indice n.142

L'Iran invia cinque navi cariche di petrolio al Venezuela
USA: le fiamme non si spengono
Aggiornamenti dai Campi dello sfruttamento
Dai campi di internamento per immigrati senza documenti
Lettera dal carcere di torino
da due lettere dal carcere di milano-opera
Sulla ripresa dei colloqui
Da una lettera dal carcere di Bologna
da una lettera dal carcere di udine
Operazione “Ritrovo”: arresti a Bologna e Milano
Da una lettera dal carcere di Piacenza
Lettera dal carcere di Biella
Che i medici in carcere ci dicano...
da alcune lettere DAL CARCERE DI BELLUNO
lettera dal carcere “pagliarelli” di Palermo
da una lettera dal carcere di Ancona
Lettera dal carcere di Massama (OR)
lettera dal carcere di sulmona (aq)
Lettera dal carcere di Reggio Emilia
Lettera dal carcere di Terni
da una Lettera dal carcere di Bancali (SS)
notizie dalle carceri
ciao salvo!


L'Iran invia cinque navi cariche di petrolio al Venezuela
Il ministero affari esteri dell'Iran ha messo in guardia gli Usa dal compiere “atti sciocchi” nei confronti delle cinque navi-cisterna cariche

di petrolio inviate in Venezuela: “Nel caso gli americani tentino di intervenire contro i liberi e legittimi movimenti delle nostre navi

devono tener conto della nostra ferma risposta”, ha detto il portavoce del ministero esteri in una conferenza stampa tenuta lunedì 18 maggio.
Il fatto che il governo di Washington non riconosca determinati paesi, non gli da il diritto di disturbare il commercio legale fra di loro. Il

governo iraniano ha consegnato all'ambasciata svizzera in Teheran l'incarico di rappresentare l'Iran all'ONU (a New York, sua sede centrale),

in una lettera del suo ministro degli esteri, Mohamed Dschawad Sarif, al segretario generale dell'ONU, Antònio Gurterres, ha espresso un

“chiaro ammonimento” di fronte “alle possibili cattive azioni americane”. La Svizzera, dalla rottura dei rapporti diplomatici fra i due paesi

avvenuta 40 anni fa, opera come ponte fra i due stati.
Oggi nell'Atlantico navigano cinque petroliere iraniane dirette in Venezuela. Il loro carico consiste principalmente in benzina. La prima di

queste navi è stata riempita a fine marzo nel porti sud-iraniano di Bandar Abbas situato nel golfo persico.
In totale il carburante trasportato avrebbe un valore pari perlomeno a 45,5 milioni di dollari US. Si suppone che il governo di Caracas voglia

pagare con oro la fornitura. L'Iran regolarmente regola i conti con grosse quantità del metallo nobile, per sbrigare i propri affari che

Washington vuol rendere impossibili con sanzioni.
Il Venezuela, viene stimato, possiede le più grandi riserve di petrolio del mondo. La richiesta degli Usa di misure penali è bloccata. Il

paese collocato nel nord del sudamerica soffre acutamente la mancanza di benzina e di altre materie tratte dal petrolio.
Nei terreni ci sono altri materiali non chimici, in particolare diluenti, che un tempo venivano portati dagli Usa, come pure la riparazione e

modernizzazione delle raffinerie venezuelane. A metà aprile è stato comunicato che quelle raffinerie oggi lavorano meno del 10% delle loro

capacità. Per questo oggi la gran parte dei distributori di benzina sono chiusi. La benzina disponibile, in gran parte, è consegnata al

servizio medico, al trasporto dei prodotti alimentari e alle aziende predisposte al trasporto dei generi alimentari.
Già nel mese scorso era stato annunciato che anche la compagnia aerea iraniana Mahan Air era stata presa di mira dagli Usa perchè per diversi

giorni ha trasportato aiuti di soccorso in Venezuela. Sempre gli Usa suppongono che, fra le altre, la stessa compagnia ha trasportato in

Venezuela prodotti chimici e pezzi di ricambio per le raffinerie. In una conferenza stampa tenuta il 29 aprile il ministro degli esteri Usa,

Michael Pompeo, si è rivolto a tutti gli stati chiedendo, a chi non l'aveva già fatto, di rifiutare a Mahan Air il sorvolo e i diritti di

sbarco. Il governo tedesco per parte sua aveva già impartito tali istruzioni nel gennaio 2019.
Funzionari d'alto rango del governo Usa, sotto la tutela dell'anominato, dai giorni scorsi hanno espresso minacce nei confronti delle cinque

petroliere iraniane dirette in Venezuela. Le loro forniture vengono considerate “sgradite”, non soltanto dagli Usa, ma anche dagli stati del

centro e sud America. Il governo USA cerca le possibilità di colpirle. L'agenzia di stampa irachena Fars nei giorni scorsi ha scritto che

quattro navi da guerra della marina Usa si trattengono nel Mar dei Caraibi per “un possibile scontro con le cinque petroliere”.
20 maggio 2020, da jungewelt.de

***
Venezuela. Respinto un tentativo di invasione paramilitare
Nella giornata di domenica 5 giugno il ministro dell’interno venezuelano Nestor Reverol ha denunciato un tentativo di invasione da parte di un

gruppo paramilitare. Il gruppo mercenario proveniente dalla Colombia via mare è sbarcato a La Guaira dove è stato scoperto dalle FANB (Fuerzas

Armadas Nacional Bolivariana) e dai nuclei speciali della PNB (Policia Nacional Bolivariana) che sono riusciti a bloccarli in un conflitto a

fuoco.
Secondo quanto riportato nelle comunicazioni ufficiali del governo venezuelano, nel conflitto sarebbero stati uccisi 8 paramilitari, tra i

quali uno dei leader dell’assalto, Robert Colina Ibarra, mentre altri due sarebbero stati fatti prigionieri. Il ministro dell’interno ha anche

rivelato che sono stati sequestrati fucili, pistole, mitragliatrici, sei veicoli terrestri, una barca telefoni satellitari e anche due

quaderni con gli appunti dell’operazione.
Tra i membri del gruppo paramilitari ci sarebbero i disertori Javier Nieto Quintero e l’ex generale delle FANB Clíver Alcalá Cordones, e l’ex

soldato statunitense Jordan Goudreau che sarebbe il coordinatore di tre campi di addestramento per i disertori in Colombia.
Diverse testate giornalistiche mettono in relazione questi tre ultimi personaggi con l’autoproclamato presidente venezuelano Juan Guaidó, il

quale secondo la giornalista venezuelana in esilio a Miami Patricia Poleo avrebbe stipulato un contratto con la società di Jordan Goudreau per

portare a termine un intervento militare in Venezuela con l’obiettivo di rovesciare il governo di Maduro. (5 maggio 2020, da

globalproject.info)


USA: le fiamme non si spengono
In seguito alla morte di George Floyd, afroamericano ucciso dalla polizia a Minneapolis il 25 maggio durante un fermo, in centinaia di città

degli USA, migliaia di persone sono scese in strada con imponenti cortei. I tentativi delle autorità di riportare l’ordine attraverso

concessioni quali l’accusa di omicidio volontario per il poliziotto omicida (prima era stato solo sospeso) e l’arresto degli altri tre agenti,

il licenziamento del capo della polizia di Denver per dichiarazioni razziste e provocatorie contro i manifestanti, l’accusa di 6 poliziotti ad

Atlanta per “uso eccessivo della forza” e l’obbligo in Kansas per tutti gli agenti della telecamera sempre accesa in servizio, non hanno

pacificato le piazze.

1 giugno. A Washington DC sono esplosi duri scontri tra manifestanti e polizia quando quest'ultima ha cercato di avanzare per imporre il

coprifuoco. Il seminterrato della "Church of the Presidents" è stato dato alle fiamme e immediatamente spento dai pompieri, ma altri incendi

sono stati accesi intorno al monumento. Sono stati sparati gas lacrimogeni verso i manifestanti e US Marshall e agenti della DEA sono stati

schierati in aggiunta alla guardia nazionale e ai servizi segreti per assistere la polizia.
A Santa Monica, Los Angeles, la polizia ha sparato proiettili di gomma e lacrimogeni contro la folla che ha bloccato la principale via dello

shopping del quartiere.
A New York migliaia di manifestanti sono tornati per le strade, durante il giorno hanno marciato per Manhattan e poi si sono riuniti a Union

Square, dove sabato sera erano state incendiate numerose macchine della polizia. I fuochi sono stati nuovamente accesi in strada e sono

ripartiti gli scontri tra polizia e manifestanti.
A Minneapolis un camion che trasportava carburante ha tentato di lanciarsi a grande velocità contro il corteo di protesta di migliaia di

persone, ma i manifestanti sono riusciti a spostarsi in tempo e a rendere inoffensivo il conducente. Nonostante il coprifuoco serrato in

serata molte persone hanno deciso di scendere comunque in piazza e ritrovarsi sul luogo dell'assassinio di George Floyd. Altre proteste sono

andate in scena a Chicago, Philadelphia, Boston, Atlanta, Fort Lauderdale, a Portland e Oklahoma City. In molte città è stata attivata la

guardia nazionale.
Intanto è emerso che nella notte di venerdì Trump e la sua famiglia sarebbero stati spostati in un bunker sicuro da parte dei servizi segreti

in concomitanza con le proteste. Il presidente continua imperterrito a propagandare il pugno di ferro per galvanizzare la propria base in

vista delle elezioni, mentre tanti nell'establishment iniziano a preoccuparsi per la tenuta sociale complessiva del sistema. Il conflitto

sociale sta smascherando le ipocrisie e facendo emergere tutte le contraddizioni del paese.
2 giugno. Il coprifuoco adottato da molte delle città coinvolte dalle mobilitazioni non ferma le proteste. Nella sera di lunedì, da New York a

Los Angeles, da Washington DC a Philadelphia i manifestanti hanno continuato a scendere in piazza. La polizia ha attaccato i cortei di

protesta duramente tentando di disperderli in molte città.
A Washington DC nonostante il coprifuoco non fosse entrato ancora in vigore la polizia ha attaccato i manifestanti con cariche, lacrimogeni e

proiettili di gomma al fine di permettere a Trump di fare il proprio discorso e una foto con la Bibbia in mano di fronte alla "Church of

Presidents" che qualche giorno fa era stata data alle fiamme. Trump nel suo discorso ha minacciato di far intervenire i militari per fermare i

disordini, ribadendo di considerare le rivolte come terrorismo domestico, mentre in sottofondo risuonavano i rumori degli scontri e dei cori.

Diversi esponenti delle chiese americane hanno definito "oltraggiosa" la trovata propagandistica di Trump.
Nella giornata di ieri proprio davanti alla Casa Bianca è stato schierato un contingente di polizia militare. Ma nonostante il crescente

confronto muscolare messo in piedi dall'amministrazione Trump i manifestanti a Washington DC sono rimasti in piazza ben oltre lo scadere del

coprifuoco alle 19.
A Baltimora, Oackland e persino nel Maine, uno degli Stati con la minore presenza di afroamericani, si sono date manifestazioni molto

numerose. Così anche a New York dove a notte inoltrata sono ripresi gli scontri e i saccheggi, in particolar modo nella Fifth Avenue a

Manhattan. A Philadelphia la polizia ha sparato proiettili di gomma e lacrimogeni contro i manifestanti che bloccavano l'autostrada.
Intanto anche a Minneapolis continua la mobilitazione nonostante lo stato d'assedio in cui è cinta la città. E' stato identificato il

camionista che l'altro ieri si è lanciato contro il corteo di protesta con il proprio mezzo ed è un neonazista ucraino di 35 anni, Bogdan

Vechirko, veterano dell'operazione ATO. Sempre nella giornata di ieri l'autopsia di parte sul corpo di George Floyd richiesta dalla famiglia

ha sconfessato quella ufficiale, affermando che la morte sarebbe a tutti gli effetti avvenuta per asfissia.
Al bilancio delle vittime si aggiungono due persone uccise a Chicago e oltre 4.400 arresti secondo i dati ufficiali.
Il 3 giugno è stato violato il coprifuoco nei 22 stati dove vigeva. Meno violenze ma i cortei hanno interessato ancora più città e hanno

improvvisamente assunto dimensioni oceaniche. Un sondaggio nazionale del Monmouth Poll afferma che dopo 7 giorni, il 78% degli americani

ritiene giustificata la rabbia dei manifestanti e il 54% s'è detto soddisfatto nel vedere la caserma del 3 distretto di Minneapolis in fiamme.
A Washington un corteo pacifico di 100 mila persone ha attraversato una città in mano all'esercito. Lunghi convogli di mezzi militari hanno

portato soldati e forniture per blindare i palazzi del potere. La Casa Bianca è circondata da una imponente barriera di acciaio: "Adesso sei

in gabbia" hanno urlato a Trump i manifestanti.
NYC: è la situazione più fuori controllo di tutte. 6 diversi cortei. Decine di aree con scontri con la polizia (il NYPD) a incominciare da

Stonewall dove la comunità lgbt ricordava le vittime transgender della polizia. Dopo ore di scontri tutta la polizia della città ha provato a

fermare i manifestanti sui ponti per impedire l'ingresso alla penisola di Manhattan. Il blocco è stato rotto ma un ragazzo di 18 è stato

colpito da un proiettile volante a quel punto la polizia ha totalmente perso il controllo della metropoli. Intanto De Blasio ha imposto ai

38.709 poliziotti nuove regole di ingaggio: turni continui di 12 ore, 7 giorni su 7 senza giorno libero.
A Los Angeles scontri nei quartieri più ricchi Beverly Hills e Hollywood dove è stato scritto "George Floyd" su una stella del Walk of Fame.

Un'azione oscura al movimento con centinaia di persone ha assediato la residenza del sindaco della città. In diversi quartieri e centri

suburbani violenti scontri e saccheggi.
Manifestazioni imponenti a NYC, Los Angeles, Oakland, Houston, Washington DC, Seattle, Portland, Denver, Minneapolis, Chicago, Philadephia,

Boston, Louisville, Portland (Maine!), Detroit, New Orleans, Ferguson. Scontri con feriti e vittime ad Atlanta, Saint Luis, New York, Los

Angeles, Grand Rapids, Richmond, Buffalo, Vallejo, Dallas, Charlotte.
4 giugno. In tutti i 50 Stati (oltre Washington e Puertorico) si è manifestato.
A Minneapolis si è tenuta una cerimonia per George Floyd sul luogo dell'omicidio, la folla, insieme alla famiglia, ha osservato 9 minuti di

silenzio (con altre piazze in contemporanea) e ha salutato con soddisfazione le notizie sulle incriminazioni degli agenti.
A Las Vegas 3 suprematisti hanno provato a colpire il corteo ma sono stati neutralizzati, la Polizia li ha salvati dal linciaggio e arrestati.

Anche a Lansing un'auto si è lanciata contro il corteo, senza conseguenze.
A San Francisco e Los Angeles due cortei memorabili hanno manifestato per ore gridando “No Justice No Peace”. A margine ci sono stati scontri

tra polizia e Antifa tra cui il campione fiorettista olimpico Race Imboden che con il suo gruppo ha bloccato uno dei bus diretti alla centrale

LAPD con i fermati.
A NYC diversi cortei sono terminati in scontri sotto la pioggia a Brooklyn, East River e Queens. Ogni poliziotto ora dovrà lavorare 84 ore

settimanali.
A Portland dopo 6 notti di fila di scontri il Capo della Polizia, Jemi Resch, visibilmente frustrato, ha chiesto 24 ore di tregua, lamentando

come venissero presi di mira soprattutto gli uomini in divisa, che iniziavano a disertare. Le attiviste e gli attivisti della "Piccola Beirut”

si sono detti ben disposti ma solo se saranno rilasciati i 100 arrestati fino ad oggi. Sono ancora nelle strade.
A Richmond il Governatore della Virginia ha ordinato la demolizione del celebre monumento al Generale Sudista Robert E. Lee.
Non si fermano gli scontri, le assemblee e i cortei a Seattle dove, malgrado Guardia Nazionale e coprifuoco, le proteste durano da quasi 36

ore.
A Washington i manifestanti hanno continuato ad assediare la Casa Bianca in una città deserta e presidiata dai militari.
Ad oggi ci sono stati 16 persone uccise e quasi 7.000 arrestate. 10 le città con cortei in Canada: Calgary; Fredericton; Halifax; Moncton;

Montreal; Ottawa; Peterborough; Saskatoon; Toronto; Vancouver. Scontri con la polizia a Londra, Stoccolma e Parigi. Molotov contro

l'Ambasciata Statunitense di Atene.
Manifestazioni in: Argentina; Australia; Belgio; Brasile; Danimarca; Francia; Germania, Iran; Irlanda; Israele; Palestina; Italia; Giappone;

Kenya; Messico; Olanda; Nuova Zelanda; Nigeria; Slovacchia; Catalogna; Svizzera; Turchia.

giugno, da infoaut.org


Aggiornamenti dai Campi dello sfruttamento
Nei distretti agroindustriali del Made in Italy poco o nulla sembra essere cambiato da quando è stato dichiarato lo stato di emergenza. I

lavoratori stranieri di queste enclavi, di fatto, nell’emergenza sono costretti da sempre.

La situazione nei ghetti del Made in Italy ai tempi del COVID-19
La Prefettura di Foggia sembra avere finalmente desistito dai suoi folli e criminali intenti di sgombero degli ‘abusivi’ nel CARA di Borgo

Mezzanone, che avevano dato luogo ad una grande protesta spontanea. A Casa Sankara, nel comune di San Severo, si riempiono i container,

inaugurati in pompa magna ad agosto e finora privi di allaccio elettrico, trasferendo chi viveva nella tendopoli-ghetto creata dai gestori

della struttura con il placet della Regione. Gestori che, in piena pandemia, continuano ad insistere sullo sgombero della palazzina

dell’Arena, dove vivono altre decine di lavoratori.
Anche nel Gran Ghetto si riempiono, previo pagamento di 60 euro di ‘tessera’ all’USB, i container installati dopo l’ultimo incendio. A Foggia,

gli abitanti del quartiere ferrovia continuano a lamentarsi degli ‘assembramenti’ di immigrati, che però non possono fare a meno di andare in

città a fare la spesa – anche qui, nulla di nuovo.
Nella Piana di Gioia Tauro la stagione degli agrumi è ormai terminata, ma chi ci ha lavorato non si può spostare altrove per la nuova stagione

e rimane così senza reddito.
Chi lavora nelle serre, da nord a sud, invece è esposto senza sosta a rischi di vario genere. Non solo non esistono protezioni sul lavoro, un

lavoro sempre più indispensabile e al contempo del tutto martoriato e iper-sfruttato, ma per questa mancanza di tutele a pagare sono, ancora

una volta, i lavoratori, e non soltanto in termini di salute e salario. È del 19 marzo scorso la notizia che 25 braccianti di origine

bengalese, stipati in tre furgoncini fermati dalle forze dell’ordine di Terracina, sono stati denunciati perché non rispettavano le misure di

distanziamento. Nessuno sembra essersi indignato per il trattamento riservato a chi notoriamente è costretto a subire i ricatti di

intermediari e padroni per poter sopravvivere, e di certo non può scegliere se e come lavorare.
Tra l’altro, proprio nell’Agro Pontino, a Fondi, è scoppiato un focolaio, e nonostante la cittadina sia stata dichiarata zona rossa il mercato

ortofrutticolo, tra i più grandi d’Italia, continua a lavorare a pieno ritmo. Ovviamente, la maggior parte dei braccianti stranieri sarà

esclusa dal bonus governativo di 600 euro previsto dal decreto Cura Italia, che richiede un minimo di 51 giornate in busta paga, una chimera

per molti.
Contemporaneamente, giornalisti pennivendoli di presunte autorevoli testate come la Repubblica del 27 marzo riprendono, accreditandole,

aberranti opinioni secondo le quali gli extracomunitari non si ammalano di COVID19’ – le ‘etnie’, si teorizza, forse rispondono in modo

diverso al virus. Nessuno avanza l’ipotesi che forse le categorie meno tutelate sono anche quelle con minore accesso alle cure…? Ma allora

perché non farla finita con le ipocrisie, chiamiamole ‘razze’ e riprendiamo le teorie che hanno sostenuto per centinaia di anni l’estrazione

brutale di lavoro nelle piantagioni di mezzo mondo. Gli africani, si sa, sono più resistenti.
D’altra parte, si moltiplicano i proclami dell’associazionismo, dei sindacati e delle istituzioni, che sembrano finalmente accorgersi

dell’esistenza di un esercito di lavoratori e lavoratrici in condizioni abitative drammatiche, spesso senza acqua corrente né la possibilità

di mantenere minimi standard igienici o di contenimento, i quali peraltro non sono stati adeguatamente comunicati. Addirittura, senatori e

ministri parlano apertamente di regolarizzazione, forse perché l’emorragia di braccia stagionali dall’Est Europa rende urgente trovare altre

soluzioni. Molti lavoratori e lavoratrici giustamente si rifiutano di rischiare una volta di più la vita, la prigione e il confinamento per un

lavoro sottopagato.
Per ora, di certo c’è soltanto la proroga dei permessi di soggiorno scaduti o in scadenza fino al 15 giugno, ben poca cosa rispetto alle reali

esigenze. Certo, oltre ai soliti africani ipersfruttati si affaccia anche l’ipotesi, sostenuta dalla ministra Bellanova in persona, di

‘volontari’ tra chi percepisce il reddito di cittadinanza da impiegare nelle campagne (Coldiretti, ricordiamolo, aveva dal canto suo proposto

di arruolare pensionati e studenti allentando i vincoli sull’uso dei voucher).
La CGIL, sempre prodiga di idee d’avanguardia, per svuotare i ghetti propone di trasferire i loro abitanti in caserme dismesse, che

incomprensibilmente vengono ritenute più sicure. A Rosarno continuano a languire, disabitate, le palazzine di contrada Serricella destinate ai

braccianti stranieri (ed ora anche a italiani con problemi abitativi, dopo lunghe polemiche), mentre si annuncia lo stanziamento da parte

della Regione Calabria di 2 milioni di euro per una non meglio specificata ‘assistenza ai migranti di San Ferdinando e Sibari’. La tendopoli

ad alta sicurezza è stata ‘sanificata’, e all’esterno è stata adibita una tenda per le quarantene, mentre alle decine di persone che vivono

nei casolari abbandonati di Russo, a qualche chilometro di distanza, si minaccia di togliere anche l’unico pozzo disponibile per

l’approvvigionamento d’acqua.
Infine, a Saluzzo la Caritas e il comune, in largo anticipo sull’inizio della stagione, già mettono le mani avanti ventilando l’ipotesi di non

riaprire il PAS – una ex caserma, tanto per cambiare, che negli ultimi due anni ha fornito servizio di dormitorio per alcune delle centinaia

di braccianti che ogni anno si accampano nella cittadina piemontese per la raccolta della frutta. Insomma, si procede a passo di gambero. Dal

canto nostro, oltre a ribadire quel che andiamo dicendo da anni, e cioè che l’unica soluzione sono documenti, case, contratti e trasporti per

tutte e tutti, ci auguriamo che questo rinnovato interesse verso le condizioni di lavoratrici e lavoratori delle campagne porti ad un sostegno

più ampio alle loro richieste di quanto sia stato finora. Quando l’emergenza tornerà ad essere appannaggio esclusivo delle categorie più

marginali, toccherà ricordare a tutte e tutti che chi sta alla base delle filiere agroalimentari non può essere lasciato indietro, e che le

loro legittime lotte e la solidarietà che le accompagna non possono essere criminalizzate. (28 marzo, da campagneinlotta.org)

Proteste e repressione nella Tendopoli di San Ferdinando
Nell’Italia chiusa dal lockdown in seguito alla pandemia causata dal covid-19, è particolarmente difficile la situazione di chi è costretto a

vivere nei ghetti e nei campi di stato, come la tendopoli di San Ferdinando in provincia di Reggio Calabria.
Il 1° aprile un gruppo di abitanti della tendopoli ha protestato contro l’intenzione di Regione Calabria, Caritas e Protezione Civile di

allestire presso la tendopoli una cucina da campo per la somministrazione di pasti. La protesta come al solito è stata pesantemente

criminalizzata da politici locali, sindacati e media, come ogni volta che gli e le sfruttatx hanno provato a far sentire la propria voce e

lottare per i propri bisogni. [...]
15 giorni dopo, il Sindaco di San Ferdinando Andrea Tripodi ha disposto ben 25 daspo urbani e l’allontanamento dalla tendopoli delle persone

che avevano protestato, segnalate dalla cooperativa Exodus che gestisce la tendopoli e dalla polizia, per violazione del regolamento e

“comportamenti gravi e non compatibili con la permanenza nel campo”. Nell’ultimo anno sono stati 40 i Daspo emessi dal Comune di San

Ferdinando.
Solo attraverso il Comitato lavoratori delle campagne, Radio Onda Rossa e Radio Blackout, si sono potute ascoltare le parole di chi vive nella

tendopoli che spiegavano le vere ragioni della protesta, le riproponiamo qui di seguito.
“Adesso il loro obiettivo è che nessuno della tendopoli possa uscire per andare a Rosarno per comprare la spesa. Attualmente ci sono

carabinieri e polizia sulla strada per Rosarno. La Caritas è venuta a portare i pasti cucinati da loro, ma da anni i ragazzi della tendopoli

stanno dicendo che vogliono che nessuno cucini al posto loro. Già la polizia sta impedendo alle persone di uscire dalla tendopoli. Perché

queste provocazioni?
Volevamo andare al Comune di San Ferdinando a dire al Sindaco “Basta con questa vergogna” perché da anni le persone dicono che non vogliono

questo, che vogliono essere trattate come le persone normali, perché dall’inizio di questa emergenza nessuno è venuto per chiedere come va la

situazione, come state. I Carabinieri hanno detto che se andavamo al Comune di San Ferdinando ci facevano una multa di 5/600 €.
È dal 2018 che la nuova tendopoli è militarizzata, il controllo aumenta ogni anno. Attualmente ci sono due furgoni dei carabinieri, 4 macchine

della polizia e due della guardia di finanza, nessuno può uscire o entrare nella tendopoli senza essere stato controllato. Il problema è che

loro non danno nessuna informazione, non ci dicono cosa possiamo o non possiamo fare, in questo modo le persone potrebbero capire, e invece

non spiegano niente e se qualcuno esce gli fanno un verbale e una multa. Ci sono altri ghetti qui, e tutti chiamano per capire la situazione.”
E ancora… “Lo sapete tutti, in questo momento la situazione in Italia è difficile, sia per immigrati o per italiani è difficile. Parliamo

della tendopoli perché sui giornali e su facebook abbiamo visto che il sindaco di San Ferdinando ha detto che tutto il dispositivo [sanitario]

è a posto. Nella Piana di Gioia Tauro gli immigrati sono stati abbandonati durante questa emergenza perché non c’è nessun servizio sanitario,

mancano le informazioni e ci sono tantissime difficoltà.
Chi dalla tendopoli vuole andare a fare la spesa a Rosarno non può farlo, possiamo andare a San Ferdinando ma tutti qui sappiamo che lì non

possiamo comprare quello che ci serve. Hanno già fatto il verbale a alcune persone per non farle andare a Rosarno. Attualmente la difficoltà è

anche delle persone che vivono [nei ghetti] a Russo e a Rizziconi, che devono spostarsi per fare le spese e andare a lavorare in campagna. La

maggior parte non sta lavorando e quindi ci sono molte difficoltà. Non ci sono informazioni.
Il Comune di San Ferdinando ha pubblicato su facebook che la Caritas ha portato la pasta in tendopoli e le persone hanno rifiutato ma nessuno

ci ha chiesto spiegazioni sul rifiuto. Dall’inizio dell’emergenza né la Caritas né il sindaco sono mai venuti a chiederci come stiamo o a

capire la nostra condizione. Sono usciti fuori i soldi e la Caritas ha portato la pasta anche se da anni le persone dicono di non volere i

pasti cucinati dalla Caritas. Le persone si vogliono cucinare per conto loro e se la Caritas si presenta con la pasta tutti la rifiutano. Qui

le persone lottano per il problema dei documenti e per il problema abitativo, la soluzione non è la tendopoli, la soluzione non è portare la

pasta cucinata dalla Caritas. La soluzione è documenti per tutti e casa per tutti perché in tendopoli c’è una situazione molto difficile e sta

diventando come la baraccopoli che hanno sgomberato. Hanno abbandonato tutti e durante questa emergenza manca l’acqua e la luce, ci sono

tantissime difficoltà.
La realtà è che neanche ci possiamo parlare, anche qui in tendopoli se si è in 2 o 3 la polizia interviene. Il vero problema è che non esce

mai quello che raccontiamo, anche con i giornalisti esce solo quello che dice lo Stato.
Il vero problema è la comunicazione. Anche se i giornalisti e altre persone vengono a chiedere, quello che noi diciamo non esce mai fuori.

Quello che dicono loro esce sempre fuori. Per questo le persone hanno deciso di rimanere zitte, perché tutto quello che noi diciamo non è mai

uscito fuori. Perciò noi reagiamo come vogliamo qui, quando qualcuno viene a provocare noi glielo diciamo direttamente. Le persone l’altro

ieri hanno deciso di andare al Comune di San Ferdinando per dire al Sindaco di vergognarsi, perché già da tanti anni loro stanno giocando con

la vita delle persone, loro giocano con la pelle delle persone, è tempo di dire basta, devono vergognarsi, perché tutto quello che loro

raccontano agli italiani è che i ragazzi sono violenti.
[...] Le condizioni della Calabria, parliamo direttamente della regione Calabria: ci sono tantissime disuguaglianze, perché non è solo la

Piana di Gioia Tauro, ci sono altri ragazzi che abitano da altre parti, Sibari etc, ci sono tantissime disuguaglianze, e anche loro stanno

chiamando per chiedere che cosa devono fare. È da un mese che loro sono a casa, non c’è nessun servizio sanitario, anche se qualcuno si sente

male non c’è nessuno a cui dire qualcosa, se chiamare un medico, lasciarlo così o fare qualche altra cosa.
La nostra lotta è stata già sfruttata da associazioni e sindacati perché loro non vogliono che noi lottiamo, loro non vogliono che noi ci

autorganizziamo nella Piana di Gioia Tauro. Anche se noi proviamo a fare qualcosa qui loro sono contro la nostra lotta, c’è tantissima

repressione, e anche queste associazioni e sindacalisti, tutti sono dalla parte dello stato italiano.
[...] Noi stiamo cercando una vita migliore ma nella Piana di Gioia Tauro sta andando peggio, perché tutte le cose che facevamo prima stanno

diventando difficili da fare.
Il giorno 6 dicembre abbiamo fatto qui una grandissima protesta, è stata organizzata dagli immigrati di tutta Italia, con una grandissima

riunione a Roma, per organizzarci, con l’aiuto di solidali italiani. Però a tutti quei solidali italiani che aiutano gli danno i fogli di via,

gli mettono tantissima pressione. Loro [le autorità] qua sono contro l’autorganizzazione, per loro dobbiamo passare sempre dai sindacalisti.
[...] Perché le persone vogliono lottare, vogliono chiedere i propri diritti. Con questo coronavirus ci sono delle possibilità, come vediamo

in altri paesi dove stanno facendo qualcosa per gli immigrati. Però attualmente qui in Calabria ci sono tantissime difficoltà per gli

immigrati, dobbiamo stare a casa chiusi, e noi qui siamo trattati come animali, non abbiamo diritto ad avere informazioni, non abbiamo diritto

di uscire, di andare a Rosarno a comprare la nostra spesa, dobbiamo andare ogni giorno a San Ferdinando e loro lo sanno che lì la nostra spesa

non si trova.” (25 aprile 2020, da hurriya.noblogs.org)

Una sanatoria non fa primavera
Da qualche giorno circola una bozza del decreto che dovrebbe regolarizzare gli ‘immigrati extracomunitari’ in possesso di garanzie di ingaggio

in agricoltura.
Si parla di una ‘sanatoria’ in due tempi (i braccianti subito e tutti gli altri rimandati a settembre), ma guai a pronunciare la parola per

non scatenare le ire di qualche bestia. Da quando Coldiretti e Confagricoltura hanno lanciato l’allarme sulla carenza di stagionali dovuta al

lockdown, il dibattito è infuriato su media e social, dando vita a proposte improbabili, sostenute e poi bocciate da soggetti che non paiono

conoscere il significato della parola ‘coerenza’ – come ad esempio la Ministra per l’Agricoltura, Teresa Bellanova, che inizialmente blandiva

le associazioni di categoria aprendo al lavoro ‘volontario’ in campagna per i percettori di reddito di cittadinanza e cassa integrazione, o

magari alla semplificazione dei voucher per mettere al lavoro anche studenti e pensionati, ebbene sì, signore e signori (reclutiamoli dalle

case di riposo magari, così possono almeno morire all’aperto!).
Ma è evidente che, a meno di non abolire il reato di riduzione in schiavitù (che comunque vale solo per qualcuno), di italiani da mandare a

lavorare nei campi se ne troverebbero pochissimi, e così ecco farsi strada l’ipotesi della sanatoria. Figurarsi che addirittura i rumeni e gli

altri cittadini europei ‘di serie b’ disertano il lavoro bracciantile in Italia! E non solo per il coronavirus. Sono almeno tre anni che le

cifre ufficiali raccontano di una lenta ma inesorabile fuga di lavoratrici e lavoratori comunitari. Chiunque abbia una possibilità di scelta

dai campi scappa a gambe levate e per ottime ragioni, di cui non ci sembra necessario dare conto. Ed è da un po’, almeno da un anno, che le

associazioni di agricoltori spingono per avere ‘più immigrati’, anche per via del contenimento degli sbarchi successivo ai criminali accordi

di Minniti con la Libia, e poi al blocco dei porti di salviniana memoria. Lo stesso Minniti oggi sostiene appunto la sanatoria, pardon, la

regolarizzazione. C’è chi adduce motivazioni economiche, chi anche sanitarie, ma la sostanza non cambia: si parla di regolarizzare solo quando

ai cittadini elettori si può raccontare che ci guadagnano anche loro – e non perché se ‘gli altri’ hanno più diritti anche quelli di chi li dà

per scontati sono meglio garantiti, ché questo deve rimanere un segreto. Di questo avviso ‘utilitarista’ sembrano essere anche i sindacati,

CGIL in testa, che ha avuto l’ardire di proporre i ‘permessi per calamità naturale’ previsti dal primo decreto Salvini – durata 6 mesi, non

convertibili, insomma carta straccia, giusto il tempo di salvare i raccolti e poi torni irregolare ed espellibile. Ma le richieste di

regolarizzazione si sono moltiplicate da più parti, con USB che propone due petizioni distinte, una per i braccianti e l’altra per le badanti,

salvo poi per bocca di alcuni suoi dirigenti VIP dire che ‘bisogna regolarizzare tutti’, sempre per coerenza. E c’è chi dice sanatoria per

tutt* e subito. Ma occorre fare forse qualche passo indietro.
A dicembre 2019 e poi a febbraio 2020, la Ministra dell’Interno Luciana Lamorgese dichiarava al parlamento l’intenzione del governo di

procedere ad una regolarizzazione di chi potesse dimostrare possibilità di impiego; insomma una sanatoria con tutti i crismi, come se ne fanno

da trentacinque anni a questa parte in Italia. Se il governo si era finalmente deciso, dopo 8 anni in cui alle politiche che da sempre

producono irregolari non sono stati affiancati canali per la regolarizzazione di alcun tipo (tranne quelli, sempre più stretti, della

protezione internazionale), non era certo grazie a qualche petizione. Se le pressioni datoriali sono storia vecchia, le lotte di chi vive nei

ghetti e nei campi di lavoro ed è costretto a lavorare in campagna lo sono ancora di più.
Dopo Rosarno, dopo Nardò, non ci stancheremo mai di raccontarlo, sono seguiti anni di manifestazioni, presidi, blocchi, in Puglia e in

Calabria ma anche a Roma. Allo stesso tempo, i sindacati e gran parte della società civile si dissociavano da queste lotte, le ignoravano o

peggio le intralciavano attivamente, appropriandosi del loro potenziale e poi disattivandolo completamente per guadagnare facile popolarità.

Salvo poi sgomitare oggi per provare ad accaparrarsi lo scettro della vittoria e rivendicare la regolarizzazione come un loro risultato. [...]
Qualsiasi sia il risultato finale di questo osceno dibattito, siamo certe che ci sarà da lottare ancora. Con chi verrà truffato per avere un

contratto, con chi si vedrà rifiutare la domanda di regolarizzazione, con chi proprio non potrà accedervi, con chi riperderà il sudato

permesso, con chi dovrà comunque vivere in baracca, lavorare senza tutele per un salario sempre troppo basso, rischiare la vita per andare al

lavoro. Sarà allora che, ancora una volta, sapremo chi sta dalla parte dei lavoratori e delle lavoratrici, degli irregolari, dei reclusi, di

chi lotta. (28 aprile 2020, da campagneinlotta.org)

Una regolarizzazione-beffa
Alla fine è arrivato il provvedimento del governo Conte per la regolarizzazione delle lavoratrici e dei lavoratori immigrati ed è un

provvedimento-beffa.
Per ammissione del governo ci sono oggi in Italia (almeno) 600.000 immigrati/e privi di permesso di soggiorno. Ebbene, il governo ha

deliberato di regolarizzarne solo un terzo e a precise condizioni. Secondo la ministra degli interni Lamorgese si tratterà di circa 200.000

persone. Quindi il governo Pd-Cinquestelle ha deciso che gli altri 400.000 debbono restare irregolari, a completa disposizione del sistema

delle imprese, incluse le intoccabili imprese della criminalità organizzata, che li supersfrutta beneficiando della loro irregolarità. Destre

e M5S ha sbraitato a squarciagola contro la presunta sanatoria. Ma il provvedimento sana, essenzialmente, una sola cosa: il supersfruttamento

pregresso degli irregolari perché consente a chi lo ha attuato di farla franca sul piano penale e amministrativo pagando 400 euro e un’altra

somma a forfait per i contributi non versati.
Per accedere a questa parzialissima regolarizzazione a tempo, gli immigrati irregolari dovranno pagare 160 euro per la domanda a cui, però, in

molti casi bisognerà aggiungere la quota padronale. Le entrate totali previste per le casse statali sono stimate in 91 milioni di euro. Questa

somma, ci si può scommettere, uscirà in gran parte dalle tasche di lavoratori e lavoratrici che aspirano ad essere regolarizzati. Anche

perché, per come è stato concepito questo provvedimento, non mancheranno le abituali, innumerevoli truffe da parte di “datori di lavoro”

fantasma che hanno infestato le precedenti sanatorie succhiando agli immigrati i pochi soldi sudati in anni di lavoro.
La regolarizzazione è prevista solo per le immigrate e gli immigrati che lavorano in agricoltura, nella cura delle persone e come colf. Tutti

gli altri, e non sono quattro gatti, sono centinaia di migliaia di immigrate e immigrati che lavorano nei ristoranti, nelle pulizie, nel

turismo, nei laboratori della industria dell’abbigliamento, etc., tutti luoghi in cui l’assenza del permesso di soggiorno consente ogni

sopruso, sono esclusi. I canali di regolarizzazione sono due: il primo, copiato dalle “sanatorie” Maroni e Monti, prevede che possano fare la

domanda di regolarizzazione le imprese che hanno impiegato (al nero) immigrati/e presenti sul territorio italiano prima dell’8 marzo. Il

secondo prevede che possano farla anche le lavoratrici e i lavoratori immigrati il cui permesso sia scaduto dal 31 ottobre 2019; ma se la loro

domanda sarà ammessa, il permesso durerà solo 6 mesi, e potrà essere trasformato in permesso di soggiorno per motivi di lavoro solo nel caso

in cui chi l’ha ottenuto abbia trovato un regolare contratto di lavoro – il che, con l’esplosione della crisi, è un miraggio anche per milioni

di lavoratrici e lavoratori italiani.
Questo significa che chi ha lavorato come bracciante, lavoratrice di cura o colf, anche da anni, senza avere mai avuto un permesso di

soggiorno non può chiedere di essere messa/o in regola denunciando il supersfruttamento subìto. Può farlo solo chi ne ha utilizzato il lavoro,

sempre che lo ritenga conveniente per sé.
Quindi: una volta di più procedure speciali, regole speciali, tagliole speciali su lavoratori e lavoratrici immigrati/e per mettere a

disposizione del “sistema Italia” proletari/e di serie B o C, che siano sempre sull’orlo di precipitare di nuovo nell’irregolarità. In ogni

caso sono esclusi da tutti e due i canali – come da decreti Salvini – gli immigrati considerati pericolosi per l’ordine pubblico e la

sicurezza dello Stato.
Probabilmente, i primi permessi di soggiorno di questa regolarizzazione-beffa saranno dati verso fine settembre – dal momento che la scadenza

per le domande sarà al 15 luglio, e la ministra dell’interno ha assicurato che ci saranno su ogni domanda controlli accurati. Insomma il

governo Conte ha garantito alle imprese agricole un’altra stagione di raccolti come le precedenti con la totale libertà d’azione per agrari,

padroncini e loro scagnozzi-caporali nell’uso e abuso della forza-lavoro immigrata.
Il presidente della Coldiretti stima addirittura in non più di 1.500-2.000 i braccianti impegnati nel lavoro dei campi che verranno

effettivamente regolarizzati. Si lamenta che non si sia tenuto adeguato conto delle esigenze delle imprese. E reclama il ritorno ai voucher

così da poter evitare qualsiasi forma di contratto che non sia giornaliero, e il ricorso ai “corridoi verdi” dai paesi dell’Est Europa – ma

l’Italia è stata battuta sul tempo dalla Germania perché lì pagano qualcosa in più. (14 maggio 2020, liberamente tratto da

pungolorosso.wordpress.com)


Dai campi di internamento per immigrati senza documenti
7 aprile 2020, Lesbo. Per la prima volta da oltre un mese alcuni profughi sono riusciti a sfuggire alla guardia costiera greca nell'isola di

Lesbo situata nell'est del Mar Egeo. Fra loro sono numerosi i bambini e le bambine. Dal 1° aprile motovedette greche controllano

sistematicamente le imbarcazioni provenienti dalla Turchia dove vengono costrette a ritornare. Dall'inizio d'aprile sono state fermate circa

700 persone che hanno tentato lo sbarco.
14 aprile, Roma. Rivolta nel Centro profughi di Torre Maura. Gli operatori vietano di uscire dal centro, gli internati rispondono con incendi

e danneggiamenti. Nei giorni precedenti si erano verificati proteste, atti di autolesionismo, incendi, tentativi di evasione, scioperi della

fame e della sete in vari Centri per il Rimpatrio. Già il 7 aprile dei solerti cittadini avevano dato l’allarme perché si erano accorti che

alcuni “ospiti” stavano scavalcando le mura del CAS. Il centro era già noto perché l’anno scorso un gruppo di fascisti aveva cacciato con

violenza 70 persone rom. Nel 2018 alcunx di loro erano statx sgomberatx dal camping River, ecco una breve testimonianza: “Questa mattina sono

venuti per buttarci fuori, ci hanno trattato come animali. C’è stata violenza, hanno spinto le donne e usato lo spray al peperoncino su una

signora. Qualcuno è uscito volontariamente, qualcuno è svenuto”, per la maggior parte anche quella volta lasciatx senza soluzioni alternative.
Cpr di Ponte Galeria, Roma. Dai contatti con alcune persone recluse nel Centro per il rimpatrio (Cpr) di Ponte Galeria sappiamo che nella

sezione femminile sono ancora detenute almeno tre donne. Per quanto riguarda la sezione maschile non si hanno notizie dirette, ma il numero

dei reclusi sta diminuendo anche lì, non registrandosi nuovi ingressi. Essendo bloccati i voli di rimpatrio per l’emergenza da Covid-19, le

persone vengono liberate con un foglio di espulsione per scadenza dei termini (45 giorni per chi viene dal carcere e 180 per tuttx lx altrx),

per esiti positivi dei ricorsi inoltrati dagli/dalle avvocatx o, come nel caso riportato oggi dalla Legal Clinic di Roma Tre, per rigetto da

parte del Tribunale delle richieste di proroga avanzate dalla Questura. Seppur l’obiettivo dichiarato dei Cpr sia la deportazione delle

persone senza documenti, ed essendo questo venuto meno per l’impossibilità di effettuare i voli di rimpatrio verso i Paesi di origine dex

reclusx a causa della pandemia, i Cpr continuano a esistere e a far lucrare chi guadagna dalla detenzione amministrativa: lo Stato, le

cooperative che lo gestiscono. Ciò rende palese il fatto che in realtà la funzione dei Cpr sia tutt’altra: essere una forma di ricatto

costante per chi non è in regola con i documenti, acuire la distinzione tra migranti “buoni” – che hanno una giusta motivazione per richiedere

il permesso di soggiorno, seguono le regole che vengono loro imposte nei centri di accoglienza, svolgono forme di lavoro volontario chiamate

tirocini per l’integrazione – e migranti “cattivi”, la fetta indesiderata e intollerabile della società, marginalizzata, che vive nella

costante condizione di poter essere imprigionata più e più volte, rimpatriata nei luoghi dai quali scappa o che nemmeno conosce. Il confine

tra le due condizioni è molto labile, in quanto basta perdere il lavoro e i requisiti per il rinnovo del permesso di soggiorno per finire tra

lx indesideratx, o ribellarsi alla situazione infantilizzante e oppressiva che si vive nei centri di accoglienza per essere condannatx,

imprigionatx nelle carceri e nei Cpr.
Il 25 aprile c’è stato l’ennesimo pestaggio. Nella sezione maschile ci sono una trentina di persone, i due terzi hanno cominciato il Ramadan e

protestavano per ricevere cibo. Per questo due di loro sono stati aggrediti dalla polizia, senza troppi complimenti, senza nemmeno coprire le

tracce dei manganelli. Sostanzialmente la stessa cosa che era accaduta pochi giorni prima nel “hotel covid” il posto dove erano state

deportate le persone positive ai test dopo la protesta di Torremaura di cui prima si è detto. Anche lì le persone in Ramadan avevano chiesto

di ricevere più cibo a cena dato che non stavano consumando il pranzo. Fortunatamente qui non abbiamo notizie dei pestaggi.

Cpr di Gradisca d’Isonzo (GO). Da dentro il CPR di Gradisca ci fanno sapere che ci sono almeno cinque persone positive al Coronavirus. Queste

persone sono rinchiuse nelle celle comuni, con altri detenuti. Alcune di loro sono stati deportati dalla Lombardia, in piena emergenza

Coronavirus. La Regione Friuli-Venezia Giulia dichiara che ci sono tre positivi in isolamento: questo è falso. Abbiamo ricevuto fotografie che

testimoniano chiaramente che le persone infette sono a contatto con gli altri reclusi. Le persone positive hanno portato i materassi fuori

dalle celle, per dormire nelle gabbie all’aperto e non infettare i propri compagni. La sera del 24 aprile i reclusi hanno bruciato alcuni

materassi per mostrare la loro rabbia e la loro paura. Chiedono di essere liberati, o quantomeno di non essere costretti a stare nelle stanze

a rischio contagio. Ma, ci dicono da dentro, non ci sono abbastanza celle perché ognuno possa stare isolato. Del resto, ci dice chi è

rinchiuso da prima dell’emergenza, non siamo noi a esserci contagiati a vicenda ma ci hanno contagiato quelli che entrano ed escono, cioè le

guardie e gli operatori della cooperativa Edeco. Secondo i reclusi, ci sono 8 casi di positivi nella zona rossa e almeno 4 casi nella zona

blu, che – stando alle fonti ufficiali – sarebbe quella adibita all’isolamento delle persone affette da Covid-19. Come sappiamo, però, persone

positive al virus si trovano anche nelle celle con persone negative.
Il 27 aprile le autorità e giornali locali hanno ammesso l’esistenza di 13 casi di isolamento preventivo nella struttura. “Si tratterebbe –

stando ai giornali – per buona parte dei compagni di stanza dei 4 migranti risultati positivi nei giorni scorsi al test del tampone, e in

parte di nuovi arrivi da fuori regione.” Non è chiaro come sia possibile che le 4 persone positive – che la Prefettura dichiarava fossero in

isolamento – avessero dei compagni di stanza. La verità è che fino a pochi giorni fa, positivi al test (di cui abbiamo ricevuto le fotografie)

erano in stanza insieme a negativi o a persone che non avevano ancora ricevuto il risultato. Da qualche giorno, questa prassi deliberatamente

criminale è stata interrotta: le persone sono in cella a due a due, positivi con positivi e negativi con negativi. A quanto sappiamo, le

persone positive stanno bene: non sappiamo però se ci sono persone che non riusciamo a raggiungere. Nell’area blu invece le persone sono in

isolamento individuale.
27 aprile, Alpignano, Torino. Non è certo una procedura inedita quella di isolare positivi e persone sintomatiche nelle stesse aree. Dopo

carceri e dormitori, la soluzione è stata applicata anche al Parlpapà, uno dei CAS di Alpignano, scatenando già il 24 aprile e di nuovo nella

giornata di ieri le proteste degli “ospiti” che si sono riversati nel cortile della struttura. Sul posto sono accorse le forze dell’ordine che

continuano a presidiare l’area mentre la prefettura è subito intervenuta precisando come la situazione proposta sia assolutamente temporanea.

Giusto il tempo per permettere il contagio.
5 maggio, Palermo. Dopo due settimane di quarantena 183 profughi presi in salvo in alto mare sono stati costretti a uscire dalla motovedetta

italiana “Rubattino” ancorata nel porto di Palermo. Questo comunica “Sea - Eye” organizzazione di salvataggio in alto mare, che li aveva presi

a bordo nel Mar Mediterraneo nella nave di salvataggio tedesca “Alan Kurdi”. Nelle condizioni anguste presenti nel porto la situazione si è

inasprita. La conclusione infatti è che le persone profughe sono state portate su una grossa nave italiana dove devono scontare 14 giorni di

quarantena.
3 giugno. Ancora in calo nei Cpr: ora sono 178. L'emergenza Covid-19, ha fatto scendere in maniera vertiginosa la presenza dei migranti presso

i Centri di permanenza e rimpatrio (Cpr). Secondo gli ultimi dati messi a disposizione dalla garante nazionale delle persone private della

libertà, con la chiusura lunedì scorso del Centro di Potenza-Palazzo San Gervasio, per lavori di ristrutturazione, le presenze complessive di

persone straniere trattenute a fini di rimpatrio nei Cpr italiani sono ulteriormente scese, arrivando a quota 178, a fronte delle 195 persone

presenti il 22 maggio scorso e delle 425 presenti il 12 marzo. I Cpr attualmente operativi sul territorio nazionale sono, quindi, sei (Bari,

Brindisi-Restinco, Roma- Ponte Galeria, Torino, Gradisca d'Isonzo e Macomer) con 525 posti disponibili di cui solo il 30% attualmente

occupato.

***
Dai campi di internamento in Francia
Dopo più di un mese di stato di emergenza sanitaria, di confino e di chiusura delle frontiere, lo Stato continua a rinchiudere nei CRA e nelle

prigioni. Nella settimana del 13 aprile, lo Stato si è rimesso a rinchiudere in massa nei CRA. Per quanto riguarda le prigioniere, a Mesnil

Amelot, a seguito di alcune liberazioni, una persona si è ritrovata da sola come era stato il caso due settimane fa a Oissel (Rouen, nord-

ovest). Queste donne si ritrovano sole e isolate di fronte al razzismo e al sessismo delle guardie, in condizioni ancora più dure di quelle

degli uomini. Le prefetture dell’Ile-de-France non sono nell’ottica di chiudere i centri di detenzione com’è stato annunciato su alcuni

giornali, in particolare dopo la decisione del Tribunale Amministrativo di Parigi riguardo al CRA di Vincennes. Al CRA di Lille-Lesquin,

alcune persone rinchiuse continuano ad essere liberate ma spesso nel mezzo della notte, e si ritrovano sole in strada alle due del mattino

nelle vie di Lesquin senza alcun modo di raggiungere Lille. Per quanto riguarda i prigionieri di Mesnil Amelot trasferiti a Lille dopo la

rivolta di domenica 12, questa volta nessuno è stato liberato. Alcune prefetture avevano annunciato la chiusura dei centri di detenzione che

di fatto non sono mai stati chiusi. È quello che è successo ai CRA di Lione, di Lille, di Nîmes. Il CRA di Bordeaux serve ancora a infliggere

una doppia pena per le persone che sono appena uscite di prigione, prelevate dalla polizia direttamente all’uscita e rinchiuse in centro di

detenzione. Il 16 aprile restavano 5 prigionieri/e nel CRA di Tolosa, a Cornebarrieu. Come in ogni CRA, gli sbirri rifiutano l’accesso alle

cure alle persone rinchiuse, e le picchiano. Quel giorno, mentre un prigioniero viene preso da un malore, le guardie non intervengono e quando

alla fine arriva la PAF [Polizia di confine] è solo per picchiarlo e isolarlo. Il giorno successivo il prigioniero ha iniziato uno sciopero

della fame. Lo Stato continua a tenere aperti anche i centri di detenzione “oltre mare”, nelle colonie francesi. È il caso della Guyana, dove

10 persone sono state rinchiuse il 20 aprile, e 5 il 21 aprile, tutte appena uscite di prigione.
Il rifiuto di acceso alle cure è la norma nei CRA: gli sbirri, la prefettura, i giudici e i medici lasciano che le condizioni di salute dei

prigionieri si degradino sempre di più. Da un lato, i trattamenti in corso vengono interrotti, dall’altro le persone che si ammalano nei

centri non vengono curate. Per quanto riguarda il Covid-19 più specificamente, lo Stato fa prendere ai/lle prigionieri/e il rischio di crepare

continuando a rinchiuderli/e, spesso mettendo più persone per cella, in condizioni sanitarie insalubri, lasciando gli sbirri, che entrano ed

escono ogni giorno, contaminarli e rinchiudendo delle nuove persone ogni giorno. Le prefetture, per poter mantenere i centri aperti,

sostengono di poter fare un tampone a tutti/e quanti/e.
Gli effetti della reclusione, in prigione come in CRA, si ripercuotono anche sulle persone che li circondano: ore di attesa per i colloqui,

gli abusi da parte delle guardie durante la perquisizione, il disprezzo dei giudici. In questi tempi di epidemia, si aggiunge l’interruzione

delle visite e la paura del contagio, oltre alla mancanza di informazioni e l’assenza di misure sanitarie all’interno dei centri di

detenzione. A Mesnil Amelot alcuni poliziotti sono arrivati persino a fare delle multe per violazione delle misure di lockdown a dei familiari

che venivano a portare degli oggetti ai propri parenti rinchiusi.
Di fronte a questa situazione, i/le prigionieri/e si organizzano e le rivolte si moltiplicano.
A Vincennes, Lille, Mesnil-Amelot, Lione e Oissel tutte le lotte condotte dai/lle prigionieri/e queste ultime settimane rivendicano la

liberazione immediata di tutti e tutte e la chiusura delle prigioni per persone senza documenti.
Nella notte tra l’11 e il 12 aprile, il cortile dell’aria è stato bloccato dai/lle prigionieri/e che l’hanno invaso urlando “Libertà!

Libertà!”. Il comandante e la direzione del centro hanno cercato di farli risalire nelle celle, ma i prigionieri si sono rifiutati e hanno

passato la notte fuori. Durante la mattinata del 12, la celere è stata chiamata in rinforzo oltre agli agenti in antisommossa già presenti.

Una parte dei prigionieri è stata pestata mentre le guardie hanno perquisito tutto l’edificio e confiscato i telefoni. Poi la celere ha

riportato di forza i prigionieri nelle loro celle fatta eccezione per 8 persone che sono state fermate e poi trasferite in altre prigioni per

stranieri/e.
Quando domenica 12 aprile i 3 prigionieri di Mesnil Amelot sono arrivati a Oissel dopo un trasferimento all’insegna delle violenze, i 13

prigionieri del CRA di Oissel hanno lanciato uno sciopero della fame per esigere la loro immediata liberazione. Denunciano la mancanza

materiale di protezioni sanitarie (gel antibatterico, sapone, maschere) che mette in pericolo le persone rinchiuse. I tre prigionieri

trasferiti si uniscono alla lotta in corso.
Di fronte alle rivolte nei centri, la strategia delle guardie e delle prefetture è spesso di trasferire quelli che considerano i capi in altri

CRA per spezzare i legami di solidarietà e l’organizzazione: fatica sprecata perché da Mesnil a Oissel, la lotta continua! Questa settimana al

CRA di Oissel c’è stata qualche liberazione e dei nuovi arrivi. Gli ultimi prigionieri in sciopero della fame sono stati arrestati il 17

aprile senza aver ottenuto nessuna risposta da parte dell’amministrazione. In quel momento dieci prigionieri si trovavano nel centro.
A fine marzo, degli scioperi della fame scoppiano a Vincennes. Il 9 aprile, dei casi di coronavirus vengono confermati, mentre i prigionieri

reclamavano da diverse settimane libertà e misure sanitarie all’altezza della crisi. Gli sbirri, piuttosto che portare i prigionieri malati

all’ospedale, li mettono in isolamento. Il 12 aprile, dopo un incendio durante la mattinata, un prigioniero malato con i sintomi del covid

stava molto male. I prigionieri si sono scontrati con la polizia per esigere che venisse portato in ospedale. Intorno a mezzanotte, i detenuti

hanno ottenuto che venisse portato con un’ambulanza. Per proteggere le guardie, l’amministrazione ha messo delle maschere a disposizione dei

prigionieri/e, cosa che è stata ovviamente presa come un insulto.
Il 14 aprile, il tribunale amministrativo di Parigi si è espresso riguardo la chiusura del CRA di Vincennes. Il tribunale chiede inoltre, per

quanto riguarda chi è risultato positivo al Covid-19, di “isolarli e quarantenarli pur mantenendo l’accesso alle cure necessarie al loro stato

di salute”. Più che ipocrisia, è un accanimento, visto che la giustizia sa molto bene che l’accesso alle cure è inesistente nei CRA, in tempo

normale e ancora di più in questo momento.
Sui giornali si è scritto tanto dei CRA durante la rivolta dell’11-12 aprile a Mesnil-Amelot, diversi giornalisti, anche “militanti”, hanno

pubblicato testimonianze audio dei prigionieri e articoli con i loro nomi. A Mesnil, durante la rivolta, gli sbirri dicevano apertamente che i

prigionieri presi di mira dai trasferimenti o dai pestaggi erano “quelli che parlavano ai giornalisti”, che le guardie si aggiravano intorno

alle cabine del telefono tendendo le orecchie e cercavano di confiscare i telefoni cellulari.
Con la rivolta di Mesnil abbiamo anche assistito all’abituale passerella dei politici, in particolare di Coquerel, deputato della France

insoumise che è andato al centro il 13 aprile, i prigionieri dicono che niente è cambiato dalla sua visita. Anche le istituzioni

“indipendenti” si risvegliano. È il caso del Controllore Generale dei Luoghi di Privazione della Libertà, Adeline Hazan che esortava il

governo a svuotare e chiudere i CRA. La stessa cosa è stata fatta dal Garante dei Diritti: per la seconda volta dall’inizio del lockdown, il

18 aprile ha reclamato la chiusura dei CRA e la liberazione dei/lle prigionieri/e. Come sempre, è tutto molto bello ma non ha nessun effetto…

da siti e fb: hurriya.noblogs.org, nofrontierefvg.noblogs.org, jungewelt.de


Lettera dal carcere di torino
Dopo aver chiacchierato con due amici e un gruppetto di persone durante l’ora d’aria. Il tema in primis è stato colui che purtroppo negli

ultimi mesi è diventato una star con odiens d’ascolto credo spaventoso, IL CORONA VIRUS, i dati li lascio alle cronache.
Io dico solo: quanti morti, quanta paura e confusione, credo che molti di noi facciano ancora finta di nulla perché la realtà non sempre è

così bella. Poi c’è l’ignoranza, la furbizia, la prepotenza, egoismo… Mi fermo qui, troppe cose sono collegate. Penso sia la storia di una

guerra, lo dico così a titolo d’esempio.
Come ULTIMO, detenuto qui da non molto, ho uno sguardo su questa pandemia, da persona libera a persona detenuta. Non scrivo per protagonismo,

vorrei solo sensibilizzare su ciò che accade qui. Sono un detenuto ma prima di tutto una persona assieme ad altre persone. Persone unite con

il mondo in questo momento allucinante dove le urla di paura per questo virus rimbombano dentro le mura di queste celle, come nelle vostre

case. Noi qui siamo soli, a pensare alle persone care e viceversa e oggi non si tratta più del “te lo sei voluto”. Forse è normale che in

questa situazione salti molta razionalità. Siamo tutte persone con le stesse paure, viviamo un momento in cui tutti dobbiamo avere la

possibilità di vivere e morire stringendo però la mano di una persona amata.
Io sono in una sezione (la decima sezione del blocco B) usata oggi come luogo di quarantena. Siamo in una trentina di esseri umani. Qui il via

vai è inarrestabile. Molti escono dopo pochi giorni. In più c’è il via vai degli agenti di custodia, uomini che svolgono questo lavoro e che

hanno paura per la loro salute. Quando qualcuno risulta positivo viene spostato ed è meglio così. Radio carcere dice che gli ammalati sono nel

padiglione Arcobaleno prima adibito a sezione per tossicodipendenti.
Torniamo a questa sezione prevenzione: mascherina sempre la stessa (dopo un giorno non è più efficace), controllo della temperatura, distanza

uno dall’altro dove è possibile la si rispetta, quando si è chiusi in cella, come si fa? Quando si sta in 6 metri quadrati divisi in due

escluso il bagno, con un tavolino di 80 cm, un lavandino, un wc a muro. Siamo nel mondo e diciamo che la situazione qui è simile ad altri

posti… Le altre precauzioni non esistono, e non parlo per questo stato di emergenza, parlo di regole base di un convivere normale. I materassi

sono tutti rotti, per cui il compagno di cella che nel letto a castello dorme sotto respira polvere invecchiata con il materasso di gommapiuma

ridotto i brandelli. Per la cella non esistono prodotti per l’igiene, per lavare i piatti, per il pavimento, superfici in generale, per cui

capite che prodotti come l’amuchina o disinfettanti in generale sono un miraggio. Mi riferisco comunque a prodotti che dovrebbero esserci dati

per diritto, non per paraculaggine o perché sei più ricco. C’è una sola scopa per tutta la sezione. Le celle poi… all’arrivo sono un tugurio

dove sono passate almeno dieci persone con i soli abiti indossati al momento dell’arresto… e si sa che il mondo è bello perché è vario… anche

nell’igiene personale e comune. Mi fermo qui, diventerebbe un triste poema. Beh in effetti è un triste poema.
Io sono Enrico N., ho 58 anni con alle spalle molti reati e anni di carcere come conseguenza di dipendenze. Non sono un santo ma nemmeno un

diavolo, mai! Sono un essere umano che ama, che ha costruito 10 anni di vita “normale” lavorando e badando ad una famiglia compreso un figlio

bravissimo. Dopo anni di separazione è tornato l’amore con una donna conosciuta così, e con lei è tornata la voglia di vivere. Nel frattempo è

ritornato anche qualche fantasma del passato difficile da vincere. Combatto da anni e non nego le mie “responsabilità”.
Ora vi presento dei compagni che porto con me da anni e che non ho cercato. Fanno parte forse del mio debito con la vita che comunque amo e

vorrei continuare nel tempo che mi rimane. Questi compagni sono le patologie: HIV dall’86, HCV, HBV, un inizio di cirrosi, cardiopatia,

sostituzione valvola mitralica e aortica, pacemaker, atrofizzazione del polmone destro, bronchite cronica, cedimento della colonna vertebrale,

neuropatia, inizio di osteoporosi. Sono stato da poco operato per l’algia addominale in noto laparocele. Per questo sono stato inserito in una

lista per un altro intervento. Queste patologie darebbero la mano al Corona Virus.
Mi scuso per essermi dilungato troppo sulla mia situazione personale. Non cerco compassione, cerco aiuto per i miei compagni con difficoltà a

esternare per carattere, o per difficoltà linguistiche, per te che ascolti e per il mondo con in comune la paura di morire non potendo avere

affianco le persone amate. Mettiamoci una mano sul cuore, uno per l’altro, diamoci gli stessi diritti in una situazione dove ci vuole amore e

altruismo.
Io sono un OSS e in questo momento questo lavoro lo farei da volontario.
Vi prego, non pensate a me ma alle altre migliaia di esseri umani coinvolti. Ce la faremo. Guardiamoci di più attorno. Giudizi, rancori,

etichette, non combattono il Corona Virus. Altruismo, sensibilità e unione sì. Viva la vita. Enrico N.

Torino del 22 aprile (Da Cassa Antirep)


da due lettere dal carcere di milano-opera
[...] Ho raccontato di quello che stava accadendo qui. La protesta nei reparti a regime comune, sedate con cariche di squadrette a

manganellate. Da qui in AS1 abbiamo potuto poco per evitare che ciò accedesse, troppo distanti, troppo impotenti da non permettere a questi

indegni di intervenire così ferocemente. Erano poche decine di noi a invitarli e a minacciarli anche di smettere.
Questi poveri cristi stanno ancora pagando quelle gesta con isolamento. Hanno centinaia di persone isolate nelle loro stanze e gli fanno fare

un'ora d'aria di passeggio a cinque alla volta ma hanno quasi finito. [...]
La direzione ha preso provvedimenti drastici per isolarci dal mondo esterno. Noi dell'AS1 siamo isolati dagli isolati e, in ogni modo, qui

dentro è da più di un mese che non fanno entrare nessuno, questo istituto è diventato tutt'uno, un “guardie e ladri”!
Devo riconoscere che fin'ora sono riusciti a non fare entrare il virus in questo posto. Certo che oltre a decisioni drastiche per isolarci

hanno preso anche provvedimenti per agevolare i nostri contatti con i familiari. Difficile a credere, funziona anche, e visto quanti ne siamo,

purtroppo bisogna riconoscere a queste chiaviche che se la stanno cavando bene. Credo che siamo l'unico istituto in Italia in questa

emergenza, noi tutti, compreso AS1, ad effettuare oltre le nostre telefonate, altre otto concesse dalla direzione, più una videochiamata

WhatsApp a settimana e una videoSkype a settimana. Il WhatsApp è di un quarto d'ora e la videoSkype di un'ora. [...]

***
Sono trascorsi due mesi di quarantena, siamo ancora qui a vivere il quotidiano con ristrettezze nelle ristrettezze che già normalmente eravamo

sottoposti noi dell’AS1.
Qui a Opera gli animi si sono calmati, si vive giorno dopo giorno dell’agonia che la società è posta esternamente, ma soprattutto con le

preoccupazioni verso tutti gli altri prigionieri ospiti nelle altre patrie galere che hanno cominciato ad ospitare questo virus maledetto.

Iniziamo a contare centinaia di contagiati e qualche morto, e sfortunatamente si incrementeranno questi numeri in negativo nei prossimi giorni

perché, questo stato malvagio, vendicativo, dittatoriale dei diritti della popolazione detenuta, non fa nulla.
Lo stato è assente, dall’unico provvedimento preso verso i carcerati è stata una farsa, liberare i definitivi di 18 mesi di reclusione con gli

arresti con il braccialetto; come mandare più di 1000 persone ai domiciliari quando hanno poco meno di 1000 braccialetti a disposizione?

Quello che accade dai vertici è da manicomio. I poteri forti non vengono sindacalizzati da nessuno; se in questo stato ci sarebbe un solo

giudice onesto dovrebbe liberare migliaia di celle per fare spazio a questi psicopatici che gestiscono gli istituti di pena, iniziamo ad

ammanettare il ministro Bonafede, visto che gli piacciono tanto le manette. Per i crimini che sta commettendo verso la popolazione detenuta,

dovrebbe provarle per primo. Non fa altro che dire falsità in TV, sui numeri di capienza ospitati, sui contagi e su tutte quelle altre

stronzate che dice per passare per isole felici questi posti da schifo; e Basentini? Il direttore del DAP per i provvedimenti che a preso in

questi ultimi due mesi, secondo me se fossero ancora aperti i manicomi nessun psichiatra accetterebbe il suo ricovero, forse per il serraglio

e il mattatoio. Non c’è un’associazione dei diritti che non lo a ancora denunciato su quel suo provvedimento preso in questi mesi, per

l’emergenza virus, […], ma alla fine questi megalomani verranno anche premiati. Questa è l’Italia. Non importa se si è trascorso 20, 30 e

anche 40 anni in questi posti e non si conosce più la società esterna, con i sui frenetici ritmi, noi rimaniamo sempre quei criminali che si

sono mangiati l’Italia, per propaganda di questi miserabili che realmente si mangiano l’Italia. Noi serviamo solo per la loro propaganda ,

intimorire il popolo che noi siamo il cancro della società e avere in questo momento cosi terribile per il mondo intero dove la gente inizia a

fare la fame, e hanno altro a cui pensare, tipo come portare un po di pane a casa per sfamare i figli, c’è chi trova il tempo per allarmismi

sulla criminalità organizzata che si possa impadronire dei capitali da stanziare per l’emergenza
In questo oceano di squali, navigano tutti e tutti possono prendere decisioni discutibili e assurde, Bonafede, Basentini e altri. Tanto loro

sono i pesci grossi e la natura dice che i grossi mangiano i pesci piccoli, quindi siamo sempre noi a perire. Noi siamo il male, la rovina e

poco importa se entra in questi luoghi il virus e fa un’ecatombe. Alla fine, chi è che muore?

Milano-Opera, Aprile 2020


Sulla ripresa dei colloqui
Con la circolare del DAP dell’11 maggio, la riapertura dei colloqui si sta organizzando su base regionale, questo vuol dire che al di là dei

detenuti che sono ristretti nella regione d'appartenenza tutti gli altri non potranno fare colloquio. Ora, tenendo conto che la quasi totalità

della popolazione ristretta, da Palermo a Tolmezzo, è di origine meridionale e migrante e che la maggior parte delle carceri è situata in

regioni diverse da Sicilia, Calabria, Puglia e Campania, la deduzione è semplice: la prevalenza dei detenuti non farà più colloquio fino a che

non verrà trovata una cura per il covid19. Per i familiari che avranno la "fortuna" di risiedere nella stessa regione di detenzione del

proprio/a caro/a i colloqui ammessi saranno a distanza di 2 metri, della durata di un'ora, con un solo familiare, con il vetro divisorio e il

divieto di scambiarsi un saluto fisico. Nella prevalenza delle carceri non entra più nemmeno il pacco. Praticamente un 41 bis rafforzato ed

esteso ad ogni "tipologia" di detenuto.

Il DAP ha diffuso una circolare in vista della riapertura dei colloqui in “presenza”. Secondo l’amministrazione “appaiono opportune” delle

“disposizioni orientative a carattere generale”. Tuttavia, quello che si denota è la solita l’impronta disorientante dovuta alle varie

sovrapposizioni tra leggi, circolari e regolamenti che in questo caso riguardano l’autorità sanitaria e il dipartimento di amministrazione

penitenziaria stesso. Il risultato è che ogni carcere farà da sé, scegliendo tra le diverse indicazioni quelle più congeniali per mantenere il

proprio ordine interno. Tra tutte spiccano i suggerimenti in merito al vetro divisore: “Quanto alle modalità di svolgimento dei colloqui, il

comma 5 dell'art. 37 in oggetto prevede, come regola generale, che i colloqui avvengano senza “mezzi divisori”, tuttavia è anche previsto che

per "ragioni sanitarie” i predetti vi possano essere”.
Ad ogni direzione del carcere spetterà la “valutazione sia quanto al numero di colloqui in presenza effettuabili sia quanto al numero di

coloro che vi possono essere ammessi, ciò in relazione alle specificità logistiche e strutturali dell'istituto, da esaminare unitamente

all'Autorità sanitaria locale”. Inoltre, “le Direzioni potranno limitare sino ad uno il numero dei colloqui mensili”, anzi è proprio il DAP ad

indicare “in modo orientativo” un massimo di due colloqui al mese ed una sola persona presente.
In ogni caso, fino al 30 giugno “i colloqui possono essere svolti a distanza mediante, ove possibile, apparecchiature e collegamenti di cui

dispone l'amministrazione penitenziaria o mediante corrispondenza telefonica che può essere autorizzata anche oltre i limiti di
cui all'art. 39 comma 2 del d.p.r. n. 230 del 2000”.
Per quanto riguarda il pacco, viene suggerito di favorire le spedizioni tramite corriere, ad ogni modo, “ove il congiunto intenda comunque

consegnare personalmente il pacco, ciò dovrà avvenire secondo modalità precauzionali individuate d'intesa con l'Autorità sanitaria e in modo

tale da non rallentare le operazioni di accesso ai colloqui”.
Entrando nel merito dei colloqui “in presenza”, non mancheranno code come ai supermercati per garantire il “distanziamento” e la salute

generale di chi entra e, proprio come in alcuni supermercati a rischio di sovraffollamento, le prenotazioni potranno diventare “obbligatorie”

(per il DAP è necessario renderle obbligatorie). Le aree verdi delle carceri potranno essere utilizzate, anche se probabilmente saranno

limitate ad alcuni detenuti “comuni”, come previsto per il carcere di Opera.
La verità è che il DAP si immagina una situazione che non va oltre al vedersi e parlarsi attraverso un vetro diverso rispetto a quello del

computer o del telefono. A proposito dei “mezzi divisori” dice che “dovranno avere un’altezza tale da coprire il viso delle persone” e

“comunque non saranno permessi contatti interpersonali”. Inoltre viene prescritto “di evitare lo scambio di oggetti”.
Ultima nota, guanti e mascherine dovranno essere resi disponibili, ma a spese dei detenuti nell’elenco del “sopravvitto”. La direzione

garantirà comunque “disinfettante per l’igiene accurata delle mani”, come Ponzio Pilato, a quanto pare, il carcere ha tanto disinfettante con

cui lavarsi le mani.


Da una lettera dal carcere di Bologna
[…] devo dirti che sono contento che qualcuno possa far sapere cosa succede nel carcere di Bologna, i Tg non ne parlano per non allarmare le

famiglie, ma qui non è una gran bella situazione, è da giorni ormai mesi che si parla di questa epidemia mondiale, qualche deficiente

ignorante ha detto che per noi detenuti ristretti, non avendo contatti né con i familiari né con l’esterno era impossibile essere contagiati

dal coronavirus, soltanto il giorno 7 aprile ci hanno consegnato delle mascherine, cioè dopo che hanno scoperto altri 2 detenuti [positivi]

nella sezione 1°D, dove ci sono i giocatori del rugby e lo studentato, che fanno studi di lauree e diplomi, ci sono 4 sezioni in quarantena,

quando dico sezioni parlo di 52 persone per sezione, il 3°A e il 3°B dell’alta sicurezza dove c’era quel signore Vincenzo Sucato sono in

quarantena, il 2°A è in quarantena e ora il 1°D.
Dicono di un solo contagio nel carcere della Dozza ma io so che sono già 20 se non di più, ma fanno credere che la situazione qui è sotto

controllo ma non è così, dalle guardie non so che notizie possono uscire ma non penso siano vere perché non vogliono allarmare i famigliari.
Riguardo alla rivolta è stata una provocazione da parte delle istituzioni e della polizia penitenziaria e ora ti spiego come sono andate le

cose.
Il giorno 8 marzo per la festa della donna tutto il carcere ha fatto una battitura pacifica per sostenere gli altri detenuti coinvolti nelle

rivolte già iniziate, la nostra iniziativa era quella di bloccare i carrelli della cucina, non fare la spesa e fermare un carcere senza

portare avanti il loro commercio del mangiare della cucina e la spesa che tengono nel magazzino, non andava a lavorare nessun detenuto e

facevamo una cosa “pacifica”.
Il giorno 9 marzo dovevamo fare l’incontro con la direttrice Claudia Clemente, la commissaria Quattromani e altri, il capo degli educatori

Massimo Ziccone, il responsabile della sanitaria ecc. ecc., già quando siamo andati giù erano già pronti con caschi scudi e manganelli, siamo

passati in mezzo a 200 guardie già pronte come se sapessero cosa doveva succedere. Alle 13:30 ci hanno vietato l’ora d’aria che ci spetta, è

ministeriale e non potevano farlo, quella situazione di reazione dei detenuti l’hanno scatenata loro, quella è stata la scintilla, ma secondo

me si poteva evitare.
Hanno provato a entrare nella sezione con forza spingendosi tra di loro con gli scudi, idrante e manganellate, ma essendo compatti pure noi

non sono riusciti ad entrare sennò sarebbe stata una carneficina.
Abbiamo ceduto solo per il semplice motivo che troppe persone stavano male, chi aveva bisogno di cardioaspirine, chi del metadone e del

subotex, e che molte persone sono collassate per i miscugli di farmaci, abbiamo deciso con un volontario detenuto di andare a prendere le

chiavi delle celle e farci trovare nelle nostre celle senza però nessuna violenza e così abbiamo trovato l’accordo. Ma non è vero che hanno

fatto irruzione se non lo decidevamo noi loro non entravano, tutte le cancellate delle scale erano bloccate, non sarebbero mai potuti entrare,

solo dal tetto potevano provare ma ti garantisco che avrebbero dovuto aprire il fuoco, perché c’era troppa tensione e sarebbe stato un

massacro.
Qui già da prima era difficile avere una terapia, per mal di testa, mal di denti, mal di pancia ci davano la tachipirina, [a me non danno le

medicine di cui ho bisogno da un mese (qui è parafrasato per mantenere la privacy)], non dormo da giorni, vedi tu come siamo messi. […] qui a

parte convivere con la paura di ammalarci, nelle celle siamo pieni di scarafaggi, ci siamo lamentati ma nulla e questo è un problema da anni,

non ho paura della morte, ma voglio morire vicino a mia moglie e ai miei figli, non in bocca allo stato e sti 18 mesi…? Una presa per il c….
Auguri per tutto, speriamo che le nostre lettere servano per qualcosa.

10 aprile 2020, da tribolo.noblogs.org

***
Noi detenuti della casa circondariale di Bologna (Dozza), a nome di tutti i detenuti, è stato riscontrato che all’interno del carcere ci sono

vari casi positivi al covid-19 (coronavirus). Alcuni detenuti sono stati trasferiti non si sa dove e alcuni in infermeria senza essere

avvisati di nulla…Tutti i detenuti sono sprovvisti di mascherine, guanti e soprattutto senza materiale per disinfettare, non abbiamo più la

possibilità di lavarli correttamente non facendo più i colloqui e la struttura è sprovvista di lavatrici o metodi per la corretta

disinfezione, tutti gli ambienti (doccia) sono mangiati dalla muffa, con il soffitto che cade a pezzi, condizioni igienico-sanitarie pari a

zero. Qua dentro siamo a rischio di contagio di varie malattie, per non dimenticare che siamo in una cella di 10mq in 2 persone compreso il

bagno. Addirittura fino a qualche giorno fa eravamo in 3 chiusi 24h su 24 per più di 14 giorni, attualmente siamo aperti solo 2 ore al giorno

per poter camminare nel corridoio del nostro braccio in 50 persone… Ci sentiamo abbandonati a morire da soli qua dentro, senza poter far

nulla, senza vedere neanche le nostre famiglie…

Da una lettera dei detenuti sulla condizione all’interno della Dozza
27 marzo, da inventati.org/rete_evasioni


da una lettera dal carcere di udine
Ciao amici, […] alcuni giorni fa ci hanno fatto il tampone, uno solo, e dopo alcuni giorni un sovrintendente dell'istituto annunciava al

microfono che eravamo tutti negativi al tampone... E non solo: circa 15 giorni fa un detenuto, che però non si è visto, era in isolamento

perché si pensava dai sintomi che avesse il virus. E poi un detenuto ha visto arrivare un'ambulanza, cioè operatori del 118 con il camice, e

portare via questa persona, che però noi non sappiamo chi fosse.
Qua ci nascondono tutto. Anche per paure di rivolte e comunque volevo anche dirvi che, al di fuori delle 2 ore alla mattina e delle altre 5

ore il pomeriggio, cioè dalle 13.00 alle 15.00, dalle 15.00 alle 17.50, dopodiché il restante delle ore siamo chiusi. Questo di essere chiusi

in cella è già da 30 giorni, subito dopo il giorno che succedette la rivolta. Trovo ingiusto che ancora da allora tutti siamo rinchiusi in

questi piccoli spazi di pochi metri quadri. […] Nella cella, di pavimento calpestabile abbiamo 90 cmq, meno della distanza di sicurezza. […]
Sono prigioniero di questa cupola di bugiardi in cerca di istigarti a farti morire […]
Qua non funziona nulla, è una cupola tra avvocati, giudici, magistrati, assistenti di alto grado. La comandante bugiarda, la direttrice non si

è vista mai, lo stesso per la dirigente sanitaria […] completamente sparita, non più vista. Dovete aiutarci e aiutarmi spingendo, pubblicando

come avete sempre fatto su tutti i media. La devono smettere di abusare, maltrattare, solo perché hanno una divisa e perché, essendo qua

dentro, nessuno viene a conoscenza di cosa succede, e di come siamo sistemati in cella, e come si conservano il loro stato.
[…] Il magistrato di sorveglianza di Udine […] e il […] giudice di sorveglianza di Trieste devono passarsi una mano sulla propria coscienza e

fare uscire le persone, non farle loro prigioniere. Qua la maggior parte dei detenuti sono di piccoli reati, poi se hanno i requisiti falli

uscire.
Bisogna che voi mi aiutate a segnalare che il personale è stato contagiato, un medico, un assistente, e poi ho sentito di un detenuto

contagiato di Covid-19. Qua ci nascondono tutto, ci tengono all'oscuro.[…] Da qua non è uscito nessuno con il decreto: un solo detenuto.

Tenetemi aggiornato. Vi abbraccio.

Carcere di Udine, aprile 2020

Questa lettera è stata ricevuta e diffusa dall'Assemblea permanente contro il carcere e la repressione che informano che due del collettivo

sono sotto procedimento penale per «istigazione a delinquere» e «diffamazione», accuse rivolte anche sulla base di interventi al microfono e

di un'intervista rilasciata alla web radio “Radiazione”, in occasione di un presidio sotto il carcere di Udine, nel dicembre scorso.


Operazione “Ritrovo”: arresti a Bologna e Milano
I Comunicati in solidarietà con le compagne e i compagni arrestati o con obbligo di dimora sono stati numerosi e, oltre a riferire i fatti,

hanno aperto a interessanti considerazioni. Per questioni di spazio qui ci limitiamo a riportare il comunicato uscito a Bologna a firma di

anarchici e anarchiche solidali.
Il 30 maggio il tribunale del Riesame di Bologna ha disposto la scarcerazione di 3 di loro senza ulteriori misure e 4 con obbligo di dimora (3

a Bologna e 1 a Milano) con rientro notturno. Il Corteo in corso nel pomeriggio del 30 maggio a Bologna si è quindi svolto “a compagni

liberati”, un bel colpo, una bella vittoria l’ha definita qualcuno, completata dall’intervento via telefono a fine corteo di una delle

compagne “liberate”.

Poco dopo le 2 di notte del 13 maggio 2020 scatta a Bologna l’ennesima operazione anti-Anarchica. Anche questa volta si contesta

un’associazione sovversiva (art. 270bis). In 7 finiscono in carcere per altr* 5 scatta l’obbligo di dimora a Bologna con rientro notturno; 4

di quest* hanno anche l’obbligo quotidiano di firma. [I capi di imputazione oltre l'ormai noto 270 bis e 270 bis 1 (aggravante), sono

istigazione a delinquere tramite articoli, volantini e manifesti con l'aggravante dell'uso di strumenti informatici (tribolo.noblogs.org e la

piattaforma roundrobin.info); danneggiamento di un Bancomat BPER nel corso di una manifestazione non autorizzata il 13/02/2019; imbrattamento

e deturpamento con vernice spray su edifici a Modena e Bologna con scritte comparse dal dicembre 2018 ad oggi per tutti. Incendio, per uno

degli imputati più altri allo stato da identificare, ai ponti ripetitori delle reti televisive in via Santa Liberata (Bo) nella notte tra il

15 e il 16/12/2018].
Lo spazio anarchico di documentazione “il Tribolo” e svariate case vengono perquisite da 200 tra Carabinieri e agenti del ROS. L’inchiesta,

firmata dal Pm Dambruoso, parte a seguito dell’incendio di un ripetitore di telecomunicazioni accompagnato dalla scritta “spegnere le antenne

risvegliare le coscienze solidali con gli anarchici detenuti e sorvegliati” avvenuto sui colli bolognesi nel dicembre 2018, ma rimane

abbandonata in un cassetto della procura dal luglio 2019 fino a maggio 2020.
Il perché ciò avvenga gli inquirenti lo ammettono senza pudore: in epoca in cui le carceri bruciano occorre che lo stato si sbarazzi di chi ha

sempre manifestato il proprio appoggio ai detenuti in lotta. Non solo a parole. E occorre farlo perché coi tempi che verranno è meglio mettere

le mani avanti. Arrestare preventivamente.
Così, per il DAP, le rivolte nelle carceri – in cui solamente in Italia, sono morti 14 detenuti ̶ sono il frutto dell’ “istigazione anarco-

insurrezionalista” o in alternativa “opera della mafia”, ma non certo delle condizioni invivibili in cui versa chi è rinchiuso.
Per i carabinieri e i loro “firma-carte”, le mobilitazioni che hanno portato parenti e solidali sotto le carceri durante il lockdown non

sarebbero altro che una “strumentalizzazione anarchica volta a compiere reati”. L’esistenza di cuori decisi a frantumare la coltre

d’indifferenza dietro cui, solo nel carcere bolognese della Dozza, 2 prigionieri sono morti di coronavirus è per un servo dello stato un

opzione incontemplabile.
Non sono le ingiustizie e le disuguaglianze di una società basata sulla sopraffazione a generare lotte e ribellione, ma l’opera del

proselitismo di qualche blog.
Sotto accusa nell’operazione dei Ros sono apertamente le idee antiautoritarie, la difesa delle pratiche d’attacco, l’appoggio ai prigionieri

anarchici e non, la non dissociazione dalla violenza rivoluzionaria, il partecipare a cortei, il redigere manifesti, lo stampare fogli murari,

ma anche paradossalmente la volontà di evitare che un corteo di cui si è parte venga caricato, così come lo sbattersi a trovare una casa in

cui dei compagni possano scontare gli arresti domiciliari, il frequentarsi o l’abitare assieme.
Accertare le responsabilità individuali diventa per i carabinieri superfluo e lo dicono apertamente. Partecipano a cortei in cui vengono

danneggiati i bancomat di una banca che è proprietaria della struttura che avrebbe dovuto ospitare il Cpr di Modena. Non è rilevante accertare

se abbiano preso parte al danneggiamento, sono individui che avversano queste strutture, ma c’è di più qualcuno avrebbe addirittura detto di

preferire l’azione diretta alla mera testimonianza e infatti acquistavano torce da stadio.
In questo accrocchio nel quale solo i carabinieri possono ritrovarsi, ci pare che ogni ragionamento logico sia fuoriluogo… È chiaro, tuttavia,

l’intento di colpire le lotte e la solidarietà. Non lasciarglielo fare sta a tutt* e a ciascuno.
Complici e solidali con Elena, Duccio,Nicole, Zipeppe, Stefi, Guido e Leo.

***
Di seguito i resoconti dei presidi tenuti davanti alle carceri in cui si trovavano (AS di Alessandria, Ferrara, Piacenza e Vigevano) e stralci

di alcune lettere inviate.

23 maggio, presidio sotto il carcere di Piacenza. Nelle prime ore del pomeriggio compagne e compagni solidali si avviano insieme a piedi in

direzione del carcere. Digos, polizia e carabinieri sono schierati lungo il sentiero che porta sotto le mura. Non perdono occasione di filmare

chi è presente. Vengono fatti interventi e saluti con il megafono, accompagnati da cori; il grido "fuoco alle galere!" è ripreso e scandito da

alcuni detenuti della sezione maschile, che in generale per tutto il presidio continuano a urlare la propria rabbia contro questo schifoso

carcere, la direttrice e gli aguzzini in divisa. Vengono letti numerosi messaggi di solidarietà. Dopo circa tre ore, una scarica di fuochi

d'artificio chiude il presidio, con la promessa che non sarà l'ultimo finché compagne e compagni saranno dietro le sbarre, finché

continueranno a esistere persone rinchiuse in questi luoghi infernali.
24 maggio, presidio sotto il carcere di Alessandria. Lo strombazzare delle macchine in arrivo e le risposte calorose dei detenuti hanno

annunciato l’inizio del presidio di domenica, nel campo dietro al carcere. Dall’impianto audio partono i primi saluti a tutte le persone

rinchiuse nelle sezioni comuni, a Leo e Zipeppe arrestati nell’operazione “Ritrovo”, a Marco, Giuseppe e tutti gli altri detenuti della

sezione di Alta Sicurezza. Numerosi gli interventi al microfono che hanno anche ripercorso le rivolte carcerarie attraverso questa pandemia,

avvenute a più riprese anche lì ad Alessandria. Rivolte a cui non è mancato il sostegno e la partecipazione di due compagni reclusi in Alta

Sicurezza, subendo le conseguenti ripercussioni.
24 maggio, presidio al carcere di Ferrara. Circa 80 compagni si sono ritrovati sulla strada davanti l’ingresso del carcere per salutare Guido

e Duccio e insieme a loro Alfredo, Nicola, Sandro e tutti i detenuti lì rinchiusi. I reclusi si sono fatti sentire con saluti e urla;

purtroppo la distanza fra il presidio e il padiglione non permetteva di comunicare facilmente, ma più volte il grido “Libertà” si è levato

forte e chiaro dalla prigione. Ripetute battiture sono state fatte fuori e dentro le mura. Prima di andarsene, i/le solidali hanno fatto un

giro attorno al perimetro del carcere per salutare tutti i prigionieri con grida, cori e fuochi d’artificio, anche in questo momento la

risposta da dentro è stata forte.
24 maggio, presidio sotto il carcere di Vigevano (visto da dentro). Capisco che le compagne e i compagni sono arrivati sotto le mura quando il

maschile e il femminile “insorgono” con urla e battiture. Non riesco a sentire trovandomi in una cella interna e non in corrispondenza con le

posizioni in cui il presidio si svolgerà. Non importa, la reazione interna è talmente forte da essere più che soddisfacente per me. Una

detenuta in posizione migliore tenta di riferirmi quanto accade “Sono tantissimi”, mi dice, “e dicono cose interessanti”. Il caos dentro dura

per un lungo tempo per poi zittirsi di colpo. Una guardia passa nel reparto in cui mi trovo e dice alle altre “Quelli là fuori non sono

minimamente interessati a voi”, intanto iniziano a riprendere chi dal maschile sta rispondendo minacciandoli di rapporti (immagino, ma con un

buon margine di sicurezza). Una volta trasferita in sezione AS, avrò un’accoglienza molto calda e commenti entusiasti sul presidio. “Ah, tu si

a patatina”, mi dicono le napoletane. Ci aspettano per un nuovo saluto.

***
Da una lettera dal carcere di Piacenza
Io (Nicole) ed Elena siamo in AS3. Siamo arrivate alle 11.30 circa del 13 Maggio, dopo un primo passaggio in una tenda posta esternamente per

misurare la temperatura corporea alle nuove detenute, siamo state messe in isolamento sanitario per 15 giorni (celle singole ma adiacenti).

Non possiamo accedere alla palestra e alla biblioteca, dopo che c'eravamo state per 2 giorni, causa emergenza Covid e nostro isolamento. Dopo

tale misura non saremo più potenziali veicoli di infezione... dopo una nostra incazzatura ci hanno dato 4 libri e ci stanno preparando il

regolamento interno (è dall'ingresso che lo chiediamo)... vedremo. Abbiamo 2 ore d'aria al dì, da fare separatamente dalle altre sempre per

emergenza Covid e quindi le facciamo assieme (con mascherina) alle 12-13 e 15-16. Oggi abbiamo avuto l'interrogatorio e ci siamo avvalsi della

facoltà di non rispondere. Eravamo in videoconferenza insieme a tutti gli altri. Lunedì vedremo gli avvocati. Di ieri la notizia che dal 19

c.m. al 30/06 riprenderanno i colloqui visivi e saranno mantenuti i colloqui via Skype.
Medici e guardie, fusi in un corpo unico qui come altrove, si rivendicano la loro «scelta di vita». I medici in particolare, incalzati dalle

nostre domande provocatorie sul loro ruolo durante la prima visita, hanno fieramente sostenuto di svolgere il loro lavoro per la tutela della

salute delle persone in galera. A conti fatti, visti i morti e i malati di e in carcere, non possiamo che concludere e urlargli in faccia che

il loro lavoro lo fanno decisamente male nonché in completa armonia con le guardie. Non può esistere in luoghi del genere, la tutela della

salute delle persone, per ciò che questi luoghi sono e rappresentano. L'unica sicurezza è la libertà per tutte e tutti. [...] (15 maggio,

Elena e Nicole)

***
Da due lettere dal carcere di Vigevano
[...] Dell’inchiesta penso già sappiate, comunque è sempre la solita combinazione di frasi sconnesse intercettate e riportate come a loro

aggrada. Per fare un esempio, ed è anche l’unico “concreto” a mio discapito. Si riferisce come “inquietante” una mia considerazione al

telefono sul fatto che le rivoluzioni hanno sempre comportato anche delle vittime. Direi che è semplicemente una constatazione storicamente

fondata. Mah!
La notte è andata così: prima mi hanno cercata presso la mia residenza poi, dopo una mezz’oretta mi hanno telefonato da sotto casa dove ho il

domicilio dicendomi che “o scendevo a sarebbero andati anche da mia figlia”. Sono scesa, niente perquisizione ho preso un po’ di abiti e un

libro qualche soldo e via. Lungo tempo in caserma (via Monti). Erano i Ros, tutti mascherati. Poi Vigevano. Prima di entrare nel carcere mi ha

visitato un medico all’interno di un tendone della protezione civile. Il tampone è davvero fastidioso. Poi ancora una lunga attesa durante la

quale un gentile porta vitto mi ha dato con molta dolcezza caffelatte e banane.
Dovevano prepararmi una “stanza” (come la chiamano, ma lo sapete bene) per l’isolamento dovuto alla quarantena. Qui hanno tutte mascherine e

guanti. Detenute e guardie. Sostengono non ci siano contagiate. Il carcere è ancora più malridotto di 9 anni fa. È pieno di muffe e muri

scrostati. Lasciato proprio andare. Un reale degrado questo. Se fosse per lasciarlo cadere, e non per rinchiudere ancora e ancora…
Non posso parlare con altre detenute. Ho un’ora d’aria al giorno in un cubicolo. Sento molte urla provenire penso dalla sezione delle

prigioniere comuni. Ora sono le 19.30 e dal maschile al femminile si parlano dalle finestre. Si urlano parole d’amore. Qualcuno litiga e mi è

tornato in mente che succedeva lo stesso quando sono stata qui 9 anni fa.
Per i colloqui sono ancora possibili in videoconferenza, mi informerò e per i pacchi non so ancora come funziona visto il completo isolamento.

L’avvocato, dicono qui, può venire anche se sono in quarantena. [...]
Mi sono finalmente arrivati i primi piego di libri, ma devono passare il controllo prima di arrivarmi in cella. Mi hanno finalmente spostata

in AS, dalla finestra a quadretti almeno vedo alberi e campagna verde sebbene prima debba superare la vista delle mura con annessa torretta ad

angolo. L’accoglienza è stata calorosa, tutte che volevano darmi qualcosa, dall’acqua al caffè, di tutto. Ma soprattutto mi dicevano “Ciao,

patatina”, “Ah, si tu a patatina”, “Mi aspettavo una ragazzina”. Insomma erano entusiaste del presidio e scherzavano sul fatto che una delle

frasi “incriminanti” per me era riferita alla questione “patatini”.
Le celle sono aperte dalle 9 alle 15 e dalle 18 alle 20. C’è una saletta comune con cyclette, tapis roulant e pedali (se così si chiamano),

giochi di società e qualche libro, quasi tutti a soggetto religioso. Il cibo e abbastanza cattivo e scarso, ma non ho molta fame e mi basta

così.
I colloqui riprenderanno dall’1 giugno solo per i “visitatori” con età compresa tra i 18 e i 65 anni e su prenotazione. In AS ce ne sarà uno

al mese al giovedì e con possibilità solo o alle 8.45 o alle 9.45. Fino a quel momento restano le possibilità di colloqui visivi via schermo e

le telefonate tre volte la settimana di dieci minuti.
Finalmente ieri ho potuto chiamare mia figlia, fino a quel momento mi era stata vietata anche la chiamata all’avvocato. Ho pure la censura.

Credevo fosse così anche per gli altri, invece la richiesta è partita da qui, da questo carcere. La mia ipotesi è che, dopo aver protestato

perché per tre giorni non mi era arrivata la posta oltre ai telegrammi e dopo aver rifiutato una sera il vitto… zac! Censura. Resta che le mie

lettere in particolare in uscita non arrivino.
Tornando alla sezione AS, ci sono 25 celle con presenza più o meno 45 detenute, al piano di sotto le prigioniere “comuni” sembrano in maggior

numero ma sempre in 25 celle. Un’umanità provata quella che vedo. È troppo orribile stare rinchiuse, ridotte a dover dipendere così tanto da

richieste, “domandine”, disposizioni dall’alto ecc. ecc. Avverto un disperato tentativo e bisogno di tenersi in qualche modo su. Molte hanno

condanne alte. Sento molto forte la vostra solidarietà. Vi saluto con affetto. (13 e 28 maggio, Stefi)
***
Corteo a Milano. Sabato 20 giugno ore 16 pz.le Loreto
Partendo dal bisogno di rispondere all’operazione Ritrovo che ha colpito 12 compagne e compagni tra Bologna e Milano con la pensante accusa di

270 bis, sono tante le motivazioni che spingono a tornare al più presto in strada.
Tutto ciò che è avvenuto all’interno delle carceri, come se non bastasse la loro esistenza stessa, le condizioni lavorative sempre peggiori,

la nuova dimensione della scuola, il ricatto a cui vogliono sottoporre le persone emigranti, la miseria in cui è piombata buona parte della

popolazione in seguito a questa emergenza, il controllo e larepressione sempre più stringenti e capillari, sono alcuni delle motivi per cui

non si può più stare a casa. Questi ultimi mesi hanno ulteriormente evidenziato quanto sia necessario sovvertire l’esistente e farlo in

fretta. Non si può tornare alla normalità perché la normalità era il problema.


Da una lettera dal carcere di Piacenza
Ancora a regime chiuso, colloqui sospesi (compresi quelli con gli avvocati, il che sta ponendo dei problemi non da poco, visto che nei

prossimi mesi si suppone accadrà qualcosa anche per quanto riguarda il nostro processo…), così come tutte le attività. Le guardie sono quelle

che accusano più il colpo, visto che sono rimaste in poche e con i nervi a fior di pelle; a quanto pare in molte si sono ammalate e in molte

altre hanno dato forfait pure senza esserlo. Tra i prigionieri uomini c’è stato qualche caso, a quanto pare la situazione è sotto controllo

(ma sai, nel nostro compartimento stagno è difficile avere notizie certe) mentre al femminile stiamo tutte bene (fisicamente). Le ragazze del

corso di sartoria (sospeso ovviamente) sono state messe sotto a produrre mascherine… no comment. […] alcune hanno voluto ringraziare

personalmente la direttrice per averci chiuso perché santa donna “ci tutela e pensa alla nostra salute” (sic).
L’unico tentativo di iniziativa (una fermata all’aria) è finito con due di noi che abbiamo preso rapporto. Anche al maschile nessuna protesta

clamorosa: qualche battitura più o meno breve ogni tanto. Il contentino qui è stato 10 telefonate mensili (invece che 2) e colloqui skype di

un’ora. Io essendo giudicabile e con il GIP che mi ritrovo (ancora deve decidere sulla posta di luglio) non ne faccio. La mia impressione è

che questi colloqui sostitutivi siano una trovata fin troppo comoda, e che sarà complicato tornare indietro… Esattamente come fuori la

tecnologia è un croccantino tanto gustoso da sacrificare questo ed altro.

20 aprile 2020
Natascia Savio, strada delle Novate, 65 - 29100 Piacenza

***
AGGIORNAMENTI SULL’OPERAZIONE “PROMETEO”
21 maggio 2019: i carabinieri del ROS, guidati dai pm Piero Basilone e Alberto Nobili del pool antiterrorismo di Milano, diedero il via

all’operazione Prometeo che portò all’arresto di Natascia, Robert e Beppe accusati di 280 (attentato con finalità di terrorismo) in relazione

all’invio di alcune buste esplosive arrivate nel giugno 2017 al direttore del DAP e a due pm torinesi, Rinaudo e Sparagna, impegnati da anni

nel reprimere chi lotta contro questo mondo di gabbie e sopraffazione.
Per mesi i tre compagni sono stati sballottati in diverse carceri della penisola, collocati in sezioni in cui di norma non sarebbero dovuti

stare, come le AS2 islamiche di Sassari e Rossano, l’ AS3 di Piacenza e la sezione protetti di Pavia in cui sono rinchiusi rispettivamente

Natascia e Beppe. In barba allo stesso regolamento del DAP che colloca i detenuti sulla base di una qualche omogeneità, il pm Basilone

richiese espressamente di tenerli separati e di non farli venire in contatto con individualità affini con la scusa di un “potenziale

inquinamento di prove”. Inoltre la censura sulla corrispondenza durata 6 mesi ha comportato ritardi, sparizioni della posta e difficoltà nella

comunicazione fra i prigionieri e l’esterno.
Il 2 dicembre 2019 Robert, prigioniero nell’AS2 di Sassari, è stato scarcerato senza alcuna misura cautelare, e la decisione è arrivata dal

tribunale del riesame dopo che la cassazione a ottobre aveva annullato l’ordinanza del GIP per mancanza dei “gravi indizi di colpevolezza”. Il

ricorso per cassazione era stato chiesto per lui e Beppe, e purtroppo a Beppe era stato rigettato. A distanza di una settimana lo zelante pm

si è opposto alla scarcerazione di Robert presentando ricorso in cassazione per chiedere una nuova carcerazione ma il tutto gli è stato

rigettato e dichiarato inammissibile.
A metà febbraio le indagini sono state chiuse, e le richieste di domiciliari per Beppe e Natascia sono state rigettate dal GIP.
L’11 maggio Beppe fa sapere che è entrato in sciopero della fame per protestare contro il respingimento della sua richiesta di domiciliari,

contro la collocazione ritorsiva in una sezione di protetti da ormai 9 mesi, e contro le condizioni di detenzione assolutamente incompatibili

col suo stato di salute (fa sapere che non è mai stato visitato e non è sottoposto a nessun trattamento medico). Dopo circa una settimana in

cui ha perso 8 kg ha interrotto lo sciopero della fame e secondo l’avvocato si aprono spiragli per un suo trasferimento.
Natascia invece fa sapere che preferisce continuare a vedere familiari e amici via skype piuttosto che la farsa del colloquio vis a vis a due

metri di distanza attraverso il plexiglass e con il divieto assoluto di contatto. A seguito del passaggio della sua sezione da regime aperto a

regime chiuso- ufficialmente come misura per via dell’emergenza sanitaria - il clima è cambiato. Ormai è chiaro a tutte che la scusa sanitaria

altro non era che una presa in giro e che non hanno alcuna intenzione di ripristinare il regime aperto, visto che hanno saputo che il resto

del carcere è sempre rimasto a regime aperto.
Beppe e Natascia sono in forma e mantengono il morale alto, e per il momento non si hanno notizie sulle date di inizio del processo. Per

scrivergli:

Natascia Savio, Strada delle Novate 65 - 29122 Piacenza
Giuseppe Bruna, Via Vigentina 85 - 27100 Pavia

***
Aggiornamenti prigionieri e processi
- 18 aprile, Torino. Sotto all’occupazione di c.so Giulio Cesare 45 una decina di poliziotti fermano con brutalità due uomini. La violenza

dell’azione desta l’attenzione delle persone della zona e di alcuni compagni. Numerosi mezzi della polizia e dell’esercito arrivano di

rinforzo, fanno pressione sui compagni, buttati a terra, trascinati e portati via. Decine di individui restano in strada insieme a centinaia

di residenti alle finestre che inscenano una vera e propria protesta. 4 compagni vengono arrestati e condotti nel carcere delle Vallette con

l’accusa di favoreggiamento, resistenza a pubblico ufficiale e lesioni. Tre di loro sono ora sottoposti a firma tre giorni la settimana.

Mentre una compagna ha ricevuto il divieto di dimora da Torino.
- Nel mese di maggio si sarebbe dovuto concludere il nuovo appello del maxiprocesso No Tav per i fatti del 27 giugno e 3 luglio 2011. La

cassazione, infatti, aveva rinviato a nuovo appello. Data la situazione, le udienze sono state rimandate a metà settembre.
- L’8 maggio era prevista l’udienza del processo per Paska con i secondini a la Spezia. È stata rinviata al 16 Ottobre. Aggiornamenti

prigionieri operazione “panico”: Ghespe e Giova e non hanno più l’obbligo di dimora. Per Paska invece bisogna solo aspettare perché la

richiesta è stata fatta più tardi
- 13 maggio. Trasferimento di Gabriel Pombo Da Silva in Spagna. Gabriel è stato consegnato allo Stato Spagnolo la mattina del 13 maggio ed è

attualmente nel carcere di Badajoz (Extremadura). Gabriel sta bene di salute ed è di buon umore… sa molto bene che non c’è da aspettarsi nulla

di buono da parte della Giustizia di Stato nonostante continui a lottare con tutti i mezzi legali a sua disposizione. In terra spagnola

l’avvocato continuerà a richiedere la nullità dell’OEDE (mandato di arresto europeo) emessa dal Tribunale n° 2 di Girona fino a vincere

questa battaglia.
Gabriel Pombo Da Silva, Centro Penitenciario Badajoz Carretera de Olivenza, Km 7,3 - 06011 Badajoz (España).
- Il 1° luglio inizierà il processo d’appello Scripta Manent nell’aula bunker delle Vallette di Torino. I/le compagni/e imputati/e sono

accusati di 270 bis e per varie azioni antimilitariste, contro i CPR, in solidarietà agli anarchici prigionieri, contro caserme, sedi e uomini

delle istituzioni a firma FAI e FAI/FRI, dal 2003 ad oggi. Gli imputati prigionieri saranno in videoconferenza, come in tutte le ultime

udienze del primo grado. Alfredo in primo grado è stato condannato a 20 anni, Anna a 17 anni, Nicola a 9 anni, Marco e Sandro a 5 anni.


Lettera dal carcere di Biella
Ciao compagni e compagne, innanzitutto vi ringrazio per l'opuscolo e la lettera. [...]
Per quel che riguarda il pacco: è stato 1 mese in magazzino, me lo hanno consegnato solo la scorsa settimana. Inoltre i vaglia ora li caricano

senza far firmare per velocizzare le procedure. Intanto la malattia mia, il Morbo di Chron, si è aggravata e ho perso tanti kg, circa 9 kg in

due mesi. Grazie al vostro aiuto ho potuto comprare a marzo la medicina, ma purtroppo non avendo altri aiuti non riesco a seguire il regime

alimentare e l'amministrazione penitenziaria qui a Biella se ne frega, idem l'area sanitaria… pensate che la dirigente Sanitaria mi ha detto

”sei in carcere quello che puoi mangiare mangi”, che risposta è, io con la mia patologia non posso mangiare il pane che danno, non posso

mangiare sughi elaborati, piccanti, fritto e quindi dovrei comprare tutti i mesi: crackers, biscotti-eco, olio d'oliva, tanta carta igienica,

bagnoschiuma, medicine circa 30 euro al mese, alcune le passa USL… in totale per vivere e per l'igiene personale sono necessari circa 70 euro

al mese.
Non mangiando, perchè non ne ho la possibilità, ho perso 9 kg… non so per quanto avrò la forza di andare avanti, anche perchè sono 2 settimane

che ho svenimenti… non so a chi rivolgermi, una famiglia non ce l'ho…
Vi mando un forte abbraccio e vi ringrazio per la vicinanza che avete e che mi state dimostrando. Se conoscete qualcuno che può aiutarmi

scrivetemi, sono disperato per le medicine e il mangiare, comincia a mancarmi la forza.

fine aprile
Giovanni Chiaramonte, V.le dei Tigli, 14 - 13900 Biella


Che i medici in carcere ci dicano...
Dall'inizio del mese di marzo, con l'avvento dell'emergenza Covid, il tema della salute dell'individuo è divenuto il metro col quale si

legifera sulla vita dell'intera comunità.
I provvedimenti a tutela della salute hanno imposto, a tutta la popolazione, l'acquisizione di termini e codici comportamentali fino ad ora

impensabili. Il "distanziamento sociale", sopra tutti gli imperativi emergenziali, ha sconvolto il mondo dell'istruzione, dell'economia e di

ogni altro ambito relazionale. Solo il carcere è rimasto al di fuori degli sforzi di tutela della salute, cristallizzato nella sua realtà

immutabile. Come se davvero il virus non fosse un problema anche per le migliaia di detenut# "ospiti" delle patrie galere. A maggior ragione

lo è se si considerano le gravose condizioni di sovraffollamento.
Ma se di emergenza sanitaria si tratta, allora chi sono i responsabili chiamati a intervenire nelle carceri?
Se il Dap continua nei fatti ad opporre un muro di omertà e silenzi alle richieste di chiarimenti, sappiamo bene che, dal 2008, a

"salvaguardare" la salute delle persone recluse, sono stati chiamati anche gli impiegati del servizio sanitario nazionale: il ministero della

salute, quindi le ASL di pertinenza territoriale. Dottori e dottoresse che esercitano le loro funzioni negli istituti penitenziari.
Non avevamo bisogno del Covid per sapere quanto le aspettative di ogni detenuto, nel passaggio di competenze sanitarie, fossero state

disattese. Ma se emergenza è, se davvero la salute di tutti va tutelata... allora è giusto che chi di dovere esca allo scoperto delle proprie

responsabilità e prenda una posizione al netto della propria etica e del bene comune. Davvero è pensabile che la salute dei detenuti possa

essere salvaguardata all'interno di strutture coercitive dove non è ipotizzabile un distanziamento sociale e dove regioni intere non hanno

presidi ospedalieri all'altezza della benché minima emergenza già in situazioni "di normale amministrazione"?
Perseverare in questa connivenza, continuare ad omettere i dati reali del contagio, per non parlare dei silenzi e delle ambiguità sui morti

delle rivolte... fa dei dottori responsabili della salute dei detenuti dei complici al soldo della macchina repressiva.
E' per questo che abbiamo sentito la necessità di rivolgere direttamente a loro delle domande chiare. E' per questo che continueremo a farlo.

Per ogni carcere c'è una ASL, per ogni ASL dei dottori e dottoresse responsabili. Sia dentro che fuori é ora di fargli sapere che esigiamo

delle risposte.

Sicuri che le azioni per la prevenzione e il contrasto alla diffusione del Covid-19 all'interno del carcere siano state fin da subito

concordate in sinergia tra Amministrazione Penitenziaria e Azienda Sanitaria LOcale, in conformità con quanto indicato a inizio emergenza dal

Ministero della Salute e dall'Organizzazione Mondiale della Sanità, rivolgiamo a lei, in quanto responsabile sanitario di distretto, le

seguenti domande:
1. Un seguito alla diffusione dell'epidemia da Covid-19, in base alla deontologia medica, quali azioni avete svolto come operatori sanitari

presenti all'interno dell'istituto di pena per garantire il diritto alla salute (art. 32 della Costituzione Italiana)?
2. Ritiene sufficienti le azioni finora intraprese per salvaguardare la salute delle persone detenute con oltre 70 anni e di chi soffre di

patologie pregresse, soggetti maggiormente a rischio in caso di contagio? Sono state eseguite le valutazioni urgenti volte ad identificarle?
3. Quali misure vengono adottate per evitare che chi accede per lavoro diventi vettore di diffusione del virus, considerando che i contagiati,

tra operatori e ristretti, hanno suoperato le 370 unità (cifra che non comprende i positivi scarcerati) il 1° maggio 2020?
4. Come si sta garantendo il distanziamento sociale all'interno degli istituti di pena italiani afflitti da sovraffollamento cronico (61.230 i

detenuti il 29 febbraio 2020, 54.000 il 1° maggio. A fronte di una capienza massima di 46.731 persone)?
5. Considerato il numero di scarcerazioni avvenute finora (circa 6.000 al 1° maggio), a più di due mesi dall'inizio dell'emergenza sanitaria,

considera adeguati i tempi fisiologici dettati dai DPCM per far fronte alle condizioni di reclusione che non permettono allo stato attuale il

rispetto delle misure di prevenzione?
6. Se il DAP si rifiuta di fornire, con cadenza quotidiana, i dati reali in merito alla diffusione dell'epidemia nelle carceri, non dovrebbero

essere le istituzioni sanitarie a renderli pubblici?
7. Il personale sanitario ha riscontrato e segnalato gli effetti dei pestaggi avvenuti nelle carceri a seguito delle proteste dei detenuti e

delle detenute che chiedevano la tutela della loro salute?
8. E' a conoscenza, in quanto rappresentante di un'unità operativa di sanità penitenziaria, dei risultati delle autopsie svolte sui corpi dei

14 detenuti morti durante le proteste?


da alcune lettere DAL CARCERE DI BELLUNO
[…] Carissimi compagn* sono Eddi Karim. Vi scrivo dal carcere di Belluno dove regna l’abuso di potere di qualche verme. Con delle parole

assurde come vietato fumare in cella quando entra un secondino e soprattutto nella conta in più appena entrano devi anche spegnere il fornello

mentre cucini. Vietato fumare nell'officina dove si lavora (anche nei bagni). C’è un ispettore che entra nelle celle quando e quanto gli pare.

Perquisizione extraordinaria personale ogni giorno… l’educatrice s’interessa solo per il bene dell’imprenditore dell’officina (Luxottica,

Fedon) e non al bene o al servizio del detenuto (anzi è contro il detenuto, viene nell’officina per annusare se c’è odore di fumo (peggio del

segugio) e sono cazzi se trova qualcuno che fuma (licenziamento subito). Finora vi ho parlato del comportamento di questo ispettore e le sue

violazioni all’art. 34 o.p. e l’abuso di potere e l’educatrice e le sue violazioni dell’art. 1 o.p. La direttrice ci chiama solo per le

sanzioni violando sia l’art. 38, 39 o.p. Cioè ci chiama dopo un mese dal fatto e ti contesta lo stesso la sanzione (la legge prevede solo 10

giorni). Come successo a me stesso mi ha chiamato dopo 19 giorni e mi ha contestato un rapporto che il maledetto magistrato A. Mirenda mi ha

rigettato 2 semestri per un rapporto illegale e ingiusto cioè fuori tempo (dopo la scadenza dei 10 giorni) e il reclamo al magistrato non è

servito a niente chiaramente in più il rapporto era perché non volevo spegnere la sigaretta in cella durante la conta (una cosa assurda).

Detto tutto questo i detenuti si comportano da schiavi accettando ogni tipo di abuso per non perdere il lavoro. Il magistrato che si occupa di

Belluno uno dei peggiori, fanno tutti parte degli schiavi del sistema.
[…] Torniamo qua a Belluno il giorno dove ci sono state le rivolte in 26 carceri italiani, l’unica cosa che è stata fatta dopo l’accordo con

le guardie, è quella della battitura dalle 21:00 alle 22:00, e basta. Belluno è diventato uno dei più merdosi in Italia, tanti detenuti fanno

gli schiavi nella coop di assemblaggio e tutte le operatrici del carcere, dalla direttrice al comandante e soprattutto l’educatrice che si

chiama Battipaglia sembra una socia di questa officina, bastano 5 minuti di ritardo e comincia a gridare e magari anche ti fa un rapporto,

infatti io di rapporti ne ho accumulati tanti in questo lager. In più hanno portato un altro commissario da L’Aquila ma io subito mi sono

messo in chiaro con lui cioè di starmi alla larga e che sono carcerato e non detenuto schiavo come la maggior parte di qua che prendono

schiaffi e insulti senza reagire anzi ringraziano pure. Sinceramente non vedo l’ora di cambiare aria di qua anche sapendo che sono tutti

uguali ma questo non fa altro che incoraggiarmi in più di continuare a lottare fino alla morte. Questa coop appartiene a Giorgio Fedon (Cadoro

BL). Il Famoso di Cadore che lavora con Ray Ban, Prada, Dior, ecc. ecc. tutte le marche griffe. Il commissario D. Panatta da anni se ancora

lavora un motivo c’è, il responsabile della coop Gian Paolo Borgato entra anche nelle sezioni e comanda più delle guardie.
[...] Oggi mando altre prove dell’esistenza di questo sfruttamento dei detenuti che lavorano per 4,80 all’ora. Ma solo per dire quello che è

scritto nel contratto di lavoro che indica 25 ore alla settimana ma in realtà lavori 8 ore sempre alla stessa paga di 5 ore [al giorno ndr].

Sono più che sicuro che in questa attività di sfruttamento sono complici n° 1 la direttrice, n° 2 l’educatrice Battipaglia che senza vergogna

viene nello stabilimento a controllare se i detenuti stanno obbedendo allo schiavismo, addirittura questa maledetta donna ha vietato ai

detenuti schiavi la pausa di sigarette così si producono più scatole e custodie, tutto quello che riguarda l’ottica di lusso e non penso che

lo fa per piacere ma per profitto, anche le guardie lo stesso.
Questa cooperativa esiste dal 2011 nonostante la mia denuncia all’epoca nel 2014 al procuratore Pavone è stata ignorata. Cercherò di mandarvi

un po’ alla volta delle ulteriori prove ma è possibile che succedono cose del genere e nessuno indaga? Ovvio che è possibile perché tutti

vogliono una fetta della torta. […]
Torniamo a questo lager siamo in regime chiuso da più di 3 settimane dicono per colpa del corona virus (ovvio è solo una scusa). In più hanno

trasferito qua la sezione protetti di Modena come se non bastasse che c’è la sezione per i matti O.P.G. un’altra per i trans sessuale e ora

anche i protetti cioè violentatori, infami ecc. ecc.
Concludo con un grande abbraccio fraterno a tutti voi e al compagno Davide Delogu che non lo sento da quasi un mese e a tutti i compagni in

lotta invitandoli di non mollare.
Ho pubblicato la settimana scorsa una richiesta alla Camera Penale di Venezia che è stata pubblicata anche sul Gazzettino di Venezia e tramite

l’avv. Marco Zanchi a nome di tutti i detenuti di Belluno con le loro firme. Un saluto anche ai compagni di Verona, Venezia e Udine.

Belluno, febbraio, marzo e aprile 2020
Eddy Karim, via Baldenich, 11 - 32100 Belluno


lettera dal carcere “pagliarelli” di Palermo
Noi siamo due detenuti da mesi buttati in una sezione di isolamento "Sud" della Casa Circondariale Pagliarelli (Palermo) senza nessun

provvedimento giudiziario che lo giustifichi: Carmine Lanzetta (AS3) da Gennaio in isolamento continuo totale iniziato con l'isolamento

disciplinare per 10 giorni che tutt'ora continua. Davide Delogu, anarchico sardo, da Febbraio in isolamento continuo per motivi di ordine e

sicurezza per cui non si dovrebbero fare oltre i 15 giorni, viene trattenuto in ostaggio dalla vendetta dell'isolamento bianco.
Tutti e due non ci pieghiamo all'annientamento con cui ci vorrebbero i nostri aguzzini e lottiamo affinchè questa miseria infernale di questa

sezione infame venga chiusa con il conseguente trasferimento. In una metà della sezione ci siamo noi due in celle senza nulla, distanti l'uno

dall'altro. Nell'altra metà vengono messi i detenuti in quarantena
precauzionale e tutti quanti usiamo l'unica stessa doccia e telefono.
Siamo diventati perciò le loro cavie. Qualcuno anche prima di noi ha cercato di fare denuncia in procura e reclamo al magistrato, ma vengono

bloccate o fatte sparire. Questi non rispondono neanche alla PEC di denuncia dei nostri avvocati, approfittando dell'emergenza del Covid per

cui non possono entrare in prigione per farci visita. Siamo in una sezione di isolamento che era stata abolità già dal 2000 per la disumanità

ivi incarnate e che ancora pongono in essere. Le celle non hanno niente, prive di tutto: TV, radio, porta del bagno, finestra, stracci, scope

e bastoni per pulire, l'acqua calda con un mini lavandino sempre tappato, un passeggio cubicolo privo di bagno, ma non di escrementi di ogni

tipo su cui non ci dilinguiamo oltre. Ci fanno abusi di ogni tipo senza mai farci sottomettere, ma non cambia comunque l'antifona.
Chi detiene il potere di questo carcere sono persone pericolose a cominciare dal Comandante Rizzo che si sente onnipotente e da tutti i

gerarchi che continuano a infierire, come il vice-direttore che infligge con naturale facilità isolamento disciplinare pur sapendo in quali

condizioni non umane li sbatte dentro. E la direttrice Francesca Vezzana è corresponsabile di tutto ciò. Tutto questo deve finire e

pretendiamo la chiusura di questa sezione di isolamento "Sud" e nostro trasferimento in altro carcere.
Perciò da oggi, 14 Maggio 2020, iniziamo lo sciopero del vitto, rifiuto di recarci nei cubicoli e passeggi indegni e inventandoci come fare

battitura ogni giorno per 20-30 minuti. Iniziamo in via permanente lo sciopero, per ora evitiamo lo sciopero della fame e della sete per

tenerci in forza quando faremo forme di lotta più incesive, dato che non andremo molto lontano limitandoci a queste, così da affrontare le

squadrette che qui abbondano, per ottenere quello che vogliamo fino alla fine.

Prigionieri isolamento "sud" - CC Pagliarelli (Palermo)
Carmine Lanzetta, Davide Delogu
Apprendiamo il 21 aprile che Carmine ha interrotto lo sciopero della fame rifiutando comunque il vitto dell’amministrazione in solidarietà con

la protesta.
Anche Davide ha sospeso lo sciopero della fame chiarendo ulteriormente la sua posizione: “Si dovrebbe sapere che i miei 5 giorni di sciopero

della fame sono terminati, ed è stata l’unica risposta immediata contro il magistrato che non rispetta nemmeno le scadenze dei termini. Il 29

febbraio sono stato trasferito da Rossano per motivi di ordine e sicurezza, direttamente nell’isolamento del Pagliarelli. E’ come se fosse un

14 bis in bianco, dato che mi trovo isolato senza scadenze. Immagina la quotidiana conflittualità che esprimo contro l’ennesima provocazione

del DAP con la collaborazione di tutto l’apparato repressivo. Quindi il mio morale è indistruttibile, e fisicamente mi sto rimettendo in forze

che è fondamentale verso qualsivoglia aspetto.”
L’8 di giugno abbiamo saputo che Davide è stato trasferito nel carcere di Caltagirone, questo l’indirizzo: Contrada Noce San Nicola le Canne

snc - 95041 Caltagirone (CT).


da una lettera dal carcere di ancona
Nella prigione marchigiana sono rinchiuse 350 persone, 100 in più della capienza reale, il rischio di contagio è altissimo e i sintomi si

allargano; mentre i dispositivi di protezione non esistono. Chi necessita di cure per patologie croniche o oncologiche vede peggiorare le

proprie già precarie condizioni a causa di un’area sanitaria al collasso. I tempi di accoglimento delle domande di misure alternative per chi

si avvicina alla fine pena sono troppo lunghi, si rischia di trasformare questa attesa in una condanna a morte. Le lamentele vengono raccolte,

reiteratamente, dal garante dei detenuti, ma purtroppo per quanto lui cerchi di impegnarsi, i risultati si avvicinano allo zero.

Da una testimonianza di un ex detenuto
22 aprile 2020, da inventati.org/rete_evasioni


Lettera dal carcere di Massama (OR)
Ho ricevuto la busta con l’opuscolo con molte cose interessanti, principalmente su ciò che è successo durante le sommosse e anche il dopo.

Hanno usato i soliti metodi – repressione con i manganelli – e trasferimenti di massa, tutto come sempre, pertanto niente di nuovo. Ho letto

sul quotidiano regionale “Cronache di Caserta”, che un detenuto è stato scarcerato ed è andato dai carabinieri a denunciare di essere stato

pestato dalle guardie del carcere di Santa Maria Capua Vetere (CE), c’erano le foto di abrasioni ed ecchimosi che aveva su tutto il corpo. Il

Garante Regionale della Campania è andato nel carcere e altri detenuti hanno confermato le botte prese dalla polizia penitenziaria. Qui a

Oristano è tutto tranquillo, ci hanno dato subito 15 telefonate al mese e una videochiamata alla settimana; chi è in carcere prima del 2000 ha

sei colloqui, pertanto io ne ho sei. L’hanno fatto per rasserenare gli animi ed evitare altre sommosse. Nei prossimi mesi quando finirà questa

epidemia, se toglieranno le telefonate e le videochiamate, succederanno altre sommosse. Se l’epidemia prenderà piede nelle carceri, i morti

saranno molti perché le carceri sono come alveari, si propagherà a velocità supersonica, e i morti saranno tanti. Per evitare questa strage

annunciata, dovrebbero alleggerire le carceri da un terzo alla metà, pertanto dai 20 ai 30 mila prigionieri, così uscirà lo spazio per isolare

e mettere in quarantena i reclusi, ma il ministro e il capo del Dap non vogliono saperne, fedeli alla cultura ultra giustizialista grillina.

Tutti i giorni ci sono centinaia di morti, sembra un bollettino di guerra, in certi posti stanno avendo più morti della seconda guerra

mondiale. L’augurio è che presto venga varato un vaccino così finirà questo incubo che si sta portando via la nostra memoria storica, essendo

che la maggioranza dei morti sono persone anziane. La mia famiglia non ha subito nessun contagio, vi auguro che anche a voi tutti, unitamente

alle vostre famiglie, stanno tutti bene. Un caro saluto a voi tutti con un abbraccio sincero, Pasquale.

Oristano, 27 aprile 2020
Pasquale De Feo, Loc. Su. Pedriaxiu - 09170 Massama (OR)


lettera dal carcere di sulmona (aq)
Questo è un momento critico, per la situazione del coronavirus. La gente fuori che soffre e muore e anche per i carcerati che non possono

stare vicino alle loro famiglie e ancora di più siamo isolati da tutto e tutti, perchè dall'inizio del coronavirus hanno sospeso tutti i

colloqui con i famigliari. Qui a Sulmona ci hanno autorizzati a poter telefonare ogni giorno alle famiglie, così non si perdono i rapporti con

le persone care e avere notizie ogni giorno.
E' importante riflettere bene su quanto sta accadendo in Italia e nel mondo. Purtroppo nei notiziari si parla di quelle notizie stupide che

fanno ascolto e non si parla della perdita, della paura!! Paura della solitudine, della moltitudine, della perdita propria o di una persona

cara, paura della sofferenza, delle bugie, dell'indifferenza, dell'infinito!! Paure che stranamente consolano, paure che scatenano l'ingegno

perchè ci sono momenti adatti, momenti differenti, momenti di dolore, paura di rimanere soli. Gli uomini devono saper lottare, andare avanti e

vincere, anche se pieni di dolori. Ecco allora la forza e la dignità con tutto il suo possente potere.
Tornando alla paura che oggi assilla il mondo per l'epidemia del coronavirus, dobbiamo sfidarla, non avere paura di morire fa parte della vita

umana, la vera paura e morire adesso, da soli, soffrendo e senza avere vicino le persone che si amano. Cosa importante è lottare e combattere

contro tutti i mali per gli ideali in cui ogni uomo crede, è la legge dell'universo, è la legge che impone una società che deve fare il bene

comune.
La sola cosa che dà forza è l'amore, la verità, il coraggio, l'intelligenza che qualificano tutti gli uomini che lottano per un bene superiore

è la libertà di tutti. Quindi vivere, combattere, gioire, soffrire e morire alla conquista della vita, vale più di qualsiasi privilegio. Non

bisogna mai abbandonarsi, perchè gli uomini possono essere più se lo vogliamo e affrontare con coraggio tutte le difficoltà che oggi ci

presenta la vita.
Siamo oppressi in ogni modo, ma non così alle strette da non poterci muovere. Siamo perplessi per quel che ci succede, ma non senza vie

d'uscita, siamo perseguitati, ma non abbandonati, gettati per terra, ma non distrutti, siamo vivi, anche se ogni giorno esposti alla morte

perchè subiamo tribolazione ma siamo sempre fiduciosi per una vita migliore e abbiamo una ragione di vita che è la famiglia e le persone più

care.
Carissimi compagni, spero che vi arriva questa lettera perchè per la situazione del coronavirus ci sono molti problemi, e non solo per la

posta.
Saluti cari a tutti con affetti, Antonino.

22 marzo 2020
Antonino Faro, piazzale vittime del dovere C.R. - 67039 Sulmona (L'Aquila)


Lettera dal carcere di Reggio Emilia
Compagni milanesi, grazie per l'invio dell'opuscolo Olga N° 141. Tutti qui ve ne siamo grati. La Cassa Antirep di Cuneo una settimana fa mi

avevano inviato il resoconto delle rivolte dell'otto marzo. Nella biblioteca dell'istituto abbiamo, con altri prigionieri, fatto il punto

sulla situazione.
Per prima cosa abbiamo capito che la falsificazione mediatica storica non vuole e non può dare notizie veritiere. La seconda cosa è che anche

qui è arrivato il virus-Covid 19. Gli sbirri non fanno trapelare le notizie e l'aria da entrambe le parti è tesa. Sappiamo con certezza, da

notizie endogene, che sono arrivati a 10 i detenuti contagiati con una dottoressa della Casa Circondariale.
Qui al penale ci si chiede che fare ed ognuno dice la sua, ma non si è arrivati ancora ad una decisione unitaria. Si può affermare che parte

dei reclusi vivono l'emergenza con inconsapevolezza e i consapevoli sono distrutti con il fatto di cercare di dare risposte che dovrebbero

essere date dall'area sanitaria e dall'ufficio comando.
Dall'inizio dell'emergenza, invece, non si è visto un ispettore nelle due sezioni penali, per dare coraggio o una parola di conforto ai

prigionieri.
La falsificazione delle notizie, la deresponsabilizzazione e l'incompetenza del ministro Alfonso Bonafede creano un clima molto esplosivo.
Siamo senza disinfettanti, senza mascherine e la paura del contagio cresce ogni ora di più. Viviamo in un completo isolamento se non per la

concessione della video-chiamata in sostituzione dei colloqui intimi. Insomma la situazione è critica e le misure prese dall'amministrazione

sono inique e inadeguate.
Storicamente si sapeva già che le aree sanitarie dei lagher di Stato non avrebbero mai potuto affrontare l'evento pandemico. A questo si

aggiuge il palese fallimento del governo e dell'Unione europea. Gli effetti catastrofici legati alla finanza peggiorano la situazione della

classe operaia ed il proletariato ha fame. Abbiamo avuto notizie che a Rimini sono stati assaltati supermercati per l'approviggionamento di

cibo. Le restrizioni poi del periodo pasquale, nelle masse, hanno scatenato la necessaria voglia di ricominciare.
Nella somma è un periodo storico che verrà scritto nei libri di storia e che a quasi tutti piacerebbe essere tra quelli che lo racconteranno.
Va tutto bene, moriremo tutti (A) pugno chiuso. Marco.

13 aprile 2020
Marco Ricci, via Settembrini, 8 - 42123 Reggio Emilia


Lettera dal carcere di Terni
Qui dopo le rivolte/proteste il giorno dopo c’è stato solo la sera per 30 minuti una battitura tutto sommato tranquilla. E non c’è stata

tensione. Dopo le proteste, e grazie a queste, hanno dato 2 telefonate in più con la positività di farle al cellulare con le dovute richieste.

Invece del colloquio hanno predisposto 16 smart phone per fare le videochiamate tramite whatsapp sempre tramite richiesta e solo per 30

minuti. Molto meno delle ore di colloquio. Hanno lasciato passare gli avvocati dopo le proteste per quelli che erano semi liberi e avevano

permessi e che erano giustamente nervosi e dunque per calmare un po’ più gli animi. Adesso tutto segue uguale e tutto è tranquillo. Qui anche

se sotto sotto cova un po’ l’insoddisfazione. Hanno messo la lavanderia a disposizione, solo per gli asciugamani e tutto funziona uguale. Con

più lentezza. Comunque qui di virus per adesso niente. Era per spiegarmi un attimo come vanno le cose qua.

16 aprile 2020
Juan Sorroche Fernandez, via delle Campore, 32 - 05100 Terni
da una Lettera dal carcere di Bancali (SS)
[...] Un altro problema è che mi sono stati concessi 135 gg di liberazione anticipata e una riduzione della pena di 105 gg, che non è stata

assorbita nell'ordine di scarcerazione più recente. L'ufficio matricola mi dice che il magistrato di sorveglianza deve risolvere questa cosa,

quest'ultimo mi dice che “devi scrivere alla procura della repubblica”, quest'ultima mi dice: fai la richiesta all'ufficio matricola del

carcere... c'è il cane che si morde la coda.
Altro problema è che sono condannato a 6 mesi il 9/03/2012 per non essermi presentato a firmare in questura (obbligo di firma), invece con il

cumulo hanno sbagliato e hanno messo 1 anno e 6 mesi al posto di 6 mesi...
Nel carcere di Bancali ci sono tanti abusi di potenza, in particolare c'è un'ispettrice che non rispetta la legge, usa l'abuso di potenza e fa

le cose “fai da te”. Attualmente è arrivato un nuovo direttore, speriamo che le cose tornino alla normalità.

maggio 2020
Bouyahia Hamadi, Strada Provinciale 156, via Abbaccurente 14 - 07706 Bancali (Sassari)


notizie dalle carceri
Segue una rassegna di notizie e informazioni sulle carceri riportate da diversi giornali nazionali e locali. Chiediamo a tutti i prigionieri

di portare contributi diretti sui fatti riportati, in modo tale da liberarci dalla stampa dei sindacati di polizia penitenziaria e dei governi

di turno.

21 aprile. Nella Casa di Reclusione di Opera da alcune settimane è in corso di svolgimento la rumorosa protesta di cinquanta detenuti

sottoposti al regime del 41bis inscenata per il rifiuto della Direzione di accordare loro l'autorizzazione a effettuare un colloquio con la

videochiamata attraverso Skype della durata di un'ora con i propri congiunti a fronte dell’impossibilità per i parenti di spostarsi da regione

e regione per effettuare l’unico colloquio mensile concesso ai detenuti in 41 bis.
A Opera sono tanti i familiari che denunciano, fin da prima della rivolta, provocazioni, violenze ed atteggiamenti vessatori da parte di

agenti e un funzionamento farraginoso dell’intero sistema carcerario. Molte delle donne che avevano già da tempo costituito delle reti

informali di raccolta dati e informazioni hanno raccontato cosa succede e, oltre alle denunce da loro direttamente effettuate, una parte

consistente delle notizie raccolte ha contribuito alla formulazione di un esposto presentato alla Procura di Milano dall’associazione Antigone

e a denunce legali e a mezzo stampa di altre realtà che si interessano dei diritti dei detenuti come Yairaiha o Acad, Associazione contro gli

abusi in divisa.
29 aprile, scrivono cinque carcerati della terza sezione dell’istituto penitenziario di Fuorni (Salerno). Non veniamo riforniti di nessun

igienizzante, scrivono, a parte una volta al mese quando ci viene fornita una bottiglia di ammoniaca profumata. E tutto questo in una

condizione disumana di sovraffollamento: siamo in sei persone all’interno di una cella di otto metri quadrati, le aree di passeggio sono

sporche, igiene zero. Le aree dove si cammina fuori dalle celle sono piene di spazzatura e di residui di calcinacci. Non va bene neanche per

l’igiene personale. Sono state messe a disposizione ventisei lavatrici ma ad oggi - la lettera risale al 14 aprile scorso - non sono state

ancora attivate. Così i detenuti sono costretti a lavare a mano i panni senza avere neanche la possibilità di farli asciugare al sole visto

che mancano gli stendini. L’alternativa sarebbe aspettare una volta al mese quando si può fare il bucato nella lavanderia del carcere.

Difficile il rapporto con la direzione della casa penitenziaria il cui comportamento viene definito non certo democratico. Viviamo in una

situazione allucinante e disumana che chiedono finisca restituendo dignità a chi sta scontando gli errori che ha commesso e non per questo

deve essere considerato un animale privo di ogni diritto. (Da Cronache di Salerno)
29 aprile, Voghera (PV). Inchiesta sulla morte del detenuto morto per coronavirus. Antonio Ribecco, era di Cutro ed aveva 60 anni. I legali

del detenuto, Gaetano Figoli del foro di Roma e Giuseppe Alfì del foro di Perugia, hanno stamane sporto una denuncia alla Procura di Pavia

perché accerti le condotte tenute dal personale del carcere lombardo e verifichi se vi siano state comportamenti colposi e omissivi. Tra l’8 e

il 18 marzo non è chiaro come sia stato curato e assistito e non è stato mai comunicato che Ribecco stava male e che era stato trasferito in

ospedale.
30 aprile. Parere dell’Antimafia per i permessi e le detenzioni domiciliari umanitarie. Il decreto legge 30 aprile 2020, n. 28 introduce

misure urgenti per la funzionalità dei sistemi di intercettazioni (art. 1) di conversazioni e comunicazioni, ulteriori misure urgenti in

materia di ordinamento penitenziario, nonché disposizioni integrative e di coordinamento in materia di giustizia civile, amministrativa e

contabile, e disposizioni urgenti in materia di tutela dei dati personali nel tracciamento dei contatti. 
L’art. 2 è relativo ai permessi e alla detenzione domiciliare (sia per le istanze di concessione che per le proroghe), stabilendo che, nel

caso in cui le istanze siano presentate per detenuti con delitti previsti dall’art. 51, commi 3-bis e 3-quater, c.p.p., l’autorità competente,

prima di pronunciarsi, chieda, tra gli altri, il parere del procuratore della Repubblica presso il tribunale che ha emesso la sentenza e, nel

caso di detenuti sottoposti al regime previsto dall’articolo 41 bis, anche quello del procuratore nazionale antimafia e antiterrorismo in

ordine all’attualità dei collegamenti con la criminalità organizzata ed alla pericolosità del soggetto. Per l’applicazione della detenzione

domiciliare, il magistrato di sorveglianza ed il tribunale di sorveglianza dovranno aspettare rispettivamente dai 2 ai 15 giorni la richiesta

dei suddetti pareri, potendo procedere comunque in casi di “necessità o urgenza” o in assenza dei pareri richiesti nei tempi prescritti.
Tali modifiche normative sono la conseguenza delle scomposte reazioni di alcuni organi di stampa in seguito alla scarcerazione di detenuti in

41 bis per motivi di salute. Alla fine, ad avere beneficiato della scarcerazione sono stati 376 detenuti per reati gravi (155 condannati, 196

imputati; 21 in affidamento ai servizi sociali e 4 con esecuzione presso il domicilio di pene inferiori all'anno), 3 di questi erano al 41bis.
Come sottolineato dalla Giunta delle Camere Penali, “evidentemente, si prospetta l’idea di un segmento di giurisdizione da porre sotto tutela

da parte di un organo di investigazione, chiamato ad esprimersi sui parametri delle modalità di esecuzione della pena. Come dire, dal 41-bis

al 4-bis”.
La richiesta del parere al procuratore antimafia fa precipitare il piatto della bilancia tutto dalla parte delle esigenze di sicurezza sociale

rispetto al diritto alla salute con un onere di argomentazione, a carico del magistrato di sorveglianza, particolarmente rafforzato.
Anziché accelerare i tempi per le decisioni con le quali fronteggiare l’urgenza di salvaguardia del diritto di salute, si pongono dei “lacci”

per un parere che, non potendo influire in alcun modo sulla valutazione di incompatibilità delle condizioni di salute con lo stato di

detenzione, potrà al più costringere il magistrato di sorveglianza a dover adeguatamente motivare in ordine alla possibilità che, in

considerazione delle condizioni di salute del detenuto pericoloso, la tutela della collettività potrà essere salvaguardata con la detenzione

domiciliare, per l’appunto “umanitaria”. Seguiranno aggiornamenti delle eventuali modifiche in sede di conversione. (Liberamente tratto da

dirittoegiustizia.it)
5 maggio. Qualche numero dal comunicato del Garante nazionale dei detenuti. Le persone detenute fisicamente presenti erano al 4 maggio 53.139;

altre 806 persone erano in licenza, permesso o in altre situazioni di non presenza in Istituto. La detenzione domiciliare applicata dopo il 18

marzo riguarda 2.917 e per 746 di esse con il braccialetto elettronico. Durante il mese di aprile c’è stata una media giornaliera di ingressi

dalla libertà di 58 persone. Parallelamente, si è avuta una media giornaliera di: 72 scarcerazioni, 52 arresti domiciliari, 68 detenzioni

domiciliari e 16 affidamenti in prova. Per avere un termine di riferimento e capire quale possa essere il flusso in entrata e in uscita si

possono considerare le analoghe medie giornaliere nel mese di gennaio. La media giornaliera di ingressi dalla libertà era 130; per i movimenti

in uscita, si avevano le medie giornaliere seguenti: 95 scarcerazioni, 32 arresti domiciliari, 10 detenzioni domiciliari e 9 affidamenti in

prova. Al primo maggio i detenuti contagiati sono 159, un dato in ascesa, 215 gli agenti di polizia penitenziaria. (liberamente tratto da

ristretti.it)
9 maggio, Milano. A San Vittore e Bollate due reparti per i detenuti positivi della regione. Cinquanta posti su due piani, più altre 7 camere

per detenuti addetti al lavoro nel reparto; 1 medico, 2 infettivologi, 5 medici di guardia e 10 infermieri che assicurano la copertura

sanitaria 24 ore su 24, un operatore socio-sanitario. E poi 1 ispettore e 20 agenti di Polizia Penitenziaria, appositamente formati, dedicati

al reparto. A supporto dell'Hub di San Vittore, è stato inoltre creato un reparto per i casi più leggeri, per gli asintomatici e i

convalescenti presso l'istituto di Milano Bollate. (da gnewsonline.it)
14 maggio, Parma. La lista che ha fatto scattare dei malumori in alcuni ambienti dell'antimafia è anche quella dell'Azienda sanitaria locale

di Parma dove compaiono diversi detenuti al 41bis. L’Asl riporta una lunga serie, di detenuti reclusi nel carcere di Parma che presentano

gravissime patologie per le quali, la maggioranza di loro, vengono "curati" nelle sezioni "normali" e non nel centro clinico (Sai) perché i

posti sono occupati da altrettanti malati. Alcuni di loro sono over settantenni, tutti pazienti gravemente malati e a rischio. L’Asl ha

avanzato una vera e propria denuncia sulla gestione - quella precedente - da parte del DAP che ha reso ancora più difficile l'assistenza

sanitaria a tutti quei detenuti che non riescono a curarsi. Il centro clinico di Parma ha solo 29 posti, tutti occupati e parliamo del punto

di riferimento delle carceri di mezza Italia. Detenuti con trapianti, immunodepressi, diabetici scompensati, carcinomi, lesioni ossee. Sono

state disposte allocazioni inappropriate direttamente dal DAP, senza alcuna certificazione o parere medico. Il centro clinico di Parma si è

ritrovato sovraccaricato di nuovi detenuti provenienti da altre carceri che in piena emergenza Covid rischiano di trasformare l’intero carcere

in un lazzaretto.
17 maggio. Nella casa di reclusione di Secondigliano i detenuti di alcuni reparti hanno organizzato una battitura per circa 15 minuti. Nei

prossimi giorni, infatti, saranno predisposti dei vetri divisori.
1 giugno. I detenuti producono in cella 800mila mascherine al giorno. Il 26 maggio è partito dal carcere di Bollate un piano straordinario che

ha messo insieme DAP e alcune industrie private in nome di un progetto detto "Lavori di pubblica utilità". Le sedi coinvolte per questi lavori

sono le penitenziarie di Milano Bollate, di Roma Rebibbia e di Salerno. Sono calcolati sull'intero ciclo produttivo 162 detenuti, per ognuno

dei quali è previsto un periodo di formazione. Le macchine lavoreranno 24 ore al giorno. Mentre la polizia penitenziaria assicurerà, anche in

remoto, la sorveglianza delle aree interessate.
5 giugno. Due detenuti hanno segato le sbarre della cella, si sono calati nel cortile con una corda ricavata probabilmente da un tubo di tela

del sistema antincendio e hanno scavalcato il muro di cinta per poi darsi alla fuga.
5 giugno, Campania. Tre suicidi in pochi mesi. Dario, Emil e Lamine sono i tre detenuti morti suicidi in istituti di pena campani i cui nomi

sono finiti nell'elenco dei 21 casi registrati dall'inizio del 2020 nelle carceri di tutta Italia. Il Garante dei detenuti campano Ciambriello

punta l'attenzione su un dato comune ai suicidi degli ultimi tempi: "Mi colpisce il fatto che, tra gli ultimi suicidi in Italia, ci siano

persone che avevano appena fatto ingresso in istituto ed erano state collocate in isolamento sanitario precauzionale".

***
Resoconti di Presidi e iniziative solidali sotto le carceri
1 aprile, Calliano (TN). Per questa giornata, alcuni parenti dei detenuti hanno invitato a far sì che le battiture risuonassero anche fuori

delle carceri.
6 aprile, Milano. Un gruppo di solidali si è nuovamente recato sotto le mura del carcere di Opera. I detenuti hanno riferito che non possono

fare la spesa, che ci sono venti reclusi contagiati, che le guardie sono aumentate, che i pestaggi sono continuati e che la posta è bloccata.

I secondini, come le altre volte, hanno acceso la sirena per disturbare la chiacchierata, che però è continuata.
16 aprile, Roma. Un gruppo di parenti e solidali si è ritrovato di fronte all’entrata principale di Rebibbia. Contemporaneamente in altri

punti lungo il perimetro del carcere altri solidali sono riusciti a comunicare con l’interno, a unirsi a quel coro di voci e a stabilire un

contatto visivo, aprendo un dialogo sulla situazione in corso. Tutta l’area intorno (e dentro) al carcere è stata militarizzata per diverse

ore. Nel luogo del concentramento pubblico la manifestazione è stata interrotta immediatamente, le prime persone lì presenti identificate, ed

alcune di loro portate al commissariato di zona con un ridicolo sfoggio di muscoli.
Bolzano. Nel pomeriggio una manciata di solidali si è materializzata sotto le mura del carcere di Bolzano per portare un saluto e scambiare

due chiacchiere sulla situazione all’interno, dopo che nei giorni scorsi è arrivata la prima notizia ufficiale della positività di un

secondino. Dalla viva voce dei detenuti si è potuto apprendere che le guardie positive sarebbero tre e non una, che il tampone è stato fatto

solo alle guardie e che per il momento sembra che nessuno dei detenuti abbia sintomi. Raccontano inoltre che alle persone che stanno

continuando a entrare anche per piccoli reati viene semplicemente misurata la febbre.
Bologna. La mattina del 16 aprile una dozzina di compagnx ha raggiunto le mura del carcere della Dozza di Bologna. I/le compagnx sono riuscite

a parlare con alcune persone rinchiuse, alcune delle quali stanno nella sezione AS3 che, dopo la morte di Vincenzo per Covid, avvenuta il 2

aprile, doveva essere chiusa per far posto ai detenuti della sezione giudiziaria (devastata nel corso della rivolta). I trasferimenti previsti

per lo svuotamento dell’AS3 sono stati probabilmente interrotti dopo la notizia dei contagi che ne sono seguiti. Nelle scorse settimane oltre

30 detenuti sono stati trasferiti nelle carceri di San Gimignano e di Tolmezzo. I detenuti sono risultati positivi al tampone a trasferimento

già avvenuto. Le voci uscite da dentro hanno raccontato di condizioni disperate.
17 aprile, Torino. Un gruppetto di solidali si è recato sotto il carcere delle Vallette per salutare tutti i detenuti. Pare siano più di 150 i

reclusi al momento positivi e il blocco B quello più colpito. La sezione Arcobaleno, precedentemente destinata ai tossicodipendenti è stata

riconvertita a sezione covid, mentre di mascherine neanche a parlarne. Le videochiamate sembrano funzionare ma al massimo di una decina di

minuti a settimana e non pare siano state negate ore d’aria fino a oggi. Non è arrivato invece alcun tipo di informazioni al maschile di

quanto stia accadendo nel blocco femminile. Come in tante altre città, striscioni e scritte sono comparse ieri in giro per la città per urlare

solidarietà e vicinanza ai detenuti e alle detenute in lotta contro le ridicole misure di contrasto al covid varate del ministero di Bonafede.
23 aprile, Milano. Un gruppo di solidali ha raggiunto le mura del carcere di Opera riuscendo a eludere i numerosi controlli. I prigionieri

riferiscono che l'istituzione carceraria sta affrontando il momento di crisi sanitaria chiudendoli nelle celle negando l'ora d'aria e dando

delle mascherine decenti solo al momento dei colloqui telematici, mentre il resto del tempo hanno "mascherine" che ricavano dai lenzuoli. I

reclusi comunicano che i contagiati sono aumentati, mentre i pacchi continuano a non entrare. Nel corso della chiacchierata i solidali hanno

raccontato ai prigionieri dei fatti di Torino di domenica scorsa e del corteo di oggi. I secondini hanno come al solito cercato di disturbare

accendendo le sirene, questa volta con scarsissimi risultati.
25 aprile. Saluto solidale al carcere di Spini di Gardolo (TN).
27 aprile, Milano. Nel pomeriggio una trentina di compagni e compagne ha fatto una pedalata per le vie del quartiere di San Siro fino a

raggiungere il carcere di San Vittore per un caloroso saluto ai detenuti. Durante il giro: interventi e striscioni affissi nelle vie

principali e davanti ai supermercati. Si è parlato della situazione all'interno delle carceri raccontando delle rivolte del mese scorso e

delle loro motivazioni. Slogan e interventi contro le condizioni di vita fuori: dagli sgomberi alla mancanza di soldi aggravata dal lockdown,

dalla salute delle persone messa da parte in nome del profitto agli abusi della polizia. La polizia, ormai padrona delle strade, si sente di

poter utilizzare toni e modi sempre più arroganti anche durante dei semplici fermi, la stessa che in carcere si sente legittimata a compiere i

peggior soprusi lontano dagli occhi di tutti. Si è fatta una battitura con le tazze per rimandare alle battiture dei prigionieri e delle

prigioniere nelle carceri.
Bologna. Una presenza rapida con megafono e fuochi d'artificio sotto al carcere bolognese della Dozza. Presenza alla quale i detenuti hanno

risposto facendosi sentire molto. Si ricorda che alla Dozza è morto un secondo detenuto di Covid19.
9 maggio, carcere di Ivrea. Due secondini sono stati aggrediti con sgabelli e tavoli da un detenuto che al ritorno dall’ora d’aria si era

accorto dell’ennesima perquisizione della cella, ovviamente in sua assenza. Gli agenti della penitenziaria se la sono cavata con una prognosi

di cinque giorni, nessuna notizia del detenuto.
10 maggio. I detenuti del carcere di Pescarenico (Lecco) minacciano lo sciopero della fame mentre i 21 casi di positività da coronavirus sono

stati trasferiti a San Vittore.
25 aprile. Foglio murale affisso a Milano. Fuori a un metro di distanza in galera otto in una stanza. Da inizio marzo sono stati bloccati i

colloqui dei prigionieri con i familiari e gli ingressi degli educatori, sono aumentate le difficoltà per fare entrare i pacchi mentre le

guardie hanno continuato a entrare e uscire. Da allora i reclusi sono rimasti nelle mani dei secondini , dei loro soprusi, dei loro pestaggi

che parenti e amici dall’esterno non possono verificare. L’otto e nove marzo è scoppiata la rivolta in moltissime carceri del paese. Le già

precarie condizioni insieme alla paura del virus hanno fatto divampare la rabbia. La soluzione sarebbe stata liberare tutti o quantomeno dar

seguito alle richieste dei prigionieri: indulto e amnistia. Invece, lo Stato ha risposto con una violenta repressione. Ben pochi sono

riusciti a usufruire delle misure alternative. Il virus si è diffuso e sta già mietendo vittime. Non possiamo stare a casa. Non possiamo stare

calmi.
27 aprile. Foglio murale affisso nella zona di Trento e Rovereto. “Ho solo eseguito gli ordini”. Dopo i giorni della rabbia esplosi con le

rivolte di marzo in moltissime carceri, gli ordini impartiti dal Ministero possono essere sintetizzati brevemente: “Non fate volare una mosca

nelle carceri”. Mentre i contagiati (e i morti) aumentano sia tra i secondini che tra i detenuti, come pensiamo possano essere eseguite certe

direttive? Umiliazioni, corpi denudati e pestati. Addirittura, nel carcere di Caserta, barba e capelli rasati. Durante una rischiosa

telefonata un detenuto ha affermato «Da “detenuti” siamo diventati “prigionieri”, e c’è una bella differenza».
Ci sarà chi s’indignerà per dei presunti “diritti umani” calpestati, ma la verità è molto più acerba. Nelle strutture penitenziarie la

violenza è ciò che regge l’equilibrio, poiché è la natura del potere. Quando (e se) verranno pescate le “mele marce” tra la polizia

penitenziaria, ciò dovrà risuonare come la bugia che è sempre stata, perché questa è una sistematica operazione di guerra (e centinaia di

agenti a volto coperto che entrano in una sezione per massacrare chiunque possono darcene l’idea). Ed avranno tristemente “ragione” costoro ad

affermare di aver solo eseguito gli ordini sentendosi tradire dai loro superiori. Perché il carcere, per sua stessa natura, è uno stato

d’eccezione senza fine, dove ogni dichiarazione dei “piani alti” può trasformarsi nell’incubo della morte. Pensiamoci, quando ci diranno che

quello della guardia penitenziaria è un “lavoro come un altro”.
22 maggio. Un gruppo di persone ha portato un saluto solidale ai detenuti nel carcere di Poggioreale a Napoli. La volontà dex solidalx era

mostrare sostegno ai prigionieri e ribadire complicità con chi lotta dentro e fuori contro un mondo di gabbie. Più tardi uno striscione è

stato appeso in città, si è letto uno dei comunicati riguardanti gli arresti di Bologna e in tante e tanti si è urlato il nostro odio per

l'autorità e le galere.


ciao salvo!
Il 9 aprile scorso è morto Salvatore Ricciardi. Agli inizi di marzo, Salvo era stato ricoverato a seguito di una caduta, mentre prendeva parte

ad una iniziativa in sostegno delle lotte dei detenuti. L’11 aprile un corteo lo ha ricordato per le strade di San Lorenzo a Roma.
Di seguito quanto Salvo ha scritto a proposito del blog contromaelstrom.com.

Ho aperto questo blog per rendere fruibili tutti i documenti che non sono riuscito ad inserire nel libro Maelstrom, uscito per Derive Approdi

nel luglio 2011.
Potrete trovare materiale riguardanti la storia dell’autorganizzazione operaia, della nascita delle formazioni armate italiane e non, del

carcere e del circuito dei camosci (carcere speciale) e delle lotte che in quelle strutture sono esplose e parallelamente i primi tentativi di

dissociazione. Troverete materiali e documenti provenienti dai dibattiti del movimento, documenti della lotta armata e dei percorsi

rivoluzionari ovunque nel mondo. Ma anche riflessioni sulla situazione attuale, quella della lotta di classe e quella del movimento

antagonista e/o rivoluzionario di oggi. Dopo una vita di galera sono tornato nelle strade, davanti ai posti di lavoro, nelle occupazioni di

case e di scuole, nelle sedi di collettivi e di radio, nelle assemblee di movimento. Oltre raccontare lo scontro di ieri, provo - insieme a

altre e altri - a ragionare e attivarmi nello scontro di oggi; che, comunque la si pensi, è figlio dello scontro di 30, 40 anni fa.
Il mio nome è Salvatore Ricciardi e sono nato a Roma nel 1940. Ho frequentato l’istituto tecnico Galileo Galilei (a Roma Via Conte Verde).

Appena diplomato ho trovato lavoro in un cantiere edile: dopo qualche anno ho vinto un concorso alle ferrovie dello stato come tecnico. Ho

svolto intensa attività sindacale nella Cgil e, nel 1965 attività politica nel Partito socialista di unità proletaria (Psiup) nella sezione

Garbatella.
Nel 1966, con alcuni compagni e compagne, iniziamo lavoro politico nelle fabbriche di Pomezia, un territorio che rappresentava, nei voleri

dei governi, il polo industriale di Roma e offriva notevoli facilitazioni agli imprenditori. Nel 1967 incontriamo davanti ai cancelli di

queste fabbriche le compagne e i compagni del Potere Operaio di Pomezia (di cui si è persa memoria, eppure era frequentato da compagni/e molto

capaci, in rapporto con Quaderni Rossi). Agli inizi dei movimenti del ’68 studentesco e operaio, proponiamo al Psiup di “sciogliersi nel

movimento” per ridefinire le proposte politiche e anche gli assetti organizzativi; ritenevamo quel partito “vecchio” come gli altri e volevamo

esplorare e moltiplicare i percorsi dell’autorganizzazione. Perdemmo il congresso provinciale su questa proposta (dicembre ’68), per

pochissimi voti a causa dei “funzionari” che non volevano perdere il “posto di lavoro”. Usciamo dal Psiup e proponiamo alle assemblee del

movimento di gettarsi nella costruzione degli organismi autorganizzati moltiplicando una tendenza che dilagava non solo in questo paese e di

cui il Cub dei lavoratori della Pirelli Bicocca era il punto di riferimento. La Fatme, la Sacet, la CocaCola, e tante altre realtà lavorative.

Nel 1971 con altri ferrovieri diamo vita al Cub dei ferrovieri di Roma, che blocca il traffico ferroviario nei primi giorni di agosto 1971 e

apre la sua sede nel quartiere di San Lorenzo (storico insediamento di ferrovieri) in Via dei Volsci 2, 4. Che ospiterà, di lì a poco, gli

aggregati di lavoratori che si muovono sul terreno dell’autorganizzazione, per primi l’assemblea lavoratori/trici del Policlinico e il

Comitato politico Enel; poi, via via, tutti gli altri.
Queste dinamiche, questi percorsi e i successivi, ho cercato di raccontarli nel libro: Maelstrom DeriveApprodi 2011, (ma anche in questo blog)

dove troverete anche le scelte successive, quello della lotta armata e l’arresto nel maggio 1980 e la lunga permanenza nelle carceri speciali,

con annesse rivolte e tentativi di evasione.