indice n. 93

ATTACCHI SU GAZA
CHE SUCCEDE IN LIBIA?
IRAK-SIRIA: GUERRA PER IL PETROLIO
AGGIORNAMENTI DALLA LOTTA DENTRO E CONTRO I CIE
LETTERA DAL CARCERE DI ROSSANO (cs)
LETTERA DAL CARCERE LE VALLETTE (TO)
lettera-appello DAL CARCERE DI PESCARA
AGGIORNAMENTO SULLA MOBILITAZIONE IN GRECIA
LETTERA DAI DOMICILIARI
LETTERA DAL CARCERE DI PESCARA
LETTERE DAL CARCERE LA DOZZA (BOLOGNA)
da una lettera dal carcere di cremona
LETTERA DAL CARCERE DI CALTANISSETTA
LETTERE DAL CARCERE DI SPOLETO
LETTERA DAI DOMICILIARI
LETTERA DAL CARCERE DI TERNI
LETTERA DAL CARCERE DI NUORO
LETTERA DAL CARCERE DI LATINA
LETTERA DAL CARCERE DI ASTI
PRESIDI SOTTO LE CARCERI DI TOLMEZZO E UDINE
CONDANNATI ADRIANO E GIANLUCA
LETTERA APERTA A TUTTI I PERSEGUITATI DEL 15 OTTOBRE 2011
DALLE UDIENZE DEL PROCESSO CONTRO I NO TAV
NUOVI ARRESTI NO TAV
DALLE UDIENZE DEL PROCESSO PER TERRORISMO CONTRO I NO TAV
CASTEL VOLTURNO ANNO 0. SUI FATTI DI DOMENICA 14 LUGLIO
PADOVA: SULLO SGOMBERO DELLA MARZOLO OCCUPATA
Milano: sentenza per lo sgombero del cox-conchetta
NUOVE MISURE CAUTELARI PER IL 12 APRILE di roma
MILANO: SGOMBERATO IL PRESIDIO DEGLI OPERAI DELLA DIELLE
IL RE È NUDO: sul processo per la lotta alla bennet di origgio (va)
bologna: ALLA LORO NORMALITà PREFERISCO LA FOLLIA


Attacchi su Gaza
L’allegoria biblica che descrive la lotta di Davide contro Golia, nell’essenza è la storia del debole che può mettere in
ginocchio il forte. Quel racconto porta in sé la speranza che anche i deboli un giorno potranno vincere avversari
terribili.
Nel Vicino Oriente la prosecuzione di quella storia oggi viene però raccontata attraverso una prospettiva molto strana,
nella quale Israele, lo stato sionista, vuole apparire come Davide. Su questa posizione viene tenuta la maggioranza
dell’opinione pubblica USA dalle notizie che giungono dal Vicino Oriente – un’informazione che la maggioranza sembra
voler ascoltare. Per il vero la situazione è tutt’altra.
Israele dispone della più potente e più aggressiva macchina militare della regione…
Israele ha assunto il ruolo di Golia e la Palestina quello di Davide nel corso degli anni 70. I palestinesi lanciano
sassi mentre Israele lancia in volo sopra Gaza caccia F-16 che con una pressione su un bottone possono trasformare un
intero campo di calcio in un cratere. Inoltre Israele dispone di armi atomiche, contro le quali i palestinesi non
possono opporre né un esercito né un’aviazione; e la loro posizione in politica estera è debole al punto da non causare
nulla di significativo. Vivono sotto un regime di occupazione e sono prigionieri nel proprio paese…

Da un articolo di Mumia Abu Jamal
19 luglio 2014, tratto da jungewelt.de

***
La numero due di Israele a favore del genocidio del popolo palestinese
Ayelet Shaked è deputata al parlamento israeliano del partito “Habeyit Hahehudi” (Casa ebraica), membro della coalizione
di governo. Il suo appello al genocidio del popolo palestinese ha raccolto 5.000 adesioni su Facebook. Uri Elitzur, al
quale si riferisce, e che è morto qualche mese fa, era a capo del movimento dei coloni, ghostwriter e stretto
collaboratore del primo ministro Netanyahu. Ecco cosa scrive:
“Questo articolo è stato scritto da Uri Elitzur 12 anni fa, ma non è stato pubblicato. La sua importanza oggi è uguale a
quella di allora. Il popolo palestinese ci ha dichiarato la guerra e noi dobbiamo rispondere con la guerra. Non con
un’operazione lunga, di bassa intensità, con un’escalation controllata, con una distruzione dell’infrastruttura
terrorista, con uccisioni mirate. Basta con queste raccomandazioni. Questa è una guerra. Non è una guerra contro il
terrore, non è una guerra contro l’estremismo e neppure contro l’autorità autonoma palestinese. Sarebbe disconoscere la
realtà. Questa è una guerra fra due popoli. Chi è il nemico? Il nemico è il popolo palestinese. Perché? Domandateglielo,
sono loro ad aver iniziato la guerra. Non so perché ci risulta così difficile descrivere la realtà con parole semplici.
Perché dobbiamo inventare ogni settimana un nuovo nome per questa guerra solo per non definirla con il suo vero nome.
Cosa c’è di tanto terrificante nel fatto che tutto il popolo palestinese è il nemico? Ogni guerra viene combattuta fra
due popoli ed in ogni guerra il popolo che l’ha iniziata è il nemico. Una dichiarazione di guerra non è un crimine di
guerra. E non lo è neppure rispondere con la guerra. L’uso della parola «guerra» non è una chiara definizione del
nemico. Al contrario. La morale della guerra (qualcosa del genere esiste) si basa sul fatto che ci sono guerre in questo
mondo, che le guerre non sono la condizione normale e che nelle guerre il nemico è costituito normalmente da un intero
popolo, compresi i vecchi e le donne, le città e i villaggi, le proprietà e le infrastrutture.
La morale della guerra sa che non è possibile prendere le distanze dal ferimento di civili nemici. Non condanna
l’aviazione inglese, che ha totalmente distrutto la città di Dresda o i bombardieri americani, che hanno cancellato
città polacche e la metà di Budapest. Luoghi i cui abitanti non avevano fatto nulla all’America, ma che dovevano essere
distrutti per vincere la guerra contro il male. La morale della guerra non richiede che la Russia sia giudicata per aver
bombardato e distrutto città e villaggi ceceni. Non accusa le forze di pace dell’ONU che hanno ucciso centinaia di
civili in Angola e neppure la NATO, che ha bombardato Belgrado, una città con 1 milione di abitanti, vecchi, lattanti,
donne e bambini. La morale della guerra accetta non solo politicamente, ma in linea di principio, che è corretto quello
che l’America fa in Afghanistan, compresi i massicci bombardamenti di luoghi abitati, che spingono alla fuga, per il
terrore della guerra, centinaia di migliaia di persone per le quali non c’è più ritorno.
Questo vale sette volte di più per la nostra guerra, perché il nemico si nasconde fra la popolazione e può combattere
solo perché ne è protetto. Dietro ogni terrorista ci sono dozzine di uomini e donne senza i quali non potrebbe fare
niente. I sobillatori sono quelli che aizzano nelle moschee, che concepiscono programmi scolastici omicidi, che
forniscono rifugi, che mettono a disposizione veicoli e tutti quelli che li onorano e li sostengono moralmente. Sono
tutti combattenti ed hanno del sangue sulle mani. Questo vale anche per le madri dei martiri che li accompagnano
all’inferno con fiori e baci. Dovrebbero seguire i loro figli, nulla sarebbe più giusto. Dovrebbero andarci e le loro
case, dove hanno allevato i loro serpenti, dovrebbero essere annientate. Altrimenti lì cresceranno altri serpenti”.
Sono parole che hanno un significato ed alle quali seguono degli atti. Facendo la guerra all’intero popolo palestinese,
Ayelet Shaked vuol mandare un segnale chiaro all’opinione pubblica israeliana: ogni palestinese è un bersaglio legale
della “vendetta”. Ma Shaked ha in mente di peggio. E non è un fenomeno marginale, come sostiene il New York Times. Non è
sola a sobillare un tale odio genocida. È stato Netanjahu per primo a gridare «vendetta», quando due settimane fa sono
stati trovati i corpi dei tre giovani israeliani uccisi in Cisgiordania.
17 luglio 2014, tratto da senzasoste.it

***
“SIAMO OBIETTIVI SACRIFICABILI, GLI OBIETTIVI PIÙ FACILI DA COLPIRE”
Raji Sourani è un avvocato che si batte per i diritti umani, fondatore del “Palestinian Centre for human rights”.
Incarcerato per ben 6 volte per via del suo impegno, Sourani è al momento a Gaza e continua a lavorare sotto assedio.
Intervistato da Roma Rajpal Weiss dice che oramai le persone hanno perso ogni speranza. Raji Sourani è stato premiato
dal “ Right Livelihood Award” nel 2013 per la sua incrollabile dedizione ai diritti umani.

Com’è la situazione a Gaza al momento?
Sourani: Noi non dormiamo né di notte né durante il giorno, è quasi un non stop di bombardamenti ovunque, non ci sono
rifugi e non esiste un posto sicuro in tutta Gaza, stanno bombardando ovunque. Proprio ora, siamo in mezzo a un
bombardamento: tutti possono essere colpiti, tutti gli edifici sono a rischio. Gli aerei e i droni non lasciano mai il
cielo. Intere famiglie sono state cancellate. Il problema più grande è che quasi tutti i morti sono civili. I risultati
dei nostri operatori sul campo mostrano che il 77% delle vittime e dei feriti sono civili. I civili sono nell’occhio del
ciclone. Si sta parlando di una delle aviazioni più high-tech del mondo. Stiamo parlando di F16 e droni e di un esercito
con una catena di comando molto avanzata. Non sono razzi casuali; sganciano queste bombe proprio per uccidere.
Qual è la sensazione generale lì?
Sourani: La popolazione qui è furiosa. Nel 2008-2009, quando hanno utilizzato le bombe al fosforo, ci hanno distrutto la
città. Nel 2012 abbiamo subito un’altra guerra, ora stiamo vivendo la terza guerra consecutiva in circa 5 anni. È troppo
per qualsiasi popolazione. Le persone sono veramente esauste, stanche e debilitate ma nessuno vuole essere una vittima
sottomessa. Sentono che non hanno più nulla da perdere. Inoltre sentiamo che il mondo ci sta solamente guardando e siamo
solo una parte delle notizie. La sensazione più forte la si prova quando ti rendi conto che la tua anima e le anime
delle persone che ami vengono considerate sacrificabili, così come il tuo sangue e la tua sofferenza, mentre le anime
degli ebrei israeliani meritano la “santificazione”. Essi hanno perso la loro stessa memoria. Seguendo le notizie loro
hanno subito 8 feriti- questo è tutto ciò che Israele ha sofferto, qua invece viviamo l’inferno.
La frase più comune che ho sentito quando la gente ha iniziato a parlare del cessate il fuoco è: meglio morire prima,
piuttosto che tornare alla medesima situazione che ha scatenato questo conflitto. Noi non vogliamo riviverla ancora.
Noi, per gli Israeliani, non abbiamo dignità e nessun orgoglio, siamo solamente “soft target”, obiettivi facili da
colpire. O questa situazione si risolve sul serio o preferiamo morire. Io ho parlato di questo con accademici,
intellettuali e gente comune, tutti concordano su questo.

Come ha fatto l’ultimo incidente, l’omicidio degli adolescenti, ad essere la scintilla del conflitto?
Sourani: Io non penso che l’omicidio dei 3 ragazzi israeliani legittimi l’omicidio di 11 persone in Cisgiordania da
parte di Israele. È stato un incidente isolato, nessun gruppo di palestinesi, politico o di Hamas ha rivendicato l’atto,
ma nonostante ciò le truppe Israeliane hanno ucciso in Cisgiordania, la maggioranza dei morti erano adolescenti. In
Cisgiordania hanno arrestato almeno 1300 persone, 28 palestinesi erano membri del parlamento, e come se non bastasse
hanno dato un giro di vite alle istituzioni e all’università. Dopo che hanno finito in Cisgiordnia sono arrivati a Gaza
uccidendo almeno 192 persone, il 70% di loro erano donne e bambini e hanno ferito centinaia di persone che ora sono
disabili: hanno perso mani, gambe, occhi e molto altro. Israele ha lanciato 800 raid aerei in una delle aree più
popolate di Gaza. È impensabile che ci sia un così alto numero di morti e feriti. Non c’è un buco in tutta Gaza dove
potersi sentire sicuri. È vergognoso che Israele e la comunità internazionale permettano che ciò accada. Sono crimini di
guerra null’altro.

La popolazione di Gaza ha perso del tutto le speranze?
Sourani: Sono molto traumatizzati, la popolazione ha sofferto troppo, sentendosi con le spalle al muro. Stiamo parlando
di persone acculturate, che guardano la tv e sanno ciò che accade nel mondo. Gli aerei israeliani hanno sorvolato le
case di 20.000 persone lanciando volantini che intimavano la popolazione a lasciare le case. Molti di loro lo hanno
fatto, portando con se solamente i vestiti che avevano addosso e le poche cose che potevano portarsi a mano e hanno
preso riparo nelle scuole: sono diventati profughi nella loro stessa patria. Oggi nuovi opuscoli sono caduti intorno a
mezzanotte per dire che ci si doveva spostare immediatamente. Quindi, per coloro che sono fuggiti si tratta di un
problema enorme, perché hanno lasciato tutto dietro di loro: le loro case, le loro terre, le loro aziende agricole. Allo
stesso tempo, per chi ha deciso di restare, è molto pericoloso. Nessuno è più al sicuro.
Vede qualche modo di uscire da questo conflitto in un prossimo futuro?
Sourani: Si ed è molto semplice. La fine dell’occupazione. Questo è tutto ciò che è necessario. Parlano di come questa
occupazione sia giusta ed equa. Come si fa a parlare di giustizia quando si è sotto occupazione! Perché firmano accordi?
Dopo 20 anni dalla firma del primo accordo stiamo ancora avendo guerre, morti, distruzione e miseria. Noi per loro non
abbiamo dignità. Loro semplicemente ci uccidono, ci assediano e ci intimidiscono. Non ci possiamo muovere attraverso
Gaza nemmeno per trovare i nostri parenti: è troppo pericoloso. Tutta Gaza è sotto coprifuoco, niente si muove al suo
interno.

Cosa pensi debba essere fatto subito?
Sourami: I civili sono nell’occhio del ciclone: loro sono il vero obiettivo. Nell’imminente si dovrebbe cercare di
difendere i civili, come? Attivando l’impegno giuridico della comunità internazionale seguendo l’articolo 1 della
convenzione di Ginevra che garantisce il rispetto dei civili durante un conflitto. Si presume che siamo noi i civili, ma
in questo conflitto non c’è alcuna protezione. Quello che vorrei suggerire è per noi fondamentale: indire una conferenza
a cui partecipino sia il governo svizzero che tutte le altre parti contraenti (della convenzione di Ginevra) per fornire
una protezione al popolo palestinese, questo è ciò che necessitiamo.
Secondariamente Gaza era già prima di questo conflitto in una situazione disastrosa. Per otto anni abbiamo subito un
criminale, inumano e illegale assedio, è una forma di punizione collettiva per 2 milioni di persone. Non si possono
muovere né beni né persone, questo ha soffocato completamente l’economia di Gaza trasformandola in una gigantesca
prigione con condizioni di vita miserevoli. Il 65% della popolazione è disoccupata, il 90% vive sotto la soglia di
povertà mentre l’85% viveva grazie alle razioni. Abbiamo mancanza di tutto, i liquami sono scaricati in strada senza
poter prima essere trattati. Questo è il declino della striscia di Gaza, e non perché siamo stupidi, pazzi o cattive
persone, anzi, abbiamo una delle più alte percentuali di laureati al mondo, abbiamo una delle classi lavoratrici più
abili del medio oriente e un’ottima classe commerciale. Non ci aspettiamo nulla né tantomeno vogliamo nulla, solo
libertà: la fine dell’occupazione e la libertà di movimento di beni e persone da e per Gaza. Il consiglio dei diritti
umani dovrebbe inviare una missione investigativa nei territori occupati, in Gaza, con l’ordine di documentare questi
crimini di guerra perpetrati da Israele. Abbiamo bisogno di un comitato che abbia la capacità di arrestare tutti gli
elementi responsabili di crimini di guerra. Chiediamo semplicemente di far rispettare la legge in questa parte del
mondo. Tutti noi vogliamo la fine di questa criminale e belligerante occupazione ma nessuno ne parla. Io non voglio uno
stato islamico indipendente ma pretendo la mia autodeterminazione e vivere normalmente. Semplicemente non voglio questa
occupazione. Noi vogliamo il rispetto delle leggi è troppo da chiedere? Io ho 60 anni e non mi ricordo di aver vissuto
in tutta la vita un giorno in cui io o la mia famiglia o le persone che conosco abbiano potuto passare una giornata
normale. Ho celebrato il 20° compleanno dei miei gemelli il 12 Luglio quando sono scoppiati i bombardamenti, sembrava
l’inferno.

Cosa ci ricorderemo quindi di quel giorno?
Ci sono certi amici israeliani che mi chiamano piangendo e dicendo: “ci sentiamo paralizzati, non possiamo fare nulla,
tutto ciò che possiamo fare è pregare per voi”

Cosa vi fa andare avanti durante una situazione così difficile?
Sourani: Non ho il diritto di rinunciare. Non possiamo essere vittime sottomesse, dobbiamo continuare a lottare per la
libertà. Questo è un nostro diritto e dovere. Il mio team si sveglia ogni mattina e trova un modo per recarsi al lavoro.
Bisogna continuare a documentare ciò che succede qua, sentiamo l’obbligo di raccontare le storie che accadono e siamo
qua a proteggere i civili in questo periodo di guerra.

Gaza 17 luglio 2014, Palestinian Centre for Human Rights
(Traduzione in italiano a cura di AssoPacePalestina)


Che succede in Libia?
La guerra civile distesa o strisciante in Libia è realtà dal febbraio 2011, cioè a partire dalla decisione NATO di
sbarazzarsi del regime-sistema personificato da Gheddafi, colui che nel settembre 1969, allora 27enne, con aperto
riferimento alla figura di Nasser (nel 1952 alla testa del colpo di stato in Egitto che abbatte la monarchia asservita
all’Inghilterra) guida il colpo di stato che abbatte la monarchia, considerata dai giovani militari, supina
all’occidente.
Nel maggio 2014, dietro l’emergere nelle istituzioni delle milizie jhadiste, alcune componenti dell’esercito e delle
milizie cercano di abbattere il parlamento e il governo. Alla testa della ribellione si trova Khalifa Belqasim Haftar,
70enne. L’ultimo tentativo di assalto alle istituzioni risale a febbraio, allora come oggi, la ribellione aveva
annunciato di voler ottenere la chiusura del parlamento predominato da una maggioranza islamico-fondamentalista.
Nella storia recente della Libia Haftar non è proprio uno qualsiasi. Nel maggio 1984, con il sostegno dei monarchici in
esilio e della CIA diretto a costiture il “Fronte Nazionale per la Salvezza della Libia” (FNSL), gli viene affidato il
primo colpo di stato contro Gheddafi. L’attacco alla caserma residenza di Gheddafi però fallisce. Nel 1987 Haftar, nel
frattempo riammesso nelle fila dell’esercito, viene inviato in Ciad con un centinaio di militari per sostenere la
ribellione contro il dittatore Hissène Habré arrivato al potere nel 1982 in seguito ad un colpo di stato pilotato dalla
CIA. Haftar viene arrestato in Ciad, ma in carcere ci resta poco, poiché accetta le proposte della CIA di formare ed
addestrare proprio in Ciad il “braccio armato” dell’FNSL. Come si sia svolta la collaborazione fra Haftar e la CIA
ancora oggi si conosce poco o nulla.
I piani della CIA di abbattere Gheddafi a partire dal Ciad caddero nel vuoto nel 1990 quando Habré viene sostituito al
potere da Idriss Déby, il quale ha cura di allontanare la CIA e i suoi propositi. Il nuovo regime non consegnò alla
Libia i militari ribelli, ma li invitò a lasciare il paese. Haftar sotto la protezione della CIA raggiungerà e vivrà per
anni negli USA.
Il 14 marzo 2011, un mese dopo l’inizio della sollevazione contro Gheddafi, Haftar fa ritorno in Libia. Pochi giorni
dopo annuncia pubblicamente di essere il comandante supremo di tutte le forze militari ribelli. Successivamente a
roventi controversie interne i militari riescono a porre alla testa dell’insurrezione tre di loro. Tuttavia già il 28
luglio dello stesso anno il numero uno della triade al comando viene ucciso in circostanze ancor oggi oscure. Il
sospetto che l’uccisione sia stata opera di Haftar non è mai caduto.
All’inizio di luglio 2014 tutti gli aeroporti internazionali della Libia vengono bloccati dallo scontro fra le milizie
rivali. All’estero si può andare e venire in aereo solo passando per la Tunisia. Il governo in quelle giornate annuncia
di aver preso in considerazione la richiesta di invio di forze armate straniere per mettere lo stato nella condizione di
dare sicurezza ai suoi cittadini e alle sue risorse e per “circoscrivere il caos”. A questa espressione tuttavia non si
può attribuire grande importanza poiché la Libia da mesi non c’è un governo riconosciuto e rispettato. Il governo
esistente nei fatti non ha deciso né di compiere direttamente un intervento militare né di inviare negli aeroporti
truppe di terra.
Nel fine settimana è particolarmente conteso l’aeroporto della capitale Tripoli. Gli assalitori di oggi provengono
soprattutto da Misurata e fanno parte della milizia islamica Ansar-Al-Scharia, contrastata sul terreno dalla milizia
della città di Al Sintan (decisiva nel 2011 nella cattura e uccisione di Gheddafi). Hanno preso in mano l’aeroporto con
colpi di artiglieria e lancio di razzi, causando di conseguenza danni pesanti agli impianti. Questa milizia è
considerata responsabile dell’assalto al consolato americano di Bengasi compiuto l’11 settembre 2012, nel cui corso
vennero uccisi diversi cittadini USA, fra i quali anche l’ambasciatore John Christopher Stevens.
La milizia di Al Sintan, interessata in primo luogo ad imporre interessi locali e tribali, da mesi è collegata ad
Haftar, il quale lo scorso 16 maggio ha tentato un colpo di stato contro il governo e il parlamento (come accennato
all’inizio di questo riassunto). Obiettivo dichiarato della milizia capitanata da Haftar è l’ “allontanamento-
pulizia”dalla Libia “di tutti i jihadisti” (combattenti della guerra per la difesa dell’islam…). Il quartier generale di
Haftar si trova a Bengasi (est della Libia).
Fin’ora il più importante successo politico delle milizie capitanate da Haftar consiste nello scioglimento del Congresso
Nazionale Generale (il parlamento) accompagnato dalla proclamazione di nuove elezioni. Queste si sono infatti svolte il
25 giugno, ma con una partecipazione scarsissima, appena il 18% del totale degli aventi diritto al voto. (Alle prime
elezioni successive all’abbattimento di Gheddafi tenutesi nel luglio 2012 prese parte il 60% …). Nel calcolo va tenuto
conto che tanti seggi elettorali sono rimasti chiusi per motivi di sicurezza; inoltre, il conteggio generale seppure
provvisorio non può essere annunciato prima di domenica 20 luglio.
Certezze non ci sono per nessuno, nessuno si fida dell’altro e tanto meno vuole perdere. Da qui l’occupazione degli
aeroporti internazionali, dove proprio domenica 20 luglio all’aeroporto di Tripoli sono esplosi violenti combattimenti
tra milizie rivali.
Il governo è paralizzato soprattutto dalla volontà della NATO di cacciare dal parlamento e dal governo deputati e
ministri collegati alle milizie jihadiste…

Luglio 2013, liberamente tratto da jungewelt.de


Irak-Siria: guerra per il petrolio
Quello che viene chiamato “arco del potere sciita” (Teheran, Bagdad, Damasco, Beirut) deve essere distrutto “dall’arco
di potere sunnita” (Riad, Falluja, Damasco, Ankara) e da un “califfato islamico”.
L’incrocio degli “archi di potere” è ben visibile in Siria dove da oltre tre anni infuria una guerra terribile. Dietro
il costrutto teorico ci sono interessi occidentali robusti esposti nel 2004 alla BBC dal monarca filo-occidentale
giordano Abdullah II. Secondo questa teoria l’aspirazione degli stati arabi e dell’Iran al benessere all’indipendenza
politica deve essere sottomessa agli interessi geo-strategici occidentali. Il secolare scontro teologico fra giuristi
sciiti e sunniti riguardo alla successione di Maometto viene impiegato come materiale altamente esplosivo.
In Siria, invece di spegnere il fuoco, gli USA e gli stati europei della NATO se ne servono nei rapporti con i
rispettivi alleati “strategici” negli stati del Golfo, per far valere nella regione e in Asia i propri interessi. In
particolare, in Siria, Irak… non vengono più inviate truppe occidentali, ma armate, sostenute bande dubbiose. In questi
due paesi, fra queste bande assassine e saccheggiatrici che innalzano la bandiera del “califfato islamico”, nel
frattempo si è imposto il raggruppamento ISIL, abbreviazione di “stato islamico in Irak e nel Levante”. La radice
dell’ISIL si trova nell’Al Qaida dell’Irak, fondata nel 2004 da combattenti arabi provenienti dall’Afghanistan.
Denaro, armi e conoscenze logistiche sono state procurate ad Al Qaida da “uomini d’affari del Golfo”, e,
presumibilmente, anche da agenti dei servizi segreti occidentali. L’ISIL in pochi mesi ha messo a tacere ogni altra
banda armata concorrente, tranne il Fronte al-Nusra. Questa organizzazione è molto forte nelle provincie siriane di
Idlib e Aleppo.
La lotta per il califfato si combatte sulla linea di confine con la Turchia e lungo il deserto che corre fra l’Irak e la
Siria. La cacciata della popolazione originaria procede assieme all’occupazione e ai saccheggi. Nell’aprile 2013
l’Unione Europea (UE) ha ufficialmente permesso lo sfruttamento dei campi petroliferi siriani. La decisione è stata resa
possibile nel quadro delle sanzioni prese dal “governo di transizione” presieduto da Ahmad Tohme, esponente
dell’opposizione siriana “Coalizione Nazionale” per vendere il petrolio siriano sul mercato internazionale. L’acquisto e
la vendita del petrolio siriano erano stati vietati e sanzionati dall’UE nell’ottobre 2011, all’inizio della guerra
civile.
Il petrolio viene raffinato e successivamente venduto a commercianti turchi a Tal Abyad, una città posta sul confine
turco-siriano “per conto di signori della guerra siriani, arabi e stranieri”. 50.000 barili di petrolio consentono
l’incasso di almeno un milione di dollari USA. In Siria ogni giorno vengono estratti circa 380.000 barili di petrolio…

***
Complotto contro l’Irak?
La presa della città irachena di Mossul, iniziata con l’offensiva dell’ISIL (Stato Islamico in Irak e nel Levante)
avvenuta il 9 giugno 2014, è stata preparata nella settimana precedente in un incontro segreto tenuto nella capitale
della Giordania Amman. La notizia è riportata dal quotidiano kurdo “Oezgur Guendem”. Alla riuscita dell’incontro, al
quale hanno preso parte esperti USA, israeliani, sauditi, turchi e anche militanti del partito Baas ha giocato un ruolo
chiave Masud Barsani, presidente della regione autonoma kurda situata nell’Irak del nord e allo stesso tempo presidente
del KDP (Partito Democratico Kurdo)…
La regione di Mossul, abitata da kurdi, turcomeni e arabi, è uno dei territori maggiormente contesi, sul quale un
referendum (previsto dal’art. 140 della costituzione irachena), deve decidere l’annessione alla regione autonoma kurda
in Irak. Fino ad oggi il governo centrale di Bagdad ha impedito il referendum.
I peschmerga kurdi per il momento trasferiscono le armi dalle caserme dell’esercito iracheno dislocate nella regione
nella loro regione autonoma…
L’ISIL ha assicurato il KPD di non aver pianificato nessun attacco nel territorio kurdo mentre dichiara di considerare i
kurdi come fratelli…E’ questa una scelta tattica per evitare la guerra contemporanea su due fronti: contro l’esercito
obbediente al governo sciita retto da Maliki da una parte, e i peschmerga kurdi dall’altra. Effettivamente ci si trova
di fronte a un accordo fra il movimento insurrezionale sannita e l’amministrazione Barsani riguardo alla ripartizione
dell’Irak.
Testimoni oculari confermano l’esistenza di una tregua-armistizio effettivi fra peschmerga e ISIL operativa nei
quartieri kurdi di Mossul. Invece la battaglia prosegue nei quartieri abitati da cristiani e da turcomeni sciiti
attaccati da Al Qaida. In particolare, in quei territori abitati da kurdi è più forte la presenza organizzata del PUK
(Unione Patriottica del Kurdistan) di quella del KPD. Il PUK dispone da tempo di buoni rapporti con il governo
dell’Iran. Nelle province di Sulaimanja e Halabdscha il peso dell’importazione iraniana è visibile. In fondo, la
pressione dell’Iran sul PUK agisce come momento riservato sulla questione dell’indipendenza del Kurdistan; proprio come
avviene per il KPD nei territori a nord dell’Irak.
Al referendum per l’indipendenza sono assolutamente contrari tanto Israele che la Turchia, ben disposta invece alla
proclamazione di una regione kurda autonoma. Il governo turco nei giorni scorsi ha reso noto che la proclamazione di un
Kurdistan indipendente in Irak non sarebbe causa di nessuna guerra, che piuttosto la Turchia intraterrebbe rapporti
fraterni con il nuovo vicino. In effetti i territori abitati dalla popolazione kurda negli ultimi anni, data la
dipendenza economica, sono diventati protettorato di fatto della Turchia. Con il petrolio estratto nei territori kurdi
in Irak Ankara vuole mettere fine alla dipendenza energetica dall’Iran e dalla Russia.
I campi petroliferi situati nei territori kurdi di Korat, Al-Tim e Al-Ward, da dove era possibile estrarre oltre 4.000
barili al giorno, sarebbero stati profondamente distrutti dallo sfruttamento esagerato.
Luglio 2014, tratto liberamente da jungewelt.de


AGGIORNAMENTI DALLA LOTTA DENTRO E CONTRO I CIE
Cie di Trapani Milo
29 giugno. Sedici reclusi, approfittando dell’apertura del cancello durante la consegna del vitto, sono scappati. Dopo
un inseguimento con qualche spintone agli aguzzini della Croce Rossa e ai poliziotti, in cinque son riusciti a darsi
alla macchia. Mentre altri tre reclusi son stati acchiappati e trattenuti per tutta la notte in Questura. La mattina
seguente dovevano essere processati per direttissima per lesioni a pubblico ufficiale e danneggiamento (pare di alcune
porte della struttura), ma il processo è stato rinviato.

Cie di Gradisca D’Isonzo (chiuso)
30 giugno. Giunge notizia che verrà riaperto nei primi mesi del 2015. Attualmente sono in corso lavori di messa in
sicurezza: nuove sbarre, rinforzo delle inferiate, installazione di nuove reti per coprire i corridoi. I letti saranno
ancorati al pavimento delle camere, e il campo sportivo completamente circondato e sovrastato da reti come se si
trattasse di un maxi-pollaio. Connecting People, che gestiva il CIE prima della sua chiusura e gestisce tuttora quello
di Bari, potrebbe riottenere il controllo della struttura, e i proventi che ne derivano. Anche se alcune voci danno come
probabile l’arrivo di Gepsa anche nell’isontino.

Marche, contestazioni ad Ancona
19 giugno. Una quarantina di persone ha contestato il sindaco di Ancona in occasione della Giornata Mondiale del
Rifugiato. La protesta è collegata con lo sgombero della ex scuola di Via Ragusa, nella quale avevano trovato rifugio in
maniera autogestita alcuni migranti. La scuola è stata chiusa, sbarrata e inutilizzata. Gli occupanti hanno accettato
proposte a timer, che scadono il 30 giugno, in strutture d’assistenza.

Salerno, sbarchi
2 luglio. 1044 migranti sono stati sbarcati a Salerno, per poi essere smistati nei centri di “accoglienza” predisposti
in Campania, Umbria, Molise e Calabria. Oltre 400 sono donne, molti minori, di cui 38 non accompagnati. Venti migranti
provenienti dal Marocco son stati trasferiti ed internati in un non specificato CIE. 84 profughi sono affetti da
scabbia, probabilmente infettati all’interno delle varie strutture di “accoglienza”, dove c’è assoluta mancanza
d’igiene, ma che principalmente hanno solo funzione di controllo.
Roma, storia di una apolide
1 luglio. Una donna viene fermata mentre chiede l’elemosina a Goro, in Emilia Romagna. La donna è madre di cinque figli,
di cui quattro minorenni, è rom in Italia da vent’anni. È apolide, sprovvista di documenti di qualsiasi tipo perché
sembra che i genitori non ne abbiano denunciato la nascita neanche alle autorità macedoni. Ora è internata nel CIE
romano di Ponte Galeria per poi essere forse rimpatriata. La donna ha presentato richiesta di asilo politico e chissà
quanto dovrà aspettare all’interno di quelle mura. Il marito è agli arresti domiciliari e rischia di essere rimpatriato
in Kosovo.

Cie di Ponte Galeria (Roma)
14 luglio. Nella serata di ieri i reclusi del CIE di Ponte Galeria, dopo essere entrati in possesso delle chiavi del
centro, hanno chiuso la polizia all’esterno delle proprie aree e hanno cominciato a dirigersi verso il portone
principale per tentare la fuga da lì. I poliziotti però, una volta resisi conto di essere rimasti bloccati, hanno
chiamato subito in Questura chiedendo rinforzi. Nel giro di qualche minuto è arrivata la Celere che ha circondato il CIE
con le camionette, impedendo di fatto il tentativo di evasione, e ha “liberato” i colleghi. A quel punto, per ripicca,
gli agenti che erano già presenti nel centro e quelli appena arrivati sono entrati, manganelli e scudi alla mano,
all’interno delle aree e han pestato i reclusi. Cinque sono stati i feriti, uno dei quali, proprio ieri, aveva ingerito
per protesta del sapone e delle lamette.
15 luglio. Mohamed, dopo 21 anni in Italia, viene rimpatriato in Algeria, lasciando la moglie e due figli. L’uomo è
stato espulso in quanto considerato socialmente pericoloso. A suo carico risulta un furto di una macchina fotografica, a
cui è seguita una condanna a sei mesi di prigione. Dopo aver scontato la pena ha trascorso altri tre mesi nel CIE per
poi essere espulso.

Milano, Cie di Via Corelli (Chiuso)
7 luglio. Il CIE appena ristrutturato dopo il fuoco delle rivolte, riaprirà a settembre. Verrà gestito da una società
francese, la Gepsa, coadiuvata dalla cooperativa agrigentina Acuarinto. Mentre la cooperativa si occuperà della gestione
dei reclusi, la Gepsa, società che gestisce alcune sezioni di carceri francesi, avrà il compito di garantire la
sicurezza all’interno del centro. In Italia la Gepsa già gestisce il centro di “accoglienza” di Castelnuovo di Porto,
vicino a Roma.

Cie di Bologna (chiuso)
21 luglio. Sono 204 i migranti trasportati nell’ex CIE. Tutti partiti dalle coste libiche, accalappiati dalla Marina
Militare e trasferiti a Bologna in pullman. La scarsità di posti nel normale sistema di centri di “accoglienza” rispetto
all’alto numero di arrivi di stranieri in questi giorni ha convinto il Governo a trasformare la struttura in un CARA. In
origine questa struttura carceraria aveva una capienza di 97 posti, ora è più che raddoppiata. Letti e materassi sono
stati forniti dalla Protezione Civile. La fornitura di pasti e vestiti è stata invece affidata a due cooperative
bolognesi. A gestire la struttura sarà la Ati, Lai-Momo, Camelot, Arcolaio e Mondo Donna. Per ora non ci sono molte
notizie, seguiranno aggiornamenti.

Torino
2 luglio. Decine di rifugiati e richiedenti asilo hanno occupato nel pomeriggio l’ufficio stranieri di Via Bologna, per
protestare contro l’incertezza della loro futura sistemazione. Attualmente, infatti, su concessione del Comune, sono
ospitati in Via Cervino e Corso Vigevano, ma gli è stato detto che probabilmente dovranno fare spazio ad altri profughi.
Era in programma un incontro con dei rappresentanti comunali e l’associazione Terra del Fuoco, a cui però il Comune non
si è presentato.

Cie di Corso Brunnelleschi (Torino)
10 luglio. Nella notte diciotto nigeriani presenti all’interno dell’area viola del Cie di Corso Brunelleschi vengono
prelevati e portati all’areoporto di Fiumicino. Lì, insieme ad altrettanti loro connazionali prelevati dal centro di
Ponte Galeria, vengono imbarcati su un volo della compagnia MistralAir e deportati in Nigeria.
19 luglio. Un recluso del Cie di Corso Brunelleschi, nel pomeriggio, sale sul tetto della sua camerata per protestare
contro le condizioni detentive; subito la situazione nel Centro diventa calda, parte dei reclusi cominciano a unirsi
come possono alla protesta del ragazzo, qualcuno minaccia di bruciare dei materassi. Dopo qualche ora polizia e Croce
Rossa riescono a tranquillizzare gli animi e a far scendere il ragazzo dal tetto. Nella serata un gruppo di solidali,
con un saluto rumoroso, porta calore e forza a tutti i reclusi nel Centro.
21 luglio. Alle dieci di sera, i reclusi dell’area verde, una delle tre aree ancora funzionanti, approfittando della
momentanea distrazione delle forze di polizia hanno accatastato materassi e vestiti dentro alle loro camerate, e dopo
essere usciti in cortile hanno dato fuoco al tutto. Minacce e promesse di scontri hanno fatto desistere le forze
dell’ordine dall’entrare nell’area e le hanno costrette a provare a domare le fiamme con gli idranti dall’esterno. In un
paio d’ore l’incendio ha devastato tutto, dalle camerate alla mensa. Le fiamme e le urla dei reclusi sono state
accompagnate per una ventina di minuti dal caloroso saluto di alcuni solidali che, saputo ciò che stava accadendo, si
sono precipitati sotto le mura del Cie. Dopo una lunga trattativa poliziotti e crocerossini sono stati fatti entrare
all’interno dell’area e hanno così potuto smistare i ragazzi nelle altre due aree del centro. Non tutti però, alcuni
infatti, pur di rimanere uniti, non si sono fatti spostare e hanno preferito dormire nell’area verde, o meglio in ciò
che ne restava.

Il mare dei morti
30 giugno. Soccorso nel Canale di Sicilia un peschereccio con 600 passeggeri a bordo. Stipati nella stiva sono stati
ritrovati 30 cadaveri, probabilmente morti per asfissia e annegamento.
20 luglio. Sono 29 i cadaveri trovati nella stiva del barcone soccorso ieri nel Canale di Sicilia e trainato a Malta
dopo il trasbordo dei 566 migranti su una petroliera danese giunta oggi a Messina. Un’altra persona era morta ieri
durante il trasferimento in motovedetta a Lampedusa.
21 luglio. Naufragio di un gommone semi-affondato con a bordo un’ottantina di migranti. Recuperati 5 cadaveri e
continuano le operazioni di ricerca in zona.

***
Definitiva la condanna per l’aguzzino del Regina Pacis
Il 18 luglio la seconda sezione della Corte di Cassazione ha ritenuto inammissibili i ricorsi nel caso che verteva sulle
violenze perpetrate all’interno dell’ormai ex Cpt “Regina Pacis” di San Foca, Marina di Melendugno di Lecce. Diventa
quindi definitiva la condanna a carico di don Cesare Lodeserto, sacerdote leccese implicato in diversi filoni
d’inchiesta sulla gestione del Centro di Permanenza Temporaneo.
A Don Cesare Lodeserto sono stati comminati 5 anni e quattro mesi per sequestro di persona e minacce nei confronti di
alcune donne ospiti dell’ex centro Regina Pacis situato sul litorale di San Foca. Nel Cpt Regina Pacis si respirava un
vero clima di terrore: minacce, offese e violenze verso i migranti trattenuti, episodi così gravi che nemmeno la
Magistratura ha potuto far finta di nulla.
Violenze denunciate da un gruppo di anarchici locali che per questo sono stati arrestati e sottoposti a lunghi periodi
di detenzione cautelare con l’accusa di associazione sovversiva ritornata in appello dopo che era stata esclusa in primo
grado.
Don Cesare (che era stato già assolto dal reato di peculato perché “il reato non sussiste” visto che la convenzione
sottoscritta tra prefettura e arcidiocesi che prevedeva l’erogazione di fondi pubblici non comportava alcun obbligo di
rendicontazione) si trova dal 2007 in Moldavia per una missione episcopale presso altre strutture della fondazione
Regina Pacis; ha ricevuto la cittadinanza onoraria “per meriti straordinari acquisiti nel settore sociale” e non sarà
mai estradato.

***
Processo contro gli anti-razzisti
L’8 luglio a Torino si è tenuta l’udienza di uno, dei tanti, processi che vedono coinvolti i nemici dei CIE.
Non è stata né la prima udienza e non sarà nemmeno l’ultima di un processo che coinvolge oltre sessanta manifestanti.
Ciò che oggi ha dato ulteriore importanza al processo è il fatto che sono presenti in aula tre compagni arrestati nella
retata del 3 giugno scorso. Uno di loro, Andrea, lo chiudono nel gabbione. Un distacco, una punizione immediata e
preventiva che nessuno in aula pensa lontanamente di accettare in silenzio. E’ così che, mentre il giudice tenta di
avviare l’udienza, dal “pubblico” e dagli “imputati” partono urla contro l’isolamento nei tribunali, nelle carceri. Il
giudice dice che Andrea non può entrare fra i banchi “perché mancano gli agenti per la sicurezza”… e che “se il
disordine continua procederò a far sgomberare l’aula”.
Ovviamente la protesta prosegue con le persone del “pubblico” che si siedono a terra ben decise a non muoversi. Niente
da fare. Allora in aula entrano almeno 20 guardie, soprattutto quelle carcerarie che hanno scortato i compagni dalle
galere, strattonano, cercano invano di mettere qualcuno fuori; a quel punto uno dei prigionieri urla al giudice: “le
guardie per sgomberare le avete, per mettere Andrea assieme a noi invece no… Il giudice preso in castagna retrocede,
annulla l’ordine di sgombero mentre ordina di unire Andrea agli altri prigionieri, che lo abbracciano; un gesto
ordinario che lì però in quel momento è oltremodo umano. Anche qualcuno fra il “pubblico” riesce a stringere almeno la
mano ai prigionieri. La solidarietà è davvero più forte dei gabbioni, delle manette, dei tribunali e dei loro riti
aggressivi e discriminatori.


Lettera dal Carcere di Rossano
La lettera di seguito allegata viene scritta e poi consegnata alle guardie che la fanno uscire dal carcere con oltre una
settimana di ritardo. Mohamed l’ha dovuta inviare necessariamente in raccomandata con ricevuta di ritorno per riuscire a
farla arrivare, diversamente, come lui stesso ci scrive, non entra e non esce pressoché nulla da quel carcere infame. A
Mohamed in special modo ma a tutti i prigionieri arabi rinchiusi, va la nostra solidarietà convinti che il primo modo
per rompere l’isolamento sia non arrendersi e continuare a scrivere, trovando anche forme diverse. Invitiamo tutte e
tutti ad inviare cartoline ai prigionieri arabi rinchiusi nella sezione AS2 del carcere calabro.
Gentili amici, ho ricevuto il telegramma il 21-06-2014 due giorni dopo il vostro invio, come saprai, i sei mesi di
censura sono finiti, ovviamente se scrivo nuovamente contro il carcere me la rimettono, così credo.
Però è davvero strano perché è capitato anche con la mia famiglia, una volta quando mia sorella mi mandò degli articoli
di giornale, quella lettera non arrivò mai, pure con altre due persone quando si è dimostrata solidarietà inviando o
ricevendo pacchi postali, la corrispondenza si è interrotta. Forse dare e ricevere solidarietà non è concesso a noi in
quanto “terroristi”? Non lo so ma inizio a pensare che dietro ci stia il DAP, dopo la prima lettera pubblicata, la
nostra sezione era stata migliorata e anche in tempi stretti, questo mi fa pensare di aver dato fastidio a qualcuno.
La vostra corrispondenza non arriva proprio né a me né agli altri qui, ma il fatto di non farmi arrivare libri è solo
una cattiveria. Io ne avevo già parlato con l’avvocato ma non mi è sembrato interessato per questa storia, mi disse che
il direttore ha il potere di fare la censura se vuole, però un conto è la censura, un altro è non ricevere nulla.
Comunque vedete voi se potete fare qualcosa […].
Vi ringrazio di tutto, qua la situazione è migliorata e rispetto ad altri carceri si sta meglio per quanto riguarda la
vivibilità, una novità è che una giornalista esperta di esteri di Mediaset vorrebbe incontrarmi, vedremo se
l’autorizzano, poi sono riuscito a contattare il consolato marocchino per farmi aiutare per il trasferimento al nord per
fare colloqui (da due anni non incontro mio padre e da un anno mia madre) vediamo cosa deciderà il DAP... Beh, vi auguro
tante buone cose! A presto! Salam

Rossano, 23 giugno 2014
Mohamed Jarmoune, Via Contrada Ciminata Greco, 1 - 87067 Rossano scalo (CS)


Lettera dal Carcere Le Vallette (TO)
E di cosa volete che si parli in galera, due a due o tre a tre ben allineati, misurando a passi svelti la distanza tra
un muro e l’altro del cortile? Di tribunali ed avvocati, di carceri ed indulti che non arrivano mai. E di poco d’altro:
il resto è riservato alla penombra delle celle, quasi a voler rappresentare nella scelta ripetitiva del discorso la
frattura dolorosa tra dentro e fuori. Fuori la vita ha toni e sfumature, orizzonti e mille cose da fare e da dire e da
pensare; dentro la vita è carcere, solo carcere.
Infatti, giusto ieri mattina, nel cortile, pure io stavo parlando di galera come tutti, e mi trovavo a sostenere che, se
proprio si deve finire dentro, meglio mille volte la prigione dove ci trovavamo in quel momento a passeggiare insieme
che il carcere immenso della mia città. Galera per galera, spiegavo, qui almeno dal carrello si riesce a mangiare quasi
benino e pure chi non ha i soldi per fare la spesa e cucinare in cella può tirare avanti senza rovinarsi troppo lo
stomaco e l’umore: dalle mie parti invece, da quel che ricordavo e da ciò che mi era stato raccontato più di recente,
col carrello ti servon merda, variamente condita e presentata, ma più o meno invariabilmente merda.
Ed è bastato nominarlo ieri in cortile, il carcere della mia città, per renderlo vero: sveglia presto questa mattina,
«trasferimento!», ed eccomi qui alle Vallette.
Non so dire se sono qui solo «per giustizia» - una udienza in Tribunale e poi via al punto di partenza – o se alla fine
mi abbiano «assegnato» vicino a casa come avevo chiesto, per cui non so neanche se la cella dove mi han ficcato tre ore
fa sarà la “mia cella” per un po’ o solo un antro di passaggio. Nell’incertezza non mi spendo troppo in quelle piccole
opere di ingegneria carceraria che si tramandano di detenuto in detenuto per rendere meglio abitabili le celle delle
prigioni. Solo l’essenziale: uno stendino per le mutande fatto con mezzo sacco della spazzatura e due coltelli di
plastica e poi una tenda per dividere la latrina dalla cella vera e propria, visto che non c’è una porta. Quindi mi
metto a sistemare alla meglio vestiti, biancheria e carte. Dal disordine del sacco nero che mi fa da valigia spunta un
avviso di chiusura indagini notificatomi da poco, per un episodio dello scorso dicembre. Mi siedo sullo sgabello e
rileggo: si racconta di uno striscione appeso a una finestra, di un discorso al megafono e delle dichiarazioni di Mauro
Maurino intorno ad una riunione di vertice della cooperativa che lui presiede interrotta per il trambusto fatto da me,
da un altro compagno, e da numerosi altri rimasti ignoti. C’era stata qualche giorno prima la protesta di un gruppo di
detenuti delle Vallette incazzati per la scadente qualità del cibo che la cooperativa “Ecosol” faceva servir loro sul
carrello, e un bel gruppone di solidali aveva fatto propria la questione andando ad occupare la sede della cooperativa.
Ma la “Ecosol” è una costola del consorzio Kairòs, il consorzio Kairòs è coinvolto fino ai denti nella storia infame dei
centro per senza-documenti in Italia, e Mauro Maurino è il trait d’union tra il mondo delle cooperative torinesi e
l’affare-Cie. Abituato a vedersi contestato, evidentemente Maurino si era precipitato in Questura per denunce e
riconoscimenti non appena i manifestanti avevan levato le tende. Niente di grave, comunque: impilo la notifica con le
altre carte e mi dedico a piegar le mutande.
La cella dove sono è una cella e ha le sbarre, ma la finestra è enorme e luminosa, e questo pomeriggio la collina
sembrava là a portata di mano, con Superga ben piantata in cima. Sorrido con le mutande in mano, e sono di buon umore
quando arriva il lavorante col carrello e mi passa la mia cena: un gran mucchio di carote grattugiate e, in mezzo, due
polpette. Sono grosse e già fredde, e dal lato di una sporge di almeno tre centimetri un bastoncino sottile e
bruciacchiato. Io qui dentro di tempo da perdere ne ho, per cui mi impegno e lo estraggo dalla sua sede, piano piano
perché non si spezzi. Lo guardo da vicino: è un grosso gambo di prezzemolo, un po’ legnoso, lasciato intero con ancora
due foglioline sulla punta. Lo guardo ancora e penso con un po’ di nostalgia alla cena di ieri sera, lontana da Torino:
laggiù, le polpette sono addirittura buone e ti viene da fermare il carrello che si allontana per averne una seconda
porzione. Mentre tento l’assaggio, poi, non riesco a togliermi dalla mente la notifica, la Ecosol e Maurino, e i
ragionamenti di quest’ultimo sui Cie che non sono “giusti” ma che è giusto gestire lo stesso e sugli anarchici che con
le loro lotte fan peggiorare le condizioni di vita all’interno. Penso alla giustizia e guardo le polpette, e mentre
mastico quel boccone gommoso e insapore provo schifo, ma non so se per le polpette o per le parole di Maurino. Parole
indigeribili anche per chi in un Cie non c’è mai stato, e pure per chi non è costretto a mangiarsi queste polpette della
Ecosol dal carrello. O almeno penso io, che poi ognuno ha il senso di giustizia che si è voluto costruire, agghindato
con eccezioni e distinguo buoni abbastanza da salvargli il sonno. Son sicuro però che alla fine dei conti, chiunque al
mio posto avrebbe fatto una identica cosa, persino Maurino: quelle polpette le avrebbe buttate nel cesso come ho fatto
io.

Torino, 20 giugno 2014
Andrea Ventrella, Località Quarto Inferiore, 266 – 14030 Asti

La lettera è stata spedita da Andrea che successivamente è stato trasferito prima a Ravenna e poi ad Asti.


lettera-appello dal carcere di Pescara
Cari compagni di Olga, con molto piacere ho ricevuto il vostro opuscolo e vi ringrazio molto.
Oggi vi scrivo per chiedervi consigli ed aiuti, ho bisogno se possibile di diffondere la notizia che al lager di Pescara
è appena stato trasferito un compagno in stato di anoressia, il suo nome è Caltagirone Giovanni e vorrei si
mobilitassero più compagni possibile e far arrivare questa notizia a delle associazioni per i diritti dell’uomo,
giornali, ecce cc.
Compagni, dovreste vederlo! È in sedia a rotelle, ieri quando lo ho hanno portato in infermeria pesava “vestito” 45
chili. Anche i suoi ragionamenti non sono lineari e mi sembra piuttosto normale visto che non riesce a mangiare da mesi,
a malincuore posso dire che sono in stanza con uno zombie, è scheletrico, insomma non è adatto a vivere in un lager.
Prima di essere trasferito in Abruzzo stava al C.C. di Velletri, lì più volte si è sentito male, è stato più volte
ricoverato all’ospedale Pertini di Roma, ma senza nessun risultato positivo.
Io ho già scritto al mio avvocato chiedendogli di venirlo a visitare (domani alla matricola ci occuperemo della nomina),
gli ho chiesto di far venire un dottore/perito che certifichi in via ufficiale quello che è ovvio agli occhi di
tutti!!!! E cioè che questo compagno è incompatibile con il regime carcerario.
Chiedo l’aiuto di tutti, di tutte le associazioni che magari anche in piccola parte si possano interessare al suo caso
per far sì che non ci sia un’altra morte in carcere nell’indifferenza di tutti!!! Non si può nel 2014 ancora morire in
una cella, non si può dire alla propria donna di non portarti i figli a colloquio perché non vuoi fargli vedere il
proprio padre ad un passo dalla morte, non puoi far diventare ogni giorno di colloquio un giorno di sofferenza, perché
puntualmente vedi negli occhi di tua moglie la disperazione.
Stiamo qui perché un giudice ci ha condannato, ma non era la pena capitale!!”
E poi una volta per tutte ribelliamoci a queste schifezze, questi aguzzini non possono disporre della vita e della morte
delle persone… prima che prigionieri siamo uomini, mariti e padri e fuori da queste mura schifose, lontano da queste
infamità ci sono delle persone che aspettano il nostro ritorno.
Cari compagni, ora vi saluto augurando una presta libertà a voi tutti/e, e grazie in anticipo per il vostro aiuto.

Pescara, 6 luglio 2014
Ivano Matticoli, Via San Donato 2 – 65129 Pescara


Aggiornamento sulla mobilitazione in Grecia
Dal 28 giugno (6° giorno di sciopero della fame di massa), la lotta si sta intensificando in vista del voto sul progetto
di legge per la costruzione delle prigioni di massima sicurezza il prossimo giovedì, 3 luglio 2014.
Il 27 giugno, la rete dei prigionieri in lotta ha chiamato alla mobilitazione solidale, anche in riferimento allo
sciopero della fame di Nicolò Angelino, che è sotto detenzione in Italia.
Più di 30 scioperanti della fame sono stati trasferiti all’ospedale del carcere maschile di Koridallos, mentre il 28
giugno, la mattina, i compagni Panagiotis Argirou e Michalis Nikolopoulos (membri prigionieri della Cospirazione delle
Cellule di Fuoco) sono stati portati anche loro in ospedale, insieme ai compagni Argyris Ntalios, Yannis Michailidis e
Nikos Romanos.
Tuttavia, il servizio sanitario del carcere e l’ospedale non hanno personale sufficiente per prendersi cura degli
scioperanti che lì transitano urgentemente, mentre l’amministrazione del carcere mostra un totale disprezzo per la loro
salute, inviandoli nuovamente ai moduli. Inoltre, le guardie carcerarie sono entrate in “sciopero”, impedendo di fatto
le visite dei prigionieri con i loro avvocati e le loro famiglie. In risposta ad entrambi, nella tarda sera del 27
giugno, i prigionieri restati a Koridallos si sono trattenuti fuori dalle loro celle per un’ora in più oltre il tempo
prestabilito. Occorre qui menzionare la compagna Olga Ekonomidou, nel carcere femminile, è entrata in sciopero della
fame il 25 giugno.
In termini numerici, i prigionieri di due prigioni si sono uniti alla mobilitazione (50 a Corinto e 60 sull’isola di
Kos). Inoltre, nella dell’isola di Corfù, più prigionieri sono scesi in sciopero della fame immediatamente dopo una
forte e calda manifestazione di sostegno di fronte alle mura di questo centro di sterminio, messa in atto la notte del
26 giugno da più di 20 individui.
Dopo 8 giorni di sciopero della fame i prigionieri in Grecia hanno deciso di interromperlo e continuare la mobilitazione
con altri mezzi. Si sono contati circa 1.500 scioperanti.
Fuori dal carcere sono avvenute alcune azioni di solidarietà e sostegno alla lotta dei prigionieri greci. In Grecia è
stato incendiato un furgone della società di sicurezza Nsquare e l’auto dell’ambasciatore tedesco, ed a Berlino è stata
incendiata l’auto del console greco.

Luglio 2014, liberamente tratto da autistici.org/cna


Lettera dai domiciliari
Carissim* compagn*, ho ricevuto oggi con gioia il vs opuscolo e sono subito a rispondervi. Innanzitutto mi scuso per non
essermi fatto sentire negli ultimi due mesi ma ho passato un periodo del cazzo e sono tato un po’ incasinato tra
attività politica e alcuni problemi familiari.
Non è che ora non ho più interesse vs la questione carceraria, anzi, ma essendo fuori e non vivendo più in quell’inferno
raccontarvi ciò che faccio non mi sembra serva a qualcosa.
Mi sto sentendo con diversi compagni del coordinamento e dopo la mobilitazione di aprile stiamo valutando cosa fare. Se
prima mi prendevo la briga di scrivere e parlare a nome di tutti ora mon me la sento più a farlo, soprattutto non mi
sento più nella posizione di chiedere agli altri di rischiare isolamenti e 14bis quando io sto fuori.
Con alcuni compagni ho parlato della cosa e mi hanno capito; volevamo far uscire un documento ma la censura ci blocca.
Per il momento stiamo aspettando e continuiamo la corrispondenza per poi valutare le migliori mosse.
La mobilitazione è andata tutto sommato bene. Tanti presidi e diverse iniziative tra le mura, ma l’impressione è che la
stragrande maggioranza se ne freghi altamente e questi maledetti benefici del cazzo hanno frenato, e non poco, la voglia
di ribellione.
La censura, i tempi lunghi che passano tra l’invio e la ricezione delle lettere non giovano all’attività del
coordinamento così come il periodo estivo. Speriamo che da settembre inizieremo un nuovo percorso e che fuori si torni a
respirare un po’ di aria di insurrezione visto che ormai da maggio tutto è fermo. Vedo un calo dell’attività antagonista
un po’ ovunque e ciò è un male dato che per diverso tempo ho avuto la sensazione che il vento cambiava. Dico ciò perché
si era riniziato a parlare del carcere e in ogni iniziativa notavo un certo interesse. È inutile che io lo ripeta, ma se
continuiamo a guardarci in cagnesco gli uni con gli altri verremo tutti spazzati via. Mi auguro che con il semestre a
quida del faccia di cazzo di Renzi si organizzi, non a chiacchere, il contro-semestre antagonista che metta al centro di
tutto la voglia di costruire una base solida capace di mobilitarsi contro questo sistema infame. Vi abbraccio e vi
saluto tutti!
Inizio luglio
Lettera dal carcere di Pescara
Cari compani/e oggi ho ricevuto l’opuscolo 89.... Grazie soprattutto perché pubblicate le schifezze che susseguono in
questo lager; giorno dopo giorno. Grazie anche per le cartoline: sono bellissime.
Allora compagni/e per quanto riguarda la protesta che si terrà tra pochi giorni io mi sono dato molto da fare, non solo
in questo carcere, avendo compagni rinchiusi in altri lager ho esteso la proposta anche da loro, sono sicuro che mi
stanno vicini, almeno loro!!!
Qui da me (e non c’è bisogno che vi ricordo dove mi trovo) molti “individui” si sono lamentati e sicuramente già sono
andati a riferire agli omini blu “con le stelline” sulla giacca le mie intenzioni, ma poco mi importa, per quanto mi
riguarda possono trasferirmi anzi rinchiudermi anche in un igloo fatto apposta per me al polo nord, tanto carcere qua e
carcere là, lo schifo non cambia!!! In compenso quando si è sparsa la voce mi hanno fermato alcuni “omini blu” delle
sezioni, avete presente i maggiordomi che ci aprono le porte? Si proprio loro. Beh un paio di loro hanno detto: invece
della battitura, distruggilo questo posto!!! Ah ah ah ah non ci si può credere, i detenuti mi si cantano e le guardie mi
appoggiano!!!ah ah ah
Comunque io-noi ci saremo, la lotta non ci fa paura. Leggo anche la proposta scritta dal femminile di Bologna, lo
sciopero della spesa, quello sì che è un bel danno!!! Ma dovremmo essere tutti d’accordo nelle carceri italiane.
Ora invece prima di chiudere la lettera, e visto come sempre si parla di soprusi, infami e gente indegna, vi racconto la
testimonianza del mio concellino. Lui si chiama Ruggero, attualmente è qui con me, ma nel tempo che voi pubblicate
questa lettera sarà detenuto al carcere di Santa Maria. Ma torniamo un po’ indietro con il tempo, era detenuto nel
carcere di Vasto, un piccolo schifoso lager dove dopo tre anni in quell’istituto si trova in una situazione che quando
va dall’educatrice per un piccolo beneficio (dopo tre anni!!) le gli dice: “scusi come si chiama lei?” ci rendiamo
conto! Siamo a 100 persone e dopo più di 1000 giorni non sai chi sono!!! Comunque riesce finalmente a partire da lì e si
ritrova nel lager di Isernia… dalla padella alla brace: Qui si ritrova in una situazione tipo carcere di Pescara e cioè
un suo concellino litiga per futili motivi con un altro detenuto, entrambi vengono bloccati dagli omini blu e si suppone
incorrano in sanzioni disciplinari… e invece non è così, uno prende il rapporto e l’altro prende lavoro in sezione… è
assurdo è? Ah ah ah, ma credetemi, ovviamente il mio compagno Carmine si mobilita affinché la sezione emarginasse
l’infame ma purtroppo i detenuti non sono tutti uguali e l’infame viene trattato da “uomo” e non da “verme” d’altronde
nel lager di Isernia molti detenuti, o meglio individui, giocano a carte con gli “omini blu” all’interno delle celle!!!
(si avete letto bene) che ti puoi aspettare...
Ma io (Ivano) i concellini me li scelgo buoni, infatti il mio amico Carmine si è rivelato un uomo, una sera l’infame,
seguito a distanza dall’omino blu, si avvicinava alla cella del mio amico chiedendo se aveva bisogno di ghiaccio e lui
gli risponde: “tu sei un infame e davanti a questa cella non devi venire. Nel parlare si accorge che l’omino blu (a
distanza) ascoltava, allora lui gli dice “appuntato, prima che questi individui ve lo vengono a raccontare venite qua
che ora ve lo dico io: questo è infame e io non c’è lo voglio...”. Ovviamente l’omino blu ha raccontato tutto alla
comandante e lui è stato mandato qui da me....
Un’altra “brace” ancora più rovente ah ah ah. Ora cari compagni-e vi saluto ringraziandovi per quello che fate per noi.
Auguro presto libertà a tutti.

Pescara, aprile 2014
Ivano Matticoli, Via San Donato 2 – 65129 Pescara
Lettere dal carcere La Dozza (Bologna)
Un saluto carico d’affetto e stima a tutti voi! Vi ringrazio d’avermi mandato l’opuscolo… nonostante i soliti scontri e
ostacoli, ricatti per i veri detenuti e privilegi per chi s’abbassa e collabora con le divise, vi porto buone notizie…
Se tutto va bene con il nuovo decreto Fini-Giovanardi dovrei avere uno sconto di pena tale da uscire completamente
libera!
Non so cosa significhi portare avanti questa lotta al di fuori da questo contesto, ma resta comunque un mio obiettivo.
Probabilmente avrò più libertà di movimento potendo così dare un contributo più sostanzioso ad un cambiamento del
sistema attuale.
Anche se non vi scrivo costantemente la mia ricerca per la libertà incondizionata non si ferma mai e ci terrei a
condividere con tutti voi delle tesi su cui ho discusso oggi con una persona molto particolare, direi totalmente fuori
dall’ordinario, che mi sta accompagnando lungo questo cammino.
Vivere la realtà del contesto carcerario di persona fornisce gli elementi adatti per avere un quadro più preciso dei
meccanismi che permettono alla struttura di continuare ad esistere in quanto tale.
Siamo noi detenuti i principali ingranaggi di questa grande macchina… certamente contribuiscono con il loro servizio i
volontari, i preti, gli infermieri, i dottori, ecc…
Tante volte ci siamo impegnati d’animo per fare proteste su proteste, caricati fino al midollo dalle nostre motivazioni
che bastano a sé stesse per partire all’azione… battiture, scioperi di tutti i tipi possibili e immaginabili. Ma cosa
abbiamo ottenuto? Praticamente niente, se non qualche misero miglioramento come contentino… Della serie di quelli che dà
l’Italia a Strasburgo… però nel nostro caso in misura mini-microscopica! Ora vi domando… E se tutti noi detenuti ci
prendessimo il tempo necessario per organizzare nei dettagli una rivolta collettiva che abbia come fondamento la NON-
COLLABORAZIONE? Se tutto d’un tratto… in tutta Italia ogni detenuto/a con la coscienza attenta e attiva si rifiutasse di
svolgere qualsiasi tipo di collaborazione? Nessuno che frequenti più i corsi, che nessuno svolga più mansioni
lavorative… Praticamente ci fermassimo, senza fare più nulla… rifiutando anche di incontrare i volontari, fare la spesa…
ecc? Tutta la grande macchina potrebbe smettere di funzionare? (E’ ovvio che per noi è fondamentale il supporto
esterno). Facciamo un tentativo collettivo… con la NON-VIOLENZA non si corre il rischio di andare incontro a chissà
quali conseguenze (che solitamente è la preoccupazione principale e ha il potere di stroncare le iniziative sul
nascere), ma con “l’agire-non agire” ci si aprono delle possibilità che ci potrebbero condurre al così tanto agognato
cambiamento che possa stravolgere non solo il contesto carcerario, ma l’intero sistema istituzionale. Cosa ne pensate?
Scrivete sull’opuscolo le vostre idee, il vostro punto di vista e le tattiche d’azione che vi vengono in mente. Insieme
possiamo creare le condizioni adatte a creare una forma di lotta decisiva!!! A presto!!!

Carcere di Bologna, primi di luglio 2014
Vanessa Bevitori, via Del Gomito 2, 40127 Bologna

***
Ciao sono Francesca la concellina di Vanessa, ho letto i vostri opuscoli, e ammiro il lavoro e la lotta che fate per noi
che stiamo dentro… in quanto di problematiche in tutti i carceri ce n’è all’infinito, e soprattutto tante ingiustizie.
Anche io come tanti sfigati sono caduta nella trappola del sistema e vorrei raccontarvi la mia testimonianza di un fatto
che mi è accaduto qui alla Dozza: io lavoravo “se così si può dire” nella sartoria interna del carcere Dozza con una
cooperativa (il quale sono stata anche intervistata e se vedete sul pc c’è la mia intervista) ove lavorava anche
un’altra detenuta, il primo mese erano tutti carini e coccolosi ma poi quando iniziai a chiedere quando sarei stata in
regola, loro mi dissero che il mio tirocinio formativo non era arrivato dopo 2 mesi senza essere retribuita io iniziai a
fare pressioni, parlai anche con il mio educatore e lui mi chiese se volevo rimettermi in graduatoria in cucina. Ne
parlai con il responsabile della sartoria e lui mi disse che se me ne fossi andata avrei perso il posto in sartoria, mi
disse anche che mi avrebbero pagato loro per il lavoro che stavo svolgendo poiché io producevo tanti articoli destinati
alla vendita. Ma dopo 5 mesi di lavoro e tante pressioni per avere dei soldi loro iniziarono a mettermi in cattiva luce
poiché io non ero lecchina, accomodante e non ero amica della detenuta che lavorava con me. Insomma questa sartoria si
può dire che era solo per questa detenuta “la capa dei capi” lei aveva il potere di decidere “ha il potere” tutto a chi
potesse lavorare li dentro. Io con lei non mi trovavo era una persona molto ambigua e spiona al 100% e iniziai a non
frequentarla più e lei si vendicò. Ma dopo 5 mesi il responsabile della sartoria mi mandò un vaglia di 800 euro ed io
pensai che per davvero stavo lavorando in nero. Poi a febbraio mi arrivò il tirocinio di 3 mesi lavorai tanto per avere
l’assunzione ma il 3 maggio terminato il tirocinio non mi assunsero e il responsabile mi disse che se io non avessi
chiesto i soldi mi avrebbero tenuta. Io piansi ma lui senza un briciolo di compassione se ne andò ed io che ancora oggi
ho una condanna lunga attendo dalla regione il mio stipendio di 3 mesi di 920 euro e a quanto pare non me li vogliono
dare ed io sto lottando ma non è facile da sola. Ho scritto con la Vanessa al sindaco Virgilio Merola poiché è il
promotore del tirocinio ma mi ha ignorata. Adesso siamo a luglio io ho iniziato a fare i permessi premio ed io sono
senza soldi per sta gentaglia che in continuazione ci sfruttano per i loro scopi e a quanto pare questa sartoria l’hanno
aperta solo per fare uscire prima la detenuta che lavorava con me in sartoria. Qui ci sono donne con pene lunghe ma
nessuna di loro entra in sartoria ed io mi pongo una domanda: ma è possibile che noi dobbiamo essere trattate come
merde, discriminate ed emarginate? Con questo concludo questo mio breve racconto da delirio. Un saluto a tutti voi che
ci aiutate e ci state vicino in questa battaglia senza fine. Un abbraccio.

Carcere di Bologna, inizio luglio 2014
Francesca Guttadauro, via Del Gomito 2, 40127 Bologna


da una lettera dal carcere di cremona
Carissimi compagni e compagne, fratelli e sorelle ho ricevuto l'opuscolo ed altro materiale sia quando ero a S. Vittore
che ora che sono stato trasferito a Cremona. Questo perchè si è messo la faccia ad esplicare i problemi dei detenuti del
3°raggio per cominciare dal garante dei diritti dei detenuti con cui siamo riusciti a metterci in contatto e per
potergli spiegare le problematiche che abbiamo riscontrato non solo vivendole ma facendo vari incontri con i detenuti
del 3° raggio presso il C.P.A. (centro per auto assistenza) e grazie ad alcuni operatori volontari della L.I.L.A che
oltre ad aiutarla l'hanno convinta a venire a parlare con noi per potergli spiegare molte problematiche.
A pochi giorni dall'incontro, quello che avevamo assegnato come portavoce (dato che le questioni le avevamo trascritte
doveva solo leggerle e dire qualcosa a voce) si è tirato indietro per paura di perdere benefici ad esempio corsi oppure
di essere trasferito... ormai il tempo era poco e la faccia c'è l'ho messa io durante l'incontro e gli ho elencato le
problematiche che avevamo riscontrato chiedendogli se potesse fare qualcosa per migliorare la nostra situazione e anche
c'era l'intenzione di mandare la lista delle problematiche ai giornali; dato che non ho visto niente di scritto credo
che molti di noi che hanno fatto questa cosa sono stati trasferiti e l'unica copia (oltre a quella data al garante) la
ho io e prima che la perdo chiedo a voi di divulgarla a mezzo stampa e anche tramite l'opuscolo.
La garante aveva detto che ne avrebbe parlato con la direttrice ma non so se sia stato fatto comunque io vi mando la
lista delle problematiche scritte nell'incontro con i detenuti del 3° raggio che si è svolto presso il C.P.A. in cui mi
sono stati segnalati alcuni e dico solo alcuni aspetti critici:
1. Cambio delle lenzuola (avviene dopo circa une mese e mezzo a volte due mesi).
2. Materassi vecchi anche del 2000, mancanza di cuscini o cuscini vecchi, se non ci sono lo fai con un pezzo di
materasso.
3. Fornitura di prodotti pulizia: all'interno delle celle vengono comprati personalmente dai detenuti.
4. consegna del rotolo di carta igienica ogni 15 giorni se va bene.
5. Posta in arrivo con ritardi di 15 giorni e a cavallo di festività anche un mese dopo.
6. Sorveglianza notturna degli agenti sul piano inesistente (in caso di malori e urgenze tutto il piano deve fare casino
e, sbattere le celle, strillare e dopo mezz'ora in genere arriva l'agente che chiede cosa è successo e devi aspettare
che riscenda e risalga per andare a prendere le chiavi al piano terra dove sta a guardare la tele (immaginarsi i malati
di cuore o altre gravi urgenze).
7. Consegna Kit all'ingresso del carcere che non viene effettuata, oppure incompleta: ufficialmente è composta da 2
piatti di plastica, forchetta e cucchiaio, saponetta, carta igienica, 1 asciugamano.
8. Possibilità di spazi d'aria per sport molto piccoli.
9. Palestra in pessime condizioni e viene usato a turno.
10. Carrello spazzatura e spesa è lo stesso di quello dei pasti e viene utilizzato senza lavarlo.
11. In tutti i piani gli scalda vivande sono nei sotterranei e per trasportarli i lavoranti sono costretti a portarli a
mano per le scale (a loro rischio e pericolo) e gli ascensori sono chiaramente rotti da anni.
12. continua ad esserci sovraffollamento anche perchè su 6 raggi che usano vengono utilizzati solo 4 dato che stavano
letteralmente cadendo a pezzi, il 2° raggio è chiuso da tempo perchè è caduto su se stesso: le celle da 1 o massimo 2
sono diventate da 4 e ultimamente anche 6/8 persone, mentre nei “celloni” prima per 6/7 persone a volte si arriva a
10/12 persone... in alcune celle si deve fare letteralmente a turno per mangiare anche per mancanza di sgabelli, gli
altri nell'attesa aspettano sul letto.
12. Scopa fornita dopo tre mesi dalla richiesta. Inoltre il listino della spesa ha prezzi maggiorati rispetto ai
supermercati e per esempio dato che il mangiare di casanza fa schifo è essenziale fare la spesa per il mangiare: quando
il carcere specula sui detenuti e le loro famiglie è da infami!
13. In alcune celle manco il tavolo per mangiare.
14. Termosifoni non sempre funzionanti e perdita d'acqua e altro nelle celle e WC.
15. Al 6° raggio oltre a muri vecchi e umidi ci sono ancora le turche ( in condizioni inimmaginabili ) e a volte gli
scarichi non funzionano, le docce non sono in cella ma bensì esterne, circa 6 per ogni piano....
16. Gli infermieri passano la sera e per richieste visite dal dottore non c'è privacy perchè la motivazione del perchè
si richiede la visita si è costretti a dirla davanti ai concellini.
17. Uso degli stessi guanti degli infermieri sia per dare medicinali che toccare immondizia e spingere il carrello...
uso stessa siringa (senza sterilizzare ) per dare gocce di tutti i tipi: valium, rivotil, terapie varie ecc
17. ore d'aria ridotte per via dell'apertura tardiva delle celle.
18. Mestolo distribuzione pasti uguale per tutti i pentoloni, gravissimo se si pensa a chi ha intolleranze alimentari e
alimentazione diversa dalla prassi.
19. Per visita specialistica 2 mesi d'attesa.
20. Per colloqui con educatrice, psicologa del sert, assistente sociale operatore gli spazi sono inadeguati alla privacy
e i colloqui vengono fatti dove c'è spazio libero ad esempio dove la gente telefona se è libero e talvolta nonostante un
detenuto sia al telefono viene fatto nella stessa stanza, magari giusto di spalle.
21. Barbiere, che deve essere lucido e conoscere il mestiere data la delicatezza e quello che c'era non era del mestiere
e usava il metadone. Il prossimo deve conoscere il mestiere ed avere gli strumenti perchè la macchinetta tagliacapelli è
utilizzata anche per la barba e e mai sterilizzata.
22. Le risposte della direzione fornite dal garante sono sempre quelle della mancanza di fondi.
Ma S. Vittore quando è “stracolmo” si “svuota” tramite trasferimenti: carceri di Bergamo, Piacenza, Cremona, Bologna e
gli ultimi arrivati li trasferivano anche in Sardegna.
[...] Esiste anche il corso di giornalismo (di cui produceva anche un giornalino del 3° raggio di S. Vittore che però
veniva distribuito solo intenamente e si chiama REALTA' NASCOSTE e se volete vi posso dare la
mail:realtanascoste@yahoo.com e il blog realtànascoste.com).
Come avete capito c'era più da fare a S. Vittore al 3° raggio che a Cremona dove sono nel cosidetto padiglione nuovo,
aperto il 31 ottobre a parte i cancelli elettrici che ti aprono gli agenti ci sono anche telecamere dappertutto [...].
[…] fate conto che a S.Vittore mi mancavano 10 giorni a fine novembre per farmi conoscere da operatori di una comunità
così finivo la pena li a novembre MA A METTERE LA FACCIA CONTRO LE INGIUSTIZIE TI PUNISCONO [….] Qui in compenso sei più
abbandonato da un lato... l'aria è addirittura più piccola di S.Vittore … una ragazza mi ha spedito il Back gamon ma non
lo hanno fatto passare... ai pacchi del colloquio fanno passare solo il sottovuoto....
Compagni-e mi scuso se sono stato lungo e spero che pubblicherete questo scritto. Comunque vi ringrazio per gli opuscoli
e vi chiede se continuate a mandarmeli.
Con la speranza dell'Indulto e di rivedervi al più presto.
LA LEGALITA' UCCIDE! Un saluto a pugno chiuso.

Cremona, 13 luglio2014
Claudio Giannuario, via Palosca, 2 - 26100 Cremona


LETTERA DAL CARCERE DI CALTANISSETTA
Salute, oggi mi è stato comunicato (ma non notificato!) il sequestro dell’ultima tua lettera in arrivo. Celermente il
Magistrato ha disposto questo provvedimento perché a suo dire “sussistono nel contenuto elementi di reato”. In questa
galera non hanno l’usanza di notificare i verbali di trattenimento come, invece, l’Ordinamento Penitenziario prevede,
altrimenti ti avrei spedito, come le altre volte, questo cazzo di verbale! Mai vista una velocità così con cui il
Magistrato dispone i sequestri, in pratica nell’immediatezza! Però non risponde con i medesimi tempi ai ricorsi che ho
fatto contro gli abusi. Ci vuole sempre altro modo con cui esporre le proprie ragioni e far rispettare il proprio
“status di prigioniero” (quando lo si accetta), ti farò sapere. Ti ho spedito un po’ di giorni fa una lettera con un po’
di cartastraccia e intanto, ad oggi, non mi è ancora arrivato l’ordine di traduzione per il processo. Ciao, a presto,
Davide.

Presoni de Kaltanissetta, 24 giugno 2014
Davide Delogu, via Messina, 94 – 93100 Caltanissetta

***
SUL PROCESSO A DAVIDE DELOGU
Il 2 luglio si è tenuta a Cagliari l’udienza. Come facevano sospettare le ultime angherie nei confronti di Davide (nuova
applicazione della censura, sequestro di corrispondenza ecc) Davide non è stato tradotto dal carcere di Caltanissetta a
quello di Cagliari. Il Dap, all’ultimo momento, ha annullato il trasferimento che era già stato disposto e imposto la
videoconferenza.
L’avvocato si è opposto a questa decisione ed ha presentato reclamo, messo a verbale, appellandosi all’articolo 146 bis
d.p. att. cpp che prevede il ricorso alla videoconferenza solo in tassativi casi, evidenziando che la videoconferenza
non può essere applicata a questo caso, soprattutto per la tipologia di reato di cui è imputato Davide che non rientra
tra quelli previsti.
il Giudice ha preso tempo per la decisione. Il processo è stato rinviato al 3 ottobre.
Invitiamo tutti a tenere alta la solidarietà e la mobilitazione ancora di più ora che è stata richiesta la
videoconferenza, strumento massimo per zittire gli imputati, annullare l’identità di lotta, eliminare la solidarietà.
NO ALLA VIDEOCONFERENZA!
SOLIDARIETA’ A TUTTI I PRIGIONIERI IN LOTTA!


Lettere dal carcere di Spoleto
Carissimi/e Compagni/e, il mio primo pensiero è che tutte/i voi di Olga stiate bene e vi ringrazio di cuore per il libri
che sono tutti belli e molto interessanti, soprattutto quello di “Oltre il labirinto” che tratta i problemi della
psichiatria sugli psicofarmaci dove in questi luoghi il sistema infame non bada a spese pur di riempire i detenuti di
psicofarmaci per annichilirli…
Come avrete notato vi ho spedito un piccolo elenco delle ultime lettere che mi hanno bloccato questa settimana e vi
chiedo di mettere i nomi di tutte in modo che tutti/e i compagni/e possano sapere che io scrivo e gli infami a Spoleto
le bloccano, cercando di tagliarmi tutti i contatti con l’esterno, ma ieri ho saputo che presto verrò trasferito, se no
a Spoleto e Terni compresi i loro complici magistrati di sorveglianza, le farò passare la voglia di fare abusi, e
proprio ieri ho scritto in Procura ai giudici di arruolarsi come agenti penitenziari dato che coprono gli abusi che
tutti noi subiamo, e di non leggersi il giornale in Procura anche se con la Direzione sono tutti una famiglia… cambio
argomento se no li riempio a tutti di parolacce (infami)…
Vi scrivo perché ho saputo che Claudio, Niccolò e Chiara sono stati raggiunti da un’altra custodia cautelare, così come
tante/i fratelli e sorelle che a Torino come in tutta Italia lottano contro gli sfratti e per il diritto ad una casa, il
sistema repressivo e infame mi fa schifo, questi giudici sono capaci solo ad arrestare chi lotta per una giusta causa, i
loro amici politici invece rubano e gli concedono subito i domiciliari, in più gli continuano a dare il vitalizio...
hanno approvato lo svuota-carceri per i politici, così la loro pena non supera i cinque anni, sono tutti degli schifosi
ipocriti, l’Expo, il Mose, il TAV, come tutte le grandi opere, servono per i loro malaffari, intanto devastano,
espropriano inquinano, rubano, e il popolo resta alla fame, sfrattano famiglie con bambini, con disabili, che non hanno
un lavoro, che non trovano lavoro, che non hanno di che sfamare i loro figli ed i giudici infami pensano a sfrattarli e
buttarli in mezzo alla strada, ed io auguro a questi giudici che i loro stipendi possano spenderli tutti in medicine,
per la gioia dei bambini, dei disabili e delle famiglie che subiscono queste infamie, ed invito tutti/e ad unirsi a
lottare contro questi demoni senza esclusione di colpi, erigete barricate, in tutte le città unitevi a questa guerra,
mostrate i vostri muscoli e non indietreggiate di un solo passo: solidarietà a tutti/e i compagni/e, gli undici in
carcere, i sei ai domiciliari, i dodici con misure restrittive, e i centoundici indagati.
Non riusciranno ad arrestare i nostri ideali, non potranno fermare e negare il diritto a tutti/e ad una casa, il PD, il
PDL, l’IVD, il NCD e tutti gli altri partiti, sono tutti bravi a parlare e rubare, tutti colpiti da scandali, sono tutti
procacciatori d’affari e luridi infami.
Ribellarsi è un obbligo ed un diritto di tutti/e
Solidarietà e libertà per tutti/e i nostri/e compagni/e
W le lotte W la resistenza No Tav
Un abbraccio ribelle
Spoleto, 12 giugno 2014
Maurizio Alfieri, Via Maiano 10 – 06049 Spoleto (PG)

Allegato alla lettera c’è un elenco delle lettere bloccate a Maurizio. In totale sono 19 le lettere in uscita bloccate,
fra queste ben tre dirette ai suoi avvocati. Sono invece 8 le lettere che non gli sono state consegnate. Non abbiamo
pubblicato i nominativi per rispettare, almeno noi, il diritto alla riservatezza delle persone coinvolte. Abbiamo però
avvertito i compagni/e ed i collettivi che conosciamo.

***
Carissimi/e compagni/e vi mando questa lettera che è stata spedita presso il tribunale di sorveglianza di Perugia contro
le infamie che continuano a farmi trattenendomi la posta sia in entrata che in uscita, questo è quanto ho scritto ai
giudici così voi potete pubblicarla.
Con la seguente chiedo: al tribunale di sorveglianza se continuate a divertirvi a concedete il trattenimento della mia
corrispondenza sia in uscita che in entrata scrivendo che il motivi sono per ordine e sicurezza dell’Istituto.
Tutto questo è una vergogna perché siete convinti che vi è concesso tutto dato che voi dovreste essere quelli che
dovrebbero far rispettare la legge invece siete i primi a violarla permettendo abusi.
Invece di lavorare in tribunale iniziate a girare dentro i “lager” per vedere come vivono i detenuti per rendervi conto
che persone malate non vengono curate, per una visita odontotecnica passano anni, per vedere che i detenuti sono lontani
dalle loro famiglie e dai loro figli migliaia di chilometri, per vedere che i detenuti sono sottoposti a pestaggi, che
muoiono di incuria, che chi lavora viene retribuito con 30/70 euro mensili oltre che a sottostare al ricatto (questi o
niente) siete bravi a paventare il reinserimento dei detenuti quando non applicate neanche le leggi vigenti che
permetterebbero a molti detenuti di uscire, invece qui in Umbria usate il ricatto del 58ter. Per concedere i benefici di
legge, invece chi stupra una donna o un bambino per voi è reinserito.
Mi chiedo come fate a non provare vergogna quando mi bloccate le lettere che io ho scritto per denunciare sui social
network i pestaggi e torture de carcere di Ferrara, oppure quando parlo del sistema criminale che le istituzioni
occultano ma è superfluo andare avanti, perché sarebbe una perdita di tempo dialogare con voi.
Chi mi blocca la posta toccandomi gli affetti è solo un vile senza coscienza.
Il DAP mi ha inserito fra i 25 detenuti più pericolosi perché combatto contro gli abusi che voi magistrati permettete,
contravvenendo così all’illegalità che vige e regna in questi luoghi, io invece come Uomo, prima che come detenuto, non
mi piegherò mai agli abusi e lotterò sempre. Avete permesso di applicarmi la censura con il magistrato di sorveglianza
(Manganaro) con false accuse che avrei ordito un attentato contro il comandante di Terni, solo per controllarmi la posta
per paura che scrivo sui social network di quello che accade nei vostri luoghi di rieducazione.
Non mi permettete di presenziare alle udienze dei reclami perché potrei ribattere su ogni lettera che mi sequestrate, e
non mi fate sapere perché mi bloccate le lettere che dovrei ricevere, però vi voglio dire che le vostre infamie le farò
pubblicare così ai mass media sapranno che il vostro codice deontologico è immacolato come le vostre coscienze.
Se voi vi divertite a bloccarmi la posta, mi divertirò anch’io. Grazie di tutto.

Maurizio alfieri, Via Maiano 10 – 06049 Spoleto (PG)


Lettera dai domiciliari
Carissimi ragazzi di Ampi orizzonti sono Stefano di Savona, ricevo sempre il vostro opuscolo e vi ringrazio tanto perché
è sempre molto interessante.
Vorrei raccontarvi una cosa assurda: io dopo anni e gli ultimi passati in affidamento mi è scaduta la condanna lo scorso
3 maggio. Oggi siamo al 3 luglio e non mi hanno ancora liberato! Ecco come funziona la giustizia italiana tra burocrazia
e organi incompetenti! Sono in ostaggio dello stato da due mesi!!! Tutto per colpa di alcuni documenti che mancano, dice
il Tribunale di Sorveglianza di Genova. Ora sto spingendo con l’avvocato per risolvere la situazione, comunque non ho
parole per descrivere la mia amarezza. La legge è uguale per tutti … i ruffiani!!!
Un saluto di cuore a tutti voi di Olga e a tutti i detenuti d’Italia.

Savona, 3 luglio 2014


Lettera dal carcere di Terni
Ciao ragazzi, rispondo alla lettera di “collettivo OLGa”, in cui erano presenti anche libri e una cartolina (grazie),
direttamente alla casella postale di Ampi Orizzonti. A riguardo lo scritto che mi chiedete di riprendere, avete il mio
pieno consenso, naturalmente siete abbastanza avveduti da riconoscere quando sia necessaria la forma anonima, ma in
linea di massima non ho paura delle conseguenze delle mie parole giacché tentano di essere prima nella mente e poi
attraverso la mano coerenti, soppesate e mai gratuitamente offensive neanche verso il mio peggior nemico. Amici mi
chiedete di scrivere qualcosa al riguardo la video conferenza sulla quale ho esperienza personale: ecco a voi.
Sulla videoconferenza
La videoconferenza è la sintesi della negazione della fisicità. In questo secolo, come nella seconda metà di quello
passato, dove tutto è immagine ed il realismo è lontano ed annacquato dai cristalli liquidi, dai pixel e via dicendo, la
giustizia ha trovato un altro escamotage per de-individualizzare colui che è di fatto un reietto, colui che deve
rispondere delle sue colpe non alle vittime ma alla patria potestà di un padre padrone (lo stato) accettato dai più per
paura della vita. Io sono uno di quei reietti, forse un po’ meno colpevole degli altri (perché nessuno è innocente né in
carcere né fuori) che può difendersi dalle accuse non come uomo ma come immagine al quale è concesso il dono della
parola grazie ad un pulsante lontano km. Andiamo ai fatti ed alle giustificazioni tattico, operative, legali di questa
videoconferenza. Nella circostanza a me imposta, si tratta di una “scelta dovuta” visto il cospicuo numero di imputati -
alcuni dei quali hanno divieti di incontro ed altri processi a cui presenziare - visto che trattandosi di presunti reati
connessi all’associazione di tipo mafioso i detenuti si trovano in regime di ALTA SICUREZZA se non addirittura di 41bis,
VISTO che i termini di legge necessitano dei relativi gradi di giudizio in tempi impossibili da rispettare se non
evitando i rischi di ritardi e assenze improvvise tanto comuni ai nuclei traduzioni ed infine, VISTA la penuria
economica che attanaglia i penitenziari. Ma ci sono delle contraddizioni. Il codice penale afferma che il detenuto non
dovrebbe essere allocato in un penitenziario distante oltre 300 km dalla residenza dello stesso. Considerato che in
genere chi delinque lo fa in prossimità del luogo in cui vive o meglio, chi commette reato lo compie nel raggio di 100
km dal luogo di residenza ed i processi si svolgono nei tribunali di competenza, si dimostra che se la prima condizione
venisse rispettata la videoconferenza non sarebbe necessaria sicché nel percorrere al massimo 300 km basterebbero al più
4 ore. Purtroppo la situazione è ben nota: i carceri sono stracolmi e gestiti secondo il criterio dell’allontanamento
del detenuto dal proprio nucleo familiare. DI FATTO LA LEGGE INFRANGE LE SUE STESSE REGOLE. Seconda contraddizione. A
prescindere che si tratti di detenuti AS o comuni i casi di tentata evasione durante le traduzioni in questi ultimi
dieci anni sono state inferiori all’uno per cento! Terza contraddizione (specifica al mio processo). La videoconferenza
non ha garantito il rispetto dei termini di legge, infatti, se questi non fossero stati congelati a quest’ora sarei da
un bel pezzo a piede libero! Infine, quando si verte sulla penuria delle risorse economiche per giustificare la
videoconferenza non solo oppongo l’argomentazione della prima contraddizione ma aggiungo che se si volesse risparmiare
basterebbe rendere la custodia cautelare in carcere una reale EXTREMA RATIO (come suggerito dalla costituzione) e
depenalizzare alcuni reati. Ora andiamo al fulcro della diatriba: ci si può difendere in videoconferenza? Apparentemente
sì! Basta chiedere la parola, come in aula, e questa viene concessa, tuttavia questa “libertà” può essere facilmente
negata con un pulsante. Un detenuto riottoso, che si rifiuta di tacere all’ ordine del presidente che intima di non
divagare o di mantenere una condotta più consona può, in casi estremi, essere condotto fuori con un accompagnamento
coatto, in videoconferenza invece basta togliere l’audio. La video conferenza può eccedere, con grande libertà, nel
mantenimento dell’ordine costituito. Dentro l’aula un detenuto che sbraita contro l’ingiustizia della corte o contro le
infamie e le menzogne di un collaboratore è pur sempre un uomo che mostra disprezzo, rabbia ed impotenza, in
videoconferenza lo stesso detenuto è un’immagine agitata e ammutolita su uno schermo che può essere oscurato in
qualsiasi momento. Parliamo ora del colloquio con il difensore. Dentro l’aula questo è garantito dalla vicinanza fisica
con l’avvocato ma in videoconferenza è una procedura che si espleta con l’utilizzo di telefoni. È inutile negare che la
possibilità di ascolto da parte dell’autorità giudiziaria è, con questa procedura, assicurata. Rimane un ultimo punto
che racchiude l’essenza della de-individualizzazione umana nella videoconferenza. Quante volte, bombardati da visioni
cruente dei tg giornalieri, ci sentiamo disgustati ma subito pronti a pensare ad altro un secondo dopo, poiché quella
visione non ha attecchito la nostra naturale empatia. Nessuno si chiede come mai è così facile commuoversi di fronte ad
un film romantico mentre emozioni così vere non sorgono mentre si assiste alle notizie ben più reali e drammatiche di un
tg. Lo schermo induce la falsificazione della realtà rendendola fittizia e lontana dalla percezione reale, solo una
disposizione d’animo momentaneamente imposta dall’occasione (sedersi per guardare l’ultimo film strappalacrime della
stagione) stimola la nostra empatia che subito si spegnerà nel momento stesso della fine del film. C’è un automatismo
così forte in questo meccanismo che una volta scostati gli occhi dallo schermo (ma anche quando vi sono tenacemente
posti sopra) inconsciamente realizziamo che le immagini di poco prima erano frutto di uno spettacolo fittizio - benché
questo non sia sempre vero - se poi aggiungiamo la nostra naturale repulsione alla sofferenza ecco che qualsiasi dramma,
che non leda la nostra persona, mostrato in tv, diventa puro oblio mai esistito. Alla luce di questi meccanismi
psicologici quanti scrupoli credete si faccia il presidente di una sezione penale o di una corte d’Assise, nel momento
di infliggere una pena di 30 anni di reclusione, ad un’immagine su uno schermo, quando si sa che per natura loro e del
loro mestiere i giudici non sono prodighi di buoni sentimenti e soprattutto non hanno una naturale disposizione d’animo
all’empatia… Io la mia risposta l’ho già data.
La videoconferenza è la sintesi della negazione della fisicità e quindi la negazione dell’umanità del detenuto.
Ragazzi spero vi possano essere utili queste mie osservazioni, intanto vi mando un abbraccio fraterno, a presto.

Terni, 19 giugno 2014
Valerio Crivello, Via Delle Campore 32 – 05100 Terni


Lettera dal carcere di Nuoro
Cari amici e amiche, volevo fare una riflessione sul fattore delle videoconferenze, di cui in questi giorni si sta molto
parlando e discutendo, ma tutto entra nella normalità, sarebbe ignobile se non se ne parlasse.
La videoconferenza riguarda i processi. È un sistema antidemocratico, perché una persona non può difendersi nel modo più
assoluto, e questo tende a disgregare i diritti dell’uomo.
Non riesco a capire in 22 anni di carcere a che servono questi diritti: diritti sociali, diritti pubblici, diritti
fondamentali, diritti dell’uomo l’art. 1,2,3,4,5,6,7 della corte europea di Strasburgo… dei diritti dell’uomo. Ecc…
Ma la cosa che fa stare male a una persona non è soltanto che non ti puoi difendere, ma che vieni anche deportato
lontano dai propri famigliari, e non puoi poter accedere ai colloqui perché hai problemi economici, ci resta solo la
speranza che qualcosa potrebbe cambiare nel futuro.

Nuoro, 4 luglio 2014
Pulvirenti Salvatore, Via Badu e Carros 1 - 08100 Nuoro Badu e Carros (NU)



Lettera dal carcere di Latina
Carissima! È una gioia scriverti queste righe sperando ti possano raggiungere in ottima salute, come lo spero a tutto il
resto del gruppo.
Lo so, lo so, adesso dico che finalmente ho deciso di scriverti e ti devo dare ragione, però sappi che nella vita ognuno
ha la sua ragione e la mia era un po’ particolare, ma ora che ho un po’ di luce nell’anima ho subito preso carta e penna
e ho iniziato questa lettera perché voglio condividere con te una gioia ed è questa: mi sono diplomata con il massimo
dei voti, sono la prima in tutte le classi della scuola nel mio indirizzo, turistico, tutti sono contenti per me anche
la commissione che è venuta ad esaminarmi, praticamente da autodidatta questo non se lo aspettavano. Nella vita bisogna
sacrificarsi per ottenere e quando si ottiene quella cosa ci si sente soddisfatti, perché ciò che abbiamo ricevuto
l’abbiamo sudato ed è qua che c’è la gratificazione.
Ora vorrei iscrivermi all’università, dicono che Roma Rebibbia è l’inizio, che ha uno sportello agli studi universitari,
ho fatto l’istanza di trasferimento a Roma per motivi di studio, spero verrà accolta per il periodo accademico
2014/2015, vedi se in internet si trovano informazioni che riguardano gli studi universitari per i detenuti?
Io non voglio ritornare al paese, secondo te qual è la strada da percorrere per avere una soluzione? Tu cosa ne pensi?
Da dove cominciamo affinché io possa avere questo benedetto permesso e non sarò così rimpatriata?
Per il resto corro sempre, a maggior ragione ora che ho finito l’esame, adesso la mia testa è concentrata sulla mia
posizione, cioè cercare di trovare una via d’uscita e appunto un soggiorno regolare, però non riesco ad individuare il
punto di partenza (…).
Spero di ricevere presto una tua risposta, salutoni.

Latina, luglio 2014
Mounia Moussali, Via Aspromonte, 100 – 04100 Latina


Lettera dal carcere di Asti
Ciao cari, sono in isolamento disciplinare per una settimana. Mi volevano mettere in isolamento con cella “liscia”
(senza nulla), ma mi sono legato al blindo con una cintura e non hanno voluto portarmi con la forza, quindi resto in
sezione con blindo chiuso. Pretendevo di sapere i motivi del divieto d’incontro con Andrea, ma soprattutto che venisse
tradotto in sezione invece che rimanere ai “transiti” (PTB). I “Transiti” sono fatti per rimanerci due o tre giorni al
massimo e quindi ad eccezione dei momenti in cui c’è qualche nuovo arresto sono completamente vuoti e comportano
pertanto, rimanendovi a lungo, una solitudine quasi perenne.
Mi chiamano dal capoposto, dopo tre giorni d’insistenza, e questi dice di non dovermi spiegazioni e minaccia sanzioni
disciplinari. Allora gli urlo in faccia e non rientro in cella. Passa poco tempo e vengo mandato dal sovrintendente
capo, il quale usa toni inaccettabili. Lo insulto pesantemente, molto pesantemente. Dice isolamento, io mi siedo sul
corridoio degli uffici, sul pavimento, e dico che non mi sposto se non posso prendere personalmente la mia roba. Salito
in cella preparo la roba e gli dico di chiamare i rinforzi perché non vengo sulle mie gambe, poi mi lego con la cintura
al blindo. Ore e ore di attesa. Sembrava dovessero “sballarmi” in un altro carcere. Alla fine, riesco a sapere per vie
traverse che Andrea andrà in sezione. Allora mi slego e aspetto. Poi a sera mi comunicano che resterò in isolamento per
una settimana. Vedremo il consiglio disciplinare, per ora c’è un rapporto che comprende anche l’accusa di resistenza.
L’aria la faccio da solo in un cortiletto molto piccolo con i muri alti.

Asti, 11 luglio 2014
Michele Garau, Strada Quarto Inferiore, 266 - 14030, Località Quarto d’Asti, Asti


PRESIDI SOTTO LE CARCERI DI TOLMEZZO E UDINE
Ieri, domenica 29 giugno 2014, un gruppo di anarchiche/anarchici del Coordinamento Contro il Carcere e la Repressione di
Udine ha organizzato due presidi anticarcerari, uno dalle 15 alle 18 sotto il carcere di Tolmezzo e uno dalle 19 alle 22
sotto quello di Udine. Cori, interventi al microfono, letture e musica da fuori, grida e saluti da dentro. Incarcerati
dentro e fuori, controllati a vista da secondini, sbirri, carabinieri e digossini in base ai casi, come è ovvio, normati
e regolamentati, puniti se non abbastanza servili e privati della libertà, fuori così come, a maggior ragione, dentro.
Nonostante la pioggia incessante che ci ha accompagnati per tutta la giornata, abbiamo tenuto duro. A un certo punto si
è anche fatto vivo un molesto scribacchino da pattume mediatico (evidentemente avvisato da questurine amicizie),
anticipato di un poco dal fotografo amico degli sbirri del “Messaggero Veneto”, molto insistente nel voler parlare con
chi con gente del genere non vuole avere niente a che fare. Nonostante gli fosse stata addirittura lasciata copia di un
comunicato del Coordinamento. A fine giornata abbiamo dovuto lasciate quelle tristi mura, con la promessa che torneremo
e torneremo ancora, finché anche l’ultimo muro dell’ultimo carcere non sarà ridotto in cenere.

1 luglio 2014, Collettivo Makhno, tratto da informa-azione.info


Condannati Adriano e Gianluca
Nell’udienza del 18 luglio i compagni anarchici Gianluca Iacovacci e Adriano Antonacci sono stati condannati, in primo
grado in rito abbreviato dal gup Simonetta D’Alessandro, rispettivamente a 6 anni e a 3 anni e 8 mesi per una serie di
sabotaggi ed attacchi ai danni dell’Eni, Enel e banche nella zona dei Castelli Romani tra il 2010 ed il 2013. È stato
riconosciuto il reato associativo con finalità di terrorismo internazionale. Gianluca ha rivendicato individualmente una
parte degli attacchi a firma Fai, nel corso del processo ha rifiutato la difesa, entrambi si sono rifiutati di
partecipare al processo in videoconferenza.
Gianluca Iacovacci, CC di Alessandria Via Casale 50/A - 15122 San Michele (AL)
Adriano Antonacci, CC di Ferrara Via Arginone 327 - 44122 Ferrara

***
Lo scorso settembre Gianluca e Adriano vengono arrestati e reclusi in regime di isolamento con l’accusa di associazione
sovversiva con finalità di terrorismo e eversione dell’ordine democratico.
Il 18 luglio si arriverà a sentenza con la richiesta da parte del PM di 8 anni per Adriano e 9 per Gianluca. In questo
processo è stata imposta la videoconferenza come ulteriore forma di punizione ed isolamento degli imputati alla quale
Gianluca e Adriano si sono rifiutati di sottostare.
Lo stesso giorno, nello stesso tribunale, paradossalmente, si terrà il processo a Manlio Cerroni, il magnate “dell’eco-
business” romano sul ciclo dei rifiuti. La “giustizia” compie il suo corso: da una parte condanna chi ha osato opporsi
alla distruzione di un territorio; dall’altra processa chi ha lucrato sulla stessa. Non abbiamo dubbi sul fatto che sarà
riservato un trattamento diverso agli accusati dei due processi in corso. Lo stato non processa mai sé stesso, né mette
in discussione le logiche di profitto che dalla Val Susa ai Castelli Romani sfruttano e rendono invivibili i luoghi in
cui viviamo. La devastazione ambientale non cesserà di certo con il processo a Cerroni; le politiche di gestione
dell’”emergenza rifiuti” continuano a consentire a istituzioni e imprenditori di arricchirsi con l’”eco”-business a
scapito di chi vive nei territori coinvolti dai loro progetti mortiferi.
Da anni i Castelli Romani sono attraversati da molteplici lotte che, con differenti forme, cercano di porre un freno a
istituzioni e lobbies prive di scrupoli. Pensiamo che contro l’avvelenamento continuo che lo stato e il capitale
propagano ovunque, esistano diversi modi di reagire e, che ogni percorso di lotta, che sia individuale e/o collettivo,
abbia ragion d’essere.
Adriano e Gianluca subiscono la repressione attraverso l’isolamento in carcere e la videoconferenza perché hanno scelto
un percorso, una forma di lotta, un’idea. Siamo coscienti che la repressione è mirata a colpire tutte/i coloro che si
mettono in gioco e che lottano.
Rompiamo il silenzio, anche l’indifferenza isola! La videoconferenza non passerà! Solidarietà con chi si ribella in
difesa della terra e per la liberazione totale! Adriano e Gianluca liberi! Liberi tutti, libere tutte!

Complici e solidali con Gianluca e Adriano, tratto da informa-azione.info


Lettera aperta a tutti i perseguitati del 15 ottobre 2011
Oggi 26.06.2014 dopo l’udienza in piazzale Clodio per i atti del 15 Ottobre 2011, finalmente siamo riusciti a fare una
chiacchierata tra noi imputati, purtroppo eravamo pochi (4 più gli interventi dei compagni ai domiciliari), nonostante
ciò abbiamo finalmente capito l’importanza di conoscerci, di guardarci in faccia e confrontarci. Da questo è nata la
convinzione, ancora più forte, che non siamo solo dei nomi dentro gli atti ma gente comune che come voi tutti i giorni
continua a subire soprusi. È nata la volontà e il desiderio di unirci in un comitato per trasformarci da accusati ad
accusatori. Siamo consapevoli però che è l’unione che fa la forza. Sentiamoci al più presto per far sì che il 15 Ottobre
non diventi l’ennesimo processo dimenticato come Genova etc.

***
Carlo libero! Libertà per i\le ribelli del 15 Ottobre 2011
Quella che state per leggere è una storia come tante. Prendetevi 5 minuti e leggetela con attenzione poiché pur essendo
una storia come tante esemplifica al meglio l’operato di guardie e giudici.
La storia di Carlo è la storia di uno dei tanti compagni che il 15 Ottobre si è ribellato alla violenza dello polizia e
che oggi continua a subire la persecuzione giudiziaria dello Stato.
Carlo è stato arrestato il 27 ottobre 2011 dopo gli scontri in piazza San Giovanni a Roma con l’accusa di resistenza
pluriaggravata e devastazione.
Il riconoscimento di Carlo sarebbe avvenuto grazie ad una foto pubblicata dall’edizione on line de Il Giornale. Dopo
aver visto lo scatto che immortala un ragazzo vicino alla camionetta blu, un carabiniere lettore toscano del quotidiano
avrebbe identificato Carlo e chiamato i suoi colleghi che poi si sono presentati a casa di Carlo, mostrando la foto che
lo ritrae appunto mentre getta liquido, incendiario secondo gli inquirenti, all’interno della camionetta dei Carabinieri
data alle fiamme in Piazza San Giovanni. Per i carabinieri, Carlo sarebbe corresponsabile dell’incendio al blindato ed è
accusato anche di resistenza a pubblico ufficiale, ossia al carabiniere Fabio Tartaglione che era alla guida del mezzo e
che è stato lasciato uscire dal mezzo senza problemi. Carlo avrebbe ammesso di essere lui quello nella foto, ma nello
stesso tempo ha sottolineato che il liquido in questione era una semplice bevanda. Nessun liquido infiammabile.
Il 10 dicembre 2011, dopo aver scontato 1 mese e mezzo di carcere preventivo Carlo viene messo ai domiciliari. Il 23
marzo 2012 il Tribunale di Roma autorizza Carlo ad allontanarsi dall’abitazione pur restando in custodia cautelare in
attesa di processo ai domiciliari
Il 4 Ottobre 2012, Carlo viene condannato a 5 anni. Non viene citato il liquido infiammabile poiché nessuno lo aveva
analizzato: era stato definito così da una supposizione dei Carabinieri.
Il 20 Giugno del 2013 con l’accusa di aver violato i domiciliari viene riportato in carcere. Carlo non aveva evaso i
domiciliari: semplicemente, vivendo in campagna, era uscito a recuperare i suoi cani fuggiti nel bosco ed era poi
tornato a casa, avvisando lui stesso i carabinieri di essere uscito temporaneamente.
Il 10 Ottobre del 2013 viene confermata la condanna a 5 anni in Appello.
Il 31 gennaio 2014 il Tribunale del Riesame di Roma accoglie l’appello dell’avvocata di Carlo e dispone il ripristino
degli arresti domiciliari con divieto di incontro e di colloquio.
Il 6 maggio 2014 la Cassazione annulla con rinvio la sentenza d’appello. Il 15 maggio 2014 la stessa Corte d’Appello
ripristina la custodia in carcere in quanto è stato violato il divieto di incontro pur essendo Carlo presso la propria
abitazione. La Corte d’Appello di Roma ha quindi disposto il suo ritorno in carcere al Don Bosco di Pisa.
In realtà la Cassazione il 6 Maggio 2014 ha annullato la sentenza della III Sezione della Corte di Appello di Roma e
Carlo dovrebbe essere già libero da mesi e mesi. Ma in attesa dell’uscita delle motivazioni della sentenza affinché la
sua avvocata possa presentare istanza di scarcerazione lo stato si è preso di nuovo la sua meschina vendetta e con una
scusa banale ha riportato Carlo in carcere per la terza volta.
Libertà per Carlo! Libertà per tutte e tutti!
Per scrivere a Carlo:
Carlo Seppia, C.C. Don Bosco Via San Giovanni Bosco 43 - 56127 Pisa

Tratto da inventati.org/rete_evasioni


dalle udienze del processo contro i No Tav
Udienza del 10 giugno 2014, aula-bunker carcere Le Vallette (Torino)
Continuano le testimonianze della difesa, al maxiprocesso no tav in aula bunker, per lo sgombero del 27 giugno e la
manifestazione del 3 luglio 2011. Paolo P., oggi settantenne, racconta di quel 3 luglio e di “quelle due reti divelte
che sono state, per lui, una grande consolazione”, avendo vissuto sulla sua pelle l’attacco massiccio verso famiglie con
bambini e gente totalmente indifesa, con lacrimogeni sparati anche ad altezza uomo, che l’hanno reso “quasi cieco”, e
con una sensazione di mancanza di respiro, “tipo asma”, e le gambe che non lo sostenevano più. Aveva visto le forze
dell’ordine indossare le maschere antigas in un momento di assoluta tranquillità, ed era andato ad avvisare proprio le
famiglie con i bambini ma troppo tardi, l’attacco iniziò pochi istanti dopo e furono in molti a non avere il tempo di
trovare una via di fuga. È stato anche colpito alla testa, così come un’altra teste, Concettina G., ferita ad un
braccio.
Lei racconta lo stesso scenario, aveva raggiunto la Centrale idroelettrica dopo aver cercato inutilmente di avvicinarsi
alle reti dall’area della Ramat ma fu costretta a tornare indietro perché non riusciva a respirare, per un uso massiccio
di gas lacrimogeni. Fu comunque colpita dal lancio di lacrimogeni nell’area della centrale e quando uno dei giudici le
chiede per quale motivo fosse così importante, per lei, avvicinarsi alle reti, non ha dubbi: “Perché è la nostra terra,
quella. Per stare lì. Perché devono esserci delle reti in una terra libera?”.
Grazia M., che si auto-definisce “una persona anziana”, con difficoltà a camminare, il 3 luglio non ha fatto il corteo
ma l’ha aspettato nell’area del Gravella, quella vicino alla centrale. Ma mentre mangiava un panino (come tanti), sulla
sponda del fiume opposta alla centrale ma a pochi metri dal muraglione, inizia un dialogo con un carabiniere, al quale
chiede se fosse orgoglioso dell’operazione di sgombero di qualche giorno prima. Poi anche lei nota che all’improvviso e
senza alcuna ragione le forze dell’ordine cambiano atteggiamento, ed indossano caschi e maschere antigas. Decide di
allontanarsi, capisce che la situazione può diventare pericolosa ma anche lei non riesce ad evitare il fitto lancio di
lacrimogeni, lei, come tanti manifestanti “in ciabatte”. Nessuna condotta aggressiva, a suo dire la più aggressiva era
lei…

Udienza del 15 luglio 2014, aula-bunker carcere Le Vallette (Torino)
Nelle udienze di fine giugno e di inizio luglio si è concluso “l’ascolto” dei testi convocati dalla difesa. Oggi il
processo è dedicato all’ascolto di un tecnico-consulente chiamato dalla difesa per un’esposizione sui lacrimogeni CS,
come ben sappiamo impiegati alla grande negli scontri in Valsusa.
In questa esposizione, proseguita per oltre due ore si è impegnato Massimo Zucchetti, ingegnere, prof al Politecnico di
Torino e anche redattore de “Il Manifesto”. Il prof spiega subito che quel lacrimogeno pur essendo un’arma chimica,
quindi di terza categoria, nei diversi incontri internazionali ha avuto uno strano cammino: non è stata ammessa
nell’armamentario bellico ma certamente in quello civile. È stata esclusa dalle armi chimiche appunto per i suoi
effetti, su chi lo respira, fisiologici-psicologici duraturi devastanti. Effetti, in breve, di panico-paura-irritazione-
sindrome di stress… Negli USA come in India esistono studi approfonditi tratti dal trattamento di ri-umanizzazione
riservato per anni a soldati, a persone manifestanti aggredite con quest’arma. La cartuccia che lo contiene, sparata da
un fucile particolare, nei primi 30-50 metri sibila a una velocità di 280 km/h: per questo chi in Valle ne è rimasto
colpito ha anche perso l’occhio, ha perso sangue dalla testa… come le decine di testi della difesa hanno confermato
nelle udienze degli ultimi 3 mesi anche in quest’aula.
L’udienza infine si è conclusa con l’ennesima dimostrazione di quanto anche questo Tribunale, essendo parte dello Stato,
è schierato a difesa della ragione di quest’ultimo, anche nel considerare le torture “aspetti marginali, irrilevanti”.
La difesa ha richiesto alcuni “riesami”, in particolare di riascoltare una poliziotta riguardo ai primi arresti del 3
luglio 2011 (Sabbo, Marta, Gianluca, Roberto). Nei video ammessi la difesa ha riscontrato che la poliziotta Lavezzaro
(questura di Torino), in altra udienza aveva sostenuto di non aver visto violenze compiute dalla polizia (calci,
manganellate, sputi, pisciate…) sulle persone arrestate, indicando nel video di essere quella che indossa una camicia
bianca. Ma a guardare bene nelle immagini successive, che mostrano le sevizie, si nota che la stessa poliziotta è ben
presente, dove però indossa uno spolverino di altro colore. La difesa ha chiesto di riascoltare la poliziotta perché la
sua è stata una deposizione falsa. Il Tribunale respinge la richiesta di riesame, affermando che la sbirra sarebbe stata
“esauriente”…
Il “processone” si avvia alla conclusione. La prossima udienza martedì 16 settembre dedicata all’ascolto di consulenti
medici portati sempre dalla difesa. L’inizio della requisitoria dei pm è previsto per l’udienza del 30 settembre o
comunque del 7 ottobre.

Milano, 20 luglio 2014


NUOVI ARRESTI NO TAV
All’alba di venerdì 11 luglio l’ennesima operazione di polizia comandata dai pm con l’elmetto di Torino, Padalino e
Rinaudo, ha portato in carcere tre compagni anarchici No Tav: Francesco, Graziano e Lucio.
Sono state inoltre disposte le perquisizioni di un altro compagno e di una compagna il cui legame di particolare
amicizia con uno degli arrestati, ha fatto ritenere ai soliti pm che essi debbano per forza essere corresponsabili o
almeno a conoscenza dei fatti.
I nuovi arresti riguardano sempre l’attacco avvenuto nella notte fra il 13 e 14 maggio al cantiere Tav di Chiomonte, ma
questa volta, vista la sentenza della Cassazione che ha messo seriamente in discussione l’accusa di terrorismo (art.
270sexies e 280) contestata a Chiara, Claudio, Niccolò e Mattia in carcere dal 9 dicembre, le accuse sono fabbricazione
e porto di armi da guerra e congegni esplosivi, danneggiamento e violenza a pubblico ufficiale.
Continua quindi l’offensiva della procura di Torino contro i No Tav ed in particolare contro gli anarchici e non si può
non notare che questi nuovi arresti seguano lo smacco ricevuto dalla Cassazione e precedano di pochi giorni l’inizio di
una nuova estate di lotta in Val Susa dove dal 17 al 27 luglio si terrà un campeggio itinerante.
Al momento i compagni sono ristretti del carcere di Milano e di Lecce nelle sezioni comuni ed è stato fissato per il 23
luglio presso il Tribunale di Torino il riesame per la scarcerazione.
Numerose sono state le attestazioni di solidarietà con saluti sotto San Vittore e sotto il carcere di Lecce, striscioni
e volantinaggi sparsi a Milano, Lecce, Torino e in Val Susa.

***
lettera dal carcere di lecce
Ciao a tutti, sto molto bene e non bastano certo 4 guardie in croce per abbattermi!
Mi trovo nella sezione C2 del carcere e gli altri detenuti sono tutti ex 41bis o hanno fatto molto casino tra i comuni,
non ci sono infami e meno male. Comunque conosco tutti e non ho alcun tipo di problema, mi hanno già dato il soprannome,
sono “GRAZIANO LU TERRORISTA” per tutto il penitenziario.
Le celle sono piccole e messe male però hanno il bagno con lavello e bidè e sono singole. Si trovano una accanto
all’altra, di fronte il nulla, in modo tale da non poter comunicare troppo l’uno con l’altro. Il cibo non è proprio
pessimo anche se per mangiare bene i modi ci sono e li conosco già tutti. C’è molta solidarietà tra detenuti, su quello
si può stare tranquilli. I farmaci passano regolarmente ma non li prende nessuno a parte un detenuto. Ho beccato pure il
monaco col prete ma non penso che si farà vedere ancora perché è rimasto un po’ sconvolto.
La Procura di Torino ha disposto per me il divieto d’incontro con tutti i detenuti. All’aria ci sono andato solo il
primo giorno, mi hanno portato in una specie di sgabuzzino lungo 7-8 metri e largo 2,5, sporchissimo e da solo, sono
durato un quarto d’ora e poi ho chiesto all’appuntato di riaccompagnarmi in cella. Da allora mi rifiuto di andare al
passeggio. Inoltre non faccio socialità perché non ci sono detenuti nelle mie stesse condizioni detentive.
I colloqui ci sono il martedì ma non ho ancora visto nessuno, perché, ripeto, mio padre non l’hanno fatto entrare.
Parlando d’altro, venerdì scorso, appena saputo degli arresti, i compagni di Lecce hanno fatto un presidio davanti a
Borgo San Nicola più o meno dalle 18 alle 20 e li ho sentiti bene, ho provato anche ad urlare ma non so se loro hanno
sentito me. Qui ogni sera c’è qualche parente che viene a sparare fuochi e bomboni. Colgo l’occasione per dire a tutti
che mercoledì 23 è il mio compleanno e là fuori mi aspetto una grande festa…
So che oggi comincia il campeggio itinerante in Valle, spero che i compagni saranno in tanti e molto agguerriti! Mi
raccomando però non facciamo cagate che i compagni servono più fuori che dentro! (DETTO DA ME FA RIDERE COMUNQUE).
Cercate di tenermi aggiornato su tutto quello che succede fuori. Scrivetemi e mandatemi buste vuote e francobolli. NU
BACIU A TUTTI.
Monsieur Graziano.

Carcere di Lecce, 17luglio 2014
Mazzarelli Graziano, via paolo perrone 4, Borgo S. Nicola - 73100 Lecce

***
Dopo i nuovi arresti legati all’attacco al cantiere dell’Alta Velocità a Chiomonte del 14 maggio, Chiara, Claudio,
Mattia e Niccolò hanno scritto una lettera a otto mani, chiusi nella gabbia all’interno dell’Aula Bunker del carcere
torinese.

Una gabbia dell'Aula Bunker delle Vallette, Torino 16 luglio 2014.
L'11 Luglio, l'ennesima operazione dell'infaticabile Procura torinese ha portato dietro le sbarre Francesco, Lucio e
Graziano. Accusati d'aver preso parte al sabotaggio per cui oggi ci troviamo dentro questa gabbia, spettatori e
involontari protagonisti di questo paradossale teatrino chiamato processo. Non ci interessano le circostanze che hanno
portato a questi arresti, gli stratagemmi che usano gli inquirenti per spiare le nostre vite, le loro brillanti
intuizioni o la perizia nel costruire castelli accusatori imponenti. Il modo in cui si esaltano bofonchiando parole di
soddisfazione alla stampa è soltanto la riprova delle loro esistenze misere.
Vogliamo semplicemente esprimere tutta la nostra vicinanza e il nostro affetto a Francesco, Lucio e Graziano come a
tutti i prigionieri. Ci auguriamo che l'immensa solidarietà che abbiamo ricevuto in questi mesi da ogni dove e nelle
forme più variegate, possa scandire le loro giornate come ha dato ritmo alle nostre. Sempre a testa alta.

Claudio, Nicco, Chiara e Mattia


DALLE UDIENZE DEL PROCESSO PER TERRORISMO CONTRO I NO TAV
A fine giugno vengono finalmente depositate le motivazioni con cui la Cassazione ha ammesso il ricorso della difesa
contro gli arresti dei 4 compagni accusati di terrorismo. In particolare la Cassazione distrugge il castello accusatorio
dei pm con l’elmetto Padalino e Rinaudo ritenendo che l’attacco di cui sono accusati i 4 non può essere assolutamente
configurato come terrorismo in quanto da un lato è un fatto circoscritto che non ha nei fatti ma nemmeno potrebbe avere
in ipotesi portare ad un cambio di rotta da parte del governo nel proseguimento dell’opera; dall’altro lato la
Cassazione ha evidenziato come la ricostruzione dell’azione fatta dalla procura non evidenzia affatto che l’obbiettivo
dell’attacco fossero gli operai. Per tutte queste ragioni la Cassazione rinvia nuovamente al giudizio del Tribunale del
Riesame la formulazione di accuse più consone. Nonostante ciò, perfidia della legge, i Quattro non solo rimangono in
carcere in regime di alta sicurezza, ma continueranno ad affrontare il processo con le stesse accuse, le stesse parti
civili e nella stessa aula bunker.
Il 30 giugno ed il 14 e 16 luglio si sono tenute presso l’aula bunker del carcere Le Vallette di Torino , le ultime tre
udienze prima della pausa estiva del processo per terrorismo contro Chiara, Niccolò, Mattia e Claudio.
Come di consueto i solidali arrivati per assistere al processo e salutare i compagni e la compagna prigionieri sono
stati identificati e filmati.
In queste udienze sono stati ascoltati alcuni dei testimoni dell’accusa, operai del cantiere e forze dell’ordine
presenti nel cantiere la notte dell’attacco ed il giorno dopo.
Dalla visione in aula dei filmati e dalle testimonianze discordanti dei testimoni si capisce innanzitutto che il forte
odore acre ed il fumo che ha intossicato gli operai non era causato dai lanci di ordigni micidiali da parte dei No Tav
presenti quella notte ma piuttosto dall’uso, come sempre indiscriminato, di gas lacrimogeni da parte delle Forze
dell’ordine lanciati addirittura usato un GL che consente di tirarli a lunga distanza.
Dalla testimonianza del presidente della LTF scopriamo poi che per mettere in sicurezza il cantiere sono stati spesi,
solo per recinzioni, sistemi di videosorveglianza ed illuminazione quasi 10 milioni di euro, ma non ha precisato chi
paga queste spese. Sempre il presidente di LTF ha dovuto ammettere che i danni economici di quell’azione sono stati
sovrastimati nella denuncia iniziale, il danno al compressore è stato in parte risarcito dall’assicurazione ed inoltre
sappiamo che è stato riparato e venduto, in più il governo ha approvato un decreto con il quale le aziende danneggiate
verranno risarcite dallo Stato.
Non si è parlato in aula del fatto che ai primi di luglio sono stati arrestati ed indagati alcuni imprenditori che
lavorano nel cantiere TAV per associazione mafiosa in quanto appartenenti ad un sodalizio di matrice ‘ndranghetista e
nemmeno dello smaltimento di rifiuti tossici provenienti dal cantiere TAV e non solo che vengono riciclati per diventare
materiale di costruzione.
Nell’ultima udienza del 16 luglio, i pm hanno provato a far acquisire l’ordinanza di arresto di Lucio, Francesco e
Graziano, e le relative intercettazioni. La difesa ha eccepito in particolare che le autorizzazioni alle intercettazioni
sono state lasciate in bianco negli atti. La corte si è riservata di decidere per la prima udienza di settembre.
Le prossime udienze del processo in aula bunker per adesso sono fissate per il 18 e 24 settembre; 2, 9 e 23 ottobre;
6,14 e 26 novembre

Per scrivere:
Mattia Zanotti, Niccolò Blasi: Strada Casale 50/A - San Michele – 15122 Alessandria
Alberto Claudio casa circondariale Via Arginone, 327 - 44100, Ferrara
Chiara Zenobi casa circondariale Rebibbia via Bartolo Longo, 92 - 00156 Roma
Lucio Alberti e Francesco Nicola Sala: C.C. San Vittore, Piazza Filangeri 2 - 20123 Milano
Graziano Mazzarelli: Via Paolo Perrone, 4 Borgo San Nicola - 73100 Lecce

***
lettera di chiara da Le Vallette: Io ho visto
Sarebbe estremamente lungo e difficile esprimersi su ognuna delle innumerevoli cose dette e fatte in solidarietà nei
nostri confronti. È più facile mettere insieme le suggestioni, i pensieri leggeri e quelli pesanti, un po’ di nostalgia
dolce, qualche perplessità e riversare tutto su questi fogli.
Un continuo e impressionante succedersi di messaggi pubblici e privati, di iniziative, prese di posizione ed azioni,
individuali e collettive, hanno puntellato questi mesi. Questo flusso di affetto ci ha tenuto sempre il cuore al caldo e
riempito lo stomaco di farfalle, sensazioni che a volerle descrivere mancano le parole. Nessuno di noi si è mai sentito
“stremato” o fiaccato dalla detenzione. La galera è lo stesso corto circuito di logica e di umanità per chiunque ci ha a
che fare e quasi tutti l’affrontano, a differenza di ciò che è successo a noi, privi di qualsiasi sostegno affettivo,
economico e legale, e senza nessuno che si strappi pubblicamente le vesti.
Non c’è stato un solo momento in cui ci siamo sentiti vittime, pure se a qualcuno (incredibilmente pochi per la verità)
è ingenuamente sfuggito di mano di descriverci come tali, rivolgendosi alla stampa o addirittura alla politica, alle
quali non è mai stata nostra intenzione dire o chiedere niente. (Per coerenza ed onestà non posso fare a meno di dire
che provo una totale sfiducia per la categoria dei giornalisti e per quella dei politici di qualsiasi sponda o colore.
Per entrambe l’unico interesse è la vendita del proprio prodotto commerciale e l’asservimento alla ricerca del consenso,
adoperandosi per lo più per essere i portavoce dell’altrui cattiva coscienza. Ed entrambe, alla bisogna, possono
mettersi la maschera dei sovversivi, dei sinceri democratici o dei boia a seconda del luogo e del tempo in cui si
esprimono. I giornalisti che non si riconoscono in quanto appena detto sono probabilmente disoccupati, o lo saranno
presto, o sono relegati ai margini della pubblica diffusione delle notizie. In ogni caso non potranno che ammettere di
dividere il tetto e spesso il pane con qualunquisti, avvoltoi e sciacalli).
Scegliere di opporsi alla follia dello status quo può essere gravido di conseguenze. Non da ultimo il venire
identificati come i nemici dell’umanità: malfattori, provocatori, violenti. Terroristi.
Non sentirsi vittime non significa certo accettare queste definizioni, ma riconoscere che un’ipocrisia tanto sfacciata
quanto complice governa questo mondo. La stessa che riesce a chiamare “sviluppo”, la continua e progressiva distruzione
delle fonti di vita di ogni specie vivente, che è pronta a mandare alla forca chi riduce in frantumi i vetri di qualche
gigante dello sfruttamento (umano ed ambientale), ma che “ignora” la devastazione che l’ENI, in nome del popolo
italiano, porta ovunque posa le zampe. Che si indigna e tira fuori il petto se un tutore dell’ordine (e del privilegio)
si sbuccia un ginocchio, ma nasconde la testa nella sabbia quando qualcuno viene deturpato per sempre o termina la sua
vita, in una caserma o in una prigione. Eccetera, eccetera.
La realtà, senza veli, è triste e terribile. Ma a forza di guardarla bene capita anche di innamorarsi di un sogno di
libertà, di autodeterminazione, di giustizia senza l’inganno della Legge, e di cercarlo ovunque si manifesti
all’improvviso.
Io l’ho visto. In un Cie in fiamme. Nella fuga precipitosa di un ufficiale giudiziario che, Diritto alla mano, voleva
sbattere qualcuno in mezzo a una strada. Nello sfregio ad un simbolo della disuguaglianza sociale. In una scritta
sfacciata lungo le “preziose” vie del centro.
E l’ho visto sullo svincolo di un’autostrada, al tramonto, dopo tre giorni passati a dividere la rabbia e la paura per
la vita di quel fratello appesa ad un filo a causa della solerzia dei servi del Tav. Migliaia di persone che sanno solo
di non volersi muovere da lì. Qualcuno prepara una zuppa, altri danno fuoco a una barricata. E non solo per la polizia,
è difficile identificare e capire chi fa cosa. Arrivano alla fine. Un mare di caschi blu. Inizia un lungo spingi-spingi.
Noi in salita, visi scoperti, disarmati. Cerco tra gli altri i volti dei miei compagni. Nessuno di noi avrebbe mai
scelto di essere così vulnerabile: ad un esame di guerriglia urbana, avremmo preso zero. Ma ci guardiamo sorridendo.
Intorno a noi centinaia di persone cantano all’unisono “La Val Susa paura non ne ha”. Non è incoscienza, tutti sanno
come andrà a finire. Ma il tempo si fa denso, i corpi si dilatano, fondendosi, e nessuno vorrebbe essere da un’altra
parte.
Vaglielo a spiegare poi a certi omuncoli di bassa statura morale che non è dentro una legge che troveranno le parole per
raccontare quella bellezza. E la determinazione, e la tenacia.
Ma a quanto pare non ci fanno paura con le loro parole. Il concetto di terrorismo serve solo a prendere per il naso gli
sciocchi e gli uomini di cattiva volontà. Questo è quello che è davvero successo con i nostri arresti. Non sono solo i
soliti, testardi sovversivi a rispedire le accuse al mittente. Sono in molti ad annusare l’inganno e a capire dove va a
parare: l’asso nella manica del terrorismo (non nuovo ad essere usato per reprimere chi lotta contro l’oppressione e lo
sfruttamento e la devastazione) da applicare alle lotte sociali, et voilà. Ma la Procura, o chi per essa, fa male i suoi
conti. Pensa di prepararsi un terreno su cui camminerà facilmente. Pensa di giocare d’anticipo e invece arriva troppo
tardi. Ormai non c’è più modo che individui caparbi, intestarditi da un No ventennale, si facciano incastrare da qualche
scaltro parolaio. E se su un piano simbolico l’accusa di terrorismo è già naufragata, potrebbe non passare neanche da un
punto di vista legale. Ed è un bene che lo Stato non si fornisca tanto facilmente degli strumenti con cui terrorizzare
molte lotte e molti lottatori. Non è possibile, però, ragionare molto oltre su quello che avviene nelle aule di
tribunale. Non possiamo di certo aspettarci una pacca sulla spalla.
Ma la rivendicazione collettiva che si è incredibilmente dispiegata di quell’atto di sabotaggio riempie di forza. Perché
siamo andati molto oltre dal dire che i terroristi sono loro. Siamo arrivati a dire che sotto quei cappucci, all’ombra
di quella luna di maggio, c’erano i volti di tutti gli uomini e le donne che quel maledetto treno non lo vogliono. Le
categorie di innocenza e colpevolezza scompaiono, diventano roba da scartoffie e contabili. “Quella notte c’eravamo
tutti”. Nessuna sentenza potrebbe farci sentire più liberi di questa frase.

Torino, luglio 2014
Chiara Zenobi, C.C. Via Maria Adelaide Aglietta, 35 - 10151, Torino


Castel Volturno anno 0. Sui fatti di domenica 14 Luglio
Ci risiamo. Dopo l’eccidio del 2008 da parte della camorra di 6 ragazzi ghanesi, di nuovo una gravissima aggressione
razzista nei confronti di africani. Domenica sera 14 luglio a Pescopagano, quartiere tra Mondragone e Castel Volturno,
accusati di furto, vengono gambizzati due ragazzi ivoriani da un vigilantes privato. Scoppia la rivolta etnica. Vengono
incendiati gli uffici e alcuni automezzi dell’istituto di vigilanza per rappresaglia da ragazzi di colore. Lunedi
mattina la Domiziana, l’arteria stradale costiera che collega Roma e Napoli, è occupata da un gruppo di residenti
bianchi, istigati e diretti dalla famiglia camorristica dei Cipriano, proprietaria dell’istituto di vigilanza. Il sabato
successivo manifestazione per le vie di Castel Volturno composta dai poteri locali politico istituzionali ed economico,
in bella mostra alla testa del corteo sindaci con folto codazzo di residenti italiani e una sparuta presenza di uomini e
donne di colore, in rappresentanza delle istituzioni della comunità africana e delle associazioni antirazziste. Tutto
l’allegro corteo scortato da polizia e carabinieri, convogliati in forze per scongiurare assalti da parte dei selvaggi
africani che vogliono cacciare dalle proprie terre i nativi casertani. Alta si alza l’indignazione da parte di tutte le
forze politiche, porta-voci del grido di dolore della popolazione locale che denuncia di sentirsi, essa sì,
discriminata. I più illuminati, preti progressisti di vario titolo e mass media di sinistra parlano di guerra tra
poveri. Da tutte le parti si invoca alla legalità, sviluppo, benessere, presenza dello Stato. Fin qui, la sagra
dell’ovvio. Come se bastasse deportare “e nir” in Africa, (cosa che tra l’altro già si fa, vedi CIE, Cara… ), rimandarli
a casa loro, per risolvere i problemi di una terra violentata in ogni suo ambito, da quello paesaggistico a quello
antropologico, da quello urbanistico a quello socio-economico.
Qui si parla di assenza dello Stato, quando non solo questo è ben presente, ma è fin dalla sua nascita, dai tempi della
discesa dei Savoia nel Meridione, più di 150 anni fa, che queste terre sono letteralmente depredate proprio dallo Stato.
Ai tempi dei Borbone la “terra di lavoro” come veniva chiamata la provincia casertana, era una zona fra le più fiorenti
del regno dal punto di vista economico. Nel desolante panorama reazionario del Regno di Napoli erano proprio queste zone
che si distinguevano per un minimo di brio economico, agricolo e industriale. L’economia del luogo, fu letteralmente
spazzata via. I macchinari delle fabbriche presenti nelle piccolo polo industriale dell’entroterra casertano furono
letteralmente smontati e portati nelle industrie del nascente triangolo industriale Genova-Torino–Milano. Non è un caso
che le montagne che si affacciano sull’agro aversano, diedero rifugio ad alcune delle più agguerrite bande di briganti
di tutto il Sud Italia che si opposero alle angherie del nuovo stato italiano. Le scelte degli uomini di governo che si
sono avvicendati nel corso del tempo, poi, hanno fatto storia: dalla decisione giolittiana di creare un fantomatico polo
industriale napoletano, vedi l’acciaieria di Bagnoli, cattedrale nel deserto, di cui sono rimaste solo carcasse
arrugginite e inquinanti, al tentativo mal riuscito di Mussolini di prosciugare gli acquitrini della Domiziana, ex
riserva di caccia dei regnanti partenopei, per ripetere il “miracolo” della bonifica delle paludi pontine, alla idea
geniale della Democrazia Cristiana che si inventò il più grande bancomat per politici e camorristi della storia, la
“Cassa per il Mezzogiorno”, solo per citare alcuni fra i simboli delle scelte predatorie, testimonianza di come da
sempre questi luoghi sono considerati come un limone da spremere e poi gettare via, lasciato lì sul selciato, senza
neanche il pudore di nasconderne lo scempio. E finalmente arriviamo ai nostri giorni. Castel Volturno è la zona balneare
confinante con il triangolo d’oro casalese, Casal di Principe, San Cipriano d’Aversa, Casapesenna, i paesi che danno i
natali alla famigerata omonima camorra. Sono ormai 50 anni che tutta la provincia di Caserta è territorio incontrastato
dei clan. Castel Volturno è una delle enclavi di questo tumore. La famiglia Cipriano, proprietaria dell’agenzia di
vigilanza, coinvolta nell’attentato razzista di domenica, appartiene al clan dei casalesi. Non c’è attività economica,
sociale, politica o culturale che non sia manovrata dalla camorra. La gestione ed il controllo, soprattutto di questo
territorio ad altissima densità straniera è cosa loro.
Castel Volturno è uno dei comuni più estesi d’Italia. Si estende sulla costa Domizia per ben 27 km. E sembra un paese
appena bombardato o in cui sia appena scoppiata un’epidemia e la popolazione l’abbia abbandonato frettolosamente. Si
affacciano cumuli di rifiuti dappertutto, spacciatori di eroina e cocaina e prostitute-bambine sono ad ogni angolo della
strada e a qualsiasi ora del giorno e della notte, rigorosamente di colore e la quasi totalità di nazionalità nigeriana.
La camorra appalta il business della prostituzione e della gestione dello smercio e spaccio della droga alla mafia
nigeriana. Su una popolazione censita di 18.000 persone, gli abitanti reali sono 40.000. La maggior parte di questa
eccedenza non ha documenti, vive in clandestinità, protetto dalla difficoltà delle istituzioni a controllare un
territorio così vasto, socialmente difficile e frastagliato. Il costo della vita è molto basso, il prezzo di una camera
si aggira intorno ai 100 euro, gli alloggi a disposizione sono tanti, quasi 60.000, la stragrande maggioranza dei quali
sono abusivi, villini a due piani tirati su negli anni 70 senza alcun criterio urbanistico, seconde case per la media
borghesia napoletana. Le fogne a Pescopagano non esistono, scaricano a mare. Quando piove, l’inverno, i ragazzi africani
entrano nel cortile di casa remando su canotti da spiaggia per bambini, essendo diventate le strade paludi stagnanti
maleodoranti. Il famigerato Villaggio Coppola è stato il macro simbolo di questo scempio. Fino a quando non è stato
posto sotto sequestro, è stata la più grande colata di cemento abusiva di tutta Europa, 3 milioni di metri cubi. I
fratelli Coppola, ingegneri al soldo dei casalesi, sperimentarono, in piena autonomia, un progetto di gestione privata
di quartiere, provvedendo alla costruzione, manutenzione e sorveglianza di una vastissima area abitativa in riva al
mare. Verrebbe quasi da pensare ad un rivoluzionario e libertario esperimento autogestionario se non fosse che l’opera
fece intascare miliardi ai clan e che contribuì alla distruzione di un’area naturalistica e paesaggistica fra le più
belle d’Italia. Finalmente dopo 20 anni lo Stato decide che i palazzi sul mare possono essere abbattuti. Indovinate chi
riceve l’appalto per la demolizione? I Coppola. Gli stessi che costruirono pochi metri più in là l’”Holiday Inn”,
albergo a 5 stelle affittato a De Laurentis, padrone dell’SSC Napoli che lo trasforma in sede d’allenamento dell’omonima
squadra, uno dei team miliardari del calcio mondiale. Il dramma dell’interramento dei rifiuti, poi, ha finito per
ammazzare l’economia e l’antropologia del luogo. La “terra dei fuochi”, denominazione tristemente balzata agli onori di
cronaca negli ultimi tempi per devastazione ambientale, comprende anche il territorio di Castel Volturno. Gli antichi
romani avevano denominato l’agro aversano, “Campania felix”, per la fertilità di questa pianura. Ad una popolazione di
braccianti e allevatori non solo è stata avvelenata la terra con rifiuti e con cemento, ma è stata violentata e
snaturata anche l’identità culturale d’appartenenza. Di felice è rimasto ben poco. E quel poco è proprio la volontà di
ribellione dei ragazzi africani che rispondono colpo su colpo alla violenza dello sfruttamento, a cui noi, con il nostro
modello di vita, li sottoponiamo quotidianamente.

Milano, 20 luglio 2014


PADOVA: SULLO SGOMBERO DELLA MARZOLO OCCUPATA
La mattina di mercoledì 15 luglio un nutrito dispiegamento di servi in divisa ha sgomberato la Marzolo occupata di
Padova, murandola e mettendola sotto sequestro preventivo. Lo stabile dell’ex mensa, di proprietà dell’università, era
stato occupato da un gruppo di studenti e lavoratori a fine gennaio per restituirlo alla collettività e farlo rivivere,
dopo anni di incuria e abbandono. Il mandante è l’università di Padova, che giustifica lo sgombero con motivi di
sicurezza per presunti danni strutturali in loco, il medesimo pretesto che aveva utilizzato prima di chiuderla nel 2009,
dopo appena 4 anni dagli ultimi lavori di manutenzione. Le ragioni che hanno motivato la chiusura della Marzolo sono ben
più profonde e vanno ricercate nel lavoro costante che, nei sei mesi di occupazione, è stato fatto con studenti e
abitanti del quartiere Portello. Infatti, questa esperienza ha visto la partecipazione di moltissime persone, che hanno
contribuito ad arricchire e valorizzare con idee e proposte un luogo che appartiene a tutti coloro che, in questi anni,
hanno continuato a pagare le tasse per poi vedersi negare diritti basilari. Numerose sono le iniziative e i progetti
avviati nei mesi di occupazione: dal mercatino popolare dell’usato e del baratto, alla mensa autogestita; dall’aula
studio, agli orti urbani; dai momenti di socialità con concerti, proiezioni e spettacoli teatrali, alle assemblee di
controinformazione con i lavoratori, ai dibattiti sulla situazione attuale come le serate dedicate alla lotta No Tav e
alla Palestina, al corteo di quartiere del 25 aprile, fino alle iniziative di solidarietà ai prigionieri in lotta.
Questo è ciò che si è cercato di fare dentro e fuori la Marzolo occupata, rendendola un luogo dove organizzare,
promuovere e sostenere pratiche reali di lotta.
Nel corso della giornata la risposta di occupanti e solidali non è tardata a farsi sentire. Già all’ora di pranzo,
mentre lo sgombero era in atto, è stata fatta irruzione all’interno di due mense universitarie. In una di queste ci sono
gli uffici dell’E.s.u.(ente regionale per il diritto allo studio), anch’esso responsabile dello sgombero. Per pochi
minuti è stata interrotta la quotidiana routine della mensa con megafonaggi, slogan e striscioni. La solidarietà
riscontrata è stata molto forte da parte degli studenti, oltre che degli stessi lavoratori. Nel pomeriggio un corteo di
oltre 50 solidali ha manifestato per le vie del Portello, bloccando il traffico in alcuni punti significativi per la
viabilità cittadina, scandendo slogan e facendo interventi davanti alle aule studio. Per oltre un’ora si è denunciato a
studenti e abitanti quanto accaduto durante la giornata. Si è espressa, inoltre, la solidarietà a quanti di recente sono
stati sgomberati, sfrattati, arrestati per la lotta No Tav e per il diritto alla casa, cassaintegrati o licenziati. Si è
manifestata solidarietà alla lotta del popolo palestinese, che resiste di fronte agli attacchi militari dello stato
terrorista di Israele. Per tutto l’arco della giornata c’è stato un presidio permanente, durante il quale molti di
coloro che in questi mesi hanno animato la mensa sono passati e si sono uniti alla protesta.
Ancora una volta l’università di Padova ha dimostrato di essere intollerante nei confronti delle pratiche di occupazione
e autogestione, reprimendo chiunque agisca fuori dal suo controllo e svincolato dai legacci istituzionali. Ne sono prova
tangibile le 13 denunce arrivate a compagni/e, accusati/e di occupazione abusiva e danneggiamento per il solo fatto di
essersi ripresi una piccola parte di ciò che gli spetta. Lo sgombero della Marzolo occupata è un palese attacco a una
pratica di lotta e resistenza che non è disposta a scendere a compromessi e per tale ragione risulta scomoda e
pericolosa. Tutto questo si pone in continuità con la tendenza nazionale che si sta manifestando in quest’ultimo
periodo, dove le pratiche di lotta incrementano e con esse aumenta anche la macchina repressiva dello stato. Da fine
maggio a questa parte, da quando cioè sono terminate le elezioni europee con la vittoria del Partito Democratico, si
contano ormai decine di sgomberi di spazi autogestiti e di case occupate, senza dimenticare l’inchiesta del 3 giugno che
ha portato in carcere compagni/e che hanno resistito agli sfratti abitativi a Torino. E’ simbolico il fatto che lo
sgombero della Marzolo sia avvenuto in concomitanza con quello del Teatro Volturno di Roma, occupato da sei anni e punto
di riferimento in città per la lotta alla casa. La linea che il governo vuole far passare non lascia margine a nessuna
forma di dissenso e chi si organizza lottando va inevitabilmente incontro alla repressione con denunce, carcere, fogli
di via e ricatti. Questo lo vediamo su più fronti: da chi si batte per la casa, a chi rivendica migliori condizioni nel
posto di lavoro, a chi viene licenziato, a chi si oppone a grandi opere inutili e devastanti per il territorio, fino a
chi lotta per garantire un futuro migliore e dignitoso riappropriandosi degli spazi pubblici lasciati al degrado. Di
fronte a tutti gli attacchi, l’unica soluzione è quella di reagire attraverso la mobilitazione. E’ questo il modo
migliore per ribadire che non sarà la repressione a fermare le lotte, che ciò che non potranno sgomberare o annichilire
è la nostra voglia di lottare e resistere con ogni mezzo necessario contro un sistema basato sul profitto e il
saccheggio. RIPRENDERSI GLI SPAZI, CONTINUARE A LOTTARE!
Padova, 15 luglio 2014
Assemblea della Marzolo occupata - marzoloccupatapd@autistici.org
Milano: sentenza per lo sgombero del cox-conchetta
Il 14 luglio 2014 c’é stata la sentenza del processo voluto per colpire la solidarietà dimostrata durante le giornate
dello sgombero del Conchetta, della Calusca e dell’archivio Primo Moroni.
Dopo oltre cinque anni da quelle giornate, cinque dei dieci compagni/e sotto processo accusati a vario titolo di rapina
aggravata, violenza, resistenza, danneggiamento e interruzione di pubblico servizio, sono stati condannati con pene che
vanno da venti giorni a sette mesi. Peccato che in quelle giornate più di diecimila persone parteciparono ai cortei, ai
blocchi spontanei e alle varie iniziative che invasero Milano in quei giorni. Quelle stesse giornate portarono, due
settimane dopo, alla ri-occupazione degli spazi ancora oggi occupati. Non ci interessa - perché scontato - stare ad
evidenziare i motivi di questa ennesima inchiesta, quello che ci preme invece sottolineare è l’incapacità di digos e
altri loschi figuri di sostanziare in aula la loro stessa messa in scena.
Insomma, ancora una volta si sono ridicolizzati da sé; persino il Pm Gobbis e il Presidente Martorelli si mostravano in
aula spesso spiazzati di fronte a tale incapacità e dubbia intelligenza. Così, la tanto acclamata rapina aggravata senza
né luogo né refurtiva è precipitata nel vuoto, assumendo invece la veste di tentata violenza privata.
Di fatto è un po’saltato loro l’impianto accusatorio e le condanne sono state al ribasso – come lo stesso De Corato ha
commentato la sentenza - ma il risultato finale poco cambia. Continuano a voler colpire la solidarietà ma con Iacone
(uno dei digos interrogati, ndc) la digos non ce la fa!!! Un abbraccio solidale a Mattia, alle compagne e ai compagni NO
Tav imprigionati e non, e a tutti i prigionieri e alle prigioniere che resistono e lottano dentro le carceri.
Milano, luglio 2014


Nuove misure cautelari per il 12 aprile a roma
Questa mattina la digos ha notificato in diverse città una decina di denunce, tra cui 4 misure cautelari, per la
manifestazione nazionale del 12 aprile 2014, giornata in cui decine di migliaia di persone sono scese in piazza contro
il Jobs act, il Piano casa e le politiche di austerity del governo Renzi. Misure che si sommano agli arresti domiciliari
che Paolo e Luca sopportano da 59 giorni e ai numerosi obblighi di firma da 6 mesi per la manifestazione del 31 ottobre,
e che si aggiungono ai tantissimi provvedimenti che in tutto il paese hanno colpito a decine attivisti e attiviste
impegnati/e quotidianamente nelle lotte nei territori.
Questo avviene all’indomani dello sgombero del Volturno occupato a Roma, spazio vitale per l’impegno sociale, culturale
e politico di questa città. Un luogo sottratto ad ipotesi speculative che viene riconsegnato alla rendita con probabile
destinazione a sala Bingo.
Il governo “Telemaco” sta producendo il massimo sforzo per ridurre gli spazi di democrazia, affidando un ruolo centrale
a procure, questure e prefetture, mentre i decreti convertiti in legge che hanno definitivamente precarizzato le vite di
milioni di persone vengono blindati da una riforma costituzionale che intende mettere al sicuro l’attuale maggioranza da
ogni rovesciamento elettorale.

16 luglio 2014, tratto da contropiano.org


MILANO: SGOMBERATO IL PRESIDIO DEGLI OPERAI DELLA DIELLE
Un incredibile sequenza concentrata di episodi porta, in quattro giorni, allo sgombero degli operai in sciopero a
Cassina de’ Pecchi. Ripercorriamo per dovere minimo di cronaca.
Giovedì 10 luglio: nell’incontro in prefettura il Cobas e l’azienda ribadiscono la soluzione individuata il 27 giugno
(nessun esubero, CIG a rotazione, aumento a 7€ della paga base). La prefettura sollecitava quindi tutti ad incontrare la
nuova cooperativa (Ecoservizi) che nel frattempo decideva di rilevare la vecchia (Fast Service)
Venerdì 11 luglio: Stefano Merafina, il presidente della Ecoservizi, chiede un incontro urgente col SI. Cobas per
raggiungere l’accordo ma muore durante il tragitto in circostanze ancora poco chiare
Sabato 12 luglio: il cugino della vittima (probabile “erede” della Ecoservizi) chiede il rispetto del lutto, lo
slittamento della trattativa al 22 luglio e la sospensione del blocco del crumiraggio (perpetrato dai suoi operai)
Domenica 13 luglio: il SI. Cobas e i delegati sindacali della Dielle rispondono alla richiesta della Ecoservizi
accettando sostanzialmente la tregua richiesta, chiedendo garanzia che la vecchia Fast Service mantenesse l’appalto (al
fine di garantire l’applicazione dell’accordo siglato in prefettura il 27 giugno)
Lunedì 14 luglio: alle 7 di mattina circa 150 uomini in antisommossa spaziano via il presidio costringendo gli operai a
levarsi di torno sotto pesanti minacce. La prefettura, o chi per lei, sembra così aver scelto di rimangiarsi il pre-
accordo dando corda all’immediata dichiarazione della Dielle che fa subito marcia indietro e, offrendo il suo plauso
alle forze dell’ordine, decreta il licenziamento nei fatti dei 60 operai in sciopero
Un’accelerazione reazionaria niente male! In barba a qualunque prassi democratica, o forse, per meglio dire, a suggello
della sua irriformabile natura borghese, quindi violenta e truffaldina.
Ma, come tutte le cose che riguardano la vita sociale, anche questa forma di potere economico e politico non è eterna ed
è comunque destinata ad alimentare conflitti di classe sempre più radicali ed estesi, anche se costretti a marciare sui
carboni ardenti delle proprie parziali e momentanee battute di arresto. La battaglia di Cassina de’ Pecchi non fa
eccezione e continuerà a far sentire la sua voce e il suo anelito alla libertà per tutti gli operai e l’umanità tutta.
15 luglio 2014, SI. Cobas


IL RE È NUDO
Sulla sentenza del processo per la lotta alla Bennet di Origgio (va)
Come avevamo sostenuto in varie udienze, questo processo è nato dalle esigenze da parte delle istituzioni di mettere
alla berlina le tante lotte nella logistica che hanno caratterizzato questi ultimi cinque anni.
Il teorema accusatorio mirava a mettere in discussione gli scioperi che i lavoratori del settore stanno portando avanti
ed i loro successi che si basano sull’allargamento ed unità del fronte contro un padronato che utilizza le cooperative
per avere una forza lavoro a basso prezzo e ricattata e “schiavizzata”.
La testimonianza della Digos, carabinieri, le ore di riprese delle telecamere aziendali le testimonianze nelle varie
udienze hanno smontato il piano accusatorio contro i compagni del nostro sindacato e i tanti accorsi a sostenere questi
scioperi che hanno costretto la cooperativa coadiuvata dalla Bennet a concedere sostanziosi aumenti salariali, creare
condizioni lavorative meno gravose nel magazzino e far rientrare il delegato Dixon del S.I. Cobas licenziato perché
sosteneva in prima persona questa lotta.
Niente che poteva aver riferimento a questioni di ordine pubblico, nessuna coalizione di militanti atti a creare episodi
di violenza gratuita, ma forza militante atta a creare una condizione favorevole affinché i diritti contrattuali dei
lavoratori fossero affermati con la lotta.
Non trovando niente su cui far leva per dar seguito all’atto accusatorio al giudice non gli è restato che dare una
sentenza assolutoria verso l’insieme dei compagni messi alla gogna in questo processo e per dimostrare che le tante
udienze fatte non avevano invanamente sperperato migliaia di euro dei contribuenti si è cercato di trovare tre capri
espiatori su cui addossare una colpa mai commessa dando loro due mesi di condanna.
Una giustizia borghese che nell’insieme ha fatto in questo processo cilecca e che nelle intenzioni iniziali tendeva a
contrastare sul piano giudiziario un movimento che non può essere arrestato con atti repressivi e che in questi anni ha
messo alla berlina il sistema delle cooperative e dei committenti della logistica che si avvale di partiti, sindacati
governativi, mafiosi, poliziotti al proprio servizio.
7 luglio 2014, S.I. Cobas Nazionale


bologna: ALLA LORO NORMALITà PREFERISCO LA FOLLIA
Il 15 luglio scorso si è conclusa l'istruttoria del processo per i fatti di Piazza Verdi a Bologna del 2007, processo di
cui non si è ancora arrivati nemmeno al Primo Grado di giudizio e che vede coinvolti quattro compagni e una compagna.
In questa occasione il pm Simone Purgato ha chiesto per i cinque, che all'epoca erano stati arrestati e incarcerati per
aver ostacolato un TSO, pene elevate, dai 6 anni e mezzo ai 7 e mezzo di reclusione.
Queste richieste di condanna sono evidentemente un tentativo di creare un precedente e di intimorire i compagni. Allo
stesso modo, per fermare e reprimere i cinque, sono state inventate delle accuse nei loro confronti in una tipica
montatura di stato.
Il 17 ottobre prossimo, alle 10.00, si terrà un'altra udienza, in cui potrebbe venire emessa la sentenza.
Consapevoli che i veri pazzi stanno fuori, non facciamo un passo indietro.
Massima solidarietà e complicità con Madda, Sirio, Fede, Juan, Fako!

***
Massima solidarietà a Madda, Fede, Faco, Sirio e Juan, sotto processo perché ostacolarono un TSO a Bologna il 13 ottobre
2007.
Alle 4 del mattino, in Piazza Verdi a Bologna, un’ambulanza - con l’aiuto degli sbirri - tentava di prelevare con la
forza una giovane donna per condurla in psichiatria contro
la propria volontà. I cinque compagni, assistendo alla scena, intervennero osteggiando
gli ambulanzieri nel tentativo di liberare la ragazza. La reazione degli sbirri fu immediata: manganellate e botte,
inseguimento e chiamata di rinforzi (6 volanti).
Dopo vani tentativi di fuga, i nostri coraggiosi compagni furono arrestati e incarcerati.
Tra le accuse inventante nei loro confronti (a titolo di monito per chi coraggiosamente osa interferire con il potere
arbitrario dello Stato) v’è l’imputazione di rapina (per aver rubato, a detta loro, le manette, una pistola e una
ricetrasmittente durante la colluttazione).

Anarchici/e solidali
22 luglio 2014, tratto da informa-azione.info