Succede nelle carceri
Negli ultimi mesi c’è stata un’escalation di rivolte nelle carceri. Per ragioni diverse, alcune rivendicative

e più strutturate, altre di protesta per l’impossibilità di andare avanti così a seguito delle condizioni di

sovraffollamento a livelli storici, l’inverno senza riscaldamento in cella e le morti in carcere per mano dei

funzionari dello stato che uccidono o lasciano morire.
Ecco alcune notizie tratte da fonti giornalistiche.
“Il 2 gennaio, nel carcere di Brissogne, vicino ad Aosta, una quindicina di detenuti si sono barricati in

sezione bloccando le porte con sacchetti di plastica sciolti dentro le serrature e […] bombolette del gas”.
In Liguria, a Sanremo, c’è stata un’importante rivolta: “il 13 ottobre, poco dopo le 21 di sabato, 16 detenuti

ospiti di tre celle hanno cominciato a buttare nel cortile interno mobili e stoviglie. Poi l'incendio delle

lenzuola e infine i fornelletti a gas accesi. Altri detenuti si sono associati alla protesta [intorno alle 40

persone secondo il giornale n.d.r]. Ci sono volute ore di trattativa fino a che all'alba la protesta si è

placata”.
Nel carcere di Rovigo, “venerdì 23 novembre, durante la normale operazione di controllo delle celle […] due

poliziotti sono stati aggrediti da altrettanti detenuti […] A questi se ne sarebbero poi aggiunti altri, che

si sarebbero barricati nella cella, cominciando il lancio di bombolette di gas”.
“Il 19 gennaio una violenta protesta si è registrata nelle celle della terza e quarta sezione del carcere

Cerialdo di Cuneo. La protesta trae origine dal fatto che un detenuto ha tentato il suicidio nel reparto di

isolamento, successivamente, un altro detenuto ha però diffuso la voce che l’altro ristretto era deceduto e

questo ha determinato una violenta protesta degli altri detenuti della terza e quarta sezione (sezioni

detentive a regime ordinario con la presenza di più di cento detenuti di varie etnie) […]. I detenuti hanno

anche incendiato coperte e stracci gettandole nei corridoi delle sezioni detentive”. Quello è stato

significativo in questa protesta è l’intervento degli Agenti del Gruppo Operativo Mobile (GOM) in aggiunta ai

poliziotti penitenziari. Dai giornali si apprende che la protesta è rientrata dopo una lunga trattativa alle

ore una e trenta circa.
A causa del malfunzionamento di alcuni istituti ci sono state altre proteste. Il 31 ottobre 2018 “alcuni

detenuti nel carcere minorile Beccaria di Milano hanno protestato per la mancanza di acqua calda nei bagni”.
A Saluzzo (Cuneo), il 21 novembre i detenuti hanno protestato alcuni giorni battendo pentole e stoviglie sulle

sbarre perché, a causa dei lavori di ristrutturazione, vengono serviti pasti non cucinati.
Si ricordano anche altre carceri senza il riscaldamento in questo inverno: nel reparto AS1 ad Opera (da

dicembre in funzione) e in alcune aree del carcere di Solicciano.
La protesta più significativa è stata nel carcere di Spini del Gardolo. Segue un resoconto liberamente tratto

dal sito web Roundrobin del 22 gennaio 2019.

***
Nella notte tra venerdì 21 e sabato 22 dicembre un detenuto, Sabri El Abidi, si è suicidato [quantomeno un

presunto suicidio, n.d.r.] nel carcere di Spini di Gardolo. E’ il nono dall’inaugurazione del cosiddetto

“carcere modello” (2011), il terzo del 2018. A fine novembre un altro detenuto si era tolto la vita. Solo la

settimana precedente era stato sventato un tentativo di suicidio e una detenuta era stata ricoverata dopo aver

ingerito della candeggina per protesta. Così come, quattro giorni più tardi, è morto a Lucca un detenuto

provocando una battitura in due sezioni del carcere.
La causa di quest’ennesimo suicidio nel carcere di Spini è la solita, nota, ricorrente: la mancata risposta

alla richiesta dei giorni di liberazione anticipata da parte dei magistrati di sorveglianza (Rosa Liistro,

Antonino Mazzi, Arnaldo Rubichi). I giornali fanno sapere che il detenuto aveva promesso alla figlia che

avrebbero passato il Natale assieme.
La mattina di sabato 23, diffusasi la notizia dell’ennesima morte e delle cause che l’hanno provocata, 300

detenuti (su circa 350: praticamente tutti, se si escludono il femminile e i “protetti”) si barricano nelle

sezioni, appiccano una ventina di incendi e sfasciano mobili, suppellettili, impianti, telecamere. Anche la

mensa, la lavanderia, i laboratori vengono danneggiati, mentre davanti ai cancelli delle sezioni si schierano

celere e carabinieri, presenti anche all’esterno a impedire l’accesso ai parenti dei detenuti, che quella

mattina avrebbero avuto i colloqui. Da dentro si levano grida: “Assassini!”. Un secondino viene ferito e altri

sei vengono portati in ospedale per intossicazione. La rivolta coinvolge tutti e tre i piani del carcere, che

alla fine risulteranno pesantemente danneggiati, con una cinquantina di celle (cinque bracci su otto)

dichiarate inagibili, e dura fino al pomeriggio. Un gruppo di detenuti riesce a sfondare una porta e ad uscire

nel cortile, l’intervento degli sbirri blocca quello che poteva essere un tentativo di evasione.
Dopo ore di trattative e la promessa da parte del Commissario del Governo di farsi carico dei problemi

denunciati, i detenuti tornano nelle celle. Cinque bracci su otto, quasi cinquanta celle, vengono dichiarati

inagibili.
Arrivano a Spini il questore e il commissario del governo, e inizia la sfilata dei politici (dai leghisti

Fugatti e Bisesti a Ghezzi che nella sua intervista ha ancora l’indecenza di parlare di “carcere modello”,

peccato solo per i suicidi, che “cominciano ad essere troppi”, con una “frequenza ben superiore alla media

nazionale”).
Le rivendicazioni dei detenuti sono quelle che chiunque abbia avuto a che fare con il carcere di Spini conosce

a memoria: tempi più brevi per le richieste al tribunale di sorveglianza e per avere risposta, possibilità di

accedere a misure alternative al carcere per chi ha condanne sotto i tre anni (la cosiddetta legge

“svuotacarceri”) e ai giorni di liberazione anticipata per buona condotta, istituzione di un presidio

sanitario in carcere anche di notte e nei fine settimana. Si, perché anche in questo caso non c’erano medici

in carcere al momento del suicidio, si è dovuto attendere l’intervento del 118. Se fossero stati presenti dei

medici forse Sabri El Abidi non sarebbe morto.
Il questore Garramone, il commissario del governo Lombardi e la direttrice del carcere Gioieni si sono dovuti

piegare a trattare con i prigionieri e si sono “impegnati”, davanti quelli che quotidianamente mettono dietro

le sbarre, a convocare un Comitato per la sicurezza per discutere le rivendicazioni dei detenuti.
La direttrice di Spini Francesca Gioieni, a pochi giorni dalla morte di Sabri El Abidi e dalla sommossa, ha

la sfacciataggine di millantare ai giornali il suo “impegno per una detenzione dignitosa e accettabile”. Come

si possa “accettare” di vivere rinchiusi, e magari trovarci una qualche dignità, lo sa solo lei. La dignità

degli oppressi, ci insegnano i detenuti di Spini, è solo nella rivolta, nella lotta per la libertà.
***
SOLIDARIETÀ CON I DETENUTI IN RIVOLTA DI TUTTE LE CARCERI
A quasi un mese dalla rivolta che ha incendiato il carcere di Spini a seguito dell’ennesima morte causata

dall’operato dei magistrati di sorveglianza non c’è ancora nessuna chiarezza sulla situazione all’interno: sui

trasferimenti continua il balletto dei numeri (100, 180, 50…), si parla di veri e propri trasferimenti puntivi

con cui mandare “al confino”, a centinaia di chilometri (in Emilia ma anche a Roma e Reggio Calabria, pare),

[detenuti ritenuti particolarmente attivi nella rivolta. Anche a seguito le proteste nel carcere di Rovigo

molti detenuti sono stati trasferiti nelle carceri del triveneto, così come a Savona per 13 detenuti che

verranno sottoposti al regime di sorveglianza particolare, n.d.r.].
la posta continua a non uscire; i sindacati di polizia penitenziaria lamentano (poveretti!) la “mancanza di

sanzioni disciplinari” quando da dentro raccontano di diversi detenuti sono stati pestati e messi in

isolamento.
Qualcosa di interessante in realtà ne è uscito: il commissario del governo Lombardi ha dovuto ammettere che la

rivolta “ha avuto risonanze al di fuori del carcere”, è stata “rilevante per l’ordine e la sicurezza

pubblici”. E di conseguenza, se ne occuperà anche il ministero dell’interno. Al tavolo partecipavano anche i

magistrati di sorveglianza Arnaldo Rubichi e Antonio Mazzi. Quelli che bisogna ringraziare per la morte di

Sabri El Abidi, oltre che di altri due detenuti anni fa (Giacinto Verra e Riccardo Scalet). Sulla sanità in

carcere vi sarebbe stato un sopralluogo dell’APSS, che fa la scoperta dell’acqua calda: non ci sono medici la

notte, ne servirebbe uno.
Si parla pure di “situazioni di gravissima sofferenza psichica”, e la soluzione è rafforzare il ruolo

normalizzatore della psichiatria, con uno psichiatra fisso tutti i giorni, mentre gli psicofarmaci vengono già

dispensati a piene mani per tenere i detenuti opportunamente “sedati”. A nessuno passa per la mente che la

sofferenza possa essere causata dal fatto di essere privati della propria libertà e sottoposti alla violenza

quotidiana del carcere e ai trattamenti disumani dei secondini. I dirigenti dell’azienda sanitaria avrebbero

incontrato tra gli altri Claudio Ramponi, attuale referente per la sanità penitenziaria. Si, proprio quel

Ramponi che, nelle vesti di direttore sanitario, aveva negato l’autopsia sul corpo di Vargas Zsolt, morto a

Spini nel 2013, tentando di archiviarne la morte come “arresto cardiaco” (in realtà causata da un mix di gas e

psicofarmaci dispensati dal carcere) nell’evidente tentativo di sollevare la direzione da ogni responsabilità.

Anche allora non c’erano medici la notte e nel finesettimana, anche allora i soccorsi tardarono ad

intervenire. Insomma, possiamo fidarci.
La rivolta dei detenuti di Spini ha squarciato il muro di silenzio e isolamento su cui secondini e direzione

contano per garantirsi la governabilità del carcere. Si è tentato di rafforzare la voce dei prigionieri in

vari modi: presidi, volantinaggi, scritte che hanno scandalizzato i giornalisti (tipo “viva la lotta per la

libertà”… la parola proibita!), un piccolo corteo che per un po’ ha interrotto la ruotine consumistica del

centro in un sabato festivo. Una rivendicazione anonima apparsa in internet parla pure di scritte (“magistrati

assassini, viva i rivoltosi di Spini”) e vetri rotti a sassate alla sede dei magistrati di sorveglianza.
Staremo a vedere cosa si muoverà. Quello che è certo è che solo con lotte dure, con aperte rivolte i detenuti

possono farsi sentire, altrimenti le loro voci non escono oltre le mura e le loro vite sono condannate a venir

stritolate dal carcere. Sta a tutti noi, momentaneamente a piede libero, rafforzare dall’esterno le loro

proteste e mettere in collegamento le rivolte.
Per portare solidarietà ai ribelli del CPR torinese in carcere dallo scorso ottobre per avere tentato di

distruggere la propria gabbia, per raccontare le ultime storie di rivolta avvenute a Trento e Brissogne, per

salutare tutti i detenuti e le detenute e ricordare loro che non sono soli. Domenica 20 gennaio h 16 si è

tenuto un presidio sotto al carcere delle Vallette.


Carcere di Velletri. Non si tratta solo di cronaca
Tra sabato 3 e domenica 4 novembre due persone sono decedute nel carcere di Velletri.
La morte di un 50enne è stata una morte annunciata. Dicono infatti che la causa fosse un malore, ma le sue

condizioni fisiche erano da tempo ufficialmente incompatibili con la detenzione.
Dopo di lui è morto un ragazzo di 33 anni, ufficialmente suicida. Questa versione però non convince chi lo

conosceva. Nelle fredde cronache di giornale, il portavoce di uno dei sindacati delle guardie penitenziarie,

sempre pronti a dichiarare quanto tempestivi siano i soccorsi da loro prestati in queste situazioni, oltre che

a lamentare la carenza di personale, lo descriveva come una persona che “Dal primo momento del suo ingresso

nel penitenziario ha sempre mostrato un comportamento arrogante e poco collaborativo”.
Nelle carceri le condizioni si fanno giorno dopo giorno sempre più difficili, se non drammatiche.
Il numero delle persone detenute aumenta vertiginosamente e ad oggi siamo arrivati quasi a 60.000 persone.

60.000 persone, non numeri!
Le condizioni sociali le viviamo tutti e tutte noi sulla nostra pelle. Le conosciamo bene e sappiamo quanto

l’aria si sia fatta irrespirabile per chi non ha la fortuna di essere nato con la camicia. Per tutta quella

grandissima maggioranza di persone che la vita se la deve sudare, improvvisando lavori, condizioni abitative

nonché di garanzie per la propria salute.
Ci hanno educato a rivolgere la nostra rabbia contro chi sta come noi o vive condizioni simili alle nostre se

non peggiori. Una guerra tra poveri che è utile solo ed esclusivamente a garantire l’opulenza dei potenti, di

quelli che sono nati con quella camicia oppure che, con cinica avidità e sulla pelle di altre persone, sono

riusciti a cucirsela addosso.
La chiamiamo “guerra tra poveri” e serve a far volgere lo sguardo altrove, a non dirigerlo verso i veri

responsabili di questo stato di immiserimento.
Chi decide i tagli economici, chi decide di dichiarare guerre e di portarle avanti, chi incarcera e reprime,

chi ci costringe a correre, affannarci, a rinunciare a quanto di bello c’è nel vivere?
Sono venditori ambulanti, prostitute e i poveri, mandati via con misure come il Daspo dai centri vetrina delle

città?
Siamo davvero convinti che le persone immigrate siano il nemico numero uno, perché incolpate di rubare il

lavoro o le abitazioni agli italiani?
E chi, in un modo o in un altro non ci sta, corre il rischio di incappare nelle strette maglie della

repressione.
Se ti va bene, se riesci a sopravvivere in condizioni a volte drammatiche, se mostrerai di essere

collaborativo e non arrogante accettando la punizione, se la pena inflitta non sarà “fine pena mai”, un giorno

ne verrai fuori.
E tutto ricomincerà. Forse con ancor più fatica o forse con maggiore rabbia da indirizzare nel modo più

giusto.
Oppure sarai un numero per sempre: vivo o morto, ma solo un numero.
BASTA CON LE GALERE! BASTA MORTI IN CARCERE!
IL CARCERE UCCIDE!

Domenica 2 dicembre ore 15: presidio al carcere di Velletri, SP – Cisterna Campoleone, 97
Solidarietà a tutti i detenuti e tutte le detenute e ai loro familiari!

Dicembre 2018, da inventati.org/rete_evasioni


Resoconto presidio al carcere di Milano-Opera
Finalmente! Dopo mesi di rinvii, sabato 15 dicembre 2018 si è riusciti* a dar vita a un presidio attorno al

carcere di Opera che ha visto la presenza di una quarantina di persone. Si è iniziato con il volantinaggio per

i famigliari (alcuni volantinaggi erano stati fatti con una certa continuità anche nei mesi precedenti), per

conoscere i più recenti mutamenti della quotidianità interna. Per poter quindi agire di conseguenza in maggior

sintonia con i prigionieri che affrontano prepotenze, abusi che aggravano la condizione di privazione della

libertà. Per rapportarci con la ribellione in carcere, rafforzare la conoscenza sulla realtà effettiva che

vivono i detenuti, oggi, ogni giorno e ogni notte a Opera, come in tante carceri. Ne sono esempio la

ribellione nelle carceri di Ariano Irpino, Ivrea, Velletri, Ferrara alla disinvoltura mostrata dalle guardie

nel non portare soccorso medico a prigionieri gravemente malati, causandone financo la morte. Ribellioni

colpite con il 14bis, cioè l'isolamento e il trasferimento aggravati da: censura, blocco nella ricezione di

cose dall'esterno via posta e anche direttamente con l'alleggerimento del pacco da far entrare assieme al

colloquio, cure mediche superficiali…
Nei volantinaggi abbiamo appreso che avviene tutto questo e peggio. Per esempio, nella sezione AS1 manca il

riscaldamento, i prezzi del sopravvitto
(spesa interna) sono doppi e anche tripli rispetto a quelli nei supermercati.
Tali condizioni a Opera sono ulteriormente aggravate nella sezione 41bis dove sono rinchiusi un centinaio di

detenuti. Che la quotidianità del regime del 41bis, riguardo in particolare la censura-blocco sulla posta, la

riduzione delle possibilità di rapporto con l'esterno – a cominciare dai colloqui –, anche a Opera venga in

parte estesa alle altre sezioni è ormai un dato conosciuto. Da anni, lo scambio postale è stato in gran misura

ridotto. Di controlli e limitazioni nella conduzione dei colloqui i famigliari se ne trovano di fronte

numerose e sempre più gravi.
Queste considerazioni sono state anche urlate dall'impianto di altoparlanti che ha aiutato, reso possibile, la

comunicazione, i saluti alle persone in carcere.
In particolare è avvenuto con la sezione 41bis, meno distante dall'impianto. Con quel mezzo abbiamo anche

rotto la censura, abbiamo diffuso l'intervento di Nadia Lioce al processo “in videoconferenza” in seguito a

una sua battitura in segno di protesta.
La comunicazione l'abbiamo realizzata esponendo striscioni: “41bis=Tortura”, “Solidarietà ai prigionieri

rivoluzionari chiusi in 41bis”, “Il carcere non è la soluzione ma parte del problema” e arrivando sotto la

cinta con botti, saluti diretti a tutti i prigionieri che non abbassano la testa. Sotto alla sezione 41 bis

abbiamo urlato: “Fuori tutt* dalle galere dentro nessun* solo macerie” e inviato, oltre al saluto generale,

uno direttamente al compagno Marco Mezzasalma. Sotto le altre sezioni è partito l'urlo “Secondini pezzi di

merda” sollecitato anche dal fatto che spingevano nelle celle le persone che, nei corridoi, rispondevano

direttamente a noi anche sventolando panni-bandiere.
Abbiamo così realizzata una giornata di comunicazione che ci apre tante possibilità nel proseguimento della

lotta contro il 41bis, dunque contro il carcere.
OLGa – Milano


Lettera dal carcere di Sulmona (AQ)
Carissimi compagni, vi spedisco questo scritto per farvi avere mie notizie e informazioni che ho ricevuto

l'opuscolo, il libro e altro materiale che ci tiene compagnia e ci aiuta a fare volare i pensieri liberi fuori

da questi posti di sofferenza e non sentirsi mai soli.
Perché nel carcere nulla di buono cresce sulla coercizione e sulla sottomissione.
Perché il carcere ci strappato troppi giorni, mesi e anni e anche troppi amici, conosciuti compagni. La gente

che abbiamo incontrato dentro ha tanta umanità e solidarietà, non è né migliore né peggiore di quella che

incrocia la nostra esistenza fuori.
Dobbiamo essere contro tutte le carceri perché il senso del giusto non lo si trova mai in qualche in qualche

codice.
Vi voglio ringraziare per tutto quello che fate e per la vostra solidarietà che manifestate verso i carcerati.
Saluti cari a tutti con affetto. Antonino.

26 ottobre 2018
Antonino Faro, via Lamaccio, 2 - 67039 Sulmona (L'Aquila)


Lettera dal carcere di Uta (CL)
Ciao, sono contenta che a Milano ci sia un po’ di movimento, speriamo che le persone prendano coraggio

nell’agire viste tutte le situazioni di disagio che stanno coinvolgendo le vite di tutti… Insomma speriamo che

la consapevolezza delle cose faccia scattare quella scintilla di mobilitazioni per le questioni più sentite!
Meno male che la lettera mi è arrivata, non ci speravo più!
Sì, l’opuscolo non mi viene mai dato, sempre trattenuto, così come altro materiale e lettere, ma questo ormai

lo sapete perché già lo scrissi più volte. Invece, per quanto riguarda me sono nei termini anche se mi è

arrivato un altro definitivo di 6 mesi per un fatto accaduto durante la mia carcerazione al carcere di

Palermo. […]
Qua solita routine e solite dinamiche, cosa vuoi alla fine i rapporti volano anche per piccolezze, ma a me non

mi toccano proprio, non mi interessa, tanto io da tempo mi calcolo il mio fine pena senza la liberazione

anticipata! La provai a chiedere ma tanto, come immaginavo, mi fu rifiutata!
La scorsa settimana invece qui in Sardegna ci fu un brutto temporale che portò il carcere in blackout! Non

funzionava più nulla, poi, dopo un po’ di giorni via via ripristinarono tutte le cose.
Per il resto alla fine tra cazzi e mazzi 1 anno e 8 mesi sono passati vedrò cosa fare con l’avvocato. Insomma

fammi sapere che succede nel milanese che sono fuori dal mondo con le notizie! Non so un cazzo! E questo mi fa

alquanto innervosire! Ricordati di salutarmi tanto tutt con un abbraccio enorme, spero di ricevere al più

presto da te e dagli altr! Informami un po’ anche delle situazioni nelle altre carceri!
Un fortissimo abbraccio. Madda.

Uta, 24 ottobre 2018
Maddalena Calore, strada II Ovest – 09010 Uta (Cagliari)


Lettera dal carcere di La Spezia
Segue una lettera di Paska, arrivata l'11, in cui racconta quanto gli è successo dal trasferimento dal carcere

di Lecce a quello di La Spezia in avanti.

“Confermo quanto detto, ma voglio un medico adeguato per quello che mi è successo. Quando sono uscito dalla

cella, è vero ho spinto l'agente che era presente sul piano. Poi sceso all'ingresso ho spinto l'altro agente

che mi aspettava e che faceva parte della scorta. Dichiaro però, che subito dopo, sono stato aggredito da più

di dieci agenti, con schiaffi e pugni; mi hanno buttato a terra e ho ricevuto pugni e schiaffi, calci in

testa, sulla schiena, sull'addome, su gamba sinistra e destra e sulla mano sinistra. E quando mi sono alzato

ho ricevuto degli schiaffi fino a quando mi hanno ammanettato.
Durante il tempo del pestaggio sono stato offeso e minacciato pesantemente”.
Questo è quanto ho dichiarato al consiglio disciplinare, avvenuto venerdì 9 novembre in seguito ai fatti

accaduti in carcere prima del processo dell'8 novembre 2018. E la risposta è stata la seguente.
“Visto quanto emerge dagli atti, e soprattutto viste le certificazioni sanitarie DA CUI NON RISULTA QUANTO

DICHIARATO DAL DETENUTO, tenuto conto della gravità dell'episodio, il collegio applica la sanzione di giorni

15 di esclusione dalle attività in comune”.
Ma sarebbe bene ed opportuno raccontare tutto ciò che è accaduto in questo ultimo mese e mezzo.
Il 2 ottobre la mattina parto dal carcere di Teramo per Lecce, arrivo verso le 16 in carcere; tempo delle

lungaggini burocratiche, riesco a fare una doccia volante ed è già orario di chiusura. Il giorno dopo,

nell'attesa di andare a processo chiedo di andare all'aria, ma la risposta è no perché "qui sei isolato". Il

motivo si spiegherà da solo due ore dopo. Poco dopo vado a processo e al ritorno non mi fanno salire in

sezione a prendere le mie cose perché lo han già fatto le guardie; rimango in matricola e devo prepararmi gli

zaini per l'aereo se voglio andare a processo a Firenze. Così facendo, quando le compagne e i compagni saranno

lì il pomeriggio per fare un presidio sotto il carcere di Lecce io già sarò in volo per Genova.
A malincuore devo lasciare un po' di cose giù, tipo pentole-padelle-libri-cd-opuscoli, perché non posso

portare più di due zaini, quindi prediligo vestiti-lenzuola-coperte-documenti e qualche libro (più moka e

fornello, fondamentali per la carcerazione).
Quindi il 3 ottobre alle 13 mi muovo da Lecce direzione Brindisi, dove prenderò ben due aerei (Brindisi-Roma e

Roma-Genova), e poi mi muoverò da Genova per La Spezia in blindato. Alle 21 arrivo a La Spezia e vado a

dormire vestito, non mi porto neanche i vestiti dentro e decido di prendere il tutto il giorno dopo, perché

troppo stanco.
4 ottobre, 8 di mattina: perquisizione in stanza; tra l'altro il 2 sera a Lecce sotto il materasso trovai una

lama artigianale che feci sparire e meno male, dato che il giorno dopo sono state le guardie a farmi i

sacchi... coincidenze? Comunque, meglio prevenire che curare.
Il 6 ottobre mi fanno salire in sezione, mettendomi in stanza con un ragazzo con cui all'apparenza potevano

esserci problemi sin da subito, ma in realtà non abbiamo dato soddisfazione alle guardie e ci siamo adeguati

alle esigenze carcerarie.
Il 9 vado a processo, e primi screzi insulti reciproci con la scorta che ha modi di fare un po' tamarri e

coatti alla guida. Lascio passare. Dal giorno 10 o 11, non ricordo bene il giorno esatto, problemi per andare

all'aria: le guardie devono avvisare il primo piano prima di lasciarmi passare perché direttrice e comandante,

su suggerimento di "ordini dall'alto", ci hanno messo un divieto di incontro a me e un altro compagno detenuto

a La Spezia.
Inizio quasi a non sopportare più la situazione, ma la goccia che fa traboccare il vaso arriva il giorno 18:

vado nuovamente a processo, ed oltre a dovermi sorbire tra andata e ritorno 300km, ammanettato, la scorta

inizia ad "imitare" i personaggi di Fast&Furious. Appena entrati a La Spezia, al ritorno dal processo,

iniziano ad accendere sirene, cacciare palette, bruciare semafori, tirare freni a mano, insultare e minacciare

gli automobilisti per passare rischiando incidenti, fare sgommate... e percorrono un sottopasso a 80 all'ora

e, all'atterraggio, perché di un volo si è trattato, sbatto la testa, mi cadono gli occhiali e sbatto

fortissimo con le manette sul costato, che ancora mi fa male.
Salgo in sezione molto arrabbiato, il giorno dopo mi faccio visitare ma non riscontrano nulla logicamente,

dico che devo parlare con direttrice e comandante, e che accellerino le pratiche per l'invio della richiesta

di trasferimento (ufficialmente partita il giorno 23); loro già sanno benissimo che se dovrò partire da La

Spezia per la prossima udienza del processo non gli renderò vita facile, ma non danno importanza alle mie

parole.
Il 26 ottobre arriva un foglio dal DAP, che mi notificano il giorno 30, dove in sostanza mi rifiutano il

trasferimento: logicamente risposta già preconfezionata, senza neanche aver letto l'istanza, dato che un

rifiuto in così pochi giorni è un record! Situazione di nervosismo, insulti reciproci con le guardie, ed anche

se so che forse non servirà a nulla, dichiaro l'incompatibilità con il corpo di polizia penitenziaria di La

Spezia.
Volevo già iniziare lo sciopero il 31 ottobre ma aspetto il lunedì 5 novembre, dato che durante le feste non

serve a molto, chiedo di parlare con la direttrice, mi dicono domani mattina ti chiamerà. Mattina dopo nulla,

quindi mi rifiuto di rientrare in cella dalle 12 alle 13 e poi scendo all'aria, ed anche lì mi fermo

rifiutando di risalire. Dopo mezz'ora (14.30 circa) mi chiamano direttrice e comandante, gli rifaccio presente

tutte le problematiche di andare a processo con la scorta di La Spezia, dell'incompatibilità con le guardie,

che sono a più di 500km dai familiari e a 150km dal processo, e che sanno benissimo che se non parto il giorno

8 qualcosa accadrà. Loro rispondono che ricevono ed eseguono gli ordini del DAP, e di assumermi tutte le

responsabilità di ciò che farò; rispondo che sicuramente mi accollerò tutto, ma basta che mi vengano addosso

uno ad uno e non 10 contro 1.
Bene: giorno 8/11 succede quello che ho scritto all'inizio del testo; dopo avermi ammanettato e continuato a

malmenare, chiamano il medico chiedendogli se ero in grado di andare a processo, e pure lui, impaurito solo a

guardare la situazione, vede i bozzi e i lividi (ma non li scriverà) e mi chiede "Vuoi andare?". Ed io dico di

sì, anche perché avevo preparato una dichiarazione da leggere in aula, che avrei a quel punto modificato

aggiungendo che mi avevano pestato in carcere prima del processo; dichiarazione abbastanza blanda dove volevo

rimarcare perché chiedevo il trasferimento.
In aula, il giudice non mi fa leggere tale scritto affermando che la sede è inadatta, riesco però a far sapere

alle altre e agli altri in aula che mi hanno pestato i secondini e sono in sciopero della fame da 4 giorni. Mi

cacciano così dall'aula ed un secondino zelante, che mi ha schiaffeggiato fino all'ultimo, mi mette le manette

strettissime tanto che i polsi diventano viola e per poco svengo. Mi portano alle cellette, e dopo un po' mi

fanno risalire, anche se siamo rimasti solo noi 3 imputati, oltre ad avvocati, giudici e sbirri, e dico agli

altri 2 che vorrei rimanere per far vedere i segni sul corpo all'avvocato e tornare il più tardi possibile a

La Spezia, prevedendo un altro pestaggio al ritorno. Così non è stato, anche se c'erano 5-6 guardie belle

grosse che mi hanno portato a fare la visita per sciopero della fame. Provo anche a farmi refertare gli

evidenti segni, ma non c'è nulla. Per i due giorni successivi proverò ancora a farmi refertare ma "non posso

scrivere cose che non si vedono".
Finita la visita mi rimettono alla cella 1 del piano terra, la stessa dove dormii la prima sera qui a Spezia.

Regime chiuso, le mie cose le avevan già preparate e messe in cella le guardie. Il giorno dopo, almeno, mi

fanno recuperare il resto delle mie cose e mi fanno il consiglio disciplinare dandomi 15 giorni di isolamento.
Questo è quello che mi ha portato a dare due spinte alle guardie e il mio vissuto a La Spezia: niente di

anormale, le guardie che ti provocano con fare mestierante e poi ti sfondano di mazzate quando sei a terra con

calci e pugni su testa e schiena, direttrice che copre il pestaggio grazie alla complicità di medici (su 4

visite con 3 medici diversi, uno forse la seconda volta che mi ha visto ha scritto le parti che ho doloranti),

e le guardie che ti minacciano pure di denunciarti per calunnia, con il giudice che non ti fa rilasciare una

dichiarazione a riguardo e ti caccia dall'aula.
Tutto nella norma. E' per questo che non mi ritrovo nella normalità della società, che giustifica l'autorità,

gli abusi, i soprusi, e li copre. E' per questo che continuerò lo sciopero della fame finché potrò,

continuando a esigere il trasferimento in altro carcere, visto che se per De Andrè la stessa aria di un

secondino non si può respirare nell'ora di libertà, io voglio proprio evitare di condividerla sempre con le

guardie che qui mi hanno pestato, con i medici ciechi e complici, la comandante che giustifica i suoi uomini

dicendo che mi invento tutto e la direttrice che nasconde il marcio sotto un tappeto di falsità.
SEMPRE A TESTA ALTA, PASKA

p.s. sciopero della fame: peso iniziale al 5/11: 108,4 kg; peso giorno 11/11: 101,8 kg.

Gennaio 2019
Pierloreto Fallanca, P.za Falcone Borsellino, 1 – 19125 La Spezia


Lettera dal carcere di Verona
Ciao compagn*, sono Eddi Karim, mi trovo ancora a Verona: il lager di Montorio dove regna l'abuso di potere e

l'autorità della cosidetta amministrazione carceraria e la sicurezza dei secondini, dove l'infermiere chiama

la guardia collega e la guardia decide per il medico.
Come mi è successo lunedì 8 ottobre, il giorno che ho deciso di ricominciare lo sciopero della fame e terapie

per il diabete e il mal di fegato, bevendo solo 200 ml di acqua e non smetterò finché non arrivo al mio

obiettivo, cioè di essere trasferito in un altro lager meno marcio.
Torniamo al giorno dell'inizio dello sciopero e tutto è iniziato con una mia richiesta di essere visitato dal

medico perchè mi sentivo male e molto debole, e mi girava tutto, e visto che il medico era nella sua sala di

visita in sezione e l'agente lo ha avvisato e venuto a dirmi di aspettare vicino al cancello. E mentre

aspettavo sale un capoposto con il caffè in mano, cioè ignaro completamente della situazione e mi chiese il

motivo del perchè sto al cancello e gli racconto che sto male, e la sua risposta è stata molto aggressiva e

odiosa, dicendomi di tornare in cella e aspettare l'infermiere che arriva a mezzogiorno ed erano le 9.30, con

un tono di prepotenza e ordine (magari pensava che sono fatto della stessa sua pasta, quella dello

schiavista, e invece si sbagliava perchè la mia risposta è stata ferma).
Ma la cosa che mi ha ferito di più è quella decisione del medico che è andato via senza visitarmi, anzi mi ha

chiamato il giorno dopo per pesarmi e segnare lo sciopero e poi non l'ho più visto fino ad oggi che è quasi

una settimana. Come non esistesse, nonostante il giorno in cui ho iniziato tutto è arrivato in sezione il

magistrato di sorveglianza di Verona, Vincenzo Semeraro, che conoscevo da anni e gli ho raccontato tutta la

vicenda e mi ha promesso che si occuperà subito. Ovviamente solo chiacchiere nonostante la gravità del fatto

– oltre le mie patologie –, e anche che il medico non fa il suo dovere perchè deve assecondare quello che ha

deciso il secondino, d'altronde non è novità che al giudice non gli frega niente di quello che succede, i

danni dei detenuti da parte degli abusi dei suoi colleghi schiavi del sistema.
Come mi è successo nel passato, nel 2009 a Ascoli Piceno da parte del magistrato di Macerata – quando hanno

cercato di uccidermi, o quella del procuratore capo di Venezia Roberto Terzo nel 2013, o del procuratore capo

di Vicenza, Antonino Cappellare, che ha archiviato la mia querela per 3 tentativi di omicidio da parte dei

secondini di Vicenza dopo avermi mandato il magistrato di Verona, Lorenza Omarchi e i carabinieri, un tenente

colonello e un maresciallo capo a sentire le mie dichiarazioni, sapendo che ci sono anche 18 testimoni a mio

favore o quella del proc. Capo di Belluno, Pavone, nell'inizio del 2015 ecc. ecc. Anzi tutti quanti non vedono

l'ora che vengo ucciso. Tanto per loro sono una spina e rimarranno sempre contro di me e di tutti i compagn*

di lotta contro il loro sistema marcio.
Ma tutto questo non fa altro che darci forza per continuare a lottare fino all'ultimo istante. Anzi sono

orgoglioso di essere combattente, lottatore e soprattutto anarchico libero dalla schiavitù del sistema, in cui

a capo ci sono essere viventi marci dentro, xenofobi falsi, indegni. Senza onore e valore, fatti di infamità e

schiavismo “un mescuglio di me...da.”
Un abbraccio fraterno a tutt* voi e tutt* i compagn* in lotta pregandovi di non mollare mai.
Meglio essere leone in gabbie che pantegane libere.



14 ottobre 2018
Eddi Karim, via S.Michele, 15 - 37133 Montorio - Verona


***
Sono come il solito al LAGER di Verona dove succede di tutto e tutto capovolto nel senso che qualche verme di

infami composti da detenuti di merda che si sentono ufficiali e comandanti in questo buco di merda fanno

addirittura la gara a chi porta più informazioni ai secondini che a volte si vergognano, spiegando di essere

obbligati a riferire quello che gli raccontano questi maledetti infami di merda, che hanno dimenticato che

sono detenuti.
E' quello che è successo e succede a Trieste dove dei merdosi detenuti picchiano altri detenuti per conto

delle guardie. Hanno picchiato detenuti che hanno protestato per il suicidio-omicidio del sig. Righi.
Anche qua per l'ultimo suicidio del 29enne tunisino non c'è stata nessuna protesta di solidarietà contro il

mal funzionamento e le responsabilità del marcio sistema. […]

24 novembre 2018

Eddi Karim via S.Michele, 15 - 37144 Montorio Veronese (Verona)


Lettera dal carcere di Rebibbia NC (Roma)
Carissimi amici e compagni un saluto collettivo a OLGa. Vi ringrazio di avermi spedito degli opuscoli e dei

libri.
Mi trovo nel carcere di Rebibbia N(uovo). C(omplesso). Sono stato tradotto il 30 novembre, mi trovo bene, ma

sempre carcere è, comunque meglio di Regina Coeli sto.
Ho ritrovato vecchi amici di sventura, e ho ritrovato amici in comune dove abbiamo lottato insieme, sempre

contro la Direzione di questi istituti di merda.
Stavo per scrivervi prima di Natale per farvi sapere che mi avevano tradotto da quello schifo di carcere di

Regina Coeli, che dovrebbero chiudere, visto le condizioni in cui sta, invece di farci i lavori. Poi che cosa

deve fare un detenuto all'ora della conta, deve stare in piedi, una cosa che io mi sono sempre rifiutato di

farla con le loro stupide conseguenze: rapporto disciplinare, portato davanti al consiglio disciplinare dove

venivo ammonito dalla direttrice con la frase “che non succeda più”.
Io ho sempre loro risposto “dove c'è scritto sul regolamento carcerario che io mi devo alzare la mattina

presto all'orario della conta”, e mi veniva risposto “questo è solo per rispetto”, e io ripetevo “ma non c'è

scritto da nessuna parte neanche questo”.
Sono uno dei pochi che è ostile a questo, mi possono punire, ma ho avuto sempre ragione e per questo mi hanno

fatto trasferire. Sono arrivato alla matricola di Rebibbia, sapendo solo all'arrivo che ero stato tradotto per

“ordine e sicurezza”, 'sti buffoni …
Vi faccio sapere che il 30 novembre sono stato in tribunale a fare l'appello, che come già sapevo

dall'avvocato, mi confermava la pena per rapina. Appena ritornato in matricola a Regina Coeli mi hanno detto

di prepararmi la roba, che ero tradotto. Tra viaggio, matricola e casellario ho finito alle 21,30 di sera.
Uno strazio, un'ammazzata, ma che fanno apposta per farti saltare i nervi, lavorando sul tuo comportamento

psicologico. Ma io sono abituato a ben altro dentro queste mura. Appena arrivato eravamo in tre. La guardia

legge il cartellino con i nomi e cognomi, proprio a me la guardia, vedendo il cartellino si rivolge

chiedendomi “cos'hai fatto? Perchè stai qui per 'ordine e sicurezza'?”; gli rispondo “se non lo sapete voi!” E

non mi ha detto più niente, scegliendo il posto giusto per me, una cella adatta a me.
Ora mi trovo al G9 piano terra sez. B. cella 11. Fatalità, la stessa cella dove ero stato l'ultima volta. Sto

con bravi ragazzi, qui mi conoscono tutti.
Qui sei un po' più libero che a Regina Coeli. Le guardie non le vedi quasi mai, fanno gli affari loro.

Comunque qui non funziona niente, com'era 10 anni fa, così è rimasto.
Ora vi mando un forte abbraccio a tutti, tutte voi un caloroso saluto a tutti i compagni/e che lottano sempre

giorno dopo giorno contro ogni carcere.
A presto vostre notizie. Volti coperti pensieri ribelli. Buon Natale a tutti/e voi, Claudio.

21 dicembre 2018
Claudio Perrone, via R. Majetti, 70 (N.C. Rebibbia) - 00156 Roma


Lettera dal carcere di Massama (OR)
Ciao compagni, vi scrivo per informarvi che dal 19 novembre ho iniziato lo sciopero della fame, per protestare

per il ritiro del computer.
Ho scritto questo resoconto (che segue) sull'episodio e in generale sull'andamento del carcere. Vi chiedo di

supportarmi per fare pressione sulla direzione, essendo che circa un anno fa fecero morire di fame un sardo

molto conosciuto in Sardegna, l'indipendentista DODDORE, pertanto vi lascio immaginare lo scrupolo di

coscienza della direzione.
Oggi sono 14 giorni e si inizia a sentire, sia per l'età e anche per il freddo. Vi saluto con un forte

abbraccio, Pasquale.

Resoconto: “Fake news”
Quando si manipola la realtà i condizionamenti raggiungono vette molto elevate, di conseguenza i danni e le

sofferenze sono molto notevoli.
Nelle carceri, principalmente nelle sezioni AS dove il più “fresco” è in carcere da vent'anni, si cerca di

trovare una sorta di tranquillità per occupare il tempo in modo costruttivo, purtroppo alcune volte ciò non è

possibile perchè si incontrano i responsabili della custodia che hanno la mentalità “ottocentesca”, convinti

che il recluso sia un genere a sé, come lo era la servitù della gleba, senza diritti, solo doveri.
Nel carcere di Oristano sembra di vivere in una disorganizzazione organizzata, l'unica cosa che funziona in

modo svizzero sono gli agenti che tutti i giorni montano di servizio nelle sezioni e si fanno carico di tutte

le problematiche che ci sono all'interno del carcere, mentre i vertici imperversano per creare problemi agli

agenti e ai detenuti.
Da C/C, casa circondariale, hanno cambiato “solo” il nome a C/R, casa di reclusione, nei fatti tutto è rimasto

immutato, in più con disposizioni astruse che usavano nel vecchio carcere e che non esistono più in nessuna

parte d'Italia.
Sono oltre cinque anni che è stato aperto il carcere e ancora non abbiamo un regolamento interno, viene

menzionato sempre quello del vecchio carcere, ma nessuno l'ha mai visto.
Non c'è volontariato, questo rende il carcere un mortorio senza iniziative.
In questo immobilismo che degrada le persone, l'unica luce è l'alfabetizzazione digitale con la concessione

dei computer, fino a un anno e mezzo fa non avevamo nessun problema, infatti, l'allora ispettore responsabile,

(Fais), persona corretta e disponibile, capiva di informatica e si adoperava affinchè tutto andasse bene.
A maggio 2017 l'ispettore Adriano Sergi si inventò una bufala, ossia che i computer in modo fraudolente erano

collegati a internet, cosa impossibile perchè nei computer non ci sono né modem né porte USB, in quanto come

da circolare DAP, sono state asportate. Dopo qualche settimana viene cambiata la notizia, questa volta si

tratta di un programma che rende invisibili i file, nessuno ha mai sentito che esiste un programma del genere.
Nel frattempo vengono ritirati tutti i computer del carcere per controllo. Dopo il ritiro si viene a sapere la

verità, una cosa così banale usata ad arte per creare allarme sulla sicurezza, che causa la revoca del

responsabile dei computer ovvero l'ispettore Fais, e l'incarico viene dato all'ispettore Sergi che aveva

saputo usare ad arte le fake news.
Un detenuto aveva comprato una rivista di informatica, dove regalano un CD con figure, panorami e qualche

programmino che non serve a niente (nel carcere di Fossombrone e Catanzaro quando compravamo le riviste i CD

li buttavamo), l'acquirente era riuscito a impossessarsene, essendo che qui è proibito possederli.
L'aveva fatto caricare sui computer dei compagni della sua sezione. La grande violazione è questa con cui

l'ispettore Adriano Sergi ha creato e alzato questo enorme polverone.
Passano mesi e non si riesce a capire perchè ci mettono tanto per controllarli, nessuno pensava alla mentalità

ottocentesca dell'ispettore Sergi, al controllo totale che vorrebbe sui reclusi e sui computer. Ciò deriva dai

suoi trascorsi nel carcere dell'isola di Pianosa, dove i detenuti venivano massacrati di botte tutti i giorni.
Dopo alcuni mesi, nel settembre 2017, esasperati ci fermiamo nei corridoi rifiutandoci di rientrare in cella,

viene l'ispettore Sergi, come suo solito si presenta come vittima, che lui ci mette la faccia e sta facendo di

tutto per sbloccare la situazione. Un mentitore seriale che non dice mai la verità. Per rabbonirci dopo una

settimana consegna alcuni computer.
Tutto si era bloccato di nuovo, perchè l'ispettore Sergi si era inventato cose impossibili e costose per le

ditte, pertanto scappavano quando lui gli chiedeva cosa voleva.
Abbiamo scoperto che alcuni computer avevano la telecamera e il microfono, pertanto lui ha deciso che dovevano

essere asportati in virtù di una recente Circolare; per lui la password non bastava sic! La scheda collegata

alla telecamera e al microfono, comprendeva anche il collegamento delle cuffie, pertanto si estirpava anche la

sua funzionalità, voleva convincere i reclusi a prendersi il computer con il viva voce. Costatando che i

detenuti rifiutavano, tramite una ditta ha fatto mettere un bottoncino che manteneva il collegamento con le

cuffie. Altra spesa.
Nei computer ha messo l'amministratore, in più, se li volevamo, dovevamo acconsentire a formattare il computer

con la spesa di 80 euro, se volevamo conservare i nostri dati, ci volevano altri 35 euro, ma il paradosso è

che i dati poi vengono messi nell'amministratore. I nostri programmi, film, musica ecc. rimanevano nel nostro

computer ma non potevamo usarli (sic!), vi sembra normale?!
E' trascorso un anno e mezzo e la stragrande maggioranza dei computer sono ancora nelle mani dell'ispettore

Sergi.
C'è voluto tempo per trovare una ditta che facesse quello che voleva lui, ma con il ritmo attuale ci vorranno

almeno due anni, se tutto va bene, per consegnare i computer a tutto il carcere.
Ai primi di ottobre 2017 mi viene consegnato il computer, facevo parte di quel gruppo fortunato che hanno

avuto i computer dopo la fermata nel corridoio.
Per oltre un anno ho chiesto con decine di istanze di avere i miei programmi che si trovavano

nell'amministratore, ogni volta che incontravo l'ispettore Sergi mi raccontava una storiella, dimenticandosi

di quella che mi aveva detto la volta precedente.
Ai primi di settembre 2018, viene trovato a un detenuto un alimentatore per lettore CD, l'aveva comprato nel

carcere di Nuoro, pertanto registrato perchè a noi AS-1 tutto viene inserito nella nostra scheda digitale del

ministero; persino una semplice ammonizione.
L'ispettore Sergi stila una relazione che questo alimentatore per lettore CD sarebbe stato adattato per

alimentare un telefonino. Viene inviata al DAP, Provveditorato e Magistrato di Sorveglianza. Iniziano

perquisizioni a ritmo continuo, nel giro di qualche mese vengono effettuate tre perquisizioni generali e altre

per sezioni, alla ricerca del fantomatico telefonino.
Un allarme per la sicurezza che mette tutta la polizia penitenziaria e gli Uffici dell'Amm. Penitenziaria in

tensione, mentre noi detenuti abbiamo dovuto subire le conseguenze di questa relazione che manipolava la

realtà.
Bastava un semplice controllo, ma all'ispettore Sergi interessa creare clima di tensione per stare al centro

dell'attenzione e legittimare il suo “alto operato” a servizio e beneficio “dell'ordine e della sicurezza”,

solito leit motiv utilizzabile per giustificare ogni tipo di repressione.
Al detenuto dopo che sono stati mandati gli atti alla procura è stato fatto revocare un permesso di necessità

dal magistrato di sorveglianza, è stato sanzionato con una semplice ammonizione, perchè tutto quello che gli

hanno trovato l'aveva acquistato, pertanto era tutto legale, l'unico illecito era l'occultazione e la quantità

di tutto ciò che gli avevano rinvenuto.
Il 5 novembre 2018, l'agente di sezione mi informa che dovevo scendere con il computer e l'alimentatore e

andare dal tecnico; arrivo da lui all'ufficio comando e mi dice che deve controllarlo, gli raccomando di non

metterci troppo perchè il computer mi serve, lo uso quotidianamente per scrivere.
Dopo un paio di giorni mi trovo nel teatro per allestirlo per la rappresentazione della Prima Guerra Mondiale,

l'ispettore Sergi mi fa la domanda: “Lei si è chiesto perchè gli è stato ritirato il computer?” Rispondo che

il tecnico mi ha detto per controllo. Lui con ciglio severo: “Gli è stato ritirato perchè gli è stato trovato

un DVD riscrivibile in cella”. Cado dalle nuvole, perchè l'evento era successo tre settimane prima, mi avevano

trovato due evidenziatori, due correttori e un DVD riscrivibile con il mio nome scritto sopra e la sezione del

carcere di Catanzaro dove ero ubicato, lo usavo per conservare qualche film essendo che il mio computer ha

solo 60 GB di memoria, di cui due terzi sono occupati dall'amministratore.
Quando mi hanno trasferito da Catanzaro qui a Oristano, in uno dei miei borselli avevo evidenziatori,

correttori, pennarelli e DVD riscrivibili, sono passati senza problemi. Il DVD l'avevo nella cassetta sotto il

letto dove avevo il computer. Tutti oggetti comprati a Catanzaro.
Il DVD con nome e cognome scritto sopra, insieme al numero della sezione (4D) di Catanzaro.
In questi tre anni e mezzo che mi trovo qui a Oristano, durante le perquisizioni non ho mai avuto problemi,

con “l'era Sergi” tutto è cambiato, sequestrato tutto e depositato in magazzino: “oggetti vietati”.
Il motivo del ritiro del computer è da ricercare sicuramente in qualche motivo “misterioso” che non conosco,

l'unica ipotesi che posso fare è che quello che scrivo non è di suo gradimento.
Avendo consapevolezza del suo agire, ho preso la decisione di agire per vie legali; il 15 novembre tramite

istanza ho informato la direzione che il 19 c.m. avrei iniziato lo sciopero della fame.
Il 16 novembre presento un esposto-denuncia alla Procura di Oristano contro l'ispettore Sergi per abuso di

potere.
Il 17 novembre presento reclamo al magistrato di Sorveglianza dott.ssa M. Cristina Lampis.
Il 20 novembre mi chiama l'assistente dell'Ufficio Comando per contestarmi un rapporto disciplinare,

consistente nel possesso e traffico di evidenziatori, correttori, pennarelli e il DVD riscrivibile. Voleva che

facessi una dichiarazione e firmassi il foglio che aveva portato. Mi sono rifiutato sia di fare dichiarazioni

che di firmare.
Se anche fosse legittimo il rapporto disciplinare, dal 16 ottobre al 20 novembre sono scaduti i termini,

pertanto recuperare per fare un assist all'ispettore Sergi per la denuncia che gli ho fatto, diviene un'azione

illecita.
Il 21 novembre tramite matricola a busta chiusa spedisco una lettera al Magistrato di Sorveglianza

spiegandogli l'accaduto e facendogli presente che non possono essere sanzionati articoli da cartoleria come

gli evidenziatori, correttori e pennarelli, essendo che si comprano in tutti i carceri d'Italia. Riguarda il

DVD, la Circolare Ministeriale del 15 giugno 2001 n. 3556/6006, al punto 12 e 13 stabilisce che si possono

detenere i floppy disk in numero stabilito dal regolamento interno del carcere, negli ultimi dieci anni (anche

di più) sono stati sostituiti dai CD e DVD riscrivibili. I floppy disk erano riscrivibili e dunque

utilizzabili fino al loro deterioramento. Pertanto i CD e DVD riscrivibili sono consentiti, solo Oristano non

applica la Circolare di 17 anni fa.
Il computer mi è stato autorizzato dal GOT (gruppo osservazione trattamentale) di Catanzaro, per motivi

culturali e anche di studio; ero iscritto all'Università facoltà di giurisprudenza, poi ho sospeso, ma che al

più presto riprenderò.
Uso molto il computer per scrivere, ho un diario online da otto anni, partecipo a concorsi letterari,

collaboro con qualche rivista, mi aiuta molto approfondire tematiche culturali, ed è diventato la mia

cartella, perchè anche la corrispondenza la sbrigo con il computer, insomma uno strumento importante che non

può essere lasciato nelle mani di chi lo ritiene un oggetto di ricatto: “fai il bravo, in caso contrario lo

requisisco”.
Termino con la citazione del professore Giuseppe Ferraro; “Quando in Italia le scuole cesseranno di essere

carceri e le carceri diventeranno scuole, potremo dire di vivere in un paese civile”.

2 dicembre 2018
Pasquale De Feo, Loc. So Pedriaxiu - 09170 Massama (Oristano)


Lettere dal carcere di Voghera (PV)
Ciao, un abbraccio a tutte/i voi sorelle e fratelli del collettivo OLGa. Vi sto scrivendo perché ho deciso di

pubblicare il mio ultimo scritto per l'opuscolo dato che a febbraio esco a fine pena e perchè qui a Voghera

non ci sono abusi e non trovo delle argomentazioni per attaccare il sistema, anche se tutte le prigioni con i

loro aguzzini andrebbero rase al suolo… per cui vi scrivo il mio incitamento alle lotte…
Carissimi/e compagni/e sorelle, fratelli e solidali, ci tenevo a scrivere questo mio scritto prima che arrivi

il mio fine-pena che come sapete sarà a febbraio 2019, senza contare le decine di processi che mi trovo a

piede libero, voluti da secondini infami e luridi falliti di merda… e solo dalla Campania di processi me ne

trovo ad affrontare circa una decina… con queste ultime carte sono riuscito a completare “un rotolo di carta

igienica”...
Questo mio scritto è un abbraccio fraterno a tutti/e i miei compagni/e sequestrati nelle prigioni di stato

italiane e nel mondo e in particolare abbraccio i compagni prigionieri nei lager spagnoli e francesi, con un

invito a non mollare mai le lotte, e lo dico io che, nel tentativo di sottomettermi mi hanno fatto fare più di

7 anni di isolamenti e 14 bis, ma sono fiero di averlo fatto, e a chi mi ha chiesto se ne è valsa la pena ho

riposto di “SI'” senza tentennamenti e ripensamenti.
La dignità non si vende, lottare contro certi luridi schifosi, soprattutto quelli che stanno a Roma al

Dipartimento, che trasferiscono noi detenuti lontano dai nostri affetti, a costoro auguro i peggiori mali…

perchè si avvalgono dei loro poteri, toccando i nostri famigliari, e spero che i peggiori mali li possano

colpire per fargli assaporare i dolori più brutti… “infami”...
A tutte/i i miei compagni/e detenuti/e e a tutti/e i/le mie compagne anarchiche/ci auguro per il nuovo anno,

che il vostro/nostro spirito ribelle sia sempre con tutti/e noi, e che le lotte ci accompagnino per tuto il

resto dei nostri giorni… Un abbraccio al fratello Claudio L. che ora si trova in Francia per un processo, e

un abbraccio a tutti/e i/le prigionieri/e nei lager “Fies” spagnoli.
Vorrei scrivere qualcosa su quello schiofoso fascista e razzista di “Salvini”… un fallito nella vita, un

lurido, ma sono più incazzato con tutti/e quelli che al Sud lo hanno votato dopo che quel verme ha sempre

parlato male di noi meridionali… questo mi fa imbestialire, ma si renderanno conto che la Lega può solo avere

gli appalti dei vespasiani W.C. E comunque spero che questo governo di giullari e burattini trovi il popolo

che si ribella, così come sta succedendo in Francia contro “Macron” che pensano solo ad affamare il loro

popolo…
Bene ora non mi resta che salutare tutti/e coloro che hanno scelto come me di lottare contro pregiudizi e

prevaricazioni, e abbraccio tutti/e i/le miei compagni/e anarchici dei centri sociali, in Europa e nel mondo,

e tutti/e coloro fratelli e sorelle che hanno sempre sostenuto le mie lotte, che poi sono solo le lotte di

tutti/e, perché le carceri sono solo delle discariche sociali costruite ad “Honorem” dei ricchi per mantenere

il potere sui poveri.
Non mi sono mai sentito solo grazie a tutte/i i miei fratelli e sorelle, che con sacrifici e devozione hanno

affrontato lunghi viaggi per manifestare fuori dai carceri dove io ero “prigioniero”… a tutti/e voi dico che

(vi voglio bene) una per una, uno per uno vi abbraccio con tutto l'amore del mondo, e ci vedremo presto fuori.
Abbraccio tutti/e al Cabana-Kavarna.- Louise Michel- Rebeldies – Senza Pazienza ecc., ecc., e in particolare

tutte/i del collettivo di OLGa.
Un abbraccio a tutti/e i/le compagni/e prigionieri in AS2, al 41bis e nei circuiti differenziati, e un

“vaffa....o” a quei “vermi” che per anni mi hanno fatto sparire la posta, con l'auspicio che vi possano cadere

le mani “uomini di merda”… A tutti/e i miei compagni/e detenuti e prigionieri voglio ricordare che chi si

ribella non è solo/a, che tutti/e noi sosterremo sempre le lotte di chi non si rassegna e non vuole

compromessi…
Quando mi avevano mandato a Poggioreale al 14bis mi aveva detto il direttore di Opera, che mi avrebbe fatto

“murare vivo”… è vero che lo hanno fatto, ma anche lì non ho mai smesso di lottare, al contrario, ho lottato

ancora di più del solito, e quelle merde a Poggioreale, non riuscendo ad intimorirmi mi hanno fatto dieci

denunce… (sono ancora vivo) e, vedendo come picchiavano i detenuti mi ha dato ancora più forza per non

retrocedere di un solo millimetro nelle lotte (25 anni sempre ribelle).
Buon anno e buone lotte a tutti/e da uno spirito ribelle anarchico. Maurizio [A cerchiata].
Un abbraccio a tutti/e i/le compagne/i in isolamento 14bis.

3 dicembre 2018
Maurizio Alfieri, via dei Prati Nuovi, 7 - 27058 Voghera (Pavia)

***
Ciao a tutti, sono Giovanni Lombardi, ci sono state delle novità da parte di questa direzione dopo il mio

ultimo scritto. Hanno proposto per la mia condotta l'applicazione del 14bis che il Dipartimento non ha esitato

a notificarmi il 24-09-2019, con toni pacifici ed educati avevo chiesto di essere allocato in stanza singola,

essendo ergastolano e già espiato 33 anni di carcere.
Mi fu risposto che non avevano la possibilità di evadere la mia richiesta. Sempre in modo pacifico chiesi di

essere allocato nel reparto di isolamento “in modo volontario” in attesa che si liberasse una stanza. E da

allora mi trovo in isolamento.
Dopo una decina di giorni mi fu chiesto se volevo salire in sezione, alla risposta che non avevano liberato la

stanza, risposi no! Dire no mi è costato 15 giorni di isolamento; scontati, sono ritornati a pormi la stessa

domanda e alla risposta che non avevano liberato una stanza, risposi di nuovo di no! E avere questo secondo no

mi è costato 15 giorni di isolamento. Tutto accadeva in toni cordiali e pacifici da parte di entrambi; loro

mai si sono permessi di usare toni aggressivi e tantomeno io.
Dal 22 novembre in poi non mi hanno più cercato, mentre io sono continuato a rimanere in isolamento, nel

frattempo, mi facevano fare vita in comune con quelli del mio stesso regime, l'AS1. Il 29-01-2019 mi è stato

notificato il provvedimento del 14bis per una durata di tre mesi.
Normalmente il 14bis lo si notifica a chi ha comportamenti aggressivi o che viene denunciato perchè manda un

operatore in ospedale, sfascia una stanza, tenta un'evasione etc. etc. Questo provvedimento mi è stato

notificato come monito agli altri detenuti: “Se richiedete voi ergastolani con insistenza, vi tocca il 14bis”!
Evidentemente il cambio di direzione che ultimamente c'è stato al Dipartimento ci ha regalato come dirigenti

elementi oppressi e perseguitati da ricordi delle loro infanzia. I tempi dei loro primi passi nella scuola

materna avranno avuto dei maestri severi, e tutta questa frustrazione che li accompagna da una vita ricade su

di noi.
Non esiste nella storia carcerari che un carcerato subisca un provvedimento di restrizioni per monito agli

altri. Cosa da manicomio, e questi sono genti da ricovero, per fortuna loro i manicomi sono chiusi, e i Rems

non li accettano come pazienti.
Beh! Vi ringrazio per lo sfogo. Vi saluto tutti con un forte abbraccio!

Inizio febbraio 2019
Giovanni Lombradi via Prati Nuovi, 7 - 27058 Voghera (Pavia)


Lettera dal carcere di Monteacuto (AN)
Compagni di Lotta Continua e nuovi orizzonti, grazie per l'invio del materiale informativo e del libro.
L'altroieri hanno portato qui nel 4° padiglione un uomo di nazionalità serba. Dopo 10 minuti l'hanno

scarcerato, dicendogli che si erano sbagliati. Ma si rendono conto come stanno combinati questi? L'uomo, che

appena portato nel padiglione, era smarrito e si guardava intorno come se fosse in un incubo. Era un semplice

motociclista che dalla Serbia è venuto a fare un giro in Italia. Scambio di persona, hanno detto. Roba da

fuori di testa!
E' scoppiato a piangere quando sono venuti a scarcerarlo. Un pianto dirotto che descriveva l'orrore che arriva

quando ti rendi conto che la libertà ti è stata limitata anzi tolta. A pugno chiuso e con un sorriso, Marco.

20 dicembre 2018
Marco Ricci, via Montecavallo 73/A - 60129 Ancona


Cpr (Centri di Permanenza per il Rimpatrio), rivolte e resistenze
Al Cpr di Bari Palese, nel mese di dicembre 2018, ci sono state rivolte e tentativi, purtroppo falliti, di

fuga. Il 14 dicembre, alcuni reclusi hanno incendiato le celle, devastato alcune stanze contenenti documenti e

allagato i corridoi per evitare deportazioni di massa verso la Nigeria. Due giorni dopo, alcuni detenuti hanno

incendiato un paio di materassi affumicando uno dei moduli.
Un volo di deportazione verso la Nigeria ha provocato la reazione e la rivolta anche nel Cpr di Palazzo San

Gervasio, in provincia di Potenza. Nella notte del 21 dicembre, l’irruzione delle forze dell’ordine nelle

celle per prelevare 6 persone (da trasferire al CPR di Ponte Galeria a Roma al fine della deportazione) ha

trovato la resistenza solidale di almeno 15 loro compagni di prigionia. I reclusi hanno divelto le finestre,

distrutto i fari d’illuminazione e si sono arrampicati sui tetti della struttura, lanciando oggetti per

difendersi dai tentativi di cattura. Purtroppo la rivolta si è conclusa con l’arresto di due persone, accusate

di violenza e resistenza a pubblico ufficiale e danneggiamento aggravato.
Lunedì 17 dicembre nel Cpr di corso Brunelleschi i reclusi hanno dato inizio a uno sciopero della fame contro

le condizioni di detenzione e in particolare contro la mancanza di acqua calda. In alcune aree il cibo, oltre

a essere rifiutato, è stato lanciato contro la polizia accorsa per controllare la situazione. Il mercoledì 19,

quattro reclusi dell’isolamento ancora in sciopero della fame decidono di fermarsi al campetto rifiutandosi di

rientrare, mentre un loro compagno è arrampicato sul tetto della sezione isolata.
Il 18 dicembre tutte le donne recluse a Ponte Galeria (Roma) hanno deciso collettivamente di rifiutare i

pasti, spinte dal cibo scadente e sempre uguale che propinano loro e, più in generale, dalla violenza della

detenzione che vivono quotidianamente.
Nel Centro di detenzione per immigrati di Vincennes in Francia, dal 3 gennaio è cominciato uno sciopero della

fame collettivo nell’edificio A2. La stessa sera è stato pubblicato un comunicato che faceva appello alla

solidarietà fuori dal carcere.
Il 7 gennaio, un presidio di solidarietà all’esterno di una sessantina di partecipanti ha mostrato a chi era

in sciopero della fame che non era solo. Nello stesso tempo si manifestava anche negli edifici A2 e B2.
Nei giorni successivi la lotta nei centri di detenzione ha continuato e si è estesa. I prigionieri nel CRA di

Oissel (Rouen) il 14 gennaio 2019 in un Comunicato dicono: “ Noi, reclusi del centro di detenzione

amministrativa n° 2 di Mesnil Amelot (nei pressi dell’aeroporto Charles de Gaulle a Ile de France), abbiamo

deciso prima della cena dell’8 gennaio di portare avanti uno sciopero della fame per almeno due giorni.
Abbiamo chiesto al CRA n° 3 e alla sezione femminile di fare la stessa cosa a partire da domattina.
Qui le condizioni di isolamento sono disastrose, il cibo è immondo; per andare in infermeria è necessario fare

la fila e fa molto freddo a causa dell’inverno. Le infermiere sono arroganti e generalmente danno solo

paracetamolo e quando hai qualcosa di rotto non ti bendano… ti danno solo una pomata”.
Il 18 gennaio i reclusi di Mesnil Amelot (al CRA3) scrivono un comunicato per denunciare la situazione che

vivono.
“Siamo dei reclusi del CRA3 di Mesnil Amelot. Vogliamo denunciare quel che succede. Qui ti legano come un

animale quanto ti rispediscono indietro. Quanto alle condizioni del centro, ci sono troppi problemi: i bagni,

il mangiare, le docce… Tuttavia, la cosa più importante sono i voli nascosti. Chiediamo di poter veramente

fare domanda d’asilo quando lo si vuole. Nulla va bene qui dentro. Tutti i casi sono differenti ma per tutti

c’è un unico problema: la prefettura. I poliziotti ci maltrattano. Non ci sono dei veri medici quando sei

davvero malato. Ti danno solo del paracetamolo. Quando sei malato, ti possono arrestare mentre vai in

ospedale, e poi sei nelle loro mani. Ci catturano dovunque: andando in ospedale, uscendo di casa, sui mezzi di

trasporto.
Non domandiamo altro che rispetto e libertà!
Chiediamo anche al prefetto di dire ai suoi poliziotti di comportarsi bene.
I voli nascosti qui sono un vero problema: ti legano, talvolta di mettono un casco.
La vita che facciamo qui dentro è impossibile.
Domandiamo la fine della procedura di Dublino, dei processi veloci, la fine degli arresti domiciliari. Il

mangiare, quando te lo passano, è minimo andato a male. Il cibo è vecchio di almeno 5 giorni e lo riscaldano

al microonde. È pieno di persone qui che arrivano anche a non mangiare per niente.
Bisogna smettete di parlarci del paese dei diritti umani, è la Francia che ha colonizzato noi. I francesi che

vivono da noi non finiscono in un centro di reclusione. Ci vogliono espellere in base a quanto stabilito dallo

Stato, dai giudici e dai procuratori. Se ne fregano di noi. Ci portano direttamente qui e dimenticano le

nostre storie. Gli avvocati assegnati d’ufficio non fanno il loro lavoro. I giudici ti dicono solo

“prorogato”!
Il giudice è sempre dalla parte del prefetto.
Noi chiediamo:
– Vero accesso alle cure
– La fine della procedura Dublino e delle procedure accelerate.
– La fine dei voli nascosti.
– Del buon cibo.
– La fine degli arresti domiciliari – La libertà per tutti
Invitiamo tutti i reclusi del CRA a lottare come possono e a dimostrare il massimo della solidarietà

dall’esterno!
Dai reclusi del CRA3”.
Gli sbirri hanno capito la pericolosità di uno sciopero della fame che si estende da CRA a CRA e fanno

pressioni e minacce, in particolare a chi viene considerato leader delle proteste. Divieto di visite se i

detenuti non riprendono a mangiare, trasferimento punitivo a Marsiglia lontano dalla famiglia… Uno dei

prigionieri di Oissel ha anche raccontato una violenza che di solito passa sotto silenzio: le aggressioni

sessuali dei poliziotti. Nel comunicato di Mesnil, i prigionieri testimoniano di una vittima di una violenza

sessuale da parte della polizia, che da quel momento è stata deportata.
La solidarietà è giunta da diverse parti anche in Italia, dalle nevi dei confini alle città come Bologna
L’8 gennaio, un uomo marocchino, portato dal Cpr di Torino all’aeroporto di Caselle per essere deportato,

sfugge ai controlli e attraversa la pista di decollo per arrampicarsi infine su una torretta. La normale

attività dell’aeroporto resta bloccata per un’ora con voli deviati. Ottenute le rassicurazioni che pretendeva,

l’uomo è sceso dalla torretta ed è stato portato in questura.
Nella serata di martedì 15 gennaio un uomo egiziano si è gettato dal portellone di un volo in partenza da

Malpensa per poi fuggire sulla pista provocando la chiusura dello scalo internazionale. Era giunto da Dakar e,

mentre era in transito, è stato fermato per un controllo. Non aveva con sé i documenti quindi è partita la

procedura di respingimento. Nella stessa notte è stato poi rintracciato e preso a Samarate (Va).

tratto da autistici.org/macerie e hurriya.noblogs.org

***
CHIAMATA PER UN’ASSEMBLEA
CONTRO CPR E RAZZISMO DI STATO
La realtà attorno a noi si fa sempre più opprimente: leggi liberticide, attacco alle componenti organizzate e

combattive della società, guerra ai poveri, potenziamento del sistema di contenimento e delle espulsioni,

nuovi strumenti repressivi in mano alle forze dell’ordine, creazione di un clima di paura e rancore e la

reazione che accumula consenso attorno allo Stato a tutto vantaggio della ristrutturazione capitalistica in

corso. Più lo Stato è forte, meno saremo liberi e oggi lo Stato è chiaramente in fase di rafforzamento.

All’orizzonte si intravede la formazione di un vero e proprio stato di polizia, in cui nessuno, anche se con i

documenti in regola, sarà davvero al sicuro. In tutto questo, nonostante la gravità della situazione, nulla

sembra davvero muoversi.
Pensiamo che un’opposizione all’attuale svolta reazionaria e autoritaria possa partire da un tema d’attacco

che ben conosciamo, ma che attualmente sta cambiando e che necessita di aggiornamento: i centri di detenzione

per migranti, i CPR. Ancora oggi i CPR rappresentano un tassello essenziale per la sopravvivenza dello Stato

nella sua forma attuale e l’attenzione che il precedente governo e quello attuale hanno dato a queste

strutture lo testimonia: lo Stato ha ben presente i molteplici usi che possono avere.
Innanzi tutto va constatato un tentativo di potenziamento della capacità d’internamento dello Stato, che

testimonia la volontà di rendere il sistema delle espulsioni più efficiente, aumentando dunque le future

deportazioni. Essa, per altro, si esplicita attraverso la possibilità (espressa nella legge 132) di far

proliferare con estrema facilità luoghi di detenzione amministrativa su tutto il territorio. Il CPR è dunque

solo lo spazio in cui tale logica è più manifesta e stabile.
In seconda istanza questi luoghi sono necessari alla creazione di un nemico che ha sempre più le fattezze del

nemico oggettivo, lo straniero da identificare, internare e respingere per salvaguardare la società fragile.

Il discorso razzista, l’imposizione di un clima di guerra fra autoctoni e stranieri e dunque il frazionamento

del campo degli sfruttati non potrebbe funzionare senza suddette strutture.
Se da una parte il CPR è la manifestazione più palese della direzione verso cui cammina lo Stato da anni e di

logiche già avallate da governi precedenti o di altri paesi europei, l’attuale governo, avendo la forza di

sbattercelo in faccia e metterlo nero su bianco, sta sicuramente attuando una marcata svolta autoritaria, che

non possiamo non riconoscere.
Il CPR per l’Emilia Romagna, secondo quanto dichiarato dal Ministro dell’Interno, aprirà a giugno a Modena. Si

tratta dell’ex CIE di via Lamarmora, chiuso in seguito alle numerose rivolte degli internati. Attorno a questa

specifica situazione e alla generale necessità di organizzarsi in modo allargato sulla lotta contro i CPR e il

razzismo di Stato abbiamo deciso di indire un’assemblea fra realtà e individualità anarchiche e

antiautoritarie che anche in altri contesti già si fanno carico di lottare contro tutto ciò.
Ci troveremo domenica 24 febbraio, a Bologna, presso lo Spazio di documentazione anarchico “il Tribolo”, in

via Creti 69/2. L’assemblea è prevista per le ore 14, chi volesse venire prima e mangiare qualcosa, già dalle

12.30 troverà la porta aperta.
[L'assemblea del 24 febbraio verrà spostata da Bologna a Torino in solidarietà con lo sgombero e gli arresti,

luogo da decidere.]

Arresti e sgombero dell’Asilo occupato a Torino
Prima dell’alba del 7 febbraio 2019, alle 4.40, si avvertono boati improvvisi su Corso Brescia. Numerosi

agenti in borghese stanno sfondando il cancello dell’Asilo occupato da 24 anni, un minuto ed ecco decine di

camionette, volanti, carabinieri in antisommossa, celerini e finanzieri con il mitra puntato.
I compagni salgono sul tetto, nel tempo di un lampo blu tutta l’ex scuola materna di via Alessandria 12 è

circondata: in atto sgombero e arresti.
C’è un mandato di arresto per 7 compagne e compagni con l’accusa di associazione sovversiva, art. 270, legata

alla lotta contro i Cie e che coinvolge una trentina di compagni. Gli arresti e lo sgombero sono stati a più

riprese richiesti dalla sindaca Appendino e vengono seguiti con attenzione dal Ministro dell’Interno con i

suoi tipici commenti da vigliacco razzista.
Durante la mattina arrivano gruppi di solidali ad Aurora, impossibile avvicinarsi all’Asilo, tant’è che le

forze dell’ordine iniziano presto con inseguimenti e cariche di alleggerimento.
Dopo trentasei ore i compagni scendono dal tetto. Larry viene condotto in arresto per l’accusa di associazione

sovversiva, gli altri raggiungono il presidio sotto all’Asilo. Riferiscono di operai con particolare zelo per

le commesse degli sbirri che lavorano di buona lena per sigillare tutto, murare ogni varco, rendere la

struttura inutilizzabile.
Una resistenza lunga, sul tetto e per le strade, accese durante la giornata da più cortei selvaggi, una

resistenza che andrà avanti nonostante lo sgombero sia stato portato a termine. Ci sono altri fermi e arresti.

Verranno rilasciati in tempi diversi e qualcuno con divieto di dimora.
Per il 9 febbraio viene chiamato un corteo con concentramento in Piazza Castello. Sarà molto determinato e con

vari tentativi di spingersi verso l’Asilo respinti dalle forze sbirresche con cariche, idrante e lacrimogeni

lanciati anche in mezzo alla gente, verso i balconi delle abitazioni. Alla fine ci saranno 12 fermi che

diventeranno 8 arresti con richiesta d’accusa per devastazione e saccheggio, resistenza, porto d’armi e

lesioni. Il questore Messina dice dei compagni arrestati: “sono prigionieri, non arrestati”. Alessandro Ciro

Sciretti, consigliere leghista della circoscrizione 6, invoca contro i manifestanti un po’ di Scuola Diaz.

Salvini vuole “galera per questi infami”.
La mattina del 13 febbraio, dopo l’udienza di convalida tenuta il giorno prima, verranno tutte e tutti

scarcerati con obbligo di firma quotidiana e denuncia per resistenza. Gli altri capi d’imputazione saltano.

***
Comunicato dopo il Corteo di sabato 9 febbraio
“Fanno la guerra ai poveri e la chiamano riqualificazione. Resistiamo ai padroni della città”.
Il corteo di ieri si è concentrato in Piazza Castello dietro a questo striscione. Un corteo folto, vario ma

determinato a rendere concreta e visibile l’ostilità contro coloro che governano e traggono profitto da questa

gestione della città. Un corteo che fin dalla sua partenza ha scandito slogan per ricordare i compagni e le

compagne arrestati in concomitanza allo sgombero dell’Asilo. Sia i sei accusati di associazione sovversiva per

la lotta contro i Cpr, sia i fermati durante la giornata di giovedì.
Il clima che si respirava era quello di un’intensa partecipazione emotiva agli eventi dei giorni passati e di

una rabbia crescente verso la militarizzazione di una consistente parte del quartiere Aurora, una presenza

poliziesca che non accenna a diminuire anche nella giornata di oggi e che ci restituisce il gusto e il senso

di quella tanto agognata “normalità” che la sindaca vorrebbe imporre alla città.
Si è partiti dalla piazza più attraversata di Torino e ci si è diretti dopo un giro in centro verso il mercato

di Piazza della Repubblica, dove il corteo è passato scandendo slogan e incontrando lo sguardo e la curiosità

delle numerose persone che affollano uno dei mercati più popolari della città che sta, però, rapidamente

trasformandosi, come testimoniano le sempre più numerose gru che assediano la piazza e il tentativo di

cacciata di una parte del Balon.
Svoltando in Corso Giulio per dirigersi verso Aurora il colpo d’occhio al serpente del corteo dava l’idea

della partecipazione numerosa e ha fatto prendere consapevolezza che valesse la pena di provarci a tornare

verso l’Asilo, nonostante l’ingente schieramento di polizia.
Infatti il corteo ci ha provato numerose volte a entrare ad Aurora, fronteggiandosi con la polizia, resistendo

ai lanci di lacrimogeni, avanzando e indietreggiano con determinazione, barricandosi con i cassonetti,

provando diverse strade. In zona le vetrate della Smat sono saltate, non c’è tanto da stupirsi se qualcuno se

la prende con chi si fa i soldi con l’acqua arrivando a volte a lasciare interi condomini morosi a secco per

convincerli a pagare.
Dopo questi tentativi il corteo si è nuovamente diretto verso il centro, anch’esso assediato dalle forze di

polizia, e si è scontrato diverse volte per farsi strada nei viali della città, lasciando dietro di sé

barricate di cassonetti in fiamme e autovetture del car sharing in frantumi. Un piccolo saldo in confronto a

quello che la polizia ha fatto in questi giorni, arrestando compagni e compagne, sfondando l’Asilo e

bruciandone i mobili in cortile, impedendo a chiunque di attraversare le strade adiacenti, murandone porte,

finestre e scarichi. Per chi si lamentasse per il pullman della Gtt sfondato, sarebbe il caso di ricordarsi

che di questi tempi dove i mezzi si autocombustionano una volta a settimana, l’episodio specifico non modifica

di molto la tranquillità e l’integrità dei trasporti pubblici torinesi.
Il corteo ha poi svoltato nelle vie di Vanchiglia per concludersi in piazza Santa Giulia, purtroppo un’ultima

carica della polizia in quelle strade ha provocato il fermo di dodici manifestanti e il ferimento di quattro.
Ieri ci hanno impedito di entrare ad Aurora ma non ci siamo certamente rassegnati ad andarcene per sempre.

L’Asilo non sono di certo solo quelle quattro mura ma tutte le relazioni di lotta e di complicità che in

questi anni, tanti anni, si sono create, e i problemi della città non si risolveranno certo, come spera la

sindaca, con uno sgombero. Nelle prossime settimane sarà anche necessario costruire la solidarietà ai compagni

arrestati nella lotta contro i Cpr per continuare a portarla avanti con ancora più convinzione.
Alle ennesime dichiarazioni di Chiara Appendino, che condanna la giornata di ieri in quanto non democratica

ribadendo il suo sostegno alle forze dell’ordine, vorremmo rispondere solo precisando una cosa: noi alla

democrazia di cui tu sei un esemplare esponente non ci siamo mai votati, cercando altresì di combatterla in

ogni modo. Nello sgombero dell’Asilo hai una principale responsabilità, non ti potrai nascondere né di fronte

a questa, né di fronte a tutto il tuo operato politico.
Non finisce qui, il corteo di ieri è solo l’inizio, ora è il momento per far partire una lotta serrata che

dalle ceneri di quest’operazione repressiva faccia nascere un nuovo fiore.

Mercoledì 13 febbraio, gli sbirri caricano sul bus 4 i compagni che si dirigevano in Piazza della Repubblica a

un presidio per poi accerchiarli tra Corso Giulio Cesare e Corso Brescia.
La solidarietà per lo sgombero e gli arresti arriva da ogni dove, Messico, Atene, tante città come Lecco,

Bologna (in un corteo improvvisato vengono infrante vetrate e bancomat di una BMP, una delle banche azioniste

di Alba Leasing, proprietaria dell’edificio del futuro Cpr di Modena), Trento, Milano (attaccata la filiale di

Poste Italiane di via d’Agrate. Rotte a martellate vetrate, porta d’ingresso e sportello bancomat), Roma,

Cagliari, Napoli ecc.
Come a Giambellino (Milano), come a Cosenza un mese fa, l’obiettivo è quello di estirpare chiunque in questo

paese possa rappresentare un’alternativa alla disperazione e alla rassegnazione. Colpire chi rappresenta un

reale ostacolo al dilagare della macchina della paura con la quale si vuole spianare sempre di più la strada

al dominio delle mafie padronali, agli interessi speculativi dei soliti signor Lavazza e Benetton, al tripudio

della schiuma dei nuovi Signori in gialloverde.
L’Asilo rappresenta infatti un problema per chi da anni vuole fare del quartiere di Aurora e limitrofi un

nuovo parco giochi per i grandi immobiliaristi, per chi parlando di riqualificazione sottrae un pezzo di città

ai suoi abitanti per regalarlo alle logiche del profitto. Anni di lotte contro gli sfratti e gli sgomberi,

anni di resistenza alle retate contro i/le migranti, anni di sostegno incondizionato a chi è stato privato/a

della libertà. Anni di repressione, che non ha mai piegato i compagni e le compagne che hanno sempre

resistito.
Il Giambellino a Milano, come Porta Palazzo e il quartiere Aurora a Torino (ma l'elenco completo riempirebbe

un libro), è sotto attacco col Masterplan. La nuova Milano metropolitana in costruzione non riserva alcuno

spazio per chi non è recuperabile in un modello di vita che vuole abitanti disciplinati, produttivi e

disponibili all'investimento e alla "riqualificazione". Per gli altri, per tutti gli uomini e le donne che non

vogliono o non possono permetterselo, semplicemente non ci sarà più spazio. E chi cerca di resistere, chi

coltiva ancora la "nefasta utopia" di praticare le proprie idee e di portare il conflitto nelle strade, invece

di essere spettatore sui social, dev'essere colpito dai rigori della legge.
È finita la pacchia", continuano a ripetere gli ultimi arrivati nel Palazzo. Vedremo poi per chi.
In carcere alle Vallette con l’accusa di associazione sovversiva 270 ci sono ora 6 compagne e compagni. Sono

in isolamento e ovviamente divisi tra loro.
Gli uomini in As2 e le donne in infermeria in attesa di destinazione.
Antonio Rizzo, Lorenzo Salvato, Silvia Ruggeri, Giada Volpacchio, Niccolò Blasi, Giuseppe De Salvatore
C.C. Lorusso e Cutugno via Maria Adelaide Aglietta, 35 - 10149 Torino TO.
Gli arrestati sono tanti, alcuni con accuse gravi che li costringeranno alla detenzione per lungo tempo.

Chiediamo a tutti i solidali un benefit per sostenerli al conto intestato a Giulia Merlini e Pisano Marco IBAN

IT61Y0347501605CC0011856712 ABI 03475 CAB 01605 BIC INGBITD1

La sintesi sopra riportata è frutto di una combinazione e rielaborazione di testi usciti su Macerie e di

comunicati di solidarietà.

Aggiornamenti processi
L’udienza filtro del 25 gennaio 2019 per il processo relativo al primo troncone sui fatti del Brennero

(manifestazione contro le frontiere del 7 maggio 2016) è stata rinviata al 10 maggio per difetti di notifica.

Gli imputati sono 64 e i reati riguardano: travisamento, interruzione di pubblico servizio e radunata

sediziosa. Probabilmente in quella data verrà fissato il calendario delle udienze di dibattimento.
È stata fissata per il 12 aprile 2019 alle 9.30, al tribunale di Bolzano, l'udienza preliminare del secondo

troncone del processo per i fatti del Brennero. Gli imputati sono 63. I reati, distribuiti tra i vari

imputati, sono: radunata sediziosa, devastazione e saccheggio (28 inquisiti), furto aggravato, interruzione di

pubblico servizio, resistenza aggravata, lesioni aggravate, violenza privata, porto di strumenti atti a

offendere e travisamento. La notifica consta di 60 pagine.

***
11 FEBBRAIO 2019 ORE 9.00
PRESENZA SOLIDALE IN AULA PROCESSO “SCRIPTA MANENT”
La prima parte del processo per l’operazione “Scripta Manent”, che da più di due anni vede sette tra compagni

e compagne rinchiusi in carcerazione preventiva, giungerà alla conclusione nei primi mesi del 2019, con la

sentenza di primo grado.
L’inchiesta fa riferimento ad una serie di attacchi a firma FAI e FAI/FRI avvenuti fra il 2003 ed il 2012

contro le forze armate (questori, caserme dei carabinieri ed allievi carabinieri, RIS), uomini di stato

(sindaci, ministro degli interni), giornalisti, ditte coinvolte nella ristrutturazione dei CIE ed un direttore

di un centro di reclusione per migranti.
Rientra nell’inchiesta anche il ferimento dell’ing. Adinolfi, AD di Ansaldo Nucleare, già passato in giudicato

e rivendicato come Nucleo Olga FAI/FRI da Nicola e Alfredo già in carcere dal 2012.
Si contesta a vario titolo la costituzione e la partecipazione ad associazione sovversiva (270 bis), alcuni

reati specifici (280 cp) nonché istigazione a delinquere ed apologia di reato (414 cp) per articoli, siti,

blog e progetti editoriali anarchici.
Questo processo si è distinto per aver utilizzato il dibattito interno al movimento anarchico in un

orchestrato gioco di interpretazioni e differenziazioni che il PM di turno cerca di utilizzare contro gli

anarchici stessi, cercando di condannare i nostri compagni e processare gli ultimi vent’anni di storia

dell’anarchismo e della solidarietà anarchica.
Infatti, si continuano ad aggiungere ai faldoni processuali tutte le manifestazioni di solidarietà espresse su

siti internet, opuscoli, giornali e manifesti.
Dal canto nostro non possiamo che ribadire il nostro sostegno ai compagni processati ed alle pratiche di cui

sono accusati, la storia del movimento anarchico sul banco degli imputati è la storia di tutti noi.
Esprimiamo la nostra solidarietà agli imputati e la nostra rabbia ed il nostro disprezzo verso inquisitori

tutti!
Per tutti questi motivi saremo presenti in aula durante la requisitoria di Sparagna, per sottolineare il

nostro odio per lui e per tutti gli apparati repressivi e la nostra vicinanza agli imputati.
LIBERTA’ PER ANNA, MARCO, SANDRO, DANILO, VALENTINA, ALFREDO E NICOLA
11 FEBBRAIO ORE 9.00
AULA BUNKER DEL CARCERE LE VALLETTE DI TORINO


254 palestinesi assassinati – 23 mila feriti nelle manifestazioni a Gaza
Tra quelli assassinati, 44 erano bambini e quattro erano donne”.Nel rapporto ONU è stato sottolineato che

“23.603 Palestinesi sono stati feriti nello stesso periodo, quasi tutti durante la Grande Marcia del Ritorno,

compresi 5.183 bambini, 464 bambine e 1.437 donne”.
Un bambino e un adolescente, Hassan Shalabi e Hamza Eshtewi, di 14 e 17 anni, hanno finito l’8 febbraio la

loro vita al “confine” di Gaza, nel 46° venerdì della “Grande marcia del ritorno.” Un infermiere che stava

vicino ad Hamza ha testimoniato che il ragazzo è stato colpito a sangue freddo, probabilmente senz’altro

motivo che quello di soddisfare il capriccio e l’odio di un assassino in divisa militare.
Facciamo un piccolo passo indietro affinché sia chiaro perché tanta ferocia, tanto sangue palestinese. Come

ricorda in un suo articolo una giornalista che segue quasi quotidianamente la Grande Marcia, “Gershon Mesika

il Presidente del Consiglio Regionale di “Giudea e Samaria”, venne in Italia nel 2012 invitato

dall’eurodeputato leghista Fiorello Provera ( allora vice presidente del Parlamento europeo e sostenitore dei

coloni ). Nel suo discorso pubblico dichiarò che Israele “e tutti gli ebrei” dovevano rispettare le

indicazioni del profeta Geremia e non certo la legge dei “gentili”, cioè della gente “non ebrea”. . Per questa

stessa logica non ci saranno killer arrestati per aver ucciso Hamza e Hassan, né gli altri circa 260 martiri

della grande marcia, né gli altri martiri in tutta la Palestina; probabilmente gli assassini avranno medaglie

e promozioni. Il sangue gazawi versato ogni venerdì nella Striscia di Gaza rende bene il concetto: i

palestinesi vengono feriti e uccisi impunemente mentre chiedono il ritorno nella loro terra usurpata da

settant’anni e mentre la propaganda sionista, nonostante un quotidiano di furti, crimini e soprusi sia

accompagnato dal silenzio internazionale, costantemente lavora per il riconoscimento di “Israele vittima”, di

“unica realtà democratica nel Medioriente”. Il tutto perfettamente in linea con il progetto sionista di

cancellazione della Palestina e dei palestinesi, considerati “materiale umano” sul quale sperimentare i

prodotti dell’industria militare israeliana.
Ma non c’è solo quanto succede a Gaza, anche in Cisgiordania la situazione è ugualmente grave. Riprendiamo una

notizia dell’agenzia PIC e QUDS Press e riportata da Infopal.
“Venerdì sono scoppiati scontri violenti tra le forze di occupazione israeliane (IOF) e palestinesi in tutta

la Cisgiordania in segno di protesta contro le politiche di confisca e insediamento di Israele. A Ramallah gli

scontri hanno avuto luogo nell’area di Jabal Risan, dopo le preghiere del venerdì, per protestare contro gli

ordini di confisca israeliani. L’esercito ha fatto uso di bombe di gas lacrimogeni e proiettili letali in

metallo rivestiti di gomma. Negli ultimi sei mesi, Israele ha iniziato a livellare i terreni palestinesi a

Jabal Risan come preludio per la confisca. Sempre a Ramallah, sono stati segnalati scontri tra giovani

palestinesi e soldati israeliani nella città di Ni’lin. I soldati israeliani hanno lanciato bombe di gas

lacrimogeno e proiettili di gomma contro i giovani. A Qalqiliya, diversi palestinesi sono rimasti feriti dopo

che le forze israeliane hanno soppresso la marcia settimanale di Kafer Qadum. Un attacco simile è avvenuto

nella città di Beit Fujar, a sud di Betlemme, quando l’esercito israeliano ha attaccato diversi palestinesi

mentre piantavano alberi nelle loro terre agricole. Nel frattempo, le forze israeliane hanno chiuso due

check-point militari in entrambe le direzioni, bloccando il passaggio palestinese tra Nablus e Qalqiliya.”
L’espansione delle colonie dunque non solo continua con la copertura complice della comunità capitalistica

internazionale, ma nei mesi scorsi è stata presentata alla Knesset anche una petizione fatta da decine di

ministri israeliani e funzionari del partito Likud e di altri partiti di destra, per insediare due milioni di

ebrei nei territori della Cisgiordania occupata. Nel documento proposto si intende promuovere un piano di

occupazione già introdotto sotto il governo Shamir nei primi anni ’90 e fra le varie dichiarazioni di

“fedeltà” (esempio: Mi impegno a non cedere neanche un centimetro dell’eredità dei nostri antenati) ce n’è una

ancora più esplicita e significativa: Mi impegno ad agire per cancellare la dichiarazione “Due stati per due

popoli” e sostituirla con la dichiarazione “La terra di Israele: un paese per un popolo”… (“quello sionista”).
Per dare un quadro completo della situazione proprio perché non esistono singoli contesti da analizzare

separatamente, vogliamo fornire alcuni elementi di riflessione anche sulla questione prigionieri.
Secondo i dati di Gennaio forniti da Addameer, un organismo palestinese fondato nel 1992 per seguire i

detenuti, questi sono i numeri
5450 – Totale prigionieri politici
495 – In detenzione amministrativa, di cui 5 membri PLC
215 – minori, di cui 43 under 16
53 – donne
70 - provenienti dai Territori del 1948
353 - prigionieri di Gerusalemme Est
298 – prigionieri a Gaza
8 - Palestinian Legislative Council members
Negli anni c’è stata un’intensificazione delle violenze contro i prigionieri politici palestinesi, con aumento

delle punizioni collettive e delle incursioni notturne nelle celle, dell’uso dell’isolamento e delle ordinanze

militari, tra cui la famigerata 1651 che, tra le altre cose, prevede anche la detenzione e la tortura per i

bambini minori di 16 anni.
Gli arrestati vengono processati in due tribunali: quello di Salem e quello di Ofer, ambedue in territorio

palestinese, ma entrambi militari. Questi, grazie alla legge marziale in vigore, hanno una competenza molto

estesa; esempio: sventolare una bandiera Palestinese è un reato.
L’ordinanza militare 101, invece, in nome del divieto di qualsiasi azione che incita e promuove la propaganda

ostile, vieta qualsiasi assembramento, corteo, pubblicazione che abbiano valenza politica e viene applicata

anche ad incontri che si svolgano in private abitazioni.
Una pratica che viene sempre più frequentemente usata dall’esercito israeliano, è quella delle incursioni, in

genere notturne, nelle case e nei villaggi, seminando paura nel mezzo della notte e che culminano con

perquisizioni atte semplicemente a distruggere le case stesse.
Queste le notizie generali che servono a capire in quali condizioni si sviluppa comunque l’eroica resistenza

dei palestinesi. A gennaio oltre 1.200 prigionieri palestinesi nella prigione israeliana di Ofer hanno

iniziato uno sciopero della fame a tempo indeterminato, in segno di protesta contro le continue violenze ma

soprattutto dopo l’assalto della polizia militare speciale alle celle. Secondo l’agenzia Shebab News “150

prigionieri palestinesi sono stati feriti dei quali: sei prigionieri hanno subito fratture, 40 sono rimasti

feriti alla testa e gli altri hanno riportato varie ferite causate dall’uso di proiettili di metallo rivestiti

di gomma e di gas lacrimogeni. I prigionieri rifiutano il cibo e le offerte dell’amministrazione penitenziaria

a incontrare rappresentanti dei detenuti, a meno che tutte le fazioni non siano rappresentate.”
Abbiamo cercato di tracciare a grandi linee la complessità della situazione, consapevoli che non si può

affrontare tutto in poche pagine anche perché la Palestina fa parte di un’analisi più ampia che riguarda

l’intero Medio Oriente e le dinamiche dell’imperialismo, di una cosa siamo certi che per dare una concreta

solidarietà internazionalista alla loro lotta, dobbiamo continuare a lottare “in casa nostra” contro le

politiche fasciste e filo sioniste del governo italiano, non certo diverso da quelli che l’hanno preceduto.

Fronte Palestina - Milano