indice n.154

Contro le esercitazioni militari in Sardegna
La guerra un “servizio pubblico”? No Muos a Processo
Le truppe europee: via dal Mali ma non dal Niger
scuole armate
la sovranità (del business) della scienza sopra di tutto
CRONACHE MARSIGLIESI
Immigrazione e C.P.R.
Lettera dal carcere di ferrara
LETTERA DAL CARCERE DI milano-OPERA
Lettere dal carcere di Napoli-Secondigliano
lettere dal carcere di san michele (al)
Lettera dal carcere di Sulmona (Aq)
Lettera dal carcere di Roma-Rebibbia
Lettere dal carcere di Massama (OR)
Lettera dal carcere di Vigevano
lettera dal carcere di spini di gardolo (tn)
Aggiornamenti sullo sciopero della fame di Alfredo Cospito
È morto Khader Adnan, prigioniero in sciopero della fame
Lettera dal carcere di Genova
Lettera dal carcere di Viterbo


Contro le esercitazioni militari in Sardegna
Le esercitazioni militari della Nato previste per il 2023 in Sardegna sono numerose. L’esercitazione “Noble Jump” si
concluderà con un “Demonstration Day” a metà maggio che vede in campo le potenze alleate Nato per testare la prontezza
di combattimento in un possibile scenario di guerra. Gli eserciti di Germania, Norvegia, Paesi Bassi, Repubblica Ceca e
Lussemburgo affiancheranno quello italiano. L’8 maggio avrà inizio la Joint Stars, l’esercitazione interforze più
importante della Difesa, che coinvolgerà oltre 4.000 militari e circa 900 mezzi militari tra terresti, aerei e navali,
pianificata dal Comando operativo per simulare operazioni di difesa degli spazi, nella sicurezza cibernetica e spaziale,
di difesa Nbcr, un gruppo specializzato dei Vigili del fuoco che viene chiamato a intervenire in situazioni eccezionali.
Il 28 aprile è terminata anche l’esercitazione “Mare Aperto” con circa 6.000 militari e civili di università e centri di
ricerca. Gli indipendentisti sardi, antimilitaristi e ambientalisti si organizzano per dire ancora “no” alle
esercitazioni e alla militarizzazioni della Sardegna: oltre 10.000 militari coinvolti, 22 giorni di operazioni, oltre 20
Paesi e più di 40 mezzi militari - tra navi e sommergibili lungo le coste - e centinaia di mezzi terresti come i famosi
carri armati Leopard 2 voluti da Kiev e per chiedere la chiusura e riconversione dei poligoni militari.

La guerra in casa: Cagliari parcheggio dei militari
Da diversi giorni il Porto Canale di Cagliari è occupato da diverse navi portaerei e altre a uso bellico in generale.
Chi si avventura lungo viale Calamosca può vedere i militari dell'esercito addestrarsi sui colli che compongono la Sella
del Diavolo.
Siamo entrati in oltre 45 giorni di fuoco, pallottole, benzina e odore di bruciato che insudiceranno la nostra terra:
come avevamo preannunciato, sono iniziate tre operazioni militari che vedranno le forze NATO e l'Esercito Italiano
scorrazzare ancora sulla nostra terra. Stiamo parlando di Mare Aperto, Noble Jump e Joint Stars. Viene così a cadere
definitivamente la grande menzogna per la quale Cagliari è stata opposta, nel discorso della classe politica, al resto
della Sardegna: l'occupazione militare avrebbe riguardato solo il resto dell'Isola, mentre il capoluogo avrebbe potuto
"beneficiare" delle ingombranti presenze. Presenze che oggi chiedono il conto portando la guerra in casa nostra.
Cagliari si schiera decisamente contro ogni guerra imperialista, sabotando la macchina militare e negando ospitalità a
chi massacra le genti e distrugge le terre.
Davanti al sopruso e alla prepotenza degli apparati militari che la fanno da padroni nella nostra terra, non possiamo
cedere alla paura e alla rassegnazione. Nonostante la propaganda, i processi e il terrorismo messi in campo dallo stato
italiano, la lotta contro le basi militari non si fermerà.
A Foras aderisce alla manifestazione contro la base di Decimomannu del 28 Aprile.
Vi invitiamo a partecipare alla manifestazione che si terrà a Decimomannu. Sa Die de sa Sardigna sarà una giornata di
lotta, per liberare la nostra terra dall'oppressione militare italiana e Nato.
***
Comunicato dopo il corteo del 28 aprile quando si sono registrati momenti di tensione tra attivisti e forze dell’ordine
per un corteo organizzato da “Sardinnia aresti” che in concomitanza con Sa die de sa Sardigna - la festa che celebra la
cacciata dei piemontesi del 1794 - si stava avvicinando troppo all’area militare di Decimomannu.
Ieri, 28 aprile, sono stati sfoggiati dalle forse dell’ordine metodi fino a questo momento soltanto minacciati, gli
idranti, accompagnati dai già noti lacrimogeni. L’elicottero ha volteggiato per tutta la giornata sulle teste delle e
dei manifestanti, e tanti altri soldi pubblici sono stati spesi per cercare di fermare un corteo pacifico che aveva la
sola e unica pretesa di porre l’attenzione sulla macchina della guerra in moto in Sardegna ora più che mai. Non uno ma
tanti eserciti occupano in questi giorni il suolo sardo.
Né la violenza né gli strumenti repressivi fermeranno la nostra rabbia e la voglia di combattere per liberare la nostra
terra. A FORAS, ci vediamo il 2 giugno!

aprile 2023, da FB A Foras - Contra a s'ocupatzione militare de sa Sardigna


La guerra un “servizio pubblico”? No Muos a Processo
Pubblichiamo il comunicato della rete No Muos, tratto dal sito nomuos.info. Questo processo non è un fatto
circoscrivibile solo all’ambito locale, ma riguarda tutti coloro che si oppongono alla guerra e allo sfruttamento
capitalista. Le parabole del M. U. O. S. (Mobile User Objective Sistem) di Niscemi, congiuntamente alla base di
Sigonella, sono parte integrante della partecipazione dell’Italia alla guerra in Ucraina, servendo da apparati per il
controllo dei cieli e per l’invio di droni sul Mar Nero.

Si è conclusa la fase delle indagini preliminari e il 30 marzo ci sarà la prima udienza in tribunale a Gela contro 29
attiviste e attivisti NO MUOS.
Si tratta dell’ennesimo processo in cui il tentativo è quello di criminalizzare un movimento antimilitarista,
antimperialista e internazionalista che da anni si oppone alla nocività di una delle più grandi basi militari
statunitensi, la base M. U. O. S. (Mobile User Objective Sistem): abusiva, situata in Sicilia nella sughereta di
Niscemi, serve a coordinare le guerre agite dai più potenti governi mondiali mediante i droni che partono da Sigonella
e, come se non bastasse, per via delle enormi emissioni elettromagnetiche emanate, arreca quotidianamente danni gravi
alle terre e alla salute di chi abita nei pressi del largo raggio d’azione (di almeno 180 km) in Sud Italia.
Prima che le 3 megaparabole venissero installate all’interno della base NRTF, in cui dagli anni ’90 sorgevano 46 antenne
già di per sé nocive e mortifere, le mobilitazioni riuscirono, occupando la base militare, a bloccarne il funzionamento:
le accuse che ci venivano rivolte erano di “interruzione di pubblico servizio, per aver impedito le comunicazioni
belliche tra 4 continenti”.
Ribadiamo che per noi la guerra non è un pubblico servizio bensì un crimine e continuiamo ad avanzare a testa alta la
nostra contrarietà alle politiche belliciste di cui l’Italia si fa promotrice attraverso la produzione e lo spaccio di
armi e munizioni, ultima in Ucraina.
Oggi ancor più vediamo gli effetti prodotti da basi militari come quella di Niscemi nelle guerre che la NATO e i governi
imperialisti stanno portando avanti nel mondo. Attualmente 59 i conflitti: un circolo vizioso in cui sono condannate
alla fuga, nella migliore delle ipotesi, intere popolazioni che respinte alle frontiere rischiano la morte in mare come
è successo a Cutro, e, se riescono a sbarcare, vengono criminalizzate e costrette alla clandestinità per essere
sfruttate bestialmente al limite della schiavitù.
Inoltre siamo consapevoli di quanto le guerre combattute abbiano un immediato riflesso anche sulla nostra vita con la
guerra che i governi al servizio delle multinazionali ci fanno attraverso la dismissione e la svalutazione di servizi
pubblici essenziali come sanità e formazione e portando avanti politiche economiche basate sull’estrattivismo, sullo
sgretolamento del tessuto sociale e la criminalizzazione del dissenso.
Respingiamo le accuse false e pretestuose che ci vengono dirette ancora una volta in questa circostanza e rivendichiamo
con forza la nostra presenza in quel territorio, per lo smantellamento del Muostro e di tutte le basi militari, per una
società senza guerre e senza sfruttamento, per la liberazione da tutte le oppressioni.
NO MUOS FINO ALLA VITTORIA!


Le truppe europee: via dal Mali ma non dal Niger
La presenza militare occidentale nel Sahel deve essere mantenuta a tutti i costi. “Out of Mali, in to Niger”, non è una
indicazione strategica francese ma tedesca. Pochi lo sanno, ma in Niger anche la Germania ha centinaia di soldati che
affiancano il contingente francese, quello italiano e quelli di altri paesi europei.
Secondo quanto riporta il giornale tedesco Junge Welt, il ministro della Difesa tedesco Boris Pistorius ha definito la
base militare nella capitale del Niger, Niamey, un “fulcro per tutte le attività nostre e di altre nazioni europee qui
in Africa“. Questa settimana il Bundestag deciderà sull’ampliamento dell’ hub tedesco nella base militare.
Tuttavia, come in Mali, anche in Niger ci sono state a lungo proteste di massa contro lo stazionamento di soldati
francesi e il continuo sfruttamento neocoloniale del paese. La Confederazione sindacale nazionale del Niger ha chiesto
al governo di disporre il ritiro di “tutte le forze straniere” presenti sul territorio, ritenute incapaci di garantire
la sicurezza degli abitanti.
Il riferimento va in primo luogo alle forze francesi dell’operazione Barkhane, ma anche a quelle della missione europea
Takuba – coordinata sempre da Parigi ed alla quale partecipa anche l’Italia -, entrambe presenti sul territorio dopo che
la scorsa estate si è concluso il ritiro francese dal Mali.
L’agenzia Nova riferisce infatti di un comunicato congiunto, tra i 14 sindacati che aderiscono alla Niger Trade Union
Action Unit, che hanno condannato “con la massima fermezza” gli abusi commessi contro la popolazione civile e militare
“da parte di gruppi armati non statali che continuano a far piangere il nostro Paese nonostante la presenza di diverse
basi militari straniere installate sul nostro territorio”.
L’appello ripete quello formulato già a novembre da quattro delle principali sigle sindacali nigerine – la
Confederazione generale dei sindacati liberi (Cgsl), la Confederazione dei lavoratori del Niger (Cnt), l’Unione
progressista dei lavoratori (Uspt) ed l’Unione dei sindacati del Niger (Ustn) -, che in una nota congiunta chiedevano la
“partenza incondizionata” delle forze straniere stanziate in Niger.
Ma se le truppe francesi se ne sono dovute andare dal Mali, al momento non pensano affatto di andarsene anche dal Niger.
Il perché è presto detto: la Francia continua a ottenere il 30 per cento del suo uranio per il funzionamento delle sue
centrali nucleari dalle miniere del Niger, anche se il 60 per cento della popolazione nigerina non ha accesso
all’elettricità. Ma nel “poverissimo” Niger ci sono anche silicio e litio, materie prime strategiche per le produzioni
di tecnologie di cui l’Unione Europea intende fare una disperata incetta nei prossimi anni.
L’Italia, è bene ricordarlo, è presente in Niger con quasi 300 militari, 160 mezzi terrestri e 5 aerei e dal 2018 è
impegnata in una Missione bilaterale di supporto.
Dopo la chiusura della task force Takuba l’impegno militare dell’Italia nel Sahel è rimasto forte, e rimane confermato
nel nuovo governo con l’intenzione – formulata di recente dal ministro della Difesa Guido Crosetto – di “partecipare di
più” alle missioni nel continente africano, in particolare nell’ambito della formazione militare.

27 aprile 2023, da contropiano.org
Scuole Armate
E’ disponibile l’opuscolo “Scuole armate. Fabbriche di morte e basi NATO per gli studenti di mezza Italia” di Antonio
Mazzeo. Di seguito pubblichiamo un breve stralcio. Chi volesse riceverne una copia può segnalarcelo al nostro indirizzo.

La NATO a caccia di centri di ricerca universitari, start up e aziende del comparto bellico per progettare e produrre le
tecnologie “prioritarie” secondo la visione strategica globale del XXI secolo. Il 7 aprile 2022 i ministri degli Esteri
e della Difesa dell’Alleanza Atlantica hanno approvato un documento che ha posto le basi del “Defence innovation
accelerator for the North Atlantic”, cioè Acceleratore di innovazione nella difesa per l’Atlantico del Nord o, più in
breve “DIANA”, dea della caccia nella mitologia romana ma pure “dispensatrice della sovranità”. Grazie ad una prima
tranche di un miliardo di euro dell’Innovation Fund, il fondo di investimenti finanziari della NATO, sarà promossa la
ricerca scientifico-tecnologica nei settori aerospaziali, dell’intelligenza artificiale, delle biotecnologie e della
bioingegneria, dei computer quantistici, della cyber security, dei motori ipersonici, della robotica e dei sistemi
terrestri, navali, aerei e subacquei a pilotaggio remoto, dell’industria navale e delle telecomunicazioni, ecc..
Sarà la città di Torino la prima sede europea degli acceleratori DIANA. Entro la fine del 2023 il laboratorio di ricerca
NATO sarà installato all’interno delle Officine Grandi Riparazioni, il complesso industriale sorto a fine Ottocento.
[...]
La penetrazione del complesso militare-industriale all’interno delle scuole di ogni ordine e grado delle regioni
dell’Italia nord-occidentale non è un fenomeno recente anche se ancora è del tutto ignorato dalla stramaggioranza
dell’opinione pubblica. Tredici anni fa ne aveva descritto la rilevanza e le pericolose conseguenze nella formazione
personale e didattica delle nuove generazioni il compianto giornalista pacifista Stefano Ferrario, prematuramente
scomparso in un tragico incidente stradale la notte del 3 giugno 2012.
In un articolo pubblicato in Peacereporter (“L’ingresso di AgustaWestland nelle scuole medie inferiori del territorio”),
Ferrario sottolineava come “un altro anello importante della catena della produzione militare” fosse rappresentato dal
“rapporto tra le aziende a prevalente produzione bellica e le scuole del territorio, con il coinvolgimento dei comuni,
indipendentemente dal colore partitico dell’amministrazione comunale”. Il giornalista puntò il dito contro l’opera di
“reclutamento” dei giovani all’interno delle aziende controllate al tempo dal gruppo Finmeccanica (oggi Leonardo):
“Facciamo l’esempio di alcune situazioni in provincia di Varese che ha un’alta concentrazione d’aziende aeronautiche con
AgustaWestland (a Samarate, Vergiate, Somma Lombardo e altri nuclei minori in altri Comuni), Aermacchi (Venegono
Inferiore) e l’indotto a loro collegato (come è un’altra storica azienda aeronautica, la Secondo Mona) e Novara, che
avrà un polo aeronautico d’importanza internazionale, come l’aeroporto militare di Cameri, dove Alenia Aeronautica
assemblerà i cacciabombardieri F35”.


la sovranità (del business) della scienza sopra di tutto
È ormai di qualche mese la notizia che il governo italiano ha conferito piena immunità e inviolabilità al Centro
Internazionale per l’ingegneria genetica e la biotecnologia (ICGEB) di Trieste e al personale di ricerca in esso
presente. Lo Stato italiano si è impegnato ad elargire un finanziamento annuo di 10 milioni di euro e l’utilizzo
gratuito di circa 8.000 metri quadrati di suolo ed edifici. Il 16 giugno 2022, infatti, sulla Gazzetta Ufficiale della
Repubblica Italiana, è stata pubblicata la Legge 19 maggio 2022, n. 66, “Ratifica ed esecuzione dell’Accordo tra il
Governo della Repubblica italiana e il Centro internazionale per l’ingegneria genetica e la biotecnologia (ICGEB)
relativo alle attività del Centro e alla sua sede situata in Italia”. Di seguito un articolo dell’ottobre 2022, tratto
da resistenzealnanomondo.org che approfondisce il tema e uno stralcio dell’articolo 12 della legge citata.

L’ICGEB nasce nel 1983 come progetto dell’Organizzazione Nazioni Unite per lo sviluppo industriale (Unido), diventando
successivamente nel 1994 un’Organizzazione Internazionale autonoma che riunisce 65 Stati membri, con collaborazioni di
settore come la Fondazione Bill e Melinda Gates, la New England Biolabs (attiva in ricerche in campo biotecnologico) e
la Genethon, azienda leader nel campo della terapia genica.
ICGEB ha svariati laboratori nel mondo ed è strettamente legato all’Agenda 2030 delle Nazioni Unite di cui condivide la
visione sulle prossime emergenze. I segreti ben custoditi dell’ICGEB evidentemente non sono il tipo di ricerche portate
avanti, ma come queste effettivamente sono realizzate. Nel sito internet dell’ICGEB si può leggere che “i programmi di
ricerca comprendono progetti scientifici di base come il controllo dell’espressione genica, la replicazione del dna, la
riparazione del dna e l’elaborazione dell’RNA, studi su virus umani quali HIV, HPV e rotavirus, immunologia molecolare,
neurobiologia, genetica molecolare, ematologia sperimentale e terapia genica umana. I programmi di ricerca di ciascun
Gruppo sono periodicamente valutati attraverso visite in loco che coinvolgono panel internazionali di scienziati con
competenze specifiche nei rispettivi campi, le cui raccomandazioni sono riportate al Consiglio Scientifico ICGEB. Le
attività di ricerca dei laboratori ICGBE Trieste sono supportate anche da un gran numero di sovvenzioni concesse da
varie agenzie di finanziamento internazionali”. Negli ultimi anni di dichiarata pandemia nomi come Wuhann o Forth Dick
ci sono diventati noti, come si voleva che fossero noti: eccezionalità nel mondo della ricerca o “super laboratori”,
laboratori classificati fino a quattro punti che ne descrivono l’altissimo livello di pericolosità. I punteggi,
assegnati dai loro
stessi organi di controllo, non sono un reale metro di valutazione e anche le diciture come “super laboratorio” servono
solo a confondere e a far trasferire l’attenzione sui contorni al fine di creare un susseguirsi di interrogativi che non
potranno mai essere soddisfatti. Questi laboratori invece sono reali e concreti e portano avanti esperimenti utilizzando
le tecniche di ingegneria genetica. Nel mondo se ne contano circa una sessantina sparsi soprattutto nei paesi del Sud
del mondo. Cosa avviene precisamente al loro interno è un mistero, sappiamo però che con l’aiuto dell’ingegneria
genetica si ricombinano virus, molti di questi spariti da tempo dalla circolazione. Senza aver paura di esagerare
possiamo affermare che in nome della difesa da una possibile “Guerra biologica” se ne preparano continuamente in
laboratorio, ovviamente a livello preventivo verso possibili minacce future. Abbiamo ormai compreso che la pace si
prepara con lo stoccaggio continuo di armi atomiche in grado di distruggere più volte il pianeta e lo stesso avviene con
le armi biologiche: tutti le aborrono e tutti ci lavorano, spesso in grande collaborazione con il fine unico ovviamente
della pace. Basti pensare al laboratorio di Wuhan dove esisteva una fitta rete di relazioni tra Cina, Stati Uniti,
Francia e altri paesi. Abbiamo visto l’esistenza di decine di questi laboratori in Ucraina sotto stretta vigilanza del
pentagono, ben poco è uscito sugli
esperimenti condotti, probabilmente questo avrebbe messo in imbarazzo il denunciante stesso, che avrebbe dovuto dire
qualcosa sui propri di laboratori non necessariamente militari e segreti, ma anche presenti in qualche rinomata
struttura universitaria.
La rivista di settore statunitense Fierce Pharma già il 9 Dicembre 2013 scriveva: “l’azienda biotecnologica Pfizer ha
firmato un contratto 7,7 milioni con Darpa”. Il Pentagono incarica Pfizer di “ripensare radicalmente lo sviluppo dei
vaccini. Ciò che l’agenzia Darpa ha rivelato implica che vuole accorciare i tempi di risposta alle minacce di pandemie o
di bioterrorismo eliminando molti dei passaggi attualmente necessari per conferire l’immunità”. In una circolare sui
contratti in vigore all’epoca, il Dipartimento della Difesa degli Stati Uniti ha dichiarato a questo proposito: “Pfizer
condurrà un programma di ricerca e sviluppo finalizzato alla messa a punto di una piattaforma tecnologica in grado di
identificare gli agenti patogeni emergenti direttamente in un individuo infetto o esposto e di produrre successivamente
anticorpi protettivi nel suo organismo”. Ma senza la tecnica di “chirurgia genetica” o “gene editing”, per la quale nel
2012 è stato assegnato il premio Nobel a due scienziate, la piattaforma a mRNA per i sieri genici non sarebbe stata
possibile. Il sistema, chiamato CRISPR/Cas9, sviluppato per la modificazione di vegetali, di animali da allevamento e da
laboratorio e per le terapie geniche, consente di apportare modifiche alle sequenze genetiche con maggiore precisione,
velocità, risparmio e apre alla possibilità di modificare geneticamente la linea germinale umana con modificazioni
genetiche trasmissibili di generazione in generazione. Se si pensasse alla ricerca pubblica come ad un possibile argine
verso l’irrefrenabile messa in opera della piattaforma biomedicale, significa ancora una volta non comprendere che ci
sono direzioni nella ricerca scientifica che non si possono imbrigliare, immancabilmente varrà il solito mantra tecno-
scientifico: se tecnicamente è possibile si farà. Con queste formule di pensiero ci siamo ritrovati nella situazione
attuale, si è confuso il sapere con la competizione e la corsa scientifica attuale, capitanata dalle bio-nanotecnologie
è sempre verso bio-armamenti, che possono essere più micidiali in tempi di pace che di guerra, come ci ha insegnato il
Sars-Cov2.
Ricordiamo la conferenza di Asilomar del 1975 in cui i ricercatori discutevano di regolamentazioni e di porre dei limiti
alle ricerche di ingegneria genetica sul DNA ricombinante. Ma regolamentare significa di fatto legittimare quelle
pratiche e sviluppi tecno-scientifici ponendo dei limiti che man mano saranno eliminati. Regolamentare per dare una
parvenza di tutela, per aspettare un accettazione sociale di determinati sviluppi o che essi penetrino nel quotidiano
fino a normalizzarsi. Fermare le tecnologie di ingegneria genetica, quei laboratori in cui vengono sviluppate e fermare
i processi che ne seguono invece significa fermare tutto quel mondo. In questa particolare fase della dichiarata
pandemia, non importa se in declino, molte altre ne verranno hanno assicurato a Davos e di riporto i vari ministri
italiani, ecco arrivare in Italia un nuovo laboratorio pronto per i tempi che verranno. Ovviamente questo centro si
impegnerà anche per il Covid 19, come non potrebbe visto che milioni di persone solo in Italia si sono inoculate un
siero sperimentale a mRNA frutto dell’ingegneria genetica e considerando che si tratta di un centro internazionale volto
a sviluppare l’ingegneria genetica e le biotecnologie. La notizia della sua nascita è uscita quasi per caso tramite la
Gazzetta Ufficiale del 16 Giugno “Ratifica ed esecuzione dell’Accordo tra il Governo della Repubblica italiana e il
Centro internazionale per l’ingegneria genetica e la biotecnologia (ICGEB) relativo alle attività del Centro e alla sua
sede situata in Italia”. Troviamo inutile e fuorviante dilungarci sui misteri che avvolgono questo centro, ne sappiamo
già abbastanza per essere fortemente critici verso queste strutture con il loro personale internazionale ben pagato e
protetto da qualsiasi cosa questi possano realizzare e anche dalle possibili conseguenze.
Interroghiamoci su come questo centro non si ponga difficoltà a livello economico, cosa che fanno praticamente tutti i
centri di ricerca, evidentemente ha un budget a disposizione che non possiamo neanche immaginare. Questo ci fa pensare
al Darpa che rappresenta la ricerca militare negli Stati Uniti e che ha a disposizione fondi illimitati sia per proprie
ricerche che possono essere robot a quattro zampe o nuovi pericolosissimi virus ricombinati, sia per finanziare anche
altri progetti di suo interesse nel mondo come per esempio le zanzare OGM di Crisanti. Quello che si sta velocizzando è
un tipo di ricerca per tempi di “emergenza”, il nuovo mondo che si va a delineare che corre con la rete 5G prepara la
sua
piattaforma digital-sanitaria. Il centro di Trieste, che siamo sicuri rappresenterà solo un inizio di quello che vedremo
fiorire nel fù bel paese, da la traccia di quello che ci attende e dovrebbe anche indicare la strada a chi vuole opporsi
al paradigma bionanotecnologico e cibernetico. Ecco la visione, quella che ci viene posta come tale da questo centro:
“Essere l’organizzazione intergovernativa a livello mondiale per la ricerca, la formazione e il trasferimento
tecnologico nel campo delle scienze della vita e delle biotecnologie”. E continuando: “Combinare la ricerca scientifica
con il potenziamento delle capacità, promuovendo così uno sviluppo globale sostenibile”. L’obiettivo è “conciliare il
progresso economico globale con la giustizia sociale e la conservazione delle risorse naturali”. In questa direzione “I
paesi in via di sviluppo, le economie emergenti e le nazioni industrializzate devono fare la loro parte per garantire il
successo dell’Agenda 2020-2030. [...] L’obiettivo finale è responsabilizzare gli Stati membri dell’ICGEB nell’uso degli
ultimi sviluppi scientifici e aiutare i membri ad applicare moderne soluzioni biotecnologiche per porre fine alle
malattie e raggiungere la sicurezza alimentare ed energetica, promuovendo nel contempo lo sviluppo del capitale umano
attraverso l’istruzione, la formazione e la fornitura di pari opportunità per tutti”. Questo linguaggio, che non ha
niente a che vedere con quello che sarebbe da aspettarsi per l’insediamento di una nuova cittadella scientifica, è
frutto del nuovo paradigma totalitario e sostenibile allo stesso tempo. Si inaugura non un semplice centro di ricerca,
ma quella visione fluida di uno Stato piattaforma, dove la salute delle persone e la salvaguardia del pianeta passano
dalle tecno-scienze e qui scompaiono per dare priorità alla biotecnologia avanzata. Siamo fiduciosi che l’ecologismo
denunci la falsa sostenibilità di queste ricerche, che gli animalisti denuncino le atroci torture effettuate sugli
animali, che gli attivisti contro i sieri genici denuncino il paradigma di ingegneria genetica e soprattutto che
l’attivismo contro il green pass riconosca il messaggio a livello nazionale dato da questo insediamento. Il ruolo di
questo centro va calato nel contesto che lo ha reso prima necessario e dopo voluto come necessità ineluttabile. Non
criticare adesso e con forza questi insediamenti ci lascerà impreparati alla nuova riconfigurazione sociale e biologica
introdotta sui nostri corpi che si va realizzando nella crescente rapidità emergenziale. Il paradigma biotecnologico va
rifiutato e combattuto nella sua totalità, prima di diventare anche noi deboli e sterili monocolture OGM disponibili per
il tecno-totalitarismo. A monte rigettiamo ogni tecnica di ingegneria genetica e l’idea di mondo e di essere umano che
portano e comportano con la consapevolezza che non è possibile nessun tipo di regolamentazione. Rimettiamo al centro
l’indisponibilità dei corpi e del vivente.
Invitiamo tutte e tutti ad una grande mobilitazione che riporti l’attenzione la dove la si vuole spostare e tessendo il
necessario filo conduttore tra tutte le emergenze che hanno preparato e prepareranno.

***
1. I funzionari godono, all'interno e nei confronti della Repubblica Italiana, dei seguenti privilegi, immunità e
agevolazioni:
a) immunità di giurisdizione per gli atti da essi compiuti in veste ufficiale (parole e scritti comprese); tale
immunità di giurisdizione continuerà ad essere accordata anche qualora le persone interessate non fossero più
impegnate nell'esercizio di tali funzioni;
b) esenzione da qualsiasi imposta sugli stipendi e sugli emolumenti versati dall'ICGEB;
c) esenzione per i funzionari che non sono cittadini italiani e che non sono residenti permanenti della Repubblica
Italiana, da ogni forma di tassazione diretta sul reddito diversa da quella prevista al paragrafo (b.) derivante da
fonti al di fuori dell'Italia;
d) esenzione da qualsiasi obbligo di servizio militare o da qualsiasi altro servizio obbligatorio in Italia;
e) esenzione per se stessi, per i propri familiari e per il proprio personale domestico dalle disposizioni che
limitano l'immigrazione e dalle formalità di registrazione degli stranieri;
f) esenzione per se stessi nei casi di lavoro ufficiale da qualsiasi restrizione alla circolazione e ai viaggi
all'interno dell'Italia; [...]


CRONACHE MARSIGLIESI
Questo testo offre una lettura degli eventi in corso in Francia attraverso la voce di chi vi è direttamente coinvolto.
L’attenzione è focalizzata su Marsiglia la quale, secondo quanto argomentato nelle interviste, può essere una valida
cartina tornasole di quanto si sta consumando nel resto del paese. Gli interlocutori sono una ragazza del Collectif Boxe
Marseilles, M. L., un uomo del Collectif Autonome Précaires et Chȏmeurs Marseille e una ragazza, S. D., del Collectif
Boxe Marseilles ma attiva, soprattutto, nel lavoro territoriale dei “quartieri Nord”. Il testo riportato è liberamente
tratto da due articoli pbblicati su carmillaonline.com a fine aprile curati da Emilio Quadrelli.

Partiamo con C. A., del Collectif Autonome Précaires et Chȏmeurs Marseille. Come puoi ben immaginare in Italia vi è un
grosso interesse per quanto, e non da ora, sta accadendo in Francia. In presa diretta vorremmo ascoltare il punto di
vista di chi queste lotte le sta vivendo in prima persona.
Va bene. Intanto faccio una premessa, parlerò soprattutto di Marsiglia perché ritengo che questa città incarni appieno
la storia del futuro prossimo. A differenza di altri, che considerano Marsiglia il punto arretrato del ciclo capitalista
noi la consideriamo il punto più avanzato, un vero e proprio laboratorio economico e sociale di ciò che ha in mente il
comando capitalistico.
Perché Macron si è lanciato in ciò che, a quanto pare, è un azzardo non proprio da poco?
Questa è una buona domanda prima devo però fare una premessa al fine di non creare malintesi. Questa lotta è senza alcun
dubbio una lotta strategica perché se Macron vince le ricadute saranno pesantissime su tutta la classe operaia e il
proletariato francese ma, a mio avviso, una sconfitta in Francia sarebbe anche un colpo durissimo per tutto il
proletariato europeo. La Francia, di fatto, incarna il punto più alto di lotta e conflittualità sociale, in termini di
resistenza ma non di offesa e su questo poi ci torniamo, per cui sfondare in Francia significa avere mano libera in
tutto il Continente. Quindi nessun tentennamento nello stare dentro queste lotte e ad assumerne il livello strategico.
Detto ciò, e qua veniamo al presunto azzardo di Macron, alcune cose importanti vanno dette. Ciò che va osservato è che a
entrare pesantemente in lotta è stata la classe operaia del settore pubblico oltre alle università e parte delle scuole
superiori mentre il settore privato, i precari, i disoccupati e gli studenti dei professionali sono stati coinvolti solo
marginalmente e questo vuol dire che l’azzardo di Macron sicuramente c’è ma non è proprio un salto nel buio in quanto
mira a colpire un determinato segmento, dai numeri sicuramente importanti, di classe operaia ma non l’insieme del
proletariato francese. Per una grossa fetta di classe operaia, proletariato e studenti francesi questa lotta non
significa molto perché le loro condizioni sono decisamente diverse da quelle degli operai scesi in lotta. Non per caso
ho sottolineato che si tratta di una lotta di resistenza e non di una lotta offensiva. L’attacco di Macron è un attacco
a quella rigidità operaia che la classe operaia e i lavoratori del pubblico sono stati, almeno sino a ora, in grado di
mantenere e difendere. Queste condizioni, però, se esci dal settore pubblico non le trovi, per capirsi, trovi una
situazione molto più simile a quella italiana.
Ma qual è la sostanziale differenza tra la Francia e l’Italia?
La prima cosa, sicuramente, è il numero di classe operaia pubblica che è certamente imparagonabile a quella italiana. Lo
stato francese ha mantenuto la sua presenza in tantissime attività considerate strategiche e qua l’organizzazione
operaia era ed è molto forte per cui ogni attacco a una qualunque forma della rigidità operaia scatena reazioni di massa
come si sta vedendo. In più, altro aspetto molto diverso dall’Italia, in Francia i sindacati non sono mai stati
inglobati nelle strutture di potere e di comando. In Italia la differenza tra le grosse centrali sindacali, i padroni e
i governi non c’è. In Francia la cosa è molto diversa. In passato, ma si tratta di un’epoca ormai remota, la CGT era un
sindacato riformista e spesso controrivoluzionario in quanto cinghia di trasmissione del PCF ma, da quando il PCF è
imploso, la CGT è diventata un contenitore dove dentro si può trovare un po’ di tutto. La questione delle pensioni è
solo un aspetto. Se Macron passa su questo, in tempi assai rapidi, tutta la forza del vecchio mondo operaio crollerà ma
non solo. Se Macron passa qua le ricadute saranno pesanti anche per chi è già fuori dalle garanzie di questa classe
operaia perché la condizione di precarietà conoscerà un ulteriore aggravamento.
Mi sembra di capire, da quello che dicevi, che al momento una grossa fetta di classe operaia e proletariato non è
entrata direttamente in gioco. Hai parlato del settore privato dei precari, dei disoccupati, degli studenti dei
professionali. Sulla base di ciò vorrei porti due domande. Come si è prodotta questa differenziazione così forte tra i
due mondi operai e proletari? Cosa può succedere nelle prossime settimane? Anche questi altri settori di classe
entreranno in lotta e in che modo?
Intanto non è una cosa che nasce ieri. Sono almeno una trentina di anni che abbiamo una situazione simile. Se pensi alla
rivolta delle banlieue del 2005 la cosa diventa molto più chiara. Lì a entrare in lotta è stata una composizione di
classe del tutto diversa, precaria, disoccupata e razzializzata. Lì, non per caso, la lotta ha assunto contorni
decisamente più radicali perché in ballo non c’era questo o quello aspetto del comando capitalista, insomma la deriva
riformista non era possibile, ma proprio un sistema di potere razzista e fondato sulla marginalità e l’esclusione
politica e sociale di queste masse operaie e proletarie. Quelle lotte, da subito, si sono dovute misurare con lo stato e
la sua macchina militare e poliziesca. In Francia, come in tutta Europa, vi sono due classi operaie e due proletariati
per voi, in Italia, non dovrebbe essere difficile capirlo visto che siete stati proprio voi, i primi, a parlare di
garantiti e non garantiti. Il problema è capire come e se, oggi, sia possibile dentro questa lotta trovare delle
convergenze tra questi due poli. La cosa non è semplice e qua a Marsiglia ne abbiamo una riprova evidente.
Ecco, volevo tornare proprio su Marsiglia. La struttura economica e sociale di Marsiglia che cosa rappresenta? Alla
scala del modello capitalistico francese ne incarna una tendenza o ne rappresenta una realtà del tutto marginale?
Marsiglia, secondo noi, incarna la storia del presente e del futuro. Marsiglia è una città di precari e disoccupati
contornata da tutta una serie di città satelliti operaie, del settore privato, dove la condizione operaia è del tutto
simile a quella dei marsigliesi. I settori operai e proletarie pubblici ci sono, ma sono una minoranza. Per questo
riteniamo che Marsiglia sia un laboratorio avanzato del modello capitalista presente. Le condizioni di vita del
proletariato marsigliese sono lo specchio del modello che Macron, e tutte le filiere del comando che rappresenta,
intende generalizzare.
Qual è la risposta, dentro la “sala boxe”, a quanto sta andando in scena in questi giorni in Francia?
Una risposta abbastanza tiepida. È una lotta che tocca ben pochi di loro che vivono condizioni di lavoro e di vita
sociale del tutto diversi.
Quindi non c’è stata partecipazione allo sciopero?
Chi lavora nel settore privato non ha scioperato e la stessa cosa vale per la stragrande maggioranza dei precari. I
disoccupati sono scesi in piazza ma senza troppo entusiasmo. Tutto questo è facile da capire: questa lotta loro non li
tocca. Perché vi sia un salto occorrerà vedere se vi sarà la capacità di radicalizzare questa lotta su un terreno che
coinvolga questi settori di classe.
Così ci siamo lasciati domenica 26 marzo, in attesa delle mobilitazioni del 28. Come si è visto non poche ombre si
stagliavano sulla solarità che, in particolare nel nostro paese, sembrava aleggiare sulla lotta dei francesi. Nel
frattempo vi sono stati gli eventi di Sainte–Soline dove un manifestante, tra l’altro cugino di un militante del
Collectif Autonome Précaires et Chȏmeurs Marseille, versa in fin di vita. Il 28 poteva essere un banco di prova per
molte cose.
Ne abbiamo parlato con una ragazza algerina, attiva soprattutto nel Collectif boxe e nel Coordinamento dei collettivi
dei quartieri Nord. Un punto di vista estremamente interessante perché, in virtù della sua esperienza diretta, fornisce
una versione della mobilitazione molto meno entusiasta di quanto stiamo facendo noi.
Lo stato, in termini repressivi, ci sta andando piuttosto cauto perché presuppone che, rimanendo questa la cornice del
conflitto, non si andrà chiaramente oltre una certa soglia. In Italia, come mi è stato possibile vedere sui social, vi
siete molto entusiasmati per l’attacco al Municipio di Bordeaux, non avete notato però che quell’assalto è stato
condotto da un gruppo di destra. Ciò che dovete capire è che, mediamente, i livelli di violenza poliziesca quotidiana in
Francia sono molto più elevati di ciò che si sta vedendo in piazza. Il livello di violenza, da parte della polizia, a
cui è abituato il proletariato di banlieue non è paragonabile a ciò che si è visto nelle piazze così come i livelli di
scontro posti in atto nel corso delle mobilitazioni alle quali hanno aderito i banlieuesards sono stati esponenzialmente
incommensurabili. In poche parole, oggi, la banlieue è alla finestra, la sua entrata in campo dipende da molte cose ma
perché possa esserci una reale unità di lotta occorre che gli obiettivi vadano ben oltre i perimetri dei lavoratori
garantiti, altrimenti è difficile pensare che qualcuno scenda in piazza per le pensioni quando lui, di fatto, in
pensione non ci andrà mai. Capisco che per voi quello che vedete nelle piazze francesi oggi può sembrare chissà che
cosa, ma il problema, semmai, è la vostra arretratezza non il livello avanzato della Francia. In molti, e questo succede
anche in Francia tra alcuni gruppi di estrema sinistra, si fanno prendere dall’estetica dello scontro ma, appunto, si
tratta semplicemente di estetica.
Quindi, per capirsi, secondo te occorre spostare l’attenzione su altre cose. Per esempio?
Sicuramente il salario massimo garantito, quindi l’abolizione di ogni forma di lavoro precario e la lotta al potere
poliziesco e al suo razzismo. Sappiamo che tutto questo non sarà il frutto di una spallata ma di una lotta lunga e
difficile. Ciò che dobbiamo iniziare a porre in atto sono forme di potere operaio e proletario in grado di contrastare
il potere dello stato. Questi sono i presupposti per tirare dentro la lotta tutti quei settori di classe che osservano
quanto sta accadendo come qualcosa che riguarda sostanzialmente i bianchi.
La frattura coloniale è tutta dentro l’organizzazione del lavoro. I non garantiti sono, per lo più, proletari e operai
in pelle scura, donne, e qui entra prepotentemente in ballo il patriarcato come elemento fondante del modello
capitalista, ai quali ovviamente si aggiunge anche una quota, e si aggiunge sempre di più, di proletariato bianco in via
di declassamento.
Voi, come collettivi precari, di quartiere ma anche come collettivo boxe in questo periodo come vi siete mossi, che
bilancio potete fare della vostra attività?
Noi siamo stati dentro a tutte le manifestazioni e agli scioperi organizzando dei nostri spezzoni ma, soprattutto,
abbiamo continuato il nostro lavoro di organizzazione e di lotta sui posti di lavoro e nei quartieri.
Voi, come precari e disoccupati, pur stando dentro al movimento che sta agitando la Francia avete svolto una attività
parallela specificamente rivolta a quel settore di classe che non sembra particolarmente interessato alla lotta sulle
pensioni. Potresti spiegarmi come avete maturato questa scelta e quali tipi di risposte avete ricevuto?
Abbiamo aperto un intervento all’interno del terzo, che è anche il mio quartiere, il quale è considerato uno dei
quartieri più poveri d’Europa. È un quartiere prevalentemente arabo dove disoccupazione e illegalità sono ciò che
Marsiglia offre ai suoi abitanti. Credo che sia persino inutile ricordare la violenza quotidiana che i suoi abitanti
subiscono da parte della polizia, il razzismo che circonda questo quartiere insieme alla sua povertà. Chiaramente in
questo quartiere una lotta come quella sulle pensioni non ha senso così come le modalità sostanzialmente pacifiche di
questo movimento non hanno molto da dire agli abitanti del quartiere. Qua gli scontri con la polizia hanno ben altro
tenore e non sono certo paragonabili a quelli che si sono visti nel corso degli scioperi generali. Insieme agli altri
del collettivo di quartiere abbiamo individuato nel problema abitativo uno dei problemi essenziali delle persone che
abitano qua. Su questo abbiamo deciso di muoverci. Chiaramente lo abbiamo fatto attraverso un lavoro di inchiesta, cioè
non siamo arrivati dall’alto dicendo: “Occupiamo le casa” ma costruendo l’occupazione con le reti che abbiamo
all’interno del quartiere. Abbiamo così individuato due stabili e li abbiamo occupati. Sarebbe interessante, e anche
utile, raccontare la storia e le dinamiche di questa occupazione ma non è questo il luogo. Ciò che mi preme dire è come
la gestione dell’occupazione sia stata ed è una vera e propria “scuola politica” per il quartiere. La sua gestione e la
sua difesa è interamente in mano agli abitanti e molti di loro sono già, a tutti gli effetti, delle avanguardie di
lotta. Questa prassi consente di costruire quadri e organizzazione. Vorrei aggiungere ancora una cosa che mi sembra
veramente importante: il rapporto con le varie gang di zona. Anche qua si apre un capitolo che andrebbe affrontato in
altro modo ma, anche se in poche battute, mi preme dire che proprio grazie al lavoro che stiamo facendo siamo riusciti a
instaurare un buon rapporto con queste. Queste sono realtà che non si possono ignorare perché migliaia di ragazzi vi
sono dentro e si tratta di gente nostra che non può e non deve essere abbandonata al suo destino. Dobbiamo, e lo stiamo
facendo, lavorare con il proletariato a partire dalle sue forme concrete e le gang, piaccia o meno, ne sono una sua
forma.

***
DICHIARAZIONE DEI GENITORI DI SERGE (S.)
Nostro figlio Serge è attualmente ricoverato in ospedale con una "prognosi vitale impegnata", a seguito della ferita
causata da una granata GM2L, durante la manifestazione del 25 marzo 2023 organizzata a Sainte-Soline (79), in Francia,
contro i progetti di bacini irrigui. Abbiamo presentato una denuncia per tentato omicidio, ostruzione deliberata
dell'arrivo dei servizi di emergenza, violazione del segreto professionale nell'ambito di un'indagine di polizia e abuso
di informazioni contenute in un fascicolo.
A seguito dei vari articoli apparsi sulla stampa, molti dei quali imprecisi o fuorvianti, desideriamo rendere noto che :
- Sì, Serge è sulla lista "S", come migliaia di attivisti nella Francia di oggi.
- Sì, Serge ha avuto problemi legali - come la maggior parte delle persone che lottano contro l'ordine costituito.
- Sì, Serge ha partecipato a molte manifestazioni anti-capitaliste - come milioni di giovani in tutto il mondo che
pensano che una buona rivoluzione non sarebbe troppo, e come i milioni di lavoratori che attualmente lottano contro la
riforma delle pensioni in Francia.
Non riteniamo che questi siano atti criminali che infangano nostro figlio, ma al contrario, gli fanno onore.
29 marzo 2023, i genitori di Serge

***
RIGETTATO IL MAE PER VINCENZO VECCHI
Il 24 marzo la Corte d’appello di Lione ha rigettato il Mandato di Arresto Europeo richiesto dall’Italia per Vincenzo
Vecchi, condannato a 12 anni di carcere per i fatti accaduti a Genova nel 2001 con l’accusa di Devastazione e
Saccheggio. Vincenzo era stato arrestato in Francia, dove viveva da 13 anni, l’8 agosto 2019, nel corso di una
operazione congiunta tra la polizia italiana e quella francese.
Ora i giudici francesi hanno riconosciuto la sproporzione tra i fatti contestati e la condanna emessa dai giudici
italiani.
Il 28 marzo, non solo la Cassazione francese ha messo definitivamente fine alla richiesta di estradizione per i dieci
esuli politici italiani in Francia, ma è arrivato un altro duro colpo per il «partito della vendetta»: la procura
generale francese ha infatti rinunciato al ricorso sull’estradizione di Vincenzo Vecchi. Col che la sentenza è
definitiva e Vincenzo è libero, almeno oltralpe. Un risultato ottenuto con tre anni di mobilitazione e attività del
comitato bretone che ha dimostrato una determinazione straordinaria nella lotta dentro e fuori le aule di tribunale per
la libertà di Vincenzo. Un risultato che riempie di gioia anche il comitato che si è creato in Italia. Ulteriori info in
sosteniamovincenzo.org.


Immigrazione e C.P.R.
Negli ultimi mesi le condizioni all’interno dei Centri di Permanenza per il Rimpatrio sono, se possibile, ulteriormente
peggiorate. Chi vi viene rinchiuso, e ricordiamo che si tratta di detenzione amministrativa dovuta alla mancanza di
permesso di soggiorno e non al compimento di reati, si trova sempre più in balia degli abusi di gestori e controllori,
senza una sufficiente assistenza sanitaria, con cibo scadente quando non scaduto e servizi di pulizia, di riscaldamento,
di fornitura d’acqua, assolutamente inadeguati per mantenere un ambiente passabilmente vivibile.
Traiamo le notizie che seguono sul CPR di Milano dalla Rete “Mai più lager - NO ai CPR”, tra i pochi ormai che seguono
con attenzione e impegno costante ciò che accade all’interno di quegli ignobili centri di reclusione. Centri che il
famigerato decreto di Cutro ha previsto debbano moltiplicarsi, e che si moltiplicheranno: il governo ha stanziato 42,5
milioni di euro per ampliare la rete dei CPR entro il 2025. Il disegno di legge per la conversione del decreto Cutro
prevede anche lo svuotamento della protezione speciale (il permesso che aveva in parte attutito l'abolizione della
protezione umanitaria) e restrizioni al diritto al ricorso contro il rigetto della domanda di asilo. Una ulteriore
criminalizzazione delle immigrazioni.
La situazione non potrà cambiare se non arriva la solidarietà dall’esterno di chi non può più fingere di non vedere che
questa è, senza giri di parole, tortura di Stato.
Nei primi quattro mesi del 2023 sono già 640 i morti, di cui si è a conoscenza, solo nel Mediterraneo centrale con i
criminali divieti e ostacoli agli interventi di salvataggio, mentre alle frontiere, colpendo con l’utilizzo del reato
di favoreggiamento dell’immigrazione irregolare anche la solidarietà di chi consente agli immigrati di muoversi, la
situazione è sempre più drammatica. Con la cosiddetta lotta ai trafficanti rimarcata dal decreto Cutro si cerca di
scaricare la responsabilità delle morti in mare sugli immigrati stessi che si sarebbero fatti circuire dagli scafisti e
questo avviene non solo per gli attraversamenti in mare, ma anche per ogni passaggio di frontiera. E non solo in Europa,
con la Francia che blinda i confini con l’Italia con 150 poliziotti in più, ma su spinta dell’Europa anche nel Magreb,
in Niger, nei paesi dell’Africa subsahariana estendendo il processo di criminalizzazione attraverso l’utilizzo del reato
di favoreggiamento. Il decreto aggiunge una fattispecie di aggravante, quando ci sono morti chi si trova alla conduzione
dell’imbarcazione rischia 30 anni di reclusione, e sappiamo bene che la guida viene affidata a chiunque abbia anche solo
una minima capacità di controllare un timone.

Il 24 marzo 2023, al CPR di via Corelli a Milano, alcuni trattenuti hanno dato fuoco a coperte e materassi per protesta,
dopo giorni di continui trasferimenti e rimpatri a sorpresa effettuati con la violenza, che si inseriscono nel consueto
stato di abbandono e alienazione in cui sono lasciati senza cure in quelle gabbie disumane. La protesta è stata estesa,
attraversando diversi settori. L'acqua del sistema antincendio ha fatto il resto, inondando tutto, anche le persone,
rimaste fuori al freddo. Non si è registrato nessun ferito (tutto il materiale è ignifugo nel CPR). E c'è da sperare che
come a Torino [reso inagibile e quindi chiuso a inizio marzo 2023 a causa degli ingenti danni provocati dalle rivolte] i
danni siano tanto gravi da dare il colpo di grazia anche a questa vergognosa struttura.
Grazie ai dati raccolti dall'Associazione per gli studi giuridici sull’immigrazione Asgi e dall’Associazione Naga
relativi ai farmaci acquistati per il Cpr di Milano tra ottobre 2021 e febbraio 2022, si rileva che in cinque mesi la
spesa in psicofarmaci è superiore al 60% della spesa totale per il mantenimento del Centro, di cui oltre la metà ha
riguardato il Rivotril (196 scatole): farmaco autorizzato dall’Agenzia italiana del farmaco (Aifa) come antiepilettico,
ma usato ampiamente come sedativo.
A seguito di una segnalazione di un’avvocata dell’Associazione Naga, il 27 gennaio 2023 è arrivata dal tribunale di
Milano una rilevante pronuncia: “Nel CPR non è assicurata nessuna specifica assistenza per la salute psicofisica”. Il
caso riguardava un ragazzo di appena diciannove anni, trattenuto da 5 mesi, che aveva sofferto nel corso del
trattenimento di attacchi di panico e dal cui diario clinico, prodotto dalla difesa, risultava "come all'indicazione
medica di un sostegno psicologico non sia stato dato alcun seguito", essendosi il centro limitato a somministrargli solo
una terapia farmacologica a base di Paroxetina e Xanax. Riempire di psicofarmaci chi è rinchiuso in questi centri è una
costante, non ricevono cure ma manganellate e sedativi sì.
A fine marzo alla Procura della Repubblica del Tribunale di Milano è arrivata una denuncia per tortura aggravata in
concorso, lesioni aggravate in concorso, falsità ideologica commessa da pubblico ufficiale in atto pubblico e omissione
di soccorso a carico di agenti, funzionari di polizia del CPR di Milano nonché del responsabile medico e direttore del
CPR di Milano e di Roma.
Le vicende di Jamal, da cui deriva la denuncia, erano state seguite dall’Associazione Naga contattata da Jamal nel corso
della sua protesta, quando era salito sul tetto della recinzione del cortile del settore di via Corelli per protestare
perché la sua avvocata non aveva ricevuto comunicazione dell'udienza che aveva prorogato il suo trattenimento di
ulteriori trenta giorni. Indotto con false promesse a scendere dal tetto, è iniziata una serie di pestaggi fino al
trasferimento al CPR di Ponte Galeria a Roma.
La sua avvocata su Roma, attivata dal Naga, lo aveva trovato con un polso visibilmente gonfio. Considerato finalmente
inidoneo al trattenimento era stato rilasciato con il consueto invito ad abbandonare il territorio italiano in sette
giorni. Ritrovato a Bologna ovviamente ancora senza documenti, con un gesso ancora più lungo, fino a tutta la spalla,
perché nella colluttazione se l'era slogata, era stato condotto al CPR di Gradisca d'Isonzo dove veniva ferito ad una
gamba da un operatore che gli aveva lanciato un pesante lucchetto di quelli che servono a chiudere i cancelli del
settore. Solo il Tribunale, investito a seguito della domanda di asilo di Jamal (che finalmente, trovandosi in un CPR,
poteva contare su quella "ospitalità", requisito indebitamente preteso dalle questure), lo liberava in ragione del
comprovato precedente tentativo di chiederla a Bologna, e la sua condizione di richiedente asilo. Forte quindi della
copertura del permesso di soggiorno di richiesta asilo così acquisito con la domanda nel CPR di Gradisca, e che ora è al
vaglio della Commissione di Trieste, Jamal ha potuto quindi denunciare quanto gli era accaduto senza rischiare di
rientrare in un CPR nelle mani di chi aveva denunciato.

È stato di recente pubblicato dal Garante Nazionale dei diritti delle persone private della libertà personale il
"Rapporto tematico sull'attività di monitoraggio delle operazioni di rimpatrio forzato di cittadini stranieri (1 luglio
2021 - 15 settembre 2022)" che, sulla base dell'esame di alcune decine di rimpatri, offre un terrificante spaccato su un
aspetto troppo trascurato: le violenze e gli abusi delle forze dell'ordine a danno dei trattenuti nelle fasi di
rimpatrio. Sarà che dopo tale fase, una volta tornata al paese di origine, è pressoché impossibile che la persona trovi
o cerchi un legale disposto a farsi carico della denuncia di quanto accaduto, ma queste gravissime violazioni a danno
della libertà e della salute delle persone, ancora meno controllate e controllabili di quelle che avvengono all'interno
dei CPR, non vanno sottovalutate, costituendo una coda del trattamento degradante e disumano subito durante la
detenzione amministrativa.
Le persone da rimpatriare vengono prelevate all’interno dei rispettivi settori nell’immediatezza della partenza senza
essere state preavvisate e accuratamente informate circa lo scopo finale del trasferimento. L’avvio delle operazioni
avviene solitamente di notte o nelle primissime ore della mattina con l’ingresso del personale all’interno dei settori e
la sveglia improvvisa delle persone stesse interessate dalla procedura. I cellulari durante l’operazione in molti casi
vengono sottratti dalla disponibilità dei rimpatriandi senza che a questi ultimi sia concessa la possibilità di
effettuare almeno un’ultima chiamata. Di fatto i rimpatriandi non ricevono informazioni adeguate relativamente alle
modalità di esecuzione del rimpatrio nel corso di tutta l’operazione. È emersa la prassi diffusa di motivare l’uscita
dal Cpr come un semplice trasferimento sul territorio nazionale. Nei rimpatri verso la Tunisia o l’Egitto, ove
l’audizione consolare non precede la partenza dal Cpr venendo realizzata rispettivamente a Palermo poco prima della
partenza del charter di rimpatrio o direttamente al Cairo immediatamente dopo l’arrivo, è prassi diffusa far credere ai
rimpatriandi che la decisione relativa al rimpatrio sia completamente in capo al console.
Per mancanza di interpreti e mediatori culturali, il personale sanitario si ritrova con nessuna informazione o con dati
insufficienti ad assicurare un’adeguata presa in carico della persona. Va considerata la situazione, molto diffusa, dei
rimpatriandi sottoposti a programmi di disintossicazione con metadone. Le persone vengono rimpatriate con la terapia
garantita fino al giorno di avvio dell’operazione; ne consegue, verosimilmente, un’interruzione repentina del
trattamento con il rischio di sviluppare sintomi simili a quelli di un’astinenza con tutte le problematiche e i disturbi
che ne conseguono.
Si osserva mediamente l’impiego di tre operatori di scorta ogni persona rimpatriata.
Si considerino, in particolare, gli interventi coercitivi con un maggiore impatto sulla persona realizzati con la
sostanziale completa immobilizzazione del corpo attraverso la contenzione degli arti superiori e inferiori. A
prescindere dalla manifestazione di condotte oppositive al rimpatrio, è prassi che tali mezzi contenitivi siano
automaticamente applicati a tutti i rimpatriandi giunti presso lo scalo aeroportuale di partenza e siano mantenuti senza
soluzione di continuità durante tutto il periodo di permanenza in aeroporto, la fase di imbarco e un periodo successivo
al decollo almeno fino al raggiungimento della quota di volo. In talune occasioni i monitor hanno constatato che i
dispositivi non sono stati levati nemmeno per consentire la consumazione del pasto e durante la fruizione dei servizi
igienici. Si consideri la pratica di denudamento (parti intime incluse) più volte rilevata dai monitor come, per
esempio, in occasione dei controlli realizzati all’aeroporto di Palermo nei confronti di tutti i cittadini tunisini
rimpatriati con volo charter del 30 agosto 2022.
Nella Relazione vengono riportati diversi episodi in cui è stata rilevata la pratica di contenere una persona al sedile
dell’aeromobile, o di migranti, che presentavano un atteggiamento tranquillo e remissivo, fatti sedere a terra
all’interno di un locale e rimasti vigilati da personale della Guardia di Finanza o da contingenti di polizia in
assetto da ordine pubblico, con il manganello impugnato. Episodi di denudamento con flessioni, di mancata consegna del
pranzo al sacco lasciando quindi a digiuno di cibo e acqua i deportati, di trasferimenti in pigiama e ammanettati.

Lontani dagli occhi, lontani dai diritti
Lo scandalo dell’ufficio immigrazione di via Cagni a Milano
Nessun Ufficio Immigrazione è un bel posto. La costante di questi luoghi sono enormi file di persone stanche,
accampamenti più o meno permanenti e un’aria di incertezza e disillusione. La situazione peggiora quando si attuano
modifiche al già difficile sistema di accesso in questura, nel tentativo (perlomeno dichiarato) di sfoltire l’affluenza
e fornire un servizio migliore. Questo è il caso di via Cagni 15 a Milano, di cui proveremo a ricostruire gli sviluppi
che hanno portato alla situazione attuale. Per farlo è stata fondamentale la documentazione fornita da Naga e Asgi,
associazioni che si occupano di assistere i cittadini stranieri e non, fare pressione sulle istituzioni e tanto altro.
Da sempre, a Milano, l’Ufficio Immigrazione si trova in via Montebello, tra i condomini lussuosi che sono il marchio del
Municipio 1. In via Montebello la situazione è abbastanza ordinata, con una trentina di persone in fila, monitorate da
un paio di piantoni di divisa e da qualche agente in borghese che pone domande sugli appuntamenti e sul motivo
dell’accesso. Poche altre persone stazionano sul lato opposto della strada. Interrogando i residenti, in molti parlano
di un “prima” e di un “dopo” l’apertura dell’ufficio provvisorio di via Cagni, che ha diminuito notevolmente l’affluenza
in via Montebello. Le lamentele dei residenti non si sono mai tradotte in un comitato cittadino, ma sono state portate
direttamente in questura e, con tempi variabili, risolte. È di fine 2021 la richiesta di porre rimedio allo
stazionamento degli stranieri dentro il portone accanto all’ingresso degli uffici, con il posizionamento di transenne e
addetti al controllo. Viene allora il pensiero che l’apertura, nello stesso periodo, dell’ufficio provvisorio nella
decentrata via Cagni abbia avuto lo scopo di prevenire ulteriori polemiche provenienti dal cuore della città bene.
Lettere di protesta. È infatti del 20 ottobre 2021 l’apertura del nuovo ufficio, preposto alle fasi iniziali dell’iter.
Qui le persone arrivano “spontaneamente” per presentare domanda di protezione internazionale. Una volta dentro dovrebbe
venir raccolta la domanda e fatta una parziale identificazione: foto e qualche impronta digitale. Viene quindi dato un
appuntamento per completare la raccolta delle impronte. A quel punto la domanda può dirsi fatta e si ottiene un
appuntamento agli uffici di via Montebello, dove verrà formalizzata attraverso la compilazione del modulo C3, che verrà
sottoposto alla Commissione Territoriale, davanti alla quale si sarà ricevuti per spiegare le motivazioni e, dopo un
tempo indeterminato, avere l’esito.
Per completare questo iter servono anni, ma un passaggio importante è rappresentato dalla formalizzazione, grazie alla
quale si può avere accesso al sistema di accoglienza, che vuol dire alloggio, assistenza e lavoro. Dall’apertura di via
Cagni 15, Naga e Asgi iniziano a ricevere segnalazioni di molti disservizi e ne chiedono conto alla questura in una
lettera del 26 novembre 2021. Nella lettera viene evidenziato l’altissimo numero di persone che attendono dalla prima
mattina, contro il numero bassissimo di quelli che vengono fatti accedere ogni giorno: solo quindici, tutti gli altri
rimandati a casa senza neanche un foglio che testimoni il tentativo di sottoporre alle autorità la domanda di protezione
internazionale. Considerando che questo iter si ripete per settimane o mesi, non aver ricevuto nessun appuntamento a
tornare in questura significa rischiare, in ogni momento, di risultare clandestini in sede di un controllo e quindi di
essere rimpatriati. Naga e Asgi, nella lettera, chiedono che venga pubblicato (online o presso gli uffici di via
Montebello e via Cagni) un calendario che riporti la presenza dei mediatori; propongono che vi sia uno sportello che
rilasci appuntamenti che contribuirebbero a limitare l’assembramento; ritengono necessario, in ogni caso, che venga
rilasciata un’attestazione che testimoni la volontà di chiedere asilo, in modo da proteggere le persone dall’espulsione
nell’eventualità di un controllo. La questura risponde il 17 dicembre 2021 negando il numero di accessi riscontrato;
sostiene che la pubblicazione del calendario è imminente e giustifica l’apertura dell’ufficio provvisorio come tentativo
di migliorare il servizio grazie a minori insidie stradali, spazi interni più grandi e alla presenza di servizi igienici
all’interno della struttura. Le due associazioni replicano l’1 febbraio 2022, quando finalmente la questura pubblica il
calendario, grazie al quale le persone possono sapere quando sarà presente qualcuno che parli la loro lingua; tranne per
chi arriva dall’Africa però, perché il generico “lingue africane” riportato sul calendario li costringe a sperare che
proprio quel giorno ci sarà qualcuno che parli, tra gli innumerevoli idiomi di quel continente, proprio il loro. Nella
lettera viene chiesta spiegazione di questa incommentabile dicitura; viene anche chiesto che siano visionabili il
“modulo informativo multilingue” e il “foglio notizie” che vengono consegnati a chi chiede asilo durante il primo
accesso. A nessuna di queste richieste viene data risposta. Da qui in poi la situazione peggiora. L’affluenza aumenta e
gli accessi giornalieri diminuiscono insieme alla presenza di interpreti. Le persone in attesa da mesi sono costrette ad
accamparsi nei giardini antistanti l’ufficio, organizzandosi in turni per tenere il posto in quella che dovrebbe essere
una fila. Donne incinte, bambini e anziani hanno la precedenza, ma tutte le altre persone entrano solo se vengono scelte
dagli operatori – che cercano di bilanciare gli ingressi su base etnica –, oppure se spingono abbastanza quando le porte
finalmente si aprono. Varie associazioni e testate giornalistiche iniziano a pubblicare video e articoli delle
condizioni disumane in cui si consuma l’attesa in via Cagni.
Il 23 giugno 2022, con l’accusa di bivacco, la questura notifica ad almeno dieci persone il Daspo di quarantotto ore
(più cento euro di multa) dall’area verde nella quale sono state costrette ad accamparsi. Naga e Asgi commentano
l’accaduto e chiedono al sindaco, titolare del potere sanzionatorio, di intervenire annullando i Daspo e le sanzioni già
emesse, oltre a escludere lo spazio urbano in prossimità di via Cagni dall’ambito di applicazione delle norme
sanzionatorie. Nessuna risposta dalle istituzioni.
Cariche e rastrellamenti. Il 6 agosto chiude il supermercato di via Suzzani e lo stabile vuoto diventa luogo di attesa e
riparo per chi è costretto a passare i giorni e le notti in via Cagni. Il 9 novembre Anita Pirovano, presidentessa del
Municipio 9, annuncia su Facebook di aver chiesto ad Aler che lo spazio dell’ex supermercato diventi hub di accoglienza
e gestione delle prenotazioni, ma nessuno parlerà più della possibilità di aprirlo e nel giro di qualche mese un
determinante cambiamento proteggerà la cittadinanza dalla vista di cotanta miseria e le istituzioni dalla possibilità di
ricevere lamentele.
Il 19 dicembre 2022 la metodologia di ingresso cambia senza che venga fatta alcuna comunicazione ufficiale: il lunedì
mattina verranno fatte entrare circa cento persone, alle quali verrà dato un appuntamento nei successivi giorni della
settimana. Non c’è più nessun calendario dei mediatori e la possibilità di veder garantito il diritto a fare richiesta
di asilo in qualsiasi momento è sparita del tutto. Da quel momento le persone inizieranno ad arrivare in via Cagni dai
giorni precedenti alla domenica per prendere posto. I criteri di ammissione sono basati sulla discrezionalità degli
operatori, che cercano di dividere il numero di ingressi tra i tre assembramenti che si creano spontaneamente:
sudamericani, arabofoni, e tutti gli altri. Questa incertezza comporta un tentativo di avvicinarsi all’ingresso con
tutti i mezzi, tagliando fuori le persone più fragili o in difficoltà. Nascono tensioni che sfociano in cariche da parte
del terzo reparto mobile della polizia, per la prima volta il 20 dicembre 2022. Il 23 gennaio 2023 la violenza che la
polizia in tenuta antisommossa scatena sui settecento richiedenti asilo comprende l’uso dei lacrimogeni. Una situazione
gravissima al quale il Naga reagisce presentandosi, ogni domenica dal 29 gennaio, in via Cagni per monitorare la
situazione, fornire assistenza legale e una testimonianza nel caso in cui la violenza provochi feriti; inoltre, continua
a raccogliere “manifestazioni di volontà”, cioè un foglio firmato dagli asilanti e controfirmato dai volontari, che
testimonia il tentativo di presentare la domanda di protezione. Questo documento dovrebbe proteggerli dalla totale
irregolarità, che si tradurrebbe, in sede di controllo, in un mandato di espulsione. La situazione va avanti così per
qualche settimana e la violenza poliziesca diventa una costante. Le persone vengono fatte attendere per ore senza
nessuna informazione, per poi essere spostate da un luogo all’altro, chiuse in recinti di transenne, spinte e ricoperte
di urla, finché qualcuno non decide di selezionarne un po’ lasciando gli altri ad aspettare un’altra settimana per
ritentare. I volontari del Naga raccontano di come la polizia, la notte del 12 febbraio, si sia spinta a manganellare
indiscriminatamente, correndo nel boschetto di fronte all’ufficio provvisorio, coloro che se ne stavano lì con zaini e
materassi. “La notte del rastrellamento”, la chiamano. Questi eventi li porteranno a programmare un appuntamento di
supporto psicologico per il gruppo che ogni settimana staziona in via Cagni accanto ai migranti.
Epilogo Il 5 marzo 2023 qualcosa sembra cambiare. I poliziotti non sono più in tenuta antisommossa e con loro è presente
un mediatore che in arabo ascolta e spiega. I cameraman accorsi in massa riprendono i politici che fanno le loro
dichiarazioni. Vengono fatte entrare duecentosessanta persone. Più del doppio rispetto al solito. I volontari si
illudono che la pressione fatta sulle istituzioni abbia dato i suoi frutti, ma scopriranno dai giornali della mattina
dopo che non c’è niente di regalato: la cadenza di accesso non sarà più settimanale, ma bisettimanale; non il lunedì, ma
il martedì.
Il 21 marzo, quando le transenne vengono aperte e le persone fanno di tutto per passare, gli scudi si alzano e volano le
manganellate. Quattro persone vengono portate al pronto soccorso, i contusi saranno molti di più. Inizia a circolare la
notizia che il 4 aprile nella caserma Annarumma non entrerà più nessun richiedente “spontaneo”, perché dal giorno dopo
coloro che sono in possesso di un documento d’identità potranno prenotare online un appuntamento in questura sul portale
Prenotafacile della polizia di stato. Coloro che invece rientrano tra le categorie “fragili” potranno recarsi presso gli
uffici dell’Avsi per fare la stessa cosa. Tutti gli altri – ossia chi non ha documenti da immettere nel sistema –
dovranno aspettare l’11 aprile, quando potranno rivolgersi a una serie di associazioni accreditate del terzo settore per
ottenere un appuntamento. Questo non cambia in nessun modo l’iter, e quel primo ingresso permette solo
l’identificazione. Per quanto questo cambiamento rappresenti un miglioramento del trattamento delle persone richiedenti,
che non dovranno più passare le notti nel parco per poi magari essere picchiate, dimostra comunque quanto non si abbia
intenzione di snellire il sistema rendendo più immediata la richiesta e viene il sospetto che anche questa volta
l’obiettivo prioritario sia quello di garantire il decoro nascondendo agli occhi dei cittadini la marginalità sociale.
(12 aprile 2023, da napolimonitor.it)

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Via Cagni 15: cronaca di una notte di ordinaria amministrazione
Testimonianza da una presenza solidale
Milano h 3:00 del 21/03/2023 - «Sì sì, lo sappiamo. Fate solo il vostro lavoro». La soccorritrice accenna un sorriso e
allarga le braccia davanti agli uomini in divisa. I cinque agenti si lanciano sguardi d'intesa, scuotono la testa e
confabulano come prima della partita. Solo che è già finita: un uomo è steso su una barella dentro all'ambulanza. È
stato rianimato ma la sue condizioni non sono buone. In via Cagni, a Milano, da più di due mesi, la polizia scende in
tenuta antisommossa per respingere i richiedenti asilo, invece di identificarli per permettere loro di formalizzare la
richiesta di protezione internazionale. Da dicembre 2022 la quarta sezione dell’Ufficio immigrazione con sede nella
Questura di via Cagni apre una volta a settimana il lunedì mattina e da marzo 2023 solo una volta ogni due settimane.
Sembra essere diventato uno degli eventi esclusivi della nightlife milanese con cambi data repentini, una fila infinita
e una selezione all’ingresso i cui criteri continuano a rimanere oscuri.
Il 20 marzo a mezzanotte il transennato appare simile a tante altre volte: sul lato destro c’è la coda autogestita dei
sudamericani; sul lato sinistro c’è la massa degli arabofoni e al centro ci sono gruppetti sparuti di nazionalità
diverse. Dopo aver dato precedenza alle donne e ai bambini, la selezione inizia come una partita a Risiko.
«C'è qualcuno dell'Azerbaigian?». Chiedono i poliziotti. «Qui Palestina». «Aspettate».
Prendono due persone da un lato e poi da un altro.
«Hanno fatto passare avanti un gruppo di persone con la bandiera della Georgia» dice M. e tra il serio e il faceto
suggerisce «la prossima volta ci portiamo la bandiera della Palestina». «Io vorrei il permesso per poter tornare in
Egitto» dice A. «Mi mancano i miei genitori e mia sorella. Guarda oggi si è laureata». Fa scorrere le foto di una
ragazza sorridente con un tocco in testa. «Poi tornerei qui per lavorare per mettere da parte un po' di soldi». Non
sembra così diverso da quello che fanno molti giovani italiani che lavorano in Svizzera o in Gran Bretagna per riuscire
a permettersi una casa e avere una vita dignitosa. A. sparisce tra la folla. In quel momento arrivano altri agenti in
tenuta antisommossa e circondano un gruppo di arabofoni che ora è schiacciato tra le transenne e due cordoni di polizia.
Tra questi, alcuni vengono scelti e lasciati entrare. Invece, chi prova a intrufolarsi viene preso con la forza per i
vestiti o per i capelli - poco importa - e viene trascinato via. La tensione inizia a montare quando gli agenti
rimuovono le transenne. In un attimo dal Risiko si è passati al calcio fiorentino: una squadra è in sovrannumero, ma
l'altra ha caschi, scudi e manganelli. Se la seconda ha come mandato principale impedire l'accesso, la prima vuole solo
entrare per richiedere asilo, quindi è disposta a inginocchiarsi per terra assecondando le richieste della polizia:
sperano di poter essere considerati i buoni e per questo prescelti. Gli agenti non ricorrono immediatamente al
manganello, ma non per questo la loro azione di contenimento risulta meno pericolosa. Quando la furia si placa, è chiaro
che non è questione di buoni o cattivi ma solo di distanza, destrezza o fortuna nell'evitare le botte: ci sono diverse
persone a terra, altre stanno zoppicando vistosamente. H. si è tenuto in disparte e dice «Le persone rispettose non
entreranno mai. Vedi, io sono qui, seguo le regole ma non riesco mai ad entrare». Alcune attiviste presenti hanno
chiamato i soccorsi. Un'ambulanza è arrivata, ma è stata scortata dalla polizia al di là delle transenne vicino
all’ingresso per poter soccorrere le persone ferite in un primo momento e lasciate poi entrare per “gentile”
concessione.
«Potete far avvicinare l’ambulanza anche qui?». Due persone sostengono M. dopo che è stato rianimato: era svenuto dopo
una manganellata in testa ed era caduto a terra.
«Sta arrivando un’altra ambulanza» risponde un agente. «Dovete aspettare».
«Ma come aspettare? Sono passati già 40 minuti».
Chi chiama per sollecitare e si sente rispondere: «Perché chiamate l'ambulanza a quest'ora? Non c'è la polizia lì?».
Difficile commentare. Dopo 40 minuti o più arriva la seconda ambulanza su cui viene caricato M. Il mezzo di soccorso
resterà fermo a lungo davanti alla questura per poi partire con un codice giallo in direzione dell’ospedale Niguarda.
Mentre l’ambulanza parte, il pensiero va a chi è entrato e passerà la notte nel cortile interno della ex caserma: donne
e bambini in un tendone, gli uomini all’aperto. Sono circa 200 persone. All’apertura effettiva degli uffici, tutti
verranno identificati e potranno finalmente ottenere un appuntamento per registrare la richiesta di protezione
internazionale ed iniziare una nuova lunga coda in attesa del permesso di soggiorno. Una sorte ben diversa tocca a chi
non riesce ad entrare che non solo non accede ad alcun diritto, ma corre anche il rischio di essere detenuto in un
Centro di Permanenza per il rimpatrio (CPR) ed espulso.1 Sembra paradossale, ma potrebbe essere riportato nel Paese da
cui fugge e consegnato nelle mani delle autorità che lo perseguitano. Nella maggior parte dei casi, quindi, entrare in
via Cagni è una questione di vita o di morte ed l’unico modo di poter iniziare a vivere in modo “regolare” in Italia.
Da Cutro a Milano il messaggio è difficilmente equivocabile: alcune vite valgono più di altre; tuttavia, mentre i
politici si appuntano sul petto la medaglia di chi fa più rimpatri o di chi riceve meno domande d'asilo, resistono le
attività di monitoraggio e le dimostrazioni di solidarietà di chi2 non si riconosce nella gestione securitaria e nella
necropolitica dei confini3.Da gennaio alcune associazioni cercano di dare supporto ai richiedenti asilo in via Cagni
attraverso la compilazione di moduli in cui le persone possono attestare la loro volontà di richiedere la protezione
internazionale e testimoniare la loro presenza davanti agli uffici. La raccolta di questi documenti ha permesso di dare
inizio ad azioni legali con il supporto di avvocati per vedere riconosciuto quello che è un diritto garantito dalla
Costituzione Italiana e da numerose norme internazionali.
Tutto questo, però, non basta. C’è bisogno di ripensare a come chi rischia di meno possa stare accanto a chi rischia la
vita e di pensare a nuove forme di resistenza e di protesta per evitare che la disumanizzazione diventi la normalità. In
ogni porto, in ogni stazione, in ogni centro di detenzione, in ogni questura si riproducono relazioni di potere che
ridefiniscono nella nostra società rapporti di dominazione e sopraffazione. Non possiamo restare fermi a guardare. (19
aprile 2023, da milanoinmovimento.com)

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milano: Non vogliamo vivere sotto un ponte
Siamo i lavoratori immigrati delle occupazioni di Ci Siamo: gli abitanti degli ex bagni pubblici di Via Esterle 15,
spazio per decenni abbandonato che il Comune un anno fa ha messo a bando per finalità religiose e che è assegnato alla
Casa della cultura Musulmana di via Padova con una evidente contrapposizione fra il diritto all’abitare a quello al
culto; gli abitanti di Via Fracastoro che in questo momento stanno ospitando le 40 persone tra single e famiglie
sgomberate dall'ex stabilimento San Carlo di via Siusi 12, il 22 marzo scorso, dopo due anni e mezzo di vita in comune.
La situazione attuale mette a dura prova le vite di tutti noi: perdendo la casa rischiamo di perdere anche il lavoro,
perdendo il lavoro rischiamo di non poter rinnovare i documenti e di trovarci irregolari in Italia.
Vogliamo dal Comune risposte concrete e durature per non distruggere questa comunità, dando un alloggio dignitoso a
tutti. Vogliamo dal Comune anche la residenza lì dove abitiamo. Quella di Ci Siamo è una comunità che ha ricevuto forte
solidarietà fin dall'inizio dagli abitanti dei quartieri in cui sono nate le occupazioni: hanno portato libri, indumenti
e arredi, e hanno collaborato all'attività della scuola di italiano. Le occupazioni abitative sono un importante luogo
di socializzazione ed autorganizzazione sulle tematiche lavorative, coloniali, abitative, dove c’è una costante ricerca
di autonomia individuale e collettiva.
Siamo persone tra cui alcune famiglie con minori, provenienti dal Mali, Gambia, Marocco, Brasile, Benin, dalla Costa
D’avorio, dalla Guinea Conakry, dal Togo e dal Perù. La maggior parte di noi ha i documenti, altri sono in attesa di
riceverli, altri ancora aspettano la sanatoria dal 2020. Lavoriamo nel settore edile, delle pulizie e della logistica,
come badanti o rider.
Il problema abitativo a Milano è enorme: gli affitti sono troppo alti per lavoratori con contratti brevi e sottopagati.
Per non parlare anche dell’aspetto razzista che vede spesso la resistenza dei proprietari di casa ad affittare agli
immigrati.
In meno di 10 anni sono stati convalidati oltre 20.000 sfratti nella città di Milano, dato che non dà il quadro completo
della povertà abitativa, perché non figurano tutte quelle persone che lasciano la casa prima che arrivi la forza
pubblica. Inoltre, al tribunale di Milano ci sono 5.000 pignoramenti pendenti di persone che non sono più riuscite a
pagare il mutuo. In questo contesto di 57.000 alloggi pubblici, 10.000 sono sfitti; nel 2016 sono stati stanziati 140
milioni di euro di soldi pubblici per ristrutturare 6.000 alloggi che non sono stati interamente assegnati. Ogni anno le
assegnazioni non superano i 1.000 alloggi. Lottiamo per:
L’abolizione dell'articolo 5 del piano casa Renzi/Lupi del 2014 che impedisce di prendere la residenza e di fare gli
allacci nelle abitazioni occupate o utilizzate senza un contratto; permesso di soggiorno incondizionato per tutte/i non
legato al contratto di lavoro né alla residenza, valido in tutta l'Unione Europea, e il mantenimento della protezione
speciale; azzeramento dei costi dei permessi di soggiorno; cittadinanza per tutte/i le/i bambine/i nate/i in Italia;
abolizione di tutti i decreti sicurezza; fine degli abusi e dei lunghi tempi di attesa nelle questure; chiusura dei
centri di detenzione (CPR) e la fine dei rimpatri.
Consideriamo la manifestazione indetta per il 20 aprile davanti al Comune di Milano una tappa all’interno di un percorso
che anche altre portando avanti in questa città e con le quali vorremmo approfondire e sviluppare un terreno comune di
lotta capace di esprimere una forza sociale in grado di contrastare gli interessi padronali sempre più egemoni in ogni
aspetto della vita.
Aprile 2023, Ci Siamo - Rete solidale - Milano


Lettera dal carcere di ferrara
Anche i diamanti affondano nel fango.
Quando ero giovane e vivevo in un posto dove non c'era lavoro, è stato facile farsi coinvolgere in cose più grandi di
me. Per sfuggire al peggio, decisi di andarmene all'estero. Avevo lasciato la famiglia, la mamma da sola in lacrime, non
sapevo se ce l'avrei fatta, ma tornare indietro sarebbe stata la mia rovina e così ce l'ho messa tutta per inserirmi
nella società del paese che mi ospitava. Ho imparato la loro lingua e il rispetto delle loro leggi, ho fatto la gavetta
fino a diventare io stesso responsabile di una grande azienda. E' possibile, ho pensato, allora ci vuole solo
un'opportunità. Ce l'avevo fatta e per coronare il risultato di tanto sacrificio ho incontrato il grande amore nella
bella e giovane figlia del proprietario dell'azienda dove lavoravo. Poi è arrivato il primo dei due figli tanto
agognati, il piacere di accompagnarlo a scuola, dargli tutta la sicurezza e l'amore che un padre deve a un figlio. Ciò
che era mancato a me. Insomma, il futuro tutto in discesa. Fino al giorno, uno come un altro in azienda, in cui il
cellulare squilla, prefisso italiano: era venuta a mancare mia madre.
In quell'istante è esplosa in me la coscienza della quantità di tempo che mi separava da mia madre. Fino allora gli anni
mi erano scivolati addosso, totalmente assorto a costruirmi una vita degna, un futuro che avrebbe dovuto dare orgoglio
alla famiglia. Mi ero dedicato anima e corpo a costruire una posizione, degli affetti stabili, l'avevo fatto anche per
mostrare a mia madre che suo figlio la meritava. Ci si immerge così nella vita con la mente fissa, trattenendo il cuore
per quel domani. Sarà domani che sarò pronto, ci si dice, intanto i mesi e gli anni volano e si inganna la distanza col
pensiero. Si ha l'impressione di essere stato sempre lì, presente nella gioia e nel dolore, fino a quando il cellulare
suona e la distanza diventa di colpo vera, incolmabile. Stordito, è la parola che mi viene in mente per dire come mi
sentivo.
Senza pensarci due volte faccio prenotare il primo volo per Punta Raisi. Ho solo sei ore per vedere mia madre l'ultima
volta, una corsa estenuante, ma non la sento. Mano a mano che mi avvicino al paesello i ricordi affollano la mia mente;
gli abbracci stretti stretti e i rimproveri, i pianti e le risate, gli anni ridotti all'emozione di un istante, mentre
mi avvicino a lei che se ne è andata. E' successo tutto così in fretta, sembra impossibile che io sia qui, ora e in
queste circostanze. Ancora cinque minuti e ci siamo, la commozione è forte. Scendo dal taxi e son tutti lì ad
aspettarmi, facce che non vedevo da anni ed altre sconosciute. Mi avvio verso casa, l' impressione folle di non averla
mai lasciata, ma non ho nemmeno il tempo di salire il primo gradino. Quattro poliziotti in borghese mi bloccano e mi
invitano ad accompagnarli per una notifica. Venti minuti in Questura, lo sgomento, poi è il carcere.
Ci avevo creduto fino in fondo, avevo rispettato le regole ed ero diventato un'altra persona. Credevo fosse questo che
volesse da me la società, retta da uno Stato con una democrazia solida, capace di comprendere e perdonare. Invece la
macchina giudiziaria non dimentica, colpisce e macina, rigettando una persona nel passato, in una realtà che non gli
appartiene più. "Resisti, ce la faremo, ti aspetterò, vedrai che capiranno"; una lotta impari, mentre la macchina
macina. Anche i diamanti affondano nel fango.
Dire come mi sono sentito e mi sento tutt'ora, farlo in modo da essere capito, è come pretendere di parlare al mondo
ignaro, a quelli già pieni di problemi propri e dire loro: "Ecco, signori miei, dove finiscono le vostre tasse, dove
vanno a marcire le buone intenzioni di chi ci crede, in una pena tardiva che sembra fatta apposta per rigenerare gli
ingranaggi criminali; imprigioniamo un incauto per qualche tempo e avremo un abile delinquente".
A me ci sono voluti sei mesi per metabolizzare che non c'è altro da fare se non scontare la vecchia pena di cinque anni
e otto mesi, prendendo coscienza che nulla sarebbe stato più come prima. Con il tempo diradano i colloqui, si
affievolisce la speranza e poi arriva anche il covid a isolarci ancor più dal mondo esterno; negli ingranaggi sono
caduti anche i familiari, ma che colpa ne hanno loro? Gli Istituti reagiscono con la lentezza che la burocrazia impone,
mesi per avere un colloquio con skype. Intanto mio figlio si chiede perché sono andato via. Vorrebbe essere accompagnato
a scuola da me non da quel signore che dorme con la mamma. É così che comincia la discesa all'inferno.
Per raccontare la giornata di un detenuto a chi vive fuori, bisognerebbe esser capaci di prendere le distanze dalla
pena; come dire, una mente libera in un corpo prigioniero. Solo così riuscirei a dare un senso ai sentimenti
contrastanti, alle irragionevoli questioni che scandiscono il mio tempo di prigione. Se dicessi che la giornata di un
detenuto, tranne per il contatto materiale con gli affetti, è molto simile a quella di chi vive fuori, rischierei di
sdrammatizzare la sofferenza di coloro che in una cella ci marciscono. Però il detenuto, in fondo sa, anche fuori la
vita non è tutta rose e fiori, come si vorrebbe credere quando si è privati della libertà.
Il carcere è una cellula dove si riproduce la complessità cosmica. Qui è tutto concentrato e gli effetti di ogni azione
sono moltiplicati. Anche qui, come fuori, esiste l'illusione della libera scelta: possiamo, per così dire, decidere fra
le scuole statali e le università del delinquere. Va da sè che la seconda opzione è quella che funziona meglio: non
mancano i docenti e il terreno è fertile. Mentre per chi cerca un'alternativa, una via d'uscita, l'Istituto ha ben poco
da offrire: i progetti di reale inserimento nel mondo del lavoro sono scarsi, inefficaci. Mentre il sistema carcerario
sembrerebbe tutto teso a far funzionare la macchina a pieno ritmo, una macchina che produce delinquenza e il cui
carburante sono i detenuti stessi, soprattutto le categorie più deboli.
Con il suo ozio forzato, o camuffato in attività inconsistenti, il carcere dà tutto il tempo di scoprirsi fino in fondo.
Soffia sugli aspetti negativi di sé, fa diventare egoisti, resistenti alle emozioni. Insegna a non pensare al passato,
sarebbe nostalgico, e a non pensare al presente, sarebbe deprimente. Il carcere detta crudelmente le sue regole,
infondendo un ottimismo malsano e un'energia fatta di cinismo e disperazione. Con la tensione sempre al massimo, insegna
a scegliere gli amici per la loro bellezza e i nemici per la loro intelligenza. Ma soprattutto, il carcere insegna a non
dare mai niente per scontato ed essere pronti a tutto, facendo dei detenuti gli ingranaggi di una macchina che si
autoalimenta.
"Qui funziona tutto con le domandine, mettetevelo bene in testa!" tuona l'ufficiale al ricevere un nuovo giunto. Non ci
si rende conto subito dell'insidia che nasconde questa intimazione. Allora io, come tutti, ho cominciato a fare le mie
domandine per le più svariate e basiche necessità. Un medico, la domandina; la lettura, la domandina; ti serve una
scopa, la domandina; non hai capito bene, fai una domandina. "Beh, bisognerà adattarsi" è quello che ho pensato
all'inizio e così ho cominciato a fare le mie brave domandine; cominciavo con un "Gentilissima SV" e finivo con "Si
ringrazia per la gentile attenzione". Se vi dicessi l'oggetto di queste richieste vi mettereste a ridere, per lo più si
tratta di cose che dovrebbero essere in ordinaria dotazione. Comunque scrivo e aspetto, dopo aver inoltrato la terza
domandina, sono passati dieci giorni e niente. Allora chiedo educatamente all'assistente, ma lui non sa e poi non ha
poteri, può dirti al massimo "faccia la domandina", magari anche ridacchiando. E ha ragione di prendermi in giro,
perché, si sa, non è così che in carcere si ottengono le cose. All'inizio non me la sento, prendere uno sgabello e
sfasciare tutto solo per avere un libro dalla biblioteca sembra una barbarità. Possibile, mi dico, che questo sia lo
scopo, privare una persona della propria libertà per poi farlo agire come un forsennato? Non mi ci posso rassegnare, ma
inevitabilmente, non passa molto tempo che anch'io, come tutti, mi metto a ruggire ed ecco che miracolosamente le mie
banali richieste sono esaudite. "Che ti credi" mi sento dire dai più esperti "che sei in carcere per imparare il il
senso civico?" Il mio compagno di cella me lo ripete anche lui dalla sera alla mattina: "Chiedi al macellaio che ti
insegni ad essere vegetariano".
Da non crederci, eppure anche il personale è fatto di carne e ossa come noi, possibile che tutti loro siano succubi
della stessa macchina? Impossibile, mi dico, ci deve essere l'eccezione, e così mi faccio coraggio e tento di mantenermi
umano. Ma è come remare controcorrente, in poco tempo anche questa illusione scema ed eccomi pronto a trasformarmi in un
ingranaggio ben oliato.
Ho letto che più del 65% dei detenuti sono giovani stranieri con recidiva, arrivati in Italia con vari mezzi e varie
intenzioni, di cui una congrua parte invisibili allo Stato, senza un ideale, una famiglia, un mestiere, una scuola e
senza una casa. Ci si accorge di loro solo quando accade un fatto grave di cronaca per poi prendere tardivi
provvedimenti per "l'opinione pubblica". Finito di scontare la pena, per lo più mettono in atto quello che hanno
imparato nel carcere. Il problema si potrebbe e dovrebbe risolvere a monte, e troppo a lungo si protrae il dibattito se
è utile o inutile sparpagliare queste persone in tanti piccoli centri o addirittura in case sparse in tutta Italia.
Anche fra le cooperative ci sono quelle che sfruttano i fondi e non fanno nulla per l'integrazione. In Italia ci sono
centinaia di caserme militari vuote con capienza di migliaia di persone ognuna con limiti invalicabili, facilmente
controllabili, camere, letti, materassi, coperte, bagni, docce, cucine idonee e funzionanti, infermeria. Le persone che
sbarcano si potrebbero accogliere e subito capire se vogliono restare in Italia. Tanti conoscono un mestiere e vogliono
lavorare. Ci sono quelli diretti in altre Nazioni, e sarebbe forse meglio applicare subito un accordo europeo per poter
andare altrove. Ci sono quelli che per lavoro vogliono rubare, spacciare o peggio ancora essere attivi nel terrorismo.
Perchè non rimpatriarli subito? In questo modo si potrebbero evitare tante carcerazioni inutili.
Qui ho conosciuto Ilias, un ventunenne nigeriano, con la testa piena di cicatrici. Le avrebbe potute nascondere con i
capelli, se non fosse che gli crescono solo dietro la nuca e allora preferisce rasare anche quelli. Ilias è un
sopravvissuto. Partito dalla Libia con un barcone fatiscente assieme ad altre diciotto persone fra grandi e piccoli.
Dopo alcuni giorni di mare, mentre pensavano di non farcela più, spunta una nave di una Ong che li porta in salvo. Lunga
attesa nel porto, finalmente vengono accompagnati al centro di accoglienza profughi di Lampedusa. Il suo unico pensiero
è ricongiungersi con suo zio a Ochtendung, per lavorare in un maneggio. Le cose vanno per le lunghe, l'attesa
insopportabile, una notte di pioggia scappa dal centro e si incammina verso la sua meta. Giunto in un parcheggio e vede
una bisarca con una targa tedesca. Senza perdere tempo si infila in una macchina sistemata al secondo livello e poco
dopo sente partire il camion. Si rilassa e si addormenta, il tempo di sognare di essere arrivato da suo zio e sono
passate otto ore. Sente dei rumori, apre gli occhi e vede che stanno scaricando le macchine. Un balzo e via per il
centro della città.
"Avrei dovuto sospettarlo che era passato troppo poco tempo per essere già in Germania" racconta Ilias con gli occhi
lucidi. "Ma così, all'improvviso, ci volevo credere ed ero tutto contento, finché ho incontrato per caso un gruppo di
nigeriani e loro mi hanno detto che invece ero a Napoli".
Da lì a poco si imbatteranno in una rissa di spacciatori e un ragazzo rimane a terra gravemente ferito. Tutti scappano,
ma lui che non ha capito niente si avvicina al ragazzo per dargli soccorso, senza immaginare in quale guaio si stava
mettendo. Non passano tre minuti e arrivano i carabinieri, lo ammanettano e, ancor prima di capire, si trova a
Poggioreale accusato di tentato omicidio.
Ilias si prende la testa tra le mani, mentre conclude per l'ennesima volta il racconto della sua disgrazia. "lo non
capisco proprio, non sentivano ragioni, non gli sembrava vero di trovarsi fra le mani qualcuno da sbattere in galera, e
se negro meglio ancora. E pensare che ero venuto in Europa per lavorare e magari prendere anche un diploma. Invece là
fuori gli immigrati stanno per strada e li sfruttano pure. Che scelta avrò uscito da qui, mi troverò a spacciare come
quegli altri di Napoli?"
E' chiaro che in carcere ognuno tende a ricostruire la propria storia, ma, in fondo, ci capiamo, stiamo fianco a fianco,
soffriamo le stesse pene ed è impossibile nascondere all'altro la propria indole. Ilias è trasparente, ancora oggi non
sa che cosa gli sia successo. lo lo compiango, perché so come vanno queste cose e ascoltare il suo vissuto non stupisce
più di tanto. Le carceri sono piene di errori giudiziari. Ilias è giovane e piange, non capisce che la legge è legge,
non mangia e non dorme da quattro giorni, poi si piega al carrello, la manosanta con la quale si risolve ogni
inadempienza, soprattutto quelle del sistema.
Il passaggio del carrello è atteso a becco aperto dagli uccelli in gabbia. E' preciso, regolare e la scelta formidabile:
subotex, prozac, xanax, lexotan, valium, tavor, depakin, seroquel, rivotril, contramal, lirika, tachipirina, purghe. Ma
quella che va più di tutto è la cosiddetta pillola di Padre Pio che va bene per tutti i mali, c'è da farsi una cultura.
É il metadone. Ho visto detenuti che per averlo fingono di suicidarsi e spesso ci riescono. Del resto, se uno ha un mal
di denti insopportabile e sta nella famigerata lista d'attesa del dentista, come calmarlo nel frattempo se non con la
manna dal cielo del carrello? Intanto il tempo passa, la carie avanza, non rimane che procedere all'estrazione e così
finisce il problema. Però c'è da dire che non vige in tutti gli Istituti. Radio carcere informa che in alcuni solo sei
mesi dopo si riesce a ottenere una visita odontoiatrica, mentre non consentono la visita oculistica; in altri funziona
l'ortopedia e così via. Ogni Istituto si fa le proprie regole e con quelle cerca di rimediare alle falle del sistema
penitenziario.
E mentre la macchina macina, si rischia ogni mattina, all'apertura dei blindi, di ritrovarsi coinvolti in una zuffa o
spettatori di scene penose. Si tratta perlopiù di persone che, invece di stare in carcere, avrebbero bisogno di cure
speciali. Non esistono più le OPG (Ospedale Psichiatrico Giudiziario), sono state sostituite dalle REMS (Residenza per
l'esecuzione delle Misure di Sicurezza), le quali risultano essere ridicolmente insufficienti per coprire il reale
bisogno. II DAP (Dipartimento dell'Amministrazione penitenziaria) è allora costretto a scremare i malati di mente in
vari istituti penitenziari che a loro volta li diluiscono nelle sezioni comuni. Poiché non esiste personale
specializzato per trattare con questi pazienti, è ovvio che si finisce per aggravare i problemi psichici gli uni e le
condizioni di vita degli altri. Di qui il clima di tensione e di generale invivibilità che vige in carcere e che spesso
porta al dramma.
Arturo è uno dei tanti. Giovane e tossico da troppo tempo per fare ancora la differenza tra il lecito e l'illegale o per
assumere la responsabilità dei propri atti. Se uno gli chiede la ragione per cui si è ritrovato dietro le sbarre, lui
deve pensarci e ogni volta dà una risposta differente. Ma è un ragazzo gentile e non farebbe male a una mosca,
d'altronde non se lo potrebbe neanche permettere data la sua fragilità non solo psichica. Sono proprio quelli come lui
la causa principale di tante sciagure che accadono da noi, Quando a uno di loro prende una crisi di notte e non c'è il
personale preparato a intervenire, questi comincia a sbattere il blindo e sveglia tutta la sezione. Loro, poveretti, non
se ne rendono conto e in genere al mattino chiedono scusa. Ma c'è chi non lo sopporta, i nervi saltano e le conseguenze
sono prevedibili.
L'altro giorno Arturo mi si è avvicinato all'ora d'aria, era tutto pesto e sapeva che l'avrei consolato. "Ti giuro che
non ho fatto niente" si giustificava "ho solo chiamato l'assistente, mi mancava il respiro, ma lui non veniva". Arturo
non è cosciente del fracasso che ha fatto. É un ragazzo sensibile e anche intelligente, avrebbe potuto fare cose buone
nella vita, se non fosse capitato male e se almeno qualcuno lo curasse come si dovrebbe. É una pena vederlo distruggersi
giorno dopo giorno in questo posto.
E poi c'è il signore della cella di fianco alla mia, viene chiamato da tutti "lo Zio". É da diverso tempo che sta solo
in cella, forse perché ha una condanna pesante. Ho avuto modo di leggere tutti i suoi documenti processuali - cosa che
dubito abbiano fatto i giudici - secondo me non doveva neanche entrare in carcere. Lo Zio è una persona speciale,
nonostante la condanna e l'età avanzata, lo invidio. Ha un modo tutto suo di fare e di ragionare. Come farà a dire che
la legge è la legge e che va sempre rispettata, anche quando sbaglia? É diverso, diverso da tutti. Parla con quelle
guardie, le stesse che lasciano Arturo contorcersi tutta la notte in cella, come se fossero suoi fratelli o, i più
giovani, suoi figli. É veramente strano, strano come il fatto che viene rispettato da tutti noi. Sarà anche perché lui
ha rispetto verso tutti dal primo all'ultimo ed è sempre il primo a lottare contro questo sistema malsano. É diverso
perché riesce a farsi scivolare addosso tutti gli errori e gli arcaismi del sistema, per sé trattiene solo le cose
buone. Solo lui riesce a mettere pace alla sezione quando sorgono diatribe. Lui con pacatezza riesce sempre a trovare
una giusta "quadra". É un fanatico del buon mangiare: la colazione solo coi biscotti di Marilena, pochi salumi e solo di
Fabrizio. Se sta mangiando e lo voglio prendere in giro, gli dico: "Zio, ora ci vorrebbe una bottiglia di Sassicaia" e
lui puntualmente risponde "Basterebbe un bicchiere di Aglianico", se sta mangiando salame, di Falanghina, se è pesce...
Il tempo passa inesorabilmente, è un po' come i compleanni che si festeggiano per poi rimpiangerli. Adesso lo Zio si è
iscritto anche nella squadra di rugby. Non si rende conto che ha quasi cinquantacinque anni ed è vecchio.

Francesco D'Angelo, via Arginone, 327 - 44122 Ferrara


LETTERA DAL CARCERE DI milano-OPERA
Sono le 3:40 di notte ho 29 anni. Ciao bellissimi, oggi è il 8/3/23 ed è il mio compleanno, ho deciso di scrivervi
avendo ricevuto la vostra lettera con l’opuscolo che avete fatto ma la mia ultima lettera non c’è speriamo nella
prossima venga pubblicata.
Purtroppo io sono in carcere da quando avevo 16 anni. Purtroppo io da ragazzino ho avuto un’infanzia molto ma molto
difficile, ho perso mia madre a due anni davanti ai miei occhi, da quel giorno mio padre è diventato violento nei miei
confronti, da mandarmi in ospedale in coma farmacologico per ben due volte, finché non ho trovato una signora che mi ha
aiutato ad entrare in un collegio di suore. Purtroppo crescendo non riuscivo a capire perché mio padre era diventato un
estraneo nei miei confronti e mi voleva morto…
Arrivato all’età di dieci anni decisi di cercarlo e cercare di capire ma lui disse una cosa sola: “mamma è morta per
colpa tua”… Appena sentii quella frase presi un vaso che c’era lì e glielo diedi direttamente in testa, lui svenne e io
entrai in casa presi tutti i gioielli miei e di mia mamma e scappai in stazione a Gorizia, presi il primo treno per
Milano, arrivai a Milano all’età di 10 anni da solo senza nessuno. Da lì incominciai la mia vita da strada, ero un
ragazzo già sveglio all’età di 10 anni. Purtroppo vivendo in mezzo alla strada, i soldi dei gioielli che avevo preso
erano finiti, e mi ritrovai a dover rubare per vivere. Purtroppo dio mi aveva dato la furbizia e l’intelligenza per
fregare le persone sotto i loro i occhi, questo non vuol dire che io facevo cose buone, ma era l’unico modo per
sopravvivere, io non mi fidavo di nessuno più. Perché mio padre mi aveva rovinato la vita. Purtroppo la mia vita in
mezzo alla strada è andata avanti per ben 18 anni a dormire in un sacco a pelo sul marciapiede di corso Buenos Aires,
vicino Ovs… Ovviamente in 18 anni sono entrato in carcere ben 5 volte, con la prima condanna da minorenne di 2 anni e
mezzo al Beccaria, poi sono uscito mi è arrivato un definitivo di altri 2 anni, Treviso minorile me li sono fatti tutti,
poi sono uscito due giorni prima di compiere 18 anni. Purtroppo rimaneva sempre lo stesso problema, non avendo famiglia
e nessuno, vivevo ancora in mezzo alla strada; mi ero stufato di rubare, allora mi misi in mezzo allo spaccio nei
boschi, dove i soldi sono tanti e facili, è un rischio però nessuno guadagna 5000 euro al giorno. E perciò ho cominciato
a spacciare la prima volta che sono entrato a San Vittore, solo perché non gli dicevo chi mi dava la droga mi hanno
fratturato due costole e rotto un dito, ovviamente io non parlai. Perché l’unica persona con cui avevo più confidenza mi
aveva sempre insegnato e detto non essere mai infame, piuttosto fatti uccidere perché hai scelto tu questa vita in mezzo
alla droga nessuno ti ha costretto. Pensate che addirittura da tanto io sia omertoso non denunciai nemmeno la guardia
perché non mi sembrava giusto visto che la vita da spacciatore l’avevo scelta io per poter pagarmi vestiti, locali
insomma mi è sempre piaciuta la bella vita. Purtroppo adesso sono dentro da sei anni, ho fatto un paio di mesi fuori e
mi è arrivato un altro definitivo di 5 anni e 8 mesi.
La mia situazione qui in carcere è molto critica perché non effettuo colloqui non avendo nessuno, ho perso tutti i miei
vestiti quando mi hanno arrestato, non ne parliamo della situazione economica, sono costretto a fumare i mozziconi che
buttano i detenuti in terra. Ho due paia di mutande e giusto 2 cambi, quello con cui mi hanno arrestato e le pantofole e
una felpa che mi ha dato un ragazzo che è uscito, pensate come sono ridotto a lavarmi e metter i vestiti sporchi se
l’unico cambio che ho non è asciutto qui a Opera è il carcere più schifoso che ci sia... Scusate veramente se mi sono
permesso di chiedervi queste delle cose, se non potete fa niente continuerò come sto facendo adesso, l’importante è che
non abbia creato problemi o essere stato troppo invasivo non conoscendovi, non lo vorrei fare mai, sono già stato troppo
cattivo per dio nella mia vita, non vorrei mai passare per un accattone. Spero che vi abbia fatto piacere che io vi
abbia scritto, aspetto una vostra risposta al più presto… grazie di tutto. A presto. (Opera, 8 marzo 2023)

***
Ciao, mi chiamo [...], ho 19 anni. Sono nato il 19 ottobre 2023 in Uruguay. Ammiro le vostre proteste, non solo, anche
quello che fate per le persone e per tutti noi. Vi vedo sempre dalla finestra del carcere di Opera, “carcere”!...
manicomio se si può dire.
Vengo dall’Istituto del Beccaria e già un anno che sono dentro a sto inferno di Opera e sto dando i numeri. Sto andando
fuori controllo. Dal 2019 che sono dentro e non ho preso neanche 1 giorno di liberazione anticipata e mi mancano 3 anni
e 11 mesi per delle rapine che ho commesso qundomavevo 15 anni. Mi sento impotente davanti a tutto questo!! Non so come
reagire, sono nei termini per uscire già da qualche anno e non vogliono. Ho le bombe in testa, se solo avessi la
possibilità tornerei in Sud America lontano da sto paese di merda. Mi farei esplodere pur di scappare, vorrei avere una
possibilità, almeno una, mando sempre giù, non vorrei fare una cosa di cui pentirmi. Sto tenendo duro! Grazie a voi che
mi date una speranza. (Opera, 14 febraio 2023)


Lettere dal carcere di Napoli-Secondigliano
Cari compagni del collettivo, Spero stiate bene.
La settimana scorsa ho ricevuto la vostra del 10-01, rispondo solo ora poiché stiamo cercando di organizzarci e volevo
mandarvi informazioni più precise. [...]
Bisogna far sapere pubblicamente che anche i carcerati si stanno mobilitando con scioperi interni, in modo tale che chi
non ha ancora iniziato prenda una decisione.
Credo che in questo momento la comunicazione sia fondamentale, il governo sta giocando molto di propaganda sporca, la
capacità di mobilitare anche i movimenti studenteschi è stata ottima. Gli studenti sono da sempre alla base del
cambiamento culturale. Come condiviso anche con i vari compas, quello che avete fatto è molto importante e
significativo. Avete dato il via a una rivoluzione culturale, ad una nuova avanguardia di lotta. Sappiate che nutro un
grande rispetto per  quello che state facendo.
Tenete duro, un abbraccio solidale a tutti/e i/le compagni/e del collettivo Olga.
 
5 febbraio 2023
Claudio Cipriani

***
Un saluto a tutto il collettivo Olga. Vi mando queste poche righe per inviarvi come sempre tutta la mia solidarietà.
Attendo di effettuare una visita neurologica prima di intraprendere l’eventuale sciopero della fame, questo poiché
potrebbero sorgere delle problematiche ancora prima di iniziare.
Poichè comunque non intendo rimanere nei miei confort, mentre un carcerato come me si spende per una causa che dovrebbe
accomunare tutti i carcerati, vi mando, come fatto ai “compas” di (TN) copia di una dichiarazione che depositerò lunedì
20 in direzione, una seconda copia sarà inviata al mio magistrato di sorveglianza.
Il discorso referendum oltre che legittimare il popolo è una provocazione volta a mettere in luce il vero lato
governativo.
Dal mio punto di vista, ed è un mio pensiero, la maschera democratica indossata dinanzi l’opinione pubblica in realtà
nasconde il vero volto autoritario del sistema.
Non posso non notare tutti i sistemi di controllo sociale che ogni giorno prendono vita, con la scusante di migliorare
le nostre vite, quali controllo facciale ecc.
Sperando sempre che qualche carcerato si risvegli, da lunedì rinuncerò al vitto che mi spetta come forma di protesta
perpetua, il riferimento in solidarietà ad Alfredo ma non solo è palese poiché in precedenza mi sono espresso più che
chiaramente.
Un abbraccio solidale a tutti voi sperando che un giorno si possa vivere senza carceri.

16 marzo 2023
Claudio Cipriani, via Roma Verso Scampia n. 350 - 80100 Napoli
***
Alla Direzione Centro Penitenziario Secondigliano - Napoli
Oggetto: Sciopero del vitto
Io sottoscritto Claudio Cipriani, nato a ---, il ---, attualmente ristretto c/o C. P. di Secondigliano e ubicato c/o il
reparto Mediterraneo, Sez. 4a, in espiazione sentenza definitiva. Premesso:
A) Che da tempo si discute sull’illegittimità dell’art. 41-bis, disposizione introdotta con legge Gozzini,
successivamente modificato con Decreto Legge n’ 306 8 giugno 1992, convertito in legge il 7 agosto 1992, n’ 356. Misura
che, già dalla sua nascita, doveva avere un carattere “temporaneo”, ma che di fatto continua ad essere prorogata nel
tempo, provocando una distorsione giuridica ed alzando il velo di incostituzionalità che continua ad avviluppare il
condannato.
Divieto di detenere libri, giornali. Limitazione dei colloqui. Sospensione del trattamento, di fatto ci collocano in una
posizione anti-giuridica e anti-costituzionale. Lo stesso Comitato Europeo per la prevenzione della tortura e delle pene
o trattamenti inumani o degradanti (C. P. T.) ha definito i nostri trattamenti di restrizione estrema “inumani e
degradanti”. L’effetto più atroce di questo regime di reclusione del sistema carcerario è la sua estensione che va ben
oltre l’imprigionamento, che tramite la sua distorsione arriva alle masse, e che rende naturale e legittimo il potere di
punire.
B) Che, nonostante sia stata abrogata la pena di morte, di fatto tale pena continua ad essere applicata tramite
l’ergastolo ostativo, ove la sua ostatività non consente di accedere ai benefici. Ritengo in congiunto che tali condanne
o pene rappresentino ad oggi un fallimento sociale.
Non posso che essere sensibile nei confronti di chiunque manifesti il proprio pensiero pacificamente, volto a scardinare
questo clima di illegalità. Come forma di protesta contro, e per l’abolizione del 41-bis. Come forma di protesta
pacifica contro, e per l’abolizione dell’ergastolo ostativo, e contro le pene accessorie quali ex Cirielli che aumentano
di fatto la condanna del “reo” basandosi sul suo storico, di fatto condannandolo per ciò che è, e rendendosi
responsabili delle condizioni di sovraffollamento carcerario.
Dichiaro che: dalla data di lunedì 20 marzo 2023 inizierò lo sciopero del vitto rinunciando a prendere quello che mi
spetta in termini di a) colazione; b) pranzo; c) cena; d) pane e frutta. La mia forma di protesta si aggiunge a quella
del rifiuto dei benefici quali affidamenti ai servizi sociali, detenzione domiciliare, L. 211 ed L. 199 e permessi
premio sino a quando non verrà richiesto un referendum popolare per l’abolizione di tali norme.


lettere dal carcere di san michele (al)
Pubbichiamo, in ritardo, due lettere-comunicati dalla sezione AS2 del carcere di Alessandria, il primo in solidarietà ai
compagni/e detenuti/e in regime di 41 bis, il secondo sulle ragioni della battitura effettuata venerdì 13 gennaio 2023,
inviato anche al MdS, all’avv. Giuseppe Pelazza del Foro di Milano, al Garante Nazionale.

Crisi, guerra, repressione contro lavoratori, disoccupati, studenti. In questo contesto si è ultimamente estesa
l’applicazione del regime carcerario del 41 bis per i prigionieri rivoluzionari; un regime che mira all’annientamento
della loro identità e integrità psico-fisica. Il 9/11/2022 ho prolungato l’aria in:
- solidarietà con Alfredo Cospito, prigioniero anarchico in sciopero della fame ad oltranza nel carcere di Bancali-
Sassari contro il 41 bis;
- solidarietà con i prigionieri delle Brigate Rosse-PCC, Nadia Lioce, Marco Mezzasalma, Roberto Morandi, che da più di
15 anni resistono al regime 41 bis.

9 novembre 2022
Nicola de Maria, militante prigioniero delle Brigate Rosse-colonna Walter Alasia

***
Basta! Non siamo polli da allevamento! Nel carcere di S. Michele-Alessandria i prigionieri in AS/2 vi sono stipati in 10
in una sezione di 7 celle cubicolari, senza saletta di socialità, con un passeggio di 5 metri x 5 metri.
Venerdì 13.01.2023 è stato annunciato l’arrivo di un altro prigioniero. E’ necessaria una sezione adeguata al numero di
persone, con un passeggio normale, con spazi per l socialità. E in generale con condizioni di vivibilità dignitose, in
cui siano garantite attività fisica e di studio, attualmente impossibili a discapito della integrità psico-fisica dei
prigionieri. Per queste ragioni e, ancora, cotro il 41-bis, ho effettuato una battitura.

Alessandria, 13 gennaio 2023
Nicola de Maria, Strada Casale, 50/a - 15122 San Michele (Alessandria)


Lettera dal carcere di Sulmona (Aq)
Carissimi compagni, vi spedisco questo scritto per farvi avere mie notizie e con la speranza che potete ricevere questa
lettera, anche perchè oggi più di ieri i controlli nella posta e in generale sono sempre aumentati, e la situazione è
molto difficile in tante carceri italiane.
Questa è la realtà che non rispecchia la “legge!” e questo dovrebbe provocare in ciascuno di noi, “in ogni uomo e
donna”, la volontà che non sia corretto questo stato di cose. Il tema carcere ha il merito di obbligare al confronto,
dare risposte, ma attualmente il carcere nel nostro paese è una realtà drammatica. E’ lo specchio rovesciato di una
società, lo spazio dove emergono tutte le contraddizioni e le sofferenze di una “società malata”.
In realtà, per come funziona questa società, possiamo solo decidere come comportarci di fronte a leggi che altri hanno
stabilito per noi e che un governo ha imposto all’immensa maggioranza delle donne e degli uomini.
Chiediamoci: questa società è così virtuosamente dispensatrice di valori così elevati e di relazioni così egualitarie da
raccomandare al suo interno?
Occorre avere una maggiore stima nelle persone detenute, perché possano fare un cammino di riabilitazione sociale.
Bisogna farsi carico dei problemi e dei vissuti della “persona detenuta”. Ecco il dubbio, e quindi la domanda da porsi
è: le leggi, le istituzioni, credono veramente che nell’uomo carcerato c’è una persona umana, da rispettare, salvare,
promuovere, educare e liberare? La sopravvivenza è come un libro della giungla ove ognuno è libero si sentirsi l’animale
che più gli appartiene. Oggi se sto male mi chiudo e nascondo dentro di me il dolore, perché quello è solo mio e nessuno
lo può capire, perché ciascuno ha le sue sofferenze che non vanno denigrate e messe in piazza... Un uomo deve saper
lottare, andare avanti e vincere, anche se pieno di dolore, ecco allora la dignità con tutto il suo possente potere.
Purtroppo oggi per i governanti, la solidarietà è compresa come una brutta cosa che non si deve fare tra i prigionieri,
o con chi lotta in libertà per i diritti di tutti, e per migliorare la vita.
Vi informo che da una settimana ho fatto lo sciopero del cibo del carrello dell’amministrazione del carcere come cosa
personale per solidarietà al compagno Alfredo. Cosa che ho fatto perché la sento e ritengo giusta, anche perché
umanamente si deve sentire da parte di tutti che sanno le sofferenze, e sostenere Alfredo. Una lotta giusta per i
diritti di tutti e per la libertà per tutti gli uomini che si trovano in questi posti di sofferenza, e anche per
l’abolizione del 41 bis e per il reato ostativo dell’articolo 4 bis.
Sicuramente è sempre molto difficile trovare convergenza da parte di tutti per diversi motivi, che devono essere capiti
e compresi, tutti gli atteggiamenti di persone che hanno molto sofferto e fatto una vita di galera.
Anche se si parla di piccole iniziative di lotta, non si riesce a trovare una convergenza comune per manifestare la
solidarietà, e poter migliorare la vita comune di chi lotta per la libertà (Alfredo).
Per me sono le piccole lotte molto importanti che fanno sentire forti e liberi tutti quelli che lottano per i propri
diritti, per un mondo migliore e un mondo senza galere e di uomini liberi.
Certamente è importante prendere coscienza tutti uniti per portare avanti quelle lotte che si riesce ad avere quel poco
di vivibilità, sarebbe una buona cosa, anche se il primo pensiero per tutti i carcerati deve essere uscire da questi
posti di sofferenza dove nessun uomo deve stare. Saluti cari a tutti.

2 febraio 2023
Antonino Faro, Piazzale Vittime del dovere - 67039 Sulmona (AQ)


Lettera dal carcere di Roma-Rebibbia
Carissimi compagni/e un saluto collettivo a Olga. Proprio ieri mi è arrivato l’opuscolo 153 [...] Precedentemente, tutti
voi state nei miei pensieri, e viceversa. Oggi mi sento in forza per scrivervi, da molto tempo che volevo scrivervi, ma
il mio stato di salute, e altri problemi qui dentro, non ho potuto. Troppo concentrato a essere in lotta contro la
penitenziaria, e l’area sanitaria. Ho fatto 20 giorni di sciopero della fame in solidarietà ad Alfredo che sta lottando
contro il 41 bis, e il mio sciopero della fame era riferito a questo, con tanto di dichiarazione contro il 41 bis. E il
primo giorno l’agente mi disse proprio questo che fai come la notizia divulgata dai media di Alfredo gli dissi di sì, e
tutti si incazzarono, e chi se ne frega, ma ho ricevuto molti dispetti, e ogni mezz’ora passava sempre la guardia a
[...], e mi controllano, già sto passando un brutto periodo, ma il mese di febbraio è stato terribile. E ora è iniziato
questo mese nuovo. Ho discusso con molte guardie, per il nervoso di tutto ciò che succede qui dentro. Ho parlato anche
con la direttrice di reparto, urlandogli addosso. Sanno benissimo che ho ragione al 1000x1000, e mi hanno fatto un
baffo, proprio ieri c’era la guardia di merda nel [...] della spesa, che gli ho rotto il cazzo per un mese intero, ieri
è solo arrivato, per i dispetti del sopravvitto, che mi hanno fatto passare solo le sigarette. Alla fine mi ha portato
all’esasperazione al reparto, portandomi dentro una stanza, minacciandomi che volevano mettermi le mano addosso davanti
a un altro assistente dicendomi se pesavi 30kg di più mi avrebbe fatto una faccia tanta e io gli ho subito detto dai
forza mettimi le mani addosso ma gli ho detto io reagisco, non sto con le mani in tasca, tanto dopo voi schifosi venite
in 10, ti prendono per il culo e altro, ma tra [...] non si toccano.
Alla dott.ssa la sto facendo diventare matta, sempre a visita medica, per i miei problemi di salute, insieme al mio
avvocato che mi sta aiutando molto per farmi uscire con il differimento pena per malattia, e sta dottoressa non mi vuole
fare il certificato per essere mandato fuori, il magistrato mi ha mandato tutta la cartella clinica, con una pec, che
dice che serve la mediazione sua che non vuole dare perchè la insulto, tra lei e (...) quando mi vedono abbassano la
testa, che l’ho detto a tutti questi infami, che un giorno che mi parte la brocca entro in infermeria e sequestro a
tutti, ma su questo ho fatto un errore, non dovevo dirglielo, dovevo farlo e basta. Questo sistema non funziona, e
glielo dico tutti i giorni a tutti dal più piccolo (...) al più alto e già so che mi aspetterà da loro, il più buono me
lo metterà in quel posto per farti (...) e a zittirti, che tutti lo sanno bene, ma qualche volta vinco io, perchè gli
sto creando il panico a modo mio da solo, e loro mi fanno i dispetti, e mi urta quando mi alzano la voce, e questo mi fa
diventare ancora più (...) contro di loro, e contro l’infermeria.
Guardate che sto facendo questo per fare scoppiare un casino, sti infami mi hanno messo più di una volta i detenuti
contro, a posta!
Sono degli assassini, mi sarebbe piaciuto essere fuori e stare vicino ai miei compagni/e per lottare contro di loro come
state facendo soprattutto per Alfredo, che stimo molto e che ha le palle, Alfredo non si fermerà perchè ha le palle, io
penso che lo farà fino alla fine a costo di andare contro la morte, che gli mando tutta la mia solidarietà, come la
mando a tutti/e i miei compagni/e sia dentro che fuori.
Grazie dei libri, grazie di essere vicino tutti noi.
Un forte abbraccio tutti/e.
A presto vostre notizie.
Tutti mi dicono che sono matto, ma so io perchè (...) qui dentro, assassini sono loro.
Ma prima o poi il sogno di ognuno di noi diventerà realtà, io da solo sto dando, nel mio piccolo, il mio esempio a costo
di rimetterci, perchè voglio avere sempre ragione loro.
Ciao a tutti/e i prigionieri/e. Ombra anarchico insurrezionalista Ⓐ

2 marzo 2023
Claudio Perrone, via R. Majetti 70 - 000156 Roma


Lettere dal carcere di Massama (OR)
Ciao compagni, ho ricevuto la vostra lettera e anche Olga, dove avete inserito la mia lettera di solidarietà ad Alfredo,
che purtroppo nonostante cinque mesi di sciopero della fame, non hanno preso nessun provvedimento. Alcuni giorni fa ho
appreso dai notiziari che dalla causa scatenante per l’applicazione del 41 bis è stato prosciolto, in effetti se è
venuto a mancare la base per potergli dare il 41 bis, ne dovrebbero trarre le conseguenze e revocarglielo, ma siccome
non vogliono mostrare segni di debolezza, i fascisti sono fatti così, prima l’apparenza e poi viene il resto. Vorrebbero
che la magistratura trovasse la forma come revocarglielo senza mostrare che hanno ceduto.
Il 24 marzo ha l’udienza dinanzi al Tribunale di Sorveglianza di Milano, per la sospensione della pena per cause
sanitarie, sicuramente il suo avvocato evidenzierà il proscioglimento, con la speranza che l’umanità prevalga sul
fascismo del ministro della giustizia, che per quarant’anni ha fatto il garantista della “domenica”, oggi che ha il
potere di dimostrarlo è diventato più giustizialista dei giustizialisti. [...]
Sono contento che i testi di Davide [Davide Emanuello, detenuto il 41-bis, autore del libro “Diversamente vivo, ndr]
sono stati inseriti in Olga, credo che possa essere d’aiuto divulgarli anche in rete, lui si trova a Sassari; quello che
non capisco la censura totale su un punto molto importante, cioè che il reparto del 41 bis di Sassari è situato sotto
terra. Come anche che il Tribunale di Sorveglianza di Roma che discute tutti i 41 bis d’Italia è illegale e
anticostituzionale, perché la Costituzione stabilisce che ogni cittadino deve essere giudicato dal suo giudice naturale.
L’unico reparto di 41 bis che è giudicato dal suo giudice naturale è quello di Rebibbia a Roma.
Questo Tribunale si può definire come quello Speciale istituito da Mussolini. Nell’attesa che revocano il 41 bis ad
Alfredo, vi saluto con un forte abbraccio a voi tutti augurandovi buone feste, ciao a presto Pasquale.

Oristano, 22 marzo 2023
De Feo Pasquale, Loc. Su Pedriaxiu - 09170 Massama (Oristano)

***
Nel mese di febbraio, dalla sezione di isolamento del carcere di Massama Alessio Attanasio fa sapere all' assemblea
permanente contro il carcere e la repressione del Friuli e di Trieste (Associazione "Senza sbarre" c.p.129 - 34121
Trieste) che gli è stato rinnovato l'isolamento perché, scaduta la sanzione disciplinare. Volevano ricollocarlo nella
stessa sezione in cui, il 23 gennaio, aveva subito un'aggressione (per mano di alcuni aguzzini della polizia
penitenziaria), e lui giustamente si è opposto.
Nel frattempo si era ammalato ed ha dovuto rimanere a letto con una forte influenza; nonostante ciò, il 16 febbraio, il
medico di turno ha rifiutato di visitarlo mentre, il giorno dopo, la dirigente sanitaria responsabile del carcere di
Massama ha redatto un certificato dove attesta buone condizioni di salute. Sulla base di questa falsa certificazione, il
tribunale di Udine ha potuto svolgere lo scorso 17 febbraio un'udienza in contumacia contro Alessio, per presunto
turbamento delle funzionalità dei propri uffici ai tempi della sua più recente detenzione a Tolmezzo (2019-2020).
Praticamente Alessio è sotto processo per aver denunciato a livello giudiziario tutti gli abusi subiti dalle autorità
carcerarie durante la detenzione a Tolmezzo. La procura e il tribunale di Udine paiono così voler ricordare che la loro
"giustizia" deve essere a uso e consumo dei torturatori, degli aguzzini e dei persecutori e non dei prigionieri
resistenti.
Il 2 di aprile Alessio ci informa che oltre al 14-bis, gli è stato riapplicato anche il 41-bis, per cui sarà trasferito
da Oristano alla sezione di Nuoro.
Qui pubblichiamo alcune sue recenti lettere seguite dal suo reclamo “sulle allegre e disinvolte modalità di applicazione
della sorveglianza speciale” che possono servire a far conoscere cosa in realtà dispone la legge e fornire anche ad
altri uno strumento di difesa giuridica. L’indirizzo dove Alessio è attualmente detenuto è: via Badu e Carros, 1 - 08100
Nuoro. E’ disponibile il libro “L’inferno dei circuiti differenziati” scritto da Alessio.

[…] Dopo il riarresto a distanza di 8 giorni dalla scarcerazione (dopo quasi 21 anni di carcere, di cui 20 in 41-bis e
10 di questi in Area Riservata e/o 14-bis) ho faticato a riprendere la concentrazione, ma adesso ce l’ho fatta, e per
prima cosa mi sono iscritto ad un corso di laurea, quello magistrale in giurisprudenza (dopo le lauree in scienze della
comunicazione e scienze dei servizi giuridici), e sto preparando l’esame di Diritto Internazionale (con la speranza di
liberarmi entro l’anno e proseguire in libertà). [...]
Segnalo la recente sentenza della Suprema Corte Sezione Prima del 18 ottobre 2022, depositata il 10 gennaio 2023, n.
424/23, che ha annullato con rinvio al MdS [Magistrato di Sorveglianza] di Novara in merito alle reti sopra i passeggi
del vergognoso reparto 41-bis di Novara dove praticamente non entra la luce del sole. […] (Oristano, 3 febbraio 2023)

***
Al Magistrato di Sorveglianza di Cagliari, al direttore della cr di Oristano, al Ministro della giustizia Roma, al
Garante nazionale dei detenuti, alll’avv.ta Maria Teresa A. Pintus Foro SS.
Il sottoscritto Alessio ATTANASIO nato a Siracusa il 16 luglio 1970, attualmente ristretto presso la casa di reclusione
di Oristano, con la presente INFORMA di avere iniziato in data 5 marzo 2023 il rifiuto del vitto dell’amministrazione
per protesta contro la condanna a morte di Alfredo COSPITO emessa dal partito fascista già responsabile, direttamente o
indirettamente, di stragi di migranti in mare, pestaggi di detenuti, aggressioni ai danni di studenti di sinistra,
violenze sessuali e altre nefandezze simili.
Voglia il Ministro della giustizia revocare il 41-bis O.P. a COSPITO e subito dopo togliere il disturbo suicidandosi, in
modo da lasciare almeno un ricordo positivo di sé. (Oristano-Massama, 7 marzo 2023)

***
Carissim* compagn* dell’associazione Ampi Orizzonti, vi faccio sapere che il 24 marzo u.s. sono stato assolto dal
giudice monocratico di Udine Giulia Pussini per il reato di interruzione di pubblico servizio (proc. N. 629/2022 r.dib),
per aver io osato denunciare gli abusi e proporre reclami ai vari magistrati e tribunali di sorveglianza (che ne hanno
accolti moltissimi a dimostrare che le mie doglianze erano fondate). Non abbiamo ancora la motivazione, ma praticamente
il giudice ha stabilito che il reato non sussiste.
Nell’occasione vi allego anche il recentissimo decreto di applicazione del regime di 14-bis con il quale credono di
piegarmi, nonchè il mio reclamo/denuncia che ha avuto come primo effetto la cessazione dell’isolamento (adesso vado al
passeggio per due ore al giorno con i miei compagni della sezione AS1, alla faccia loro). Non altro. Un abbraccio
solidale. (Oristano, 29 marzo 2023)

***
Al Magistrato di Sorveglianza di Cagliari, all'avv.ta Maria Teresa A. Pintus del Foro SS, all'avv,.ta Sara Peresson Foro
Udine, al Garante nazionale dei detenuti, , alla Procura della Repubblica di Oristano.
Oggetto: richiesta esercizio potere di vigilanza ex art 14-bis, ultimo comma, O.P. Sulle allegre e disinvolte modalità
di esecuzione della sorveglianza particolare.
Il sottoscritto Alessio Attanasio nato a Siracusa il 16 luglio 1970, attualmente ristretto presso la casa di reclusione
di Oristano, chiede:
l'esercizio del potere di vigilanza del MdS ai sensi dell'ultimo comma dell'art. 14-bis O.P. circa le modalità di
esecuzione del regime di sorveglianza particolare applicate in maniera del tutto illegale, con allocazione in sezione
isolamento, rimozione di tutti gli oggetti e suppellettili, TV, fornellino, ed isolamento sensoriale assoluto (anche
durante il passeggio), con divieto addirittura di svolgere l'attività fisica e limitazione del passeggio a due ore al
giorno.
Si rappresenta che in un caso del tutto analogo il MdS di Novara, con ordinanza 31 marzo 2014, n.1490/2014 SIUS, ha
ritenuto la propria competenza a decidere limitatamente alle modalità di esecuzione ex art. 14-bis ultimo comma O.P. ed
ha riscontrato la violazione della normativa indicata in relazione al divieto di utilizzare TV e fornello “apparendo
illogico che tali necessità preventive vengano meno, se sussistenti, con l'esaurirsi del regime di sorveglianza
particolare”.
Quanto all'isolamento, questo non solo non è previsto dall'art. 14-quater, comma 4, O.P., né dal Decreto di applicazione
del 14-bis O.P., ma è addirittura vietato espressamente dagli art. 10, comma 4 e 33 O.P. (Secondo cui può esservi
isolamento al di fuori di quello sanitario, giudiziario e disciplinare; quest’ultimo per giunta non superiore ai
quindici giorni e sotto costante controllo medico).
Inoltre, si citano le seguenti pronunce di dottrina e giurisprudenza:
- l'isolamento continuo durante il regime di sorveglianza particolare “non ha alcun fondamento legislativo” e lede “il
diritto al trattamento secondo principi di umanità e rispetto della dignità umana”; (TdS di Bologna, ord. 27.09.2011, n.
SIUS 2011/1690)
- “l'isolamento, per non costituire un trattamento inumano e degradante e quindi violare l'art. 3 CEDU, deve rispettare
la durata fissata per legge, essere giustificato da comportamenti straordinari e specifici del soggetto e non essere
totale, vale a dire che non è possibile vietare al detenuto qualsiasi contatto sociale con gli altri ristretti. E ciò
conferma, quindi, quanto sopra si denunciava a proposito dell'illecita prassi penitenziaria italiana di applicare
l'isolamento continuo in regime di sorveglianza particolare che, come detto, può arrivare a durare anche sei mesi, che è
un arco temporale superiore a quanto previsto per l'isolamento dall'art. 39 ord. Pen.”; (Diritto Penale Contemporaneo,
commento di Rosa Grippo all’ordinanza del TdS di Bologna 27.09.2011)
- “...nella situazione d'isolamento pressoché totale venutasi a creare (il cui prolungamento pone di per sé profili di
criticità, in relazione ai limiti temporali sanciti, per ragioni di tutela della salute...)”; (MdS Sassari, 5.10.2015,
ord. n. SIUS 2015/4103)
- “...la concessione della socialità durante le ore d'aria all'aperto ha interrotto l'isolamento continuo, certamente
non previsto dall'ordinamento nei casi di sorveglianza particolare e privo di fondamento giuridico, oltre che
eccessivamente restrittivo; (TdS di Catanzaro, 10.07.2014, ord. n. 2014/971)
- “Quanto alla giurisprudenza di Strasburgo e in genere alle valutazioni europee in tema d'isolamento, richiamate da
Attanasio, si ricorda che secondo il CPT (…) l'isolamento, ossia l'esclusione del detenuto dai momenti di vita comune
con i compagni di detenzione, se protratto oltre 14-15 giorni può comportare disturbi di carattere psichico e fisico e
quindi attuare una detenzione crudele, inumana o degradante (…) perciò (come affermato in varie pronunce CEDU)
contrastante con l'art. 3 della Convenzione dei Diritti dell'Uomo (…) parrebbe che in vigenza di tale regime il detenuto
possa restare in isolamento per sei mesi consecutivi e anche oltre, in sostanza a tempo indefinito (grazie a successive
proroghe trimestrali). Tale conclusione, però, non è accettabile e va senz'altro respinta (…). La pronuncia
d'illegittimità impone l'immediata cessazione di tale isolamento e vale anche ora per allora (…) dichiara illegittimo a
decorrere dall'8 luglio 2015 l'isolamento continuo derivante dalle prescrizioni di cui ai punti 4) e 8) dell'ordine di
servizio n. 15 del 23 giugno 2015 della Direzione della CC di Sassari-Bancali”; (MdS si Sassari, 21.11.2021, ord. n.
SIUS 2021/3710)
- “va tuttavia fin d'ora rilevato come non potesse effettivamente giustificarsi una restrizione che di fatto comportasse
un isolamento continuativo del detenuto (…). Risultava inoltre, come detto, fondata la doglianza concernente la pretesa
illegittimità dell'isolamento continuo (…). Per giurisprudenza costante infatti, l'applicazione del regime di
sorveglianza particolare ex art. 14-bis o.p. può incidere sulle attività in comune , ma non può giungere alla loro
completa esclusione perché, in tal modo, si finirebbe per superare gli stretti limiti, anche temporali, e le cautele
sanitarie, da cui l'isolamento è presidiato nelle sole forme positivamente individuate dall'ordinamento penitenziario
(…). Secondo la giurisprudenza che si condivide, la contemporanea applicazione delle limitazioni previste dal regime
detentivo del 41 bis o.p. e del 14 bis o.p. non può giungere sino a determinare una condizione di isolamento continuo e
totale del detenuto, poiché tale isolamento si scontra con il diritto al trattamento secondo principi di umanità e
rispetto della dignità umana (Mag. Sorv. Udine 11.7.2011; Trib. Sorv. Bologna 27.9.2011 e 15.3.2012 e Mag. Sorv. Sassari
21.11.2015)”; (TdS Torino 30.06.2021, ord. n. SIUS 2021/3710)
nella relazione del Garante Nazionale del 2017 al Parlamento (pagg. 70-71) si può leggere come vi sia “la prassi della
collocazione di soggetti sottoposti al regime di sorveglianza speciale ex articolo 14-bis O.P. o all'isolamento
disciplinare o che manifestino particolari stati di agitazione nelle cosiddette 'celle lisce', ovvero in stanze prive di
ogni arredo oltre al letto e, talvolta al tavolo e allo sgabello, in cui si realizza con evidenza la lesione del diritto
della persona detenuta al trattamento secondo principi di umanità e di rispetto della dignità umana (ben 159
collocazioni di questo genere sono state riportate nel 2016) (…). Si tratta di una lettura che non ha aggancio normativo
giacché né il regime di cui all'articolo 41-bis o.p. né la sorveglianza speciale di cui all'articolo 14-bis o.p.
comportano la privazione totale di ogni forma di socialità di chi vi è soggetto”.
Infine, si rappresenta che lo stesso DAP con nota 29 giugno 2021 n.16904 ha escluso qualsivoglia isolamento in regime di
14-bis O.P.
Peraltro, lo scrivente non solo viene mandato al passeggio da solo, ma tale passeggio misura 3 metri per 1,80 (più
piccolo di una camera detentiva), con mura altissime, senza nessuna tettoia e pieno di escrementi di piccioni
(assolutamente inagibile: si chiede un sopralluogo urgente del Garante nazionale dei detenuti).
Quanto al divieto di svolgere l'attività fisica, questo contrasta con l'art. 32 della Costituzione e con il quarto comma
dell'art. 14-quater O.P. secondo cui “in ogni caso le restrizioni non possono riguardare l'igiene e le esigenze della
salute”. Infine, il decreto contiene la limitazione delle ore giornaliere a non più di due, quando invece l'art. 10 O.P.
siccome novellato con D.L.vo 123/2018 prevede un minimo di quattro ore.
Per questi motivi l'intervento urgente de plano del MdS di Cagliari per esercitare il proprio potere di vigilanza
disponendo la restituzione degli oggetti indicati, l'allocazione in sezione diversa da quella di isolamento, la
cessazione immediata dell'isolamento sensoriale assoluto e la possibilità di fruire della palestra e del campo sportivo,
nonché di quattro ore di aria giornaliere.
Nomina le avv.te Maria Teresa Pintus del Foro d Sassari e Sara Peresson del Foro di Udine. La presente anche alla
Procura della Repubblica di Oristano quale denuncia-querela nei confronti della direttrice Elisa Milanesi e del
commissario dei secondini Salvatore Cadeddu per i reati di rifiuto di atti d'ufficio, abuso di potere, maltrattamenti e
torture (queste ultime inflitte per indurre lo scrivente a ritirare le precedenti denunce sulle aggressioni subite dai
secondini ed immortalate dalle telecamere in data 2 gennaio e 8 febbraio 2023, nonché a ritirare la denuncia contro
l'ispettore dei secondini Adriano Sergi nato a Barumini il 10 luglio 1965 che si è appropriato dei supporti informatici
dello scrivente contenenti atti processuali forniti dal difensore con le forme di cui agli artt. 35 disp. att. e 103,
comma 6, c.p.p.).
Chiede di essere avvisato ex art. 408, comma 2, c.p.p. in caso di richiesta di archiviazione. [...] (Oristano, 21 marzo
2023)


Lettera dal carcere di Vigevano
Il 18-2-2023 ero in isolamento (nel carcere di Parma) e mentre sfogavo la mia rabbia e impegnato alla demolizione della
cella per gli abusi e soprusi che questi secondini offrono a chi come me si ribella, udivo la vostra voce accompagnata
dalla musica e in silenzio ascolto il vostro discorso che appartiene alla realtà storica degli abusi a noi offerti. Ho
segnato il vostro indirizzo e vi ho scritto subito, ma il giorno seguente un secondino conosceva in dettaglio quello che
avevo manoscritto e questo vuol dire che la posta indirizzata a voi è stata aperta e non inoltrata, infatti per 10
giorni mi hanno rimasto in una cella demolita priva di water, lavandino ecc ecc.
Fortunatamente il 10-3-2023 esco dall’isolamento e vengo trasferito qui a Vigevano (PV) ma vi garantisco che la realtà
di Parma conosciuta a tanti sia l’inferno per i trattamenti disumani. Infatti quando sono partito da Parma sono stato
aggredito dai secondini.
Questo è il mio primo scritto che inoltro spero di rimaner in contatto con voi.
Comunque complimenti per la musica scelta come faccio a trovare un duplicato?
Osservo che sono recluso dal 2015 per un cumulo di oltre 25 anni di reclusione e deluso da questo Stato e da questi
sistemi, non siamo reclusi ma emarginati, in questi anni ho visto e subito tanto e questo ha portato in me un crescendo
di rabbia contro queste carni vendute. Ora vi saluto con profonda stima con l’auspicio di ricevere un vostro riscontro.

Vigevano, 12 marzo 2023
Giuseppe Albano, Via Gravellona 240 - 27029 Vigevano (PV)


lettera dal carcere di spini di gardolo (tn)
Riceviamo e volentieri pubblichiamo questo contributo del nostro amico e compagno Rupert, semi-carcerato nella prigione
di Spini di Gardolo (Trento) dal dicembre scorso per una serie di condanne definitive. Oltre che nell’intera società, un
“patto trattamentale” del tutto simile a quello richiesto al detenuto dall’Amministrazione carceraria è l’«educazione
alla cittadinanza» con cui si stanno formando nelle scuole le nuove generazioni. A differenza dell’antiquata «educazione
civica» – nell’ambito della quale alcuni insegnanti illustravano fondamenti e princìpi della Costituzione –, l’attuale
«educazione alla cittadinanza» – promossa da tutti i docenti, compresi quelli di ginnastica – consiste nell’insegnare un
generico quanto indefinito «rispetto delle regole», regole di cui si cancellano tanto la fonte autoritaria quanto lo
sfondo storico-sociale, per trasformarle in condotte indiscutibili. Proprio come quelle notificate dagli algoritmi. La
mistificazione è tanto più estrema quanto più la costrizione si fa muta e invisibile. Il libero accordo tra gli umani si
potrà costruire solo sulle macerie della società di classe, statale, mercantile e tecnocratica. Fuori da una tale
avventura, ciò che si sottoscrive è soltanto la propria schiavitù.

Un patto firmato in bianco
Un patto firmato in bianco con chi auspica la tua lobotomia. Ecco come si può riassumere il rapporto tra la macchina
statale tecnocratica e il meccanismo di accettazione delle leggi giuridiche, morali, tecniche che ne permettono il
funzionamento. Mi spiego meglio. Si dice spesso che il carcere è uno specchio della Società, un’espressione “diretta”
dello Stato, dei suoi regolamenti, della sua arbitrarietà, della sua violenza. È vero, il carcere può essere utile per
capire alcuni dei meccanismi di pressione sociale altrimenti più difficili da individuare. Ebbene, qualche giorno fa mi
è giunta una insolita “richiesta”, sotto forma di circolare, dalla direzione del carcere in cui mi trovo rinchiuso.
Oggetto: patto trattamentale. Sostanzialmente una sorta di promessa preventiva che il detenuto firmatario non proverà
“insofferenza”, non metterà in atto “atteggiamenti pregiudicanti” ecc.. nei confronti di detenuti provenienti dalle
sezioni dei “protetti” che potrebbero essere lì trasferiti. Da quanto mi è dato sapere si tratta di una circolare che
sta per l’appunto circolando più o meno in tutte le carceri di “media sicurezza”, da qualche anno a questa parte.
Iniziativa partita dal carcere “modello” di Bollate e poi estesa. Ora, al di là del fatto che chi deve essere protetto
dagli altri detenuti è comunque a discrezione della direzione carceraria, risulta essere una sorta di inutile sondaggio
per “mettere le mani avanti” qualora accadesse qualche imprevisto nella pace sociale che si vuole imporre nelle carceri.
Ma soprattutto un’altra cosa: la notifica velata ad ogni detenuto che la violenza, l’atteggiamento discriminante e
finanche il sentimento di insofferenza hanno un detentore di monopolio. Ecco il punto: il sottinteso delle leggo dello
Stato scritte e non scritte, nella “Società dei liberi” è in fondo lo stesso, a discapito di chi non ha firmato proprio
alcun patto. Le leggi sono per lo più sconosciute dalla maggior parte di coloro che le subiscono come di coloro che
dicono di rispettarle. È un rapporto di carattere religioso quello del cittadino con lo Stato. E nella misura in cui si
entra nell’ombra di un totalitarismo tecnico – il criterio dell’efficacia raggiunge il primato mettendo a tacere ogni
voce che si sollevi contro la Verità (“scientifica”): “il fine giustifica i mezzi” – il monopolio si fortifica
diventando ancora meno identificabile. Così il rapporto religioso è caratterizzato dalla speranza e dalla delega in
misura ancora maggiore, poiché al fondo vi è l’illusione della Salvezza (dalla malattia, dalla guerra nucleare, dal
cambiamento del clima).
Nel frattempo, con il pretesto delle Emergenze la logica premiale attraversa l’intera Società come una freccia
arrugginita – di quelle che dopo aver penetrato la carne fanno partire l’iniezione per tutto il corpo. Proprio come
avviene tra le mura di un carcere. Il monopolio deve essere indiscusso, non deve ricevere sfide nella forma
dell’iniziativa individuale, ma soprattutto non devono esistere iniziative dirette a metterlo in discussione. E questo
deve essere chiaro. Proprio come avviene tra le mura di un carcere. Ed è qui che casca l’asino, come si comprende
studiando l’origine di ogni potere: brutalità dell’imposizione e religione della servitù volontaria sono i due lati
della stessa medaglia. Non sono le leggi o i falsi patti a reggere l’impalcatura dello Stato o del carcere, ma la
violenza e la paura. Sta a chi li subisce maturare le possibilità della forza che vi si contrappone.

24 marzo 2023, da ilrovescio.info


Aggiornamenti sullo sciopero della fame di Alfredo Cospito
Il 19 aprile 2023, Alfredo Cospito ha interrotto lo sciopero della fame iniziato il 20 ottobre 2022, durato quindi sei
mesi, contro l’ergastolo ostativo e il 41 bis durante il quale ha perso 50 chili. Ha trasmesso la sua decisione al
Tribunale della Sorveglianza di Milano su un apposito modello prestampato per le comunicazioni fra detenuti e
magistrati, con un secco: “Io sottoscritto Alfredo Cospito comunico di voler sospendere lo sciopero della fame”.
Attualmente al reparto detenuti dell’ospedale San Paolo, chiede di ritornare nel carcere di Sassari Bancali dove si
trovava prima del trasferimento nella prigione di Opera visto che al momento non può usufruire nemmeno dell’ora d’aria e
in sostanza non esce mai dalla stanza/cella, priva addirittura di luce naturale. Da diversi giorni aveva ripreso ad
alimentarsi con brodi vegetali oltre ad assumere integratori come gli aveva consigliato il suo medico di fiducia. Nei
primi giorni non poteva assumere cibi solidi a causa delle conseguenze del lunghissimo digiuno che gli ha causato danni
neurologici, un dolore al piede ed enormi difficoltà di deambulazione. Ora, poco a poco sta reintroducendo anche pasta e
alimenti solidi, seguendo i suggerimenti della dietologa. I valori complessivi sono abbastanza buoni. Sembra esserci un
leggero miglioramento nelle condizioni del piede cui aveva perso sensibilità, ma per il momento secondo i medici non è
possibile azzardare una prognosi, in ogni caso cammina un po’ meglio.
In un comunicato l’avvocato Flavio Rossi Albertini spiega: “Con il suo corpo sempre più magro e provato Cospito ha
dimostrato cosa significhi in concreto il regime detentivo speciale, illogiche privazioni imposte ai detenuti, aspre
limitazioni prive di legittimità, deprivazione sensoriale, impossibilità di leggere di studiare e di ricevere libri e
riviste. La mobilitazione del movimento anarchico e di intellettuali il mondo dei media hanno permesso la veicolazione
di questi scomodi argomenti. Grazie a Cospito il 41bis è sempre meno tollerato da una opinione pubblica chiamata a un
ruolo attivo… La lotta intrapresa da Cospito ha raggiunto gli obiettivi prefissati. Cospito ringrazia tutti quelli che
hanno reso possibile questa inusuale quanto tenace forma di protesta”. La Consulta ha ritenuto costituzionalmente
illegittimo l'articolo del codice che "vieta al giudice di considerare eventuali circostanze attenuanti come prevalenti
sulla circostanza aggravante della recidiva nei casi in cui il reato è punito con la pena edittale dell'ergastolo"
facendo cadere la norma che avrebbe vincolato la Corte d'assise d'appello di Torino a condannarlo necessariamente
all'ergastolo per l'attentato alla Scuola allievi carabinieri di Fossano del 2006, vista la riqualificazione di strage
in strage politica operata dalla Corte di cassazione nel processo “Scripta manent” e, ricordiamolo, neppure per Piazza
Fontana, per la stazione di Bologna o per Capaci e via D’Amelio è stata prevista questa tipologia di accusa. "Una
vittoria oggettiva", dice ancora il suo legale, perché avrà valore non solo per le sorti di Alfredo, ma per tutti i
reati la cui pena edittale sia fissa e contempli il solo ergastolo. Contro la decisione di mantenere in regime di 41 bis
Alfredo è stato presentato un ricorso alla Cedu (Corte Europea dei Diritti Umani) che per ora lo ha registrato, ma
perché si esprima secondo l’iter consueto occorreranno due anni. Nel frattempo è stata nuovamente inoltrata dalla difesa
di Alfredo la richiesta di revoca del 41 bis al Tribunale di sorveglianza di Roma per il venir meno delle condizioni
legittimanti il mantenimento del regime detentivo speciale dopo due pronunciamenti che riguardavano anche Alfredo: la
sentenza del processo Byalistock che assolve gli imputati dall’accusa di terrorismo e il secondo annullamento delle
richieste di misure cautelari del Tribunale della Libertà di Perugia per l’operazione “Sibilla”.
Intanto le manifestazioni e le azioni di solidarietà non si fermano né qui in Italia né altrove. La lotta al fianco di
Alfredo prosegue.
Non riceve quasi posta, ma invitiamo tutti a subissare ugualmente i censurini di lettere e telegrammi. Il 3 maggio è
stato riportato nella sezione 41-bis del carcere di Opera.
Per scrivergli: Alfredo Cospito, via Camporgnago - 20090 Milano-Opera

***
Dichiarazione di Alfredo Cospito all’udienza di riesame per le misure cautelari dell’operazione Sibilla
Innanzitutto volevo iniziare con una citazione del mio istigatore:
“Il nostro ordinamento ha introdotto quella figura di isolamento mortuario che è il 41 bis, e che per certi aspetti è
più incivile anche di questa mutilazione farmacologica. Questo per dire che il nostro sistema non brilla di civiltà”
(Carlo Nordio, 28 marzo 2019)
Questo è stato il mio istigatore della lotta che ho iniziato. Non avrei mai pensato di arrivare fino a questo punto, ho
sempre trovato ridicolo il melodramma, amo di più la commedia, ma così è andata. In fin dei conti siamo o non siamo il
paese del melodramma? E quindi mi tocca finire in bellezza. Però se ci penso qualcosa di ironico c’è: sono l’unico
coglione che muore nel progredito Occidente democratico poiché gli viene impedito di leggere e studiare quello che
vuole, giornali anarchici, libri anarchici, riviste storiche e scientifiche, senza trascurare gli amati fumetti.
Ammetterete che la cosa è paradossale e anche un po’ buffa, non riesco a vivere in questo modo, proprio non ce la
faccio, spero che chi mi ama lo capisca. Non ce la faccio ad arrendermi a questa non-vita, è più forte di me, forse
perché sono un testone anarchico abruzzese. Non sono certo un martire, i martiri mi fanno un certo ribrezzo. Sì, sono un
terrorista, ho sparato ad un uomo e ho rivendicato con orgoglio quel gesto anche se, lasciatemelo dire, la definizione
fa un po’ ridere in bocca a rappresentanti di Stati che hanno sulla coscienza guerre e milioni di morti e che a volte,
come uno dei nostri ministri, si arricchisce col commercio di armi. Ma che vogliamo farci, così va il mondo, almeno
finché l’anarchia non trionferà e il vero socialismo, quello antiautoritario e antistatalista, vedrà finalmente la luce.
Campa cavallo direte voi e anch’io, per adesso gli unici spiragli di luce che vedo sono i gesti di ribellione dei miei
fratelli e sorelle rivoluzionari per il mondo e non sono certo poca cosa, perché sono fatti con cuore, passione e
coraggio, per quanto sparuti e sconclusionati possano sembrare.
Detto questo, volevo spiegare il senso del mio accanimento contro il regime del 41 bis. Qualche giurista credo l’abbia
capito, ma in pochissimi hanno compreso: il 41 bis è una metastasi che rischia e di fatto sta minando il vostro
cosiddetto stato di diritto, un cancro che in una democrazia un tantino più totalitaria – e con il governo della Meloni
ci siamo quasi – potrà essere usato per reprimere, zittire col terrore qualunque dissidenza politica, qualunque sorta di
ipotetico estremismo. Il tribunale che decide la condanna alla mordacchia medievale del 41 bis è del tutto simile a
quello speciale fascista, le dinamiche sono le stesse: io potrò uscire da questo girone dantesco solo se rinnegherò il
mio credo politico, il mio anarchismo, solo se mi venderò qualche compagno o compagna. Si inizia sempre dagli zingari,
dai comunisti, dagli antagonisti, teppisti, sovversivi e poi le sinistre più o meno rivoluzionarie. Come potevo non
oppormi a tutto questo, certo in maniera disperata, e per un anarchico, proprio perché non abbiamo un’organizzazione, la
parola data è tutto, per questo andrò avanti fino alla fine. Per concludere, come disse se ricordo bene l’anarchico
Henry prima che gli tagliassero la testa: quando lo spettacolo non mi aggrada avrò pure diritto ad abbandonarlo, uscendo
e sbattendo rumorosamente la porta. Questo farò nei prossimi giorni, spero con dignità e serenità, per quanto possibile.
Un forte abbraccio a Domenico che al 41 bis di Sassari ha iniziato lo sciopero della fame con la speranza di poter
riabbracciare i propri figli e i propri cari, nella mia forte speranza che altri dannati al 41 bis spezzino la
rassegnazione e si uniscano alla lotta contro questo regime che fa della costituzione e del cosiddetto – per quanto vale
– stato di diritto carta straccia.
Abolizione del regime del 41 bis. Abolizione dell’ergastolo ostativo. Solidarietà a tutti i prigionieri anarchici,
comunisti e rivoluzionari nel mondo.
Grazie fratelli e sorelle per tutto quello che avete fatto, vi amo e perdonate questa mia illogica caparbietà. Mai
piegato, sempre per l’anarchia.
Viva la vita, abbasso la morte.

Alfredo Cospito
In videoconferenza dal carcere di Opera, 14 marzo 2023


È morto Khader Adnan, prigioniero in sciopero della fame
Il prigioniero palestinese in sciopero della fame da 86 giorni, Khader Adnan, 45 anni, alto dirigente del gruppo di
resistenza palestinese del Jihad islamico, è morto mentre si trovava in detenzione amministrativa sotto custodia
israeliana. Ne ha dato l’annuncio martedì all’alba il Servizio carcerario israeliano (IPS).
Riporta Quds Press: “In una cella buia dell’ospedale del famigerato carcere di Ramle, il detenuto Adnan è rimasto in
condizioni di salute difficili per 86 giorni, in una crudele battaglia a stomaco vuoto, fino a quando il ‘leone degli
scioperi’ è diventato un martire, oggi, martedì”. Adnan è stato trovato privo di sensi nella sua cella, durante le prime
ore di martedì mattina. È stato portato allo Shamir Medical Center fuori Tel Aviv, dove è stato dichiarato morto, ha
reso noto l’IPS. Domenica, un tribunale israeliano aveva rifiutato di rilasciare Adnan, nonostante il deterioramento
delle sue condizioni di salute. La moglie di Adnan, Randa Musa, aveva affermato che un tribunale israeliano aveva
respinto l’appello presentato per il rilascio su cauzione del marito. Il tribunale aveva fissato un’altra udienza per il
10 maggio. Durante la sua detenzione, la moglie di Adnan aveva viaggiato da una provincia all’altra, in attività e
incontri, aveva parlato alla radio e alla televisione e in qualsiasi altro mezzo di comunicazione, per far luce sulle
sofferenze del marito e trasmettere all’opinione pubblica gli sviluppi del suo sciopero.
Khader Adnan Musa era nato il 24 marzo 1978 nella cittadina di Arraba, a Jenin, nella Cisgiordania settentrionale. Aveva
completato gli studi primari e secondari nella sua città natale e, nel 1996, era entrato alla Birzeit University, a
Ramallah, laureandosi in matematica economica nel 2001. Successivamente aveva ottenuto un master in economia presso la
stessa università. Adnan aveva passato quasi 9 anni in carcere (le forze di occupazione lo avevano arrestato 13 volte),
la maggior parte delle quali con ordini di detenzione amministrativa, oltre alla sua carcerazione politica da parte
dell’apparato di sicurezza dell’autorità palestinese. Adnan aveva condotto uno sciopero dopo l’altro con la forte
volontà di ottenere la libertà e consegnare un messaggio: “Non accettiamo le politiche dell’occupante, non ci
arrenderemo alle sue decisioni e afferreremo la nostra libertà, non importa quali siano i sacrifici”. Dal 2005, Adnan
aveva intrapreso diversi scioperi della fame, da solo o insieme ad altri detenuti. Adnan lascia la moglie e nove figli
(5 maschi e 4 femmine, il più grande dei quali di 14 anni e il più piccolo meno di due anni). Con la morte di Khader
Adnan, il numero delle vittime del movimento dei prigionieri è salito a 236, dal 1967, dei quali 75 a causa di
negligenza medica intenzionale.

2 maggio 2023, da infopal.it


Lettera dal carcere di Genova
[…] So che state sempre impegnati con noi e con le cose che avete da fare fuori, specialmente con il caso Cospito. Anche
sotto il carcere di Marassi c’è stato un presidio ma non so se sono compagni di Genova o fuori Genova. Comunque cari
compagni e compagne so che ci siete e mi sostenete. Qui ci sono sempre più restrizioni e tante cose che non funzionano.
Ci tengono chiusi in gabbia come bestie. Non c’è un direttore fisso e il carcere è in balia di tante cose. Saltano i
colloqui con operatori, con altre aree interne che ci dovrebbero sostenere per aderire a qualche pena alternativa.
L’altro giorno sono venuti alcuni rappresentanti dei radicali dell’associazione “Nessuno tocchi Caino” ma è la solita
cosa di routine. Il vitto è immangiabile cari compagni e compagne. Ci fanno perquisizioni di continuo e non so cosa
cercano. È una tortura psicologica. Non ci sono corsi, non ci sono iniziative di alcun genere, non ci sono psicologi
dell’art. 80 O.P. Solo e sempre repressione. Si è vero è un carcere ma vivo in modo disumano. Sto senza un supporto,
anche i volontari ci seguono con molta difficoltà. Dicono che manca il personale per monitorare i colloqui e spesso li
mandano via. [...]
I termosifoni vengono accesi a intermittenza e non riscaldano. Ci sono le finestre senza guaina e il freddo ci costringe
a stare a letto. [...]
Mi farò risentire appena compro le cose per scrivere.
Intanto vi saluto forte e sempre con il pugno alzato.

18 marzo 2023
Rosario Mazzone, Piazzale Marassi 2 – 16139 Genova


Lettera dal carcere di Viterbo
Buongiorno Olga, buongiorno a tutti i compagni, volevo scusarmi per la mia calligrafia così poco leggibile, causa
incidente stradale con la mia passione per la moto superbike. Non ha comportato solo questo ma comunque eccoci, anche se
dire che sono un fortunato alla fine per un piacere me ne sono privato di un altro, quello della scrittura. Sì, mi piace
moltissimo scrivere, di tutto, lettere, pensieri… Scrissi anche un libro sulla mia vita, le esperienze, il carcere, gli
insegnamenti, il bello e il brutto, alla conclusione mi prese il pensiero che erano cose troppo intime da poter
condividere e a malincuore lo stracciai. Ora durante la mia ultima convivenza, la compagna, lavorando e collaborando in
case editrici per via del fatto che è critica d'arte, mi aveva convinto a riscriverne un altro, infatti lo sto facendo,
anzi lo sto intentando, perché è un libro per bambini e non solo, è di fantasia e ad essere sincero sto riscontrando
molte difficoltà, vedremo.
Devo ringraziarvi per i tre volumi inviatimi, mi sono utilissimi per il mio progetto di lavoro, veramente grazie. Anzi,
a proposito, alcuni giorni fa, leggendo tra le mie innumerevoli scartoffie, sono incappato nell’autore di “Lezioni
spirituali per un giovane Samurai”, filosofo giapponese contemporaneo, Yukio Mishima; lessi qualcosa di suo anni fa e ne
rimasi veramente affascinato al punto di chiedervi di potermi inviare “sempre che sia disponibile” quel testo o comunque
qualcosa di suo. Grazie compagni non so come sdebitarmi per l'aiuto che mi state dando, a me e ad altri che si trovano
rinchiusi, ora felice di avervi scritto vi auguro una buona giornata.

13 marzo 2023
Maurizio Bianchi, Strada SS Salvatore 14/b - 01100 Viterbo