro
registrato nei porti del Mediterraneo. Israele e Stati Uniti chiedono una “coalizione internazionale” per fare la guerra
agli Houthi.

18 dicembre 2023, da infoaut.org


Venegono Superiore (VA), manifestazione contro Leonardo SpA
Il pomeriggio, sabato 2 dicembre 2023, si è svolta a Venegono Superiore (VA) una manifestazione con la presenza di
attivisti e attiviste dell’Osservatorio contro la militarizzazione delle scuole e delle università per protestare contro
Leonardo SpA, che ha venduto a Israele 30 caccia-addestratori M-346 “Master”.
I velivoli sono stati assegnati alle Tigri volanti del 102° squadrone dell’Aeronautica di stanza nella base di Hatzerim
per preparare i piloti alla guida dei cacciabombardieri di nuova generazione, ma sono stati utilizzati anche per
attacchi al suolo con bombe e missili aria-terra o antinave contro la popolazione palestinese.
Si profila, così, abbastanza chiaramente, una complicità mortifera tra Leonardo SpA, azienda compartecipata da Cassa
Depositi e Prestiti, cioè dallo Stato italiano, e lo Stato sionista d’Israele, che sta uccidendo migliaia di civili
palestinesi.
L’Osservatorio ha già più volte denunciato questa connessione, tanto più che Leonardo SpA, con le sue Fondazioni, cioè
Med-Or e La Civiltà delle Macchine (il cui presidente è Luciano Violante in quota PD e vicepresidente Pietrangelo
Buttafuco, mentre Guido Crosetto compare come Senior Advisor), hanno ramificazioni nelle scuole e nelle università con
progetti di ricerca e finanziamenti vari.

2 dicembre 2023, da osservatorionomilscuola.com

***
La cultura militare a scuola
Di seguito pubblichimo l’introduzione al “Vademecum contro la militarizzazione della scuola dell’università” del
settembre 2023. Con questo Vademecum L’Osservatorio contro la militarizzazione delle scuole e delle università, che l’ha
redatto, intende fornire a tutte le componenti degli strumenti formali e pratici per contrastare la crescente presenza
militare nelle scuole e allo stesso tempo proporre un’idea altra di scuola e di società. A chi desiderasse ricevere la
copia integrale la spediremo con il prossimo opuscolo.

La presenza delle Forze Armate (italiane e straniere), della Polizia di Stato, dell’Arma dei Carabinieri, della Guardia
di Finanza, della Polizia Penitenziaria, della Polizia Locale nelle scuole non è una novità. Ma da alcuni anni tale
presenza, sia all’interno che fuori dalle scuole, si sta intensificando in maniera secondo noi preoccupante. Dentro la
scuola compaiono sempre più spesso uomini e donne in divisa per tenere conferenze o lezioni di vario tipo relative alla
sicurezza, alla legalità, alla promozione professionale del proprio corpo d’appartenenza, mentre fuori dalle scuole non
poche volte capita che le scolaresche vengano condotte in caserme e basi militari per cerimonie o iniziative
promozionali, nonché (nella scuola superiore di secondo grado) per attività collegate al PCTO (Percorsi per le
Competenze Trasversali e l’Orientamento). A sancire questo pericoloso rapporto ci sono una serie di accordi sottoscritti
negli ultimi anni dai rappresentanti dei Ministeri della Scuola e della Difesa.
Nel 2014 è stato firmato un Protocollo d’Intesa fra Ministero dell’Istruzione e della Difesa seguito da una circolare
del Ministero dell’Istruzione (ancora senza Merito) che elencava i percorsi progettuali da affidare alle forze armate,
inutile dire che riguardavano tutti i campi didattico-disciplinari. Nel 2017 è stato sottoscritto dai Ministeri dell’
Istruzione, della Difesa e del Lavoro un Protocollo d’Intesa per la mutua collaborazione nell’ambito dell’Alternanza
Scuola-Lavoro (l’attuale PCTO), mentre con l’Arma dei Carabinieri il MIUR ha siglato un Protocollo d’Intesa nel 2019,
nell’agosto 2023 un analogo protocollo è stato firmato con la Marina Militare, ed a questi dobbiamo aggiungere le
convenzioni e gli accordi a livello locale che si stanno moltiplicando. Ultimo in ordine di tempo, a dimostrare
l’interesse di un intervento organico delle FFAA e degli altri corpi armati dello Stato per il mondo dell’istruzione di
ogni ordine e grado e della ricerca accademica, è la nascita del Comitato per lo sviluppo e la valorizzazione della
cultura della Difesa (marzo 2023), chiamato oggi a fornire ulteriori strumenti concettuali ed operativi per “acculturar-
militarizzare” la società e il sistema scolastico-universitario.
L’intensificazione dei rapporti tra scuole e FFAA e tra i relativi ministeri è dovuta a ragioni di ordine strutturale
che riguardano i cambiamenti che hanno subìto queste due istituzioni dello Stato. Da una parte le FFAA sono diventate
professionali, pertanto si pongono e si propongono come un lavoro che viene offerto alle giovani generazioni: la scuola
diventa così un bacino privilegiato da cui attingere. Molto preoccupante da questo punto di vista è il progetto
annunciato a più riprese da Ignazio La Russa di istituire una “mini naja” collegata a crediti scolastici e a
facilitazioni nel mondo del lavoro: una prospettiva che renderà ancora più strutturale il legame tra scuola e mondo
militare. Dall’altra, la scuola risente sempre più di un processo di aziendalizzazione: essa deve sempre più formare
forza-lavoro e sempre meno soggetti portatori di un bagaglio culturale ricco, articolato e critico; deve porsi come uno
dei luoghi di incontro della domanda e dell’offerta di lavoro; deve acquisire sempre di più la logica dell’azienda
(l’autonomia scolastica, il ruolo del/la dirigente, il PCTO rispondono a questa logica). A ciò però dobbiamo aggiungere
anche un costante incremento in Italia delle spese militari, della produzione e vendita di armi, nonché la contingenza
storica in cui ci troviamo: l’attuale guerra in Ucraina, ormai in corso da un anno e mezzo, a cui partecipa anche
l’Italia con l’invio di armi al governo ucraino, e quindi il conflitto tra Nato e Federazione Russa, costituisce lo
sfondo su cui si staglia la risorgente retorica militarista e guerrafondaia che cerca di penetrare nelle scuole e nelle
giovani generazioni


Lettera dal carcere di Vigevano (PV)
Cari amici compagni-e. Vi scrivo come ho sempre fatto che però purtroppo più volte sono state bloccate perchè a loro
libero convincimento come motivazione il contenuto della lettera conteneva frasi ambigue e/o criptiche che potrebbero
celare messaggi diversi dai contenuti e quindi pericolosi per l’ordine e la sicurezza; in particolare conteneva frasi
propagandistiche dell’attività illecita posta in essere, per la quale è definito, ed espliciti richiami ad attività di
propaganda poste in essere da soggetti anarchici e insurrezionalisti.
Quindi se scrivo un pensiero e/o provassi a scrivere qualcosa del mio percorso vengono trattenute con le stesse
motivazioni. Qua si sta vietando non solo di comunicare con il mondo esterno ma anche di fare conoscere fatti che
riguardano i processi e i miei percorsi. Provare a condividere certi concetti politici anche quelli più banali può
comportare la pericolosità per l’ordine e la sicurezza. E’ fascismo questo non democrazia come vogliono fare credere.
Probabilmente per chi è etichettato come anarchico usano un linguaggio come sopracitato.
Ho scritto questo per farvi capire che non è da parte mia se ha comportato silenzio ma nell’insieme delle cose, censure
che mi vengono prolungate alla scadenza, tra l’altro oltre che non ricevere gli opuscoli in generale perchè materiale
non commerciale in quanto prodotti in proprio, nel provvedimento della censura ho anche il divieto di acquistare
quotidiani nazionali perchè potrebbero riportare messaggi e/o potrei inviare messaggi all’esterno del carcere. Anche le
riviste commerciali devono essere controllate e foglio per foglio timbrate con visto censura.
Non sono sottoposto né al 41-bis né al visto censura (AS2) ma bensì media sicurezza (comune). Quindi non me la passo poi
così tanto bene.
Mi conoscete da tanti anni e conoscete il mio concetto e il mio modo di pensare. Sono sempre stato consapevole delle mie
scelte che fossero negative e/o positive non mi sono mai rammaricato sulle condanne e bene e/o male ho sempre affrontato
il farmi la galera pur accettando anche questa con le sue problematiche sono sempre stato determinato e continuo ad
essere quello come sono sempre stato. Non c’è carcere/i né censure che può indurmi al dissociamento né cambiare il mio
modo di essere.
Cari amici/amiche mando questa lettera dal carcere di Vigevano, doce mi hanno trasferito. Vorrei che questa mia lettera
venga pubblicata oltre al vostro opuscolo anche sul sito. Vi mando un abbraccio e un saluto

Rossetti Busa Mauro, via Gravellona, 240 - 27029 Vigevano (Pavia)


Lettere dal carcere di Milano-Opera
Salve sono un detenuto del carcere di Opera-Milano. Era un po’ di tempo che sentivo parlare della vostra associazione,
ma non avevo mai avuto il piacere di farne parte, ma finalmente è arrivato il giorno per raccontare anche la mia.
Io nel 2011 ho fatto uno scivolone in moto, uno striscione di 45 metri circa con una moto di grossa cilindrata ove mi
sono rotto: spalle e muscolo dx, 3 costole, ma indossavo solo il casco ed il giubbotto adatti purtroppo avevo jeans e
scarpe normali. Questo ha fatto sì che mi si consumasse tutto il tessuto molle, vene, nervi, e tendine della gamba dx
facendo si che tutt’oggi faccio ancora le medicazioni perché vari tentativi non sono serviti per mancanza di flussi
sanguigni. Dal 2013/14 sino all’anno scorso ero in cura ma il 13-09-2022 alle 6.00/6.30 di mattina si presentano i
carabinieri con un ordine di carcerazione ed il giorno stesso inizia il mio calvario per le ulcere: da subito faccio
presente che ho delle ulcere che vanno medicate due volte alla settimana e che avevo un programma per un intervento di
safectomia ove sono ricomparse varici recidive post-chirurgiche. Ma qui ad Opera sembrava che andasse quasi tutto
normale sino a marzo – aprile 2023 quando una “dott.ssa” ha ritenuto che non era necessario andare più al San Paolo
perché c’era carenza di infermieri e scorta, quindi da aprile 2023 mi facevo io le medicazioni con le rispettive
medicine, ma considerando che non sempre ci sono prodotti, bisognava fare le medicazioni con quello che c’era perché lei
di ulcere non ne sapeva quasi niente visto che è un problema vascolare e ho dovuto farmi le medicazioni con la garza e
vari prodotti di fortuna che avevo grazie agli infermieri perché la dottoressa non si degnava neanche di fare le
richieste dovute. Grazie a lei mi ha dovuto saltare un pre ricovero, una TAC per l’intervento nonostante la richiesta
dell’anestesista dell’ospedale Fate Bene Fratelli il 30/5/2023.
Nel frattempo le ulcere stavano peggiorando, a luglio gli chiedo se per favore può farmi fare un tampone perché vedevo
un infezione ed è finito con un niente di fatto, ma quando lei è andata in ferie ad agosto un’altra dottoressa gli ho
spiegato il problema e mi ha fatto fare subito il tampone ed è risultato positivo, ma nel frattempo lei torna dalle
ferie e non si è mai degnata di fare la richiesta per l’antibiotico, tutt’oggi le ferite sono peggiorate e solo perché
non hanno il personale infermieristico e dottori. Io sono qui senza cura perché la dottoressa è stata dimessa io è già
un mese che ho riferito il problema al magistrato di sorveglianza di competenza, ma qui nessuno viene preso in
considerazione fino a quando non c’è la fai piu e fai quello che non dovresti mai fare: e ti chiedono: perché l’hai
fatto non potevi dirlo? (ma mi stai prendendo per il culo?)
Grazie ancora per l’attenzione.

25 ottobre 2023
via Camporgnago 40 - 20141 Milano

***
Salve sono Tony, una persona qualunque che ha deciso di dire la sua in queste circostanze molto anomale. Sì credo che
sia il termine giusto, considerando che ogni volta che si sente parlare di Opera ci fanno intendere che Opera è il
carcere modello. Si sente parlare di teatro, scuola, cinema, ed eventi vari, ma di quello che c'è dietro le quinte di
Opera non ne parla nessuno. Il vero clima di Opera, quello che si respira nelle sezioni del primo reparto, il clima
delle richieste, le domandine che si perdono dalla cassetta della posta all'ufficio di competenza, le risposte le
sappiamo già, sono sempre le stesse: mancanza di personale Ah ah ah ah ah.
Si dice che la sanità italiana, bene o male vada avanti, ma a Opera i dottori e gli infermieri stanno diventando una
cosa rara. Si è quasi estinto. A Opera è vietato ammalarsi. Sì perché se ti metti a visita medica sappi che se sei
fortunato ti chiamano dopo una settimana, ma se sei sfortunato cazzi tuoi. Può sembrare un modo di dire ironico, ma non
è così, credetemi. Io sono qui da settembre 2022 ed il fine pena marzo 2033. Io voglia di rassegnarmi meno di zero.
Anche se non mi nascondo dietro a un dito, in un paio di occasioni ci ho pensato di buttare la spugna. Perché quando ti
ritrovi in questi contesti con patologia alla gamba destra, cioè due ulcere ma di 6 cm x 3 ed una di 8 cm circa a
circonferenza ovale e viene medicato quasi alla buona, tranne l'ultima, per due volte arrivi al punto che vuole
rassegnarti. Il dolore che va e viene come una lancetta di un orologio a pendolo e per sviare i dolori si è disposti a
fare qualsiasi cosa, e all'improvviso cerchi aiuto in una persona che a te ispira fiducia e ti lascia andare divulgando
le tue difficoltà, i tuoi dolori ad una persona che ritieni una delle due che in questo contesto ti dà fiducia e tu ci
credi. Ma poi arriva un giorno che vieni chiamato perché la persona credeva in te, anzi crede in te, ma che a sua volta
gli hanno detto, gli hanno fatto credere che hanno fatto tutto giusto e ti dice che le cose non sono peggiorate. No
cazzo non è così vi farei stare a voi solo sette giorni con i dolori che sto provando. E non è tutto perché in questi 14
mesi sto capendo veramente cosa si prova ad essere soli, mollati da tutto e tutto. Credevo di poter contare sulle mie
sorelle, fratello, ma poi ti rendi conto che proprio così, parenti serpenti che pensano solo agli interessi, ma si
passerà anche questo. Ogni cosa a suo tempo, e come si dice tutto si può fare ma non fermare il tempo. Grazie per la
possibilità che mi avete dato di poter dire la mia. Se vi farà piacere posso contribuire nel mio piccolo a far sapere le
vere condizioni delle carceri italiane come per esempio qui a Opera. Sono 20-25 giorni che nel primo reparto non abbiamo
il medico punto c'è solo il medico di guardia e ti chiama solo per le emergenze.

4 novembre 2023
via Camporgnago, 40 - 20141 Milano


lettera dal carcere di genova
Salve carissimi compagni/e  ho ricevuto il vostro plico e con un po' di ritardo mi accingo a dirvi che si tira avanti
con molte difficoltà. In questi giorni ci è venuto a fare visita il garante dei detenuti e gli ho mostrato la lettera
pubblicata. Ne ha preso atto, ma qui siamo ancora senza caloriferi. Praticamente non è che non funzionano ma in alcune
celle come la mia lo hanno sradicato. Poi l'ASL interna non ci garantisce un bel niente. Ho da prendere un tutor dal
casellario ma sono circa 20 giorni che lotto e manco a parlarne. Non abbiamo il medico di base per marcare visite
specialistiche da oltre tre mesi e sono gli infermieri a portare voce ai medici della quarta sezione che si arrabattano
come possono, ma non più di tanto. Ci sono due direttori ma nessuno dei due rilascia autorizzazione. Cosa mai vista in
30 anni di carcere fatti anche se frammentari. In poche parole nelle bacheche vengono affisse disposizione ma dove c'è
il timbro? La direzione è in bianco. Vi sembra una cosa normale?  Però quando fanno i consigli disciplinari ti spezzano
le ossa come è successo a me che ho fatto una petizione per i caloriferi, per il vitto che da tre giorni passano patate
lesse con buccia, ricotta, e cipolle bollite.
Le domandine non si sa che fine fanno e mi dicono sta alla firma. Ma alla firma di chi,  se sugli avvisi di inasprimento
non c'è uno scritto? In poche parole non si ottiene nulla e il carcere è in subbuglio. Pensate che rubano nelle celle di
detenuti e il derubato è costretto a stare muto. Io non ho niente per cui non mi pongo il problema, ma è sparito un
fornellino e non ho soldi per comprarlo. Al casellario ce ne sono centinaia ma non te lo danno. L'impresa porta le cose
a singhiozzo e c'è gente che spende, ma accrediti nada de nada. Sono costretto a starmene a letto quasi tutta la
giornata perché fa freddo e come vi ho detto sto senza cose pesanti. Solo se c'è qualche giornata mite vado un'ora
all'aria, ma poi mi tocca salire perché non si può stare più di un'ora. So che per voi non è facile sostenerci ma la
speranza siete voi perché i volontari che operano qui hanno le dispense vuote. Si lotta come si può da qui ma molti
hanno paura perché sono di Genova e temono di essere allontanati. Io non temo nessuno. Sono un lottatore come voi e
lotto anche da solo, anche se mi dicono che la mia non è una forma di anarchia, ma una sindrome, sindrome di Brno, non
so se si scrive così. Lo faccio per me, e pure per chi come me sta nella cacca ma alzo la testa per respirare. Noi
sappiamo che la lotta non è una forma di prevaricazione ma di adeguatezza e conforme ai tanti istituti che mettono in
bella mostra ciò che qui è spreco e ne fanno risorse. Qui non si può contare su nessuno. Avevo un po' di cose superflue
che mi stavano grandi e le ho date a chi sta messo come me e senza profitto, al massimo qualche bollo, un po' di caffè,
tabacco ma nulla di che, perché tutti si arrabattano E chi ruba ai suoi simili si vende le cose per drogarsi o
scambiarsi cose o acquista terapie. Poi scoppiano i casini per cui non c'è controllo. Io continuo le mie lotte con voi
tramite Olga, che colgo l'occasione per un ferreo e caro saluto da compagno fedele. Devo stare qui ancora 10 anni se
tutto va male, se no 5 se mi accolgono il continuato che al 90%, dovrà essere accettato. Ma ora come ora sto nella cacca
e devo pure rimediare in qualche modo, perché se ci fossero i fondi per lavorare lavorerei e quei 300 euro mi farebbero
comodo e non vi disturberei. Concludo con un ferro di saluto con pugno sempre alzato e un caro saluto a tutti voi
compagni/e.

20 novembre 2023
Rosario Mazzone, P.zle Marassi, 2 - 16139 Genova


lettera dal carcere di viterbo
Buongiorno cari compagni, buongiorno Olga, grazie per il libro. Oggi è la mattinata di lunedì, ora è ancora notte visto
che mi sveglio sempre alle 4:00 e veramente fa molto freddo, ma come apro gli occhi mi devo subito alzare, non riesco a
starci, solo all’ora di dormire allora mi ci rimetto. Volevo parlarvi di come è cambiato il carcere e i detenuti che poi
in verità lo fanno o lo dovrebbero fare. Io personalmente non sento più di farne parte. Sono caduto la prima volta nel
1985, stavo facendo la Mili ai confini e visto che con gli innumerevoli giorni di rigore,12 mesi, erano già 18 mesi che
stavo lì, il comandante pensò di mandarmi in permesso “premio” e per fare compagnia ad un amico ce ne andammo ad Arezzo
dove prendemmo sei mesi ciascuno, contento per il mio amico che nonostante avesse 14 precedenti gli fu concessa la
libertà. A me il pretore sei mesi mi diede e sei ne feci, forse pensò che dandomi questa lezione avrei capito. In
effetti mi misi paura ma più che paura mi fece schifo e me la passai veramente male anche perché la mia famiglia non
concepiva il concetto e anche loro mi vollero punire non venendo ai colloqui. Poi mettiamoci che papà era un insegnante,
un fascista vecchio stile, è venuto a mancare da poco e anche se non ci siamo mai parlati devo ammettere che è stato un
grande uomo, sempre nel giusto e regolare, anche se da piccolo mi portava alle riunioni del MSI quando c'era Giorgio
Almirante e io facevo parte del fronte della gioventù, perché siamo di Guidonia cittadina bonificata, costruita dal Duce
dove aveva costruito il suo aeroporto con il centro sperimentale e mio nonno e i suoi 14 fratelli vi lavoravano. Ma
torniamo indietro a quando stavo per la prima volta detenuto in Arezzo. Ricordo come fosse ora che mi dissi e chi ci
torna più in un posto così! Invece io malgrado abbia già scontato 34, 35 anni, non li ho mai contati, solo quelli di
libertà che sono quattro, quindi in questi anni di detenzione ho vissuto personalmente sia le sofferenze sia i suoi
lenti cambiamenti. E personalmente quello che vedo non mi piace. Non c'è più fratellanza, unione. Anzi esiste solo il
menefreghismo e il disinteressarsi dei problemi dell'altro, c'è solo la ricerca dello sballo in qualunque forma. Ho
notato che non ci sono riusciti ad annientarci con l'eroina negli anni Ottanta ma ora sì, con queste droghe sintetiche
vedo dei giovani veramente fulminati con niente in testa, senza neanche un ideale o una logica da poter fare un
discorso, quindi ho deciso di avere come come compagna la mia solitudine che riempio scrivendo e progettando quel poco
di vita che mi rimane da vivere in progetti utili per salvare chi vuole essere salvato, invece di bruciarsi la mente con
la chimica e regalare come me la vita al carcere. Anche se non ho più commesso reati dall'anno 2000 mi trovo a scontare
carichi definitivi su reati dove  non sono mai stato preso sul fatto e mi metto come esempio da non seguire perché la
vita non si può ripetere e le scelte di oggi si ripercuoteranno domani, sia le buone che le errate, con questo concludo
con la speranza che possa essere d'aiuto a qualcuno, un saluto a tutti i compagni, alla prossima.

Viterbo, 20 novembre 2023
Maurizio Bianchi, Strada S. Salvatore, 14/b - 01100 Viterbo


QUANDO C'E L'AMORE C'E TUTTO... NO, QUELLA E' LA SALUTE!
Di seguito il volantino distribuito davanti alla carceri milanesi di San Vittore e Opera in occasione dei colloqui e
sulla base de quale è stato chiamato un primo presidio il 10 dicembre davanti al carcere di Opera nel quale diversi
interventi si sono succeduti al microfono e rumorosa è stata la risposta da dentro.

Spesso le proteste e le rivolte che avvengono nelle carceri sono a causa della mancanza di cure sanitarie per le persone
detenute. E' successo ancora, ad esempio, all'inizio di settembre nel carcere di Viterbo: alcuni detenuti hanno
intrapreso uno sciopero della fame seguito da una fermata all'aria protestando per la mancanza di cure nei confronti di
un prigioniero che da giorni vomitava sangue, e che è poi deceduto per mancanza di assistenza. La morte di Imran è stata
liquidata come “per cause naturali”. Immancabilmente i giornali riportano le lamentele dei sindacati della polizia
penitenziaria, che chiedono più agenti all'interno delle carceri, senza però fare accenno al bisogno di medici ed
infermieri.
La situazione non è diversa nelle carceri milanesi dove i servizi infermieristici per gli anni 2020-2024 sono stati
aggiudicati al Consorzio Stabile HCM tramite una gara d'appalto fondata sul massimo ribasso. Il presidente del Consorzio
è anche membro, in evidente conflitto di interesse, del consiglio direttivo dell'ordine degli infermieri di Milano.
Tale Consorzio per vincere ha garantito di poter gestire i servizi infermieristici spendendo mezzo milione in meno
rispetto ai 4,2 milioni che erano valutati sufficienti per la gestione della copertura sanitaria. E si vede: già nel
2021 mancava personale, e i buchi sono stati coperti dagli ospedali pubblici San Paolo e San Carlo attraverso ordini di
servizio e precettazioni, obbligando medici ed infermieri a prestare servizio nelle carceri sottraendoli agli ospedali
del territorio. Di fatto questa estate nel carcere di opera era presente un infermiere ogni 600 detenuti su una
popolazione carceraria di oltre 1.300, a copertura di tre turni. Questa è una delle principali cause delle innumerevoli
morti che avvengono nelle carceri italiane.
E' sempre molto difficile portare fuori dalle mura del carcere quello che accade realmente al suo interno. La voce dei
detenuti e dei loro familiari è fondamentale per capire cosa avviene e per costruire relazioni dentro e fuori capaci di
cambiare la realtà. Per questo motivo saremo presenti sotto le carceri il terzo sabato di ogni mese in occasione dei
colloqui per stringere relazioni, organizzarci e lottare assieme. Potete scriverci ai contatti che seguono per
condividere informazioni, racconti, esperienze e quello che accade quotidianamente all'interno delle mura.
e-mail: olga2005@autistici.org
CP: "Associazioni Ampi Orizzonti" casella postale 10241 - Milano 20122

novembre 2023
Assemblea cittadina contro carcere, 41 bis ed ergastolo

***
Cospito, solo libri da biblioteca 41bis da quella centrale no
Alfredo Cospito detenuto in regime di 41bis nel carcere di Sassari Bancali l’unica cosa che può fare per passare il
tempo è leggere che tra l’altro resta la sua passione da sempre. Ma può diciamo rifornirsi solo dalla biblioteca
destinata ai reclusi del 41bis.
Nella giornata di ieri racconta l’avvocato Maria Teresa Pintus che assiste l’anarchico insieme a Flavio Rossi Albertini
è stata celebrata un’udienza davanti al Tribunale di Sorveglianza. L’oggetto del contendere era la possibilità di
accedere all’elenco dei libri contenuti nella biblioteca centrale del carcere perché in quella del 41bis sono veramente
un numero limitato. L’avvocato ha chiesto anche di poter utilizzare i libri contenuti nella biblioteca del comune di
Sassari. Il pm ha chiesto ai giudici di rigettare il reclamo perché non si tratta di un diritto e perché i libri non
possono entrare da altre vie.
La richiesta ovviamente faceva riferimento alla possibilità di ricevere i libri attraverso gli agenti penitenziari. Ma
il magistrato non ha voluto sentire ragioni. Adesso il Tribunale di Sorveglianza ha cinque giorni di tempo per decidere
ma si tratta di un termine assolutamente non perentorio. Insomma la tortura continua. I libri evidentemente nella logica
dei burocrati del carcere sono un pericoloso veicolo di messaggi, soprattutto quelli della biblioteca centrale della
prigione per non parlare di quella del Comune di Sassari. Per il resto Alfredo è in attesa della fissazione dell’udienza
sulla revoca del 41bis chiesta dagli avvocati dopo la mancata risposta del ministro Nordio. Se ne occuperà il Tribunale
di Sorveglianza di Roma l’unico in tutta Italia dove si discutono i reclami contro l’applicazione del carcere duro.
13 dicembre 2023, da giustiziami.it


Lettera dal carcere di Sulmona (AQ)
Carissimi compagni, vi informo che ho ricevuto l'opuscolo e il giornale, vi ringrazio per la vostra vicinanza e
solidarietà, vi spedisco uno scritto che è stato fatto molti anni fa, e credo che oggi con la guerra e le ingiustizie,
penso sia attuale se lo ritenete opportuno lo potete pubblicare nell'opuscolo.
La solidarietà che si manifesta verso tutti i prigionieri è molto importante, soprattutto in questo momento al compagno
Alfredo Cospito. Purtroppo l'Italia non ottempera alle ripetute richieste del Consiglio d'Europa, la convenzione di
Strasburgo, di introdurre una norma che preveda la revisione del 41 bis. Perché limita la libertà ed è al limite della
costituzione, come prevede anche la revisione dei processi giudicati non giusti dalla Corte di Strasburgo. Tutte le
battaglie che riguardano certi argomenti come la vivibilità dei detenuti, l'abolizione dell'ergastolo, e l'abolizione
del 41 bis sono importanti, valide e sacrosante. Quindi è importante che tutti gli obiettivi lo siano per un
miglioramento e per la libertà di tutti i carcerati. Quindi tutte le lotte sono valide e vanno sostenute da ognuno
secondo le modalità che ognuno ritiene opportune. Il pacifismo e la passività di certi movimenti e della gente ci hanno
portato ad essere mangiati dai lupi come agnellini. Sosteniamo la controinformazione, che sia di sostegno all'azione
diretta, non solo all'interno dei movimenti rivoluzionari, ma rivolta a tutti gli sfruttati. Che le parole siano sempre
supportate dall'azione, che è l'unica cosa che dà credibilità a noi e alle nostre parole. Come bene sapete e si vede
ogni giorno nelle tv e nei giornali, molta informazione in Italia non è attendibile e degna di fiducia. Sono nemici del
popolo per tutte le menzogne che dicono.
Il rivoluzionario che lotta per la libertà ha amore, la verità, il coraggio, la creatività e l'intelligenza che
qualificano l'agire di chi si ribella al potere, ci sono migliaia di libri sui mali della guerra, dell'industria,
dell'inquinamento, sulle malefatte dei governi.
Mettersi un'etichetta di qualsiasi tipo, o comunista o ambientalista non ci rende meno complici visto che la libertà non
fa parte di questo mondo. Però se guardiamo bene possiamo dire che non c'è un paese dove possiamo dire c'è libertà. La
libertà è solo di quelle persone che agiscono e lottano per essere liberi da governi torturatori. Per come funziona
questa società possiamo decidere come comportarci di fronte a leggi che altri hanno stabilito per noi e che un governo
ha imposto all'immensa maggioranza delle donne e degli uomini. Ancora prima di chiedersi allora se è giusto o meno
punire con il carcere chi trasgredisce le regole, bisogna chiedersi chi decide e come sono le regole di questa società.
Come mai le violenze peggiori, pensiamo alle guerre o alla fame imposta a milioni di persone, sono perfettamente legali?
Perché si finisce in carcere per un incidente, […], ma si fa carriera o si diventa addirittura “eroi” se si bombarda una
popolazione intera? Ho fatto più di cinquant'anni di galera e ancora non vedo nessuno spiraglio di luce, tutto quello
che presento mi viene rigettato, questo perché non voglio vendere e perdere la mia dignità. So bene che mi fanno morire
in galera, ma non cambio per nulla le mie regole di vita e il rispetto di me stesso. Vivere, combattere, gioire,
soffrire e morire alla conquista della libertà vale più della più agiata e tranquilla vita che uno sfruttato possa
desiderare. Dobbiamo essere consapevoli che non si può solo gioire perché la vita è colma di tanti aspetti, ho tante
persone alle quali vorrei dire lo schifo e gli scarti che sono stati per il male che hanno fatto, ma ho altre però, a
cui devo dire grazie, ne sono convinto, anche se spesso e volentieri mi sento solo con me stesso, mi sono vicine! È
difficile capire da quale lato sia giusto posizionare il cuore perché sarebbe attaccabile dal dolore su ogni fronte,
più passano gli anni e più aumentano le delusioni, più anni passano e più difficile è capire che parte mostrare del
proprio cuore. Più anni passano e meno lo so fare, eppure dicono che neanche il più solo dei soli è solo, ma allora
nessuno è solo!!!
Io lo dico, ma lo ridico, cerco di convincermi, lo provoco, ma credo che resterò incapace di capire e di darmi una
risposta esauriente. Continuerò a confidare nel fatto che il tempo mi aiuterà con il suo discontinuo corso e che
l'istinto mi suggerirà sempre ogni suo sentiero più nascosto! Saluti cari a tutti.

9 novembre 2023
Antonino Faro, P.le Vittime del dovere - 67039 Sulmona (L’Aquila)


Lettera dal carcere di Torino
“Una pena utile non si può scontare in un carcere che non sia adeguato. I nostri istituti, nella maggior parte dei casi,
sono sovraffollati, vecchi, hanno troppe sbarre, pochi spazi per attività responsabili. E’ compatibile tutto ciò con
l’irrogazione di una pena utile? A stabilire come debba essere un carcere è la norma. Non è la mia idea, tanto meno
quella di un politico che fa propaganda [...] io mi devo sforzare affinchè il dettato del legislatore sia attuato,
perchè una norma non attuata è la negazione dello stato. [...] non posso pretendere il rispetto delle regole, se come
stato non riesco a rispettarle”.
Citazione dal libro “Di cuore e di coraggio” di Giacinto Siciliano (direttore San Vittore)
Siamo le “ragazze di Torino”, quelle detenute, ancora nella casa circondariale di Torino!. Nonostante le perenni
emergenze del “pianeta carcere”, gli appelli di molte personalità, di avvocati, giuristi, politici e garanti la
situazione non cambia, anzi per la popolazione ristretta negli ultimi tre anni le cose sono peggiorate: lo dicono i
fatti, i numeri dei suicidi, del sovraffollamento, dei soggetti psichiatrici e degli indigenti. Peggiora perchè invece
che tendere al reinserimento la pena produce recidiva, rabbia, e ulteriore ingiustizia sociale. Per anni abbiamo
lanciato appelli, raccolte firme e portato avanti iniziative nonviolente perchè l’attenzione su questo “terzo mondo” non
calasse e soprattutto perchè venisse varata una misura deflattiva che portasse un minimo di “norma” in queste carceri,
in cui lo stato stesso non rispetta la legge. Non lo diciamo solo noi: è probabile che la voce di un gruppo di donne
“peccatrici” non smuova molto, perchè quella proposta di legge per l’aumento della liberazione anticipata di R.
Giachetti e Nessuno tocchi Caino giace nei cassetti... Lo dice persino un direttore illuminato come G. Siciliano che
questa situazione rende la pena inutile. Vorremmo spiegare a tutti i giustizialisti che la liberazione anticipata
speciale e la proposta di legge per cui continueremo ad esporci finché non sarà approvata non è un “liberi tutti”, ma un
beneficio premiale per i ristretti con buona condotta e andrebbe a migliorare in parte un sistema che è nocivo per a
società stessa e per noi... Ci chiamate e giudicate in quanto fuorilegge ma “non posso pretendere il rispetto delle
regole se come stato non riesco a rispettarle”.
Le ragazze di Torino.

Novembre 2023, lettera circolata in rete


Estate in prigione
Una cronaca delle sofferenze al Lorusso-Cotugno di Torino
Questa cronistoria è stata redatta da un’attivista del comitato Mamme in piazza per la libertà di dissenso che si occupa
della repressione poliziesca, giuridica e carceraria a Torino. Il comitato trae forza dalla rete di supporto e
comunicazione intessuta nel tempo con le donne della sezione femminile del carcere Lorusso e Cotugno. L’idea di questo
articolo è nata in seno a un gruppo di ricerca e riflessione sul carcere torinese che si riunisce presso l’Unione
Culturale Franco Antonicelli.

Prima del 2023. Il 2022 è stato l’annus horribilis per gli eventi suicidari avvenuti nelle carceri italiane:
ottantaquattro suicidi, un numero mai verificatosi prima, di cui trentotto nei mesi tra giugno e agosto. Un numero così
impressionante che il Comitato dei ministri del Consiglio d’Europa nel mese di giugno 2023 ha chiesto all’Italia “che le
linee guida già adottate e le recenti raccomandazioni del dipartimento per l’amministrazione penitenziaria siano
prontamente attuate in ogni carcere e che siano forniti finanziamenti sufficienti a tal fine e che il loro impatto sia
monitorato attentamente”. Nel carcere di Torino, durante l’estate del 2022, si tolsero la vita due detenuti e altri due
nei mesi successivi.
28 giugno 2023. Si suicida per impiccamento Graziana, una donna di cinquantadue anni prossima alla scarcerazione. La
prospettiva di essere rimessa in libertà ha scatenato in lei un’angoscia e un malessere che sono stati notati e
segnalati dalle compagne di sezione. Il suo avvocato aveva da tempo richiesto un inserimento in comunità per le
condizioni della donna e sostiene che «persone con quelle fragilità dovrebbero stare in strutture alternative al
carcere. Avevamo fatto domanda di casa famiglia ma non c’era posto». Le donne della sezione femminile hanno scritto una
lettera che viene pubblicata su alcuni quotidiani. Nonostante la lettera, la maggior parte degli articoli insiste nella
descrizione della “colpevole” e del reato commesso.
12 luglio 2023. Angelo, quarantaquattro anni, si impicca nella Sezione B dove era da poco stato trasferito dalla sezione
psichiatrica. Da febbraio era in attesa di essere collocato in una comunità esterna, anche il suo legale dichiara che
non avrebbe dovuto trovarsi in carcere. I sindacati della polizia penitenziaria iniziano a segnalare che la situazione
al Lorusso e Cotugno sta diventando sempre più pericolosa e “fuori controllo” a causa della grave carenza di organico.
17 luglio 2023. La Commissione Sanità della Regione Piemonte effettua un sopralluogo presso la casa circondariale e
incontra la direttrice e la vicedirettrice del carcere, la provveditrice del Dipartimento dell’amministrazione
penitenziaria (Dap), il garante regionale e il direttore sanitario (Asl) del presidio medico interno. La commissione
visita il Padiglione A in cui vi sono alcuni presidi sanitari tra cui “l’articolazione per l’osservazione e il
trattamento dei malati con problemi psichiatrici” e conclude che mancano almeno due medici psichiatri a tempo pieno
oltre ad una cronica carenza di personale medico e sanitario, anche a causa dell’inadeguatezza dei concorsi e degli
appalti che forniscono queste figure.
3 agosto 2023. Si dimette il direttore sanitario in seguito alle dimissioni di molti medici dal servizio presso il
carcere. I medici contestano di avere subito una serie di episodi di aggressione: “I medici aggrediti sono almeno tre
nell’ultimo periodo” segnalano i sanitari che lavorano nelle diverse sezioni. Questo il commento di M., una detenuta e
attivista: «Prima imbottiscono la gente di psicofarmaci, li fanno delirare. E poi li definiscono violenti aggressori».
M. richiama l’attenzione sull’uso, che diventa abuso e utilizzo improprio, di psicofarmaci all’interno del carcere che
si somma a tutte le altre criticità e innesca le situazioni di violenza. I sindacati di polizia chiedono che vengano
attrezzate strutture idonee ai soggetti definiti psichiatrici perché “in carcere non devono stare”.
9 agosto 2023. Decede in carcere Susan John, una donna nigeriana di quarantadue anni che si è lasciata morire per aver
rifiutato di mangiare e bere dal 22 luglio. Susan era stata rinchiusa in una cella per l’osservazione psichiatrica. Ha
rifiutato il cibo, l’acqua e le cure ed è morta ignorata. Persino le altre donne della sezione non l’avevano mai vista e
non erano a conoscenza di quello che stava succedendo in quella cella a pochi metri da loro. Inoltre nessuno aveva
informato la garante comunale per i detenuti della situazione, segnalazione che le avrebbe permesso di attivare alcune
procedure di emergenza per affrontare il caso e magari scongiurare l’esito nefasto.
10 agosto 2023. Si impicca Azzurra, ventotto anni. Azzura era stata inviata a Torino dal carcere di Genova perché lì
aveva già tentato il suicidio. Presso la prigione di Genova non ci sono celle attrezzate per l’osservazione, ovvero
dotate di videocamere per la sorveglianza ventiquattro ore su ventiquattro e prive di lenzuola e ogni forma di arredo.
Il Lorusso e Cotugno, invece, avrebbe dovuto essere idoneo ad accoglierla.
12 agosto 2023. Arriva il ministro Nordio. Davanti al Lorusso e Cotugno si installa il “circo mediatico” dei giornalisti
in attesa dell’esito della visita e delle dichiarazioni del ministro. Un iniziale silenzio accoglie il ministro mentre
incontra la direttrice, il garante regionale, la garante comunale, alcuni funzionari del Dap. Poi esplodono le proteste:
un’ora di fischi, urla e battiture. Il ministro ha visitato le celle vuote delle detenute morte, ma non ha voluto
parlare né incontrare le detenute vive: questo ha fatto scattare la contestazione che dalla sezione femminile si è
propagata a tutte le altre.
A conclusione della visita Nordio rilascia una conferenza stampa. Il ministro propone di «differenziare i detenuti e
ripensare le caserme per trovare spazi», chiarendo peraltro che non ci sono soldi da mettere su questo capitolo. E
riguardo ai suicidi dichiara: «I suicidi accadono per ragioni imperscrutabili, da pubblico ministero ne ho trattati e
non esiste mistero più insondabile della mente umana quando uno cerca soluzioni così estreme». E conclude con triste
similitudine: «In questi casi non c’è sorveglianza che tenga, persino al processo di Norimberga due imputati eccellenti
si sono suicidati nonostante avessero lo spioncino aperto ventiquattr’ore su ventiquattro».
17 agosto 2023. Tramite i colloqui con gli avvocati, C., attivista NoTav reclusa, ci informa che circa un terzo delle
donne della sezione mostra sofferenze psichiche, lenite solo dal forte uso di psicofarmaci. Psicologi e medici se ne
vedono pochissimi e non sono sufficienti.
22 agosto 2023. Tramite telefonata di C. all’avvocata viene segnalata la situazione critica di una donna reclusa a cui,
sabato sera, era stata comunicata la morte del figlio in un incidente. In seguito alla reazione di dolore della donna
viene decisa, dalla psicologa chiamata sul posto, la reclusione nella cella di “osservazione” (dotata videocamere, e
nient’altro). La donna si trova quindi in isolamento ed è lasciata sola col suo dolore. Viene riammessa in sezione la
domenica, ma nella giornata di lunedì non è ancora arrivato l’atteso provvedimento del tribunale di sorveglianza con il
permesso per lutto. La detenuta è a fine pena e ne ha senza dubbio diritto, ma pare che manchi un certificato. Viene
attivata la rete di solidarietà per far arrivare la segnalazione alla garante che passa l’intero mercoledì a dialogare
con vari livelli di potere per ottenere la firma per l’autorizzazione. Il permesso arriva solo mercoledì sera e la donna
può uscire solamente il giovedì mattina.
23 agosto 2023. L’ordine dei medici di Torino si esprime riguardo alla emergenza dei suicidi nel carcere e richiama alla
necessità di salvaguardare la salute e il benessere delle persone recluse tramite il miglioramento complessivo delle
condizioni di detenzione. L’ordine dei medici invita a “predisporre un ambiente sufficientemente sano, ossia adeguato a
mantenere la salute mentale delle persone e a non aggravare lo stato di chi già soffre di disturbi. Oltre ai requisiti
strutturali dei locali di detenzione (ampiezza sufficiente, illuminazione con luce naturale e artificiale, aerazione,
riscaldamento, dotazione di servizi igienici riservati, decenti, razionali e puliti), si raccomanda l’attenzione agli
aspetti psicologici e relazionali (come la possibilità per i detenuti di mantenere rapporti anche intimi con persone
significative, il rispetto della privacy, l’offerta di attività per impegnare il tempo)”.
30 agosto 2023. Rivolta al Padiglione C con incendio di materassi e suppellettili e distruzione delle telecamere. La
motivazione è la mancata assistenza sanitaria a un detenuto.

2 ottobre 2023, da napolimonitor.it

***
Sotto sequestro il Cpr di via Corelli a Milano
La procura di Milano ha disposto il sequestro d’urgenza del Centro di permanenza per i rimpatri (Cpr) di via Corelli, a
Milano, e dell’ente gestore Martinina Srl. I pm Paolo Storari e Giovanna Cavalleri hanno preso controllo della struttura
in attesa dell’eventuale convalida del Gip e la nomina di amministratore giudiziario.
La struttura era stata ispezionata dalle fiamme gialle lo scorso primo dicembre. Nelle carte dell’inchiesta si parla di
trattamenti disumani, cibo scadente, abuso di farmaci, assistenza sanitaria negata. A far esplodere la vicenda gli
esposti dell’ex senatore Gregorio De Falco e della rete Mai più Cpr.
Dalle indagini dei Pm, già rese note lo scorso 1 dicembre, emerge quanto denunciato da anni dalle associazioni e dalla
Rete No Cpr – Mai più lager: i migranti sono detenuti all’interno della struttura in condizioni disumane tra la
somministrazione costante e indiscriminata di psicofarmaci, anche senza necessità terapeutiche, le condizioni igieniche
di bagni e camerate definite “vergognose” dall’infettivologo e consulente della Procura Nicola Cocco, e il cibo avariato
servito ai reclusi.
Rispetto al tema della somministrazione di psicofarmaci, Nicola Cocco ha spiegato che “mentre circa il 40% dei detenuti
prende psicofarmaci nelle carceri milanesi, all’interno del Cpr di via Corelli questa percentuale raddoppiava arrivando
al 70%”.
“Non siamo stupiti che il rinnovo fosse già stato previsto, ma siamo preoccupati”, afferma Riccardo Tromba, Presidente
del Naga di Milano. “La Prefettura conosceva da tempo le condizioni formali e materiali di gestione del CPR e questo non
ha impedito di autorizzare il rinnovo come se nulla fosse. Ci rallegriamo che, come il Naga, anche la Magistratura
ritenga la scelta decisamente inopportuna. Il sequestro del resto era già stato richiesto nel 2021 con azione
giudiziaria a seguito del primo accesso al CPR dell’allora senatore Gregorio De Falco: i fatti ci danno ragione.
Attendiamo gli sviluppi e ci rivolgiamo alla Prefettura per chiederle nuovamente di procedere alla chiusura della
struttura, unica vera soluzione possibile”, aggiunge Tromba.

14 dicembre 2023, da osservatoriorepressione.info


Sgomberi a catena dal Sud al Nord Italia
La mattina del 5 dicembre lo sgombero dello studentato 95100 e del consultorio autogestito Mi cuerpo es mio di Catania
ha colto in maniera inaspettata i compagni e le compagne che fanno parte di queste esperienze. Lo studentato, occupato
dal 2018 in risposta alla mancanza di assegnazioni degli alloggi e delle borse di studio a studenti e studentesse
universitarie per insufficienza di fondi regionali, ha rappresentato in questi anni un punto di riferimento per le
giovani e i giovani della città, per chi ha esigenze che vengono avversate quotidianamente dalle condizioni di
performatività e carrieristiche che impone l’università. Uno spazio di incontro e confronto, che ha ospitato moltissime
iniziative così come variegate realtà sociali e collettive. Tra i vari progetti quello del consultorio autogestito e del
poliambulatorio sono stati una risposta reale all’esigenza di moltissime donne che non trovando ascolto né supporto
all’interno dei canali tradizionali, hanno trovato in questo spazio figure professionali come psicologhe, mediche,
assistenti sociali, educatrici disponibili a seguirle. La chiusura di un’esperienza come questa all’indomani di un 25
novembre celebrato da ogni parte mostra tutta l’ipocrisia del potere e delle sue articolazioni, rendendo conto della
strumentalità da parte delle istituzioni, dei partiti politici e dei canali di informazione.
La mattina del giorno dopo a Bologna sono stati eseguiti ben due sgomberi contemporaneamente. Il condominio sociale di
via Corticella che accoglie diverse famiglie e bambini in difficoltà abitativa e la Glitchousing di via Filopanti,
studentato occupato da qualche mese. Le famiglie stanno ancora resistendo all’interno dello stabile e all’esterno il
presidio è permanente. Queste realtà si inseriscono in un progetto più ampio di contrasto a una crisi diffusa nel
settore abitativo nella città che dal 2008 in avanti ha visto un costante aumento dei prezzi, l’esclusione di fasce
sempre più ampie di popolazione dall’accesso alla casa e la loro messa ai margini. La pratica della cooperazione per
l’autorecupero degli alloggi sfitti, le resistenze agli sfratti, le forme di mutualismo sono ciò che hanno
contraddistinto questo percorso.
Anche a Monza, la stessa mattina è avvenuto un ulteriore sgombero del Foa Boccaccio che aveva ritrovato casa proprio
poche settimane fa e che rilancia con il corteo già previsto per sabato 9 dicembre per le vie della città.
Non può che venire alla mente la circolare di questa estate del Ministro Piantedosi che metteva nero su bianco l’elenco
delle occupazioni da sgomberare, dando direttiva alle prefetture di intervenire. In questo senso le operazioni di ieri e
di oggi sembrano direttamente coordinate dal ministero. Questo governo sta giocando le sue carte migliori per sferrare
attacchi nei confronti della componente che occupa il gradino più in basso nella scala sociale, sperando di cavarsela
con qualche dichiarazione antimigranti qua e là, vorrebbe nascondere i suoi reali interessi che per nulla si discostano
dal trend iniziato con il governo Draghi, e che sono quindi totalmente nemici. Dopo aver chiuso una manovra di bilancio
senza fondi, colpito l’età e i contributi alle pensioni, cancellato il reddito di cittadinanza, rifiutato la mediazione
sul salario minimo, accelerato l’autonomia differenziata, ridotto i finanziamenti per la sanità pubblica, indirizzato le
poche risorse nel riarmo per una guerra in cui non si riconosce nessuno, il governo poggia su piedi d’argilla.
L’elettorato di Meloni è già approdato a una nuova tappa di stanchezza e sfiducia, il suo consenso è minato alla base
per le implicazioni sociali del suo misero operato.
Sgomberare luoghi di aggregazione, di mutuo aiuto, di riferimento in quartieri difficili, senza risorse, abbandonati,
rientra in questo quadro, andando a colpire laddove i nervi sono già scoperti con ben poca lungimiranza. Oppure pensando
che tanto basterà varare qualche nuova legge repressiva, punitiva e che prevede il carcere come l’unica via per
eliminare il problema alla radice. Gli elementi di discontinuità che il governo vorrebbe strumentalmente utilizzare per
dare soddisfazione al proprio elettorato rimangono nell’ambito della propaganda e dell’immaginario, ma di propaganda e
immaginario non si pagano le bollette, né l’affitto, né si accede alle cure mediche che dovrebbero essere garantite.
D’altro canto, addirittura la virata in corner per evitare il rischio di una figura vergognosa anche per gli stomaci più
forti, a seguito dell’ondata di indignazione e rabbia scatenata dal femminicidio di Giulia Cecchettin, rientra
nell’incapacità del governo di sapersi muovere con lucidità. L’assist del PD ha fatto il resto per poter riconquistare
uno spazio mediatico e ripulirsi la faccia a vicenda.
E’ importante fermarsi a riflettere collettivamente sul significato degli avvenimenti di questi giorni e considerarli
all’interno di una cornice più ampia. In una fase in cui gli spazi di agibilità si restringono facendo delle occupazioni
uno strumento sempre meno praticabile o poco determinante, occorre riflettere sulle mosse della controparte atte a “fare
perdere tempo” e distogliere dagli obiettivi prioritari le forze militanti in campo sul territorio a livello generale.
Se in questo frangente gli sgomberi di ieri e di oggi vogliono spingere sul terreno della difensiva, sta a noi spostarlo
su un piano di attacco chiaro e fermo nei confronti di chi oggi ci governa rappresentando un sentimento comune di
insoddisfazione e sfinimento che deve essere tradotto in un’ostilità verso l’alto.

6 dicembre 2023, da infoaut.org


sul nuovo “pacchetto sicurezza”
Il 16 novembre 2023 il Consiglio dei ministri ha approvato il “pacchetto sicurezza”.
Un provvedimento che, ancora una volta, prevede la creazione di nuove fattispecie di reati nonché l’aumento
significativo di sanzioni penali e pecuniarie per diverse fattispecie di reati. Si tratta di una misura stimata un
miliardo e mezzo all’interno della legge di bilancio per i rinnovi contrattuali del comparto Sicurezza e Difesa.
A giudicare dalla tipologia di reati, quello che emerge è anche l’inasprimento differenziato delle pene a tutte quelle
pratiche che si possono ricondurre a quei soggetti che lo Stato vuole criminalizzare. In poche parole, osservando il
disegno di legge si intravedono i nuovi nemici pubblici contro cui lo stato vuole stringere la corda.
Dal fronte istituzionale e associativo 29 Garanti regionali, provinciali e comunali delle persone private della libertà
personale hanno sottoscritto un documento critico, diffuso dal portavoce della Conferenza territoriale Samuele
Ciambriello il 20 di novembre.
Il giorno dopo, l’Unione Camere Penali Italiane ha proclamato lo stato di agitazione e chiesto un incontro al ministro
della Giustizia Carlo Nordio. Infine il 12 dicembre diverse organizzazioni della società civile impegnate per la
promozione del rispetto dei diritti umani hanno lanciato un appello urgente affinché il Parlamento non adotti il
pacchetto, ad oggi tuttavia non sono proposte modifiche ai seguenti ambiti di intervento previsti:
1. Prevenzione e il contrasto del terrorismo e della criminalità organizzata, beni sequestrati e confiscati, controlli
di polizia.
2. Sicurezza urbana; tutela del personale delle forze di polizia, delle forze armate e del corpo nazionale dei vigili
del fuoco.
3. Tutela delle vittime di usura.
4. Ordinamento penitenziario. Riportiamo alcune delle novità che abbiamo ritenuto rilevanti. Si introduce il reato di
“detenzione di materiale con finalità di terrorismo” che punisce, con la reclusione da due a sei anni, chiunque si
procura o detiene materiale finalizzato a preparare atti di terrorismo e si prevede la reclusione da sei mesi a quattro
anni per chi distribuisce, diffonde o pubblicizza materiale contenente istruzioni per la preparazione e l’utilizzo di
materie esplodenti, al fine di attentare all’incolumità pubblica.
Nel pacchetto trova posto anche un articolo che rafforza le prerogative dell'intelligence. In particolare - si legge in
una bozza del provvedimento - saranno coperti da garanzie funzionali (cioè non saranno punibili per i reati che
commettono) gli infiltrati dell'intelligence (o loro fonti) al vertice di organizzazioni terroristiche. Questo perché
informazioni come la pianificazione di un attentato, ad esempio, possono essere acquisite solo da esponenti di vertice
del gruppo terroristico. Si consente poi agli 007 di deporre "in ogni stato e grado del procedimento" utilizzando
generalità di copertura, quando sia necessario per mantenerne segreta la reale identità nell'interesse della sicurezza
della Repubblica o per tutelarne l'incolumità.
È introdotto un aggravamento di pena nei casi in cui i reati di violenza, minaccia o resistenza a un pubblico ufficiale
siano commessi contro agenti di pubblica sicurezza o di polizia giudiziaria. Previsto anche un aggravamento di pena per
le lesioni cagionate nei loro confronti. È aumentata la pena per chi imbratta beni mobili o immobili in uso alle Forze
di polizia o ad altri soggetti pubblici, se il fatto è commesso con la finalità di ledere il prestigio o il decoro
dell’istituzione. Inoltre, gli agenti di pubblica sicurezza, già autorizzati al porto di un’arma da fuoco di servizio,
possono detenere un’arma da fuoco privata, diversa da quella di ordinanza, senza ulteriore licenza.
Viene introdotto un nuovo reato che punisce chi organizza o partecipa ad una rivolta in un carcere con atti di violenza,
minaccia o con altre condotte pericolose. La pena è da 2 a 8 anni per chi organizza la rivolta e da 1 a 5 anni per chi
partecipa. Sono previste apposite aggravanti, fino a dieci anni, nel caso di uso di armi. Un’ulteriore fattispecie di
reato punisce chi istiga la rivolta, anche dall’esterno del carcere, con scritti diretti ai detenuti e la stessa misura
anche se le rivolte avvengono nei Cpr. A questo proposito si inseriscono, tra i reati “ostativi”, le fattispecie già
esistenti di “istigazione a disobbedire alle leggi” e di “rivolta in istituto penitenziario”. In questi casi, per
concedere benefici penitenziari, il magistrato di sorveglianza dovrà valutare la positiva partecipazione al programma di
riabilitazione specifica previsto per il detenuto.
È introdotto un nuovo delitto, perseguibile a querela della persona offesa, che punisce con la reclusione da 2 a 7 anni
chi, con violenza o minaccia, occupa o detiene senza titolo un immobile altrui, o comunque impedisce il rientro
nell’immobile del proprietario o di colui che lo deteneva. Per rendere più efficace questa norma vengono introdotte due
misure molto innovative. La prima: è prevista una causa di non punibilità per l’occupante che collabora all’accertamento
dei fatti e rilascia volontariamente l’immobile occupato; la seconda: viene disciplinato un apposito procedimento, molto
veloce, per ottenere la liberazione dell’immobile e la sua restituzione a chi ne ha diritto. In via ordinaria su questo
provvederà il giudice, ma nei casi urgenti, in cui l’immobile occupato sia ad esempio l’unica abitazione della persona
offesa, è prevista la possibilità che la liberazione/restituzione dell’immobile sia effettuata direttamente dalle forze
di polizia che hanno ricevuto la denuncia, fermo l’intervento successivo di convalida del pubblico ministero e del
giudice.
Il Questore potrà disporre il divieto di accesso nelle metropolitane, nelle stazioni ferroviarie e nei porti per chi è
già stato denunciato o condannato per furto, rapina o altri reati contro il patrimonio o la persona commessi in quei
luoghi. Inoltre, nei processi penali per tali reati compiuti nelle metropolitane e nelle altre aree del trasporto
pubblico, il giudice, ove la legge consenta la sospensione condizionale della pena, dovrà comunque prevedere il divieto
di accesso a tali luoghi.
Si introduce, inoltre, una norma per sanzionare chi impiega minori nell’accattonaggio. Alle norme già previste per
punire chi organizza o favorisce quest’attività si aggiunge una specifica norma per punire chi induce all’accattonaggio
un minore di 16 anni invece di mandarlo a scuola o lo costringe con la violenza o la minaccia.
Nel pacchetto c’è anche una norma che consente di revocare più facilmente la cittadinanza italiana agli immigrati che
commettono reati. Finora era possibile entro tre anni, adesso il periodo è stato esteso a 10 anni.
È Previsto un regime più articolato per l’esecuzione della pena per le donne condannate quando sono in stato di
gravidanza o sono madri di figli fino a tre anni. Non è più obbligatorio il rinvio dell’esecuzione della pena, ma è
mantenuta tale facoltà in presenza dei requisiti di legge. Tra gli elementi che possono influire nella valutazione del
giudice ci sarà, per esempio, la recidiva. È stata poi prevista la possibilità che la pena sia scontata presso gli
istituti a custodia attenuata per detenute madri, fermo restando il divieto del carcere per le donne incinte e le madri
dei bambini più piccoli (fino a un anno di età).
Il disegno di legge del Governo interviene anche sul fronte dei blocchi stradali. Ora la norma punisce con una sanzione
amministrativa chiunque impedisce la libera circolazione su strada ordinaria, ostruendo la stessa con il proprio corpo.
Il provvedimento approvato stabilisce che questa fattispecie diventi reato nel momento in cui risulti particolarmente
offensiva ed allarmante, sia per la presenza di più persone sia per il fatto che sia stata promossa e organizzata
preventivamente. Si estende anche la possibilità di disporre il cosiddetto “DASPO urbano”, previsto per le
manifestazioni sportive, anche per vietare l’accesso alle aree di infrastrutture e pertinenze del trasporto pubblico ai
soggetti denunciati o condannati per reati contro la persona o il patrimonio.
Le pochissime misure migliorative, come solitamente capita sono garantite solo all’interno di una logica premiale come
si è visto per gli occupanti di case o nell’aumento da 4-5 a 6 il numero di telefonate per i detenuti (al di fuori di
una disciplina premiale lasciata alla discrezione delle direzioni degli istituti) e una delega al governo a riformulare
il Regolamento penitenziario in materia di lavoro.
Nonostante si viva in un periodo storico in cui, secondo quanto affermato dal Primo Presidente della Corte di Cassazione
all’inizio del 2023, l’Italia registra una costante diminuzione di reati, il pacchetto sicurezza non fa che perpetrare
quelle politiche repressive care tanto alla destra quanto alla sinistra (si ricordino i pacchetti sicurezza di Minniti).
La propaganda populista con il presente governo è semplicemente più plateale, vuole la creazione di nemici da cui la
società deve essere protetta e attraverso questo disegno di legge ci presenta in qualche modo quali sono queste
soggettività: i presunti terroristi (di qualunque idea politica, religiosa o altro), i rivoltosi nelle carceri, nei Cpr
e i loro solidali, gli attivisti per il clima (dediti all’imbrattamento dei monumenti e al blocco stradale), gli
stranieri e in particolare le donne rom incinte e le baby gang (dediti al borseggio sui mezzi e per strada) e infine,
chi occupa le case. Sono anni che pacchetto dopo pacchetto si assiste ad una crescente criminalizzazione di tutte quelle
pratiche, definite reati, volte a titillare gli spettatori imboccati a cronaca nera e paura per trovare vecchi e nuovi
nemici da odiare e magari denunciare. A questo si aggiunge una strizzata d’occhio da milioni di euro alle forze
dell’ordine per ovviare allo stress e le carenze d’organico ricorrenti come i raffreddori di stagione. Queste riforme
non hanno mai risolto i problemi contro cui si ergono, anzi non hanno fatto altro che estendere i campi di applicabilità
degli strumenti repressivi, investendo anno dopo anno in una società più oppressa e militarizzata.
Le principali associazioni che hanno firmato l’appello contro il “pacchetto sicurezza”sono: 24marzo Onlus, A Buon
Diritto Onlus, Arcat, Archivio audiovisivo del movimento operaio e democratico, Arci aps, A Roma Insieme – Leda
Colombini ODV, Associazione Antigone, Associazione Comunità il Gabbiano odv, Associazione Comunità San Benedetto al
Porto, Associazione Luca Coscioni, Associazione per il rinnovamento della sinistra, Associazione Yairaiha ETS, CGIL, Ci
siamo anche noi, Cittadinanzattiva Aps, Coordinamento Nazionale Comunità di Accoglienza – CNCA, Conferenza Nazionale
Volontariato Giustizia, Coordinamento per la Democrazia Costituzionale, Dedalus cooperativa Sociale, Encod Italia,
Famiglie in rete, Fondazione Gruppo Abele onlus, Forum Droghe, Forum per il Diritto alla Salute, Greenpeace Italia,
Itardd aps, L’Isola di arran ODV, la Società della Ragione, la Fraternità, LILA – Lega Italiana per la Lotta contro
l’AIDS, Loscarcere Odv, Lunaria, Medicina Democratica ETS, Meglio Legale, Popolazione carceraria Patrie galere, Rete
degli Studenti Medi, Rete della Conoscenza, Ristretti Orizzonti, Sapereplurale APS Torino, Sbarre di Zucchero,
Sbilanciamoci, Società Informazione – Diritti Globali Onlus, Ufficio Garante dei detenuti Comune Livorno, Ufficio
Garante dei detenuti Comune Milano,  Filo Rosso, Unione degli Studenti, Unione degli Universitari, Università della
Strada – Gruppo Abele, Zarapoti Società Cooperativa Sociale.
Milano, dicembre 2023


Nuovo attacco nei confronti del movimento No Tav
La mattina del 21 novembre la digos di Torino si è presentata nelle case di decine di attivisti e attiviste del
movimento No Tav per notificare gli atti che riguardano il sequestro preliminare dei presidi di San Didero e dei Mulini,
oltre che di alcuni terreni circostanti. Al momento a San Didero sono stati messi i sigilli su tutte le strutture
presenti così come ai Mulini e, inoltre, è stata chiusa l’area di accesso a entrambi i presidi con reti arancioni da
cantiere. Come se non bastasse i terreni circostanti stanno venendo disboscati.
In mattinata i mezzi di lavoro hanno buttato giù il bosco antistante l’area dei Mulini, arrivando sino alla tettoia,
devastando il rudere dove c’erano reperti quali la “pesta” per la canapa e i resti della forgia e abbattuto le piante
della farfalla: un’opera di vera e propria devastazione del territorio che lascia intendere una volontà di allargamento
del cantiere di Chiomonte. Il sequestro è ora giustificazione per devastare la montagna? Sembrerebbe che il tribunale di
Torino e la questura siano stati assoldati da Telt per facilitare i lavori di allargamento del cantiere, questa volta
operando per via giudiziaria.
Secondo il solito disegno della procura di Torino i presidi sarebbero considerati delle basi operative per l’attuazione
di reati e comportamenti delittuosi ai danni dei cantieri di Telt. Già nel pieno dell’estate, a inizio agosto,
ricordiamo che i presidi vennero perquisiti da cima a fondo, evidentemente nell’ottica di andare in questa direzione.
Per fare questa operazione il pubblico ministero, un nuovo nome (ormai non sanno più dove cercare avallatori delle
ricostruzioni atte a criminalizzare il movimento) il tale Davide Pretti, fa un elenco di episodi che dovrebbero
confermare l’ipotesi di reato e dunque argomentare la necessità di disporre il sequestro dei presidi.
Gli eventi presi in considerazione riguardano le iniziative degli ultimi mesi, a partire da aprile scorso quando ci fu
la giornata per ricordare lo sgombero di San Didero dell’anno precedente, passando per le iniziative organizzate
nell’ambito dei “weekend dei Mulini” di quest’estate, che videro la partecipazione di tantissimi giovani attivi nella
difesa dell’ambiente e, arrivando infine, ai giorni del campeggio di lotta e del Festival Alta Felicità di luglio.
L’obiettivo che attanaglia le menti di questi figuri è la solita: fare la guerra a chi difende la terra e l’ambiente. Si
tratta di un attacco nei confronti del movimento tutto, alla possibilità di ritrovarsi e condividere i momenti della
lotta e della socialità collettiva, colpendo i luoghi simbolo del movimento No Tav. Serate danzanti e balli occitani,
presentazioni di libri e proiezioni di film e docufilm su svariati temi, momenti di preghiera e riflessione, lavori
collettivi, concerti, castagnate e vin brulè, apericene, pranzi e cene condivise, cacerolazo e battiture rumorose alle
reti, assemblee informative e riunioni… questo e molto altro sono i presidi No Tav di San Didero e dei Mulini. In questi
anni migliaia di persone, giovani e non, sono passate da questi Presidi nei molti appuntamenti organizzati rendendoli
luoghi di aggregazione, socialità e lotta. Con questa operazione si vuole evitare che dei cittadini/e si incontrino
anche solo per mangiare insieme un pasto caldo o c’è altro dietro? Pensano di intimorirci, ma così facendo alimentano
soltanto la dignità di un movimento longevo e popolare che non si fermerà, già con il pensiero rivolto alle prossime
giornate dell’8 dicembre!
Ovviamente non possiamo accettare che vengano chiusi i nostri luoghi di incontro, per cui doppio appuntamento per
quest’oggi: alle 17.00 ritroviamoci a Venaus per andare ai Mulini che da questa mattina sono oggetto di devastazione e
distruzione e, questa sera, ci vedremo alle 20.00 sul piazzale di San Didero per dare insieme una prima risposta
collettiva, perché il movimento no tav non si può estirpare ma cresce e si diffonde ogni giorno di più!
21 novembre 2023, da notav.info

***
8 dicembre 2023 – In 10mila di nuovo in marcia contro il Tav!
Una grande marcia popolare ha attraversato oggi le strade della valle. 10mila No Tav, partiti da Susa, hanno riempito la
statale per raggiungere Venaus dopo 18 anni dalla battaglia che ci ha permesso di riconquistare quelle terre che oggi
ospitano il presidio.
Tante le voci che hanno fatto vivere il corteo. Grida di solidarietà e vicinanza con il popolo palestinese e tutte le
popolazioni oppresse e racconti delle molte esperienze di lotta italiane e transfrontaliere hanno accompagnato i No Tav
fino a Venaus in questa giornata di memoria e lotta. La Val di Susa risponde anche così al tentativo della questura di
chiudere i presidi di San Didero e dei Mulini, tutti in piazza nonostante la neve e il freddo aprendo con una grande
manifestazione popolare un weekend di lotta per ricordare le giornate del 2005 ribadendo ancora una volta che l’8
dicembre non è solo memoria ma pratica di lotta quotidiana.
Da giovedì 7/12 i No Tav hanno istituito una TEZ (zona ecologista temporanea) all’interno dell’ex fabbrica Roatta di
Bruzolo, a fronte dei sigilli posti che ci impediscono di vivere la nostra socialità nei luoghi da noi costruiti.
Un’occupazione che funge da posto di incontro per tutti e tutte quelli/e che in questi giorni hanno deciso di venire in
Val di Susa per appoggiare e vivere la nostra lotta e per creare quei momenti di confronto con le persone di valle che
attraversano questo posto liberato.
Oggi con noi abbiamo ritrovato alcuni/e compagne/i che da molto tempo si trovavano agli arresti domiciliari, felici di
camminare di nuovo insieme sulle nostre montagne rimandiamo il nostro invito a partecipare alle tante iniziative dei
prossimi giorni. I sigilli e ogni tentativo di fermarci di questura e procura non ci spaventano, sempre ai nostri posti
ci troverete! Ci vediamo domani sui sentieri e nelle piazze, avanti No Tav!

8 dicembre 2023, da notav.info


APPELLO PER UN CORTEO NAZIONALE ANTIFASCISTA A MILANO
Di seguito pubblichiamo l’appello di un'assemblea eterogenea di compagnx di Milano e Provincia che si trova per
organizzare la solidarietà verso gli/le indagate per i fatti accaduti a Budapest nel febbraio 2023 nel contesto della
mobilitazione dei neonazisti per il "Giorno dell'onore". Dall'11 febbraio a oggi ci sono una compagna e un compagno
detenutx nelle carceri della capitale ungherese. Nel contesto della stessa operazione repressiva sono stati emessi 14
Mandati d’Arresto Europeo (M.A.E.) verso compagnx di diversi paesi, uno ha raggiunto in Italia il 21 novembre un
compagno di Milano che si trova ai domiciliari con tutte le restrizioni e un altro ha raggiunto negli scorsi giorni un
compagnx tedescx. Altrx compagnx sono tuttora latitanti.
Crediamo che la solidarietà trasversale e internazionale verso ogni pratica antifascista sia fondamentale, specialmente
in un periodo come quello attuale, nel quale assistiamo al rafforzamento dei gruppi e partiti di destra in tutta Europa
e ad una ondata repressiva che sta colpendo i/le compagnx in ogni paese e movimento. Perciò l’assemblea ha deciso di
chiamare un corteo nazionale a Milano il 13 gennaio, un corteo comunicativo che vuole portare in strada la solidarietà e
vicinanza a tuttx i/le compagnx colpiti dalla repressione e la determinazione a non lasciare nessunx indietro.
Il 29 gennaio si terrà la prima udienza del processo per i/le imputatx della prima ondata di arresti, e nei prossimi
mesi ci saranno molteplici occasioni per mobilitarci e confrontarci sia a Milano che a livello nazionale e
internazionale.

Oltre al sempre più evidente inasprimento di politiche securitarie, misure di segregazione ed esclusione, meccanismi di
controllo della popolazione, che negli ultimi decenni stanno caratterizzando la gestione del territorio definito Europa,
assistiamo contestualmente al rafforzamento di posizioni di estrema destra. Gruppi neonazisti e neofascisti organizzati
e con ampi margini di agibilità, fuori e dentro le istituzioni, proliferano sempre più. Decenni di profonde crisi
economiche e sociali, oltre ad aver messo in ginocchio la parte più povera e vulnerabilie della popolazione, hanno
creato un terreno assai fertile alla propaganda di idee populiste, identitarie e fortemente reazionarie. Diverse forze
politiche, più o meno istituzionali, stanno in questi anni raccogliendo i risultati di questa propaganda: dalla crescita
del consenso registrata dai maggiori partiti di destra europei, come il Rassemblement National, la Lega e Fratelli
d'Italia, l'AfD e Vox fino al successo delle manifestazioni di piazza fomentate dai fascisti. Il movimento per
l'indipendenza della Macedonia in Grecia, l'infiltrazione dei fascisti in diverse piazze contro le restrizioni Covid-19,
i recenti disordini in Spagna contro l'amnistia per i separatisti catalani o gli scontri razzisti scoppiati a Dublino
sono solo alcuni degli esempi che ci vengono in mente. In questo contesto di oppressione sempre più esplicita e invasiva
e di brusco riassestamento del capitalismo globale, chi si organizza per resistere e combattere la violenza degli Stati,
del capitale e quella dei loro cani da guardia di estrema destra si trova di fronte a una repressione sempre più estesa
e aggressiva. In tempi cupi come quelli che viviamo, in cui i venti di guerra fischiano sempre più forti alle nostre
orecchie, la repressione del nemico interno e la pacificazione sociale si manifestano come priorità di tutti i governi
nazionali. In questo quadro generale, mentre l'Unione Europea sta valutando la possibilità di inserire i gruppi
antifascisti nell'elenco di quelli indicati come terroristi, due compagni si trovano da febbraio 2023 in carcere in
Ungheria. Entrambi sono coinvolti in un'inchiesta della polizia ungherese per degli attacchi subiti da alcuni neonazisti
giunti a Budapest da tutta Europa durante il weekend del "Giorno dell'Onore". Ricorrenza in cui i nazisti commemorano
l'annientamento della Wehrmacht tedesca avvenuto l'11 febbraio del '45 da parte dall'Armata Rossa durante l'assedio di
Budapest. Il castello accusatorio dei procuratori magiari non si limita però ai fatti accaduti a Budapest né ai giorni
della commemorazione: nell'ambito di una sempre più fitta collaborazione tra Stati e polizie Europee, il tentativo degli
inquirenti è quello di collegare le azioni avvenute in Ungheria ad un ben più ampio procedimento aperto in Germania a
partire dal 2018: la cosiddetta inchiesta "AntifaOst" che vede imputati numerosi compagni e compagne tedesche accusate
di aggressioni ai danni di esponenti di spicco del mondo neonazista tedesco. Il tentativo è quello di affermare
l'esistenza di una fantomatica associazione criminale che avrebbe organizzato gli attacchi avvenuti in Ungheria. Per
questo motivo oltre a Ilaria e Tobias, detenuti a Budapest, la procura ungherese ha chiesto di spiccare 14 M.A.E. nei
confronti di altrettanti compagni tedeschi, italiani, albanesi e siriani. Molti di loro ad oggi non sono stati trovati.
Gabriele, un compagno di Milano, si trova, invece, agli arresti domiciliari con tutte le restrizioni dal 22 novembre, a
seguito dell'esecuzione di uno di questi M.A.E. L'iter processuale che deciderà sulla sua estradizione dall'Italia
all'Ungheria si concluderà verosimilmente nel mese di gennaio 2024, mese in cui a Budapest inizierà il processo contro
Ilaria, Tobias e una terza compagna imputata insieme a loro. Sono accusati a vario titolo di aver preso parte agli
attacchi e di essere membri o conoscere la supposta associazione che li avrebbe organizzati.
Il 13 gennaio scenderemo in strada non solo per esprimere in maniera netta la nostrasolidarietà e vicinanza ai
prigionieri di Budapest così come a Gabriele e ai compagni chesono ricercati; vogliamo anche ribadire chiaramente che
abbiamo scelto da che parte stare. Abbiamo scelto di non delegare la lotta contro fascisti e nazisti a quegli apparati
istituzionali democratici che non fanno altro che difenderli e legittimarli in nome di una millantata "libertà
d'espressione". Siamo convinti che i fascisti vadano combattuti in maniera diretta, in questo momento storico più che
mai. Rivendichiamo le pratiche militanti e crediamo necessario attuarle ad ogni latitudine per fermare i gruppi nazisti.
Anche nelle città italiane, se pur in maniera meno violenta che in altri contesti europei, i fascisti sono presenti e
provano ad alzare la testa. Questi servi del capitale, finti ribelli utili solo a mantenere l'attuale l'ordine sociale,
vanno fermati sul nascere! Ogni giorno nelle nostre lotte, nei nostri percorsi, scegliamo di stare con chi si oppone ai
padroni, chi è sfruttato, chi subisce la repressione, chi resiste alle guerre imperialiste e decide di rispondere, con
chi non delega la propria libertà. Scegliamo di schierarci contro i confini, che vengono controllati militarmente e
chiusi impedendo a chi fugge dalla miseria di trovare un luogo più sicuro e di fatto mettendo a rischio la loro vita.
Gli stessi confini che quotidianamente uccidono chi emigra sono, da sempre, terreno di repressione politica e controllo
capillare del territorio. Di recente si sono affinati strumenti amministrativi, più veloci e, nella forma,
“spoliticizzati”. Per fare solo qualche esempio, pensiamo ai compagni italiani trattenuti a Parigi e rimpatriati i primi
di giugno in occasione della commemorazione di Clement Meric, o alle decine di compagni e compagne bloccate in frontiera
con un'interdizione ad entrare nel territorio francese per la manifestazione No Tav in Val Maurienne a fine giugno, o
ancora alle interdizioni apparentemente "a vita" di entrare in Francia notificate in seguito alla grande giornata di
lotta contro il mega bacino di Saint Soline del 25 marzo. Se da una parte questi esempi ci mostrano un controllo del
dissenso politico sempre più pesante e una collaborazione tra polizie Europee molto stretta, contestualmente assistiamo
ad un utilizzo di strumenti come i M.A.E. sempre più spregiudicato ed "efficace". Non ci faremo piegare dalla
repressione, e non rinunceremo a spostarci in contesti di lotta anche lontani da dove stiamo tutti i giorni. Siamo per
l'agire in prima persona, non delegando le nostre lotte alle istituzioni e allo Stato che accolgono tutto ciò che
rientra nel loro canone di democrazia e pacificazione tentando di ripulirsi la faccia con belle parole che solo parole
rimangono.
È possibile un mondo libero da fascismi e fascisti, sta a noi costruirlo. LIBERTA PER ILARIA, TOBIAS E GABRIELE!
SOLIDARIETÀ AI COMPAGNI E ALLE COMPAGNE INQUISITE E LATITANTI! LIBERTÀ PER TUTTI E TUTTE!
Compagni e compagne di Milano


RIPARTITI I LICENZIAMENTI IN GKN: “SCEGLIAMO DI NON CADERE”
Appello ai gruppi di supporto, movimento sindacale, realtà solidali, artiste/i, intellettuali.
In Gkn sono ripartiti i licenziamenti. Ad oggi saranno definitivi il primo gennaio 2024.
L’assemblea permanente per due anni e mezzo non si è piegata. Verrebbe soppressa per licenziamento. Non abbiamo modo di
ricapitolare qua tutti i passaggi della nostra lotta, tutti i trucchi e inganni messi in campo contro di noi. Ci
limitiamo a dire questo: avevamo chiaro quale fosse il loro calcolo. Ma non abbiamo avuto la forza di impedirlo. Avevamo
e abbiamo ragione, che è la base della forza. Ma non è la forza in sé.
Due anni e mezzo si sono rivelati un tempo lunghissimo per una assemblea permanente, brevissimo per cambiare un intero
sistema.
Né abbiamo tempo e modo di entrare qua nel potenziale intreccio di interessi tra il vecchio fondo speculativo, nuova
proprietà e probabilmente un pezzo di politica.
Basti dire questo: da anni sul sito di Gkn Firenze manca un piano industriale e ad oggi nessuno sa cosa si vuole fare
degli 80mila metri quadri di area dello stabilimento.
L’ora dei nostri licenziamenti – che abbiamo chiamato ora x – sopprime definitivamente una storia sindacale e
industriale per dare vita a una operazione immobiliare. E’ il completamento definitivo della delocalizzazione.
Qualcosa che diventa ancora più intollerabile in un territorio che è stato appena alluvionato. Forse se qua ci fosse
stato il verde, come prima della costruzione di questa fabbrica e di tanti altri capannoni, l’acqua esondata si sarebbe
sfogata nei campi. Il verde non c’è più in nome del “lavoro”. Il lavoro ora ci viene tolto. Rimangono le ferite, le case
esondate, il dover accettare ogni volta un lavoro sempre più precario e povero.
Abbiamo un progetto industriale, elaborato faticosamente dal basso.
Ma senza un intervento pubblico, diretto ad esempio a rilevare lo stabilimento e a metterlo a disposizione della
progettualità sociale e operaia, tale progetto rischia semplicemente di evaporare.
Gkn – con i suoi 422 posti di lavoro bruciati – non è più importante: ad esempio, dei 3 milioni di precari o dei 5,8
milioni di poveri assoluti. Del dedicare il proprio tempo e sforzi a fermare l’escalation bellica mondiale, il massacro
a Gaza, o a gridare che “se sarò io, voglio essere l’ultima”.
Eppure, nostro malgrado, siamo un caso “esemplare”. Esempio del fatto che “loro” in un modo o nell’altro vincono sempre.
O del fatto che “noi” possiamo concepire e praticare un’alternativa.
Sia come sia, arrivati fin qua, abbiamo il dovere morale di tentare tutto il possibile. Hanno scelto non a caso chel’ora
x sia il primo gennaio. Dicembre sarà un mese di convergenza crescente. Organizzeremo momenti di lotta e un nuovo
Insorgiamo tour.
Ma siamo comunque chiamati a a tentare la mobilitazione impossibile il 31 dicembre.
Nel tempo che dovrebbe essere della spensieratezza, del riposo o di eventi ludici.
Anche se i licenziamenti fossero ritirati (o più banalmente rinviati), lo scopriremmo troppo a ridosso del 31. Per cui,
qualcosa in un modo o nell’altro, quel giorno, dovrà accadere, dovremo tentare.
Chiamiamo a un evento senza precedenti attorno alla fabbrica, ad abbracciare la fabbrica. Un evento che sia tutto:
promessa di riscossa, concerto, veglia, testimonianza, interventi, rabbia, analisi. Il nostro tempo è poco e sta
scadendo. Vi chiediamo di rispondere a questo appello a noi direttamente, sui vostri social, invitando ad essere qua il
31, ad essere qua se potrete. Spingiamo. Proviamo l’ultima spallata, l’ultima resistenza.
Facciamoci un favore: scegliamo di non cadere.
Perché non sia solo il nuovo anno, ma un anno nuovo.

Collettivo di Fabbrica – Lavoratori GKN Firenze
dicembre 2023, da FB coordinamentogknfirenze