indice n.134

SPUNTI DI RIFLESSIONE E DI ANALISI POST CAMPEGGIO no muos
dalle lotte dentro e contro i campi di internamento per migranti
APPROVATO l’ennesimo decreto sicurezza
sullo sciopero nelle carceri u.s.a.
da ALCUNE LETTERE DAL CARCERE DI CREMONA
Lettera dal carcere di Verona
Lettera dal carcere di augusta (sc)
Lettera dal carcere di uta (ca)
RESOCONTO UDIENZE APRILE-LUGLIO processo “SCRIPTA MANENT”
RESOCONTO DELLA GIORNATA DI LOTTA A L’AQUILA
Lettera dal carcere di Massama (or)
Lettera dal carcere di Caltanissetta
lettera dal carcere di trieste
lettere dal carcere di montacuto (an)
comunicato dal carcere di napoli-poggioreale
lettera dal carcere di voghera
Carcere di Lecce: Nuovo padiglione e Polo psichiatrico


SPUNTI DI RIFLESSIONE E DI ANALISI POST CAMPEGGIO no muos
Condividiamo di seguito la nostra riflessione sugli obiettivi raggiunti, le criticità e gli auspici per il lavoro futuro venuti fuori dal campeggio tenutosi in Contrada Ulmo di Niscemi dal 2 al 5 agosto.
Alla fine del campeggio No Muos dello scorso anno ci si era lasciati con diverse proposte e in particolare si erano affermate due necessità: accendere i riflettori sulla tendenza alla guerra (per quel che concerne l’Italia) e fare in modo di accrescere la partecipazione per il campeggio dell’anno successivo. Seguendo questi fari individuati collettivamente, siamo stati presenti alla contestazione per il passaggio del Giro d’Italia, strumentalizzato quest’anno dalla propaganda filoisraeliana.
Abbiamo realizzato il Tour No Muos, girando in diversi luoghi dell’Italia dove abbiamo parlato di antimilitarismo e presentato l’opuscolo “No MUOS, le ragioni di una lotta”.
Siamo stati presenti nei territori con diverse manifestazioni, urbane e non, particolarmente in prossimità di quest’ultimo campeggio (in val di susa con uno spezzone al corteo No Tav, dunque a Niscemi, Sigonella, Ragusa e Caltagirone).
Durante questo anno trascorso abbiamo analizzato: da una parte, la crescente tendenza alla guerra generata da un sistema capitalistico in irreversibile crisi, che vede l’Italia protagonista su due fronti – quello esterno con le missioni militari in Africa, Medioriente, Asia e quello interno con l’utilizzo di fondi pubblici destinati al sociale stornati per le spese militari; dall’altra, il diffondersi dell’ideologia della guerra, questione divenuta martellante nei luoghi della formazione, scuole e università italiane. Questi gli argomenti affrontati anche al campeggio di quest’anno. Il carattere che si è dato è stato di due tipi: informativo (mediante assemblee) e formativo (mediante workshop).
Il confronto ai tavoli di lavoro ha portato a due risultati: un avanzamento nella progettualità del lavoro politico degli studenti che si sono dati degli appuntamenti in autunno, una manifestazione contro la guerra e una serie di attività di controinfomazione e di contrasto agli eventi di propaganda bellicista; la volontà di creare una piattaforma di contatto con alcune realtà antimilitariste attorno al Mediterraneo per continuare la lotta alla guerra imperialista di cui il Muos è uno degli strumenti più evidenti.
Dal tavolo sulla questione internazionalista, in cui è stato trattato il tema della Palestina e del Kurdistan, è venuta fuori l’esigenza di continuare il dibattito con ulteriori incontri che avranno luogo in autunno e che avranno in particolare modo come oggetto la questione politica in America Latina oltre che rimarcare sulla questione palestinese e curda.
Al campeggio di quest’anno si è svolta la prima assemblea di sole donne durante la quale si è deciso che il gruppo delle mamme no muos si apre ad una riflessione coinvolgendo tutte le donne del movimento; entro l’autunno si farà un incontro in Sicilia di due giorni di formazione; il 6 e 7 ottobre una delegazione di donne No Muos sarà presente a Francoforte al convegno mondiale di Jineoloji, organizzato dalle donne curde, per portare un contributo rispetto alle questioni della guerra e dell’ecologia.
Un altro aspetto assolutamente positivo registrabile da questo campeggio è la fermezza con la quale sono state portate avanti azioni di diverso tipo contro la militarizzazione nel niscemese. Lo smantellamento della base è stato e continua ad essere un obiettivo del Movimento No Muos. Molto ha influito la presenza di tant* compagn* sia al campeggio che alla manifestazione.
Durante i 4 giorni hanno partecipato oltre 200 persone provenienti sia dall’estero che da diverse parti d’Italia, di cui circa 80 gli studenti. Si è data una buona risposta anche nei confronti di chi, qualche giorno prima del campeggio, aveva voluto intimidire provando a dare fuoco al presidio. Ed un segnale importante è stato dato contro chi ha provato ad arrestare Turi Vaccaro l’ultimo giorno, appena fuori dal presidio, facendo un determinato cordone di compagn* per proteggerlo e consentendogli di scappare sottraendosi alla digos (Turi sarà poi arrestato in serata, lontano dal campeggio).
Da rilevare che sabato 4, in contemporanea al corteo, a Novara si è svolto un partecipato presidio solidale col movimento NO MUOS da parte di realtà piemontesi.
Accanto a questi risultati positivi, riscontriamo una criticità: lo scarso coinvolgimento del paese di Niscemi alle giornate del campeggio e alla manifestazione che ci fa sempre più maturare la convinzione di essere più presenti a Niscemi, sfruttando il fatto di avere una sede in paese che dà visibilità al Movimento No Muos, supportando il lavoro degli studenti sul territorio – soprattutto vista la volontà statunitense di svolgere dei lavori di consolidamento della base a fronte delle condizioni estremamente problematiche in cui versa Niscemi e non solo.
A campeggio concluso, non possiamo che invitare tutte e tutti a seguire costantemente i nostri canali di informazione – per rimanere aggiornat* su una lotta che sempre più assume un altissimo valore simbolico, una lotta che diviene centrale nella fase che stiamo attraversando – al fine di organizzarsi per promuovere e concretizzare l’opposizione al MUOS e a tutto ciò che rappresenta.
Movimento No MUOS
6 settembre 2018, da nomuos.info

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Libertà per Gianfranco Castellotti arrestato dalla polizia di Erdogan
Il nostro amico e compagno Gianfranco Castellotti, instancabile attivista internazionalista impegnato per molti anni nella difesa dei militanti della sinistra turca, è stato fermato stamattina nel Centro Culturale Idil di Okmeydan/Istanbul insieme ad altri sette oppositori turchi.
Era in Turchia per seguire il processo ai nove musicisti del leggendario gruppo musicale Grup Yorum in prigione da quasi un anno.
Nonostante i suoi problemi di salute e nonostante l’inasprimento della repressione in Turchia, Gianfranco Castellotti è sempre stato al fianco dei suoi compagni turchi: negli incontri di sostegno alle famiglie dei manifestanti uccisi durante la rivolta di Gezi, nei sit-in degli insegnanti colpiti dalle purghe del regime, al processo agli avvocati dell’Associazione dei giuristi progressisti e dell’Ufficio degli avvocati per il popolo, ai concerti e ad altre attività politiche e culturali organizzate da Grup Yorum.
Conosceva i rischi che avrebbe corso recandosi in Turchia, ma tirarsi indietro era per lui fuori discussione. Aveva bisogno a tutti i costi di trasmettere il suo calore umano e il suo spirito combattivo ai militanti rinchiusi nelle fredde celle delle prigioni di tipo F.
Al momento, Gianfranco Castellotti è stato privato della libertà e delle medicine. La sua detenzione potrebbe durare diversi giorni a causa del regime d’emergenza attualmente in vigore in Turchia.
Noi, firmatari di questa lettera, chiediamo al governo italiano di mettere in atto ogni sforzo possibile per ottenere l’immediato rilascio del nostro amico Gianfranco Castellotti e il suo rimpatrio nelle migliori condizioni.
Anti-Imperialist front - Italia
E compagne e compagni solidali di Massa Carrara e della Toscana
5 ottobre 2018, da contropiano.org


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perquisizioni antiterrorismo in sardegna
Sabato 15 Settembre 2018 la digos di Nuoro si é presentata a casa mia con un decreto di perquisizione locale e personale per il reato di cui all’art.270 bis c.p., commesso a Nuoro e in Siria dall’Agosto 2017 a tutt’oggi. Mi son stati portati via computer, pen drive, un quaderno di appunti, tre libri, cd e foto.
Ad oggi non ho particolari notizie, se non che questa inchiesta andava avanti da diverso tempo, con intercettazioni ambientali e pedinamenti.
Perchè questo intervento della magistratura avviene in Sardegna e perchè ora? Si vuole colpire la solidarietà internazionale? I movimenti sociali in Sardegna?
Non sono ancora chiare quali, dicibili o indicibili, siano le motivazioni del p.m. Danilo Tronci. Alla base della tesi accusatoria vi è l’accusa di aver in qualche modo fatto parte delle Ypg, che sarebbero una costola del Pkk, considerata organizzazione terroristica dagli stati occidentali. Chiaramente è un interpretazione grossolana e ignorante, o semplicemente di comodo, pare copiata pari pari da qualche dichiarazione del governo turco.
In medio oriente è da anni in corso una lotta brutale, in cui sono inseriti a pieno titolo gli interessi geopolitici ed economici dello stato italiano e degli alleati.
Le popolazioni della Siria del Nord esposte all’attacco delle milizie Jihadiste e di diversi eserciti “regolari”, hanno due scelte, fuggire in un qualche campo profughi in attesa di tentare di arrivare in Europa o resistere. Nascono cosi le YPG unità di difesa del popolo, dall’auto organizzazione delle popolazioni e dalla volontà di difendere le conquiste sociali della rivoluzione. Rivoluzione sempre minacciata dai suoi vicini autoritari, che la soffocherebbero volentieri nel sangue. Alimentando poi quel flusso di profughi che in Europa viene cavalcato per produrre svolte sempre più autoritarie.
Secondo il ragionamento di questo magistrato difendere le proprie case e la popolazione civile dagli attacchi dei peggiori tagliagole del medio oriente è terrorismo, per me è resistenza nel senso più nobile del termine. E’ dovere e interesse nostro, nonostante tutti i nostri e i loro limiti, sostenere questa resistenza.
Sottostare a dittature fascistoidi, laiche o integraliste che siano, o liberare le energie sociali e prendere in mano il proprio destino, questa è la sfida che stanno affrontando le popolazioni della Siria del Nord e di tutto il medio oriente, pensare che tutto questo non ci riguardi è miope e pericoloso.
Scontato da parte mia risulta esprimere piena e incondizionata solidarietà alle popolazioni colpite dalla guerra, ai migranti, a chi è in lotta contro tutto questo e chiaramente agli altri inquisiti in questa inchiesta.
E’ da sempre legittima la lotta di chi cerca di liberare se stesso e la società in cui vive, sia essa in medio oriente o al centro del mediterraneo, le scelte dei mezzi sono dettate dalle necessità della lotta. Le distinzioni tra buoni e cattivi elaborate dal potere di turno e da chi lo sostiene, sono funzionali solo a coprire ipocrisie e colpire i nemici.
Non dimentichiamolo mai: terrorista è da sempre lo stato.
Uno degli inquisiti.
6 ottobre 2018, da nobordersard.wordpress.com


dalle lotte dentro e contro i campi di internamento per migranti
Dai campi della cosiddetta accoglienza
Non si muore solo nei CPR (Centri di Permanenza per i Rimpatri) o in carcere ma anche nelle strutture predisposte ad accogliere le numerose persone che si spostano verso l'Europa, spesso per sfuggire alle guerre e alle brutali conseguenze che queste comportano.
Verso fine settembre è circolata notizia che nell'ex caserma Caverzerani di Udine, gestita dalla Croce Rossa, sono morte tra le cinque e le sedici persone tra febbraio e settembre 2018. Le circostanze sono poco chiare e i decessi sarebbero avvenuti tra i Cas (Centri di Accoglienza Straordinaria), il carcere e l'ospedale di Udine. Le uniche notizie riportate dai media riguardano due presunti suicidi avvenuti ad agosto. Come in carcere, però, non ci si deve accontentare della versione riportata da chi gestisce questi centri di confinamento e detenzione, né ci si deve rassegnare di fronte alla coltre di silenzio che circonda queste morti.
In questa zona a Nord-Est dell'Italia la rotta balcanica di chi cerca di spostarsi in Europa, magari per raggiungere la Francia o l'Inghilterra dove si trovano famigliari e affetti, viene ulteriormente controllata da un presidio permanente delle forze dell’ordine su quella frontiera per il pattugliamento continuo della fascia confinaria di Trieste e provincia, soprattutto sul Carso. Per l’occasione, sono stati radunati gli agenti della mobile di Padova, gli equipaggi del Reparto prevenzione crimine sempre di Padova, fino al corpo regionale Fvg della forestale. Una vera e propria caccia ai migranti istituzionalizzata tra i boschi di confine, dove non sembrano mancare casi in cui i respingimenti avvengono direttamente tramite la riconsegna di mano in mano alle polizie dei vari paesi, in un percorso a ritroso che li riporta di nuovo in Bosnia e in Serbia.
La regione Veneto non manca di chiamare a gran voce la riapertura del CPR di Gradisca d’Isonzo, in linea con le direttive nazionali che vogliono a breve reintrodurre un CPR per ogni regione, ma con posti limitati a 100, in modo da renderli più gestibili e placare sul nascere qualsiasi tipo di insubordinazione o protesta, nel segno di un sempre maggiore controllo razzista.
La stessa accoglienza, da Nord a Sud, non manca di rivelarsi per quel che di fatto sempre più è, un sistema legalizzato di controllo dei migranti. In provincia di Siracusa, a Solarino, alcune donne migranti si sono barricate nel Centro di accoglienza del Cenacolo Dominicano, lamentando scarsità di cibo, locali invivibili a causa del caldo, insieme ad altre rivendicazioni. Secondo gli articoli dei media locali, che riportano l’identica velina dei carabinieri, le donne hanno resistito alla repressione delle forze dell’ordine e 5 di loro, accusate di aver diretto la rivolta, sono state arrestate e condotte nel carcere femminile catanese di Piazza Lanza.
Similmente è successo a inizio agosto a Castiglione di Garfagnana, in provincia di Lucca, dove protagonista di una protesta è di nuovo un gruppo di donne, confinato in questo comune Toscano, probabilmente per alleggerire l'hub delle Tagliate del capoluogo lucchese. In questo caso, le donne in attesa del riconoscimento dello statuto di rifugiate, avrebbero bloccato la strada per far sapere di come la loro attesa sia nel frattempo accompagnata da una privazione della libertà, una regolamentazione della vita quotidiana da parte di un sistema atto ad accogliere e che invece sempre più separa e opprime la vita delle persone. La richiesta di questo gruppo di donne è semplice: "non vogliamo stare più qui senza fare niente".
C'è però anche chi, pur avendo impegnato il tempo attraverso il lavoro gratuito - nuova forma di schiavitù legalizzata che da tempo caratterizza il sistema dell'accoglienza italiano (e non solo) - sceglie di protestare rifiutando il lavoro, come è successo a Zone, in provincia di Brescia, a metà luglio: 22 persone richiedenti asilo sono state cacciate dal Centro di accoglienza del comune perché, in solidarietà a un amico a cui era stato rifiutato il riconoscimento dello status di rifugiato, si sono rifiutate di pulire un sentiero. Trasferimenti e punizioni, come in un carcere, questa è l'accoglienza, una serie di obblighi cui bisogna sottostare e a cui è impossibile sottrarsi, pena la punizione, in questo caso il trasferimento in altri centri, ma più volte l’espulsione dal sistema d’accoglienza stesso e le denunce penali.

Dai campi per l’identificazione e il rimpatrio
Se nei Centri di accoglienza non sono mancate, durante l'estate, le proteste, in alcuni Centri per il rimpatrio si sono avute vere e proprie rivolte, come ogni estate, o quasi e come sempre ve ne saranno, almeno fino a che le persone verranno richiuse e segregate in prigioni diverse tra loro solo per il nome o la dicitura.
Così è successo in Corso Brunelleschi a Torino, il 7 agosto, quando, all’ennesimo pranzo di merda, all’ennesimo rifiuto di condurre un ragazzo all’ospedaletto per delle cure, in mensa è partito un lancio di oggetti e cibo contro i lavoranti, responsabili come i militari di lavorare instancabilmente con ricatti e pestaggi affinché chi è privato della propria libertà tenga la testa bassa. Infatti il primo intervento delle forze dell’ordine presenti nella struttura è stato quello di impartire una lezione fisica al detenuto che chiedeva di essere visitato, così da levare il problema alla radice lasciandolo steso a terra. Gli altri compagni dello sventurato non sono rimasti con le mani in mano e dando sfogo all’umanità più bella, quella della ribellione nonostante tutto l’apparato attorno, sono usciti insieme in cortile a dare fuoco ad alcuni materassi, hanno spaccato i vetri delle aree e sono saliti sul tetto per resistere il più possibile ai rinforzi dello Stato in procinto di arrivare.
Come non sostenere una così giusta rivolta, viste le condizioni delle oltre 200 persone richiuse nel Centro torinese, con l'acqua ridotta a solo un litro al giorno, in estate, consegnata sempre calda? Il 17 agosto, infatti, un presidio solidale ha infuso un po' di coraggio a chi dentro resiste e non si arrende. Come le due persone che hanno tentato di evadere, ma sono state purtroppo fermate prima di riuscirci. A Torino, come in altre grandi città d'Italia, la morsa della repressione continua a farsi sentire e continuano le retate nelle stazioni e i controlli sempre più mirati contro chi ha la pelle scura.
La stessa aria si respira a Palazzo San Gervasio, in provincia di Potenza, dove a luglio i reclusi hanno iniziato uno sciopero della fame e l'8 agosto due persone sono salite sul tetto del Centro, dai moduli della struttura, hanno divelto una telecamera, spostato verso l’alto i fari che illuminano il piazzale e resistito come potevano ai tentativi delle forze dell’ordine di farli scendere. La situazione purtroppo si è conclusa con l’arresto dei due e il loro trasferimento nel carcere di Potenza, con l’accusa di violenza, minacce e resistenza a pubblico ufficiale.
L'indifferenza di fronte a queste proteste e rivolte la fa da padrona anche se qualcuna e qualcuno non smette di lottare insieme a chi viene rinchiuso, espulso, imprigionato, torturato o ridotto al silenzio. Bisogna provare a fare uno sforzo in più e non stare a bersi le notizie spesso dense di numeri e dati che sfornano i giornali e le televisioni.
Nel dossier sulla sicurezza si legge che durante il periodo 1 agosto 2017-31 luglio 2018 sono sbarcate in Italia 42.700 persone, il 76,6% in meno dell’anno precedente, quando le coste italiane erano state raggiunte da quasi 183.000 migranti. Sappiamo bene che fine hanno fatto le persone che non sono mai arrivate, lasciate morire in mare o respinte in Libia, rinchiuse nei lager nati in seguito all’accordo con l’Italia dell’estate 2017 (ma i lager in Libia esistono già da anni e non dal 2017, sono stati a loro tempo finanziati anche dall’Italia e le notizie risalgono almeno a 10 anni fa), che ha l’intento di frenare e controllare l’immigrazione dall’Africa e dall’Asia.
Pestaggi, torture, stupri e violenze di ogni genere sono all’ordine del giorno, e tutti ne sono a conoscenza. Per rendere più umana e accettabile dall’opinione pubblica democratica e indignata la brutalità di quei lager e continuare a fare affari sulla vita delle persone migranti, l’Italia ha stanziato dei fondi destinati alla fornitura dei servizi di base assenti nelle prigioni libiche, e le Ong vincitrici del bando sono partite alla volta della Libia. Questa complicità nel sistema di gestione e controllo delle persone in cambio di soldi, nascosta sotto la maschera della missione umanitaria, non ci è affatto nuova. L’intero sistema di accoglienza delle persone migranti (CARA, CAS, SPRAR) è in mano a cooperative che lucrano sulla vita di individui ai quali viene impedito di decidere dove, come e con chi vivere; persone infantilizzate e inchiodate dall’attesa estenuante dell’esito della domanda di protezione internazionale, che può durare anni. Anni durante i quali la propria vita è in mano ad altri.
Il 67% di chi è costretto nel circuito dell’accoglienza si vede poi recapitare un diniego che spalanca le porte a una vita da irregolare, con il rischio di essere espulso: nell’ultimo anno sono state circa 7.000 le deportazioni. Dopo la chiusura di alcune sezioni o interi CPR grazie alle rivolte delle persone che vi erano recluse, la legge Minniti-Orlando, entrata in vigore lo scorso anno, ha previsto la ristrutturazione e l’apertura di nuovi lager. Al momento attuale quelli attivi sono 6 (Torino, Roma, Bari, Brindisi, Palazzo S. Gervasio, Caltanissetta, anche se quest’ultimo potrebbe essere ancora chiuso per i danneggiamenti provocati dalle rivolte) e altri 4 sono in fase di attivazione (ex carcere di Macomer a Nuoro, Modena, Gradisca d’Isonzo a Gorizia, Milano).
Salvini è forse il volto brutale, la legittimizzazione di ideologie ed efferatezze razziste, ma dietro tutto questo c’è l’operato dei tanti che lo hanno preceduto e dei suoi alleati di governo. L’approvazione del decreto di sicurezza e migrazione conferma l’impegno nel colpire i gruppi più deboli della società: raddoppio del tempo massimo di trattenimento nei CPR, che passa da 90 a 180 giorni; estensione delle aree di applicazione del Daspo urbano; sperimentazione del taser nei comuni con più di 100.000 abitanti; aumento di pene per gli occupanti di case e molto altro.
Di fronte a tutto ciò, c'è chi non rimane indifferente come le compagne e i compagni che a Roma da anni si recano al CPR di Ponte Galeria per salutare i reclusi, portando solidarietà e notizie dagli altri centri per il rimpatrio, oltre che assistenza legale e materiale. Al Cpr romano l'estate ha visto, in linea di continuità con quanto riportato sopra, il prosieguo dei lavori di ristrutturazione dell'area maschile. I compagn* di Torino indomiti nell’attenzione verso Brunelleschi e quell* salentini per Brindisi che, anche se meno attivi nel periodo più recente, si sono beccati tanti fogli di via da Brindisi appunto per i ripetuti presidi davanti al Cie.

Solidarietà e repressione
La repressione e il controllo che lo stato riserva a chi sta nei Centri, di accoglienza o rimpatrio che siano, investe anche chi prova a solidarizzare o, in rari casi, a ribellarsi come nel caso della manifestazione al Brennero del 7 maggio 2016 di cui più avanti è riportato l'appello a mobilitarsi contro le frontiere e il razzismo di Stato, cogliendo, in questo caso, come occasione l'inizio del processo.
Ma questo del Brennero non è un caso isolato, chi sceglie di prendere parte e lottare insieme a chi resiste alle prigioni, all'accoglienza forzata e allo sfruttamento viene processato dallo stato, come sta succedendo a Palmi, in Calabria, dove le campagne sono diventate un campo di lavoro forzato per le persone migranti. Lunedì 1 ottobre si è svolta la prima udienza, rinviata al 17 dicembre, del processo contro due compagne accusate di aver aiutato una persona a sfuggire all’identificazione e, per una di loro, di averlo fatto con l’uso della forza contro un carabiniere, durante la giornata di lotta del 22 marzo 2017 a San Ferdinando. Il teorema che la questura continua a ricamare sui nostri compagni e compagne è che farebbero parte di una regia occulta che incita e pilota le persone immigrate a ribellarsi. Con gli stessi presupposti altri solidali sono stati denuncianti in seguito ad un’altra giornata di lotta, tenutasi sempre nelle strade di San Ferdinando. Così come a Foggia, dove alcuni compagni e compagne, per le stesse lotte, subiranno un processo nelle prossime settimane. Infatti, anche nella provincia pugliese, le persone costrette a vivere nei ghetti da anni si sono autorganizzate per cambiare le proprie condizioni di vita e di lavoro. Qui, come in Calabria, le risposte sono stati sgomberi, campi di lavoro e denunce.
In questi casi allo stato serve raffigurare gli immigrati e le immigrate come incapaci di intendere e di volere, manovrate da cattivi consiglieri. Non sarebbero dunque gli abusi delle guardie, l’assenza di documenti, la sopravvivenza in baracche e tende senza luce e acqua, il passaggio obbligatorio nei campi di stato, lo sfruttamento nelle campagne, l’impossibilità di scegliere dove e come vivere, a spingere le persone a lottare, a fuggire davanti un controllo, a rifiutare deportazioni e compromessi.
Per accompagnare militarmente anche l’introduzione della Zona Economica Speciale (ZES) nell’area industriale del porto di Gioia Tauro, lo stato ha scelto di regolamentare i campi di concentramento per lavoratori immigrati e, cosciente che le rivendicazioni delle dure lotte portate avanti vanno ben oltre la sopravvivenza nei ghetti, ha deciso di isolarle totalmente da una presenza solidale, da occhi indiscreti.
Gli stessi occhi che non smettono di voler vedere la verità di quanto accade in queste campagne, tra la costa e l'entroterra dove si riafferma la schiavitù su base razziale a suon di leggi e decreti. Questi stessi occhi vedono chiaramente le persone che sono morte sulle strade percorse da chi si reca a lavorare nei campi - 16 morti durante la prima settimana di agosto - e che spesso viaggia in condizioni precarie, su mezzi di fortuna, causando incidenti che a volte costano la anche la vita.
Le istituzioni hanno risposto con la caccia al “capo nero”, effettuando fermi ed arresti – immotivati dalla sussistenza di qualsiasi prova, ma compiuti per pura propaganda e su base puramente razziale. Anche a volersi piegare a logiche repressive che non ci appartengono per nulla, è noto come gli africani rappresentino solo una piccola percentuale di quel mondo grigio di intermediazione lavorativa che è fatto per la maggior parte di italiani ed europei. Lo stesso Consiglio Superiore della Magistratura, all’indomani di un’indagine conoscitiva sui fenomeni mafiosi in provincia di Foggia, parlando di caporalato non cita nemmeno un caso che coinvolga cittadini di paesi africani. Ma ciò non ha impedito al governatore della Regione Puglia, Michele Emiliano, di servirsi dell’indagine del CSM per rincarare la dose sulla necessità di reprimere e sgomberare i ghetti africani. Insomma, la criminalizzazione dei poveri, soprattutto se neri e migranti, rimane un pilastro dell’agire di governo, e serve a nascondere lo sfruttamento di altri lavoratori e lavoratrici nonché l’impunità dei veri responsabili. Allo stesso modo, all’indomani dello sgombero del capannone nella zona industriale di San Ferdinando, i media parlano di ‘traffici illeciti’ non meglio specificati a giustificazione dell’operazione di polizia, come d’altronde sempre avviene in questi casi. L’antidoto è sempre e soltanto la lotta, anche contro gli sgomberi, come i nuovi annunciati per i ghetti informali, ma anche per quelli istituzionali come l’Arena di San Severo.

agosto/settembre 2018, liberamente tratto da autistici.org/macerie, hurriya.noblogs.org, campgneinlotta.org
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Il 12 ottobre, presso il tribunale di Bolzano, comincerà il processo contro 63 imputati e imputate per la manifestazione “Abbattere le frontiere” tenutasi al Brennero il 7 maggio 2016. Si tratta del primo troncone giudiziario, a cui ne seguirà un altro con altrettanti imputati. Nel frattempo, gli arrestati durante il corteo del 2016 a cui è stato fatto il processo d’appello si sono visti confermare la condanna a un anno e due mesi.
Si può dire che il motivo per cui siamo andati al Brennero quel giorno è decisamente, tragicamente attuale. Allo stesso tempo, visto quello che sta succedendo attorno a noi, l’importanza di questa scadenza repressiva impallidisce alquanto. Se ciò che ci rivendichiamo è lo spirito con cui in centinaia siamo andati al Brennero, vorremmo fare anche del processo un’occasione di lotta contro le frontiere sempre più assassine e contro un razzismo di Stato che non ha mai incontrato, se non negli anni Trenta, un simile consenso sociale. Non servono molte parole per sottolineare quanto sia necessario e urgente agire contro questa ondata reazionaria. Ai campi di concentramento, alla segregazione istituzionale e allo sfruttamento spinto fino alla semi-schiavitù, si accompagna uno stillicidio di aggressioni contro gli immigrati. Siamo ormai al tiro al bersaglio fomentato, legittimato, normalizzato. Difficilmente si potrebbe immaginare una più ignobile (quanto funzionale a padroni e governanti) parodia dello scontro di classe. È come se la rassegnazione e la sottomissione con cui un’ampia parte della società ha accettato tre decenni di attacchi capitalistici si raggrumasse nel rancore verso l’immigrato, delegando al ducetto di turno la maniera forte. Se nazionalismo e razzismo, vecchi ami avvelenati a cui sempre più sfruttati abboccano, non trovano in fretta decisi sbarramenti, infetteranno a lungo le anime morte prodotte da questa meravigliosa democrazia. Educati a pane e tolleranza verso l’intollerabile (tanto tutto è opinione, no?), eccoci qua.
E noi? L’epoca che richiede alle minoranze ribelli quelle drastiche opzioni di cui parlava uno storico partigiano non è dietro, ma davanti a noi. È qui. Sta salendo giorno dopo giorno. Nel periodo che va dal 10 al 20 ottobre, l’iniziativa, l’azione e la rabbia contro ciò e chi fomenta tutto questo potrebbe convergere nel tempo e diffondersi nello spazio. C’è bisogno di dare dei segnali, di darsi spunti e coraggio (nonché esprimere solidarietà ai processati per gli scontri del Brennero).

12 settembre 2018, da abbatterelefrontiere.blogspot.com

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LOTTA CONTRO LE FRONTIERE
Claviere è un paese italiano a due chilometri dalla frontiera francese. Dall’inverno scorso, è un luogo di passaggio per i migranti che vogliono entrare in Francia. Durante l'estate le violenze alla frontiera si sono intensificate: militari e sbirri rubano, picchiano, minacciano e insultano coloro che fermano senza documenti. Per attuare questi fermi le forze di polizia sono ben equipaggiate: visori notturni, cani, quads. Anche i militari sono tornati sui sentieri e giocano a fare la guerra, si allenano facendo la caccia al migrante di notte accompagnati dai poliziotti della PAF [Police de l'Aire e des Frontières - polizia dell'aria e delle frontiere, Ndr]. Un ragazzo di 16 anni fermato il 13 agosto in queste zone racconta che: "Hanno cominciato a picchiarmi per obbligarmi a dare le mie impronte. Una volta, poi una seconda volta, più forte. Due persone sono venute a dare rinforzi. Si sono messi in quattro per fermarmi, per forzarmi ad aprire le mani, due da ogni lato. Io ho resistito. Allora uno dei quattro poliziotti mi ha preso per la nuca e mi ha sbattuto in terra. Io gli o detto che potevano anche uccidermi ma non avrei dato le mie impronte. Allora mi hanno caricato su una macchina e mi hanno buttato in strada giusto dall’altro lato della frontiera, in Italia. Sono restato lì a terra, 30/40 minuti. Avevo troppo male per alzarmi, poi mi hanno trovato due persone e hanno chiamato un ambulanza".
Chi solidarizza e cerca di aiutare queste persone che vogliono passare la frontiera viene fermato e imprigionato e rischia fino a 10 anni di carcere, come sta succedendo a Theo, Eleonora e Bastiènne (fermate dopo il corteo solidale del 22 aprile scorso), insieme ad altre quattro persone fermate il 17 luglio e portate alla caserma di polizia di Briançon, ai quali viene contestato un reato di favoreggiamento dell'immigrazione clandestina in banda organizzata. Le persone solidali non smettono, tuttavia, di organizzarsi insieme a chi vuole passare la frontiera e a manifestare su quelle stesse strade, spesso molto trafficate dai turisti, come è successo a fine agosto tra Clavière/Montgenèvre, quando è stata bloccata la strada ed è stato volantinato un testo per informare gli ignari turisti delle violenze che avvengono ogni giorno su quelle strade e sui sentieri delle montagne. A settembre, dal 19 al 23 si è anche svolto un campeggio di lotta che ha preso il nome "Passamontagna", durante il quale più di 300 persone provenienti da varie parti d’Europa e non hanno vissuto insieme, condividendo analisi, pratiche e riflessioni frutto delle proprie esperienze e spostandosi tra quelle stesse montagne, dove invece passano centinaia di camion e treni-merce senza problemi né controlli, dove si stanno spendendo i miliardi nel tentativo di costruzione del TAV, dove c’è un tunnel facilmente attraversabile per chi ha soldi e documenti.
Durante il campeggio, individui e collettivi italiani, francesi, tedeschi, svizzeri, sloveni, turchi, spagnoli, greci etc si sono confrontati sulle radici e le conseguenze dell’attuale sistema di esclusione, sul concetto di solidarietà, e “accoglienza”, su metodi di organizzazione e sul ruolo della comunicazione, sulla lotta al controllo d’identità, dato che (tra l’altro) per due giorni le strade di accesso al campeggio erano tutte sorvegliate da blocchi di polizia e digos che schedavano ogni persona con foto e perquisizioni. Vi sono state diverse iniziative di lotta, come un corteo, bloccato dalla polizia il 21 a Bardonecchia e l'occupazione del campo da golf che si estende tra Francia e Italia - e che, sul lato italiano è di proprietà della Lavazza, multinazionale del caffè che ha creato il proprio impero sullo sfruttamento delle risorse umane ed ambientali delle colonie in Latino America ed in Africa -, dove di notte come di giorno, militari e polizia pattugliano sia i campi da golf, sia i boschi attorno a caccia di migranti. Il campeggio è stato occasione per condividere un'esperienza di lotta e per progredire nel confronto tra individualità e collettivi, al fine di organizzarsi al meglio contro le frontiere e contro coloro che le creano e mantengono.

A neanche un mese dalla fine del campeggio, è arrivato la mattina del 10 ottobre lo sgombero di Chez Jesus, il rifugio autogestito a Clavière. Così, proprio quando l'inverno sta per iniziare, si sgombera un luogo che ha avuto un'importanza fondamentale per le centinaia di persone che lo hanno attraversato; un luogo caldo dove passare e riposare per una notte, dove mangiare un pasto, trovare abbigliamento adeguato per le temperature polari che ci sono a queste latitudini, raccogliere informazioni per non perdersi sulla montagna e rischiare di morire.
ottobre 2018, liberamente tratto da
passamontagna.info e dalla pagina facebook del Rifugio Autogestito Chez Jeusus


APPROVATO l’ennesimo decreto sicurezza
Il 24 settembre il consiglio dei ministri ha approvato all’unanimità il cosiddetto decreto Salvini su immigrazione e sicurezza. Il decreto si compone di tre titoli: riforma del diritto d’asilo e della cittadinanza; sicurezza pubblica, prevenzione e contrasto della criminalità organizzata; amministrazione e gestione dei beni sequestrati e confiscati alla mafia.
Da questa data 60 giorni dovranno decorrere prima di essere trasformata in legge.
Di seguito verrà presentata una raccolta delle principali misure.

L’abrogazione della protezione per motivi umanitari che era prevista dal Testo unico sull’immigrazione. Sarà introdotto in alternativa un permesso di soggiorno per alcuni “casi speciali”, cioè per alcune categorie di persone: vittime di violenza domestica o sfruttamento lavorativo, bisogno di cure mediche, per persone provenienti da paesi con “contingente ed eccezionale calamità” e per “atti di particolare valore civile”.
Estensione del trattenimento nei Cpr. Con il decreto Salvini (articolo 2) il limite per trattenere soggetti nei Cpr (ex CIE) si sposta da 90 ad un massimo di 180 giorni. Questi vengono anche potenziati: proprio i luoghi del cosiddetto sistema di accoglienza in cui gli abusi ad opera delle forze dell’ordine sono frequenti (secondo le denuncie di Antigone e di Acad) e ancora più frequente è la violazione dei diritti più elementari degli immigrati e delle immigrate.
Trattenimento dei richiedenti asilo e degli irregolari ai valichi di frontiera. L’articolo 3 del decreto prevede che i richiedenti asilo possano essere trattenuti negli hotspot (max 30 giorni) per accertarne l’identità e la cittadinanza. L’articolo 4, infine, prevede che gli irregolari possano essere trattenuti negli uffici di frontiera.
Più fondi per i rimpatri. All’articolo 6 è previsto lo stanziamento di più fondi per i rimpatri: 500mila euro nel 2018, un milione e mezzo di euro nel 2019 e un altro milione e mezzo nel 2020.
A questo proposito Aljazeera prevede che sarà molto difficile l’effettiva buona riuscita dei rimpatri in maniera sistematica. Solo il 10% delle persone che hanno ricevuto un ordine di deportazione nella maggior parte degli stati sub-sahariani vi sono stati poi effettivamente portani. È difficile immaginare la sostenibilità e la fattibilità di un siffatto progetto di rimpatrio che vorrebbe passare dagli attuali 5.000-7.000 rimpatri l’anno a 40.000-50.000, considerando che per ora si è realizzato solo il 10% degli ordini di deportazione. Inoltre, l’Italia ha degli accordi con nazioni come la Tunisia, l’Egitto, il Marocco e la Nigeria, ma non può deportare richiedenti asili provenienti da Mali e Senegal per esempio.
Revoca o diniego della protezione internazionale e dello status di rifugiato. Il decreto estende la lista dei reati che comportano la revoca dello status di rifugiato o della protezione sussidiaria o la possibile sospensione della domanda per chi ha un processo penale dei seguenti reati: violenza sessuale; produzione, detenzione e traffico di sostanze stupefacenti; rapina ed estorsione; furto; furto in appartamento; minaccia o violenza a pubblico ufficiale.
Inoltre, se il rifugiato tornerà nel paese d’origine, anche temporaneamente, perderà la protezione internazionale e quella sussidiaria. Infine, considerando che in Italia il numero di applicazioni dei permessi umanitari è intorno a 130.000, i rifugiati ogni due anni rischieranno di perdere tale permesso al momento del rinnovo a causa dell’inasprimento di queste misure.
Restrizione del sistema di accoglienza ed esclusione dal registro anagrafico dei richiedenti asilo (esclusione dalla residenza). Il sistema per l’accoglienza dei richiedenti asilo e dei rifugiati (Sprar) e il sistema di accoglienza ordinario che è gestito dai comuni italiani sarà limitato solo a chi è già titolare di protezione internazionale o ai minori stranieri non accompagnati.
Riforma della cittadinanza. Il decreto prevede che sia modificata la legge italiana sulla cittadinanza del 1992. La domanda per l’acquisizione della cittadinanza potrà essere rigettata (novità) anche se è stata presentata da chi ha sposato un cittadino o una cittadina italiana. Il contributo richiesto per la domanda aumenta da 200 a 250 euro, inoltre è prolungato fino a 48 mesi il termine per la concessione della cittadinanza sia per residenza sia per matrimonio. È inoltre introdotta la possibilità di revocare (o negare) la cittadinanza a chi viene condannato in via definitiva per reati legati al terrorismo. Un’altra limitazione prevista è divieto del reingresso dello straniero espulso da altri paesi Schengen.
Braccialetto elettronico. L’articolo 17 del decreto estende le ipotesi di reato che consentono al giudice di adottare il provvedimento di allontanamento dalla casa di famiglia e prevede inoltre l’uso del braccialetto elettronico anche per imputati dei reati di maltrattamento domestico e stalking.
Taser. L’articolo 21 stabilisce che le polizie municipali dei comuni con più di centomila abitanti possono sperimentare l’uso dei taser.
Estensione dei daspo. I daspo, cioè i divieti di accedere a manifestazioni sportive, saranno estesi anche a chi è indiziato per reati connessi al terrorismo. Il cosiddetto “daspo urbano”, introdotto dal decreto Minniti sulla sicurezza nel 2017, si potrà applicare anche nei presidi sanitari, in aree in cui si stanno svolgendo fiere, mercati e spettacoli pubblici.
Il blocco stradale tornerà a essere un reato invece che una violazione amministrativa.
Stretta sul gratuito patrocinio. È prevista l’introduzione di un nuovo articolo 130-bis nel quale si sancisce che, nel processo civile, lo Stato non liquida alcun compenso al difensore se la sua impugnazione, anche incidentale, è dichiarata inammissibile o improcedibile.
Criminalità organizzata e beni confiscati alla mafia e occupazioni. L’ultima parte del decreto contiene disposizioni sul contrasto alla criminalità organizzata e alla gestione dei beni confiscati alla mafia. È rafforzato lo scambio di informazioni tra le diverse amministrazioni interessate al fenomeno della criminalità organizzata. I subappalti sono sanzionati con la reclusione da uno a cinque anni.
Inasprimento delle sanzioni (reclusione fino a quattro anni e multa) nei confronti di chi organizza l’occupazione di immobili, possibilità di usare lo strumento di intercettazioni nelle inchieste su chi occupa degli immobili, riorganizzazione dell’agenzia che si occupa della gestione dei beni confiscati dalla mafia.

24 settembre 2018, liberamente tratto da “Cosa prevede il decreto Salvini su immigrazione e sicurezza. Annalisa Camilli, giornalista di Internazionale, e “Italian government adopts hardline anti-migrant decree”, Ylenia Gastoli, Aljazeera

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Libia: Rivolta nel lager di Tarek al Matar
Ieri, lunedì 6 agosto, la camera dei deputati, dopo il voto favorevole del Senato, ha approvato definitivamente a larghissima maggioranza il cosiddetto “decreto Libia”, che prevede la fornitura alla guardia costiera libica di 12 motovedette, al fine di rafforzare ulteriormente la caccia alle persone che provano a raggiungere l’Europa. Sono ufficialmente almeno 13.000 quelle fermate quest’anno, tutte recluse nei campi di concentramento supportati da Italia e UE.
Le persone nei lager continuano malgrado tutto a lottare per la libertà. Domenica scorsa una rivolta è avvenuta nel centro di detenzione di Tarek Al Matar, nei pressi di Tripoli, che reclude attualmente circa 1.800 persone. È lo stesso lager dove hanno operato nei mesi scorsi le Ong italiane vincitrici del bando predisposto dal Ministero.
La notizia della protesta e della sanguinosa repressione è stata diffusa da eritrei che vivono in Italia, in contatto con alcune persone recluse nel lager. Di seguito riportiamo alcuni estratti dall’unico articolo pubblicato in Italia su quanto avvenuto.
“La tensione accumulata da mesi è esplosa domenica nel sovraffollato centro di detenzione libica di Sharie (o Tarek) al Matar, nei sobborghi di Tripoli, con scontri con le guardie e tre feriti. […] l’esasperazione e la protesta dei prigionieri per le condizioni da tutti gli osservatori considerate inumane di prigionia e contro trasferimenti in altri centri per paura di essere venduti ai trafficanti di esseri umani. Paura giustificata dalla sparizione di 20 detenuti nei giorni scorsi e di 65 donne con bambini che i libici giustificano come alleggerimento dell’affollatissima struttura e sulla quale sta compiendo verifiche l’Alto commissariato Onu per i rifugiati.
Per protesta i prigionieri eritrei, molti in carcere da mesi, parecchi intercettati e sbarcati dalla guardia costiera libica dopo la chiusura delle coste di questi mesi, hanno incendiato due materassi provocando la repressione durissima della polizia libica, la quale ha ferito tre richiedenti asilo, due dei quali hanno dovuto essere ricoverati in ospedale. Negli stanzoni roventi, lerci e stipati come pollai sono stati sparati lacrimogeni e le guardie hanno picchiato i detenuti con i fucili per riportare la calma.“

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Marocco: Dopo gli accordi bilaterali, violenze e deportazioni
In questi ultimi giorni le autorità marocchine hanno rastrellato gli accampamenti siti nelle foreste nei dintorni delle città, e in alcuni quartieri di Nador, Tangeri e Tétouan – vicino alle città spagnole di Ceuta e Melilla – e arrestato centina di migranti. È proprio nei pressi di queste due città che negli ultimi mesi sono nati dei grandi accampamenti di persone migranti. Testimonianze dal posto parlano di “caccia all’uomo” e dicono che almeno tra le 1.600 e le 1.800 persone sono state arrestate e poi dislocate con la forza nella città di Tiznit (a 800 km di distanza da Tanger, circa 10 ore di viaggio in bus), o più a Sud nelle città di Agadir, Errashidia e Marrakesh nel deserto a sud del paese. Alcunx di loro sono statx abbandonatx lungo il tragitto nella zona desertica di Benguerir a oltre 500 km da Tanger, dove risiedevano. Almeno due persone sono morte. I due hanno cercato di lanciarsi dal bus che li stava deportando.
I/le migranti, tuttx di origine subsahariana, hanno subito forti violenze da parte della polizia e successivamente da bande di criminali che hanno saccheggiato anche i loro averi e le loro case. Decine le persone ferite. Nemmeno donne incinte e bambini sono stati risparmiatx. Lo scenario è lo stesso di quello accaduto nelle città costiere algerine qualche mese fa. Del resto, lo stesso Marocco non è nuovo a questo tipo di operazioni di deportazione o trasferimento forzato di persone migranti verso accampamenti al Sud del paese. Negli ultimi mesi, le autorità marocchine hanno anche distrutto diversi spazi auto-organizzati, come il campo di Fes, dove la gente si rifugiava per scappare dalle continue violenze di Stato e razziste. Secondo l’Associazione marocchina per i diritti umani (AMDH) questi arresti sono del tutto illegali anche perché avvengono senza alcun mandato giudiziario, specificando soprattutto che “il Marocco, la Spagna e l’Unione Europea ne sono i responsabili”.
In effetti, i rastrellamenti che il regime marocchino giustifica e definisce come “operazioni per lottare contro il traffico degli esseri umani” e per “spostare questi migranti nelle città in cui le condizioni di vita sono migliori” sono state effettuate immediatamente dopo la firma dell’accordo bilaterale sull’emigrazione, siglato tra Spagna e Germania. I due capi di governo han preso l’impegno di soddisfare “tutte le necessità materiali” richieste dal regime del Marocco in materia migratoria. Alcune fonti parlano di almeno 130 milioni di euro. Di questi, 55 milioni sono già stati sbloccati. In effetti, già il giorno dopo l’assalto di 800 migranti alle recinzioni di Ceuta, il ministero degli interni del Makhzen, contattato dal governo spagnolo, aveva presentato una lista per 60 milioni di euro in mezzi al fine di “contenere l’immigrazione irregolare”. La lista comprende veicoli, elicotteri, equipaggiamento anti-sommossa e radar.

agosto 2018, da hurrya.noblogs.org


sullo sciopero nelle carceri u.s.a.
Negli Stati Uniti, una parte dei prigionieri e delle prigioniere ha scioperato dal 21 agosto, giorno dell’anniversario dell’assassinio di George Jackson nella prigione di San Quintín in California, fino al 9 settembre, giorno in cui nel 1971 avvenne la rivolta della prigione di Attica nello Stato di New York. Due date storiche nel movimento rivoluzionario dentro le prigioni del paese. Lo sciopero, durato più di 3 settimane, è stato a livello nazionale per denunciare le pessime condizioni di detenzione e lavoro nelle carceri statunitensi.
Lo sciopero è stato sostenuto dall’ IWOC (International Workers Organizing Committee - Comitato organizzatore dei lavoratori prigionieri) e dal JLS (Jailhouse Lawyers Speak - collettivo dei prigionieri-avvocati che offre assistenza giuridica ad altri prigionieri e prigioniere) ed è stato indetto anche in risposta a ciò che è successo all’interno del Lee Correctional Institution, carcere di massima sicurezza in South Carolina lo scorso 15 Aprile. Durante la rissa tra detenuti – avvenuta in circostanze ancora da chiarirsi – 7 detenuti sono stati uccisi, altri 12 sono stati feriti in modo grave con armi da taglio e almeno 22 sono stati ricoverati in infermeria. Ovviamente tutto ciò avrebbe potuto essere evitato se le guardie e gli infermieri fossero intervenuti tempestivamente ma al contrario i secondini hanno iniziato a manganellare e picchiare i prigionieri e gli infermieri hanno tardato ore prima di intervenire e medicare i feriti gravi.
Per Amina Sawari, portavoce del JLS, il lavoro all’interno del carcere (pagato qualche centesimo se non addirittura gratuito) è “schiavitù moderna” contrariamente a quanto dice il tredicesimo emendamento della Costituzione nordamericana che permette di abolire la schiavitù ma con una eccezione: “la servitù involontaria come punizione di un crimine”.
Le istanze richieste dai prigionieri e dalle prigioniere sono: immediati miglioramenti delle condizioni in carcere e delle politiche di detenzione; il diritto di voto per tutte/i le/i detenute/i - compresi gli ex detenuti e l’abolizione dell’ergastolo senza condizionale; una immediata cessazione della schiavitù carceraria (tutte le persone incarcerate devono ricevere per il proprio lavoro lo stipendio); un adeguato canale per affrontare richieste e violazioni dei propri diritti; la possibilità di riabilitazione e di libertà condizionale; nessun essere umano deve essere condannato a morte con la detenzione o scontare una condanna senza la possibilità di libertà condizionata; un’immediata cessazione di imputazioni eccessive, di sentenze lunghe, e del rifiuto della libertà condizionale per motivi razziali contro degli esseri umani neri o mulatti; una cessazione immediata all’aumento di leggi razziste anti-delinquenziali contro degli essere umani neri o mulatti; a nessun essere umano incarcerato si deve negare l’accesso ai programmi di riabilitazione nel proprio luogo di detenzione a causa di un etichetta di “aggressore violento”; le prigioni statali devono essere finanziate in modo specifico per offrire più servizi di riabilitazione; i Pell grant (borse di studio per i detenuti per affrontare i costi del college) devono essere reinseriti in tutti gli stati e le regioni degli Stati Uniti.
In oltre 36 carceri di 17 stati ci sono state diverse azioni durante lo sciopero: sciopero del lavoro, sciopero della fame, sit-ins interni (proteste sedute), boicottaggi di merce e sopravvitto a seconda della situazione di ciascuna prigione.
È stato fatto appello anche ai sostenitori fuori delle prigioni per diffondere ciò che stava avvenendo all’interno e promuovere azioni di solidarietà e protesta anche fuori le mura carcerarie. Durante i 20 giorni dello sciopero, in Agosto e Settembre, sono state portate a termine più di 100 manifestazioni, cortei, incontri, proiezioni di film, forum, seminari, striscioni, graffiti e lettere di solidarietà ai detenuti in sciopero. Nei momenti di repressione, è stata organizzata una pioggia di chiamate telefoniche per difendere i prigionieri.
Le azioni solidali sono state davvero molte in alcuni casi molto imponenti. In un incontro fuori della prigione di San Quintino in California, per esempio, hanno partecipato quasi 500 attivisti. A volte le azioni sono state portate a termine fuori delle medesime prigioni dove i prigionieri agivano, e in altri casi sono state effettuate fuori di altre prigioni o luoghi indicati. In una manifestazione fuori del Centro Metropolitano di Correzione nella città di New York, per esempio, all’interno dell’Istituto sono state fatte lampeggiare delle luci di gratitudine.
Anche a livello internazionale questo sciopero ha avuto eco: i prigionieri di Burnside ad Halifax, in Canada, sono stati tra i primi ad esprimere la propria solidarietà con le richieste dello sciopero e a protestare per esigere un trattamento come esseri umani.
In Grecia, 127 prigionieri nella prigione di Larissa hanno appeso uno striscione e hanno inviato un messaggio di solidarietà. E dalla Palestina, il Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina (PFLP) ha inviato un comunicato che mette in rilievo i motivi comuni tra questo sciopero e la loro lotta dalle carceri israeliane per la liberazione della loro terra e del loro popolo dal colonialismo e dall’occupazione.

Sommario delle azioni di sciopero
California: Prigione di New Folsom, lo sciopero della fame iniziato da Heriberto Garcia il 21 agosto continua; CSP LAC (Lancaster), un gruppo ha iniziato uno sciopero della fame.
Florida: Conferme di scioperi lavorativi e boicottaggi (tramite Jailhouse Lawyers Speak); Istituto correttivo Charlotte, Dade, Holmes, Appalachee e Franklin.
Georgia: Conferme di scioperi lavorativi e boicottaggi (tramite Jailhouse Lawyers Speak): Prigione statale “Reidsville” e prigione statale di diagnostica e classificazione Jackson.
Indiana: Istituto correttivo Wabash Valley, detenuti in isolamento hanno iniziato uno sciopero della fame lunedì 27 agosto, rivendicando cibo adeguato e la fine al freddo. Kentucky: boicottaggi confermati da JLS: Istituto correttivo federale Manchester.
Maryland: Istituto correttivo Jessup – un piccolo gruppo ha iniziato un’interruzione del lavoro secondo quanto riportato a JLS e a un’altra fonte indipendente.
Michigan: Centro correttivo Alger, un gruppo di prigionieri sta boicottando tutti i contatti telefonici e i pagamenti al Global Tel Link (GTL).
New Mexico: Centro correttivo distrettuale Lee, Hobbs. Il 9 agosto alcuni detenuti hanno organizzato uno stop del lavoro contro le condizioni della prigione, diretta dalla corporazione privata GEO Group. La tensione ha raggiunto un livello tale che i prigionieri non hanno potuto aspettare la data di inizio dello sciopero prima di iniziare la loro protesta. Tutte i centri nel New Mexico sono stati posti a serrate la mattina del 20 agosto. Questa serrata statale è stata revocata tranne che per il centro Lee.
North Carolina: Detenuti nell’Istituto correttivo Hyde a Swanquarter, hanno manifestato in solidarietà allo sciopero. Almeno un detenuto ha subito ritorsioni nell’Istituto correttivo Polk per presunte attività di sciopero. In North Carolina c’è stato probabilmente lo sciopero più partecipato.
Ohio: almeno un blocco impegnato in un digiuno di 3 giorni nei primi giorni di sciopero e un boicottaggio commissariale in tutto il penitenziario di Stato dell'Ohio, più un'interruzione del lavoro alla fine di luglio in risposta alla repressione preventiva da parte del personale. Nell’Istituto correttivo Toledo, almeno due detenuti hanno iniziato uno sciopero della fame il 21 agosto. David Easly e James Ward sono stati trasferiti in isolamento per aver partecipato e le autorità gli hanno precluso qualsiasi mezzo di comunicazione con i contatti esterni.
South Carolina: Conferme di scioperi lavorativi e boicottaggi (tramite Jailhouse Lawyers Speak): Ic Broad River, Ic Lee Correctional, Ic McCormick, Ic Kershaw, Ic Lieber; Attività di boicottaggio confermate da JLS: Istituto correttivo federale Edgefield.
Texas: L’IWOC ha ricevuto un messaggio datato 23 agosto dall’interno della detenzione amministrativa di una prigione sul golfo del Texas, confermando che due persone sono in sciopero della fame in solidarietà alla protesta nazionale. L’IWOC ha confermato che Robert Uvalle è in sciopero della fame in isolamento al Michel Unit in solidarietà con lo sciopero nazionale e uno sciopero dal lavoro al McConnell Unit.
Virginia: Sussex II, un gruppo ha rilasciato un comunicato relativo a uno sciopero della fame.
Washington: Centro di detenzione Northwest, Esponenti di oltre 200 detenuti migranti hanno proclamato uno sciopero della fame il primo giorno dello sciopero carcerario nazionale. Tra i timori di rappresaglia, hanno aderito 70 detenuti in tre blocchi. Al momento, sette continuano a rifiutare il cibo alla fine della seconda settimana. Nonostante le intimidazioni all’interno da parte dei distretti (sono state sospese le visite, le ore d’aria e gli effetti personali, lettere, telefonate e comunicazioni con l’esterno ed hanno anche tolto farmaci a chi ne aveva bisogno e scioperava, oltre ad aver messo in isolamento anche i disabili psichici) lo sciopero è continuato anche oltre il 9 Settembre.
Missouri: almeno un progioniero in sciopero della fame a Leavenworth (USP).
New York: attività di sciopero presso il centro di correzione di Coxsackie, attività di sciopero e boicottaggi presso il centro di correzione orientale.
Milano, ottobre 2018

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Messaggio di solidarietà allo sciopero nazionale dei detenuti negli USA
Scriviamo oggi come prigionieri palestinesi del “Fronte popolare per la Liberazione della Palestina”, detenuti nelle carceri israeliane per la nostra partecipazione alla lotta per la liberazione della nostra terra e popolo dal colonialismo e dall'occupazione. Oggi estendiamo la nostra solidarietà ai prigionieri nelle carceri degli Stati Uniti che partecipano allo sciopero nazionale carcerario iniziato il 21 agosto, combattendo lo sfruttamento, il razzismo e il capitalismo dal cuore delle prigioni imperialiste.Iniziamo esprimendo il nostro lutto per George Jackson, il rivoluzionario incarcerato e martire della lotta per la liberazione nera. Lo sciopero sta iniziando nel 47 ° anniversario del suo martirio, un evento che fu riconosciuto in Palestina e in tutto il mondo in quel momento come un assassinio di una vera voce della lotta di classe negli Stati Uniti. Come prigionieri palestinesi, sappiamo anche che George Jackson era un internazionalista e che le opere del poeta palestinese Samih al-Qasem - che parlavano di reclusione e resistenza - sono state trovate nella sua cella dopo il suo assassinio. Oggi scriviamo per forgiare ancora una volta questa connessione nella lotta, nonostante le nostre diverse circostanze.Lo sciopero carcerario è una lotta di lavoratori oppressi e sfruttati, in primo luogo, di fronte alla brutalità smascherata del capitalismo dietro le sbarre. In tutto il mondo, i prigionieri hanno protetto i loro diritti umani e hanno ottenuto vittorie attraverso la lotta. Sappiamo che sono state chieste condizioni migliori, il diritto di lottare in tribunale per i vostri diritti e la fine di condanne eccessive e a vita. State anche chiedendo la fine della nuova forma di schiavitù che si trova nelle carceri degli Stati Uniti, dove i detenuti sono pagati pochi penny per produrre beni ed eseguire servizi per alcune delle più grandi società del paese.Salutiamo anche la vostra lotta contro il razzismo. Il colonialismo e l'imperialismo degli Stati Uniti praticano il loro feroce razzismo sia internamente che esternamente, e il sistema carcerario riflette quella realtà. Le comunità nere, le comunità latine, le comunità arabe sono sotto attacco, affrontano un carcere di massa e un sistema che cerca di imprigionare e sfruttare piuttosto che sostenere e aiutare nella crescita giovani e anziani.Oggi, i detenuti sono tra i lavoratori più sfruttati negli Stati Uniti, e la stessa classe dirigente che trae profitto dalla confisca delle terre e delle risorse palestinesi e dal bombardamento dei bambini nello Yemen beneficia anche del lavoro forzato dei prigionieri. La vostra lotta è una lotta operaia che fa parte del nostro conflitto globale contro lo sfruttamento vizioso che i nostri popoli affrontano oggi. Questa lotta all'interno delle carceri evidenzia le profonde connessioni tra razzismo e capitalismo e come la lotta contro di loro non possa mai essere disgiunta.La campagna di boicottaggio che fa parte del vostro sciopero sottolinea anche il ruolo cruciale del boicottaggio nel combattere lo sfruttamento e l'oppressione. Anche se le nostre circostanze e le nostre vite possono variare notevolmente l'una dall'altra in molti modi, anche noi affrontiamo lo sfruttamento economico attraverso un sistema di "mensa" che cerca di trarre profitto dalla nostra prigionia come palestinesi. Sappiamo che i profittatori di prigionieri negli Stati Uniti traggono profitto anche dalle mense delle carceri, dalle telefonate e da altri acquisti, e salutiamo la vostra campagna di boicottaggio. Questo è lo stesso motivo per cui invitiamo le persone di tutto il mondo ad aderire al movimento di boicottaggio, disinvestimento e sanzioni contro Israele. Non possiamo e non dobbiamo essere i consumatori di coloro che traggono profitto dalla nostra miseria e oppressione.Mentre iniziate il vostro sciopero, salutiamo tutti voi e la vostra lotta, e sollecitiamo tutti coloro che non sono già impegnati a partecipare allo sciopero. Estendiamo uno speciale saluto rivoluzionario ai combattenti imprigionati del 'Movimento di Liberazione Nero' e ad altri movimenti di liberazione, tra cui Mumia Abu-Jamal, il cui internazionalismo e lotta di principio sono noti e risuonano in tutto il mondo. Chiediamo la libertà di questi combattenti per la libertà nelle carceri degli Stati Uniti, da Leonard Peltier a Mutulu Shakur [in carcere da sempre, militanti del “Black Panther Party” - Partito delle Pantere Nere, ndr].
Sappiamo dalla nostra esperienza che è attraverso la lotta e lo scontro che si può realizzare la vera libertà. Il vostro sciopero è stato lanciato nel cuore dell'imperialismo americano, il più grande pericolo affrontato dal nostro popolo palestinese e dalla gente del mondo. Sappiamo che la vostra vittoria sarà anche una vittoria per la Palestina - proprio come le nostre vittorie in Palestina saranno una vittoria per tutte le lotte contro l'imperialismo, il razzismo e l'oppressione negli Stati Uniti e nel mondo.
Con i saluti rivoluzionari, I prigionieri palestinesi del 'Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina' nelle carceri israeliane.
23 agosto 2018, da frontepalestina.it

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Dalle prigioni israeliane
Secondo i dati del Comitato per gli affari dei prigionieri, più di 7mila palestinesi sono detenuti nelle carceri israeliane. Diverse centinaia di prigionieri sono reclusi per detenzione amministrativa, una procedura che consente a israele di imprigionare persone, per periodi di sei mesi rinnovabili, senza accusa o processo e senza poter essere assistite da un avvocato.
Le autorità di occupazione hanno arrestato circa 3.500 palestinesi in Cisgiordania, Gerusalemme e la Striscia di Gaza, tra cui 647 bambini e 68 donne solo dall’inizio della Grande Marcia del Ritorno a marzo 2018.
Il Comitato per gli affari dei prigionieri dell’Autorità palestinese ha dichiarato che quasi 500 detenuti palestinesi hanno boicottato i tribunali israeliani da febbraio 2018 e hanno chiesto la fine della politica di detenzione amministrativa di israele. A fine luglio 2018, l'”Ufficio stampa per i detenuti” ha riferito che sei prigionieri palestinesi, trattenuti da israele, stanno portando avanti uno sciopero della fame come forma di lotta contro la loro detenzione illegale.
Khader Adnan, 40 anni, leader del movimento di Resistenza palestinese Jihad Islamico in Cisgiordania, rinchiuso in carcere ben 10 volte sotto detenzione amministrativa, domenica 2 settembre 2018 ha iniziato uno sciopero della fame a tempo indeterminato per protestare contro la detenzione arbitraria nelle carceri israeliane, contro le tattiche di tortura di israele sui palestinesi in sciopero della fame, compresi i divieti di visite degli avvocati. Lo sciopero è stato annunciato dalla Fondazione Mohjat al-Quds e il 3 ottobre era al 32° giorno, i mezzi di comunicazione e informazione palestinesi danno molto rilievo a questa protesta.
Nelle carceri israeliane si intensificano le pressioni psicologiche sui prigionieri, in particolare durante i trasferimenti verso i tribunali. Restano per ore ammanettati e le attese si fanno sempre più lunghe. Alle donne vengono messe doppie manette, con la motivazione che hanno i polsi piccoli e potrebbero scappare. Ovviamente si tratta di un’ulteriore umiliazione. I bambini pare che siano quelli più bersagliati e che vengano picchiati pesantemente durante i trasferimenti. Per fare un solo esempio, il 15 settembre 2018 le forze d’occupazione israeliane (IOF) hanno arrestato cinque adolescenti palestinesi durante gli scontri scoppiati nel nord di Hebron/al-Khalil, nella Cisgiordania meridionale. Li hanno poi aggrediti durante la detenzione e il trasferimento dall’interno della torre militare israeliana allestita all’ingresso della città.
In tutte le prigioni si sono intensificati gli attacchi notturni da parte delle guardie armate durante i quali i prigionieri vengono presi di peso mentre dormono, denudati e lasciati fuori dalle celle mentre dentro gli buttano tutto all’aria. Se provano a parlare, partono i pestaggi . A settembre 2018, la Società per i Prigionieri Palestinesi (PPS) ha affermato che le forze speciali israeliane hanno fatto irruzione nelle celle dei palestinesi nella prigione di Ashkelon devastando e confiscando alcune loro proprietà.
Le cure mediche sono praticamente inesistenti, sempre più spesso i prigionieri vengono lasciati sofferenti e morenti. Il Servizio penitenziario israeliano (IPS) intende imporre una serie di nuove misure punitive contro i prigionieri nel centro di detenzione di Hadarim e altre prigioni, secondo quanto riferito dal Comitato per i detenuti. Queste misure comportano il trasferimento di tutti i detenuti dalle loro celle ai cortili della prigione durante le ispezioni, oltre all’applicazione di restrizioni più severe quando vanno all’aria. L’IPS ha informato i detenuti che avrebbe proibito severamente l’ingresso di qualsiasi testo educativo, durante le visite delle famiglie, e vietato tutti gli acquisti di cibo congelato [ricordano da vicino i divieti in regime di 41bis in Italia].
Per rendere ancora più dura la vita nelle carceri, anche l’Autorità Palestinese ci mette il suo tagliando i sostegni alle famiglie dei prigionieri di Gaza se associati a Hamas e alla Jihad islamica.
Per quanto riguarda la resistenza in carcere delle donne, la Società per i Prigionieri Palestinesi (PPS) ha affermato che le palestinesi detenute nel carcere di Hasharon hanno deciso di non uscire dalle celle, nelle ore di passeggio quotidiano, per protestare contro la riattivazione delle telecamere interne di sicurezza. Le telecamere di sicurezza nel carcere di Hasharon vennero coperte diversi anni fa, dopo una protesta contro la loro presenza all’interno delle loro sezioni. Recentemente l’amministrazione le ha messe nuovamente in operazione. Ci sono 32 donne palestinesi nella prigione di Hasharon e altre 20 a Damon.
Dati statistici a gennaio 2018: prigionieri politici (6.119); detenuti amministrativi (450); bambini detenuti (330); detenute (59); prigionieri dei Territori palestinesi del 1948 (70); prigionieri di Gerusalemme est (550); prigionieri di Gaza (320); membri del consiglio legislativo palestinese (11); prigionieri prima del trattato di Oslo - 1993 (30); prigionieri condannati al di sopra dei 20 anni (522); prigionieri condannati all’ergastolo (525); prigionieri condannati più di 25 anni (21); prigionieri dei Territori Occupati del 1948 - Israele (150).
Il numero di prigionieri palestinesi che hanno perso la vita mentre detenuti da israele è arrivato a 215 nel 2018, 75 dopo l’arresto, 72 sotto tortura, 61 a causa di negligenza medica e 7 dopo essere stati deliberatamente colpiti con armi da fuoco da soldati israeliani e guardie all’interno dei centri di detenzione.
In chiusura ricordiamo che a sei mesi dall’inizio della “Grande Marcia del Ritorno” ai confini di Gaza (30 marzo 2018), 204 palestinesi sono stati uccisi dalle IOF (forze di occupazione israeliane) e oltre 22mila sono riamasti feriti o asfissiati tra Gaza, Cisgiordania e Gerusalemme, 460 dei quali in condizioni critiche. L’ultima vittima è un ragazzino di 15 anni morto per un colpo di arma da fuoco in testa. Ma la protesta non accenna a fermarsi usando la fantasia dove non arrivano i mezzi. Un esempio per tutti, gli aquiloni molotov lanciati verso i territori del 1948 (quelli che chiamano israele).

Milano, ottobre 2018

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Egitto. La complicità italiana col regime e aggiornamenti dalle carceri
Lo scorso 5 agosto il ministro degli esteri italiano ha incontrato il suo omologo egiziano. Oltre a discutere dell’assassinio di Giulio Regeni ostentando tutta la loro complicità, i due ministri hanno affrontato sia la questione della guerra e delle elezioni in Libia, sia il tema del blocco dei flussi migratori. Non si tratta di una novità: già nel dicembre 2017 l’allora ministro degli interni Minniti aveva incontrato il presidente dittatore al-Sisi per parlare degli stessi argomenti. Nel settembre dello stesso anno è stato firmato un accordo tra i due ministri degli interni in cui l’Italia si impegna ad addestrare al Cairo personale di polizia di 22 paesi africani specializzati in “migrazione illegale”.
Durante l’ultimo incontro non si sono registrate sostanziali novità. Il ministro Shoukry si è limitato a confermare gli “ottimi rapporti con il governo italiano”, sottolineando che fin dal settembre 2016 l’Egitto ha mantenuto i suoi impegni come partner di primo piano dell’Unione Europea nella gestione e controllo di quella che chiamano “crisi migratoria”. Nonostante ciò il paese rifiuta di installare (insieme a Tunisia e Algeria) nel proprio territorio dei campi per rifugiati (i campi richiesti dall’Ue dove trattenere e selezionare le persone migranti).
Intanto la repressione nel paese non si ferma. A 5 anni dal massacro di Rabaa (dove in poche ore vennero massacrate più di 800 persone che protestavano pacificamente), e di altre carneficine che seguirono ovunque nei giorni successivi, la situazione dei e delle migliaia di detenutx nelle carceri non fa che peggiorare.
Nei giorni scorsi la mamma di Alaa Abdel Fattah, durante la visita in carcere al figlio è venuta a sapere che il dottor Jamal Abdel Fattah era stato trasferito in ospedale e poi rimesso in cella, senza che nessun membro della famiglia fosse stato avvisato. Il dottore ha 72 anni ed era già malato prima di venire arrestato. In prigione (in attesa del processo da 5 mesi) senza cure, né medicine, le sue condizioni di salute sono peggiorate di molto e ora rischia di morire. A niente è servito chiedere la sua scarcerazione, né il suo spostamento in un ospedale.
Di violenze, vessazioni e abusi sono vittime anche altrx prigionierx.
“Ahmed Douma è da più di 4 anni in isolamento in carcere, il suo stato di salute peggiora, il Ministero dell’interno si diverte a effettuare esperimenti sociali sui detenuti. Per esempio, rinchiudono i prigionieri ritenuti pericolosi in spazi piccoli e ristretti per poi osservarli litigare, si tratti di due gruppi opposti o un gruppo a picchiare una sola persona, loro si limitano ad osservare. Questa è la situazione di Douma dall’inizio della sua reclusione”.
Nei giorni scorsi la famiglia di Ahmad Douma, tra i fondatori del movimento 6 Aprile, uno dei ragazzi più attivi contro il regime fin dai tempi di Hosni Moubarak, ha rilasciato questo comunicato:
“Per la terza volta di seguito in un anno, Ahmad Douma subisce un tentativo di pestaggio da parte di altri detenuti implicati nel processo di organizzazione dello Stato islamico nel Sinai e di alcuni reclusi definiti dalla direzione carceraria come appartenenti allo stato islamico ISIS. La prima volta una persona ha provato ad ucciderlo mentre faceva gli esami nel carcere di Torah. È stato un episodio orribile. Ahmad è riuscito a scappare dopo l’intervento di uno dei partecipanti all’aggressione che lo ha minacciato di morte quando sarebbe uscito dal carcere. Il tutto nella più totale mancanza di intervento da parte della sicurezza interna al carcere.
Il secondo tentativo è avvenuto all’interno della cella del tribunale, in una delle udienze del processo di Maglis al-Wuzara’ (Consiglio dei ministri), per cui è ancora dentro. In assenza dei secondini che lo avevano ‘dimenticato’ apposta, Ahmed è stato rinchiuso in una cella adiacente e comunicante con gli imputati accusati di appartenere allo Stato islamico nel Sinai. Le gabbie sono state aperte. Viene da chiederci se questi non siano dei tentativi da parte delle guardie di far assassinare Douma, usando le divergenze politiche dei reclusi, nonostante essi ne siano perfettamente a conoscenza e il tutto sia stato da noi più volte denunciato.
Questi eventi si sono ripetuti con le stesse dinamiche anche oggi in una cella durante un’udienza in tribunale. Le guardie hanno impedito alla difesa di vederlo, di assicurarsi della sua integrità e di denunciare l’accaduto. Inoltre, è stato negato alla famiglia di assicurarsi della sua integrità, con il rifiuto di ricevere visite. Il Ministero degli interni è completamente responsabile dell’integrità di Douma. Chiediamo che siano fatte delle indagini e che siano prese delle misure appropriate contro i secondini responsabili della ripetuta negligenza nei suoi confronti. Ricordiamo anche che il ministero dell’interno che si rifiuta di intervenire è lo stesso che insiste a tenere Douma in isolamento dal 3 dicembre 2013 con la scusa di proteggerlo dal resto dei detenuti reclusi con lui. Chiediamo, pertanto, che siano prese le dovute precauzioni quando l’integrità di un detenuto è a rischio, mettendolo in cella con uno dei suoi amici”.
Si tratta solo di alcune testimonianze di quello che quotidianamente accade nelle carceri del regime. Fuoco alle galere! Libertà per tuttx i/le detenutx!

agosto 2018, da hurrya.noblogs.org
da ALCUNE LETTERE DAL CARCERE DI CREMONA
Ciao, […] sono nella saletta della socialità, qui si schiatta dal caldo. Sto partecipando al corso di musica, ma credo che tra poco non ci andrò più. Credevo che al corso ci fosse qualcuno che ti seguiva per imparare qualcosa. Invece, l'educatore, quando viene al corso suona i suoi pezzi alla chitarra e non segue nessuno. Meno male che c'è un altro detenuto che si è messo di impegno per far imparare il basso. Ma siccome tra poco ci sarà il concerto, ovviamente devono provare i pezzi da suonare e quindi non c'è spazio per seguirmi.
Per quanto riguarda le tue domande sul SERT non so esattamente ma non seguono più i dipendenti da hashish, so solo che a S.Vittore non li prendono più in carico e la cosa me l'hanno confermata qui a Cremona. Penso che siano cambiate le cose da quando hanno depenalizzato il fumo […].
Comunque da quando sono qui, cioè da più di due mesi, ancora nessuno mi ha chiamato per una visita. Te l'ho già scritto, qui a Cremona in fatto di servizi al detenuto siamo a zero. Figurati che ho fatto la domandina per parlare con l'educatrice che mi dovrebbe seguire ed ancora non l'ho vista. Un giorno l'ho incrociata e gli ho chiesto come mai non mi chiama e lei mi ha risposto velocemente che è inutile che ci si veda che tanto io ho il blocco dei benefici. Il blocco dei benefici (art. 58 quarter) significa che per tre anni non posso usufruire delle pene alternative (domiciliari, SERT, affidamento). Ebbene, ho chiesto informazioni all'avvocato che mi ha detto che io non ho il blocco dei benefici. 'Sta merda di educatrice appena mi riceve gliene canto quattro sulla sua inutilità ed incompetenza. Anche le guardie dicono che qui i servizi per noi non funzionano. Qualsiasi cosa gli chiediamo ci dicono che prima che si attivino i servizi arriviamo a fine pena […].

20 luglio 2018

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Ciao, […] per fortuna il periodo più pesante è passato. Luglio e agosto con il gran caldo e le giornate lunghissime se ne è andato ed anche in sezione c'è un po' più di tranquillità. Eravamo tutti nervosi, le liti erano continue e ci sono stati parecchi cambi di sezione.
Quando litighi con qualcuno in sezione, se vedono che la lite è pesante, ti sbattono alla sezione B, dove stai chiuso sino all'una e ti aprono solo di pomeriggio. Non che adesso non si litighi più, ma le liti si risolvono subito dopo, senza bisogno di trasferire nessuno. Qui in sezione su cinquanta che siamo, solo diciotto sono italiani e di questi solo due o tre leggono e si relazionano. Nel primo scambio di parole si mostrano destroidi e razzisti, ma un po' di testa ce l'hanno.
E' inevitabile che qui dentro diventi razzista, non riesci ad ottenere un'unità tra detenuti, tutti pensano ai cazzi propri, per non parlare di quelli che parlano con le guardie. Molto spesso la mattina, prima che ci aprono (alle nove) ci sono le perquisizioni, a cui partecipa addirittura l'ispettore. Sono perquisizioni mirate, cioè a singole celle, questo vuol dire che c'è qualcuno che se la canta. A proposito di contraccolpi micidiali: a uno di noi è arrivata la scarcerazione. Il giorno stesso che lo dovevano scarcerare gli hanno fatto preparare tutte le cose, le borse ecc.. Era pronto per uscire da quel maledetto cancello ed appena arrivato al casellario per fare il DNA gli han detto che gli erano arrivati altri cinque anni da scontare […].

29 Agosto 2018
Lettera dal carcere di Verona
Ciao compagn*, sono Eddi Karim, sono ancora nel lager di Verona dove regna l'abuso in tutti i fronti sia da parte dei secondini che dell'istituzione e soprattutto della cosiddetta “Equipe” composta da Direttrice, Commissario, Educatori ecc. e i loro scagnozzi. Penso che da come avete notato anche le lettere le mandano indietro, le mandano tramite privati, il lavoro tocca solo a chi collabora – in maggior parte.
Il magistrato di sorveglianza concede la libertà solo a quelli raccomandati e non a chi gli spetta di diritto. La cosa che mi rattrista è il disaccordo dei detenuti: come ho scritto nei precedenti opuscoli i detenuti che lottano per la loro dignità e onore, ogni giorno diminuiscono, colpa degli infami che avvisano immediatamente le istituzioni che a loro volta ci impediscono di iniziare qualsiasi protesta PACIFICA; a volte non troviamo nemmeno il tempo di finire il discorso tra carcerati e i loro diritti e veniamo subito suddivisi con diverse scuse, grazie ai loro informatori che fanno da cimici (intercettazioni ambientali).
Detto ciò come tutti sanno queste cose non mi impediscono di continuare a lottare contro questo SCHIFO di sistema marcio diretto da persone indegne e politici corrotti che dovrebbero essere loro ai nostri posti (al posto dei compagni che hanno sempre lottato e continueranno a farlo).
Concludo, dicendo a tutti, al fine di incoraggiarli, di continuare a lottare fino alla fine senza abbassare mai la guardia (barcolliamo ma non molliamo).
Il solito abbraccio nome a Maurizio Alfieri e Davide Delogu, sperando che ricevano presto le mie lettere che già avevo spedito. Porgo tutta la mia solidarietà alle detenute del femminile di Pozzuoli (NA), incoraggiandole a lottare e protestare per i loro diritti e di non avere paura dei rapporti, perché non possono punire tutte solo perché hanno reclamato i loro diritti, sperando che rimangano unite, perché dall'unità nasce la forza, magari potranno cambiare qualcosa in positivo.
Un abbraccio a tutti voi e ai compagni di Venezia, Eddi Karim.

14 agosto 2018
Eddi Karim, via S. Michele, 15 - 37141 Verona


Lettera dal carcere di augusta (sc)
Davide si trova in sezione e dall'estate non ha più la censura sulla posta. Alcuni dei materiali bloccati, accumulati durante gli scorsi mesi, tra opuscoli, libri, fumetti, testi di ogni tipo, gli vengono restituiti poco a poco, non senza che il compagno debba inventarsi una qualche modalità di protesta per poter ottenere ciò che è suo. Al momento quindi è più facile scrivergli e invitiamo tutte e tutti a farlo, per fargli sentire vicinanza e solidarietà. Durante il mese di ottobre Davide sarà nel carcere di Massama, in Sardegna, per presenziare a un'udienza per le rivolte avvenute nel carcere del Buoncammino nel 2013. Di seguito una sua lettera di metà luglio.

Salute a tutte/i, vi confermo e vi ringrazio per avermi spedito il vostro «piego di libri», in questo specifico contesto perennemente turbolento e tiranno, non essere fagocitati dall'apparato sbarrocratico e dalla violenza della censura stabilita dall'ordine del ministero così tanto odiato, con la corrispondenza tenace che non molla mai, è carattere e segno di forza che non deve essere sottovalutata, in cui alcune/i si ripiegano invece, perché non definiscono e/o valorizzano la sua importanza, oppure cedendo all'ostacolo, la perseveranza va nel dimenticatoio. Purtroppo, in questo vostro ultimo piego, abbiamo avuto delle «perdite» in questo ambito di lotta. Mi è stato consegnato oltre la lettera e i fogli, meno di 1/3 del contenuto, ossia: «9999» - «Il Telefono senza fili» - «Centrali nucleari e società»; tutto il resto è stato inviato al magistrato, insieme ad un centinaio di altre pubblicazioni che stanno da quando ero in 14bis!
I rapporti di forza che vi sono dentro e fuori sono quelli che sono, ma mai demordere!
Un saluto affettuoso a tutte/i quante/i di Olga! Contro ogni gabbia! Autoliberarsi per meglio autodeterminarsi! Sempri ainnantis! Davideddu!

10 luglio 2018 [timbro del «Visto Censura» 11 luglio 2018]
Davide Delogu, C.R. Brucoli, C.da Ippolito, 1 - 96011 Augusta (Siracusa)


Lettera dal carcere di uta (ca)
La cartolina allegata al libro Rote Zora e all'opuscolo mi è arrivata, ma il libro e l'opuscolo mi sono stati trattenuti!!! quindi non mi è arrivato nulla, praticamente, di ciò che mi è stato mandato, a parte la grande e sempre piacevole solidarietà, che poi vale tutto.
Io sto aspettando che si muova qualche cosa per una misura alternativa, ma manca poco! Vediamo un po'!
Intanto sono all'ennesimo isolamento, ma tanto domani lo finisco (erano 5 giorni). Comunque già vi scrissi che purtroppo l' “opuscolo” non mi viene mai dato, sempre trattenuto, così come la maggior parte di materiale cartaceo cazzo!
E un paio di giorni fa mi è stata riprorogata la censura… ma va? Sò che me la dovrò tenere fino alla mia scarcerazione. Già feci ricorso per farmela togliere, ma mi venne rigettato. In aula portai le mie motivazioni per la revoca, ma tanto non furono calcolate… Un abbraccio fortissimo sempre per la libertà. Madda

22 settembre 2018
Madda Calore, Zona Industriale Macchiareddu, 2da Strada Ovest - 09010 Uta (CA)

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Tensione nelle carceri sarde
Dai quotidiani locali apprendiamo due notizie relative ai due carceri maggiori sardi, ossia quello di Uta e quella di Bancali.
Da Uta abbiamo saputo di un prigioniero richiuso con l’accusa di terrorismo islamico che ha ingerito delle lame per farsi ricoverare e poi tentare la fuga, fuga che purtroppo è stata sventata dagli agenti di polizia penitenziaria che lo avevano in custodia.
A Bancali invece un detenuto ha sferrato un pugno a un secondino che addirittura si è fatto fare un tac per scongiurare gravi traumi cranici. Non si conoscono le cause di questa carezza, ma non dubitiamo che la guardia se la sia ampiamente meritata.
AGGIORNAMENTO: da dentro ci giunge voce che la notizia riportata dall’Unione sarda e da noi ripresa circa il tentativo di evasione di un prigioniero tunisino sia falsa. Non tanto perchè il prigioniero non abbia provato a evadere, quanto perchè pare che prima e dopo il ricovero sia stato pestato selvaggiamente dalle guardie. Chi lo ha visto sia in ospedale sia al rientro in carcere non aveva dubbi sulla natura delle ferite, addirittura pare che avesse il volto ancora sanguinante. Ora è stato sottoposto al regime di 14 bis. Speriamo di avere altri aggiornamenti al più presto.

4 agosto 2018, da nobordersard.noblogs.org
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Un contributo sul saluto al carcere di Uta del 22 agosto
Squarciare il silenzio che cinge le mura del carcere di Uta. Mostrare a chi affronta le pene della galera che non è da solo, che fuori dalle sbarre il mondo non scorre abbandonandolo alla sua sorte.
Sotto un cielo grigio il rombo dei tuoni e il guizzo dei fulmini non sono stati i soli ad animare l’aria attorno alla Casa Circondariale Ettore Scalas, situata volutamente in mezzo al nulla industriale del cagliaritano, come ormai prassi dell’urbanistica carceraria. Botti, bagliori e urla da parte di un gruppo numeroso di persone hanno rotto l’isolamento di cui vorrebbe godere il carcere di Uta, in uno dei primi saluti che si fa ai detenuti della recente struttura, da quando è chiuso il vecchio Buoncammino.
Un saluto importante ai prigionieri, dedicato soprattutto alle detenute che nelle ultime settimane hanno fatto sentire la loro voce. Il fuoco dato alla cella da parte di una prigioniera, una rissa tra detenute che finisce col mandare una secondina in ospedale, sono chiari segnali del disagio asfissiante che tra le mura e le inferriate si vive. Un disagio che suona come un grido al vento, in attesa che qualcuno lo colga e risponda come meglio può, portando la sua solidarietà. Così è stato la sera di mercoledì 22 agosto riuscendo a tradurre le poche notizie che trapelano dalle galere.
Un pensiero va ai compagni e alle compagne prigioniere deportate in strutture lontane dalla Sardegna, come Davide Delogu, dove non possono essere salutati né da parenti né da amici, nella totale rottura e isolamento che la delocalizzazione dei detenuti politici comporta. Uno strumento, questo, che ha un significato ben preciso, soprattutto in terra sarda, per spezzare qualsiasi possibilità di contatto con l’esterno famigliare per chi è scomodo allo status quo.
In questo periodo in cui la repressione e la pseudo-legalità sono gli strumenti chiave dello Stato, occorre muoversi in maniera efficace e organizzata per dare solidarietà a chi si trova rinchiuso nelle gabbie e a chi continua la lotta tra le pareti fredde.
Per non lasciare nessuno solo davanti al carcere. Per abbattere quelle maledette mura.
Madda libera. Paolo libero. Tutti/e liberi/e.

25 agosto 2018, da nobordersard.noblogs.org


RESOCONTO UDIENZE APRILE-LUGLIO processo “SCRIPTA MANENT”
Dopo le udienze dell’inverno 2018 dove prevalevano i resoconti sui fatti specifici contestati e l’imbastitura dello schema accusatorio sul reato associativo secondo la DIGOS torinese, dal 18 Aprile al 16 Maggio sono sfilati alcuni funzionari del ROS di Perugia – Rossi, Mencarelli, Simeon, Mariucci, Passeri – alcuni ancora in servizio lì, altri trasferiti in analoghi uffici italici, a relazionare sull’indagine Ardire, confluita in Scripta Manent, con divagazioni e provvidenziali amnesie su altri procedimenti e fascicoli connessi al monitoraggio anti-anarchico a partire dalla cosiddetta op. Brushwood, passando per Shadow, per lo più attraverso intercettazioni telematiche, telefoniche, ambientali e controllo della corrispondenza.
Mencarelli ha illustrato la sua analisi sul blog Culmine e sui rapporti di conoscenza soprattutto attraverso corrispondenza dal/al carcere, tra anarchici: “sì, ma non so produrre il dato oggettivo” potrebbe essere la frase simbolo della sua deposizione, quando ha cercato di attribuire d’ufficio ad un redattore di Culmine la partecipazione ad un altro giornale; oppure “si conoscevano per astio alla Benetton” quando doveva dimostrare la conoscenza tra due imputati, ovvero che entrambi fossero stati indagati per aver partecipato ad iniziative contro i neolatifondisti trevigiani in solidarietà al popolo Mapuche.
Simeon ha illustrato Ardire come “filiazione” di Shadow, in seguito al monitoraggio di compagni in custodia cautelare per l’op. precedente dei ROS perugini/PM Comodi, attraverso il controllo postale e audio-video della sala colloqui del carcere di Alessandria, ponendo particolare attenzione allo sciopero della fame dei prigionieri anarchici nel 2009 in memoria di Mauricio Morales ed alle azioni a firma Sorelle in Armi – FAI dello stesso periodo, contro l’università Bocconi e altri obiettivi.
In pratica il ROS dei carabinieri ha riproposto la tesi accusatoria di Ardire, con il collaudato modello del doppio livello, sorvolando sul fatto che la suddetta tesi fosse già naufragata con le scarcerazioni di Ardire, sia sul 270bis che sui reati specifici e l’archiviazione effettuata dalla procura di Milano (con cui gli stessi ROS perugini hanno collaborato, dopo lo spostamento di competenza territoriale da Perugia a Milano) e sorvolando pure sulla sentenza definitiva di shadow (che ha fatto cadere fin dal primo grado il reato associativo, ripescando l’istigazione in appello, confermata in cassazione).
Sempre a Maggio il DIGOS torinese Di Gregoli, continuando a mettere sul piatto delle accuse quel che qualsiasi navigante del web può leggere, ovvero “consultando le fonti aperte”, ha fornito un excursus sul numero di attacchi FAI/FRI in Italia, 52 secondo le fonti aperte, nonché un più vasto numero all’estero desunto da una cartina pubblicata su diversi siti di controinformazione internazionale.
E’ passato poi ad esporre il controllo dispiegato sul ciclo di incontri “A Testa Alta” ed alla successiva redazione di Croce Nera Anarchica – dipinta come “rivista dell’associazione”, “organo di comunicazione dell’associazione” – sul blog e sulla cassa per i prigionieri, nonché su movimenti e frequentazioni dei redattori.
A fine Maggio i ROS di Napoli Moriconi, Corradetti, Panebianco e D’Enrico hanno esposto il “frutto” del loro monitoraggio sugli ambienti anarchici dal 2012, in particolare con le op. Evoluzione ed Evoluzione II, sorvolando su altre indagini, dallo stesso ufficio, che stavano continuando a colpire compagni anarchici campani. Si sono soffermati, al solito, su controinformazione sul web e rapporti di solidarietà con i prigionieri: comunicazioni via email, pubblicazione di notizie, comunicati e rivendicazioni inframezzate con il resoconto dettagliato di eventi “significativi” quali possono essere stati… concerti e stampa di magliette benefit, presentazioni di incontri e la litania dell’elenco di nominativi di anarchici, imputati o meno, e i loro rapporti di conoscenza.
La narrazione di episodi insignificanti quotidiani (che non si discosta molto tra ROS e DIGOS) è mescolata a guizzi d’ingegno quali il ritenere particolarmente significativo dichiarare “solidarietà e complicità” in luogo di una più tradizionale “solidarietà” o ipotizzare un’anarchica “compartimentazione orizzontale” in luogo della “compartimentazione verticale” brigatista.
Dallo stesso resoconto risultano le modalità di intercettazione telematica utilizzate su RadioAzione – blog e web radio – tramite trojan, immesso tramite l’ADSL, software ribattezzato Agente Elena con sbirresca fantasia. Il PC portatile diventa una microspia ambientale per captare i commenti fuori-onda durate le dirette radio (con l’autorizzazione dei magistrati pure ad effettuare riprese video se la webcam del portatile fosse stata attiva) e permette di acquisire e-mail, attività editoriale e ricerca immagini in corso tramite keylogger (software in grado di registrare tutto ciò che viene digitato sulla tastiera) e snapshot (foto della schermata in successione) in progressione temporale ravvicinata per dar conto, con brevi intervalli di tempo, di aggiunte e correzioni al testo.
A Giugno il DIGOS pescarese Palazzo ha relazionato su presenza, durata e frequentazioni tra imputati a Pescara nell’Agosto 2012 (in spiaggia, al bar, al parco giochi) su gite, frequentazioni e presenza al processo Adinolfi sempre tramite pedinamenti coadiuvati da microfoni ambientali e telecamere fuori dall’ingresso di casa e lavoro per mettere sotto la lente d’ingrandimento conoscenze già risapute da anni, frequentazioni di passaggio, presentazioni e distribuzione di CNA (di cui curiosamente la DIGOS torinese sostiene di non aver avuto l’intercettazione telematica dei redattori).
Nell’udienza del 4 Luglio il responsabile del laboratorio analisi grafiche del RIS di Parma, Orienti, è stato chiamato a confermare la relazione tecnica redatta all’epoca dei fatti sulle etichette manoscritte e sui testi normografati dei plichi incendiari/esplosivi a Chiamparino, Coema e Torino Cronaca: relazione che afferma, in seguito alle analisi fatte, che le scritture a mano derivano da ricalca e quindi, come la scritture a normografo, non sono attribuibili, andando così a contraddire le perizie grafologiche ostentate dall’accusa.
Nell’udienza del 5 Luglio il consulente informatico chiamato dalla difesa ha spiegato modalità di funzionamento di reti, sottoreti e motori di ricerca e le conseguenti modalità e possibilità di reperimento in rete di documenti a distanza di tempo. Andando così a contrastare le attribuzioni e ricostruzioni arbitrarie dell’accusa, a distanza di svariati anni.
Sempre il 5 Luglio il consulente genetista della difesa ha evidenziato le innumerevoli irregolarità, lacune ed errori delle perizie fatte nel 2005 e nel 2012, su una traccia di DNA trovata sui manici del sacchetto contenente l’ordigno inesploso al RIS di Parma del 2005: a partire dall’esigua traccia di DNA, misto e degradato, rilevato nel 2005, repertato e concentrato con una metodica di laboratorio attualmente ritenuta non più attendibile e con esami non ripetibili visto che la traccia trovata a suo tempo è stata consumata con la prima analisi; errori rilevati anche nel successivo confronto nel 2012 e sull’attendibilità degli strumenti d’analisi: “il software se non lo sai usare bene ti dice quello che vuoi tu” ha dichiarato il consulente per spiegare l’adattabilità dei dati immessi.
E’ stata richiesta dal tribunale una nuova perizia sul DNA, il cui incarico verrà conferito il 12 Settembre, alla ripresa autunnale delle udienze.
Le prossime udienze per Scripta Manent saranno: 3-4 Ottobre, 14 Novembre, 21-22 Novembre, dal 3 al 7 Dicembre l’aula è stata prenotata per il dibattimento finale.
Anna è stata autorizzata a presenziare all’udienza del 3-4 Ottobre.
I passaggi virgolettati in corsivo sono citazioni delle trascrizioni.

13 settembre 2018, da autistici.org/cna


RESOCONTO DELLA GIORNATA DI LOTTA A L’AQUILA
La giornata del 28 settembre a L'Aquila è cominciata con alcuni tentativi di identificazione all'ingresso del tribunale, vanificati dall'opposizione decisa dei presenti. In aula, però, il giudice ha prontamente concesso alle forze dell'ordine l'autorizzazione a filmare l'udienza per motivi di ordine pubblico e una videocamera è rimasta puntata su di noi.
L'udienza era la quinta e conclusiva del pretestuoso processo contro Nadia Lioce per una serie di battiture di protesta compiute nel 2015. Queste battiture avrebbero arrecato disturbo alla quiete delle altre detenute in regime di 41 bis (a L'Aquila sono 7 le donne ristrette nel regime speciale).
Il processo si è svolto con l'utilizzo della videoconferenza e grotteschi sono risuonati nell'aula i “pronto, pronto! Ci siete?”, “pronto, qui dall'Aquila tutto bene!”, come si trattasse di un programma televisivo. Nello schermo è comparsa una donna anziana, detenuta come Nadia in 41 bis, che avrebbe dovuto confermare le precedenti deposizioni delle agenti dei GOM secondo le quali alcune detenute si sarebbero lamentate del rumore provocato dalla bottiglietta di plastica battuta sulla porta della cella. Invece, con poche e chiare parole, la donna ha testimoniato la realtà della detenzione in 41 bis, fatta di silenzio imposto alle detenute che non possono rivolgersi la parola fino al punto di ignorare l'esistenza reciproca: “Non so chi sia Nadia Lioce, non ho mai visto il suo viso nè sentito la sua voce”.
Una dichiarazione che ci restituisce la ferocia di un isolamento così totale da rendere impossibile, per giunta, arrecarsi qualche disturbo, così disumano da smaterializzare i corpi di chi si trova giorno e notte a pochi metri di distanza.
Poi dietro lo schermo è comparsa Nadia, che ha rivendicato la battitura quale forma di protesta contro l'ennesimo sopruso subito, cioè la sottrazione di atti giudiziari e documenti dalla sua cella. Un atto di protesta non solo legittimo, ma necessario a preservare l'integrità soggettiva che il carcere e il 41 bis intendono annientare. Nadia ha sottolineato che il carcere pretende di garantire l'incolumità personale dei detenuti (e anche questo spesso non accade), ma l'integrità soggettiva è continuamente assediata da vessazioni e ulteriori restrizioni, come il divieto di ricevere libri e riviste. Di fronte al tentativo di colpire la sua integrità soggettiva sottraendo documenti dalla sua cella, Nadia ha dichiarato legittimo, oltre che doveroso per la sua coscienza di rivoluzionaria, opporsi attraverso modalità decise di volta in volta, proporzionate allo scopo della protesta: in questo caso una battitura. Uno strumento cui, peraltro, hanno fatto ricorso anche altri detenuti, come in occasione della protesta svoltasi nella sezione maschile di 41 bis contro la riduzione dell'orario in cui è consentito guardare la tv.
Nelle arringhe le avvocate hanno ricondotto il processo per disturbo alla quiete pubblica al contesto in cui tale accusa è stata formulata: la detenzione nel regime di 41 bis, un regime speciale che palesa l'esistenza della tortura nell'ordinamento giuridico. La sua applicazione, con le restrizioni sempre maggiori introdotte negli anni, ha portato ad un avvitamento parossistico dell'accusa su se stessa: in un contesto di isolamento quale quello imposto alle 7 detenute in 41 bis, come sarebbe possibile configurare un disturbo alla quiete delle altre? Come venire a conoscenza delle lamentele altrui? All'interno del 41 bis il reato contestato a Nadia diventa un reato impossibile, in quanto manca il presupposto perchè questo reato possa configurarsi: il diritto alla parola, negato nonostante la sua coessenzialità alla natura umana. Le avvocate hanno, quindi, espressamente chiesto al giudice di esprimersi, nelle motivazioni della sentenza, sul regime speciale, nella cui cornice è sorta una causa non sense, contraddittoria, il cui unico senso è quello di disintegrare ogni espressione, a maggior ragione se di dissenso. E' evidente che la quiete turbata è stata solo quella delle secondine, che pretendevano di proseguire nei loro tentativi di scalfire l'integrità delle detenute senza alcuna reazione di protesta. In quel silenzio assordante, le flebili eco di una bottiglietta di plastica battuta sulla porta blindata della cella da Nadia devono essere risuonate come fastidiose affermazioni di resistenza e dignità.
Dopo l'assoluzione di Nadia dall'accusa di disturbo alla quiete pubblica, siamo rimasti in aula per ascoltare le udienze successive, anch'esse relative a denunce di guardie contro detenuti in regime di 41 bis. Sono state 7 udienze in totale, tre delle quali si sono concluse con l'assoluzione degli imputati per insussistenza del reato; le altre sono state rimandate al 18 gennaio 2019.
Per ricondurre le varie udienze ad un discorso più generale, si possono fare alcune considerazioni. I reati contestati ai detenuti sottoposti al 41 bis sono stati disturbo alla quiete pubblica (è il caso di Nadia), danneggiamento e oltraggio a pubblico ufficiale. Nel caso del danneggiamento, l'oggetto in questione era una vetusta suppellettile del carcere, uno sgabello, scagliata da un detenuto contro la porta blindata chiusa della propria cella. Anche in questo caso il detenuto è stato assolto.
Le altre 5 udienze scaturivano da denunce per oltraggio a pubblico ufficiale: 4 sono state rimandate al 18 gennaio 2019, una si è conclusa con l'assoluzione della detenuta per insussistenza del reato. Quest'ultima udienza ha visto due agenti dei GOM montare un caso a dir poco intimidatorio contro una detenuta che ha reagito ad un rapporto disciplinare in cui le si contestava di aver riutilizzato un francobollo già affrancato definendo “bugiarde” le due secondine accusatrici. Le quali, profondamente offese nel loro orgoglio di pubblici ufficiali imparziali, hanno pensato bene di attivare la macchina della giustizia denunciandola per oltraggio, a fronte di un presunto riciclo di un francobollo del valore di 10 centesimi. Anche in questo caso l'assurdità della questione e il suo reale obiettivo vessatorio sono emersi tanto evidentemente da far indietreggiare anche il magistrato dell’accusa, che ha chiesto l'assoluzione della detenuta, confermata poi dal giudice.
Dai commenti di qualche avvocato locale presente in aula, pare che le guardie del carcere di L'Aquila siano di denuncia facile. Così questi processi per loro costituiscono un ulteriore modo per mortificare l'integrità di chi, nonostante l'isolamento, è ancora animato da moti di ribellione contro vessazioni continue. Per noi questi processi sono serviti a far emergere, anche se in videoconferenza, la parola negata a chi è detenuto in 41 bis e il coraggio di chi, rinchiuso in quel silenzio, resiste.
Terminate le udienze in gruppo ci si è spostate/i nel prato antistante le celle del 41bis del carcere cittadino, dove sono detenute in questo regime più di 100 persone. Anche questa volta al nostro arrivo abbiamo visto sventolare pezzi di stoffe dalle bocche di lupo delle finestre delle celle (chiamate in tribunale camere detentive, sic!). Diversi gli interventi che si sono alternati all’amplificazione, tesi a raccontare lo svolgimento della giornata fuori da quelle mura e l’importanza del sostegno alle lotte dei/delle detenuti/e.
É stato ribadito, infine, il fatto che continueremo a porre la nostra attenzione sulla questione dei regimi di isolamento speciale. Non solo perché rappresentano la punta dell’iceberg del sistema repressivo ma perché, e tutt’altro che simbolicamente, sempre più persone ne vengono colpite: attraverso la detenzione in regime speciale – sia essa 41-bis o Alta Sicurezza – oppure con tutti gli altri istituti di cui l’amministrazione penitenziaria si avvale per il “mantenimento dell’ordine e della sicurezza”. Tra questi, non ultimo, il regime di sorveglianza particolare, il 14-bis, il cosiddetto isolamento punitivo. Strumento, questo, che sempre più viene utilizzato contro quei detenuti e quelle detenute che, genericamente, l’amministrazione ritiene “turbino l’ordine negli istituti”. Lo stesso provvedimento, che si concretizza con ulteriori restrizioni nelle restrizioni, cui sono sottoposti/e molti/e detenuti/e, conosciuti e non, e al quale sarebbe stata destinata anche Nadia se non fosse stata assolta in questo processo.
Ecco l’importanza, ribadita di fronte al carcere, di dare visibilità a manovre di questo tipo, di non lasciare isolato/a nessuno/a nelle aule di tribunale. E lo sprono a far emergere, attraverso tentativi di corrispondenza, le situazioni specifiche che il D.A.P. (dipartimento di amministrazione penitenziaria) tenta di tombare, unitamente alle persone che sono rinchiuse all’interno delle galere come quella de L’Aquila. A presto altre iniziative.

ottobre 2018, Campagna “Pagine Contro la Tortura”

***
Di seguito, la difficile trascrizione della dichiarazione spontanea fatta da Nadia durante l’udienza, le cui parole, anche se spesso rese incomprensibili dal grottesco filtro della videoconferenza, sono lucide e risolute, e delle arringhe conclusive delle avvocate della difesa, fatte in aula e ben più udibili.

Dichiarazione in videoconferenza di Nadia
Giudice: L’imputata ha ascoltato le dichiarazioni della testimone dell’accusa, no?!?....Molto bene. Se non ricordo male, prima che dichiari la chiusura dell’istruttoria dibattimentale, lei aveva chiesto di voler rendere dichiarazioni spontanee. Conferma, è necessario o cosa vuole fare?
Nadia: …
Giudice: Non sentiamo… Se le date il microfono grazie.
Nadia: Buongiorno, sì volevo dire, però magari dopo l’arringa del PM.
Giudice: No… le dichiarazioni o le fa ora, dopo la chiusura del dibattimento ci sono solo le conclusioni, non può più intervenire. Quindi adesso possiamo chiudere con la testimonianza della teste Gallico per procedere alla conclusione del processo… però lei..
Nadia: E allora preferisco… e allora preferisco farle queste dichiarazioni, anche se...
Giudice: È necessario... anzi lei...
Nadia: No, io le farei, perché comunque qualcosa avrei da dire...
Giudice: Ne ha facoltà. L’unica cosa che vorrei ricordarle, le dichiarazioni spontanee devono essere attinenti al... diciamo all’imputazione e non devono intralciare l’istituzione dibattimentale... gliel’ho già ricordato altre volte... prego.
Nadia: Dubito che possano intralciare il dibattimento e penso anche che da un punto di vista contenutistico quello che è successo delle sei volte… in cui io ho effettuato la battitura, perché io non l’ho mai negata, anzi… al contrario. A confermazione del fatto che questa battitura non è stata fatta soltanto quelle sei volte, ma in altre quaranta e più volte, avete tutte le notifiche di sanzioni disciplinari che ho avuto. Le questioni diciamo che nascono da o che sono collegate afferenti a materiali inevitabilmente lo sono, perché quello che è stato il motivo di questa protesta, che è stata una protesta prolungata per sei mesi, fatta per la sottrazione di materiale cartaceo dalla mia cella. Una sottrazione di materiale cartaceo che includeva anche atti giudiziari che però agli occhi della polizia penitenziaria erano esclusivamente pensiero mio, dal momento che erano presentate in occasione di processi da parte mia o da parte di miei compagni, in altri processi, e quindi non degni di quella tutela diciamo di cui comunque godono gli atti giudiziari detenuti in cella. E che nel momento in cui invece mi furono restituiti, motivarono l’interruzione della protesta e dovete saperlo una protesta chiaramente contro il personale penitenziario o chiunque che aveva comandato loro di farlo e che non aveva più motivo di esistere nel momento in cui il problema materiale era finito…
Che cosa c’è dietro tutto quello che è successo? Appunto il motivo della denuncia è il presunto disturbo del sonno, della quiete insomma degli altri detenuti. Questo disturbo è un disturbo che a me non è stato testimoniato dai fatti. Certo io non è che posso dire che magari qualcuno si possa essere lamentato in privato con qualcuno, ma certamente non l’ha fatto in pubblico, perché se l’avesse fatto io avrei cercato di organizzare la protesta in termini... certamente non l’avrei interrotta, ma l’avrei organizzata diversamente. Questo presunto disturbo della quiete, non perché non potessi pensare che il rumore non potesse dare fastidio, ma se per questo noi abbiamo avuto anche delle proteste perché è cambiato l’orario di accensione e spegnimento delle televisioni, che prima venivano spente alle tre di notte, ora sono spente a mezzanotte e ci sono state delle proteste notturne cioè alla mezzanotte effettuate da una parte del maschile e anche se io non mi sono sognata né nessun’altra si è sognata, di lamentarsi del fatto che altri prigionieri facessero questa protesta, perché se si ritiene che è giusto difendere i propri diritti, chiaramente si è d’accordo a prescindere e si sopporta il fastidio che si può avere, un fastidio comunque limitato, rispetto a quello che può capitarci in termini di non tutela dei nostri diritti in una condizione in cui l’integrità personale è, diciamo, soggetta a interpretazioni.
E quando dico integrità personale e qui... è impossibile non farlo e qui invece è necessario averci dei criteri in mente. Lo dico anche da me, nel senso che io stessa ho dovuto valutare quale fosse una protesta opportuna e fin dove mi potessi spingere naturalmente, non per quelle che potevano essere le conseguenze che ricadono su di te, ma per quello che è giusto e proporzionato fare. Appunto quando si parla di integrità personale chiaramente per me, mi riferisco, per quello che è la mia soggettività, non soltanto la mia incolumità fisica e nemmeno la mia sopravvivenza, come può essere ritenuto in parte del diritto che si è andato affermando in questi anni o addirittura meno che sopravvivenza come in parte in ambito anglosassone, che abbiamo visto, ci può essere il fenomeno degli omicidi di Stato consentiti da una commissione di giuristi che segregano.
G: …rimanere sui fatti.
N: Integrità personale per me include anche tutto quello che sono soggettivamente, quello che penso.
G: atteniamoci sempre alla rubrica d’imputazione
Avv: Mi scusi Giudice, sta spiegando le ragioni alla base della protesta e credo che sia un elemento fondamentale per capire se…
N: Perché il motivo della mia opposizione al decreto è stata la sostanziale necessità della protesta, non il fatto che io non l’avessi compiuta e quindi è ovvio che ora io voglia argomentare il motivo della sua legittimità e trovo il motivo della sua legittimità sostanziale nel fatto che io comunque ho difeso la mia integrità soggettiva e l’integrità soggettiva sappiamo che nel contesto del 41bis è dubbio che cosa significhi, perché nel momento in cui a me è vietato di parlare così come lo è alle altre detenute, proprio ieri sono stati fatti dei rapporti disciplinari perché qualcuno del personale penitenziario ha ritenuto che una detenuta di un gruppo di segregazione parlasse con un’altra detenuta di un altro gruppo di segregazione, dopo di che non è detto che l’abbiano fatto davvero perché la voce si diffonde e non è che si capisce bene dove’è diretta, oppure come il rumore si è diffuso in occasione delle proteste, ma a me nessuno è potuto venire a dirmi “guarda mi stai disturbando, non lo fare” E quindi io non è che posso presumere che ci sia un disturbo per il solo fatto che c’è in atto una protesta, perché come è successo tante altre volte, questo non ha arrecato questo disturbo a quanto pare o comunque non l’ha arrecato tale da essere un illecito penale, perché come abbiamo visto per 40 e più altre volte non lo è stato, nonostante questa mia pratica sia stata sanzionata più di 50 volte ma solo 6 sono state denunciate al tribunale.
Allora se appunto non viene rispettata l’integrità soggettiva, quindi non solo fisica, non solo l’incolumità fisica del prigioniero, dal momento che invece ognuno di noi un soggetto è, è naturale che si difenda e che metta in atto le pratiche che sono possibili e ritiene proporzionate per difendere la propria integrità. Qui chiaramente si tratta di criteri che ognuno ha per definirla. Il legislatore o comunque sia l’Esecutivo non ha lo stesso criterio che ho io di integrità soggettiva, perché ha ritenuto possibile vietare la parola e finora non c’è stata nessuna pronuncia da parte di nessuna istanza giudiziaria superiore che dicesse sì è giusto non è giusto quello che ha fatto il legislatore nel 2009 quando ha vietato la parola a varie persone perché questo è quello che c’è. Ed è questo il motivo che ha…
G: Chiedo scusa. Lei ha dato la sua versione dei fatti per quanto concerne la contestazione e credo che parlare adesso di legislatori, la parola e quant’altro non credo sia una cosa attinente all’argomentazione giuridica e poi rischiamo di andare come dire… ecco, non mi piace interrompere e togliere la parola però…
N: Signor Giudice, ma se il legislatore non avesse vietato la parola a me qualcuno me l’avrebbe detto che stavo disturbando ad esempio.
G: È chiaro, ha spiegato benissimo
N: Quindi se ho citato il fatto del legislatore, insomma, c’è un’attinenza molto specifica e puntuale su quello che sta succedendo in quest’aula, o no? Purtroppo le cose sono andate diffondendosi in termini così antigiuridici che uno ne parla per forza del legislatore. Non mi sembra di stare forzando più di tanto. Anzi mi sembra che la forzatura l’abbia fatta il legislatore. Dopodiché appunto qui stiamo ognuno con il proprio modo di concepire quella che è l’integrità personale, quella che non è l’integrità personale. Quindi purtroppo c’è una necessità di prendere posizione anche su quest’aspetto che riguarda i fatti per come si possono valutare. Per questo io difendo il mio diritto, ma anche il mio dovere. Perché non solo è mio diritto difendere la mia integrità personale ma è anche un dovere politico perché io sono una rivoluzionaria e chiaramente non ammetto che ci sia un tentativo di coercire la soggettività altrui. Questo non lo ammetto e quindi è mio dovere anche difenderlo da un punto di vista sociale.
G: Va bene grazie.
Applausi

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Interventi conclusivi delle avvocate della difesa
Avv. Carla Serra.
Questo processo trae la sua origine appunto da una battitura di protesta con una svolta effettuata con una bottiglia di plastica da parte della Lioce, in quanto le erano stati sequestrati degli atti processuali, pertanto è terminata esattamente nel momento in cui questi atti le sono stati restituiti. Occorre avere presente che tutti gli episodi di battitura hanno originato delle altrettante sanzioni disciplinari, che lei giudice ha in atti, perché appunto hanno formato oggetto di produzione documentale, ma non invece tutti gli episodi di protesta sono poi arrivati a processo. Solo sei tra questi episodi hanno generato questo processo.
Ma, questa bottiglietta di plastica ha fatto cosi tanto rumore ed ha avuto cosi tanta forza da aver scoperchiato il vaso di pandora da cui sono fuoriusciti prepotentemente tutti i mali del regime speciale, che oggi è il vero imputato di questo processo, non la Lioce, ma il regime speciale.
Perché un regime che vieta l’uso della parola, cosi come pocanzi ha affermato la Lioce, tanto che il reato che oggi le viene contestato diventa un reato impossibile, proprio perché le detenute non avevano la possibilità di comunicare direttamente con la Lioce, né la Lioce poteva avere consapevolezza e conoscere la percezione di disturbo che stava arrecando alle altre detenute e alle altre compagne. Pertanto, questo regime compie un avvitamento su sé stesso tale da implodere in tutti i suoi aspetti parossistici. Quindi oggi giudice lei è chiamato a sindacare, io ritengo a giudicare non solo, anzi aggiungerei, non tanto la condotta di disturbo, ma le strutture, le esasperazioni di un regime detentivo che è negli anni nel silenzio pressoché assoluto di tutto il mondo giuridico, ha violato sistematicamente i diritti umani, quelli dal cui rispetto dipende non soltanto la vita delle singole persone, ma la vita di una società civile. Perché quando si ledono i diritti fondamentali le prerogative di una persona cosi pervasivamente, prima o poi si è chiamati a renderne conto. Perché prima o poi questa limitazione, questa vessazione produce degli effetti dirompenti. E per questo che questo processo nato da un reato, uso questo termine, ma non per sminuire il suo ruolo… “Bagatellare”, è diventato portatore di questioni capaci di travolgere la tenuta di una civiltà giuridica e democratica prima ancora. Un regime che in una progressione direi quasi crescente di vessazioni e di soprusi è giunto al parossismo di vietare ad un essere umano l’uso della parola, che è una prerogativa coessenziale della natura umana e quindi si riverbera in questo processo nella misura in cui lei, signor giudice, dovrà ritenere e sostenere nella sua motivazione che il reato contestato alla Lioce, escluso il limine, proprio nei sui elementi oggettivi e soggettivi, dà l’esistenza nel nostro ordimento di una regola di tortura. perché come altro può essere definita una disposizione che vieta a delle persone in isolamento costante, continuo da anni per quanto riguarda la Lioce da 15 anni, di comunicare tra loro anche solo per scambiarsi un saluto o anche solo per dirsi smetti di sbattere perché mi stai disturbando. Che impedisce un’azione, appunto ripeto, che per natura umana è un’azione incoercibile, la parola coessenziale a ogni essere umano. Ci distingue dagli animali la parola. E se è vero come è vero che questo è un reto impossibile, o scelga lei, che “il fatto non costituisce reato”, perché il fatto c’è, quello della battitura; perché appunto la Lioce non poteva avere alcuna consapevolezza della percezione di stare arrecando disturbo alle compagne; perché appunto in ossequia a quel divieto non comunicano mai, per timore ovviamente che ci sia una sanzione disciplinare nei loro confronti; è del pari vero quindi che nel nostro ordinamento si è fatta spazio una norma, un regime disumano, una tortura che ha portato con sé degli effetti così tanto, come dire.. devastanti, che oggi sono, come dire… usciti dalla cella, e sono arrivati in questo processo e per questo che lei, appunto essendo comunque un processo da cui è emersa la vera natura vessatoria, la vera natura di tortura di questo regime; lei dovrà nella sua motivazione quando ovviamente darà atto del fatto che il reato è un reato impossibile, spiegare ovviamente le ragioni per le quali questo reato non può esistere. E cosi concludo, grazie.

Avv. Caterina Calia.
Giudice, davvero ho poco da aggiungere, non perché’ non ci sarebbe da aggiungere, ma perché naturalmente siamo in una aula dove tutto è stato da detto da parte della collega e non è che posso entrare ancora di più nel merito di questa vicenda, però chiaramente condivido tutto quello che ha detto la collega ha detto e ritengo che il suo ruolo all’interno di questo processo sia importantissimo perché in questa visione distorta e applicativa del 41 bis che ha dato luogo ad una serie di soprusi che non sono neanche legiferati, ma che di volta in volta, in base all’interpretazione che ne viene data all’interno dei singoli istituti… cioè io credo che già oggi e tutti i giorni e tutte le volte che ci sono state le udienze abbiamo avuto un riscontro a questo, non è solo la Lioce che viene sanzionata, ma ci sono tutta una serie di condotte che arrivano davanti ai giudici ad intralciare, questo sì, la giustizia. Se ne dovessero occupare un pochino in via Arenula [A Roma, sede del D.A.P.], quelli che dicono tanto no... che si parla del fatto che i processi non vengono fatti... Quanti soldi sono stati spesi e vengono spesi per sanzionare condotte che non sono condotte di reato. Perché poi a seguire ci sono appunto il danneggiamento: cioè non esiste più neanche l’usura in carcere perché se si rompe una sedia, si finisce davanti al giudice per reato di danneggiamento. Come se non si rompono le cose anche nelle nostre case, figuriamoci in istituti fatiscenti dove ci sono ancora gli sportelletti e gli sgabelli di 40 anni fa, perché l’arredo è quello dell’entrata in vigore della riforma penitenziaria. Quindi bisogna misurarsi, non si può dire questo non fa parte del processo, perché tutto quello che non faceva parte del processo è stato mandato a processo ed è stato mandato per una logica e per un interesse ben preciso che era l’applicazione del 14 bis. Si voleva applicare alla Lioce, non bastasse il fatto che è da 15 anni in isolamento praticamente totale, in cui ogni sua minima forma di resistenza e di ribadire la propria integrità personale, appunto quello che ci ha già detto direttamente la Lioce, e non ci devo ritornare. Tutto questo naturalmente non è permesso all’interno delle carceri di questo paese democratico, quelle in regime di 41 bis. E allora bisogna piegare ancora di più le persone, le persone non devono neanche osare di utilizzare uno strumento che storicamente appartiene ai detenuti e non viene sanzionato in alcun modo [si riferisce alla battitura] … Il magistrato di sorveglianza annulla anche le sanzioni. Intanto le sanzioni disciplinari vengono applicate continuamente dall’istituto del qui parliamo specificamente dell’istituto dell’Aquila e c’è una finalità, c’è una finalità in un foglio che è già agli atti, che è stato depositato in cui si dice: “si ripropone inoltre sulla base anche dei precedenti disciplinari della detenuta Lioce Nadia Desdemona l’avvio dell’iter procedurale per l’applicazione del regime particolare di cui all’articolo 14 bis” della legge del ‘75. Quindi questa è la finalità. E allora non solo vi è un uso distorto e una applicazione come quella che ha illustrato la collega, appunto fino ad arrivare alla segregazione della parola, ma vi è un uso strumentale anche dell’autorità giudiziaria, perché si chiede una pronuncia e si mandano gli atti come se si trattasse appunto di un illecito penale all’autorità giudiziaria perché poi si abbia la possibilità di applicare un istituto ulteriore ed ancora più gravoso rispetto a quello che è il 41 bis, e cioè il 14 bis. Quindi io credo che di fronte a questo ci debba essere anche un moto di analizzare complessivamente cioè non limitarsi al segmento che viene portata all’attenzione di volta in volta, ma capire quale è il progetto di annientamento che viene portato dall’autorità amministrativa, nello specifico dal carcere dell’aquila, attraverso appunto dei rapporti disciplinari che vengono elevati ogni giorno e che non sono stati confermati, ma che sono stati generici … non voglio parlare della Gallico [Detenuta in 41 bis all’Aquila e testimone nel processo ndc] . Perché cosa ci ha detto la Gallico nella sua testimonianza? Possiamo dire così: semplicisticamente omertosa perché è calabrese? Quindi che cosa ci doveva dire la Gallico? La Gallico dice una cosa importante, la Gallico è in quel reparto dal 2014 e non ha mai visto in faccia la Lioce. Stiamo parlando di una sezione che è quanto quest’aula e qui siamo arrivati ad un livello di segregazione in nome “dell’Ordine e della sicurezza” dell’istituto, ecco perché c’era un po’ di rimostranza anche rispetto a questi concetti che sono evanescenti quanto limitativi sempre più delle libertà e in questa direzione stiamo andando in questo paese. E allora appunto, se la Gallico in 4 anni non ha mai visto il viso della Lioce di cosa stiamo parlando di segregazione totale? Di fronte a questo è legittimo o non è legittimo? questa è la domanda. Aldilà del disturbo perché è la finalità, è legittimo o non è legittimo protestare e cosa e in che modo si può protestare legittimamente senza ledere quello che ha detto la Lioce, la proporzionalità tra quella che era la sua integrità violata, sequestro nelle carte processuali e questo lo ha detto la Santoponte [agente dei G.O.M. chiamata a testimoniare]: nel momento in cui le ho restituito le carte processuali è finita la protesta della Lioce. E cosi come ci è stata riferita la questione del phon, le sono state fatte sanzioni disciplinari addirittura ponendo in dubbio il fatto che lei curasse la propria persona, quindi un’integrità totale alla propria soggettività, alla persona addirittura supponendo che non si lavasse, che non fosse abbastanza curata, perché non era andata in doccia e si era lavata con le bottiglie dentro la cella perché tanto la doccia… L’acqua era fredda, il phon non funzionava, cosa ammessa sempre dalla Santoponte, che il phon non funzionava quindi era inutile andare a fare la doccia. Queste erano le ragioni. C’era sempre una congruità comunque. E allora questo va detto, che la battitura è l’ultima arma rimasta di protesta pacifica e legittima nelle mani dei detenuti. Io poi se è possibili vorrei anche produrre il capitolo di questo libro scritto da Alessio Attanasio “L’inferno dei regimi differenziati”, dove si parla proprio delle battiture. Le battiture vengono fatte continuamente dentro le carceri e nessuno si sogna mai di denunciare penalmente chi fa la battitura. Intanto perché il disturbo non è agli altri detenuti, perché i detenuti lo sanno tutti la praticano, anche le detenute al 41 bis dell’Aquila l’anno praticata; per cui il disturbo semmai è nei confronti dell’amministrazione. Ma in realtà questo distorcere le cose, volerlo utilizzare soltanto per potere applicare regimi ancora più pesanti e di annientamento totale, perché nessuno deve osare nemmeno. Divieto di parola, ma divieto di qualsiasi forma di protesta anche legittima rispetto a quelli che sono stati riconosciuti dalla testimone, che è stata sentita qua, della polizia penitenziaria, come un abuso. Dal mese di marzo fino al mese di settembre le sono state sottratte illegittimamente le carte processuali, quindi era un abuso e allora va riconosciuto non tanto e non solo che non c’era la volontà di arrecare, ma che c’era alla base dell’atto posto in essere dalla Lioce che c’erano una serie di atti illegittimi della pubblica amministrazione. Perché questo è quanto è successo. Io chiedo quindi, naturalmente mi riporto alle richieste già fatte dalla collega che venga assolta non ai sensi del secondo comma, ma ai sensi del primo comma, perché qui non siamo venuti per perdere del tempo, la Lioce ha un ergastolo. Il problema è che deve, il giudice, intervenire in questo momento per stabilire anche dei limiti e dire che è stata una denuncia del tutto pretestuosa in qualche maniera e quindi in quanto nessuno è risuscito a dimostrare, non solo il disturbo della quiete, ma è emerso all’interno del processo che l’azione della Lioce era legittima perché le sono state sottratte illegittimamente le carte processuali cosa che non poteva essere fatta.


Lettera dal carcere di Massama (or)
Cari amici di Ampi Orizzonti. Certo non è che mi faccia sentire spesso, anzi si potrebbe dire che sono la persona più trascurata del mondo, ma su questa terra ci sono persone attive e quelle meno attive, e io appartengo a questi ultimi, non tutti possono nascere perfetti e io vi confesso che qualche difettuccio ce l'ho …
Era da tempo che avrei voluto scrivervi ma rimandavo sempre e dopo l'udienza del 17 luglio 2018, avrebbero dovuto discutermi la Liberazione Condizionale e un permesso premio, il giorno venti mi hanno comunicato l'esito del loro “immane” sforzo per raggiungere quel verdetto, ancora una volta hanno deciso che avrei dovuto continuare a farmi la galera (per loro i 40 anni di carcere espiati essendo stato arrestato nel 1979, non erano poi così tanti), forse pensano che io faccia parte delle tartarughe giganti che vivono anche 4 secoli, ma le mie radici sono di tutt'altra specie, ho sempre saputo di essere un umano, ne sono stato sempre cosciente, ma anche negli ultimi 40 anni ho avuto a che fare con i più disumani della mia specie, li definisco così per essere gentile con loro.
Dopo tutto questo carcere hanno ancora la faccia tosta di pretendere da me che collabori, e questo non solo è disumano, ma il loro animo è intriso di ben altro, che dalle decisioni prese dal Tribunale il 17 luglio 2018, e altre decisioni ancora prima, come scrissi in altra occasione, mi permetto di paragonare il loro lavoro a quello de “s'accabadora', loro fanno il lavoro ... quasi mi viene da dire con tanto disonesto fervore, che impedisce loro di farmi fuori del tutto, tenendomi a mori-studa, come se non fosse cosa gradita farmi fuori del tutto, ma forse sto sbagliando ad attribuire il nobile lavoro de s'accabadora a questi esseri infelici, sì, s'accabadora, un lavoro se pur tetro carico di umanità, persone che aiutavano chi soffriva senza riuscire solo per mano della natura a raggiungere la pace, che uno dovrebbe raggiungere dopo la morte, erano dei volontari che distribuivano morte in cambio di pace, di eterno riposo, aiutavano le persone a raggiungere l'aldilà, ponendo fine alla sofferenza alle volte disumana su questa splendida terra, ecco perché dico che il loro era un nobile lavoro (oggi lo chiamano suicidio assistito), mentre coloro che per tanti decenni decidono sui miei benefici, li vedo più come dei boia, sicuramente sempre distributori di morte, ma non fanno il loro lavoro con umanità o per umanità, lo fanno per vendetta, per malvagità per vigliaccheria, il loro ultimo fine è distribuire quanta più sofferenza possibile tenendo in vita le persone.
Se avessero in quella udienza deciso che il Signor Mario Trudu sarebbe dovuto essere entro 24 ore condotto sul patibolo, ed essere appeso per il collo fin che fosse rimasto alito di vita dentro di lui, vi garantisco che ci sarei salito sorridendo, non ci sarebbe voluto nessuno a sorreggermi perchè la paura mi faceva traballare le gambe. E in quel modo avreste evitato di sentirvi dire che siete solo dei poveri vigliacchi, questo perchè in quell'udienza vi siete comportati da ipocriti, avete elogiato il mio corretto comportamento, il cammino culturale e rieducativo che avevo intrapreso, ne parlavate come fossi un uomo da prendere a esempio, sembrava che non ci sarebbe stato posto per una decisione negativa, come in realtà è avvenuto, avete parlato bene e razzolato male, a me sarebbe piaciuto se avreste detto ciò che pensavate veramente, magari dicendo che ero un bastardo, che avrei dovuto crepare in prigione, avrei apprezzato la sincerità del vostro sporco pensiero, ecco perchè reputo che la vostra è vigliaccheria bella e buona, vi manca il coraggio della sincerità, il dono più bello.
Se qualcuno si è messo in testa che quanto più mi si tiene dentro riuscirà a fare di me un'altra persona, sappi che si sta sbagliando, chiunque si è messo questo in testa deve sapere che anche se dovessi campare oltre il secolo se sarà necessario mi farò quella secolare galera fino al'ultimo giorno,senza patemi d'animo, ma questo non vuol dire che mi sono arreso, questo non succederà mai, alla fine di tutto quel secolare tempo dentro una lurida cella, vi piaccia o no! dentro quella bara uscirà lo stesso Mario Trudu che avete sempre conosciuto, sicuramente non tremante di paura.
Questo uomo più che umano, saluta voi disumani, augurandovi di godere in pieno della vostra violenza, potrei chiamarla anche diversamente, visto che non riuscite a capire l'importanza, il senso vero della vita, e i tanti cambiamenti che essa comporta in ogni persona con il passare degli anni.
Tutto questo mi porta alla mente una frase detta da un Giudice di Sorveglianza, che a me conosceva bene tramite il suo lavoro.
Vi dico questo, in un Liceo di Siena in un'aula gremita di giovani studenti e professori erano stati presentati alcuni raccontini scritti da varie persone per un corso di scrittura, e a questo evento era presente il Signor Giudice, fra gli autori dei racconti compariva anche il mio nome, e quando la Dottoressa intervenne accennò a Mario Trudu che: “esemplare di detenuto che non è mai venuto e mai verrà a patti con la sua dignità di uomo per avere uno sconto di pena”, io di questo ne sono rimasto orgoglioso, pur sapendo che nella mia posizione erano parole che non avrebbero agevolato il mio rientro fra la società, non dico civile perchè per esserlo ci vogliono molte cose, e all'Italia ne mancano tante, diciamo società libera, anche se mi sembra un tantino esagerata anche questa parola, libertà, ahi! Meh … !! il popolo ne è stato privato, quanto ci sarebbe da dire … anche se posso affermare senza avere il minimo dubbio, che dopo quasi 39 anni di carcere senza sconti di nessun genere, se mi avessero concesso la libertà, lo stato non mi avrebbe regalato proprio niente, metterebbe fine solo alla sua vergogna.
Io posso affermare che non conta tanto quanti decenni di carcere uno viene costretto a fare, quello che conta è come li ha affrontati, e il Signor Mario Trudu pur avendo attraversato quasi quattro decenni nelle patrie galere di uno stato poco serio, ha camminato sempre a testa alta, quella Dottoressa non mi ha mai concesso nessun beneficio, pur tuttavia riconosco in Lei la straordinaria capacità di saper leggere dentro le persone, cosa non da poco per uno che fa il loro lavoro, e riconosco in Lei l'alta sincerità, nel dire ciò che veramente crede della persona con cui ha a che fare.
Carissimi amici di Ampi Orizzonti scusatemi se mi sono sfogato con voi, ma io con gli amici so fare solo questo, tantissime grazie per avermi mandato l'ultima sentenza della Corte Costituzionale, anche se devo dire che viviamo in un paese dove le sentenze delle Corti più importanti come la Corte Costituzionale, quella di Strasburgo non vengono prese in nessuna considerazione dai Tribunali di questo paese buffone, e come se fosse una cosa vergognosa adeguarsi alle decisioni prese da chi ha più alta responsabilità di loro… Questo vecchio vi abbraccia e vi stringe forte la mano. Mario.

Presone de Massama su 14 de austu de su 2018
Mario Trudu, Nuovo Complesso S. Soro - 09170 Massama (Oristano)


Lettera dal carcere di Caltanissetta
[…] detenuto dal 19 giugno 2012 […] un caloroso abbraccio a tutti i detenuti e detenute, a tutte le persone che ci stanno vicino e con la speranza che a cospetto della presente stiate tutti bene.
Vi faccio presente che sono detenuto da 6 anni e il mio fine pena è il 5 aprile 2021 e da un anno recluso presso questo istituto di Caltanissetta, la detta allocazione è caratterizzata da molteplici violazioni dei diritti ed interessi legittimi del sottoscritto, per come infrà si rappresenta:
mancata effettuazione della telefonata di ingresso ai propri famigliari, poi mancato tempestivo riscontro alla richiesta di effettuazione di telefonate “ordinarie”, poi mancata telefonata al proprio difensore di fiducia; essendo definitivo in questo istituto puoi telefonare solo se ti tolgono quella ordinaria che usufruisci per la tua famiglia.
Per effetto della pronuncia ora ricordata e fino all'entrata in vigore della riforma attuata con la legge n° 94/2009 tutti i detenuti anche in forza di condanna definitiva, potevano quindi conferire con i difensori senza sottostare né ad autorizzazioni né a limiti di ordine “quantitativo” (numero e durata dei colloqui telefonici).
Poi, c'è mancata e/o inadeguata fruizione delle ore di socialità e precarie condizioni generali dell'istituto penitenziario e risulta del tutto inagibile la saletta, non di meno le salette in cui effettuare i colloqui con i familiari risultano ricavate all'interno di una sorta di container, con pedissequa esacerbazione delle condizioni climatiche tanto nell'ipotesi di alta che di bassa temperatura, risultando comunque oltremodo anguste si da non garantire le minimali condizioni di privacy nell'effettuazione del colloquio con i propri congiunti.
Per non parlare del reinserimento di noi detenuti o lavorante scopino o porta-vitto, o sopra vitto; non ci sono corsi creativi non c'è scuola, c'è il mancato funzionamento degli educatori e dell'educatrici che non vengono mai non chiamano a nessuno e se uno fa richiesta passano svariati mesi. Come per dire, io ho lavorato porta-vitto per svariati mesi ho chiesto l'indennità di mini disoccupazione mi viene accettata ma bloccata perchè sono in carcere, senza nessuna spiegazione. Ma che leggi fanno uno lavora si vuole reinserire e loro applicano queste leggi del blocco dei soldi, io ho lavorato per il ministero di Grazia e Giustizia.
La situazione carceraria è disumana. Le norme penitenziarie che ci spettano come dice l'art. 6 dell'ordinamento penitenziario per cui i locali in cui si svolge la vita dei detenuti e internati devono essere igienicamente educati.
In ultimo la sorveglianza è in grande caos dove tutto quello che presentiamo viene tutto sancito da una sola parola “rigetto” o “non ha dato segno di collaborazione”, o non ha dato modo di reinserimento, o il tempo trascorso non è ancora sufficiente per concedergli il beneficio. Ne parlo per esperienza personale, dopo tutto, ho scontato il reato grave 416bis recluso a AS3 (alta sorveglianza); mi rimangono anni 2 e mesi 11 di reato comune, non mi concedono nessun beneficio, posso usufruire della legge 199/2010 (sconto domiciliare della pena), dell'art. 47 della legge 354/1975 (affidamento in prova al servizio sociale). Il magistrato di sorveglianza mi ha rigettato tutto, in quanto le informative della P.S. del comune in cui risiedo dopo 6 anni di carcere, scrive che sono un soggetto pericoloso. Però il magistrato non applica la dovuta legge e rigetta il ricorso al presidente di sorveglianza, dovrebbe cercare di capire se ci sono le condizioni di applicare le misure alternative invece rigetta con copia incolla del primo rigetto. Nel ricorso faccio riferimento alla Corte Costituzionale che con la legge 235 del 17 maggio 2015 recitava che i benefici ai detenuti si dovevano basare sul comportamento intramurario e non sulle informative di P.S. di fuori.
Certamente tutto sopra descritto quanto ha leso non soltanto plurimi diritti ed interessi legittimi del sottoscritto detenuto sanciti e garantiti dal legislatore sin dalla chiarissima lettura dell'art. 27 comma 3 della Costituzione (“Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato.”). Inoltre la Corte Europea dei Diritti dell'Uomo (CEDU) ha più volte ricordato la sentenza Torreggiani del 18 gennaio 2013 (art. 3 Divieto di tortura:“Nessuno può essere sottoposto a tortura né a pene inumane o degradanti”) contro l'Italia; e tali principi sono stati riaffermati e precisati assai di recente nell'ultimo autorevole pronunciamento della CEDU in materia dei diritti dell'uomo (sentenza del 20 ottobre 2016 Mursic C., violazione dell'art. 3 )…
Spero di avere vostre notizie presto, nell'attesa mando un affettuoso abbraccio a tutti i membri dell'associazione e detenuti e detenute a tutte le persone che ci seguono in questa battaglia. Porgo cordiali saluti. Sebastiano

13 agosto 2018
Sebastiano Bussa, via Messina, 94 - 93100 Caltanissetta (CL)


lettera dal carcere di trieste
Caro/a OLG@, la situazione qui in carcere è sempre pessima anche se leggendo le altre realtà carcerarie italiane, stiamo un po' meglio. Qui, sotto la visione delle telecamere ed il malavoro delle guardie, il 02/04/18 si è tolto la vita impiccandosi sulla finestra del corridoio che porta dal 1° al 2° trato, il sig. Righi. E' rimasto appeso per poco meno di un'ora; le guardie se ne sono state comodamente sedute in ufficio a chiacchierare o chissà a che fare.
Al rientro dall'aria i detenuti hanno trovato il sig. Righi appeso; è arrivato uno sbirro impacciato che tirava il povero verso il basso nel tentativo di liberarlo (ma non ha fatto che peggio). Ma è grazie a dei detenuti che Righi è stato liberato e messo a terra. I due detenuti che hano provato a rianimarlo, uno con la respirazione bocca a bocca ed uno con il massaggio cardiaco. Poi dopo circa 20-30 minuti sono arrivati gli infermieri con l'ossigeno. Uno di noi è andato a prendere un cuscino per tenergli la testa un po' su'.
Poi all'arrivo di un agente, il ragazzo ha chiesto traumatizzato se fosse almeno fatta una telefonata alla croce rossa. Lì lo sbirro l'ha provocato rispondendogli male e quasi ad alzargli le mani e tutto in un momento un intero tratto di detenuti stranieri hanno rincorso il ragazzo per picchiarlo in quanto hanno detto che volevano difendere la guardia. L'hanno chiuso in una cella e lui ed un altro detenuto sono stati picchiati brutalmente.
Ma dove siamo? Ma che detenuti sono questi? Oggi è arrivata la citazione all'udienza per la denuncia ai due ragazzi pestati. I due non hanno aggredito l'agente e a dimostralo ci sono le telecamere che sono state visionate e verranno portate come prova, almeno così si spera. Rischiano pene da 2 a 3 anni per aggressione a pubblico ufficiale. Tanti di noi saremo pronti a testimoniare, il tutto è un'ingiustizia.
Qui, piuttosto bisogna far presente la situazione in cui stanno gli isolati. Ci sono persone con problemi psichiatrici molto gravi lasciati all'abbandono (scusate) nella loro merda. Uno di loro non è autosufficiente e si fa la pipì addosso e la sua cella puzza di urina da non dire. Condizioni igieniche allo stremo.
Un altro è praticamente fuori di testa ed ha distrutto varie volte la cella tra cui il materasso, gettandolo in mezzo al tratto fatto a pezzi.Vaneggia e gli tocca dormire sulla branda di ferro perchè il materasso non glielo danno più. Mangia su pezzi di giornale o sul piatto di plastica che non ha mai lavato ed è pieno di croste. In più è pericoloso avvicinarsi perchè tenta di colpire le persone con un bastone oppure ti sputa addosso. Poi c'è uno che sembra stia per morire, credo, perché affetto di epatite o chissà di che cosa. Molti di loro sono tuttoil giorno stesi nel letto e qualcuno non si alza nemmeno per magiare, solo per la terapia.
Sono schifato delle persone che li tengono in quelle condizioni, sono disumani e non c'è solidarietà da parte dei detenuti, se non da pochi. A volte gli sbirri fanno entrare qualche fesso di lavorante che va davanti alle celle di questi ragazzi ad insultarli e minacciarli, a cercare di picchiarli attraverso le sbarre. Sono detenuti schifosi che pensano di fare i boss. Servi dei servi dei servi sistematicamente merda.
Poi c'è gente che lavora nono stante i divieti di incontro e vanno a picchiare chi si ribella. In 10 contro uno e le guardie hanno i paraocchi. Certo che con Salvini adesso sarà ancora peggio, quel bastardo insieme a Di Maio.
Qui più stai zitto e ti fai i cazzi tuoi campi, se protesti o contraddici o prendi oltre che dagli sbirri pure dai detenuti che ci vanno a balletto insieme. Come fidanzatini, sputtanano, si sputtanano uno con l'altro e l'invidia per il posto di lavoro è grande tanto che fanno tante di queste schifezza per poter lavorare e fare i boss. Qui regna il fascismo, la maggior parte dei detenuti è fascista e non sanno nemmeno cos'è il fascismo, ma nono altro che dei deficienti che sperano di avere benefici in cambio di infamate e leccate al culo alle teste di cazzo più alte in grado.
Dopotutto in isolamento c'è un gran casino. A tutte le ore lamenti, baruffe, grida, lancio in mezzo al tratto di tutto e di più. Poi c'è la situazione delle cimici da letto che è esploso di nuovo e diversi detenuti sono completamente pieni di piste di punture ed infezioni. Fanno la disinfestazione ma la fanno male, alla buona, con una ditta che chissà quanto si fa pagare per un lavoro malfatto (abbiamo qui unn detenuto che ha fatto per 14 anni il disinfestatore e ci ha dettto che non vale niente quello che fanno).
Si dovrebbe demolire completamente questo carcere, così inutile, così diseducativo, dove entri con un diploma in marijuana ed esci con una laurea in spaccio di cocaina ed eroina. Poi i farmaci sono proprio la ciliegina sulla torta. I detenuti sono contenti di essere sedati, così non si ribellano e stanno nel loro harem. Qui le benzodiazepine vanno che è un piacere e così ci ritroviamo con un esercito di zombi. Tanti prendono la terapia ma non per devastrasi ma per sopportare questo inferno, e sono sempre in prima linea e attivi.
Vi ringrazio tutti e tutte per il vostro appoggio, per i libri, la rivista, e ciò che fa restare in piedi a lottare perchè senza lotta non si sa essere felici.
Per favore mandateci libri contro i farmaci e psicofarmaci e uno sul vegetarianesimo. Srà la forza e l'amore dell'anarchia che sconfiggerà ogni male.
Forza compagni, sempre avanti, distruggiamo le carceri e cambiamo questa schifosa società per i nostri figli/e.
W l'anarchia, un saluto a pugno chiuso. Strigo

Trieste, Coroneo, 6 agosto 2018


lettere dal carcere di montacuto (an)
Cari compagni e compagne, torno a scrivervi per informarvi sulla situazione del carcere di Montacuto.
Da sabato 15 (settembre) abbiamo iniziato una battitura che ripetiamo tre volte al giorno, per ora tutte le sezioni: battiamo dalle 7,50-8,20; 11,30-12,00; 19,50-20,20 se non otterremo ciò che abbiamo chiesto, la battitura continuerà ad oltranza anche di notte... dal 23 inizierà lo sciopero della spesa e dal 30 quello del carrello (che porta il vitto).
La situazione è quella di un carcere al tracollo e dove non funziona più niente. Da maggio è chiuso il campo, nella sostanza non ci sono corsi, non ci sono spazi, chiediamo che venga aperta una palestra e di accelerare la riapertura del campo, combattiamo per i prezzi della spesa e chiediamo che vengano abbassati, portando all'attenzione che, i prezzi fatti dalla stessa ditta per i due carceri qui ad Ancona, sono differenti e che qui sono nella maggioranza più elevati.
Contestiamo il menefreghismo e il maleoperato di alcuni uffici, su tutti spesa e magazzino, i pacchi vengono consegnati sempre con enorme ritardo e spesso e volentieri spariscono gli oggetti depositati al casellario. Queste sono le punte dell'iceberg di un carcere dove funziona poco, niente e dove ci siamo stufati di accettare sempre come se tutto fosse normale. Sembra che una volta tanto ci sia un minimo di compattezza.
Solo nell'ultimo hanno provato a impiccarsi due persone.
Domenica siamo scesi due sezioni intere perchè con la chiusura del campo condividiamo un passeggio solo facendo vedere che così non possiamo stare. Oggi per pochi minuti, anche se in numero inferiore, è stata occupata la rotonda al rientro dal passeggio, minacciando di non risalire.
Vi terrò aggiornati su nuovi sviluppi, con la certezza che contribuirete a tenere vivo l'interesse sulla protesta. Vi saluto e vi abbraccio forte... Davide

17 settembre 2018
Davide Storlazzi, via Montecavallo, 73/A - 60129 Ancona

***
Cari compagni, alle 23,11 ora locale del 27 luglio 2018 mi sono affacciato dalla finestra della gabbia dove sono rinchiuso e la luna era rossa come le nostre bandiere e il mio cuore è subito sobbalzato. Marte era lucente e lo spirito della sovversine si è riesumato e subito dopo ho pensato ai lupi a quelli siberiani e alla terra natia degli Urca che vivono nella Transnistria (Moldavia).
Ora in questa sera torna ancora più che mai torna alla mente l'antico slogan che diceva e dice: portare la lotta al cuore dello stato. Una necessità, un modo di vivere, di essere sempre ed in ogni dove per combattere il potere borghese ormai da troppo tempo immobile verso le problematiche che pervadono il proletariato, la classe operaia e le sottoclassi.
Il processo politico non può continuare nelle sua spinta che è prerogativa di chi combatte ancora e che rimette insieme i ricordi, facendo si che divengano realtà. Non è possibile, per me, altrimenti. Perchè solo lottando contro le poliedriche forme del potere ritrovo in me la forza di essere, in ogni dove sempre e portando con me il rigore della continuità storica data ai combattenti dai nostri partigiani.
Queste parole escono da sè e di getto e come è mio solito non occorrerà rileggerle. E' un antico meccanismo automatico che batte ininterrottamente e fa in modo che io abbia una consapevolezza della biorealtà che mi circonda in accordo con la consapevolezza di chi combatte ancora contro le istituzioni totali, le istituzioni manicomiali e l'indecenza del governo borghese. Ora più che mai continuare ad osteggiare il potere politico diviene necessario. Possono, queste parole, apparire anacronistiche ma in questi giorni sto ricevendo lettere da prigionieri che sono a Rebibbia e ad Ascoli. La vostra opera editoriale è stata e sarà il mezzo meraviglioso per riedificare vecchie relazioni che fanno in modo di sottolineare il fatto che i recuperabili saranno recuperati.
In questo mio procedere, grazie all'intervento dell'area trattamentale, l'assistente sociale ed altre figure riuscirò a ricominciare da dove ho lasciato e cioè nelle strutture che contengono i così detti folli. Altri protagonisti delle varie aree trattamentali mi scrivono perchè hanno letto quello che voi pubblicate fornendo gli strumenti a quanti vogliano capire meglio ciò che avviene all'interno delle istituzioni totali. Altre vogliono ringraziarvi per l'invio del periodico «Lotta Continua». [...]
Per ora è tutto e sempre. Con un sorriso e a pugno chiuso, Marco

27 luglio 2018
Marco Ricci, Penitenziario di Monteacuto via Montecavallo, 73/A - 60129 Ancona


comunicato dal carcere di napoli-poggioreale
Inizia lo sciopero della spesa dei Detenuti del Padiglione Milano nel carcere di Poggioreale. I detenuti si sono organizzati insieme ed hanno intrapreso questa forma di protesta elencando una serie di rivendicazioni indirizzate all'amministrazione del carcere ed al Tribunale di Sorveglianza.

Alla Direzione della Casa Circondariale di Poggioreale
Alla Sorveglianza del Padiglione Milano
Noi detenuti del Padiglione Milano, annunciamo con protesta pacifica, lo sciopero della spesa per i seguenti motivi.
1 – Abbiamo varie volte esposto il problema, di carenza di igiene, a passeggio, ed alcune volte anche sulle sezioni stesse, arrivando poi ad avere ospiti indesiderati, ovvero ratti e blatte. Più volte noi detenuti abbiamo notato ratti nelle nostre ubicazioni, come se fossimo in una rete fognaria e ciò non è accettabile. E' nell'irreale convivere, con questi animali portatori di malattie. E' mai possibile che in una società come la nostra, possano ancora esserci delle realtà così difficili, in una società che dovrebbe prevenire, e soprattutto tutelare, la salute di ciascun detenuto.
Quindi noi detenuti come un unico corpo e un unico spirito diciamo “BASTA”.
2 – Basta alle infinite ore di attesa per svolgere un colloquio, specialmente in questi mesi così caldi, familiari che attendono sotto al sole rovente, con un unico bagno che è sempre sporco, e senza un ambulanza pronta nel caso si sentirebbe male qualcuno. Dopo tutto questo stress, causato dalle disattenzioni di voi autorità, dalle sale colloqui chiuse, che potrebbero permettere, con la loro apertura, il flusso di più detenuti, così risolvendo il problema, diciamo “BASTA”.
In breve noi detenuti del Padiglione Milano CHIEDIAMO:
1 – la disinfestazione del passeggio e del padiglione in modo esemplare.
2 – colloqui veloci, apertura delle sale, senza 1° turno e 2° turno, ma in ordine di arrivo.
3 – che rivenga visto il prezzario.
4 – che vengano cambiati cuscini e materassi.
5 – che l'Azienda Sanitaria si sbrighi a rendere il suo servizio migliore, partendo dalle visite, a finire dai medicinali. E non è possibile che gli infermieri al bisogno di un medicinale, ci rispondono, che nell'attesa dello stesso, ci vogliono anche 2 o 3 settimane per arrivare.
6 – che l'Area Trattamentale sia più presente nelle nostre richieste.
7 – che il vitto sia migliorato e cambiato dalle solite cose.
8 – che venga tolta la 3a branda da ogni stanza urgentemente.
9 – che la Sorveglianza si sbrighi a mandare giorni di liberazione anticipata, e che venga ad effettuare colloqui con noi.
10 – che ci venga data la fornitura in tutto ciò che di diritto ci deve essere dato.
N.B. proprio la notte tra l'11 e il 12, un nostro amico detenuto, mentre chiudeva la busta della spazzatura, si è trovato un ratto attaccato al dito ed è stato morso, facendosi portare in infermeria, non è stato sottoposto a cure specifiche, lo hanno tamponato con una siringa specifica e lo hanno riportato in cella.
Distinti saluti dai detenuti del Padiglione Milano.
In Fede: I Detenuti del Pad. Milano di Poggioreale

14 agosto 2018, dalla pagina facebook di
Parenti e amici dei detenuti a Poggioreale, Pozzuoli e Secondigliano


lettera dal carcere di voghera
Carissimi/e Compagni/e, finalmente dopo vari trasferimenti e abusi di ogni genere avevo presentato reclamo al Trib. di Sorv. sul rigetto del D.A.P. al trasferimento e il Trib. mi ha dato ragione ordinando al D.A.P. il mio immediato trasferimento vicino a casa. Sono a Voghera, c'è una sola sezione di media sicurezza poi è tutto As1 As2 As3 e ergastolani. Vi assicuro che l'educazione e il rispetto che hanno gli agenti con tutti i detenuti dovrebbe essere d'esempio in tutte le carceri, infatti ho fatto i complimenti alla direttrice e al comandante per questo e non solo, per la spesa e tutto il resto, qui i rapporti è difficile che li facciano, vi assicuro che c'è un'educazione e tollerabilità che è meravigliosa in tutto e per tutto.
L'unico problema che ho avuto è sul fatto che in media sicurezza siamo circa 25 e ci sono solo cameroni di 6/7 - 4/5 e io mi sono rifiutato di andarci, così sono momentaneamente in una cella singola davanti alla matricola dove ci sono altre due celle di Art. 21.
La direzione ha richiesto al Dipartimento il mio trasferimento di nuovo a Carinola, ma un ispettore mi ha detto che al 99% non accetta il D.A.P., le ho detto che non darò fastidio, anche se come ho detto qui per avere problemi devi cercarteli. Vado ogni giorno in palestra, il vitto è pazzesco e ci sono amici in cucina che cucinano meglio di un ristorante, di frutta passano banane, pesche noci, angurie ecc, tutta frutta di prima qualità. Come ho già detto, il D.A.P dovrebbe prendere esempio dalla direzione di Voghera e permettere ai detenuti di avere un trattamento umano e nel rispetto della dignità delle persone, non come fanno nei carceri della Campania, che usano solo violenza e abusi e il detenuto esce che è più incattivito di prima…
Carissimi/e compagni/e solidali, è superfluo aggiungervi che abbraccio una per una, uno per uno tutti/e coloro "sorelle e fratelli" che il 28 giugno eravate in presidio a Carinola, come sempre avete scaldato il mio cuore e di tutti i compagni detenuti che con me erano pronti ad iniziare a lottare e comunque avete i loro indirizzi per non farli sentire soli. Un abbraccio ai compagni/e del Louise Michel. VVB
Aspetto gli sviluppi della mia situazione, sperando che mi (lascino in pace), vi terrò informati. Un abbraccio a tutti compagni di Carinola, ricordando a loro che non sono soli e che la nostra dignità non ha prezzo e tutti insieme possono fare la differenza con scioperi ecc a far cambiare gli abusi a Carinola e in Campania.
Un abbraccio forte e ribelle. Sempre a testa alta. Maurizio (A)narchico.

15 luglio 2018
Maurizio Alfieri, via Prati Nuovi, 7 - 27058 Voghera (Pavia)


Carcere di Lecce: Nuovo padiglione e Polo psichiatrico
Mercoledì 3 Ottobre, ore 17 Presidio solidale nei pressi del Carcere
Nel carcere di Lecce entrerà in funzione un nuovo padiglione detentivo per ulteriori 200 posti. Spacciato come soluzione al costante sovraffollamento carcerario, in pratica servirà a rinchiudere ancora di più, secondo una costante che non riceve quasi mai smentita: più celle disponibili ci sono, più persone finiscono dentro. Anche perché, a guardare i diversi pacchetti sicurezza degli ultimi anni, appare netta la tendenza dei governanti a criminalizzare sempre più comportamenti, all’insegna di un vero e proprio programma sociale: togliere dalle strade i poveri, gli esclusi, i conflittuali - per scelta o per necessità - investendo al contempo nel grosso affare della detenzione (non poche sono le ditte che si arricchiscono con gli appalti di costruzione, manutenzione, forniture). Da un anno, poi, è attiva una sezione per detenuti “affetti da disturbi psichici”, il cosiddetto Polo di Osservazione Psichiatrica, un carcere all’interno del carcere in cui far scomparire i prigionieri problematici (in teoria da affidare alle cure di medici, in realtà gestiti dalle solite guardie). Questa particolare sezione già dalla prima settimana di attività ha evidenziato tutta la sua criticità: nel giro di pochi giorni dall’apertura, un detenuto sfascia letteralmente la cella, ed un altro si barrica all’interno minacciando il suicidio. Il 26 aprile 2018 un nuovo detenuto aggredisce tre agenti e si provoca dei tagli. Dopo un altro incendio in cella il 23 agosto, si arriva all’altro ieri, 24 settembre 2018, quando ancora una volta un recluso dà fuoco al proprio luogo di prigionia. [...]

Canaglia in Strada
30 settembre 2018, da comunellafastidiosa.noblogs.org