indice n.138

manifestazione al poligono di Capo Frasca (CA)
germania: bloccare la macchina della guerra
Vincenzo libero! contro le espulsioni!
Per una solidarietà oltre il “consentito”
Vincenzo libero! contro le espulsioni!
CONTRO L’EGEMONIA NEO COLONIALISTA DELLA FRANCIA IN MALI
AGGIORNAMENTI DAI Campi PER IMMIGRATI SENZA DOCUMENTI
CHE PARTA DA FOGGIA UNA NUOVA STAGIONE DI LOTTE!
A ottobre sciopero generale e manifestazione nazionale
atene, SGOMBERI nel quartiere di EXARCHEIA
Lettera dal carcere di Sulmona (AQ)
Lettere dal carcere di Bancali (ss)
Sardegna, Cayenna dello stato italiano
Lettere dal carcere di Rossano (CS)
Lettera dal carcere di torino
lettere dal carcere di terni
sulla sanità in carcere e a monza nello specifico
Lettere dal carcere di verona
Sui presidi alle carceri di Trieste e Udine
presidi alle carceri di cuneo ed ivrea
Lettera dal carcere di Trieste
Lettera dal carcere di La Spezia
Lettera dal carcere di La Spezia
Notizie dalle carceri
Lettera dal carcere di lucca
Lettere dal carcere di Voghera (pv)


manifestazione al poligono di Capo Frasca (CA)
Il 12 ottobre 2019 davanti al poligono di Capo Frasca si terrà la Manifestada contra a s'Ocupatzione Militare de sa Sardigna, organizzata da oltre 40 comitati, movimenti, associazioni e sindacati. Il movimento sardo contro le basi, le esercitazioni e l'occupazione militare chiama a raccolta comitati, movimenti, associazioni, sindacati, categorie professionali, intellettuali e tutto il nostro popolo a mobilitarsi e protestare contro il prossimo inizio delle esercitazioni militari in Sardegna.
Le diverse realtà che hanno a cuore le sorti della nostra terra torneranno a manifestare insieme contro l'oppressione militare il prossimo 12 ottobre 2019 davanti al poligono militare di Capo Frasca, arricchendo quella giornata ognuno con la propria sensibilità e i propri contenuti.
Dopo la capitolazione delle ultime giunte regionali davanti alle pressioni del ministero della Difesa e dopo la mortificazione di ogni opposizione esistente all'interno delle istituzioni (dal Comipa fino al processo sui veleni di Quirra) appare sempre più chiaro che l'unica strada percorribile è la creazione di una forte opposizione popolare.
Lottiamo per non dover più sottostare al ricatto occupazionale che legittima fabbriche di morte e multinazionali che sperimentano i loro armamenti nella nostra terra.
Lottiamo per contrastare lo spopolamento e l'emigrazione forzata causata dalle diseconomie di questa presenza oppressiva.
Lottiamo per alternative economiche possibili davanti alla devastazione ambientale e alla speculazione sul territorio.
Lottiamo contro la guerra, per una Sardegna non più sottomessa alle politiche di guerra che minacciano e colpiscono altri popoli.
Le esercitazioni militari devono essere fermate subito, le basi e i poligoni devono essere dismessi e bonificati, per essere restituiti alle comunità sarde che finalmente possano utilizzare quelle terre per il loro sviluppo.

A Foras Contra a s’Ocupatzione Militare de sa Sardigna, Comitato Gettiamo le Basi, Mesa Sarda de Paxi - Tavola Sarda della Pace, Comitato Civico SU SENTIDU, Comitato SU Giassu, Comitato Amparu, Comitato Sa Luxi, Comitato Riconversione RWM per la pace ed il lavoro sostenibile, Kumone Otzastra Sarrabus, Movimento Nonviolento Sardegna, Caminera Noa, Sardigna Natzione Indipendentzia (Ufitziale/Official), Sardigna Libera, indipendentzia Repubrica de Sardigna, Laboratorio Politico Sa Domu, Sardegna Possibile, Potere al popolo - Sardegna, Associazione Sardegna Palestina, Asce Sardegna, ARCI Sardegna, Coordinamento Comitati Sardi, BDS Sardegna, Rete Kurdistan Sardegna, Scida Assòtziu, Cìrculu Indipendentista "Hugo Chávez", Cagliari Social Forum, Presidio Piazzale Trento, Non Una di Meno Cagliari, Fridays For Future - Cagliari, RUAS - Rete Unitaria Antifascista Sulcis-Iglesiente, No Metano in Sardegna, Zero Waste Sardegna, Assòtziu Consumadoris Sardigna, Assemblea Permanente Villacidro, Associazione BixiNAU, Associazione Culturale Pararrutas Isili, NO Megacentrale Guspini, CSS - Confederazione Sindacale Sarda Css, COBAS Scuola Sardegna, Usb Sardegna - Unione Sindacale di Base, COBAS Cagliari - Comitati di Base della Scuola, UniCa 2.0, Collettivo Furia Rossa-Oristano, il manifesto sardo

***
Da poche ore abbiamo appreso che ad una quarantina di compagne e compagni sono state notificate delle denunce con capi d'accusa in alcuni casi molto gravi. I reati contestati fanno riferimento a manifestazioni contro le basi militari in Sardegna.
Alla repressione in generale e su questi temi in particolare, siamo più che abituati.
Il seguito alla manifestazione del novembre 2015 a Teulada il circolo subì una pesante perquisizione da parte della polizia militare. Ne abbiamo visto di tutti i colori ma questa volta procura e forze dell'ordine si sono superate.
Si parla di associazione a delinquere con finalità terroristiche, di sovversione dell'ordine democratico e parecchi altri capi d'accusa.
La tempistica di tutto ciò sarà sicuramente casuale. Sicuramente la vicinanza con il corteo del 12 ottobre a Capo Frasca sarà una pura coincidenza. Non possiamo pensare che qualcuno stia tentando di impaurire, fiaccare, bloccare un movimento popolare.
Qualora invece così fosse pensiamo di non sbagliare affermando che un'idea di liberazione non si fiacca, non si blocca con un teorema accusatorio folle e strampalato.
Non pensiamo di sbagliare affermando che il movimento non si fermerà ma che rilancerà con forza la manifestazione del 12 ottobre a Capo Frasca e tutte le mobilitazioni che verranno, fino ad ottenere il risultato ultimo: che la Sardegna sia libera dalle basi militari, che non sia più area di guerra ma terra di pace, che non sia più il posto in cui gli eserciti di mezzo mondo sperimentano le proprie armi che poi scaricano in giro per i vari scenari di guerra.
Se è un reato essere contro la guerra, se è un reato perseguire l'ideale di una terra di pace, allora siamo sicuramente colpevoli. Se non accettiamo il teorema delle procure e delle forze dell'ordine, questo è il momento di stringersi attorno alle compagne e ai compagni colpiti dalla repressione, questo è il momento di rilanciare la lotta.
Per sentirsi diversi da chi addestra e finanzia terroristi. Per sentirsi diversi da chi chiama terrorista chi i terroristi li combatte. Per sentirsi vivi. Per sentirsi giusti.


germania: bloccare la macchina della guerra
Sulla settimana di mobilitazione contro la produzione di armi in Germania
“Disaramare Rheinmetall” è stata la parola d'ordine che ha guidato la manifestazione di oltre cento compagn* di venerdì 6 settembre che ha bloccato il corso della produzione di armi e munizioni della fabbrica Rheinmetall a Unterluess, paese della Bassa Sassonia. Quell'urlo era riportato su uno striscione innalzato in testa al blocco sulla strada e sui binari d'accesso alla fabbrica assieme ad un altro su cui era scritto: “Chiedere conto ai criminali di guerra - Contro Rheinmetall - Per La Vita”. La protesta generale è riuscita nel suo scopo nonostante gli attacchi della polizia che hanno ferito diversi manifestanti.
Prima dell'inizio del blocco, il corteo ha collocato una lapide nel lager, campo di concentramento, di Bergen-Belsen, situato vicino a Unterluess, dove nel 1944 erano chiuse oltre 900 donne ebree costrette al lavoro forzato per Rheinmetall.
Per alcuni lavoratori della stessa azienda produttrice di armi, il blocco non sarebbe stato ben accolto. La polizia ha contribuito affinchè il primo turno dei lavoratori entrasse in fabbrica per vie traverse. Altri, spiegano alcun* manifestanti, sono entrati attraversando giardini, siepi: “Quell'agire ci è rimasto incomprensibile. Noi manifestivamo non contro i lavoratori, ma ciononostante loro sono entrati in fabbrica attraverso piste nascoste, protette dalla polizia.”
Il complesso della manifestazione è stato posto sui blocchi avviati dal 1° settembre nel quadro della lotta contro la guerra. Da qui lo scopo di paralizzare anche a tratti la produzione, che è riuscito. “Rheinmetall, rammenta una manifestante, fra l'altro, presta aiuto materiale all'Arabia Saudita nella guerra criminale contro lo Jemen e all'esercito turco nell'occupazione contraria al diritto internazionale nel nord della Siria e nel cantone di Afrin - in passato amministrato dalla popolazione curda. Rheinmetall a Unterluess produce armi e munizioni, intasca, dalle morti, profitti giganteschi.”
Sul campeggio e il blocco del lavoro in Rheinmetall i media regionali e ultraregionali tacciono ampiamente. Anche la polizia si tiene coperta, solo il 2 settembre si è espressa in una conferenza stampa in cui informava su una manifestazione partecipata da 400 persone, definite pacifiche. Il giorno successivo informava di un blocco, compiuto da centinaia di persone sedute sul selciato; anche questo senza incidenti. Sul blocco di venerdì 6 settembre, sempre la polizia, ha preso parola nel pomeriggio, tacendo completamente sui ferimenti da essa stessa compiuti.
Secondo indicazioni emerse da diversi gruppi di manifestanti “Le giornate di lotta a Unterluess dal 1° al 6 settembre, vanno comprese nelle azioni di protesta-lotta mondiale contro il sostegno finanziario e militare del regime di Erdogan. Allo stesso tempo oggi vengono compiute azioni, nei pasi europei come in Australia e Sudamerica, contro aziende che producono armi e bombe. C'è bisogno di una insubordinazione civile di massa per paralizzare la produzione bellica. I blocchi sono terminati nel tardo pomeriggio, i gruppi di manifestanti si sono portati nel campeggio.

7 settembre 2019, tradotto da jungewelt.de


Per una solidarietà oltre il “consentito”
2011 una protesta globale dall’Asia all’Europa. Il movimento degli ‘indignati’ contro gli abusi della finanza, il precariato e le ricette anti-crisi della politica esportò la protesta in 951 città di oltre 80 Paesi.
A Roma, come altrove, la manifestazione non espresse solo indignazione ma vera e propria rabbia. Per le strade furono individuati alcuni luoghi rappresentativi dell’arroganza del capitale, i suoi sostenitori e paladini. Non furono certo poche le persone che decisero di rispondere alla guerra che lo Stato perpetua unilateralmente, con politiche economiche, sociali e repressive.
Per molte persone fu una giornata in cui ci si ritrovò in tanti e tante a respirare un'aria diversa, e non ci riferiamo certo ai lacrimogeni.
Fu un giorno che si credeva indimenticabile e che avrebbe potuto rappresentare la potenzialità di un agire collettivo oltre la mera espressione di indignazione.
Durante il corteo e nei giorni immediatamente seguenti ci furono gravi prese di distanza (anche da parte di chi aveva partecipato a quella giornata di lotta con parole altisonanti e suggestive) e partì la caccia ai “cattivi incappucciati”. Molte furono le perquisizioni, molti gli arresti. Lo Stato ha istruito, negli anni, 3 filoni di processo per ricordare che la violenza è suo appannaggio e lanciare un monito per il futuro.
Al centro dell’attenzione processuale e anche mediatica, oltre l’incendio della camionetta dei carabinieri, il reato di devastazione e saccheggio. Il rispolvero dell’utilizzo di questo capo di imputazione pone le basi al tentativo di disciplinamento delle manifestazioni di dissenso il cui culmine è rappresentato, ad oggi, dal decreto sicurezza bis.
Inoltre il reato di devastazione e saccheggio permette allo Stato di comminare elevatissime condanne. Il 1° grado del terzo filone del processo per la giornata del 15 ottobre, si è concluso nel 2016 con pesanti condanne, da 4 mesi fino a 9 anni (distribuite tra 15 imputati, due assolti). Inoltre, ministeri (Ministero degli Interni, Ministero della Difesa, Ministero dell’Economia), banche (Banca Popolare del Lazio), Comune di Roma e aziende municipalizzate (ATAC e AMA), hanno ottenuto ingenti risarcimenti in qualità di parti civili danneggiate.
Un anno fa è iniziata la fase di appello che potrebbe concludersi entro quest’anno. Sono passati 8 anni da quel 2011 e di quello spirito sembrerebbe essere rimasto ben poco nelle piazze, nelle strade e nelle aule di tribunale, purtroppo non gremite di solidali in occasione delle udienze.
Genova 2001, Milano 2006, Roma 2011, Cremona 2015, Brennero 2016, tutti momenti in cui la presenza in strada è stata forte e chiara, senza mediazioni, generosa e determinata. Ed è questa determinazione che viene punita con il reato di devastazione e saccheggio; ridurlo a una questione tecnico-giuridica e non interpretarlo come uno strumento politico dello Stato, ci fa cogliere impreparati davanti all’accanimento e affinamento delle sue politiche securitarie.
Insistere col restare all’interno del “consentito” significa rassegnarsi all’idea che gli spazi di agibilità si riducano sempre più fino al loro totale annullamento. Nel decreto sicurezza bis è già in nuce la possibilità di non concedere più alcuna espressione di dissenso.
Vogliamo rompere questi meccanismi, essere al fianco di Vincenzo, di chi è sotto processo per il 15 ottobre, dei nostri compagni e compagne colpite dalla repressione, rivendicare con fierezza le ragioni delle nostre lotte.
Vogliamo unire gli sforzi dei/delle solidali per costruire quella forza in grado di rispondere all’attacco di chi devasta e saccheggia le nostre vite. Chi si ribella non è mai solo/a.

settembre 2019, Compagne e compagni di Roma


Vincenzo libero! contro le espulsioni!
Vincenzo é un compagno che a Milano anni fa ha partecipato insieme a noi alla lotta contro ogni galera. Come collettivo esprimiamo tutta la nostra solidarietà a Vincenzo e tutta la nostra rabbia ai suoi persecutori, che sono i medesimi di chiunque, come noi, ha scelto di non subire quel che ci viene imposto ma si ostina in ogni modo a lottare affinchè nessuno debba più subire, per essere libero di scegliere.
Di seguito riportiamo un comunicato-appello scritto in occasione delle mobilitazioni del 14 e del 25 settembre, che si sono svolte a Milano in concomitanza con le iniziative in Bretagna, una lettera di Vincenzo scritta dal carcere a fine agosto e, infine, un testo che racconta della perquisizione avvenuta a Milano.

L’8 agosto 2019, nel corso di un’operazione congiunta tra la polizia italiana e quella francese sulla base di un mandato di cattura europeo, Vincenzo viene arrestato a Rochefort en Terre in Bretagna. Vincenzo viveva lì da anni dopo essersi sottratto ad una condanna spropositata, più di dodici anni di carcere, per aver partecipato al contro-vertice del G8 a Genova nel 2001. In attesa che la Francia decida se consegnarlo o no all’Italia attualmente è rinchiuso presso il carcere di Vezin- le Coquet, vicino a Rennes.
Circa trecentomila persone sono scese in strada a Genova per opporsi all’imposizione dell’ennesimo vertice dei potenti della terra, in continuità con le opposizioni avvenute tra il 1999 e il 2001 a Seattle, Praga, Nizza, Goteborg, Napoli e infine Genova.
Per dirla con le parole che Vincenzo ha usato al Tribunale di Genova durante l’udienza del 2007: “Ognuno che con i propri poveri mezzi, si è adoperato per opporsi a un ordinamento mondiale basato sull’economia capitalista, che oggi si definisce neoliberista… la famigerata globalizzazione economica, che si erge sulla fame di miliardi di persone, avvelena il pianeta, spinge le masse all’esilio per poi deportarle ed incarcerarle, inventa guerre, massacra intere popolazioni”.
Il livello della repressione poliziesca è stato molto alto. Numerosi arresti, centinaia di feriti e un ragazzo ucciso da un proiettile sparato dalle forze dell’ordine, responsabili anche dei pestaggi e delle torture avvenuti specialmente nella scuola Diaz e nella caserma di Genova-Bolzaneto.
In seguito, dopo numerose carcerazioni preventive in un clima da caccia alle streghe, 10 manifestanti sono stati condannati a pene che vanno dagli 8 ai 15 anni di prigione per il reato di “devastazione e saccheggio”, da Genova in poi sempre più applicato per reprimere le lotte. Vincenzo è uno di questi.
“[…] da Genova in poi niente più sarebbe stato come prima, né nelle piazze né tanto meno nei processi a seguito di eventuali disordini. Si apre la strada con sentenze di questo tipo ad un modus operandi che diventerà prassi naturale in casi simili, cioè colpire nel mucchio dei manifestanti per intimorire chiunque si azzardi a partecipare a cortei, marce, dimostrazioni… non credo sia fuori luogo parlare di misure preventive di terrorismo psicologico”.
La lotta per strappare dalle mani della rappresaglia poliziesca e dello Stato compagni come Vincenzo fortifica la volontà e la determinazione di chi non si sottomette a quell’ordine mondiale, progettato anche durante il vertice G8 del 2001 a Genova, le cui miserie abbiamo davanti agli occhi.

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Ciao, questa è una lettera aperta… Mi chiamo Vincenzo Vecchi, dal 2012 sono ricercato in Italia a causa di una condanna del tribunale di Genova e di Milano, l’una del 2006 e l’altra del 2001, sotto due mandati di arresto europeo. Mi hanno arrestato i poliziotti della squadra speciale ed è stato il loro capitano che mi ha detto di essere piuttosto soddisfatto di questa operazione tra gli organi di polizia di due paesi europei. Struttura di cui, ha detto il capitano, la collaborazione è evidentemente sempre più rodata.
“E’ l’Interpol che finanzia…” mi ha detto lui in tono confidenziale… capitano io non credo che ci sia nulla di nuovo in questo… conosco bene com’è la collaborazione nelle “operazioni di polizia” ed è proprio per questo che non voglio essere consegnato [ndr all’Italia].
“La Francia è meglio dell’Italia?” …giusto per fare un po’ di chiarezza, a me non interessa esprimere una preferenza tra le prigioni di un paese e di un altro, d’altronde ho già espresso il mio punto di vista sulle prigioni (e sui paesi che ne sono lo specchio, come diceva giustamente qualcuno) più o meno democratiche, a grandi linee è questa la ragione per cui ho già fatto della prigione.
Cooperano tra di loro su degli argomenti come la “regolamentazione”, l’accoglienza, la circolazione degli individui sul suolo europeo (argomento che mi tocca in prima persona), sono in grado di partorire degli accordi mostruosi come “Frontex”… danno delle direttive che come risultato fanno aggiungere ogni giorno alle cifre già macabre altri barconi affondati con il loro “carico di poveri”. Se si vuole restare con i piedi per terra, non sono l’esito di questa cooperazione, le operazioni alle frontiere della Libia o della Tunisia dove, manu militari, si respingono quei poveri a casa loro (concentrandoli di passaggio in campi)? Io questa la chiamo guerra.
Ecco dunque perché non voglio essere consegnato, è per questo che non voglio ritrovarmi a essere il risultato di una buona (co)operazione di polizia portata avanti da due stati alleati in tempi di guerra… anche se ho ancora possibilità, dato che ho ancora i piedi asciutti… avrei voluto dire tutto ciò al capitano, avrei voluto dirgli che io sono contro questa guerra… ma era troppo impegnato a farsi selfie su selfie con i colleghi della squadra speciale… e la porta della prigione si è aperta davanti a noi…

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L’8 agosto 2019 Vincenzo viene arrestato in un piccolo paese vicino a Rochefort en Terre mentre stava lavorando.
Il 9 agosto la casa dove vivo con mia figlia a Milano viene sottoposta a perquisizione da parte della “Divisione Investigazioni Generali Operazioni Speciali – Sezione antiterrorismo interno” della Questura di Milano. L’operazione parte intorno alle 13.00 quando i poliziotti intercettano la cat-sitter che stava scendendo al pianterreno con l’ascensore. La obbligano a risalire e le chiedono di aprire la porta, avendo lei le chiavi. La signora si rifiuta dicendo che lei ha un accordo con me e che non sa neppure chi siano loro che nel frattempo avevano indossato i cappucci sul volto. Lei ha fatto notare che in Brasile, suo paese di origine, di solito chi si presenta così vestito è un “brigante”. Loro sono così costretti ad aprire autonomamente la mia abitazione.
La perquisizione dura 4/5 ore durante le quali sono state effettuate riprese video delle operazioni e la signora è rimasta in qualità di testimone essendo io “irreperibile” perché in ferie e non avendo nominato un avvocato. Per tutto il pomeriggio la signora viene privata del suo telefono cellulare che viene trattenuto dai poliziotti. Lei non ha mai potuto rispondere al telefono, né avvertire qualcuno della sua condizione di segregata in casa mia.
Verso le 20.00 l’operazione si è conclusa e la signora è stata condotta in questura per firmare il verbale di sequestro delle molteplici cose che mi sono state portate via: telefoni cellulari, schede telefoniche, cd, tablet, volantini, giornali, scritti vari, lettere e anche una bella e delicata stella marina. Preciso che su detto verbale di sequestro è scritto che la perquisizione è stata eseguita “al fine di evitare che cose o tracce pertinenti al reato per cui si procede potessero essere distrutte o alterate…”.
Ma di quale reato si tratti non è dato sapere fino al giorno 31 agosto quando, dopo esser stata contattata telefonicamente dalla Questura di Milano, ho ritirato la notifica a me indirizzata. E lì ho appreso che la perquisizione è stata effettuata senza un mandato perché solo a posteriori, precisamente in data 12 agosto, il Sostituto Procuratore Dott. Enrico Pavone, la convalida con una nota scritta in calce al verbale dove dice che “il sequestro effettuato dalla Digos, concerne schede telefoniche, documenti ed altri beni, che dovranno essere analizzati al fine di verificare i rapporti tra Vincenzo Vecchi e XXX, ora indagata per il reato ex art. 378 c.p.”. Finalmente si parla di un reato!! Si tratta del reato di favoreggiamento.
Comincia a farsi un po’ di chiarezza. In questura ho comunque chiesto al mio interlocutore perché non mi avessero ancora consegnato una copia del mandato di perquisizione visto che avevo sempre pensato, ingenuamente, che le perquisizioni fossero fatte a seguito di un mandato. A quel punto l’ispettore mi ha risposto dicendomi che era loro prassi comunicare verbalmente il motivo della perquisizione. E che infatti loro lo avevano comunicato alla signora che curava il gatto. Gli ho risposto che non era assolutamente vero e che questa procedura mi suonava quantomeno stravagante! Detto ciò comunque il mio avvocato qualche giorno dopo si è recata in tribunale per ritirare il mandato e in quell’occasione abbiamo avuto l’ultima conferma dell’inesistenza del mandato in oggetto.
All’oggi abbiamo fatto un’istanza di dissequestro che è stata rigettata senza motivazioni e a breve la impugneremo davanti al Gip.
Alla luce di quanto accaduto si impone una riflessione anche di carattere politico. Io sono la ex convivente di Vincenzo, nonché la madre di sua figlia. Fino a quando lui è stato in Italia noi vivevamo insieme. Questo significa che, nonostante io sia un familiare stretto di Vincenzo, mi si accusa comunque di favoreggiamento, cosa alquanto inedita in Italia dove il favoreggiamento non si applica ai parenti. Questo ci fa comprendere che il clima politico che stiamo vivendo è interessato al fatto che la solidarietà, anche quella della famiglia, sia condannata quando viene rivolta verso chi ha criticato questo stato di cose, il sistema capitalista tanto per intenderci. La repressione e la criminalizzazione delle lotte passa oggi anche attraverso l’attacco alla solidarietà nel tentativo di abbattere i sostegni e le complicità a chi effettivamente dice o fa qualcosa di antisistemico perché forme concrete ritenute dallo Stato molto pericolose.
A ciò si aggiunga la componente fascista e razzista di alcuni solerti questurini che quando la signora è stata condotta in questura per la firma del verbale le hanno ritirato il passaporto senza tenere in alcuna considerazione il fatto che a breve lei si sposerà e di fatto consegnandola nelle mani dell’Ufficio Immigrazione. E nonostante la convocazione del futuro marito, la signora è stata costretta a tornare una volta a settimana per la firma e le è stato comminato un decreto di espulsione. Ora ha deciso di non tornare più in questura in quanto lì è stata minacciata di essere rimpatriata a brevissimo oltre ad avere dovuto subire commenti maleducati, razzisti e sessisti. Anche questa vicenda, di aver infierito così pesantemente su una persona sostanzialmente estranea alle vicende di Vincenzo Vecchi e del g8 di Genova, non può non farci riflettere sulla provocazione in atto che guarda caso riguarda una donna immigrata. Quindi da un lato un tentativo di colpire i solidali in qualsiasi modo, ma dall’altro l’accanimento verso i migranti che ormai è un leit motiv degli ultimi tempi nei paesi occidentali e che viene perpetrato nei campi di detenzione, in mare, e che purtroppo sempre più coinvolge ampi strati della società civile come dimostrano i frequenti episodi di cronaca.

Per scrivergli: Vincenzo Vecchi (matricola 14944)
Centre pénitentiaire de Rennes-Vezin, Rue du Petit Pré - 35132 Vezin-le-Coquet, France


CONTRO L’EGEMONIA NEO COLONIALISTA DELLA FRANCIA IN MALI
Segue il testo dell’intervento fatto in strada a Milano il 14 settembre in occasione della manifestazione per l’abolizione del franco francese (CFA), promossa da diverse associazioni di africani/e, che ha avuto diversi momenti di partecipazione comune con la manifestazione indetta in sostegno e per la libertà delcompagno Vincenzo.

Non siamo qui, oggi, soltanto per manifestare contro il franco CFA: questo è solo UN aspetto di una situazione complessa che nella sua interezza sfugge alla maggior parte delle persone.
Vi parlo di quello che da quasi dieci anni sta accadendo nel mio paese, il Mali, e che raggiunge ormai le dimensioni di una tragedia. Sono centinaia i morti trucidati in attacchi che radono al suolo interi villaggi: insieme agli uomini, anche vecchi, donne e bambini uccisi nei modi più crudeli e bruciati, con le case e gli animali.
Nel 2018 ci sono stati 932 attentati, quasi il doppio di quelli del 2017 e quasi il triplo degli attacchi del 2015. Il tutto liquidato come “attacco terroristico” o “scontro inter-etnico”. La realtà è diversa, e peggiore.
E’ sotto gli occhi di tutti come la Francia, con la complicità dell’ONU, stia “balcanizzando” il mio paese, riducendolo ad una condizione di frammentazione e di disordine cronico con l’obiettivo finale di un mero monopolio economico e di un controllo geo-politico dell’area del Maghreb.
In questo, poco è cambiato dall’epoca coloniale: ma questo colonialismo contemporaneo è più subdolo e ipocrita, perché persiste e impera mentre nelle sedi rappresentative e istituzionali si sbandierano proclami di democrazia e sostegno umanitario. Sto parlando di complicità. Sto parlando di omertà.
In Mali la gente muore. Non in guerra: civili innocenti vengono trascinati fuori dalle loro case e massacrati, nel silenzio vergognoso della stampa e della comunità internazionale (con rarissime eccezioni). Koulogon, Ogossagou, Sobane, Gangafani, Yoro… sono nomi che vi dicono qualcosa? Penso di no… ma se vi dico Bataclan la maggior parte di voi richiama alla mente l’orrore di Parigi. Chiediamoci perché!
Nel 2014 è stata lanciata dalla Francia l’operazione Barkhane, estensione dell’Opération Serval, nata nel gennaio 2013 per far fronte all’emergenza dell’avanzata jihadista e dei ribelli in Mali. Malgrado il dispiegamento di forze (4.500 uomini, circa 900 mezzi pesanti e leggeri, 7 aerei Mirage, droni) e il crescente coinvolgimento militare di altri paesi, lo scopo dichiarato di “stabilizzare” il Sahel è ben lontano dall’essere raggiunto, e il paese è anzi completamente fuori controllo, disgregato e frammentato ormai in regioni autonome, di fatto se non sulla carta. A chi giova questa instabilità?
Dietro la facciata virtuosa dell’operazione anti-terrorismo, che riceve quindi ovviamente il plauso occidentale, Barkhane è una riorganizzazione della presenza militare francese nel Sahel, di chiaro stampo neo colonialista e con lo scopo di difendere gli interessi francesi nella regione, primi fra tutti quelli legati ai giacimenti di uranio e di petrolio.
Come se non bastasse, in Mali è stata creata la più grande missione ONU esistente, chiamata MINUSMA, sempre con lo scopo di stabilizzare il paese: circa 14.000 uomini, dei quali 6.000 francesi, e pochissimi risultati. Anzi, è la missione ONU con il più alto costo in vite umane in assoluto: sono 160 i caschi blu rimasti uccisi dall’inizio della missione nel 2013. Ma non è sufficiente… Ci sono zone del Mali, come la regione di Kidal, che la Francia controlla al punto da non farvi entrare il presidente stesso del Mali, senza la sua autorizzazione.
Noi non vogliamo più sottostare all’egemonia francese nel nostro paese. Vogliamo la Francia fuori dal Mali, dove crea più caos e instabilità che sicurezza. Vogliamo che il mondo apra gli occhi e che i media e i governi rompano l’indifferenza.
Il silenzio fa più male della violenza. Il silenzio uccide.
Milano, 14 settembre 2019


AGGIORNAMENTI DAI Campi PER IMMIGRATI SENZA DOCUMENTI
Nelle pagine di questo opuscolo in genere ci riferiamo alle condizioni interne ai Centri per immigrati senza documenti in attesa di espulsione (un tempo Cpt, poi Cie ora Cpr), alle lotte, alle rivolte dentro e alla solidarietà fuori. Ma non ci dimentichiamo che l’intera politica della cosiddetta accoglienza rappresenta un maledetto ingranaggio in cui chi viene dai paesi poveri della terra finisce per essere intrappolato e che il tutto origina dal divieto per loro di muoversi liberamente. Nei centri come i Cara (Centri di accoglienza per i richiedenti asilo), i Cas (Centri di accoglienza straordinaria) o anche nel tanto celebrato Sprar (un sistema di accoglienza diffuso amministrato dagli enti locali e gestito da cooperative e associazioni varie) chi vi viene “ospitato” deve rispettare regole e aderire a progetti che restringono ulteriormente gli spazi di libertà, umiliano e ledono la dignità. Nel caso gli “ospiti” o come vengono assurdamente definiti i “beneficiari” di queste strutture decidano di rifiutarsi di corrispondere a tali condizioni la pena consiste nell’espulsione e nella conseguente riduzione delle possibilità di ottenere le carte giuste per restare in questo paese. Quella che viene definita seconda accoglienza infantilizza, disciplina e criminalizza le persone immigrate oltre ovviamente a garantire lauti profitti a chi la gestisce o fornisce servizi.

CAS di via Corelli, Milano
Il 4 agosto, domenica, nel pomeriggio verso le 14, al Cas (Centro di accoglienza straordinaria, che “ospita” 200 emigranti) di via Aquila 11 a Milano gestito dalla Croce Rossa è scoppiato un incendio. Alcuni degli immigrati all’interno sono rimasti intossicati e trasportati all’ospedale. Da una testimonianza diretta risulta che l’incendio sarebbe stato involontario, causato da un fornellino. L’incendio si è propagato in fretta (mandando a fuoco un materasso e altre suppellettili oltre all’armadietto, riportano i quotidiani) ma i vigili del fuoco sono arrivati ben 45 minuti dopo. Gli animi si sono ovviamente accesi e le proteste si sono fatte molto forti, le forze dell’ordine presenti dentro la struttura hanno chiamato rinforzi e una pietra è stata scagliata su una delle volanti. Nel mentre, un ragazzo di 19 anni intrappolato tra le pareti incandescenti provava a uscire dalla stanza, senza riuscirci fino a quando non sarà divelta una sbarra. La tensione è cresciuta, la polizia premeva contro chi si stava ribellando e che nel frattempo li aveva accerchiati per evitare che chi era stato identificato come responsabile di aver tirato il sasso venisse portato via. Nella carica in 7 sono stati presi e arrestati per resistenza a pubblico ufficiale e danneggiamento aggravato, per loro è stato poi confermato l’arresto. Altri 50 sono stati trasferiti al Cas di Via Corelli, ex caserma Mancini, gestito sempre dalla Croce Rossa.

Presidi, rivolte, fughe
Lunedì 8 luglio nel Cpr di Torino muore un ragazzo successivamente a degli abusi subiti da atri detenuti. Il giorno successivo esplode la rabbia e scoppia una rivolta, alcuni ragazzi si scagliano contro i suoi aggressori, ci sono incendi e i solidali si ritrovano all’esterno delle mura di questo luogo infame. Non tarda ad arrivare una violenta repressione della polizia, sia sui ragazzi rinchiusi che sul presidio che si era raggruppato all’esterno. Il focolaio però non si spegne e le azioni coraggiose dei ragazzi all’interno della struttura proseguono. Durante tutta l’estate i tentativi di evasione sono stati quasi all’ordine del giorno e verso la fine di Agosto ci son stati dei nuovi incendi.
Il 28 luglio, domenica, si è svolto un Presidio sotto le mura del Cpr a Ponte Galeria, Roma. La sezione maschile, chiusa dal 2015 per danneggiamenti provocati dalle rivolte, è stata riaperta a inizio giugno. Il saluto solidale è stato ostacolato da tre blindati della polizia e dalla celere schierati in modo da impedire l’avvicinamento alla sezione. All’interno ora è vietato l’uso dei cellulari e le comunicazioni possono avvenire solo attraverso una cabina pubblica con schede prepagate. La comunicazione con l’esterno viene sempre più limitata in modo da non fare uscire le notizie su condizioni, abusi e soprusi che avvengono nel campo. Fuori, nuove mura e reti sul tetto che comunque non hanno impedito una rivolta con evasione di 12 uomini avvenuta pochi giorni dopo l’inaugurazione.
Alcune compagne e compagni di Roma stanno ricevendo diverse notifiche di indagine riguardanti il presidio del 28 luglio. Le notifiche di indagine riguardano manifestazione non autorizzata, adunata sediziosa, oltraggio a pubblico ufficiale, vilipendio, violenza o minaccia. Accuse interessantissime, dice chi le ha ricevute. (dai blog Macerie e Hurriya)
Ancora il 20 settembre voci da dentro il Cpr di Roma raccontano di una rivolta. Secondo le informazioni che sta facendo circolare il garante, il lager di Ponte Galeria è pesantemente danneggiato: due settori sono completamente inutilizzabili grazie alle fiamme appiccate dai reclusi, mentre nelle altre 3 aree sono danneggiate le aree di socialità. I posti compromessi saranno tra i 16 e i 20. Sono immediatamente seguite deportazioni di massa e altri uomini sono stati trasferiti a Palazzo San Gervasio. Sappiamo da dentro che ora la situazione nel Cpr è invivibile, a causa della puzza di fumo all'interno gli uomini sono due notti che dormono fuori, sotto l'acqua e con i materassi bagnati e passeranno fuori anche altre notti. Dicono inoltre che sono previsti dei voli di deportazione per i prossimi giorni.
Il 2 agosto è stata organizzata una manifestazione contro la costante repressione nei confronti di chi lavora nelle strade di Barcellona. Il 29 luglio c’era stata una grossa retata contro la vendita ambulante nella quale erano stati impiegati, secondo i dati ufficiali, 100 agenti della Guardia Urbana di Barcellona (GUB), 150 Mossos de escuadra e altrettanti agenti dell’autorità portuale (fonte: Tras la manta)
La mattina di sabato 2 agosto nel Cie di Hoya Fria, a Santa Cruz, nell’isola di Tenerife, le persone recluse hanno dato vita a una rivolta, mentre si trovavano nel cortile del lager. Una ventina di detenuti sono riusciti a scavalcare la recinzione ed evadere dal lager. L’intero corpo di polizia presente nell’isola ha iniziato una caccia all’uomo: sette persone sono state catturate ma le altre continuano la loro fuga.
Il 18 Agosto nel Cra di Saint Exupery i ragazzi reclusi hanno iniziato uno sciopero della fame seguito da una violenta repressione della polizia, a luglio ne avevano intrapreso un altro. Durante l’ultima settimana di Agosto ci sono state due buone notizie. Due ragazzi sono riusciti a fuggire dal Cra di Plaisir e Mesnil-Amelot. Un ragazzo invece è riuscito a cogliere l’occasione presentatasi con una porta chiusa male durante un trasferimento dal Cra di Mesnil-Amelot all’aeroporto per l’espulsione e non è stato più trovato. Vento in poppa per tutti i fuggiaschi!!!!! (Da Hurriya)
Da venerdì 20 settembre, i prigionieri del CRA di Plaisir sono in sciopero della fame per protestare contro l’interruzione arbitraria delle visite e delle cure. Le condizioni di vita all’interno sono schifose e i prigionieri sono sottoposti a un forte isolamento, ma le lotte all’interno sono state numerose e continuano. Per interrompere lo sciopero della fame, nella notte di sabato una squadra della BAC (Brigate Anti Criminalità, un corpo speciale della polizia specializzato negli interventi “a rischio”, ndt) con i cani è tornata nel CRA minacciando e picchiando i prigionieri in lotta. Una persona è stata rinchiusa in una cella d’isolamento per tutta la notte, un’altra è stata riportata al GAV (Garde à Vue, cioè sottoposta al fermo di polizia, ndt) e poi è tornata al CRA. Ma le persone in lotta restano determinate, lo sciopero continua. (da Hurriya)

Trieste, Cpr di Gradisca d’Isonzo
Il 21 agosto 2019, la Prefettura di Gorizia ha aggiudicato la gestione del CPR di Gradisca (GO) alla cooperativa EDECO di Padova. La base di gara era di 28,80 euro giornalieri per ogni recluso, più 150 euro per ogni kit d’ingresso: la cooperativa EDECO ha vinto con un ribasso dell’11% su entrambi. Si avvicinerebbe dunque la data di (ri)apertura del centro di “detenzione amministrativa” per stranieri privi di titolo di soggiorno, chiusa nel 2013 grazie alle rivolte degli stessi rinchiusi, durante una delle quali Majid, un uomo marocchino di 35 anni, cadde dal tetto mentre cercava di scappare dal lager in cui era stato rinchiuso, morendo dopo nove mesi di coma farmacologico.
EDECO dice di basarsi “sui valori fondamentali dell’accoglienza, della carità e della crescita individuale” ma è nota perché aveva in gestione il campo di Cona (VE), un campo-lager. Il centro di prima accoglienza di Cona consisteva in una serie di tende all’interno di una base missilistica NATO dismessa. Le brandine erano ammassate a causa del sovraffollamento e la mensa non prevedeva neanche la possibilità di sedersi per consumare i pasti. In questa struttura – che secondo l’Asl aveva 450 posti – si arrivano ad ammassare 1.700 persone. (Da nofrontierenoblogs)

Confini, frontiera e rotta balcanica
Segue il testo di un volantino diffuso nella zona del Carso (tutta la zona intorno a Trieste vicino al confine) dal titolo: È QUESTO IL CARSO CHE VOGLIAMO? Dell’assemblea NO CPR-NO FRONTIERE pubblicato su nofrontierefvg.noblogs.org
Da più di 10 anni il confine tra Italia e Slovenia è aperto. Queste terre di frontiera sono tornate a essere naturali vie di collegamento, scambio e passaggio; non più luoghi di separazione artefatti, decisi a tavolino per interessi che nulla c'entrano con le necessità di chi il territorio lo vive e attraversa.
Oggi si minaccia una nuova chiusura di questo territorio, pattugliamenti misti, militarizzazione dell'area, possibili muri e filo spinato, giustificando il tutto attraverso una narrazione che genera paura e che vuole farci sentire in pericolo di fronte alle persone che migrano. Pericoloso per noi è: incontrare pattuglie armate in giro nei boschi; insegnare ai bambini e alle bambine che di fronte a delle persone stremate si può rispondere con un filo spinato; accettare politiche che possono uccidere le persone; legittimare la violenza razzista; vivere sotto costante controllo dell'autorità.
La solidarietà tra le persone è la base per creare territori più sicuri per tutte e tutti.
Crediamo che tutte le persone dovrebbero avere la libertà di spostarsi, a prescindere dai motivi che le hanno spinte ad intraprendere il viaggio.

Storia di un’opposizione a una deportazione
Lunedì 15 luglio la polizia si è presentata presso l’abitazione di D. per condurlo in questura, dove gli è stato notificato un inaspettato decreto di espulsione ad personam, firmato direttamente dal ministro dell’interno Matteo Salvini.
Nonostante il compagno vivesse in Italia da una ventina d’anni e avesse tutte le carte in regola per la sua permanenza, in un’udienza per direttissima il giudice ha convalidato la misura di espulsione, appellandosi a denunce varie, tra cui la finalità di terrorismo da cui D. era stato assolto anni fa. Gli è stata quindi data, su richiesta dell’avvocato, un’ora di tempo per prendere dei vestiti e un telefono, che gli è stato sequestrato, ed è stato caricato su un’auto diretta all’aeroporto di Milano Malpensa, dove è rimasto in regime amministrativo presso gli uffici della Polizia di Frontiera in attesa dell’esecuzione dell’espulsione. Esecutiva dalle 18.53 di lunedì (orario di termine dell’udienza) e da effettuare entro le 48 ore successive. È subito girata la voce tra compagni e compagne, amici e amiche, e nella notte si sono recati in una trentina all’aeroporto restandovi per un paio d’ore tentando di capire dove potesse essere stato rinchiuso. Il pomeriggio dopo, il numero è aumentato e in una sessantina si è tornati a Malpensa, dove alle 19.10 un aereo della Air Italy, diretto a Lagos (Nigeria), sarebbe dovuto partire con a bordo D. I solidali presenti si sono mossi in piccoli cortei all’interno dell’aeroporto con striscione e megafono, sempre seguiti da un ingente concentramento di digos, finanza, polizia e carabinieri, informando tutti e tutte dello scempio che stava per avvenire e bloccando in alcune occasioni i gate d’imbarco. Nel frattempo gli avvocati hanno preparato una serie di ricorsi, tra i quali uno diretto alla Cedu (Corte Europea dei Diritti dell’Uomo), per sospendere l’ordinanza ministeriale viziata da diverse irregolarità tra cui il fatto che D. è stato assolto dai reati su cui è basato il provvedimento di espulsione. La Cedu ha considerato la situazione di D. urgente e ha accolto il ricorso sospendendo l’espulsione, ma nonostante ciò le procure di Bologna e Milano, la polizia di Malpensa e il Ministero dell’Interno si sono rifiutati di dire agli avvocati in che stato fosse il compagno e dove si trovasse. Solo in tarda serata è giunta la notizia che D. non era stato rimpatriato. La mattina del 17 luglio D. riesce a contattare dei compagni e delle compagne, racconta di essere stato trasferito la sera precedente nel CPR di Bari, informato della sospensione della sua deportazione solo poco prima del trasferimento. Alcune ore dopo D. si trova in udienza con un avvocato d’ufficio – riguardante il mantenimento dello stato di detenzione nella gabbia barese – alla quale però rifiuta categoricamente di presenziare, richiedendo di essere difeso dai propri avvocati. Il giudice accoglie il rinvio e l’udienza è fissata per il 19 luglio con la presenza dei suoi legali.
Non è un caso che sia stato mandato proprio al Cpr di Bari, uno dei lager peggiori d’Italia conosciuto per la violazione dei diritti umani, la segregazione e le torture vessatorie che lo rendono una struttura duramente punitiva in cui spesso vengono deportati emigranti ribelli. La solidarietà dei compagni di varie città è stata forte e tempestiva e ha reso chiaro a sbirri e magistrati che D. non è solo e che le loro sporche manovre almeno in questo caso non sono passate sotto silenzio.
Il 19 luglio, al termine dell’udienza presso il Cpr di Bari, il giudice non ha convalidato l’istanza di trattenimento, le motivazioni per la detenzione non sono state giudicate sufficienti. Il pomeriggio del sabato 20 luglio si è svolto comunque a Bari un presidio davanti al Cpr. Il Ministero dell’Interno il 19 agosto ha poi consegnato le memorie per giustificare l’espulsione. La Corte di Strasburgo si esprimerà a fine ottobre mentre per D. il permesso di soggiorno resta revocato come deciso dal Tribunale Civile in un’udienza del 2 settembre. (Tratto da diversi comunicati delle solidali e dei solidali, con ulteriori aggiornamenti).


CHE PARTA DA FOGGIA UNA NUOVA STAGIONE DI LOTTE!
La giornata di ieri, 2 settembre, ha rappresentato un grande e importante momento di lotta, segnato dal protagonismo assoluto e dalla determinazione degli abitanti dei diversi insediamenti della Capitanata che lavorano in campagna e che ha visto anche il sostegno di persone solidali da tutta Italia.
Dagli insediamenti di Borgo Tretitoli (Cerignola), San Severo, Foggia e Borgo Mezzanone i lavoratori sono entrati in sciopero e alle 6:30 di mattina é partito un corteo spontaneo fino all’ingresso del CARA, il Centro di Accoglienza per Richiedenti Asilo di Borgo Mezzanone, un obiettivo di grande importanza in quanto sede della Commissione Territoriale che decide l’esito delle richieste d’asilo e che risponde a queste con un’altissima percentuale di dinieghi. Oltre ad essere lo stesso CARA luogo di segregazione e abuso, presentato da più parti come alternativa al ghetto mentre non è altro che uno dei tasselli fondamentali del circuito che produce la precarietà e lo sfruttamento, che portano le persone a vivere proprio nei ghetti.
I lavoratori hanno chiesto un incontro immediato con Prefettura, Questura e organizzazioni datoriali (Confagricoltura, Coldiretti e CIA), inchiodando anche il padronato agricolo alle sue responsabilità nel sistema di sfruttamento delle campagne foggiane: contratti mai rispettati quando non del tutto assenti, nessuna garanzia di trasporto o alloggio a carico dei datori e una serie di inadempienze che impediscono il rinnovo del permesso di soggiorno costringendo le persone a comprare documenti falsi.
Davanti al loro ostinato silenzio e al rifiuto di presentarsi presso la sede della commissione per incontrare chi stava scioperando da ore in strada, mentre una parte delle persone è rimasta in presidio davanti al CARA bloccandone l’accesso per mezza giornata, l’altra parte dei manifestati ha deciso di spostarsi e bloccare la statale 544 che attraversa Borgo Mezzanone, con l’obiettivo di fare pressione sulle istituzioni ed ottenere ascolto. Il blocco è durato 10 ore, e ha dovuto fronteggiare le esplicite minacce, i ricatti e le violenze da parte della polizia, oltre che gli insulti a sfondo razzista degli abitanti del luogo.
Al suono di “SENZA NERI, SENZA POMODORO!” i lavoratori hanno bloccato il passaggio di numerosi camion carichi di pomodori, diretti alle aziende di trasformazione, ribadendo il loro ruolo, indispensabile all’ interno dell’intera filiera agroalimentare nazionale, ed
esigendo documenti per tutti come condizione fondamentale per superare la situazione di violento sfruttamento. Solo la forza, la determinazione e il grande coraggio dei manifestanti hanno permesso, dopo ore di insistenza, di ottenere un incontro in Prefettura con Questore, Prefetto, dirigente Ufficio Immigrazione e alcuni esponenti di Confagricoltura.
Dopo ore di contrattazione, il blocco a oltranza da parte dei manifestanti ha permesso di ottenere alcune importanti vittorie: l’accesso alla residenza agli abitanti di alcuni insediamenti, come l’Arena e Borgo Tre Titoli, fino ad allora negata, ma indispensabile per accedere ai servizi e rinnovare i documenti. La possibilità, per chi non ha il permesso di soggiorno, di effettuare una nuova domanda d’asilo e ottenere la regolarizzazione per condizioni di gravi sfruttamento.
Continueremo a vegliare, e a batterci, finché l’ultima persona senza documenti ottenga il permesso di soggiorno! Malgrado queste vittorie, le istituzioni non hanno ceduto rispetto alla volontà di sgomberare i ghetti. Ma lo sgombero non è mai una soluzione: se non vogliono i ghetti, devono dare le case!
In un periodo storico in cui la violenza istituzionale e la repressione verso chi lotta per un mondo più libero sono sempre più feroci e generalizzate e in cui si é sempre più spinti a stare chiusi in casa, impauriti e isolati, il coraggio, la determinazione e la rabbia dei
lavoratori delle campagne deve essere stimolo ed esempio per chi in tutta Italia subisce condizioni di sfruttamento e precarietà.
E’ l’inizio di una nuova stagione di lotta, i lavoratori delle campagne continueranno a spingere per ottenere documenti per tutti, migliori condizioni di lavoro e di vita, senza farsi intimidire. Ancora una volta e sempre più la loro lotta é la lotta di tutti noi.

settembre 2019, da campagneinlotta.org

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Da Foggia a Rosarno solo la lotta può fermare la repressione
Questa mattina si terranno due udienze contro alcune compagne che da anni si organizzano e lottano insieme alle persone che vivono e lavorano nei numerosi ghetti disseminati nelle campagne di questo paese.
A Palmi (RC) verrà emessa la sentenza contro due compagne accusate di aver aiutato una persona a sfuggire dall’identificazione e, per una di loro, di averlo fatto con l’uso della forza contro un carabiniere, in riferimento alla giornata di lotta del 22 marzo 2017 a San Ferdinando.
A Foggia, invece, si terrà un’udienza del processo che vede accusate alcune compagne di manifestazione non autorizzata, per il blocco avvenuto davanti la Questura durante la mobilitazione congiunta del 6 febbraio 2017, che rientrava in un percorso su scala nazionale contro confini e sfruttamento.
Il caso vuole che questi due processi avverranno in contemporanea, ma non è affatto una coincidenza che in questi contesti, da anni, esistano delle lotte autorganizzate che con tanto coraggio e determinazione stanno contrastando il razzismo e la segregazione che tutti i governi, con il loro apparati istituzionali e non, portano avanti al fine di sfruttare e controllare la vita di migliaia di persone, non solo immigrate.
La nostra solidarietà si basa sulla certezza che solo costruendo relazioni di lotta si possa abbattere questo esistente mortifero.
Quello che accade a chi vive nei ghetti, nei centri di accoglienza o di espulsione, alle persone bloccate alle frontiere o in difficoltà per superarle, viene spesso spettacolarizzato, masticato, digerito e buttato via rapidamente, tra l’esaltazione sul web di gesti altrui. Noi crediamo invece che sia necessario mettersi in gioco in prima persona, convinti che l’unità vada ricercata tra le differenze e affrontando le contraddizioni, senza alleanze e opportunismi. Per la libertà.
9 settembre 2019
Rete Evasioni, Rete Campagne in Lotta, i compagni e le compagne di Hurriya


Repressione di Stato delle lotte per la casa e dei lavoratori
A ottobre sciopero generale e manifestazione nazionale
Scontri, arresti, sgomberi. Sosteniamo la lotta per la casa!
Roma: via Cardinal Capranica, ex scuola di Primavalle. Una occupazione abitativa andata avanti per anni, fatta da famiglie proletarie che all’emergenza abitativa avevano trovato la risposta dell’auto organizzazione, della condivisione e della resistenza alla cronica defezione del sistema welfare, che accomuna la quasi totalità delle città e che rappresenta il cappio al collo per milioni di persone delle classi sociali più deboli.
L’immobile era uno dei primi a dover essere sgomberato, nella lista vidimata dal Ministro Salvini durante lo scorso febbraio.
Ed è lì che la notte scorsa, fino alla successiva mattina inoltrata, centinaia di poliziotti in assetto antisommossa, con blindati, idranti ed elicotteri, hanno eseguito l’ordine di sfollamento mettendo per strada più di trecento persone tra le quali circa ottanta bambini, nonostante la resistenza degli abitanti arroccati sul tetto della scuola, nonostante il muro popolare dei movimenti e dei solidali in difesa del diritto all’abitare.
Sebbene la data fissata per lo sgombero fosse slittata di quasi un mese, né la giunta della sindaca Raggi né la Regione governata da Zingaretti, sono state capaci di offrire valide soluzioni alternative agli occupanti; le proposte avanzate, consistenti in case famiglia e centri per l’accoglienza fatiscenti (secondo varie testimonianze), sono state rifiutate per ovvie ragioni di dignità.
Nel frattempo, i responsabili istituzionali di questo nuovo atto di macelleria sociale allestivano il solito misero spettacolino dello scaricabarile, al termine del quale la degna conclusione è stata il rimando della ricerca di soluzioni.
Tutto questo, se da un lato ha raccolto il fiero plauso del ministro Salvini a mezzo social, dall’altro si è consumato a dispetto dell’impegno assunto soltanto la settimana precedente dai capigruppo PD e M5S, firmatari di una lettera, fortemente voluta e ottenuta dai movimenti per il diritto all’abitare, nella quale si richiedeva alla Prefettura di non dare ordine di esecuzione per gli sgomberi senza soluzioni alternative valide: nessun atto di ribellione estrema ai diktat leghisti, da parte dei capigruppo, ma il semplice seppur gravoso impegno a non peggiorare ulteriormente un quadro reso già sufficientemente cupo dalle deliberazioni dei precedenti governi.
I decreti sicurezza e sicurezza bis, lasciati passare a suon di tweet e di squallide battute giustizialiste diffuse dai mezzi di informazione, perfezionano quanto iniziato dal governo Renzi con il decreto Lupi – che riduceva la problematica delle occupazioni abitative ad una mera questione di ordine pubblico – e quanto affinato dal decreto Minniti in termini di repressione contro le fasce sociali più deboli.
Nulla di veramente nuovo sotto al cielo, quindi: basta ritornare indietro con la memoria a solo due anni fa, quando un centinaio di persone, migranti che occupavano a scopo abitativo un edificio nei pressi di piazza Indipendenza, furono sgombrate da un ingente schieramento di forze dell’ordine, con cariche e idranti, mettendo in atto una violenza istituzionale inaudita contro persone prive di tutele, per la maggior parte richiedenti asilo.
Un passaggio di testimone ben fatto quindi, che persegue il duplice obiettivo di soffocare e indebolire le pratiche collettive autorganizzate e di mantenere sotto il ricatto sociale dell’assistenzialismo più becero gli strati meno abbienti e più marginalizzati della popolazione, senza risolvere nemmeno in minima parte il problema strutturale dell’assenza di politiche abitative ma liquidandolo attraverso la distruzione di quanto ottenuto attraverso le lotte e la militarizzazione dei territori.
Come S.I. Cobas Nazionale non possiamo che esprimere tutta la nostra rabbia e la nostra vicinanza e solidarietà alle famiglie sgomberate ed ai movimenti per il diritto all’abitare. Ma questo non basta. Quanto successo a via Cardinal Capranica ci impone di continuare sempre più convinti nella direzione del contrattacco e non solo della resistenza contro i decreti sicurezza, che intendono sopprimere le esperienze di autorganizzazione per alimentare la guerra tra poveri e reprimere manu militari gli scioperi dei lavoratori per frantumare l’unità tra gli stessi. È chiaro come tutte le organizzazioni politiche e sindacali, i movimenti sociali e le resistenze territoriali che si pongono sul terreno della lotta di classe hanno un compito ulteriore, quello di promuovere l’unità delle lotte.
Perciò, mentre i sindacati confederali ed i padroni corrono obbedienti ai richiami del nuovo premier Salvini, aiutando l’attuale governo forte delle elezioni europee, dinanzi alla tendenza chiara di fascistizzazione dello Stato ed al peggioramento complessivo delle condizioni di vita e di lavoro, a noi non resta altro che il compito di sviluppare l’unica opposizione di classe possibile e aprire una stagione di lotta.
Lo sciopero generale il 25 ottobre e il 26 ottobre la manifestazione nazionale a Roma vanno in questa direzione ed indicano che c’è un fronte operaio, settori sociali e politici contro l’attuale governo, autonomi dalle altre opposizioni borghesi, per un fronte di lotta unitario anticapitalista.
17 luglio 2019, da sicobas.org


atene, SGOMBERI nel quartiere di EXARCHEIA
Il primo grande attacco repressivo contro Exarcheia da parte del partito di destra Nea Dimokratia [“Nuova democrazia”] è iniziato la mattina del 26 agosto 2019, quando la polizia ha arrestato 143 persone in quattro diverse occupazioni di anarchici e rifugiati. La prima ondata di attacchi contro la vita in autonomia ad Exarcheia fa parte di un enorme piano per trasformare l’area nella Montmartre di Atene… Un’operazione che dovrebbe durare cinque anni. Alla fine del tunnel vi è la riuscita costruzione della stazione della metropolitana in Exarcheia. Le stazioni intermedie lungo la strada verso tale obiettivo sono lo sgombero degli edifici occupati, l’espulsione dei rifugiati e l’applicazione del pieno controllo della polizia nel quartiere. Per sostenere le azioni delle forze dell’ordine è stata formata una forza di intervento da varie parti dell’amministrazione cittadina, dalla pulizia all’ambiente alle infrastrutture della città. I graffiti devono essere rimossi, installate telecamere intelligenti a forma di lanterna e organizzato lo smantellamento dell’“Anarchia in Exarcheia”.
I progetti interessati dagli sgomberi sono via Trikoupi 17, Transito, Rosa de Foc e GARE. In particolare, 143 persone provenienti da due edifici in via Trikoupi 17 sono stati arrestati e portati al dipartimento rifugiati dell’Attica per verificare se hanno un permesso di soggiorno legale per vivere in Grecia. Dei 143, 57 sono uomini, 51 sono donne e 35 sono bambini provenienti da Iran, Iraq, Afghanistan, Eritrea e Turchia. Dalla prima dichiarazione degli occupanti sgomberati: “Lo Stato fascista ci ha sfrattati oggi alle 6.00 e ci stanno portando alla stazione di polizia di Petrou Rali. Ci hanno trascinato fuori da casa nostra. Hanno gettato le nostre cose fuori dall’edificio e hanno bloccato gli ingressi e le finestre. Stanno cercando di seppellirci, ma non si rendono conto che siamo semi”.
Da un altro edificio in via Kallidromiou (si tratta dello spazio anarchico GARE), tre persone presenti sono state prese in custodia e portate al GADA (quartier generale della polizia di Atene). Il quarto edificio, in via Fotila, era vuoto al momento dello sgombero.
L’operazione è stata effettuata da MAT (polizia antisommossa), OPKE (unità di identificazione e prove speciali) e DIAS (unità motociclistica), tra gli altri…
Questa prima offensiva, che ora è completa, colpisce la parte nord-occidentale di Exarcheia, con la sola eccezione dell’occupazione di Notara 26. È considerato un simbolo del movimento di occupazione dei rifugiati ed è ben protetto dagli occupanti e dagli anarchici. Anche lo squat anarchico VOX, che secondo i media è il quartier generale del gruppo rivoluzionario “Rouvikonas”, è stato risparmiato per il momento. L’offensiva era chiaramente diretta contro le occupazioni meno sorvegliate. Un semplice primo compito. Un primo annuncio. Un assaggio di sangue.
Ma la resistenza agli sgomberi non tarderà ad arrivare. Si raccomanda inoltre che le persone si attivino anche a livello internazionale e che si preparino per essere in grado di rispondere adeguatamente alla prossima ondata dell’offensiva repressiva. L’autunno sta arrivando e sarà lungo. Prepariamoci a ciò.

settembre 2019, tratto da mpalothia.net e Devrimci Anarşist Faaliyet (“Azione Anarchica Rivoluzionaria”)


Lettera dal carcere di Sulmona (AQ)
Carissimi compagni, vi scrivo per farvi avere mie notizie e per farvi avere uno scritto (allegato) che un gruppo di detenuti ha fatto avere al magistrato di sorveglianza per protestare in merito a quello che succede quando si fanno i colloqui con la famiglia. Quindi una piccola lotta per cercare di migliorare la condizione, anche se qui è sempre difficile avere dei riscontri con la direzione, che ha un atteggiamento refrattario alle richieste dei prigionieri.
Per di più qui, come in tanti altri posti, non sono molti i detenuti disposti a mobilitarsi seriamente per i propri diritti. Tanti detenuti che da molti anni si trovano in carcere, se hanno la possibilità cercano di poter uscire e ottenere i permessi e dei benefici. Dico questo perchè non è giusto giudicare o fare di tutta l'erba un fascio, perchè ogni uomo è capace di capire cosa è meglio per la propria persona, e cosa è giusto o sbagliato. Quindi non è mai giusto giudicare o criticare se non si conoscono le cose e le persone per tutto quello che decide una persona, sono scelte personali. Però voglio dire che tanti devono tenere una misura, soprattuto quando si voglia dare dei giudizi sulle persone che da molti anni lottano e soffrono in silenzio con dignità. Credo che sia importante che tanti fanno una sana riflessione quando si parla dei detenuti, perchè nelle carceri italiane ci sono detenuti e molti carcerati che lottano ogni giorno per sopravvivere, quindi c'è anche una grande differenza fra un tipo di detenuti e quei carcerati che lottano e soffrono ogni giorno per vivere con dignità.
Quando si parla di argomenti relativi al “pianeta carcere” credo sia difficile riuscire per molte persone a non cadere nella facile e scontata retorica. E' difficile trovare delle persone che abbiano un po' di coerenza e non mettano del loro quando si parla della situazione carceri bisogna avere vera conoscenza della problematica carceri, perchè le realtà sono tante e molto diverse da carcere ad altro carcere. La stessa cosa vale per persone che differiscono l'una dall'altra. Vediamo che ci sono molti ergastolani che hanno superato i 30 anni di carcere e molti sono sofferenti e non godono di nessun beneficio, perchè hanno l'art. 4bis.
Pensiamo a tutti quelli che si trovano al 41bis – e nessuno se ne interessa, o che veramente ci sia una mobilitazione che tocchi le coscienze per fare capire gli abusi che subiscono per il trattamento disumano. Questo pone un problema morale, perchè ogni stato che usa la repressione non può mai essere a sua volta libero.
Nelle carceri, per quanto aperte possano essare, non si sta mai bene perchè sono istituti anacronisti assegnnati a punizioni, a dare sofferenze, quindi a condizioni cui non ci si può abituare senza perdere la dignità e il senso della misura di quel che deve essere la vita di un uomo nelle condizioni in cui si può essere umani.
Tanti benpensatori e legislatori dicono che il carcere è un luogo necessario per punire coloro che trasgrediscono le regole della società. Il concetto di “regola” presuppone che alla base di questa società ci sia un libero accordo, un insieme di norme volontariamente condivise dagli individui che la compongono – ma è veramente così?
I governi rappresentano davvero la volontà dei governati? Il povero acconsente di buon grado che il ricco si ingrassi sul suo lavoro? Il ladro ruberebbe se avesse ereditato una fabbrica dal padre o se potesse vivere di rendita?
Nelle carceri ci sono quasi interamente uomini e donne con basso titolo di studio, emigrati o figli di operai, incarcerati per lo più per reati contro il patrimonio, cioè per azioni profondamente legate alla società in cui viviamo, alla necessità che li muove da mane a sera, quella di trovare dei soldi. Senza contare che molti prigionieri sarebbero fuori (o a beneficiare delle cosidette pene alternative) se avessero anche semplicemente i soldi per pagarsi un buon avvocato.
Ci dobbiamo chiedere: questa società è così virtuosa, dispensatrice di valori così elevati e di relazioni così egualitarie da raccomandare di integrarsi al suo interno?
Vi ringrazio per tutto quello che fate e per la vostra vicinanza ai compagni carcerati.
Cari saluti a tutti.

8 agosto 2019
Antonino Faro, via Lamaccio, 2 - 67039 Sulmona (L'Aquila)

***
Al tribunale di sorveglianza di L’aquila; Alla Dott. Maria Rosaria Parruti
Io sottoscritto GRUPPO PRIGIONIERI nato a AS1 SULMONA... ristretto presso la Casa di Reclusione di Sulmona, mi rivolgo alla Sua cortese Signoria per esporle e portarla a conoscenza su quanto argomentato in seguito: la questione verte sulle modalità operative e oggettive della preparazione degli alimenti portati dai famigliari nella buca pranzo colloqui.
Gli alimenti cucinati e portati dai famigliari al colloqui se vengono insaporiti saltandoli con dell’olio o con dell’aglio o con del pomodorino o con della cipolla o con degli aromi da cucina o con una lieve guarnizione per non rendere la carne e il pesce secchi e stopposi vengono trattenuti nella sala dei controlli a insaputa dei famigliari, che nel frattempo si trovano seduti in saletta colloquio con il detenuto elencando e raccontando come hanno preparato e cucinato le pietanza provenienti dalle loro origini e “focolare domestico”.
Soltanto all’uscita del colloquio i famigliari, giunti nella sala dei controlli trovano la sgradita e mortificante sorpresa della restituzione delle pietanze cucinate senza potervi porre un intervento, in loco, di rimedio. Dell’altra parte il detenuto trova la stessa deludente e umiliante sorpresa nel constatare la “deprivazione” di quell’affetto parentale attraverso gli alimenti cucinati da una moglie, compagna, madre, sorella, figlia, nipote e affini.
Nessuno tra noi reclusi riesce a darsi una spiegazione plausibile e condivisibile (suo malgrado) che una fettina di carne o pesce, una bistecca, una salsiccia divisa in senso longitudinale in due o quattro mezzerie, un trancio di pesce espinato, un pezzo di carne tipo spezzatino o disossata, delle zucchine, delle melanzane, dei fagiolini lessi guarniti leggermente con del sugo di pomodoro, con dell’olio o aromatizzati con dell’aglio o con della cipolla o con del pomodorino possano pregiudicare la sicurezza del carcere trasgredendo ai principi di umanità, decenza e civiltà. E badi bene: Sto riferendo di leggere guarniture per insaporire non sto dicendo condimenti o sughi dove gli alimenti galleggino o ne siano totalmente immersi.
Con queste modalità gli alimenti preparati e cucinati dai famigliari vengono privati la durata della pena, di mantenere il contatto sensoriale e organolettico con le tradizioni culinarie del territorio dove è nato e cresciuto.
Queste dinamiche stanno fomentando un malcontento generale con gravi ricadute sugli stati d’animo dell’intera popolazione detenuta che complica in profondità la serenità delle persone e che di certo si prestano a minare il normale andamento dell’ordine e della sicurezza interna al carcere.
Con questa richiesta propongo dei rilievi e osservazioni rivolte alla Sua funzione di garanzia all’interno di uno Stato di diritto e di civiltà per sottrarmi all’esposizione di trattamenti degradanti e umilianti che inferiscono sulla sfera personale e sui rapporti del detenuto con la famiglia per assicurare vivibilità e benessere psicofisico nel coniugare la sicurezza con il rispetto delle persone umane e della loro dignità.
Per questi motivi mi rivolgo alla Sua Istituzione chiedendo il Suo intervento in difesa della mia posizione in vinculis per risolvere la problematica esposta acconsentendo di guarnire con condimenti e aromatizzare gli alimenti in modo lieve, tale da non ostacolare i controlli degli operatori penitenziari e la compromissione della sicurezza.
Rimango a Sua disposizione per ulteriori chiarimenti e approfondimenti per trovare il giusto equilibrio di risoluzione.
La ringrazio in anticipo per l’attenzione e comprensione che vorrà dimostrarmi.


Lettere dal carcere di Bancali (ss)
Carissimi! Con tanto piacere ho ricevuto il vostro plico, con il libro “Il giorno della civetta”, grazie mille. Cosa posso dire, qui la situazione è stabile, anche se ci sono sempre arrivi di stranieri, essendo che è una Casa C. non c'è tregua. Io mi trovo qui da due anni, ma è sempre lo stesso.
Ho saputo che è uscita una sentenza della C.E.D.U. Che fa riferimento all'ergastolo ostativo, speriamo che qualcosa di buono ci sarà, specie per tutti quelli che hanno raggiunto i 20 anni di carcere. Io sono arrivato a 26 anni senza liberazione anticipata, e tutt'oggi non riesco a capire perché devo morire in carcere.
Spero che con questa sentenza qualcosa cambierà almeno per tutte quelle persone che sono invecchiati in carcere, che uscendo si possono rifare una nuova vita.
Vi ringrazio di nuovo, un forte abbraccio da Salvatore.

Bancali, 28 luglio 2019
Salvatore Pulvirenti, Str. Prov. 56, - 07100 Loc. Bancali (Sassari)
***
Ciao a tutti/e! Sono Robert e dal 6 luglio mi trovo rinchiuso nel carcere di Sassari.
Sono accusato assieme a una compagna e a un compagno dell’invio di “buste esplosive” a due pubblici ministeri, Sparagna e Rinaudo, e al direttore del DAP. All’alba del 21 maggio siamo stati perquisiti e portati in carcere. Io e Beppe siamo stati rinchiusi a Opera, dove abbiamo trascorso un mese nella sezione di “osservazione”. Si tratta dell’area in cui vengono collocati i detenuti che devono scontare i 15 giorni di isolamento punitivo o quelli considerati ad alto rischio autolesivo. Nel nostro caso ci siamo ritrovati in quella sezione visto che a Opera non è presente un’AS2 ma “solo” l’AS1, l’AS3 e l’immancabile 41bis.
Avendo il divieto di comunicare con gli altri detenuti abbiamo trascorso un mese in celle singole con il blindo perennemente chiuso e un’ora d’aria al mattino in uno squallido cortiletto angusto. In quella sezione era inoltre proibito l’uso dei fornelletti, per cui ci siamo adeguati al vitto del carcere, quasi sempre immangiabile. Non che avessi mai nutrito qualche aspettativa nei confronti di questi luoghi di annientamento psicologico e fisico. Dopo un mese è arrivato il trasferimento, e mi hanno portato in AS2 a Terni in cui sono rimasto 2 settimane. Non soddisfatti degli spostamenti, il 6 luglio mi hanno trasferito a Sassari dove è presente un AS2 finora utilizzata per rinchiudere i detenuti islamici accusati di terrorismo; evidentemente il 2019 è l’anno in cui sperimentare l’accostamento anarchici/islamici. Questo luogo viene definito dai prigionieri stessi “La Guantanamo d’Italia” per la durezza e per le restrizioni del regime in sè e per la sua lontananza da tutto che, oltre a rendere difficili i colloqui, spiana totalmente la strada all’amministrazione del carcere nel prendere decisioni e provvedimenti in maniera ancora più arbitraria.
In merito all’operazione Prometeo farò un paio di brevi considerazioni. L’inchiesta, condotta dai ROS di Torino coordinati dalla procura di Milano, si rivela l’ennesimo becero tentativo di colpire gli anarchici in quanto tali.
A certi atti i tutori dell’ordine devono per forza fornire una giustificazione, costruire moventi e attribuire responsabilità. I solerti investigatori hanno rivelato anche questa volta le loro doti creative e la loro frustrazione pescando nel mucchio, strumentalizzando miseramente intercettazioni e dialoghi della quotidianità, e aggrappandosi a qualsiasi appiglio pur di dare sostanza ad un nulla di fatto. Corrispondenze con i prigionieri e iniziative di solidarietà diventano i punti chiave su cui far leva per inquisire, e rappresentano il pretesto per inventarsi collegamenti e forzature. Nulla di nuovo che non si sia già visto nelle inchieste che negli scorsi mesi e anni hanno colpito varie realtà.
In questi tempi di isterismo e caccia alle streghe lo stato non perde l’occasione per fomentare la guerra fra poveri istituendo soggetti indesiderati (gli anarchici, gli stranieri, i vandali, etc…) per distogliere l’attenzione dalle nefandezze che quotidianamente attua. E servendosi di provvedimenti vigliacchi e liberticidi tenta in ogni modo di levarsi di torno chi è considerato di troppo e chi ostacola gli interessi dei padroni.
Con parecchio ritardo a causa della censura ho appreso degli scioperi della fame delle compagne e dei compagni, e della mobilitazione che si è creata per rompere l’isolamento e dare eco alla voce e alle lotte di chi è rinchiuso. Trovo interessante che si stia provando a sviluppare un discorso che oltrepassi l’emergenzialità, con l’auspicio di non farsi trovare impreparati in occasioni simili. Mando perciò un forte abbraccio a tutte/i coloro che hanno intrapreso lo sciopero della fame e a chi lotta dentro e fuori queste mura assassine.
Stragista e terrorista è lo Stato.
Con amore e rabbia, col cuore oltre le sbarre. Daje forte! Robert.

Sassari, 17 luglio 2019 (data del timbro della censura: 5/8/2019)
Robert Firozpoor, C. C. di Sassari, strada provinciale 56, n. 4 - 07100 Bancali (Sassari)

***
AGGIORNAMENTI sull’operazione “prometeo”
La mattina del 21 maggio 2019 i carabinieri dei ROS hanno effettuato tre arresti su mandato del pubblico ministero, della procura di Milano, Piero Basilone e di Alberto Nobili a guida del pool antiterrorismo. Le accuse per tutti e 3, Robert, Beppe e Natasha, sono “attentato con finalità di terrorismo”, i fatti contestati sono l’invio di 3 pacchi esplosivi a Roberto Maria Sparagna e Antonio Rinaudo, pubblici ministeri torinesi impegnati da anni nella repressione degli anarchici, e Santi Consolo, ex direttore del Dipartimento Amministrazione Penitenziaria, responsabile di rendere le carceri italiane dei veri e propri luoghi di tortura.
I tre hanno subito continui trasferimenti, Natasha è stata anche nel carcere de L’Aquila durante lo sciopero della fame per la chiusura di quell’AS2. Robert ora è nel carcere di Bancali a Sassari. La situazione di Beppe è particolarmente delicata, dopo aver chiesto il trasferimento dal carcere di Rossano per incompatibilità con gli altri detenuti e per avvicinamento, ora è stato portato a Pavia in una “sezione protetti”, quelle riservate a infami, ex sbirri, stupratori, e a trans e omosessuali che ne facciano richiesta. Si tratta certo di una decisione provocatoria che costringe Beppe in uno stato di completo isolamento.
Le condizioni detentive di Natascia sembrano essere un po’ meno disumane delle precedenti. I vaglia che le sono stati mandati e che le hanno bloccato per motivi di censura (?!) sono finalmente stati sbloccati dopo ben 27 giorni. Ha più possibilità di socializzazione con le altre detenute. Lamenta la sparizione della maggior parte della posta che le è stata inviata, e questa volta non si riferisce alla censura ma alla posta che sparisce durante il suo percorso verso la destinazione.
Per 3 settimane di fila c'é stato un saluto a settimana a tutto sotto il carcere di Piacenza a Natascia e a tutt* gli/le altr*rinchius* lì. Nei dintorni sono comparse sui muri scritte per lalibertà e contro  e galere. (settembre 2019, liberamente tratto da roundrobin.info)
Per scrivere loro:
Giuseppe Bruna, C.C. di Pavia via Vigentina, 85 - 27100 Pavia
Robert Firozpoor, Str.Prov.le 56, Loc. Bancali, 4 - 07100 Sassari (SS)
Natascia Savio, C.C. Piacenza “Le Novate”, Strada delle Novate 65 - 29122 Piacenza

***
Presidio al carcere di Pavia
Nel pomeriggio di sabato 12 ottobre saremo sotto le mura del carcere di Pavia in solidarietà a Beppe e a tutti i detenuti.


Sardegna, Cayenna dello stato italiano
Contributo dei compagni Sardi per l’assemblea dell’8/9/2019 a Roma
La Sardegna è la regione con il maggior numero di carceri in proporzione ai suoi abitanti di tutto lo stato italiano. Questo triste record è stato raggiunto pochi anni fa, quando fu varato l'ultimo "nuovo piano carceri" con il quale fu disposta la creazione di nuove carceri e la ristrutturazione di alcune di quelle esistenti.
A oggi tra carceri, colonie penali e minorili (e tra poco anche il CPR) la Sardegna supera la decina di strutture. Comprendere le ragioni profonde di questo ruolo è molto difficile, però forse può essere sufficiente considerare il più superficiale, e cioè che la Sardegna è un'isola in mezzo al mediterraneo, scarsamente popolata, con un'altissima disoccupazione e una discreta tendenza alla criminalità.
Vi sono quindi motivi di natura geografica (l'insularità quindi la difficoltà di arrivare e andarsene via, addirittura in passato c'era il caso dell'Asinara, l'isola nell'isola, una vera via crucis per i parenti), di natura economica (sono centinaia i sardi arruolati nei vari corpi di forze dell'ordine, spinti anche da una notevole scarsità di "stipendi sicuri") e di natura "politica" e del controllo del territorio (ogni carcere è un avamposto di controllo e militarizzazione, tutte le guardie carcerarie lo sono a modo loro, e questo si unisce all'altro record sardo quello delle basi militari, che per alcuni aspetti ha caratteristiche molto simili).
Questa breve introduzione serve solo a contestualizzare la difficoltà (sia da un punto di vista geografico che logistico) che stiamo incontrando nel portare avanti una progettualità sarda (e quindi non solo cagliaritana) di lotta contro il carcere, o anche di sola solidarietà con chi è dentro.
Il trasferimento di Robert a Sassari è un campanello d'allarme pericoloso, potrebbe essere il via a una nuova deportazione di massa nelle carceri sarde dei compagni detenuti. Questa ora come ora è solo una preoccupazione, che già da tempo avevamo preso in considerazione, ma che ovviamente con quest'ultima novità ha assunto una sua piccola - per ora - forma (e per piccola intendiamo che un solo prigioniero non è ancora la conferma dei nostri ragionamenti). Cosa fare e come rispondere a questo sono due domande a cui stiamo provando a trovare una risposta, ma non è facile. Pensare di essere presenti in modo capillare in tutta la Sardegna è per noi (Cassa Anti Rep Sarda) impossibile visto l'esiguo numero di compagni che partecipano attivamente al progetto. Oltretutto alcune distanze anche da un punto di vista chilometrico non sono irrilevanti.
La distribuzione dei compagni su cui appoggiarsi, o a cui chiedere un aiuto logistico sul
territorio non è omogenea. Il progetto della cassa che stiamo portando avanti è un percorso di solidarietà incentrato sulla Sardegna, ma che nei fatti si riesce a esprimere solo a Cagliari città e Uta come carcere.
In conclusione non ci sembra nelle nostre possibilità, e quindi neanche serio da proporre, garantire un percorso di lotta contro le AS2 sarde, la deportazione dei compagni, il 41 bis eccetera, specialmente per la durata che avrebbe e per l'impegno che richiederebbe. Queste cose noi ci auguriamo che con il tempo diventino parte dell'intervento della cassa, ma ora come ora non siamo in grado di metterle in pratica.
Per cui la nostra proposta, per rispondere a quanto sta accadendo in generale nelle carceri sarde e non, tenendo quindi anche in considerazione il progetto “storico” della Cassa Anti Rep Sarda, è: di fare a partire da Novembre un presidio al mese (in date da fissare insieme da qui ad aprile) sotto tutte le carceri sarde, sapendo ovviamente leggere le eventuali emergenze e sforzandosi di avere una capacità di improvvisazione tale da poter essere sul pezzo qualora dovesse servire.
In questo modo (con un manifesto unico per tutti i presidi) provare a lanciare una campagna di solidarietà che interessi tutta la Sardegna, che dia la possibilità a chi voglia parteciparvi (da vicino o lontano o dentro) di potersi organizzare per tempo, di poter trovare una sintonia e o sincronia con iniziative in altre città, e specialmente di tenere per un po’ di mesi alta l'attenzione sulla questione carcere vista la presenza mensile di almeno un appuntamento.
Ovviamente questa proposta è integrabile con altre, modificabile, migliorabile eccetera.
Sappiamo che non è niente di originale (anche se in Sardegna non sappiamo quando è
l'ultima volta che sia stato fatto un "tour" del genere), ma è l'unica idea che ci sembra fattibile anche solo con le nostre forze (e che quindi possiamo garantire) e che riesca a integrare vari percorsi.
Il programma potrebbe/dovrebbe essere il seguente: 16 novembre – Uta; 31 dicembre – Nuoro; 18 gennaio – Oristano; 15 febbraio – Sassari; 21 Marzo – Tempio Pausania; 18 aprile – Alghero. (Ci stiamo riservando di pensare ancora un po’ se ha senso aggiungere altre strutture detentive “minori” quali le colonie penali, il minorile di Cagliari ecc).
Date e luoghi sono per ora ovviamente modificabili, se ad esempio si volesse iniziare da
Sassari perché c’è Robert, o si volesse spostare una data per sovrapposizione con altri eventi non ci sono problemi.
Ci siamo dati novembre come mese di inizio per poter discutere con calma e con tutti i
compagni interessati di come sia meglio organizzarci. Il manifesto che ufficializzerà il tutto quindi non uscirà a brevissimo.
Come Cassa cercheremo di smuovere tutti i contatti sardi che abbiamo coltivato negli anni per avere in ogni luogo un appoggio locale e per far sì che questa proposta sia il più sentita e partecipata possibile. Ci scusiamo per l’assenza all’assemblea dell’8 ma proprio in quei giorni abbiamo una grossa iniziativa di sostegno alla Cassa, dal prossimo appuntamento faremo di tutto per esserci.
Cagliari, inizio settembre 2019
Cassa Antirepressione Sarda


Lettere dal carcere di Rossano (CS)
Salute compagn* di tutta OLGa! Mi è arrivata la lettera coi vostri saluti solidali e le firme di voi. Sono contento che le mie lettere vi siano tutte giunte. Come forse vi scrissi, riesco ad avere una corrispondenza solo coi compagni del “Panico”, con tutt* gli/le altr* non riesco nemmeno ad avere un contatto.
Vi informo che mi è stato rigettato il reclamo contro la censura, con motivazioni che oltrepassano il fascismo. Io e il mio avvocato abbiamo argomentato seguendo una logica impeccabile, ma a quanto pare la repressione (come già sappiamo) non usa la logica. In pratica, sulla base della nota del “Comitato Analisi strategica Antiterrorismo” (C.A.S.A.) che mi stà spiando (non bene direi...) afferma che sono “militante di organizzazioni eversive, di matrice anarco-insurrezionalista”… e che, in quanto anarchico, mi scrivo con anarchic*.
Ora, sostenere che io appartenga a “organizzazioni eversive”, nonostante sia in galera da quasi 10 anni, ci fa comprendere che la repressione sta sviluppando e allargando il reato associativo per far fuori chi non rimane seduto a guardare e subire! A questo punto devo aspettarmi un madato di cattura per il 270, che la giurisprudenza sta' estendendo, per renderla consona contro il pensiero e la multiforme pratica anarchica.
Nel particolare, uno come me, sempre in lotta dentro e contro il carcere, essere un ribelle nei fatti, significa essere terrorista, e come tale, per la repressione, potrei essere usato come parte di un ingranaggio, da accostare con altre parti, in modo che possano assemblare l'operazione associativa.
E' una riflessione su cui bisognerà discuterne e confrontarsi per affrontare al meglio e non coglierci impreparati su tale pesantezza praticata con la volontà di annientare, di definirci terroristi contro l'estratto di libertà di cui l'anarchia ne è portatrice-tore. Intendiamoci bene, se il nemico mi chiama “terrorista” vuol dire che mi sta contrastando, che la precisa barricata attiva che ho innalzato per combatterlo, stà avendo grandi risultati, e magari riuscissi veramente a terrorizzare la morte che iniettano i padroni dello stato e del capitale.
Questo vuol dire che stà scoppiando una rivolta di massa duratura, e sappiamo che niente di ciò sta accadendo. Eppoi descriverci con parole infamanti (se si ritenesse tale) è tipica del nemico. Più lo fa e più dimostra che è in difficoltà nell'incassare i colpi e reprimere. Nell'altro senso sembra che si avverte maggiormente in questi tempi, come venga diffuso ampiamente tra le genti la convinzione di etichettare gli anarchici come “terroristi”, inerente alla strategia dello stato per captarne le reazioni e migliorarne la capacità disinformativa, per fare terra bruciata attorno e usarlo come deterrente è stata l'intenzione di sempre: isolare, creando i “buoni e i cattivi”.
Ciò che è la mia impressione, considerando l'estensione che il dominio stà mettendo in atto sul meccanismo “associativo/aggravante” di cui scrivevo prima, è quella sull'utilizzo maggiore dei media, per preparare l'ignoranza subalterna per chissà quale grosso colpo repressivo antianarchico che hanno in mente di fare. Almeno, questa è la mia percezione avvertita da dentro una cella (con censura) e posso anche sbagliarmi.
L'altro giorno si è impiccato un detenuto, Arturo Saracino, in passato aveva tentato di farlo quando stava al nord, ma si spezzò la corda, e il DAP per tutta risposta l'ha trasferito in un carcere del sud (che è tutto un altro mondo …) punitivo, come è questa C.R. Di Rossano Calabro, anziché dargli sostegno e portarlo in un centro clinico (che qui non esiste) dove vi è sempre qualche cella attrezzata per i suicidari (ma non in tutte) per il controllo infermieristico H24 (in alcune vi sono pure telecamere dentro la cella!!). Anche questa volta, il Dap assassino, si è preso una vita, lo stesso che deporta e nega il famigliare ricongiugimento, lo stesso che “gestisce” regimi terroristici, quali il 41bis, 14 bis, le mini-sezioni bunker dell'AS2, quelli senza futuro dell'AS1, gli infami reparti psichiatrici etc. etc.. Un abbraccio di forte lotta! Sempre a konka arta! Davide.

27 giugno 2019
Davide Delogu - C.R. Contrada Ciminata, 1 - 87064 Rossano-Corigliano (Cosenza)

***
Lo schiavista (sociale) nei diversi contesti che descrivete è voluto dal potere come arma di sottomissione, ma la rinuncia alla propria esistenza singolare e libera è dovuta agli individui che si riducono a “soggetti di diritti” che il potere accentrato ha previsto di concedere o meno. Già quel poco di socialità, con l'arma della “giustizia” (e anche per il volontario isolamento delle realtà e individualità, bisogna dirlo) la vogliono spezzare, (e dentro la stessa cosa) la “riqualificazione” sta avanzando in ogni città, ma siamo sempre noi a permetterlo se non opponiamo resistenza, e quel poco che vi è lì da voi, non è sufficiente. Se non approfondiamo alla radice del problema le lotte diventano “riforme”, a medio termine, ma la lotta di liberazione per l'autodeterminazione, autonoma da qualsiasi formalità, non si fa neanche vedere, e manco si ragiona in questi termini. Eppure la lotta di liberazione è uno di quei centri di conflittualità di classe, ma pare che in pochi se ne accorgano. Solidarietà e tutela dell'individuo, e di autodeterminazione, in opposizione alla repressione e isolamento dello stato!
Un abbraccio sempre carico a tutta OLGa.
Po sa luta de liberatzioni natzionali. Sempre ainnantis!

24 agosto 2019
Davide Delogu - C.R. Contrada Ciminata, 1 - 87064 Rossano-Corigliano (Cosenza)
Lettera dal carcere di torino
Il 14 settembre Luca Abbà, un compagno del movimento NoTav della Val di Susa, è stato portato dai carabinieri di Chiomonte in carcere alle Vallette, per scontare una pena definitiva di un anno per resistenza a pubblico ufficiale durante uno sgombero di una casa occupata a Torino, risalente al 2009. Riportiamo di seguito stralci di due lettere di Luca.

Semilibero o semicarcerato?
Car* amic*, fratelli/sorelle, compagn*, valligian* e non, vi scrivo per descrivervi la situazione assurda che sto vivendo e che centra non poco con il mio percorso di attivista NO TAV. Inoltre riguarda di fatto il Movimento tutto per i risvolti e il significato che ha il trattamento a me riservato.
La premessa è che mi è arrivata da scontare la condanna di un anno di carcere per concorso morale in resistenza aggravata (prima assurdità), senza il beneficio della sospensione condizionale della pena, pur essendo la mia prima condanna (seconda assurdità), per fatti – una carica della polizia – riguardanti lo sgombero di uno stabile occupato a
Torino (L'Ostile di corso Vercelli) nel dicembre 2009 (PM Rinaudo).
Da qualche giorno ho avuto notizia che la mia richiesta di misure alternative al carcere (affidamento in prova o domiciliari) è stata respinta dal Tribunale di Sorveglianza, in seguito ad un'udienza del 4 settembre (terza assurdità). Per contro mi è stata concessa la semilibertà, ovvero il rientro notturno in carcere a Torino e la possibilità di uscire al mattino per andare a lavorare nei miei campi. Ciò con alcune prescrizioni: divieto di partecipare a manifestazioni/assemblee di carattere politico/sociale e obbligo di essere reperibile al cellulare geolocalizzato. A giustificazione di tutto ciò vengono addotte motivazioni che riguardano la mia appartenenza al Movimento NO TAV e al fatto che io non abbia mai rescisso legami con personaggi e presunte ideologie anarchiche. […]

***
Care tutte e tutti, vi avviso che stamattina, dopo 6 giorni di carcerazione gratuita, sono potuto uscire dal carcere e sono rientrato a casa per lavorare. Dovrò rientrare ogni sera alle 23 per uscire il mattino dopo alle 6. Tutto ciò sicuramente fino a quando non verranno discussi i ricorsi che il mio legale ha depositato contro il provvedimento che ha rifiutato la mia richiesta di misure alternative alla detenzione. Ho trascorso le mie giornate nella sezione riservata a chi esce per lavorare, dove il clima è un po' più rilassato, visto che si "gode" di un beneficio.
Venendo a contatto col mondo del carcere ho avuto la conferma di ciò che pensavo da tempo, ovvero che la galera è un'istituzione che rappresenta bene il fallimento di una società umana. Nella maggior parte dei casi non ha uno scopo e una funzione rieducativa, ma vessatoria; chi esce di qui è spesso incattivito e pronto a riprendere la sua attività da fuorilegge, affinandola, avendo appreso nuove tecniche e contatti, socializzando con altri detenuti. Finché esisteranno disparità economiche e sociali ci sarà chi delinque.
Emblematico il caso, uscito in questi giorni, del buono uscita dell'amministratore della società Autostrade (13 milioni di euro!!). Notizie come questa fanno gridare alla vendetta e rendono bene l'idea dell'assurdità di questo mondo alla rovescia. Poche centinaia di persone al mondo detengono la ricchezza pari a quella dei restanti abitanti del pianeta. Detto tutto.
Rispetto alla mia situazione, posso dirvi che ho percepito l'indignazione e la vicinanza generate dal mio arresto nei giorni scorsi. Vengo punito per ciò che penso e sono piuttosto che per quello che ho fatto, e, la presunta pericolosità che mi si attribuisce, rende
bene l'idea della paura e del fastidio generato dalla lotta NO TAV nel sistema di potere vigente. L'accanimento nel colpire gli oppositori e la perseveranza nel portare avanti l'opera fanno capire quanto il bottino, rappresentato da questo progetto, sia ricco, e cosa sono disponibili a fare per non lasciarsi scappare l'occasione per l'ennesima speculazione.
Non mi/ci rimane altro da fare che attrezzarsi per resistere e ribellarsi, per immaginare e praticare la possibilità di un mondo libero e una vita in armonia con le leggi della natura di questa Madre Terra. Sono certo che presto mi rivedrete di nuovo per le strade e i sentieri, con il sorriso e l'entusiasmo che da sempre mi accompagnano.

20 settembre 2019
Luca Abbà, via Aglietta, 35 - 10151 Torino

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ARRESTI A MILANO E A TORINO
All’alba del 20 settembre 2019, la digos di Milano su mandato della pm Pedrotta della procura di Torino, si è presentata alla porta di Federico con un mandato di arresto. Dopo una sommaria perquisizione con il sequestro di due caschi e un manifesto su un corteo a Torino, viene portato in questura e quindi al carcere delle Vallette di Torino. L’accusa riguarda fatti relativi al corteo del 9 febbraio a Torino dopo lo sgombero dell’Asilo occupato di cui abbiamo già riferito in precedenti numeri dell’opuscolo. I capi d’imputazione sono: lesioni aggravate, violenza e resistenza a pubblico ufficiale, danneggiamento e imbrattamento.
Dopo alcune ore verrà arrestato anche Amma, la polizia ha tenuto accerchiato lo spazio occupato Casa Brancaleone con minacce di sgombero se non si fosse consegnato.
Il terzo si chiama Patrik arrestato a Torino. L’inchiesta riguarda un totale di 37 indagati e per 11 di questi è stato disposto il divieto di dimora da Torino e provincia.
Nel pomeriggio stesso a Milano c’è stato un corteo in solidarietà nella zona del Brancaleone e il giorno dopo un presidio al carcere di Torino.

Per scrivere loro:
Federico Daneluzzo, Ammanuel Francesco Rezzonico, Patrik Bernardone
C.C Lorusso e Cotugno, Via Maria Adelaide Aglietta, 35 - 10149 Torino


lettere dal carcere di terni
Hola OLGA!! Ho ricevuto con piacere il vostro piego libri con il catalogo Olga e varie informazioni che giro qua in sezioni e che vi ringrazio.
Spero che tutti stiate bene, io sono sereno e qui in sezione AS2 Terni da quando mi hanno trasferito da Brescia. Sto “meglio”, i compagni qui mi hanno ricevuto solidarmente – come si dovrebbe fare tra detenuti, ma ogni volta diventa sempre più strano, fuori da certi istituti - ma non voglio essere pessimista. Anzi di tutte le carceri che ho girato nella mia esperienza carceraria, qui si sta “meglio”. Quì fra “politici” ci si capisce e c'è un'etica della solidarietà; è vero che così diventa facile, ma non è una scelta diretta nostra.
Quì il 19 giugno hanno fatto un presidio, ma si sentiva poco dove siamo noi, ma si sente qualcosa se tieni l'orecchio.
Spero che questa lettera vi arrivi perchè come ho constato che fuori le lettere mi vengono bloccate per un po' dalla polizia postale non solo per la censura, anche perchè le lettere che ho spedito in diversi tempi, da un mese fa, sono arrivate tutte in blocco. Niente di nuovo né di allarmante, magistratura e digos e vari, stanno ancora indagando su di me e su questo fantasioso “270 ad hoc”.
Ma più avanti quando vedrò che fluisce meglio la posta vi spedirò scritti sulla mia situazione e delle riflessioni su come è andato anche il mio arresto e il trattamento. Nente di nuovo, ma non starò zitto. Preferisco vedere un attimo che si sblocchi tutto meglio.
Dai, per adesso vi saluto, sempre a testa alta! Juan

13 luglio 2019
Juan Sorroche Fernandez, Strada delle Campore, 32 - 05100 Terni

***
“Chi ha orecchie per intendere, intenda!!!’’
Su su! Dannati della terra! Su! Derelitti e senza pan, la giustizia rugge sottoterra, il tracollo non è lontan. Il passato sepolto giaccia, folla di schiavi! Sorgi, or su!
Il mondo sta permutar faccia, tutto sarà chi nulla fu!
E’ la lotta finale! Tutti uniti, e sarà l’internazionale, l’intera umanità.
(L’internazionale: canzone nata nel 1871 Francia- del poeta e anarchico Eugène Pottier)
Ciao a tutti amici e compagni!! Sono Juan arrestato il 22 maggio dopo tre anni di latitanza. Scrivo dalla sezione AS2 del carcere di Terni in cui mi trovo rinchiuso. Sono sereno, il mio morale è equilibrato e sono determinato ad andare avanti.
In ogni giorno della mia clandestinità sono stato consapevole di poter finire in carcere; d’altronde lo sono sempre stato, fin dal giorno in cui ho deciso di lottare dalla parte degli oppressi. Ciò che ha portato alla mia cattura è stata la mancanza di un insieme di accortezze che solitamente mettevo in atto. Ho abbassato la guardia nel momento sbagliato e nel posto sbagliato. Non ho rimpianti, me l’assumo, vado oltre e che sia di lezione. In un altro momento scriverò come si è svolta la mia cattura. Ma prima vi spiego la mia situazione giudiziaria per fare un breve quadro generale.
Mi trovo in carcere per due filoni di indagini. Il primo riguarda un cumulo pena di nove anni (di cui tre li ho già scontati) collegati alla mia lotta\vita degli ultimi vent’anni trascorsi in Italia.
Le condanne sono per svariati reati tra cui furti, resistenze, rapina, vilipendio, danneggiamento, occupazione di luogo pubblico e privato, aggressioni, falsa identità. Fra queste condanne definitive c’è anche quella del “Processone” NO TAV (tre anni e nove mesi) su cui un futuro farò delle puntualizzazioni in quanto imputato Anarchico.
Sapendo che alcune di queste condanne sarebbero diventate esecutive, sono stato tre anni in fuga (e non per l’indagine relativa all’attentato alla POL GAI di Brescia, come invece sottolinea la magistratura). Senza alcun rimorso mi rivendico la mia fuga come atto di ripresa della mia libertà che va oltre qualsiasi autorità e legge.
Nel secondo filone, cominciata nel mio periodo di clandestinità, sono accusato di 270, 280, 285 (strage) e nello specifico mi sono imputati due attentati. Il primo contro la POL GAI (scuola di polizia) rivendicato dalla cellula acca nel contesto del dicembre nero 2015. Il secondo attentato del 12\08\2018 riguarda due ordigni esplosivi, uno esploso e un altro pieno di chiodi in legno, scoperto dagli artificieri in forma di trappola per attirare i componenti dell’immobile e le forze dell’ordine; questi furono posizionati nella sede della Lega Nord di Treviso e furono rivendicati dalla cellula Haris Hatzimihelakis\Internazionale Nera 1881\2018. Di questa indagine non ne sono stato al corrente fino al giorno della mia cattura, contrariamente a quanto dichiara la magistratura per aggravare la misura cautelare di Manu, accusato di favoreggiamento. Tuttavia aspettiamo di avere un quadro più completo non appena l’indagine sarà chiusa.
Già una rapida lettura delle indagini preliminari di DIGOS e PM mi ha dato un indirizzo su ciò che vogliono reprimere. Nello specifico a me in quanto Anarchico e in generale alla realtà anarchica nel suo insieme. Nulla di nuovo che non sia già stato fatto in tutte le salse dalla magistratura. Riconoscere gli intenti repressivi è una bussola per capire a cosa realmente vogliono colpire e di conseguenza dove indirizzarci.
(A partire da questo punto, i virgolettati sono delle frasi prese dalle carte dell’indagine preliminare).
Secondo l’inchiesta, le rivendicazioni dei due attentati sarebbero collegate all’intervista di Alfredo Cospito sul giornale Anarchico Vetriolo 2019 e ne rappresenterebbero “gli stessi contenuti e le medesime linee operative”…come se ci fossero delle direttive dall’alto. Le accuse sarebbero in concorso con i soliti ignoti perché, a parte il mio DNA riconosciuto parzialmente, ci sarebbe un altro DNA ignoto ricondotto al mio presunto complice. Da un lato vengono tirati in ballo i reati associativi, dall’altro rimarrei io l’unico ideatore, organizzatore ed esecutore. Insomma né carne né pesce.
A parte le mie battute ciniche, è palese la subdola intenzione della magistratura, con la sua aberrante ideologia di stato, di costruire dei capi ideatori della realtà anarchica, con tanto di linee operative da seguire e struttura gerarchica. Strategia adottata in questo caso specifico così come nelle ultime indagini che hanno colpito le realtà anarchiche. In questo caso, sarebbe Alfredo “uno dei maggiori e riconosciuti esponenti del movimento terroristico di matrice Anarchica attualmente detenuto nel c\c di Ferrara in espiazione della pena inflitta per l’attentato all’ingegnere Adinolfi”.
Lo stato e la legge vorrebbero (come al solito) aggravare le accuse costruendo dei dirigenti a guida di una fantomatica organizzazione terroristica gerarchica, in maniera da manipolare e unificare tutto in un unico pentolone inquisitorio e sbatterci dentro gli “esponenti” della galassia anarchica. In questa maniera tentano di creare un clima spettacolare, predispongono il terreno per fare terra bruciata e per far scomparire qualsiasi istanza autonoma e di azione diretta della lotta anarchica.
Ma c’è di più. La magistratura vorrebbe inglobare la pratica dell’azione diretta anonima accorpando nell’indagine tali azioni “sebbene la rivendicazione delle sigle specifiche (il gesto veniva rivendicato dalla sedicente cellula haris hatzimihelakis\internazionale nera 1881\2018) non sia ritenuta essenziale nel contesto delle iniziative anarchiche che ammettono anche iniziative anonime con vicende analoghe e con le modalità già utilizzate in altri attentati riconducibili al cartello FAI\FRI”. L’intento è dunque creare dei precedenti per le azioni di attacco anonime includendole nelle varie indagini quando più gli fa comodo, per costruire le loro fantasiose organizzazioni terroristiche con tanto di dirigenti creati ad hoc. Inoltre viene enfatizzato l’aspetto della solidarietà ai prigionieri anarchici e con chi si trova rinchiuso o rivolta più in generale.
Questi sono i punti chiave su cui si soffermano e che vogliono colpire e ammutolire, in quanto rappresentano le basi con cui gli anarchici continuano a sostenere pubblicamente certe pratiche (ci sono alcuni anarchici indagati per diverse pubblicazioni e condannati ad anni di prigione). In questa indagine, come in tutte quelle in corso contro gli anarchici, vogliono reprimere i concetti base della teoria e dell’azione anarchica, quali il rifiuto della delega, l’azione diretta, la solidarietà ai prigionieri rivoluzionari, le pratiche multiformi di attacco non gerarchiche e la ribellione permanente e refrattaria a qualsiasi autorità.
Il potere così ci segnala indirettamente che questi ultimi concetti base rimangono spuntati qualitativamente se non sono accompagnati da una proiezione prospetticamente nella lotta fianco a fianco agli sfruttati; è qui che ci colpiscono preventivamente.
C’è bisogno di avere una visione e un sentire comune che includa l’individuale e il collettivo in una alchimia di lotte locali e specifiche (come anarchici) intese come tattiche di lotte diverse e diversificate che però si concepiscono e si riconoscono nell’insieme della lotta generale e nella ricchezza della sua diversità metodologica e progettuale. Che costantemente va equilibrata a una prospettiva internazionalista e armonizzata al caos di infinite tattiche e strategie del anarchismo che confluiscono nella lotta universale per l’anarchia. Tutto ciò condito dalla essenza fondamentale dell’Anarchia; solidarietà universale a tutti i livelli della lotta\vita.
Lo stato fa questo gioco per meglio colpirci e per riaffermare che non può esistere altra forma d’organizzazione sociale, salvo l’organizzazione autoritaria e gerarchica della società di oggi.
Il revisionismo del passato è un’arma potente che gli stati utilizzano per depotenziare le varie forme di rivolta del presente e per creare il vuoto attorno ai rivoluzionari di oggi e lasciarli senza radice e anima. Perciò è importante non dimenticare e divulgare le epoche trascorse, e fare tesoro della memoria delle lotte dei nostri compagni come stimolo per le lotte di oggi. Basta uno sguardo al nostro passato per rendersi conto come certe tensioni e metodi siano da sempre stati utilizzati nella lotta anarchica, addirittura prima che nascesse l’internazionale anti autoritaria nel 1871.
Queste basi fondamentali me le rivendico a testa alta! Rifiuto qualsiasi teorema in cui mi vogliono incasellare, contrario ai miei più elementari principi in quanto anarchico.
E qui non si tratta di dire che la lotta è non violenta, o di farsi passare per angeli o per anime pie. Si tratta di chiamare le cose con il loro nome e di rivendicare le istanze combattive che gli anarchici, i ribelli e i rivoluzionari hanno utilizzato e utilizzano da sempre nel mondo intero.
Tutto ciò l’ho comunicato apertamente e pubblicamente da quando ho scelto di lottare attraverso una mia speciale concezione del anarchismo. Indipendentemente che sia responsabile o no dei fatti di cui mi accusate, io condivido e solidarizzo con la lotta e con le azioni di attacco al capitale e allo stato. Che per sua natura è da sempre responsabile di stragi e genocidi nel mondo intero.
“Bisogna lottare e lottare perché la sproporzione sia stroncata”
E qualsiasi via stiamo percorrendo sempre col cuore! Per l’Anarchia!

luglio 2019
Juan Antonio Sorroche Fernandez, via delle Campore, 32 - 05100 Terni

da roundrobin.info

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Di seguito riportiamo il volantino diffuso a Brescia il 23 settembre in occasione dell’udienza al compagno Manu accusato di favoreggiamento; l’udienza è stata poi spostata al 21 novembre. E’ stata una giornata di mobilitazione sia fuori dal tribunale che per le strade di Brescia dove il corteo spontaneo è terminbato sotto le mura del carcere di Canton Mombello.

La solidarietà non si può arrestare
I fatti.
22 maggio: arresto di Juan, fin all'ora irreperibile alla legge, per una serie di condanne definitive. Negli stessi giorni arresto di Manu per favoreggiamento e perquisizioni nelle case di suoi amici e parenti. Manu e Juan sono portati al carcere di Canton Mombello (BS).
29 maggio: secondo giro di perquisizioni tra Valsabbia e Valtrompia-
4 giugno: riesame per Manu con la richiesta da parte del PM di negare i domiciliari.
8 giugno: trasferimento di Manu nel carcere di Monza, senza avvertire i parenti che si sono recati per la visita a Brescia, non trovandolo. Juan viene invece trasferito a Terni in regime AS2.
10 giugno: sentenza di rigetto della possibilità di domiciliari a Juan.
Sono ormai 4 mesi che Manu è stato incarcerato con l'accusa di favoreggiamento alla sottrazione dell'esecuzione della pena comminata a Juan. Ma favoreggiamento di cosa?
L'essere solidali o complici, non fa nessuna differenza di fronte a delle accuse mosse da chi ci vorrebbe sottomessi, assopiti e perennemente sfruttati. Di fronte a tutto questo sistema basato su autorità e profitto il senso di rigurgito è più che scontato.
Non ci dimentichiamo i momenti di confronto, gioia, lo stare assieme, la solidarietà; è per questo che stanno cercando di imputare a Manu il suo altruismo e umanità.
Non ci perderemo certo nell'analizzare i capi d'accusa verso i nostri compagni Manu e Juan, sappiamo essere arbitrari e fuori da ogni naturale concezione.
La galera riservata a loro è tesa unicamente a soffocare ogni spontaneismo e spiraglio di libertà, per piegarli fino all'accettazione del carcere come condizione di normalità, come castigo se usi la coscienza e non accetti gli abomini dello stato e delle sue leggi.
Le stesse modalità sono poi riproposte fuori con il controllo sociale e la repressione, sempre più evidente e mirata verso tutte le forme di dissenso, verso i più poveri e le minoranze. Perquisizioni a tappeto, isolamento, limitazioni alla posta, screaning della cerchia degli amici e parenti, sono solo alcune delle torture che i nostri compagni Manu e Juan stanno subendo.
Nel caso di Manu addirittura sono stati negati i domiciliari a casa dei genitori o della compagna, con la motivazione che una affinità ideologica possa portare ad una recidiva, colpevolizzando il sostegno alle lotte che noi con loro stiamo portando avanti. Per Manu, una tortura nella tortura, in un carcere come quello di Monza lontano dagli affetti e notoriamente problematico sotto tutti i punti di vista, uno fra tutti quello sanitario.
Questo per noi è paradossale, ma è lo specchio della società creata da stato e capitale: società razzista, sessista, depredatrice di risorse naturali, che uccide con i respingimenti in mare, nei lager libici e europei, con le guerre, il lavoro salariato e la devastazione ambientale, che alza muri e confini e che tocca ad ognuno di noi abbattere quotidianamente.
“Bisogna lottare e lottare perchè la sproporzione sia stroncata”. E qualsiasi via stiamo percorrendo sempre col cuore! Per l'Anarchia! (Juan Sorroche - carcere di Terni AS2, 07/2019)


sulla sanità in carcere e a monza nello specifico
Dal 1999 ad oggi, svariate leggi e decreti hanno riformato l'ordinamento penitenziario, compresa l'organizzazione sanitaria all'interno delle carceri. Le ragioni dichiarate erano quelle di ottenere prestazioni sanitarie pari a quelle dei cittadini in stato di libertà, con il passaggio dalla Medicina Penitenziaria (in mano al Ministero della Giustizia) al Sistema Sanitario Nazionale (in mano al Ministero della Salute, che delega alle Regioni e alle aziende sanitarie locali). L'ultimo decreto dell'ottobre 2018 (D.lgs. n.123) doveva concludere il passaggio di consegne (che non si è mai realmente perfezionato), con un potenziamento del servizio: prestazioni sanitarie più tempestive, una migliore risposta ai bisogni di salute dei detenuti fin dall'ingresso nelle strutture e una continuità terapeutica, anche in caso di trasferimento.
Nella realtà la regionalizzazione, tanto della sanità pubblica quanto di quella penitenziaria, ha prodotto maggiori problemi, con un grande potere a livello locale e minori controlli, oltre che differenze fra le singole province, regioni e carceri.
Come denunciato dal coordinatore nazionale FIMMG (Federazione Italiana Medici di Medicina Generale) divisione Medicina Penitenziaria, Franco Alberti, il numero di medici per istituto penitenziario in Italia (in media 1 ogni 315 detenuti/e, ma con carceri dove la situazione è decisamente peggiore) è molto al di sotto del numero previsto dal Ministero della Giustizia (1 ogni 200) e decisamente al di sotto del numero minimo per svolgere un servizio dignitoso (1 ogni 150 detenuti/e come minimo, secondo la FIMMG). Il 70% dei medici delle carceri è sottopagato e precario. In totale oggi in Italia sono impiegati circa 1.000 medici ma, secondo la FIMMG, dovrebbero essere almeno 1.044 per l'assistenza ambulatoriale (turno di 3-4 ore al giorno) e 1.588 i medici di guardia (servizio 24 ORE, su turni), che in molte carceri mancano del tutto. Mancano all'appello almeno 1.632 medici per un servizio minimamente adeguato!
Nelle carceri dove manca il servizio di guardia, il 118 impiega non meno di 30 minuti per arrivare in istituto, esponendo i detenuti a gravi rischi.
Ad oggi non esiste un contratto nazionale per i medici penitenziari e questo fa sì che turni e paghe siano in mano all'interpretazione delle varie strutture a livello regionale. Nonostante la grande necessità di personale sanitario, educatori, mediatori linguistici e culturali, il 90,1% degli addetti alle carceri in Italia è composto da personale di polizia penitenziaria, secondo il rapporto del Consiglio d'Europa (contro la media degli altri paesi europei del 68,6%). Per medici e infermieri la media europea è del 4,3%, in Italia è lo 0,2%. Assistenti sociali e psicologi sono il 2,2% in Europa, 0,1 in Italia. Educatori al 3,5% in Europa, 2,2% in Italia. I formatori sono il 4,8 per cento in Europa, 0 (zero) in Italia. Se è chiaro che ovunque in Europa la funzione repressiva e punitiva non lascia quasi spazio ed alibi alla funzione “riabilitativa” del carcere, in Italia questa verità è ancora più estrema e drammatica.
Nel carcere di Monza sono attualmente detenute 660 persone (dati Associazione Antigone al 30/06/2019), di cui 282 non italiane. La capienza regolamentare sarebbe di 313 persone e potrebbe contenerne fino ad un massimo di 403. Il tasso di affollamento supera il 200%.
Se già la condizione di limitazione della libertà genera disagio, fragilità e problematiche organico-metaboliche e psichico-emozionali (il detenuto sviluppa problemi di salute nel 60-80% dei casi secondo l'ultimo rapporto della Società Italiana di Medicina e Sanità Penitenziaria, molto più delle persone in libertà), il sovraffollamento e la mancanza di diagnosi e cure tempestive aggravano la situazione. A questo si aggiunga l'incremento nella somministrazione di psicofarmaci (nelle carceri italiane circa il 50% dei detenuti è sotto terapia con psicofarmaci e il 75% assume sedativi per dormire) per assopire le tensioni e la capacità di reazione, e si ottiene un aumento dei casi di autolesionismo e un grave rischio suicidiario (in Italia i suicidi in carcere sono 19 volte superiori rispetto a quelli delle persone libere). Rispetto ad autolesionismo e suicidi la direzione di Monza non ha reso noti i dati all'Associazione Antigone ma dal dossier “Morire di carcere 2000-2019” di Ristretti Orizzonti risultano 10 casi di suicidio e 5 morti “da accertare” (13 di questi dal 2011 ad oggi).
A Monza sarebbe previsto un numero di 344 poliziotti (a fronte dei 281 oggi presenti, già circa 1 ogni 2 detenuti). Molto basso è invece il numero di medici, infermieri, psicologi, educatori e mediatori linguistici e culturali (fondamentali in una struttura con una forte presenza non italiana). Solo 6 gli educatori previsti (1 ogni 110 detenuti); 4 le ore settimanali complessive dei mediatori linguistici; 35,8 le ore settimanali di presenza di medici per 100 detenuti (contro la media nazionale di 62,4); 0,6 le ore settimanali degli psicologi per 100 detenuti (contro la media di 12,7), in linea con gli altri istituti, invece, le ore settimanali degli psichiatri.
Decisamente poco per un carcere con oltre 600 detenuti (e che ne ha raggiunti fino ad un massimo di 800), con 15 sezioni, comprese le delicate sezioni di infermeria, isolamento e accoglienza/osservazione. Oltre alle poche ore di servizio (e conseguente difficoltà di accesso alle cure per i detenuti), alla paga inadeguata, a contratti di breve durata, ai carichi di lavoro e alle molte responsabilità e problematiche di salute (nel carcere di Monza sono presenti circa 290 detenuti tossicodipendenti in trattamento, numerosi detenuti in trattamento psichiatrico, molti casi di autolesionismo, scarsa possibilità di movimento nelle celle sovraffollate) l'autonomia decisionale per medici e infermieri è quasi nulla (hanno solo potere consultivo sulla gestione sanitaria, al contrario di altri paesi europei). Tutte le decisioni vengono prese dai provveditori regionali all'amministrazione penitenziaria, che dipendono dal DAP (Dipartimento dell'Amministrazione Penitenziaria), dai direttori delle carceri e dai direttori delle ASST (Aziende Socio-Sanitarie Territoriali).
La salute di centinaia di persone private della libertà, e per questo più a rischio, è nelle mani di pochi uomini e donne dello Stato. Le condizioni in cui vengono tenuti moltissimi individui ritenuti colpevoli e condannabili, e tante altre persone in attesa di giudizio, è inaccettabile e smaschera la funzione più che altro punitiva e repressiva del carcere, che non riabilita, ma umilia, tortura e a volte uccide.
Chiunque abbia incontrato una persona detenuta, sa a quanti soprusi e ingiustizie deve far fronte ogni giorno, quante privazioni e abusi, quanta sofferenza. Perché il carcere è lo specchio ed è funzionale a questa società. Una società militarizzata, violenta ed addomesticata che ha bisogno di torturare, uccidere e segregare tantissime persone oppresse, qui e altrove, per poter sopravvivere, con un continuo atto di guerra dichiarato dai ricchi contro i poveri. E il carcere è anche un laboratorio di repressione e controllo: tutto ciò che tocca ai detenuti, prima o poi toccherà anche a noi.
Da una lettera di Maria Soledad Rosas, morta l'11 luglio 1998: “La galera è un posto di tortura fisica e psichica, qua non si dispone di assolutamente niente, non si può decidere a che ora alzarsi, che cosa mangiare, con chi parlare, chi incontrare, a che ora vedere il sole. Per tutto bisogna fare una ‘domandina’, anche per leggere un libro. Rumore di chiavi, di cancelli che si aprono e si chiudono, voci che non dicono niente, voci che fanno eco in questi corridoi freddi, scarpe di gomma per non fare rumore ed essere spiati nei momenti meno pensati, la luce di una pila che alla sera controlla il tuo sonno, posta controllata, parole vietate. Tutto un caos, tutto un inferno, tutto la morte.”
Di fronte a tutto questo la coscienza non può rimanere in silenzio. Spezziamo l'isolamento dei prigionieri! Combattiamo la paura e il senso di impotenza, prima dentro di noi: parenti, amici e solidali! Non possiamo permettere che decine di migliaia di persone vivano in queste condizioni!

Chi amministra la sanità del carcere di Monza?
Pietro Buffa (Provveditore Regionale Lombardia per l'Amministrazione Penitenziaria); Roberto Calogero Piscitello (Direttore generale dei detenuti e del trattamento); Paola Montesanti (Direttrice Ufficio III Servizi Sanitari c/o Direzione generale detenuti e trattamento); Maria Pitaniello (Direttrice del carcere di Monza); Libera Maria Vaira (Responsabile “Sanità Penitenziaria” ASST San Gerardo Monza); Stefano Scarpetta (Direttore Amministrativo ASST San Gerardo Monza); Mario Nicola Francesco Alparone (Direttore generale ASST San Gerardo Monza); Laura Radice (Direttrice sanitaria ASST San Gerardo Monza); Gianluca Peschi (Direttore socio-sanitario ASST San Gerardo Monza); Silvano Casazza (Direttore Generale ATS Brianza); Antonietta Ferrigno (Direttore Amministrativo ATS Brianza); Emerico Maurizio Panciroli (Direttore sanitario ATS Brianza); Lorenzo Bruggia (Direttore socio-sanitario ATS Brianza).


Lettere dal carcere di verona
Ciao compagn*, Come state? Sono Eddi, sono ancora a Verona. Come non bastasse all'abuso dei cornuti si è aggiunto il caldo infernale e la sofferenza è diventata doppia. Ma che scelta abbiamo se non quella di lottare.
Prima di tutto voglio ringraziare a nome di tutti i carcerati di Montorio! i compagn* di S. Martino Buonalbergo-Verona, Riccardo, Mirella e tutt* il resto per i loro presidi di solidarietà settimanale “ogni domenica”, che ci incoraggia a continuare a lottare.
Ultimamente hanno portato alla nostra sezione un marocchino non-vedente completamente cieco che si trova qui; da oltre 3 mesi era in infermeria prima di portarlo nella nostra sezione. Giovedì scorso abbiamo fatta un'istanza di scarcerazione da essere presentata all'ufficio matricola. Il coordinatore della sezione 5 ha rifiutato di autorizzarlo a spedirla e neanche l'ispettore della matricola era disponibile. Abbiamo dovuto rifiutare di entrare nelle celle tutti quanti. A quel punto è accaduto il miracolo, cioè tutti disponibili ad aiutarlo a inviare l'istanza al magistrato e siamo ancora in attesa.
Il medico racconta che è definitivo e che non potrà aiutarlo in quanto l'art. 286bis del c.p.p. vieta la custodia cautelare a uno del genere, inoltre ci sono anche delle comunità pronte a prenderlo a carico. Ma il sistema marcio della giustizia veronese e italiana mettono sempre più ostacoli.
Non è una novità dopo questo che stiamo assistendo a proposito della nave Sea Watch III e l'arresto dell'eroina tedesca Karola Rackete ordinato da un parassita ignorante xenofobo che si chiama Salvini e di una politica che fa solo vergogna insieme ai comici merdosi di 5 Stelle, Di Maio e il loro sottomesso Giuseppe Conte.
Una propaganda hitleriana risorta dopo 75 anni e la cosa ridicola che si vantano dei loro crimini contro l'umanità e gli stranieri con i loro decreti del cazzo e la loro amicizia con lo zingaro controverso (Gepsy del Majar, Victor Orban (un Gepsy xenofobo, boh) mi viene da piangere per come è diventato il mondo.
Oggi domenica 30/06/'19 mi aspettavo una parola a favore di Karola Rackete all'angelus del papa, invece Bergoglio ha parlato a favore di due altre merde, cioè di Trump e Kim; è questa un'altra vergogna. Ma tutto questo non fa altro che rafforzare la nostra lotta contro questi neri criminali.
Esprimo la nostra solidarietà a tutti i compagn* in lotta e a Davide Delogu, che gli ho scritto oggi stesso a alla capitana del Sea Watch Karola Rackete sperando che questo suo incubo finisca presto – FREE FOR KAROLA RACKETE!

30 giugno 2019

***
Al procuratore capo di Verona.
Oggetto: Querela per la violazione dell’articolo 611 cp, istigazione al suicidio, rifiuto di atto d’ufficio, omissione ai sensi dell’articolo 328 cp e abuso di autorità e potere che hanno causato sei morti in breve tempo, violazione dell’articolo 32 costituzionale, violazione dell’articolo 4 op, 3 op e dell’articolo 1 op.
Io sottoscritto Eddi Karim, nato a [seguono luogo e data di nascita] e attualmente detenuto presso la c.c di Verona Montorio insieme ad altri detenuti che stanno subendo l’ennesimo torto nella quinta sezione e altri.
Dichiaro che il giorno 12/08/19 ore 10.00 non stavo bene fisicamente a conseguenza delle varie patologie di cui soffro da anni e [per cui] sono stato ricoverato in vari ospedali nel Veneto-Lombardia.
Da quando sono qui oggi la terza volta che subisco sia maltrattamento dallo stesso agente di p. penitenziaria e non sono l’unico che ci hanno causato tanti ostacoli e confusione in quasi tutte le sezioni dove ha lavorato questo individuo e sono morte anche delle persone di questo suo comportamento ingiusto e la sua omissione di soccorso e la sua considerazione nei confronti dei detenuti come persone inferiori. E non soltanto!!!
Sono in sciopero della fame e terapia antivirale con dei metalli in stomaco fino all’arrivo del procuratore o mor [non si legge]! I suoi comportamenti costringono la gente debole a commettere suicidio e lesioni personali. Come sta succedendo ora con il sottoscritto.
Prego la sig. vostra di verificare fino in fondo le conseguenze del comportamento di questo agente e dei danni che ha procurato ai vari detenuti e famiglie.
Dichiaro che sono da oggi in sciopero della fame e terapia salvavita, inoltre ho ingerito dei metalli nello stomaco in attesa di incontro con il procuratore al più presto.
Mi appello alla vostra coscienza in un intervento immediato su questa spiacevole faccenda. Supplico la sig. vostra di prendere in considerazione questa mia richiesta.
Fiducioso in un vostro benevole accoglimento vi mando le firme dei detenuti che confermano le mie dichiarazioni e che hanno subito dei torti anche loro.
In attesa porgo i mie distinti saluti e ossequi.
In fede, [seguono 26 firme]

agosto 2019
Eddi Karim, via S.Michele, 15 - 37141 Montorio (Verona)


Sui presidi alle carceri di Trieste e Udine
Abbiamo organizzato questi due presidi solidali (sabato 31 agosto carcere di Trieste, sabato 7 settembre carcere di Udine) per cercare di creare un contatto un po' più strutturato con i prigionieri e le prigioniere, anche attraverso la diffusione della casella postale che abbiamo aperto. Per questo nelle giornate precedenti ai due appuntamenti, abbiamo fatto dei volantinaggi ai colloqui e nel caso di Udine abbiamo spedito a due persone lì ristrette i volantini con l'indizione dei presidi e la presentazione della casella postale.
Per entrare brevemente nello specifico delle due galere, a Trieste, dove negli ultimi due anni sono morti 5 detenuti, dei quali uno, anziano, di malattia, il maggio scorso, nel silenzio più assoluto della direzione e l'ultimo, morto suicida in isolamento il 16 agosto, ci si è concentrat* soprattutto su questa questione delle morti di galera e sulle condizioni devastanti di detenzione che ci sono al Coroneo; a Udine invece, abbiamo voluto portare una speciale solidarietà a Yaseen Muhammad, un giovane pakistano, arrestato in città a fine giugno per la rivolta, l'incendio e la tentata evasione dal CIE di Bari, che risulta ancora detenuto nel carcere di Udine.
I volantinaggi ai colloqui sono stati molto importanti per iniziare un dialogo anche con parenti e persone vicine e care ai prigionieri e alle prigioniere e infatti sia a Trieste che a Udine alcun* parenti hanno partecipato ai presidi.
Il presidio di Udine è stato accolto dai detenuti con una specie di rivolta. Già prima dell'inizio si sono sentite da dentro prima della urla isolate poi come un boato di grida dal cortile dell'aria. Subito è iniziata una battitura selvaggia, non solo dai piani contro le sbarre, ma anche, molto forte, contro il portone blindato del cortile, il frastuono si sentiva in tutto il quartiere. Ed è qui che gli sbirri di tutte le armi sopraggiunti nel frattempo, hanno incominciato a preoccuparsi. All'inizio abbiamo rinforzato la rivolta dall'esterno con battiture e slogan, poi si è allestito impianto e tutto e abbiamo proseguito con musica e interventi al microfono per tre ore, riuscendo a tenere abbastanza il dialogo con l'interno. Il 16 settembre ci è arrivata una lettera dal carcere di Udine, spedita alla fine di agosto, sottoscritta da 24 prigionieri, che accoglievano con entusiasmo il presidio e la possibilità di far uscire le loro voci dal buco nero della galera!
Torneremo presto davanti a queste due galere e continueremo a tenere i contatti diretti e ad andare ai colloqui. Bisogna tener battuto!

settembre 2019, Assemblea permanente contro il carcere e la repressione

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Fai sentire la tua voce!
Il carcere è uno dei buchi neri della società e ha lo scopo di distruggere chi ha la disgrazia di varcarne la soglia. Però rompere il silenzio è possibile!
In molte carceri i prigionieri e le prigioniere alzano la testa, cercano di far sapere all'esterno gli abusi, le ingiustizie, le violenze che sono costretti e costrette a subire, oltre alla già terribile privazione della libertà e separazione dai propri affetti. Anche i parenti e le persone vicine ai prigionieri e alle prigioniere possono sostenerli/e e far uscire le loro voci da dentro a fuori.
Rompere il silenzio è possibile anche con l'aiuto di persone solidali che, all'esterno della galera, sostengono le lotte di chi è dentro e dei loro cari e diffondono le loro testimonianze ed esperienze. Unendo le forze ce la possiamo fare!
Noi come assemblea permanente contro il carcere e la repressione vogliamo esprimerti solidarietà attiva e vicinanza. Possiamo darti una mano organizzando sit-in fuori dalle carceri e volantinaggi, diffondendo la tua testimonianza e quella dei tuoi compagni e delle tue compagne, appoggiando i tuoi cari, facendo pressione sull'amministrazione penitenziaria.
Abbiamo aperto una casella postale:
Associazione "senza sbarre", casella postale 129 trieste centro - 34121 trieste
Scrivici le tue esperienze di vita dentro il carcere, quali sono le condizioni della tua cella, dei servizi igienici, dell'aria, com'è il cibo, il lavoro, la socialità, come funziona l'assistenza sanitaria... Scrivici i tuoi pensieri e le tue incazzature.
Fai sentire la tua voce! L'informazione è lotta! Per i parenti e le persone a te vicine è possibile comunicare anche attraverso una mail: liberetutti@autistiche.org


presidi alle carceri di cuneo ed ivrea
Cuneo, Sabato 28 settembre: ore 16 dal piazzale della stazione FS carovana in auto per il centro città e saluto solidale al carcere.
Contro l'isolamento, contro la carcerazione speciale, per la chiusura definitiva della sezione AS2 femminile de l'Aquila
Due appuntamenti solidali: "dentro e fuori" uniti contro la repressione.
Ivrea, domenica 29 settembre: ore 17, presidio solidale al carcere di C.so Vercelli.

settembre 2019, Cassa antirepressione delle alpi occidentali


Lettera dal carcere di Trieste
Ciao amici e compagni di OLGa, vi scrivo dopo troppo tempo per ringraziarvi infinitamente per avermi sempre recapitato l'opuscolo e i libri e per la possibilità di far uscire da questo manicomio idee, emozioni, informazioni che altrimenti potrebbero non trovare canali di risonanza per dare racconto alla realtà vissuta qui dentro, per rompere l'ipocrisia e il silenzio del carcere.
Colgo l'occasione per ringraziare smisuratamente tutti i compagni che col loro costante impegno e vicinanza, mi hanno sempre sostenuto durante tutto il tempo della mia carcerazione (che il 12/7 almeno per ora finirà), a loro un abbraccio fortissimo e un saluto a presto ritrovarci sui sentieri delle nostre lotte; ai miei fratelli e compagni prigionieri, in isolamento, in massima sicurezza e chiusi in qualsiasi gabbia va il mio pensiero e un immenso abbraccio e tutto il mio supporto per le lotte che portate avanti a testa alta anche nelle peggiori condizioni, di fronte a accuse e condanne molto pesanti, le vostre azioni sono una fiaccola nelle notti buie, ma anche la più lunga notte finisce all'alba.
Esco di qua con una serie di denunce che potrebbero anche riportarmi dentro ma senza alcun rimorso per aver sempre contrastato il ricatto e l'abuso sistematico di questo luogo di negazione delle libertà e della vita.
I secondini e il direttore Cesarano possono anche denunciarmi per oltraggi e resistenze, così si mostrano da soli per quello che sono: i meschini responsabili delle condizioni di miseria e dei decessi che, da quando lui è qui (febbraio 2018), sono saliti a 3 il 18/5; le cause sempre le cure mediche negate e l'abbandono in condizioni disumane dei soggetti a rischio, mentre la rassegnazione, l'indifferenza e il menefreghismo danno ai più l'illusione di salvare sé stessi, ma lasciano quotidianamente sempre più spazio alla possibilità di annientare ciascuno individualmente e tutti collettivamente per la paura di prendere posizione.
Solo invertendo questa mentalità e facendoci coscienti delle nostre capacità possiamo liberarci, perchè la libertà non è una concessione di questi infami oppressori ma la nostra determinazione nel riprenderci le nostre vite!
Rinnovo un enorme abbraccio e un saluto ribelle. (A, cerchiata), presto. Kasabu
Viva l'anarchia! Viva la libertà!
I mieri compagni di sezione ci tengono a sottoscrivere i saluti a tutti i nostri fratelli e compagni che lottano in galera e nelle strade del mondo;
CHI LOTTA NON E' MAI SOLO!
(Il saluto si conclude con numerose firme)

luglio 2019
Alberto Casonato, via Coroneo, 26 - 34133 Trieste


Lettera dal carcere di La Spezia
Ciao, ho scritto alla direzione chiedendo, visto che il 18 ottobre 2019 ho l'udienza in corte d'assise a Lucca, se potevano tenermi a Lucca anche in occasione di potere effettuare i colloqui con i fratelli, se non a Lucca anche al carcere di Prato. Però a decidere non è il provveditorato (*) ma bensì l'ufficio V° (**) e quindi essendo monitorato dalla Direzione Generale Alta Sicurezza è il DAP che dovrà decidere. Qui mi hanno detto che io sarei “ingestibile”, e quindi per loro sono un numero, perchè sono diverso da altri detenuti. Gli altri bene o male possono usufruire di misure alternative, permessi, mentre io avendo reati che già sapete, per questo motivo mi definiscono e considerano “ingestibile”.
Sono ostacoli sorti, rafforzati dalla decisione presa in camera di consiglio dal tribunale di Firenze ovvero che io devo essere processato non solo sulla base dell'art. 270 bis (aver commesso reati per l'eversione dell'ordine democratico, dunque per finalità terroriste generiche, piuttosto perchè finalizzate al “terrorismo di matrice anarchica e quindi di eversione dell'ordine democratico” ...) . Per questi reati è fissata l'udienza preliminare a Firenze l'8 ottobre 2019.
Vi abbraccio, Mauro.

(*) I provveditorati regionali sono 11 organi periferici (alcuni governano le carceri di due anche tre Regioni) di livello dirigenziale generale del Ministero della giustizia.
Competenti in materia di personale, organizzazione dei servizi e degli istituti, detenuti ed internati, rapporti con gli enti locali, le regioni ed il servizio sanitario nazionale, esercitano tali funzioni a livello locale secondo i programmi, gli indirizzi e le direttive disposti dal Dipartimento dell'Amministrazione Penitenziaria (DAP), anche al fine di assicurare l'uniformità dell'azione penitenziaria sul territorio nazionale.
(**) L'ufficio V° si occupa di: gestione dei detenuti sottoposti al regime di cui all’articolo 41 bis o.p.; gestione dei detenuti ascritti al circuito alta sicurezza; collaboratori di giustizia; gestione del servizio multi-video conferenze.

30 luglio 2019
Mauro Rossetti Busa, via Falcone Borsellino, 1 - 19125 La Spezia

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Il marcio sotto un tappeto di falsità
Nella mattinata del 17 Settembre si è svolto a La Spezia la prima udienza filtro per il processo che vede imputato Paska per resistenza e lesioni a pubblico ufficiale.
Chi c’era martedì 17 a La Spezia l’ha visto bene, sorridente, nonostante il trasferimento che l’ha prelevato alle 2 di notte da casa sua dove si trova ai domiciliari per arrivare alle 9 a La Spezia. La prossima udienza sarà il 5 Novembre alle h 11 e Paska chiederà nuovamente il trasferimento per assistere all'udienza. Segue il volantino diffuso davanti al tribunale.

Di respirare la stessa aria di un secondino non mi va nella mia ora di libertà.
Martedì 17 settembre si svolge presso il tribunale della Spezia, l’udienza filtro del processo contro il nostro compagno anarchico Paska accusato di resistenza per essersi opposto alle vessazioni e ai pestaggi delle guardie carcerarie avvenuti durante la sua detenzione nella casa circondariale Villa Andreino della Spezia.
In seguito a tali pestaggi, in risposta alla condizioni detentive e alle provocazioni delle guardie, il nostro compagno ha portato avanti, per circa un mese uno sciopero della fame. Nel frattempo ha chiesto anche il trasferimento, dichiarando l’incompatibilità con il corpo di polizia penitenziaria di La Spezia ma il DAP non ha dato seguito a questa richiesta. E come sempre ogni abuso e sopruso da parte degli apparati del potere che avviene in carcere o fuori si trasforma sempre in una denuncia per resistenza
Meglio di noi, sono le parole di Paska che possono spiegare quanto è accaduto.
Prima però, vogliamo ricordare che a Villa Andreino il 28 Luglio un detenuto polacco in attesa di giudizio si è suicidato mentre ad Agosto un altro ha tentato di togliersi la vita. Questo è il “panorama” del carcere di via Fontevivo.
“[...] Quando sono uscito dalla cella, è vero ho spinto l’agente che era presente sul piano. Poi sceso all’ingresso ho spinto l’altro agente che mi aspettava e che faceva parte della scorta. Dichiaro però, che subito dopo, sono stato aggredito da più di dieci agenti, con schiaffi e pugni; mi hanno buttato a terra e ho ricevuto pugni e schiaffi, calci in testa, sulla schiena, sull’addome, su gamba sinistra e destra e sulla mano sinistra. E quando mi sono alzato ho ricevuto degli schiaffi fino a quando mi hanno ammanettato. Durante il tempo del pestaggio sono stato offeso e minacciato pesantemente”.
Visto quanto emerge dagli atti, e soprattutto viste le certificazioni sanitarie DA CUI NON RISULTA QUANTO DICHIARATO DAL DETENUTO, tenuto conto della gravità dell’episodio, il collegio applica la sanzione di giorni 15 di esclusione dalle attività in comune.
Questo è quanto ho dichiarato al consiglio disciplinare, avvenuto venerdì 9 novembre in seguito ai fatti accaduti in carcere prima del processo dell’8/11. (Novembre 2018)
“[...] Qui le guardie continuano a picchiare detenuti una volta a settimana almeno, ma nessuno ha voglia né di opporsi a sta cosa né di far uscire ste notizie: ci vorrebbe a breve un altro bel presidio contro la violenza delle guardie che uno ad uno non lo fanno mai e pure sul sovraffollamento che inizia a riempire il carcere visto che le celle da 4 stanno diventando da 6”. (Dicembre 2018)
Solidarietà a Paska e a tutti/e i/le compagni/e incarcerati.


Notizie dalle carceri
Molte notizie che verranno riportate sono acquisite da giornali che come risaputo quando non riportano direttamente le notizie dal Sappe, ricalcano una retorica che è molto distante rispetto alle posizioni della redazione. Abbiamo tuttavia deciso di rendere note alcune notizie che riteniamo interessanti, riportandone stralci liberamente tratti e citando fonte e data di pubblicazione. Invitiamo tutti e tutte a mandarci informazioni (all’indirizzo Ampi Orizzonti) che provengono da testimonianze dirette di quanto accade nelle carceri. Perché alla libertà della stampa preferiamo la libertà dalla stampa.

- Cosenza: detenuti AS3 in sciopero della fame.
Dal 25 giugno alcuni detenuti della sezione AS3 del carcere di Cosenza hanno iniziato lo sciopero della fame per la mancata chiusura della relazione di sintesi da parte del Got, relazioni che dovevano essere redatte già da diversi mesi, e in assenza delle quali è impossibile poter accedere ai benefici penitenziari. Queste problematiche erano già emerse durante l'ispezione che fece lo scorso aprile l'on. Anna Laura Orrico con un esponente dell’associazione Associazione Yairaiha Onlus, ed erano state segnalate nell'interrogazione che la stessa ha presentato al Ministro della giustizia e che, ad oggi, non ha ricevuto ancora alcuna risposta. Quello che rivendicano è di poter avere riconosciuti i propri diritti. Da fonti "ufficiose" pare che lo sciopero della fame sia stato interrotto il 12 luglio e nei prossimi giorni dovrebbero ottenere la chiusura delle relazioni di sintesi. Riteniamo paradossale che di fronte alla commissione di reati, come misura sanzionatoria e risarcitoria, le persone vengano della libertà per poi essere lasciate in uno stato di alienazione e inazione per tutta la durata della carcerazione. ( in Ristretti Orizzonti del 17/7/2019)
- Parma: carcere di Via Burla, due detenuti salgono sul muro per protesta. Sono saliti sul muro cherecinge lo spazio destinato ai passeggi - dove trascorrono le ore previste fuori dalla loro cella - e hanno iniziato una protesta. (da Gazzetta di Parma del 24/7/2019)
- Il Dap annulla la regola di spegnere la tv entro le 24. Ritenuto opportuno ripristinare le precedenti disposizioni. Il capo del Dipartimento DI Amministrazione Penitenziaria Basentini Franco ha annullato la circolare che obbligava lo spegnimento della tv entro mezzanotte per tutti i detenuti. La motivazione è ben spiegata. "La fruizione dei servizi e dei benefici offerti dagli apparecchi radio e/ o televisivi - si legge nel provvedimento - costituisce un fattore di sostegno al benessere della popolazione detenuta, contribuendo a lenire l'acuirsi dei disagi tipici della stagione estiva". (da “Il Dubbio”, 30/7/2019)
- Bonafede: "useremo i droni nelle carceri, effettuato esperimento a Viterbo".
Il ministro della giustizia Alfonso Bonafede nel corso di una comunicazione in commissioneal Senato. Lo scorso 11 giugno nel carcere di Mammagialla con una società specializzata nel settore. (da tusciaweb.eu, 28/7/2019)
- E' la prima volta in 100 anni, da quando nel lontano 1919 il carcere napoletano di Poggioreale entrava in funzione, che un prigioniero riesce a evadere. Domenica 25 agosto un ragazzo di 32 anni si cala dalle mura di cinta utilizzando il più stereotipato, ma evidentemente sempre efficace, dei sistemi, una corda ottenuta da lenzuola legate. La fuga sarebbe avvenuta mentre si recava a messa nella chiesetta dell'istituto penitenziario. Purtroppo è stato riacciuffato appena due giorni dopo.
- Nel carcere di Capanne a Perugia tra agosto e settembre ci sono state rivolte e interventi repressivi per sopprimerle. Pochi giorni prima della fine di agosto un assistente-capo della polizia penitenziaria è stato sequestrato dai detenuti. Successivamente, il 31 agosto 2019, un 37enne è stato trovato senza vita mentre era in isolamento per motivi disciplinari (il trentaduesimo dall’inizio dell’anno su un totale di 84 decessi), aveva chiesto ripetutamente il trasferimento dal carcere. Dopo la morte è scattata una rivolta interna ai reparti, con materassi bruciati e altri atti di insubordinazione. La protesta è continuata per tre ore e mezza. In risposta a queste rivolte la direzione ha disposto il trasferimento di 19 detenuti. Inoltre, laddove era previsto il regime di sorveglianza dinamica ora il carcere ha chiuso le celle. (da umbria24.it, Rassegna.it del 10/9/19, Il Dubbio del 31/8/2019)
- Fuga di massa da un carcere in Papua Nuova Guinea. Su svariate testate giornalistiche di tutto il mondo verso la fine di Agosto è comparsa la notizia, già intrinsecamente meravigliosa, della fuga di 258 detenuti di una prigione della Papua Nuova Guinea. Ovviamente i quotidiani mainstream hanno trattato la faccenda con strumentale superficialità. Questa maxi evasione si colloca all’interno di una serie di azioni compiute in seguito all’arresto di 43 studenti e studentesse indigeni da parte della polizia indonesiana. Tantissime persone stanno scendendo in piazza con tanta rabbia rivendicando l’indipendenza dal governo indonesiano. Nel 1963 l’Indonesia ottiene l’indipendenza dai Paesi Bassi e allo stesso tempo pone sotto stretto controllo militare il territorio della Papua occidentale, abitato dal popolo melanesiano. Si sono susseguiti decenni di violenze, soprusi e stupri, ora è scoppiato un focolaio di rivolta. (da Ansa e Freewestpapua.org)
- Carcere di Regina Coeli, detenuto dà fuoco a cella. Evacuato il centro clinico del carcere. (da Corriere.it del 1/9/2019)
- Ravenna, morto suicida in carcere. "Sciopero della fame" dei detenuti. Pensavano di averlo salvato per un soffio, strappandolo a una morte che aveva cercato annodando un lenzuolo nella cella in cui era rinchiuso dal mese scorso. Ma le condizioni del 29enne che lunedì ha tentato il suicidio nel carcere di Ravenna erano ormai disperate; all’arrivo al pronto soccorso non è passato molto prima che i medici dichiarassero il decesso, avvenuto nel corso della giornata di martedì. Ma prima ancora di sapere della morte, nella serata di lunedì la totalità dei carcerati ha deciso di fare lo "sciopero della fame", disertando la cena. Una decisione, quella del rifiuto pacifico del vitto per una sera, presa in segno di rispetto verso il giovane che da poco aveva varcato i cancelli di “Port’Aurea”, per avere commesso una rapina impropria e avere ricevuto una denuncia per stalking. (da corriereromagna.it del 9/9/2019)
- L’isolamento del detenuto nel sistema penitenziario UE. Si terrà a Strasburgo, dal 25 al 27 settembre, la Ventiduesima riunione del Gruppo di lavoro del Consiglio di cooperazione penologico (Pc-cp) del Consiglio d'Europa. Il Pc-cp, composto da esperti in materia penitenziaria (magistrati, direttori di carcere, ecc) dei vari Stato membri, affronterà per la prima volta una tema di grande importanza: l'isolamento del detenuto in ambito carcerario. All'ordine del giorno della riunione vi è, infatti, la valutazione dei commenti recentemente redatti dal Comitato europeo per la prevenzione della tortura e dei trattamenti inumani e degradanti. Obiettivo finale sarà quello di redigere le future regole penitenziare europee. Sull'isolamento del detenuto in ambito carcerario la posizione dell'Italia è da sempre alquanto "ambigua". In Europa, l'isolamento è sostanzialmente considerato una "sanzione" per il detenuto che non rispetta le regole della detenzione. In Italia, invece, è un "regime detentivo" - vedasi il caso del 41bis - a tutti gli effetti.
Come tutte le sanzioni, anche l'isolamento deve avere una durata limitata nel tempo. Quattordici sono i giorni, a tal proposito, fissati in sede europea. Nelle prescrizioni, l'isolamento deve comunque garantire per il detenuto la possibilità di contatti sociali e di essere inserito in un programma di attività, trattandosi di una misura di carattere "eccezionale". Imporre l'isolamento per periodi più lunghi può produrre effetti "nefasti" sulla salute mentale dei detenuti, dicono gli esperti europei.
Sottoporre, in casi particolari, il detenuto ad un periodo di isolamento superiore ai quattordici giorni deve, dunque, essere attentamente valutato. In caso di reiterazione della misura, deve esserci stata comunque una interruzione. Non sono ammissibili proroghe senza soluzione di continuità. Ed ecco, quindi, il "caso" Italia, dove l'isolamento è un regime detentivo ed è disposto, fuori dal 41bis, per quello diurno, direttamente dal giudice in sentenza, per periodi superiori ai quattordici giorni. Anzi, per tutta la vita come nel caso dell'ergastolo ostativo. Sarà interessante vedere sul punto la posizione delle autorità italiane. (da Il Dubbio, 30/8/2019)

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Muore a 82 anni, in carcere per un reato “gravissimo”
Egidio è morto stamattina 6 settembre 2019. Era da tempo malato ma le sue condizioni si sono aggravate moltissimo negli ultimi mesi di vita. Egidio Tiraborrelli aveva 82 anni e il 18 dicembre 2018 è stato messo in carcere per un reato accertato nel 2012 e per il quale era stato condannato in contumacia a sua insaputa. Dal carcere è uscito solo per andare in medicina d’urgenza dove oggi è morto.
Non sapremo mai se Egidio fosse al corrente di commettere un reato. Il fatto di avere aiutato una persona ad entrare in Italia, per lui, emigrato in Argentina all’età di 17 anni e operaio saldatore in giro per il mondo per decenni, doveva essere una cosa normale. Raggiri a parte, s’intende, visto che neanche conosceva la persona che stava aiutando.
Fatto sta che Egidio è stato accusato di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina, un reato considerato gravissimo, tanto da far entrare in carcere una persona malata di 82 anni, un reato considerato ostativo, tanto da far perdere la possibilità di misure alternative al carcere e di sottrarre addirittura la pensione.
Egidio era un vero cittadino del mondo. Lui, con alle spalle una vita di duro lavoro in giro per i deserti a saldare tubi per la Snam e per la Saipem si era adeguato con leggerezza a vivere in una casa occupata a Parma, legando benissimo con gli altri abitanti e con il vicinato, al quale offriva i prodotti dell’orto e del giardino che curava come fossero figli. Quando aveva appena ottenuto una casa popolare per passare gli ultimi anni in serenità e un minimo di comodità è arrivato l’arresto. Egidio era ammalato ma l’abbiamo visto sereno e pimpante pochi giorni prima dell’arresto. Il carcere lo ha debilitato definitivamente.
9 settembre 2019, Rete Diritti in Casa (Parma) - da infoaut.org


Lettera dal carcere di lucca
Carissimi, ho ricevuto con piacere il materiale che mi avete spedito. In quanto al catalogo dei libri ho davvero delle grandi difficoltà a trovare qualcuno che possa essere interessato. I pochi che leggono scelgono in biblioteca, perlopiù a caso. Potete quindi capire come sia dura dal punto di vista di “discussioni” questa galera.
E' proprio vero che riflette il fuori: guerre tra poveri, infamità per ricevere qualche briciola, individualismo sfrenato, paura, ricerca “incosciente” di referenti nell'amministrazione penitenziaria. Insomma, vomitevole. Sarà che mi sono fatto l'alta sicurezza o che ho visitato altre carceri, qui la situazione è tra il grottesco e il surreale.
Comunque, giusto per darvi due notizie, noto: arresti per reati di poco conto, detenzione anche con residui pure di pochi mesi, difficoltà ad uscire nonostante la 199 (la svuotacarceri), assoluta serenità nel caso di rottura dei benefici e nel caso di non ottemperanza a degli obblighi (ritardo nelle firme, p.e.), profusione di denunce (la minaccia aggravata parte d'ufficio ed è quindi sufficiente che un secondino ascolti una discussione accesa e si può essere denunciati), profusione di rapporti disciplinari.
Io sono già a quota quattro per provocazione, irriverenza, irrispettosità. Insomma, perchè ho la lingua troppo lunga e tagliente. E' più forte di me, non riesco ad abbassare la testa, anzi, non voglio, sono fin “troppo buono” per tutto l'odio che ho dentro nei confronti dei gestori del sistema carcere.
State in forma e continuate a lottare! Un forte abbraccio. Leo.

10 luglio 2019
Leonardo Landi, via S.Giorgio, 108 - 55100 Lucca


Lettere dal carcere di Voghera (pv)
Egr. Amici di Ampi Orizzonti, vi scrivo dall'istituto di Voghera, non so se avete ancora i miei dati, ma mi chiamo Matteo Serino, mi hanno trasferito dall'istituto di Oristano dal 9-12-2017, quando sono arrivato qui a Voghera, l'ho trovato cupo e molto chiuso, non avendo abitudine del nord, il clima qui è molto pesante e non mi ci sono ancora abituato, anche se sto da più di qualche anno, comunque, all'apparenza, mi sembrava un istituto aperto, con corsi di reinserimento, ma pian piano, capendo, qui non c'è nulla, è una frontiera senza aiuto per adeguarti a un domani per uscire e reinserirti in una società, cioè, ho più volte chiesto corsi di studio, mi hanno risposto “solo come volontariato”; poi mi sono segnato per il bricolage, per lavoretti, non ti fanno comprare nulla, solo colla vinile, che poi hanno trovato la scusa che non ce la fanno comprare perchè noi facciamo le mensole.
Si figuri che io vivo con un altro in un cella di 40 mq, di cui ho recuperato spazio morto per avere più libertà e spazio. Vennero a farci la perquisizione generale, ci hanno sfasciato la cella, togliendoci piccole mensole dove appoggiavamo zucchero, caffè, bottiglia dell'olio, una cosa indegna, senza rispetto di nessuno. E' successo un casino, che poi loro non stanno nemmeno in regola con le nuove leggi, sia della Torreggiani, che ci dovevano mettere a posto l'acqua calda, luci con interruttori dentro alle celle. Figuratevi che la luce in bagno è sempre accesa, non c'è nemmeno l'interruttore fuori per spegnerla, la dobbiamo spegnere con le mani. Non stai alla norma e mi spacchi la cella. Non ti dico il casino che gli ho fatto.
Comunque qui è un carcere che non si esce.
Ora ho superato il reato ostativo, da più di tre anni sto aggiustando il cumulo, spero che tutto va bene, così saprò con certezza che fine-pena ho. Così ve lo comunicherò, anche perchè se ho bisogno di avere qualche comunità o qualche lavoro che mi possa prendere per avere la sospensione della pena. Mi farete sapere voi.
Cari amici, figuratevi che c'è stato un cambio dei vertici, direttrice e commissario, non si capisce più nulla. Non ci permettono nemmeno di acquistare dischetti musicali, quelli originali, che vergogna, che poi se ne vengono che non possiamo avere quelli masterizzati; cerca almeno di farmi comprare quelli originali. C'è un'altra battaglia, figuratevi che non conoscono i Super Tramp.
Comunque amici, più avanti si va e più c'è schifo. Anche con questo governo che è un governo di punizione, al posto di fare progresso ci ammassano come degli animali; anzi gli animali hanno più diritto di noi. Che brutta società.
Cari amici, se per caso potete procurarmi un dizionario di spagnolo-italiano, che mi piace molto studiarlo e qui mi fanno sbattere per acquistarlo. Con questi vertici nuovi è un casino. Cari amici vi abbraccio con il cuore e spero un giorno di ritornare al mondo libero per sostenervi in futuro. Con affetto, Matteo Serino.

23 luglio 2019
Matteo Serino, via Prati Nuovi, 7 - 27058 Voghera (Pavia)

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Ciao compagne/i, voglio ringraziarvi per la vostra, sempre costruttiva vicinanza.
Ho ricevuto il plico anche il mese scorso, con libro. Vi faccio sapere che dopo 8 mesi d'isolamento sono ritornato a vita in comune; ciò che vivo attualmente è solo una calma transitoria dopo 30 anni vissuti in questi luoghi e tanta esperienza. So che quanto prima questi signori (D.A.P. e altro) creeranno le condizioni per nuove battaglie, certamente mi troveranno sempre pronto.
Questo stato ipocrita, è così mascalzone di pensare ancora di sottomettere le dignità, esercitando torture mascherate. Sapervi lì mi rincuora. Amiche/ci sostegno e iniezione di forza. Ringrazio, di nuovo un saluto a tutti con l'abbraccio. Giovanni.

24 luglio 2019
Giovanni Lombardi, via Prati Nuovi, 7 - 27058 Voghera (Pavia)