indice n.81

AGGIORNAMENTI DALLA LOTTA DENTRO E CONTRO I CIE
lettera da un carcere
USA: SUPPORT THE HUNGER STRIKE ON PELICAN BAY
lettere dal carcere di cagliari
cagliari: Resoconto della lotta contro il carcere del 10 luglio
per l’Estate 2013 nelle carceri in Italia
lettera dal carcere di siano (cz)
Aggiornamenti dalla sezione AS2 di Ferrara
lettera dal carcere di terni
lettera dal carcere di opera (milano)
sulle iniziative di resistenza nelle carceri spagnole
lettere dal carcere di velletri (roma)
Lettera dal carcere di S. Remo (imperia)
lettera dal carcere di bergamo
lettera dal carcere di lenzburg (svizzera)
A proposito della sezione femminile del carcere di Torino
Sulla manifestazione attorno a S. Vittore del 15 giugno 2013
Solidarietà con i detenuti del carcere di Trento
lettera dal carcere di rebibbia (roma)
lettera dal carcere di ferrara
Monza: MORIRE A VENT'ANNI...
Resoconto dell'iniziativa del 4 luglio a Tolmezzo
lettera dal carcere di terni
Per la solidarietà agli imputati e ai condannati per il 15 Ottobre 2011
Qualche aggiornamento sul movimento NoTav
Reggio Emilia città della repressione
trento: CHE LO SFRUTTAMENTO VADA IN FRANTUMI
Milano: Sullo sgombero della libreria Ex-Cuem
SOLIDARIETÀ AGLI IMPUTATI PER LA LOTTA ALLA BENNET DI ORIGGIO
13-14 LUGLIO 2013: LA NOTTE IN BIANCO CONTRO GLI F-35
repressione usa in sicilia

AGGIORNAMENTI DALLA LOTTA DENTRO E CONTRO I CIE
Modena: in merito agli arresti del 16 giugno, avvenuti alla fine di un presidio davanti al Cie
Il tribunale del riesame ha deciso di mantenere inalterate le misure cautelari decise durante la convalida. In merito alle accuse, non è stata riconosciuta l’imputazione d’incendio: i tre rimangono sotto processo per danneggiamento pluriaggravato.
Il pomeriggio di domenica 16 giugno a Modena nei pressi della stazione viene fermata e perquisita una macchina con quattro compagni a bordo. Nonostante non venga trovato nulla di rilevante, i quattro vengono scortati in questura. A parte un ragazzo, rilasciato perchè minorenne, gli altri vengono arrestati con l’accusa di danneggiamento, tentato incendio e lancio di materiale esplosivo, in relazione ad un saluto ai detenuti del CIE avvenuto qualche ora prima. I militari in servizio al CIE infatti sostengono nelle loro testimonianze che, in seguito ad un lancio di “bombe carta” e “razzi” sparati da una fantomatica “pistola”, la siepe che circonda il centro aveva preso fuoco e che conseguentemente le fiamme avevano danneggiato la loro postazione di guardia e l’impianto di illuminazione esterna. Tanto la pm che i giornali hanno poi avallato questa ricostruzione parlando di azione paramilitare, con tanto di capo che guidava il commando...
Dopo due notti nelle schifose celle della questura (letteralmente piene di sangue e merda) in attesa della convalida dell’arresto, Sabbo, Gabri e Andre sono ora in custodia cautelare con l’obbligo di dimora dalle 18 alle 7 e non possono uscire dai loro comuni di residenza.
L’udienza del processo a loro carico è stata fissata al 23 luglio.
Questi stessi infami che stavolta hanno colpito noi sono gli stessi sbirri e gli stessi militari che ogni giorno rinchiudono, pestano e uccidono nelle questure, nelle galere e nei CIE: questo non può che far bruciare la nostra rabbia ancora più forte.
LIBERTA’ PER ANDREA, GABRIELE E SABBO! LIBERTA’ PER TUTTI!

Gradisca d’Isonzo (go): 1 giugno, presidio davanti al Cie
“Non molliamo mai! Questo è il pensiero che mi è venuto alla fine del presidio di sabato 1 giugno davanti al CIE di Gradisca. Era infatti il gennaio 2004 quando il movimento anarchico regionale ha realizzato la sua prima iniziativa pubblica contro l’allora costruendo CPT. Sono passati quasi dieci anni e il nostro movimento era di nuovo lì davanti a manifestare e urlare la propria rabbia contro queste strutture di sopraffazione e abuso. Un impegno che, con alti e bassi, non è mai venuto meno. Ed anche questa volta non eravamo soli, con noi c’erano altri antirazzisti e immigrati impegnati su queste tematiche.
L’iniziativa di sabato era stata indetta come “Coordinamento regionale contro il CIE” a seguito di una riunione dell’area libertaria che ha voluto così rilanciare l’attenzione su questo tema. La manifestazione di sabato era stata preceduta da due riusciti presidi a Trieste e Pordenone e una proiezione video a Udine.
Per l’occasione è stato anche prodotto un nuovo dossier informativo sulla struttura gradiscana (scaricabile dal sito www.info-action.net). Il presidio è stato preceduto in mattinata da un banchetto informativo in centro a Gradisca con striscione, cartelloni e volantinaggio che hanno fatto da cornice alla performance teatrale del Living Theatre (già realizzata per due volte a Trieste) che è riuscita almeno in parte a scalfire l’indifferenza dei gradiscani.
Nel pomeriggio dalle 17 è partita l’iniziativa di fronte ad un CIE superblindato: un nugolo di digos a comandare decine e decine di celerini, carabinieri e finanzieri in antisommossa con tanto di posti di blocco che hanno fermato numerose auto di manifestanti. Centocinquanta persone hanno animato il pomeriggio: musica, interventi al microfono, slogan, striscioni e bandiere anarchiche richiamavano l’attenzione delle auto di passaggio cercando di farsi sentire dai reclusi. C’erano anche dei banchetti con cibo, bevande e materiale informativo. A metà pomeriggio il Living Theatre ha ripetuto la sua performance nel prato di fronte al CIE coinvolgendo tutti i manifestanti con grosso apprezzamento specie degli immigrati presenti. A differenza di due anni fa (quando si era svolta l’ultima grossa iniziativa di fronte al lager sempre organizzata da noi) i richiedenti asilo ospiti del CARA (struttura contigua al CIE) non sono stati rinchiusi e alcuni hanno partecipato al presidio. Intorno alle 20 un lancio di fuochi di artificio ha concluso la giornata fra gli applausi dei presenti.”
Coordinamento regionale contro i CIE

Saluzzo: braccianti sotto sgombero
Dal 5 giugno era ormai esecutiva l’ordinanza del sindaco Allemano che sanciva lo sgombero dell’area dietro il Foro Boario a Saluzzo. Alternative non se ne vedono, il paradosso è il solito. Non ci sono le condizioni igienico-sanitarie minime perché gli immigrati abitino quell’area, allo stesso tempo però quelle braccia a basso costo servono. Soluzione: si accampino alla spicciolata senza creare problemi che acquistino una dimensione pubblica, si rendano più invisibili.
Riportiamo di seguito il comunicato diffuso su facebook dal Comitato antirazzista:
“150 migranti giunti per la raccolta della frutta e accampati sotto teli di fortuna non hanno trovato posto nelle strutture. Molti di loro non hanno un luogo dove stare dopo la chiusura, il 28 febbraio di quest’anno, dei campi per l’emergenza Libia. Un telo, un cartone bagnato e la speranza di un lavoro nella campagna della frutta sono le uniche cose che gli rimangono. Portiamo la solidarietà adesso.”
Nonostante la trattativa aperta con il comune, all’alba dell’11 giugno si è presentata la polizia in assetto antisommossa per attuare lo sgombero della tendopoli. Sul posto sono accorsi alcuni solidali che hanno bloccato la strada per impedire ai camion dell’azienda per la raccolta dei rifiuti di entrare nel campo e alcuni avvocati che sono riusciti ad entrare.
L’indomani la polizia si è “limitata” a portare via le tende, senza cacciare i braccianti dall’area. Tutti gli immigrati hanno un permesso di soggiorno: sono in parte ragazzi reduci dall’Emergenza Nord Africa (ENA), altri vengono dalle regioni dell’est dove la crisi ha buttato in strada molti lavoratori stranieri, obbligandoli a migrazioni stagionali. Quest’inverno nella piana di Gioia Tauro, in estate in provincia di Cuneo.
Il comitato antirazzista ha cominciato una trattativa con il comune per avere un altro spazio, migliore, perché dotato di allacciamento elettrico e idrico. I lavoratori e i solidali sono decisi a resistere e ad impiantare lì o altrove un nuovo campo.
Fanno appello alla solidarietà per le tende e alcuni tendoni per le cucine autogestite.

Torino, una piazza antirazzista
Venerdì 14 giugno, largo Saluzzo. Un’ottantina di persone hanno animato l’iniziativa antirazzista promossa dalla Cub in largo Saluzzo.
All’assemblea di piazza hanno partecipato i ragazzi dell’ANPI della zona, che hanno raccontato della necessità che la memoria della Resistenza si coniughi con le lotte per le libera circolazione dei migranti. C’erano anche due studenti dello YUC, che hanno parlato della loro ricerca sulle vite dei migranti nella nostra città. Importante la testimonianza del collettivo antirazzista saluzzese sulle lotte dei braccianti nel distretto della frutta in provincia di Cuneo, una Rosarno del nord, tra baraccopoli, razzismo e lotta per la dignità e il salario.
Nel suo intervento l’esponente della CUB immigrazione ha parlato del CIE di corso Brunelleschi, tra autolesionismo, rivolte e fughe.
Ha concluso l’assemblea un’esponente di “antirazzisti contro la repressione”, parlando delle lotte che cinque anni fa segnarono il percorso breve ma intenso dell’assemblea antirazzista torinese. Le tante iniziative contro i CIE, le politiche securitarie, il pacchetto sicurezza, il razzismo di Stato entrate nel mirino della magistratura che ha rinviato a giudizio in due mega processi 67 antirazzisti.
La giornata si è conclusa con la performance di strada “Ti ricordi di Fatih?” dedicata al tunisino morto nel CIE di Torino nella notte tra il 23 e il 24 luglio 2008.

Lampedusa
Poco prima dell’inutile visita del Papa, centinaia di richiedenti asilo sono stati portati altrove. Secondo quanto riferisce il Giornale di Sicilia, nella sera di mercoledì 10 luglio, 140 migranti, imbarcati su due voli, sarebbero stati trasferiti dal Centro di prima accoglienza e soccorso (Cpsa) di Lampedusa in diverse regioni italiane. In un primo volo sono state imbarcate 53 persone “con destinazione aeroporto di Fiumicino”, mentre 22 migranti “sono rimasti a Roma” ed altri 31 sono stati trasferiti a Trieste.
Col secondo volo da Lampedusa per Torino i migranti trasferiti sono stati 87.
Dopo questi trasferimenti, al centro d’accoglienza di Lampedusa si trovavano comunque 613 persone, a fronte di una capienza massima di 300. Entro la tarda mattinata dello stesso giorno, altri 123 immigrati sarebbero stati imbarcati sul traghetto di linea per Porto Empedocle (Ag) dove sarebbero giunti in serata. Assai probabile per loro l’internamento nei Cie/Cara di Caltanissetta (Pian del Lago) o nel Cie di Trapani (Milo).
Le notizie - assai scarne, anche perché contrariamente a quel che avviene di solito, sulle nazionalità dei migranti non sono state fornite specificazioni - preoccupano perché si profila il rischio che i 53 immigrati imbarcati sul primo aereo e trasferiti “con destinazione aeroporto di Fiumicino”, a differenza di quelli “rimasti a Roma”, possano essere rimpatriati con le procedure sommarie previste dagli accordi bilaterali che l’Italia ha concluso con paesi come la Nigeria, il Ghana, l’Egitto e la Tunisia. E quelli che sono stati trasferiti a Roma, a Torino e a Trieste, potrebbero essere trattenuti presso i centri d’identificazione ed espulsione rispettivamente di Ponte Galeria, di Torino, e di Gradisca d’Isonzo, oppure confinati nei Cara senza alcuna garanzia che venga loro consentito l’accesso immediato alla procedura di asilo, in attesa di una identificazione compiuta.

Siracusa, 14 luglio: minori internati in ospedale
Negli ultimi giorni, un boom di arrivi, tutt’altro che imprevedibile. Ma mancano gli spazi di accoglienza. E i diritti dei minori saltano.
«I migranti che sbarcano nella provincia vengono collocati presso un centro temporaneo di prima accoglienza creato presso l’ospedale Umberto I di Siracusa.
Il 7 luglio, il centro è stato visitato dalla parlamentare Sofia Amodio e durante la sua visita è emerso che non esiste una convenzione dell’ente gestore, la Clean Service, con la Prefettura», spiega Germana Graceffo, dell’associazione Borderline Sicilia.
«Da quanto appreso, sembra che l’accoglienza venga predisposta attraverso dei provvedimenti di affidamento dei servizi di accoglienza a questa azienda privata operante nel settore delle imprese di pulizia, in forza di un verbale di affidamento del singolo ospite».
Gravissima, inoltre, la situazione per quanto riguarda l’accoglienza dei minori non accompagnati. Al 7 luglio ne risultavano 25. «Secondo la circolare interministeriale del 24 aprile 2013 – emanata dal Ministero dell’Interno e dal Ministero del Lavoro – dovrebbero essere inseriti in strutture specifiche o essere inclusi all’interno di progetti Sprar», prosegue Graceffo. «Dalle informazioni reperite dalla nostra redazione nei giorni scorsi, risultano, invece, trattenuti e controllati “a vista”, in una stanza dell’Umberto I, piantonati dalle forze di polizia». Secondo la versione ufficiale, fornita agli operatori del progetto Praesidium, i minori, tutti egiziani, sarebbero tenuti in ristrettezza al massimo per 48 ore, “il tempo necessario alle operazioni di rimpatrio degli adulti egiziani”. Ma da altre fonti risultano trattenimenti di gran lunga maggiori.
Si è parlato anche di un grave episodio in cui circa 10 minori sarebbero rimasti rinchiusi nella stanza per circa una settimana, per poi essere lasciati a contatto con gli adulti ospiti del centro per i due mesi successivi. Molti di questi giovani egiziani si sarebbero poi allontanati disperdendosi sul territorio nazionale. La separazione fra adulti e minori è stata posta come assolutamente necessaria dalla prefettura, a seguito di una segnalazione, fatta pervenire a fine giugno scorso da Save The Children al ministero dell’Interno e alla Prefettura di Siracusa, sotto forma di diffida. L’organizzazione aveva raccolto dagli stessi minori testimonianze di violenze perpetrate in loro danno dalla popolazione adulta presente all’Umberto I. Secondo Borderline Sicilia: «La gestione dello smistamento e dell’accoglienza dei migranti, ed in particolare dei minori stranieri non accompagnati, è portata avanti con soluzioni che non rispettano i diritti umani e violano in toto la normativa sull’accoglienza, in termini di standard e sicurezza, nonostante la cosiddetta Emergenza Nord Africa (con la quale il governo italiano aveva messo a punto delle procedure straordinarie in deroga alla legislazione vigente) sia cessata lo scorso 31 dicembre 2012».
La “Consulta per gli Immigrati di Siracusa” ha chiesto, mediante un comunicato, l’istituzione presso l’ufficio affidi del Comune di un registro di famiglie di immigrati residenti di lungo periodo che si sono già messe a disposizione per offrire accoglienza ai minori non accompagnati. «Siamo certi – si afferma nel testo – che in questo modo si contribuirà alla creazione di un sistema di accoglienza “integrante” e al superamento dell’annoso problema della carenza di mediazione culturale nell’offerta dei servizi pubblici. La consulta ha selezionato alcune famiglie, disponibili fin da subito all’accoglienza dei minori stranieri non accompagnati allo stato privi di qualsivoglia tutela». (dal Corriere Immigrazione)

Quanto costano i luoghi di tortura
Linkiesta ha pubblicato un articolo basato sui dati diffusi tempo fa dall'associazione Lunaria, riguardanti il costo del sistema (persecutorio e di tortura) immigrazione in Italia.
Secondo la stima dell'associazione, tra il 2005 e il 2012 sarebbero stati spesi un miliardo e 668 milioni di euro, tra risorse nazionali e comunitarie, per il controllo delle frontiere.
I Centri di Identificazione ed Espulsione costerebbero da soli 55 milioni di euro l'anno per i costi di gestione, a cui vanno sommati i costi di allestimento e manutenzione, e le spese per garantire la vigilanza.
Il governo Monti ha stanziato 13 milioni di euro per rimettere in funzione i Cie di Palazzo San Gervasio e Santa Maria Capua Vetere, la cui riapertura è prevista alla fine di quest'anno.
Nati come tendopoli nel corso dell'emergenza profughi del 2011 (governo Berlusconi), erano stati chiusi nel giro di poco tempo a causa di rivolte e danneggiamenti, dovuti al fatto che erano stati trasformati di colpo in centri di reclusione.
Intere sezioni di alcuni centri sono state chiuse a seguito di rivolte che le hanno rese inagibili. Secondo la task force istituita dal Ministro dell'Interno Cancellieri, sotto il precedente governo, il Cie di Brindisi è chiuso dal 29 maggio 2012, quello di Catanzaro dal 9 novembre, e quello di Trapani-Serraino Vulpitta dal 25 giugno dello stesso anno. A tutto questo si è aggiunta la situazione al Cie di Bologna, chiuso per ristrutturazione dopo un'ispezione da parte della Asl, e non più riaperto visto che la Prefettura ha rescisso il contratto con il gestore per inadempienze contrattuali.

Milano, luglio 2013


lettera da un carcere
Carissimi Horria! Che gioia ricevere la tua lettera di solidarietà, così ho deciso di scriverti subito. Io vengo dal Marocco, mi trovo in carcere dal lontano 1993. Dopo vari trasferimenti ed essendone contrario, ho iniziato a fare proteste, ribellarmi, fare danneggiamenti, rifiuto di entrare in cella così mi prendono a botte. Per non far calpestare la mia dignità, i miei diritti ho subito maltrattamenti più denunce.
Ho girato diversi carceri ed ho scontato per quattro volte il regime 14bis, un anno d’isolamento. Avevo il mio fine pena fissato per il 2013, ora è spostato al 2017. I processi ingiusti mi hanno preso di mira, due anni di reclusione solo per aver denunciato un pestaggio, non son stato creduto, 2 anni per calunnia. Io non vado mai ai processi, faccio una memoria difensiva e la invio tramite matricola. Non ho famigliari in Italia, sono tutti in Marocco. [...]
In un carcere tra i tanti dove sono stato c’era un impiegato che scopriva le mie lettere con denaro dentro, il mancato recapito è durato un anno, costretto a scrivere lettere raccomandate, non lavoro, faccio solo corsi e alla fine di un corso prendo euro 300, meglio di niente.
Io sto bene, quello che ho passato con loro non ha fatto niente, sono sempre più forte, sono contrario all’autolesionismo e simili, sono musulmano praticante, dialogo con qualsiasi essere umano, siamo tutti fratelli e sorelle, anche per una società di liberi e eguali, insieme lottiamo per liberarci dalle catene, dalla giustizia. Maurizio Alfieri non lo conosco ma è qui con noi!

14 giugno 2013


USA: SUPPORT THE HUNGER STRIKE ON PELICAN BAY
Sulle lotte nelle carceri della California
L' 8 Luglio è iniziato quello che il Los Angeles Times definisce come la più imponente protesta carceraria nella storia dello stato della California: 30.000 detenuti sono in sciopero della fame e 2.300 rifiutano inoltre di lavorare nelle aziende del carcere.
I prigionieri delle unità d’isolamento (SHU - Security Housing Unit) rimangono all’interno di claustrofobiche celle senza finestre per 22 ore al giorno, non possono ricevere telefonate, nè visite dai propri famigliari, vengono privati di qualsiasi contatto esterno (ad es. non hanno accesso all’informazione), spesso non hanno accesso alle cure mediche e viene servito loro cibo scadente ed in minime quantità. Circa 750 detenuti vivono queste condizioni da più di 10 anni, una dozzina di loro da oltre 20. Questo trattamento ha provocato e continua a provocare pesanti sofferenze psicologiche.
Questi detenuti si trovano in isolamento perché sospettati di appartenere a gang, anche quando le accuse o le prove non sono confermate in seduta di processo. L’isolamento a Pelican Bay (PB) sarebbe la regola per prevenire il protrarsi di attività e violenza delle gang!
Ma durante l’estate e l’autunno del 2011 i detenuti di PB, insieme ad altri detenuti in isolamento in altre carceri californiane, hanno dato inizio ad un’azione che non aveva avuto precedenti. Più di 6.000 detenuti hanno iniziato uno sciopero della fame durato diverse settimane per richiamare l’attenzione sulle pessime condizioni nelle quali versano: uomini che hanno vissuto in isolamento da decenni e privati dei diritti umani essenziali, perché presunti affiliati a gang malavitose, si sono uniti per dare vita alla mobilitazione per sensibilizzare e richiedere diritti e protezione costituzionale per tutti coloro che vivono queste condizioni.
Questo è successo per la prima volta nel 2011, oggi 8 Luglio 2013 gli stessi detenuti hanno ripreso nuovamente a fare lo sciopero della fame rivendicando le richieste di due anni fa che il Dipartimento di Correzione e Riabilitazione della California (CDCR, California Department of Corrections and Rehabilitation) non ha mai preso in considerazione, nonostante avesse promesso di migliorare lo status dei prigionieri.
Lo sciopero di oggi è una chiamata nazionale rivolta sia a chi vive le condizioni disumane del carcere sia per chi è in libertà ma che deve sapere ed essere cosciente di ciò che si vive all’interno. Coloro che sono rinchiusi nelle unità d‘isolamento nelle prigioni di questa società, condannati ad essere “il peggio del peggio”, stanno lottando contro l’ingiustizia rivenicando la loro umanità e dignità.
Dobiamo ascoltarli ed esser pronti a risponere alla loro chiamata sostenendoli nella loro lotta. Le loro rivendicazioni vogliono:
1. Eliminare le punizioni di gruppo. A Pelican Bay se un detenuto trasgredisce una regola del carcere, spesso tutto il gruppo etnico di appartenenza viene punito. Questa politica repressiva di tipo etnico è stata applicata in modo tale da mantenere (più) detenuti nelle SHU a tempo indefinito oltre ad aggravare le loro condizioni, perchè messi in isolamento.
2. Abolire la politica delatoria (debriefing policy) e modificare i criteri per definire lo status di affiliato alle gang in carcere. I detenuti vengono accusati di essere membri attivi o passivi di gang all'interno del carcere sulla base di prove false o altamente dubbiose per poi essere rinchiusi per lunghi periodi nelle SHU. I prigionieri hanno la possibilità di sfuggire alla condizione in cui si trovano solamente diventando "delatori" e riportando informazioni su altri prigionieri. Questo sistema produce un ciclo interminabile fatto di false accuse tra i prigionieri.
3. Attenersi a quanto definito dalla US Commission on Safety and Abuse in Prisons (2006) riguardo l'annullamento dell' isolamento a tempo indefinito. Questa commissione bipartisan in particolare specifica di "ricorrere alla segregazione solo come ultima istanza" e di "annullare le condizioni di isolamento". Fino al 18 Maggio 2011 lo stato della California ha tenuto in isolamento 3.259 detenuti ed altri centinaia in segregazione amministrativa in attesa di rinchiuderli in isolamento. Alcuni detenuti sono in isolamento da oltre 30 anni.
4. Somministrare cibo nutritivo e di buona qualità. I detenuti denunciano condizioni antigieniche e quantità di cibo insufficiente e inadeguate anche secondo la regolamentazione carceraria. Non viene fatto alcun controllo esterno sui pasti dati all'interno della prigione.
5. Organizzare programmi formativi per i prigionieri rinchiusi in isolamento. I detenuti in sciopero della fame fanno pressioni affinchè vi siano date opportunità ai propri compagni di "intraprendere programmi di auto-aiuto, organizzare attività educative, religiose o di altro tipo..". Attualmente queste attività vengono regolarmente negate, anche quando i detenuti sarebbero disposti a pagarle di tasca loro. I detenuti inoltre avanzano delle richieste: avere a disposizione 1 telefonata a settimana, il permesso di avere delle tute e dei cappellini. (L'uso di un abbigliamento più pesante spesso è vietato, nonostante le celle e i luoghi dove poter fare della ginnastica siano molto freddi). Tutte queste richieste fatte dai detenuti di PBSP sono già permesse nelle altre carceri di massima sicurezza (sia federali che statali).
Nota: dopo il secondo sciopero della fame, il CDCR ha distribuito cappellini ai detenuti ed ora permette loro di potersi acquistare delle tute.

luglio 2013
liberamente estratto da stopmassincarceration.net


lettere dal carcere di cagliari
Seguono alcune riflessioni dall’interno del Buoncammino sulla recente mobilitazione alla quale sono seguite perquisizioni con devastazione delle celle e altre punizioni e intimidazioni e il comunicato che ha indetto lo sciopero dell’aria.

Abbiamo iniziato lo sciopero dell’aria il giorno 17/6 perché c’era il sentimento di mobilitazione generale, cosa che invece non è avvenuta. Noi del carcere di Buoncammino invece abbiamo dato il nostro contributo perché era già in programma un nostro sciopero.
Il giorno 18 giugno la direzione, pesantemente infastidita da questa nostra iniziativa improvvisa, decide di eseguire una perquisa semi-generale, per puro senso intimidatorio, persecutorio e di devastazione delle celle. Probabilmente alcuni di noi verranno sballati. Lasciamo la logica delle “conseguenze” a quelli che vogliono sopravvivere nell’inerzia di un’esistenza reclusa rassegnata dalla mansuetudine, a quelli che non vogliono vivere al di fuori della gabbia dei diritti e dei doveri. La nostra individualità è all’interno di un percorso di liberazione che non si può arrestare! Essere disposti a farsi sparare una raffica di M12 addosso da parte delle sentinelle, fa parte di questo percorso.
Questo è un periodo in cui i reclusi del carcere di Buoncammino stanno cercando di risvegliarsi da un sonno, o meglio, un incubo, durato troppi anni. Sono riusciti a manifestare un briciolo di rabbia con i 3 giorni di sciopero del vitto (in relazione alla giornata di mobilitazione a Parma) e i 2 giorni di sciopero dell’aria (in relazione all’ondata di scioperi annunciata nel primo comunicato) realizzata nel giro di 20 giorni, che ha visto la partecipazione di centinaia di detenuti, nonostante queste pratiche siano state criticate da noi stessi detenuti/prigionieri,in quanto poco (o niente) efficaci. Da qualche parte si doveva pur iniziare, e l’abbiamo fatto scegliendo questi metodi di lotta in cui è stata ricercata la fattibilità per un intervento così numeroso; per verificare quanti siamo, quanto siamo uniti, e quanta concreta intenzione è presente in ognuno di noi nell’oltrepassare questi metodi di lotta poco incisivi.
Ora, la sostanza delle discussioni che abbiamo avute tra di noi, quale volontà e se ci sarà, di andare oltre la superficie, più a fondo, emergerà in futuro, considerando il sostegno che abbiamo avuto con i due presidi che hanno realizzato compagne/i, ci ha dato una spinta in più!
E’ importante descrivere fedelmente che aria tira dentro la galera. Non possiamo considerare solo le nostre singole determinazioni a lottare, come se fossero una condivisione collettiva, in considerazione del fatto che l’oppressione carceraria è una tortura continua e sistematica ed effettivamente ci siamo tutti rotti i ciglioni e vorremmo le galere in fiamme, o chi miglioramenti detentivi e legislativi. Avere i coglioni pieni non basta per affermare che il corpo recluso, o una parte di esso, è disposta a lottare come se ci ritrovassimo all’improvviso tutti complici nell’azione, come se trovassimo nel detenuto un alleato sicuro, non è affatto così!
C’è bisogno di analizzare e verificare se realmente c’è una spinta collettiva, se non c’è e si aspira ad averla, allora è necessario iniziare ad esporsi e a realizzare un canale comunicativo e di confronto con qualche prigioniero, proporre scioperi, iniziative selvagge o meno selvagge, che è una maniera per tastare il terreno. Non si può pretendere un’unità che non esiste e non la si può inventare così, come non si può delegare ad una mobilitazione generale la sostanza della lotta. Se non è possibile, per tutta una serie di motivi coordinarsi o ampliare la lotta, non vuol dire non fare più niente! Senza spina dorsale non si va da nessuna parte.
Il mito della maggioranza dei detenuti è: “Se lo fanno gli altri (lo sciopero ecc.) lo faccio anch’io”. In questa maniera non si farà mai niente di concreto, giusto?
Molti detenuti hanno un concetto distorto di amnistia. Questa parola è intesa come l’annullamento di qualche anno di carcere per i più. Ma sappiamo che non è così! Ecco perché nei comunicati dei nostri scioperi abbiamo giustamente precisato che la lotta è indirizzata per ottenere l’amnistia generalizzata. Questo dovrebbe significare andare avanti con la lotta coordinata per strappare al potere la generalizzazione del provvedimento. Significa riuscire ad ottenere l’annullamento dell’ergastolo, e della blindata “pericolosità” che insieme alle “aggravanti”, differenziano e escludono un gran numero di prigionieri, tra cui quelli condannati al 41bis. L’amnistia così com’è non ci interessa e non la vogliamo. Questo è un pensiero che emerge qui, dietro le sbarre assieme alla necessità di socializzarlo.

Fine giugno 2013

***
Comunicato dei prigionieri del carcere Buoncammino
Alla direzione del carcere di Buoncammino. Per conoscenza: al ministro di Giustizia. Alla stampa ufficiale e non.
Stanchi di rimanere inascoltati, noi sottoscritti del carcere “Buoncammino” di Cagliari, in relazione al primo sciopero del vitto di 20 giorni fa, annunciamo di intraprendere lo sciopero dell’aria, rifiutando di recarsi nei luoghi adibiti al “passeggio” per i giorni 17 e 18 di questo mese, sperando che questi 2 giorni siano utili per la Direzione, affinché possa rimediare una volta per tutte al drammatico problema che riguarda i “passeggi”. Usufruiamo solo di 2 ore e 30 minuti circa di aria al giorno, per la pessima organizzazione in cui si svolgono gli orari di apertura delle celle, in luoghi angusti, ammassati l’uno sull’altro come fosse bestiame (senza contare che molti detenuti non escono all’aria proprio per questo problema, immaginiamo se dovessero uscire tutti!) e che tale situazione si traduce in tortura quotidiana!
Ad aggravare questa condizione è l’infernale caldo e i continui ingressi nel carcere di nuovi arrivati, mentre sono sempre di meno le persone che escono (neanche quei detenuti che usufruiscono del permesso escono regolarmente, per volontà dell’area rieducativi, questo è l’unico carcere dove i permessanti escono ogni 4 mesi, e non ogni 45 giorni come nel resto delle carceri italiane!).
Chiediamo che ci venga finalmente concesso l’orario estivo, che ci permette di rientrare nelle celle verso le 16,30/17, dato che non esiste nessuna apertura delle celle oltre quelle 2 ore e 30, come invece avviene in ogni altro carcere. Inoltre facciamo presente dell’esistenza di un grande passeggio mai utilizzato, nonostante i nostri ripetuti appelli per il suo utilizzo. Basterebbe aprirlo per alleggerire gli altri spazi angusti e tollerare in maniera migliore il sovraffollamento dei passeggi (chiamati non a caso “quartini”). Segnaliamo come indispensabile una modifica per una migliore turnazione dei quartini e del campo e una più efficace modalità di apertura delle celle.
Con questo sciopero ci uniamo anche noi alle proteste e scioperi che avvengono in questi giorni nelle altre carceri in cui si sta creando una mobilitazione anche all’esterno per l’amnistia generalizzata, contro tortura, isolamento, morte, ergastolo.

Buoncammino, 17 giugno 2013
Seguono 134 firme

P.S. In conseguenza dell’isolamento dei due bracci del carcere non sono pervenute in tempo le firme dell’altro braccio. Invieremo nei prossimi giorni anche quelle.


cagliari: Resoconto della lotta contro il carcere del 10 luglio
Il 10 luglio il carcere Buoncammino di Cagliari è nuovamente in fermento dopo la protesta di qualche settimana fa che aveva visto la stesura di una lettera firmata da numerosi detenuti e dato vita ad uno sciopero del carrello.
La protesta è partita dall’ala sinistra dove i detenuti hanno deciso di barricarsi dentro le celle e bruciare suppellettili. Sono spuntati anche degli striscioni contro il sovraffollamento e le condizioni precarie del carcere, ma soprattutto contro le vessazioni che sono costretti a subire oltre alla privazione della libertà. Tra questi chi era sul posto ha potuto leggere solo la fine di uno striscione che recitava così “…e uno finisce in isolamento”, un trattamento probabilmente riservato a chi si lamenta delle condizioni in cui si vive a Buoncammino. Per tutta risposta le guardie del penitenziario hanno spento loro le luci.
Le testimonianze sono state raccolte da una ventina di solidali che hanno raggiunto le mura del carcere per portare loro sostegno e capire quali erano le richieste. Questi ultimi sono poi stati fermati da agenti della DIGOS per il controllo delle le generalità.

10 luglio 2012
da arrexini.info

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Sull'inaugurazione del nuovo carcere di Bancali (Sassari)
Inaugurato oggi il nuovo penitenziario di Bancali, in provincia di Sassari, che va a sostituire la vecchia struttura di San Sebastiano, giudicata il peggior istituto carcerario d’Italia. Alla cerimonia è presente il ministro della giustizia Cancellieri: la nuova prigione avrà una capienza di 465 posti complessivi, di cui 150 destinati ai detenuti fino ad ora presenti al San Sebastiano.
Nei flash d’agenzia si parla di trasferimenti in vista anche dal resto della penisola, di cui 92 prigionieri in regime di 41-bis. In altri passaggi delle dichiarazioni rese da secondini e sindacalisti penitenziari, si apprende di come verranno presto tradotti a Bancali molti “detenuti ad elevato indice pericolosità” nonché quelli sottoposti a 41-bis.
Non è dato sapere con precisione chi possa rientrare nella categoria di “elevato indice di pericolosità”, ma da tempo aleggia la proposta di spostare in Sardegna anche le varie sezioni di Alta Sicurezza, con il conseguente trasferimento dei compagni rivoluzionari ostaggi dello stato.
A fronte della facciata liberale rispolverata con il recente “svuota-carceri”, il totalitarismo democratico sembra intenzionato a rinvigorire i circuiti penitenziari speciali, che, come nei decenni più caldi passati, trovavano larga dislocazione in Sardegna.
Rinfocolare di significato lo slogan “fuoco alle galere” diventa sempre più una necessità imprescindibile a fronte dell’avanzata concentrazionaria dello stato.

9 luglio 2013
da anarchiciferraresi.noblogs.org


per l’Estate 2013 nelle carceri in Italia
Dall'interno di diverse carceri, discussa fra diversi prigionieri, ci è arrivata la lettera che segue. La sosteniamo, anche pubblicandola, per farla conoscere, per agire in sintonia con le iniziative, azioni di lotta e di protesta realizzate dentro e fuori. Quindi scriviamo dentro, parliamo con i familiari che si recano ai colloqui, parliamoci fra collettivi, facciamo conoscere questa iniziativa in ogni luogo di lotta - soprattutto nei quartieri invasi da miseria, sfruttamento, controllo di polizia, ma anche dove nascono e si manifestano pratiche di occupazione e di altre "illegalità".
Quella che ci è data è una reale occasione per dare finalmente concretezza, dopo troppi anni, alla lotta contro ogni tipo di carcere: dai CIE fino ai reparti TSO.. .tutti maledetti.

Il “coordinamento dei detenuti” nato in maniera spontanea alla vigilia della manifestazione nazionale di Parma del 25 maggio 2013 è intenzionato a portare avanti la mobilitazione contro le condizioni disumane e tutte le barbarie del sistema penitenziario italiano.
La data del 25 maggio è stata un punto di svolta per le nostre lotte, sia dentro che fuori queste mura c’è stata una forte presa di coscienza e le tante testimonianze di solidarietà hanno riscaldato i nostri cuori e resi consapevoli di non poter restare indifferenti dinnanzi ad una situazione non più tollerabile, per la quale anche gli organi internazionali hanno condannato il nostro paese.
In concomitanza con lo sciopero di Parma più detenuti hanno intrapreso diverse forme di protesta come lo sciopero della fame, del carrello, battiture e raccolte di firme, ma le evidenti difficoltà di comunicazione hanno impedito una più ampia adesione. Questo non ci scoraggia, anzi, ci stimola a fare meglio e a impegnarci di più, perché siamo consapevoli, ora più che mai, che solo la lotta paga.
Abbiamo deciso pertanto di proclamare una mobilitazione nazionale per il mese di settembre, che avrà inizio il giorno 10 e fine il giorno 30 dello stesso mese.
E’ nostra intenzione far sentire la nostra voce e protestare contro la situazione esplosiva delle carceri italiane, la quale vede un sovraffollamento intollerabile con detenuti ammassati in celle lager, in condizioni igieniche e strutturali al limite dell’indecenza, speculazioni sui prezzi della mercede, sfruttamento vero e proprio nei confronti dei detenuti cosiddetti “lavoranti”, trattamenti inumani di ogni sorta, abusi di qualsiasi genere e troppo, troppo altro ancora.
Non possiamo inoltre esimerci dal protestare contro tutte quelle forme di tortura legalizzata in cui versano gli internati nei regimi di 41bis, 14bis e Alta Sorveglianza, che vengono quotidianamente uccisi, psicologicamente e fisicamente. Chiediamo quindi l’abolizione di questi strumenti degni della peggior dittatura e l’abolizione della legge Cirielli.
E’ bene precisare che noi, con questa forma di protesta estrema, non chiediamo sconti di pena o benefici, se arrivano serviranno ad alleviare le sofferenze di molti detenuti e ad impedire all’Italia di pagare multe salate, ma interventi concreti che mirino al rispetto dei diritti naturali dell’essere umano e dell’art. 27 della Costituzione.
Per la riuscita della mobilitazione invitiamo tutti i fratelli detenuti ad aderire allo sciopero, attuando dal 10 al 18 settembre lo sciopero della fame e dal 18 al 30 forme di protesta da loro concordate e ritenute più idonee (consigliamo anche la raccolta di firme e la stesura di comunicati).
Inoltre, ci appelliamo a tutti i movimenti, singoli cittadini, famigliari dei detenuti, organizzazioni politiche e non di essere la nostra voce fuori da queste mura e quindi sostenere le nostre rivendicazioni, creando una rete solidale, informando quante più persone possibili, diffondendo in modo capillare questo comunicato e informazioni relative alla protesta; di valutare forme di lotta all’esterno delle carceri e l’organizzazione di un corteo nazionale.
Il primo passo per spezzare queste catene è rompere il muro dell’indifferenza. La solidarietà è un’arma, usiamola.
Chiediamo a tutti i detenuti che leggeranno questo comunicato di dare il massimo impegno e di ricopiare il testo spedendolo ai loro conoscenti detenuti in altre strutture.

luglio 2013


lettera dal carcere di siano (cz)
Ciao a tutti voi, […] una campagna di denuncia pubblica può aiutare, la visibilità può scardinare il complesso di abusi di segrete medievali.
Il DAP con prepotenza e arroganza ritiene di essere la legge. E’ stato occupato militarmente dai pm della DDA coordinati dalla DNA (il nuovo Minculpop), non applicano neanche le sentenze perché loro si sentono superiori. Tutto questo potere anzi strapotere deriva da un protocollo “Farfalla” che dopo 20 anni è venuto alla luce nelle settimane scorse.
Poi c’è il Tribunale di Sorveglianza di Roma, una sorta di tribunale speciale, dove si discutono tutti i ricorsi dei 41bis d’Italia.
Inoltre il 41bis di tortura senza se e senza ma, oggi è peggiore di 20 anni fa quando c’ero anch’io, all’epoca ci bastonavano, oggi è come i centri psichiatrici sovietici, dove internavano i dissidenti per annullarne la personalità annichilirne il pensiero.
La sua abolizione è un atto di giustizia e di civiltà, perché non ammissibile la tortura in Europa. I carcerieri: GOM (Gruppo Operativo Mobile) sono inquadrati con il lavaggio del cervello, come facevano con le SS naziste nei campi di concentramento. Li ha creati lo stato con bonus sugli stipendi, sulle pensioni e promozioni.
L’iniziativa a Parma contro il 41bis è stata qualcosa di veramente grande perché pochi sanno che in Italia c’è la tortura; li saluto e li porto nel cuore, tutti i partecipanti.
Ho ricevuto il libro e vi ringrazio. Vi ringrazio per il vostro impegno, abbracciando tutti voi con tutto l’affetto del mio cuore. Ciao a presto Pasquale.

PS: ho sintetizzato troppo, il protocollo FARFALLA è un coordinamento tra il Dap e i servizi segreti; l’hanno tenuto segreto fino ad oggi, ma la visibilità è stata una casualità.

Pasquale De Feo, v. Tre Fontane, 28 - 88100 Siano (Catanzaro)

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sul Protocollo “Farfalla”
Un accordo tra il dipartimento penitenziario e i servizi segreti per la gestione dei principali detenuti in regime di massima sicurezza, senza che rimanesse alcuna traccia nei registri carcerari. E' questo il Protocollo Farfalla, descritto nei dettagli e nelle sue conseguenze da Maurizio Torrealta e Giorgio Mottola in "Processo allo Stato" edito con Rizzoli.
[...] Il Protocollo Farfalla, documento oggi coperto dal segreto di Stato, mostra gli interventi dei Servizi Segreti contro le indagini della magistratura e i due autori tramite intercettazioni, indagini insabbiate, morti dimenticate e sospette di funzionari dello Stato che si sono forse avvicinati troppo alla verità, ricostruiscono la storia della trattativa [tra stato e mafia] ma anche sui crimini successivi, commessi per continuare a non far circolare le informazioni.
Sarebbe uno splendido noir, fatto di intrighi e morti misteriose, di accordi sottobanco e di documentazione difficile da reperire e decifrare. Invece l'inchiesta mostra come la Trattativa sia stata perpetuata fino ai giorni nostri, riportando anche nelle sue appendici diverse fonti che supportano la ricostruizione dei fatti. [...]

6 febbraio 2013
da radiocittafujiko.it


Aggiornamenti dalla sezione AS2 di Ferrara
A seguito della corrispondenza con alcuni compagni anarchici rinchiusi nel carcere di Ferrara, ci è stato raccontato di come si starebbe approntando un “Nucleo Antiterrorismo” della Polizia Penitenziaria di stanza proprio nel carcere dell’Arginone.
La creazione di questo ennesima specializzazione per boia rientrerebbe all’interno di un progetto pilota a carattere nazionale, avviato proprio a Ferrara dove alcuni mesi fa è stata “inaugurata” una nuova sezione A. S. 2 per i prigionieri anarchici.
L’Amministrazione Penitenziaria sembra intenda voler stringere ancor più la morsa sui compagni rivoluzionari sequestrati dallo stato, istituendo un nuovo nucleo specializzato, con il prevedibile scopo di poterne meglio gestire e conoscere le corrispondenze ed i rapporti con i compagni fuori dalle mura.
Per quanto, invece, riguarda la “quotidianità carceraria”, il livello di paranoia delle guardie rimane alto: anche una semplice traduzione per una visita ospedaliera viene gestita con parecchi secondini armati di mitra e con il compagno ammanettato fin dentro la sala a raggi x. Nessuna saletta per la socialità in comune è stata attrezzata, lo stesso vale per la palestra. A breve, ulteriori aggiornamenti.

2 luglio 2013
da informa-azione.info


lettera dal carcere di terni
Cari compagni/e, tutti noi nove compagni che eravamo nel carcere di Carinola, a partire dal 27 aprile 2013, ci hanno trasferiti qui, nel carcere di Terni. Appena siamo arrivati, ci avevano appoggiati alla sezione di isolamento, dove ci siamo fatti un mese. Il 3 giugno siamo stati spostati in un altro reparto che è distaccato dalle altre diramazioni. A quanto si dice, il nostro reparto dovrebbe essere vicino al 41 bis. Mi farebbe pensare che questo sia stato scelto di proposito. Stando qui non c’è modo di comunicare con nessuno tranne fra di noi. Il reparto è suddiviso in due piccole sezioni: in una ci sono quattro celle, mentre dove sono io le celle sono cinque. In tutto sembrerebbero 9 celle e tutti noi siamo in celle singole, con docce all’interno delle celle.
Nella sala di socializzazione hanno anche pensato di mettere una biblioteca, un biliardino e due tavoli con sedie di plastica, il tutto sorvegliato da due telecamere di ultima generazione. Per il momento viene a mancare la sala per fare attività sportiva. Dicono che dovrebbero farla. In quanto al passeggio è piccolo: è una buca. Avete presente un campo di bocce? Ecco, è così. Mentre chi vuole correre corre sul marciapiede, che loro dicono che sarebbe una pista per correre. È 10 m. di lunghezza per 3-4 di larghezza, e anche nel passeggio ci sono due telecamere. È stato chiesto del campo sportivo, il campo sportivo ci sarebbe ma non è mai stato utilizzato, però dovrebbero rimetterlo in funzione, stando sempre a quello che ci viene riferito.
Ci hanno tolto le grate dalle finestre, l’unico vantaggio è che entrerebbe più luce, poi per il resto non vediamo niente se non il muro del passeggio o il muro di cinta
All’interno del passeggio c’è una grossa grata, tanto bassa che sarebbe impossibile giocare a pallavolo.
Come esci dal reparto a due passi c’è la sala colloqui. Morale della favola: ci hanno seppelliti, è un vero circuito di differenziazione. Pensate che per chiedere la visita medica ci fanno compilare un modulo, nome e cognome, il motivo e il perché delle visite…
I detenuti della media sicurezza sono un po’ più liberi di noi, hanno le celle aperte e più possibilità di movimento. Frequentano i corsi lavorativi, scolastici, palestra, meno il campo sportivo perché, come vi ho detto, non c’è.
Hanno aperto da un mese un’altra struttura nuova che non si sa se verrà adibita per media sicurezza oppure per AS3. qui per il momento c’è la sezione 41bis e AS2 dove ci siamo noi, e due fasci che stanno in un altro reparto.
Un mio saluto anarchico. Mauro.

Terni, 10 giugno 2013
Mauro Rossetti Busa, Via delle Campore, 32 - 05100 Terni
da informa-azione.info


lettera dal carcere di opera (milano)
Cari compagni/e, finalmente ho ricevuto il vostro opuscolo, che, da quando mi hanno trasferito qui a Opera non ricevevo più… Questo opuscolo è molto importante per noi prigionieri/e, perché per i pochi ma buoni che si ribellano, sapere che fuori c’è qualcuno che è solidale con noi e far mettere al corrente come sono in realtà le galere, non ci fa sentire isolati e soli; ed è bello leggere che ci sono altri prigionieri/e che la pensano come te e non si piegano al loro regime. Perché purtroppo ormai nelle galere molti prigionieri/e si sono arresi ai loro ricatti e isolano quei prigionieri/e che non ci stanno a farsi calpestare la dignità, dandogli un’etichetta come “chi non si sa fare la galera”… ”che così la galera se la fa tutta perché non prende i giorni di liberazione anticipata”.
E sapere che ci sono compagni/e sia fuori che dentro, non ti fa sentire solo a non farti calpestare la tua dignità…
Poi questo opuscolo è un ottimo strumento per “denunciare” a persone che ci sono solidali i vari abusi e ricatti che vengono fatti da ‘sti porci schifosi. Quindi mi rivolgo ai prigionieri/e che lo ricevono di farlo girare, di mettere a conoscenza quei prigionieri/e che non sanno a chi rivolgersi, tipo persone anziane, chi non ha nessuno fuori, gli immigrati, perché ‘sti schifosi i maggiori abusi li fanno a questi prigionieri/e.
Se vediamo qualche compagno/a in difficoltà aiutiamolo, e mettiamolo al corrente che ci sono persone che ci sono solidali… e poi quello che ci spetta ce lo prendiamo. Se ci aspettano 2 ore d’aria al mattino e 2 al pomeriggio, che siano 2 e non un’ora e mezza, se ci prendono mezz’ora ci si ferma tutti all’aria, se picchiano un prigioniero/a non entriamo in cella, sciopero della fame, battitura e soprattutto informiamo i compagni/e fuori che ci danno appoggio…
Facciamo sentire la nostra voce contro i loro abusi e non facciamoci rubare il nostro essere uomini e donne con una propria testa, un nostro modo di pensare, e i nostri ideali, perché ‘sti porci schifosi e il loro sistema puntano a cancellarci come uomini e donne e ci vuole trasformare in automi con i loro ricatti… Non facciamoci calpestare la dignità… Mi ha molto colpito la lettera dei compagni di S.Vittore, sono molto, solidale con loro… Anche i CIE sono una cosa infame per un paese che si definisce democratico.
Ora vi lascio con questa penna augurandovi tutto il bene possibile. Un grosso abbraccio a tutti i compagni/e che lottano contro le prigioni e CIE… che poi non vedo la differenza; sono tutte e due una galera. Con affetto Pietro.

27 giugno 2013
Pietro Citterio, v. Camporgnago, 40 - 20090 Opera (Milano)


sulle iniziative di resistenza nelle carceri spagnole
Lettera dal carcere di Teixeiro-Curtis (spagna)
Carissimi compagni, vi mando la traduzione di un documento di marzo-aprile 2013 sulle lotte contro le torture e i maltrattamenti nelle carceri spagnole che stiamo portando avanti, per farvi sapere cosa succede da queste parti.

Nell’ottobre 2011, un gruppo di prigionieri in diverse carceri dello Stato, si organizzarono per iniziare una lotta contro la tortura e i maltrattamenti nelle carceri. La proposta nacque dopo diversi mesi di dibattito e scambio di idee tra detenuti e gruppi di appoggio esterni, sulle tattiche e le strategie da utilizzare in questa lotta.
Le azioni comuni che si concordarono furono scioperi della fame simbolici il primo giorno di ogni mese, seguiti da scritti di denuncia al Congresso dei Deputati (per la loro responsabilità politica e complicità), al Difensore del Popolo [equivalente al Garante, ndt] e ai comitati di Ginevra e Strasburgo.
Il lavoro di solidarietà dei gruppi di appoggio esterni fu quello di stabilire una coordinazione fuori-dentro le carceri, per far si che l’informazione circoli nella maniera più efficace possibile. A tal proposito si creò una rete di avvocati solidali, al fine di proteggere giuridicamente i compagni in lotta dalle rappresaglie delle istituzioni penitenziarie.
Obiettivo principale di questa lotta era quello di denunciare la realtà esistente all’interno delle mura carcerarie, con una lotta condotta collettivamente dai detenuti dentro e dai gruppi di appoggio dei compagni fuori, lanciando il messaggio all’opinione pubblica, che le carceri sono il simbolo dei maltrattamenti nella loro totalità, e che le torture non sono solo fisiche ma anche psicologiche. La dispersione, l’isolamento, il regime FIES, l‘ergastolo, l’abbandono sanitario, l’utilizzo di farmaci sperimentali, la censura sulle comunicazioni orali e scritte, i maltrattamenti alle famiglie, l’esistenza di secondini maschi all’interno delle carceri femminili, il ricatto delle sezioni terapeutiche (dove il detenuto è obbligato a comportarsi come un secondino), il ricatto dei permessi di uscita ecc ecc…
Dopo un anno e mezzo di lotte simboliche, la campagna continua nonostante il numero dei prigionieri in lotta non sia aumentato (tra 40 e 60 sparsi in 20 prigioni). Si è però rafforzata una forma di resistenza permanente all’interno delle carceri e un motivo di lotta fuori, con denunce continue, assemblee, presidi, marce, pubblicazioni, invio di fax alle carceri dove avvengono episodi di torture, rompendo così il silenzio e l’isolamento che cercano di realizzare le istituzioni sulla realtà che viviamo.
Durante questo periodo, alcuni detenuti, hanno realizzato scioperi della fame settimanali, scioperi dell’aria e in alcuni casi scioperi della fame di 15, 40 e anche di 80 giorni.
Sono state raccolte firme di appoggio alla campagna in diverse carceri, poi mandate al Congresso dei Deputati, che cinicamente (come previsto) ha risposto argomentando che “non esiste la tortura nello Stato spagnolo e quindi le rivendicazioni sono prive di fondamento”.
Nonostante non ci siano state grandi iniziative né dentro né fuori, si tratta di una lotta lunga e costante, in continuo conflitto con il sistema penitenziario.
Il carcere è lo strumento più duro con il quale il sistema cerca di imporre il suo regime di repressione e dominio a chi non si adatta alle regole e discipline imposte. La sua esistenza è legata allo Stato.
Noi tutti: prigionieri e a piede libero, viviamo in un sistema Carcere-Stato che ci colpisce. L’appoggio e la solidarietà ai prigionieri dovrebbe essere una pratica comune per tutti quelli che lottano per la libertà e si definiscono anarchici.
Carcere uguale tortura. Solidarietà con i prigionieri in lotta.

2 luglio 2013
Claudio Lavazza, c.p. Teixeiro modulo 11, Carretera de Paradela s/n - 15310 Teixeiro-Curtis (A Coruña) - Spagna
da informa-azione.info


lettere dal carcere di velletri (roma)
Carissimi […] Ho ricevuto l’opuscolo di maggio, vi ringrazio!!!
Leggere e realizzare tutto quello che succede nelle carceri e i movimenti che ci sono fuori, sia per noi sia per chi ha bisogno è stimolante e riflessivo!
Qui a Velletri forse non si sente il sovraffollamento perché al vecchio padiglione siamo in 2 per cella, ma per il resto è una vergogna totale. Non si commenta la situazione lavorativa, che, forse, non è più una rieducazione ma è un’esigenza per molti detenuti. Parlando con alcuni lavoranti e leggendo le loro buste paga che dire scandalose è poco… 87 euro… 33 euro… Il commento è superfluo, ma mi chiedo: per lo stesso lavoro a Rebibbia o Regina Coeli è un tot, e qui molto meno, come mai?? Dove finiscono i soldi?? Misteri della fede!!
Per non parlare che non abbiamo il campo di pallone per motivi sconosciuti. Il resto è la solita: niente fornitura, niente di niente… Ma siamo ugualmente forti e uniti contro tutto e tutti, anche se pochi, ma buoni!!
Mi piacerebbe avere altre cose da leggere riguardante le vostre iniziative e altro…
Con affetto Max.

24 giugno 2013
Massimiliano Cirelli,v. Campoleone, 97 - 00049 Velletri (Roma)
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Buongiorno, sono un detenuto nel carcere di Velletri e sono 6 mesi che sono qui.
Ma ho un vissuto, credetemi, di condanne fatte fino all’ultimo giorno, perché mi ritengo un uomo con i suoi diritti e doveri e i suoi valori. Ora, i miei doveri li onoro, ma i miei diritti vengono continuamente schiacciati. Vi scrivo per farvi conoscere la mia situazione.
Sto scontando 10 giorni! Senza attività, palestra e socialità perché mi si è rotto il televisore e gentilmente ho chiesto all’assistente di chiamarmi la MOF (squadra per le riparazioni idrauliche, elettriche…) per cambiarlo e mi risponde “no, non sono addetto alla MOF”. Gli chiedo, sempre con rispetto, per favore chiamatemi il capoposto, io sto senza televisore, è rotto, non si vede e me lo si deve cambiare, è un mio diritto; mi viene risposto, sempre dall’assistente “Selnistri non ci sono televisori!” ok, gli ho detto, ho preso una lametta e gli ho detto queste parole : “ora voglio vedere se non me lo aggiustate ‘sto televisore”, mi sono tagliato e ho avuto il televisore.
Il giorno dopo vengo chiamato dall’ufficio sorveglianza e mi notificano il rapporto dell’assistente dove sopra ci ha scritto che l’ho minacciato dicendo “mò te faccio vede io – ok!”. 10 giorni di punizione. Poi ho preso un altro rapporto perché indossavo i pantaloncini; e qui non puoi portarli. E’ il colmo, e ho preso altri 10 giorni.
Io non sono nessuno e non conto niente e non ho nessun detenuto qui vicino a me con le palle che vuole protestare assieme a me per queste sozzerie e angustie e abusi di potere. Ho fatto denuncia alla Corte europea non per me solo, ma se mi aiutate vorrei portare alla luce l’abuso di potere, la mancanza di parità e lealtà nei consigli disciplinari interni negli istituti. Non possiamo mai dimenticare che non è come dicono loro. E ho fatto denuncia alla Regione Lazio, al Garante detenuti del Lazio.
Io sono un fratello amico di Maurizio Alfieri. Sono Pit-Bull Selnistri Arialdo, un guerriero vero per i diritti di ogni santo detenuto. Io sono uno di quei detenuti che a Frosinone nel 2008 feci la protesta (riuscita) per mettere panche e macchinette per acqua e caffè fuori dai colloqui per i familiari anziani, per i bambini! Per allungare gli orari dei colloqui, per ottenere docce igieniche funzionanti! Palestra per tutti e non solo per tre sezioni; per il controllo sulla spesa (aumenti improvvisi e spesso) e ci riuscimmo. Ma mi mandarono in Sicilia, dove mi hanno trattato come un killer feroce, mi hanno scritto minacce per terra dove hanno disegnato delle croci; mi hanno tenuto in cella d’isolamento 34 giorni tutti attaccati e ne feci 6 in più. Non facevo colloqui, non avevo avvocato e l’unica cosa era auto-lesionarti, dichiarare guerra con il mio orgoglio ferito e l’onore, e ho iniziato.
Ora sono qui, ho conosciuto dei bravi ragazzi, abbiamo degli amici in comune. Mi hanno detto che voi potete starmi vicino, aiutarmi. Cerco chi può aiutarmi a fare luce su quello che è veramente il carcere. E’ dittatura, abusi, menefreghismo, strafottenza verso persone detenute.
Nel 2011 sono uscito e ho fatto proteste eclatanti: mi sono arrampicato sul comune di Ardea, ufficio case popolari, dove chiedevo lavoro, diritti, fondo ex-detenuto e mi è stato rifiutato tutto. Le guardie nel 2013 mi vengono a casa e mi dicono: stai mettendo in difficoltà il sindaco e altre persone, fa una cosa, smetti, dai retta a noi, se non te carceramo così non dai più fastidio a nessuno, il lavoro non c’è per quelli normali, lo vuoi tu che sei un ex-tossico e detenuto.
Il 1°luglio 2013 se esco assolto, mi incateno al carcere per chiedere più rispetto per i detenuti al 14bis, più umanità, più rispetto per le persone, più diritti al reinserimento; per chiedere per me, per chi uscirà dopo di me di avere la dignità del lavoro, del riscatto con se stesso e con la società. E voglio aiutare con la mia coerente ostilità tutti i detenuti, facendo proteste pacifiche, ma devastanti, dove dirò tutto quello che non viene capito fuori.
Non ci sono educatrici che ci reputano persone con possibilità, ma detenuti che tendono a delinquere. E questa è la vera sconfitta della società. Questo pensiero ipocrita sporco, pieno di veleno. Loro sono le prime a farsi vedere solo per i consigli disciplinari, per punire, chiudere. Non esiste un legame tra assistenti sociali interni e quelli esterni.
Mi incatenerò appena mi fanno uscire, tra un giorno, un anno, 10 anni. Userò il mio tempo per arrivare a quel giorno, dove spero, con l’aiuto di persone che vogliono veramente cambiare (e io ci riesco pure da solo a farmi sentire) il sistema di queste carceri, che se non fai come dicono loro sei da mettere in isolamento; se protesti il DAP ti spedisce a 1.000 km come ha fatto con me in Sicilia; ci ricatta, ricatta detenuti che fanno i colloqui e hanno da perdere. In questo modo si soffoca la giustizia, la dignità, l’onore, la fedeltà a rispettarci i diritti.
Vi chiedo se potete starmi vicino, se mi scrivete. Ne sarei felice e non mi fa sentire solo o pazzo. So che voi ci siete e spero anche per me. Purtroppo non posso fare i colloqui, mio padre è morto, i miei abitano a Frosinone… insomma, vi chiedo di starmi vicino se potete e volete. Non mi ritengo né innocente né pazzo, sono solo un detenuto come tanti che si è stufato delle prepotenze eingiustizie e ora dichiaro guerra.
Ciao vi ringrazio, scrivete.

Velletri 27 giugno 2013
Arialdo Selnistri, v. Campoleone, 97 - 00049 Velletri (Roma)


Lettera dal carcere di S. Remo (imperia)
Ciao carissimi compagni e compagne, oggi con grande gioia ho ricevuto il vostro opuscolo del mese di maggio e mi accingo subito a rispondervi.
Qui nel carcere di Sanremo Valle Armea, come già saprete non funziona nulla e siamo come tutti gli istituti lagher d’Italia, in condizioni pietose di sovraffollamento, ma come al solito i nostri politici scrivono o comunicano tramite televisione o giornali solo falsità e false speranze. Ma noi alla fine ci siamo abituati a tutte le porcherie che fanno questi politici di merda.
Qui sanno solo farci piccole ripicche e stupidi giochetti da ignoranti, tipo il non farci entrar le bozze del disegno di legge che stanno facendo in questi giorni; e tutta una serie di cose così. Ma sopportiamo e non abbassiamo la testa.
Ciao cari compagni/e, a presto.

Marco Tassone, via Valle Armea, 144 - 18038 S. Remo (Imperia)


lettera dal carcere di bergamo
Ciao […] Sono in carcere a Bergamo e sono stato trasferito dal carcere Pagliarelli [a Palermo, ndc]. Sono in isolamento da 6 mesi perché non voglio stare in cella con 3-4 persone. Con quei bastardi e razzisti del Pagliarelli mi sono lasciato con una denuncia perché ho mandato a fan culo il commissario del carcere. Poi sono stato 1 notte a San Vittore e ho dormito in isolamento. E li ci sono 6 persone in cella. Io non volevo entrare in cella, ho detto che preferisco dormire in corridoio. Una guardia mi ha messo le mani addosso e io ho risposto e dopo un tira e molla ho dormito solo in cella. La mattina presto mi hanno portato qui a Bergamo.
Qui ho parlato col commissario serpente e lui mi dice che lavorare qui per me è difficile perché io voglio stare solo in cella e in Italia questo è un “lusso”. Ma io già conosco commissario e direttore, dal 2006 dal carcere di Opera. Ho già mandato a tutti e due in quel posto lì. Poi qui mi sono procurato 10 euro e ho mandato una lettera raccomandata a Strasburgo e ho chiesto a loro di condannare il governo italiano per tutte le porcherie che mi hanno fatto in questi 15 anni di galera. Mi è arrivata la ricevuta di ritorno e adesso aspetto loro.
Non ho famiglia. Una mia amica che mi è vicino da tanti anni è in ospedale e sta molto male. Si chiama […] di Padova. Sono costretto a chiedere a te se ti è possibile di trovare una persona che mi vuole aiutare. Qui in isolamento ci sono tanti poveri come in tutti i carceri italiani. Io ho parlato col comandante e ho detto a lui che loro ogni giorno commettono crimini contro l’umanità e che non possono chiudere in piccole celle 3 persone. Mi ha detto che non è colpa sua.
Quei detenuti che hanno la “fortuna” di pulire il corridoio sono pagati 30 euro al mese e tutto va “bene”. Ma come è “bella” sta “democrazia” italiana… E poi se non sei un infame e “lecchino” non c’è niente per il detenuto. E a loro piace tanto vedere le persone che soffrono, sti parassiti di merda. Per adesso mando tanti saluti a te e a tutte le compagne e i compagni.

23 giugno 2013
Sabanovic Jasmir, via Gleno 61 – 24 125 Bergamo


lettera dal carcere di lenzburg (svizzera)
Marco di fronte allo stato svizzero: uno scontro feroce ormai ultratrentennale… possiamo vincerlo solo unendoci fuori assieme a lui, che qui, nel suo 5.Update, ci descrive le più recenti fasi di una lunga e dura battaglia.

7 maggio 2013: ricevo ordinanza del 30 aprile 2013 della direzione di giustizia con il previsto rigetto del ricorso contro la seconda non-liberazione da parte del DAP.
28 maggio 2013: inoltrato appello al TAR di Zurigo contro detta ordinanza. Ovviamente chiedendo il gratuito patrocinio e processo, finora sempre “concesso”.
29 maggio 2013: arriva l’atteso rigetto del DAP dell’istanza per il trasferimento in “regime aperto”.
Come già esposto nei miei precedenti Update, i contenuti di queste ordinanze e di questo appello sono in pratica le fotocopie delle precedenti tarantelle giuridiche ed anche questi atti li ho diffusi. Lo stesso ho fatto con l’ordinanza TAR riguardante l’appello 28 maggio 2013, in cui il TAR il 6 giugno ha ordito la seguente infamia.
Cito dall’ordinanza firmata dal presidente della terza sezione TAR, Rudolf Bodmer: “Nell’appello il ricorrente chiede tra l’altro la concessione del gratuito patrocinio e processo. Per la mancanza di mezzi adduce che questa sarebbe nota al tribunale, e non la prova. Solo dal fatto che il ricorrente è da molto tempo in esecuzione penale non risulta per forza che è sprovvisto di mezzi. Perciò bisogna fissargli un termine (30 giorni) affinché provi la sua mancanza di mezzi… In caso contrario si supporrebbe rinunci al trattamento dell’appello”…
Si tratta anzitutto del meschino tentativo di sbarazzarsi del trattamento di un appello politicamente e giuridicamente scottante. E di ulteriori “spese”. Che sono sempre più massicce grazie a questo tipo di malefatte sempre più costose e frequenti della giustizia di classe.
“Stato di diritto” docet…! Ecco un altro capitolo esemplare di “lezione civica” dello stato in barba alla sua facciata “liberaldemocratica occidentale”, si mostra sempre più apertamente fascista e totalitario.
Chi ora con roboante certezza reazionaria, opportunista, contro ogni evidenza, o per vile ipocrisia, vorrebbe liquidare la definizione fascista e totalitario come voce “estremista e violenta” aberrante, o peccando di ingenuità anche solo come esagerazione, rimando (p.es.!!!) all’articolo della NZZ del 17.06.2013 (Casco nel diritto penale / Professori, avvocati e psichiatri dell’area linguistica tedesca a Zurigo mettono in guardia dall’isteria sicuritaria) sul congresso di esperti in diritto penale di tre paesi (Svizzera, Austria, Germania) tenutosi il 14.06.2013. L’articolo citato termina con le seguenti considerazioni (le sottolineature sono mie):
“[…] La sicurezza e non la libertà sarebbe oggi il primo obiettivo e, nel contempo, sarebbe diminuita la tolleranza nei confronti di deviazioni e trasgressioni della norma. (Un perito forense) rimanda come ammonimento e esortazione all’esperienza nel Terzo Reich: allora sarebbe stato in primo piano non il diritto penale esercitato rispetto al reato, ma il diritto penale preventivo e i potenti ne avrebbero fatto un massiccio uso”.
Nell’attuale precipitazione della crisi globale del capitalismo imperialista tecno-scientifico l’impiego della prevenzione è abusato, ampliato e accelerato a livello mondiale dai potenti attuali in modo ancora più massiccio e senza precedenti: a sostegno della contro-insurrezione e controrivoluzione preventiva e contro ogni dissenso e resistenza! Con il marchio antiterrorismo. In realtà autentico diritto penale contro il nemico – Feindsstrafrecht.

Marco, lager di Lenzburg, giugno 2013
Marco Camenisch PF 75 – 5600 Lenzburg (Svizzera)


A proposito della sezione femminile del carcere di Torino…
Lettera aperta di una ex detenuta del carcere delle Vallette
È nel corpo che si sente la sofferenza immediata del carcere. Vi racconto le piccole materialità che traumatizzano le membra e fanno del carcere di Torino una delle galere più invivibili (a detta di chi di galere ne ha girate molte e a lungo).
Nel femminile, diviso in 4 sezioni, sono collocate circa 200 donne, 2 in ogni cella.
Le celle sono piccole e scure, hanno dimensioni di 4 metri per 2 nello spazio abitativo che dispone di un letto a castello, un tavolino a muro, 2 sgabelli - se si è fortunati - e 4 piccoli pensili.
Il bagno è di dimensioni 4 metri per 1 con water, lavandino e bidet. In cella non c’è acqua calda, che è invece fredda e terribilmente terrosa. Se lasci la moka bagnata il giorno dopo puoi scorgere la traccia grigiastra lasciata dall’acqua. Se le due concelline non sono entrambe smilze e piccoline è quasi impossibile muoversi contemporaneamente senza toccarsi e intralciarsi.
Le finestre sono piccole e basse, infossate verso l’interno e circondate da sbarre e da una grata a maglia fine (messa dopo la protesta delle lenzuola). L’aria già riciclata dall’esterno, chiusa dalle alta mura dei vari perimetri, non riesce a circolare e ad arieggiare la cella. Chi ha problemi di claustrofobia ed asma ne patisce molto.
Di conseguenza il minimo da pretendere è che le celle rimangano aperte, mentre c’è la possibilità di uscire dal proprio cubicolo solo 4 ore su 24.
Dalle 9 alle 11 della mattina c’è la possibilità di uscire all’aria, in un cortile spoglio con alte mura e nessuna fontana. Nello stesso orario è concesso fare il bucato e la doccia con l’acqua calda in un unico locale che dispone di 3 docce e un lavandino. Solo 3 persone alla volta possono recarsi a fare la doccia, in sezione si è in 50 donne.
Al pomeriggio la stessa storia. Dall’una alle tre c’è l’aria e ci sono le docce aperte. Se non si fa né l’una né l’altra si rimane chiuse.
All’aria c’è una rete di pallavolo e due porte barcollanti da calcio, ma c’è solo una palla bucata e sgonfia con cui oltre che calciarla per scaricare il nervoso non si può fare nessun gioco.
In più le guardie portachiavi riducono il tempo d’apertura. Ad un quarto aprono e a meno un quarto chiudono, mai all’orario giusto.
Riassumendo… la concomitanza degli orari dell’aria e della doccia riduce il tempo di stare all’aperto e crea l’impossibilità di fare entrambe le cose. Le docce sono poche e fanno schifo, il soffitto è giallo dall’umidità e sgocciola, l’acqua troppo dura fa squamare la pelle, lo spazio per l’aria è triste, troppo assolato e senza fonti d’acqua corrente durante l’estate, senza riparo per l’inverno. Una bella lista di ovvi motivi per lottare. I tempi e gli ambienti delle ore d’aria sono fondamentali per un minimo di sopravvivenza possibile.
Rispetto alla possibilità di fare movimento e sport… ecco non c’è nessuna possibilità.
Esiste una palestra, inagibile da oltre un anno. Hanno aperto un corso di pallavolo per 15 persone che hanno fatto richiesta e dopo mesi sono state chiamate a partecipare.
L’inattività, causata da mancanza di strutture e mezzi, facilita il corpo a sformarsi, a deprimersi di più, a non avere la stanchezza sufficiente per dormire, a trattenere il nervoso, il malessere e la mente affranta. Gli spazi ci sono e dovrebbero essere utilizzati. Ma possiamo aspettare che qualcuno ce li conceda per generosità o sarebbe ora di esigerli con forza?
Per ogni malessere non fisico il carcere propone la Terapia. La visita dallo psichiatra è quella più suggerita dalla direzione carceraria e la somministrazione di farmaci consigliata dallo psichiatra la più generosa.
La maggioranza delle detenute utilizza psicofarmaci per affrontare la sofferenza e l’insonnia. Il carrellino dell’infermeria passa tre volte al giorno per dispensare anestetici all’angoscia della carcerazione.
Per i mali fisici, per qualsiasi male, c’è il Brufen. Mal di collo, Brufen, mal di schiena, Brufen, mal di denti, Brufen… e così via.
Il personale medico non pare così professionale, a volte di fronte a non ovvi malesseri si destreggia nello sperimentare miscugli di farmaci. Al femminile ho visto donne gonfiare con il passare degli anni (io sono entrata più volte per brevi soggiorni), altre dimagrire di molti, molti, molti chili, altre mi hanno raccontato di terribili mali a causa di cure dentistiche errate e rimedi bestiali, siringhe di miscugli di antidolorifici intramuscolo. (Se hai male ai denti è la fine. Il dentista in carcere fa schifo, se si sta anni dentro con qualche problema ai denti si rischia di uscire sdentate).
Ricordo che lo scorso Natale nella sezione maschile è morto un detenuto per una terapia sbagliata. Il caso è rimasto all’oscuro. Qualche suo compagno di sezione ha protestato per l’accaduto, ma come risposta ha ricevuto un immediato trasferimento in un altro carcere. I tentativi di zittire chi prende il coraggio di raccontare non devono scoraggiare. Affinché questi episodi non colpiscano più chi è costretto all’interno di un carcere, per la propria incolumità, le violenze, gli abusi e la negligenza di chi gestisce queste gabbie dovrebbero essere diffuse il più possibile e la vigilanza di chi è dentro dovrebbe essere al massimo grado, altro che psicofarmaci.
I problemi di salute derivano anche dall’alimentazione.
Il cibo che passa il vitto è abbondante, ma spesso è immangiabile e misterioso. Nei carrelli della casanza si sono visti frittate spugnose, sughi di carne e hamburger verdi, pasticci di patate acidi, riso sempre crudo e uova vecchie. Chi non ha soldi, chi vive da anni senza alcun legame con fuori o con una famiglia indigente impossibilitata ad aiutarla, oppure chi si è vista arrestare e sequestrare le proprie cose sospettate de essere i proventi dell’attività illecita commessa, si vede costretta a doversi cibare principalmente del cibo che passa il carcere. Diventa impossibile concedersi quei piccoli vizi che ti renderebbero un po’ più lieta, e allora rimandi tutto al desiderio.
L’amministrazione offre a chi non ha soldi 15 euro al mese. Con 15 euro puoi comprarti un pacco di caffè, un pacco di carta igienica, uno shampoo, un bagnoschiuma, un pacco di assorbenti, un pacco d’acqua da 6 bottiglie e un dolcino di quelli economici. E i francobolli? Le buste? Una penna? Una bottiglia d’olio per condire l’insalata? Sei poverella? Mangi insipido e sei costretta ad elemosinare i bolli.
I prezzi dei prodotti della spesa sono in continua variazione, solitamente in crescita. Si sospetta che i prezzi siano aumentati rispetto ai prezzi del supermercato, a volte la cosa risulta palese, quando il prezzo originario è ancora appiccicato sulla scatola da dove vengono distribuiti i prodotti. Dove va quel sovrapprezzo? Ad alimentare l’amministrazione carceraria che si lamenta di mancanza di fondi e di scarsità di strumenti? Secondo le normative i prezzi della spesa in carcere dovrebbero essere uguali alla prima area di commercio al di fuori. Risulta difficile capirlo visto che non esiste un elenco noto con la lista di tutti i prodotti disponibili elencati con relativo prezzo precisato. Quindi altro che mantenuto dallo Stato come suole dire la gente indifferente, il carcere è mantenuto dalle stesse detenute che inoltre lo puliscono in cambio di una paga misera e ancora più misera se hai una pena definitiva, dai soldi dello stipendio ti tolgono le spese del vitto e dell’alloggio carcerario.
Altra privazione che è degna di nota è l’impossibilità di tenere il fornellino in cella per 24 ore. Esso viene ritirato alle 9 di sera alla chiusura dei blindi e ridato alle 7 del mattino. E se qualcuna insonne volesse farsi una camomilla oppure degli spaghetti aglio, olio e peperoncino? O se qualcun’altra è mattiniera e vuole bersi il caffè alle 5? “I fornellini non rimangono nelle celle perché alcune detenute sniffano il gas” questa è la scusa che hanno utilizzato le guardie, l’ispettrice e i colleghi civili, mettendo le detenute le une contro le altre, sniffatrici di gas contro cuoche notturne. E perché non incazzarci con chi ha deciso di togliercelo? C’è chi tre volte al giorno somministra terapie stordenti, chi chiude e rinchiude con mille mandate porte che ci fanno soffocare, che portano al suicidio… si preoccupano che con del gas una si possa stordire e così giustificano il fatto che ci possono levare tutto?
Non sarebbe ora di smettere di essere trattate da scolare monelle, ma di comportarci come donne dignitose che si incazzano e si riprendono quello di cui hanno bisogno?
In carcere si sopravvive grazie agli incontri. Nonostante la storie completamente differenti si trovano donne con le stesse paure e la stessa voglia di libertà. C’è sempre una storia divertente o colma di sfighe che vale la pena di essere ascoltata. A volte nascono discussioni su vicende avvenute nel trantran quotidiano, sui fatti di cronaca con punti di vista strampalati, su sogni su fuori, su vicende del passato, su lamentele sullo schifo del carcere. Non c’è mai tempo però per parlare a lungo. Le ore d’incontro sono quelle d’aria, da far incastrare con la doccia e due ore la sera di socialità (si può stare in 4 in cella). È poco il tempo per superare la superficialità delle cose che si dicono, per iniziare a dire le cose che si pensano, non sufficiente per concluderle. Proprio impossibile invece è comunicare con le altre sezioni dello stesso braccio. Al femminile si sono solo quattro sezioni una vicina all’altra ma è come se fossero distantissime, se sei in terza non sai quasi nulla di quello che succede in prima e sono una sull’altra.
È vietato ogni tentativo di comunicare. Se urli troppo dalla finestra per parlare con una tua amica che è in un’altra sezione vieni rimproverata. Con il maschile nel 2011 esisteva ancora la posta libera, senza dover mettere i francobolli. La corrispondenza era fitta, nascevano rapporti epistolari d’amore e c’era l’opportunità di scambiarsi informazioni sulle differenti situazioni di detenzione, di far girare notizie di maltrattamenti e ingiustizie, di tirar su il morale di uno/a sconosciuto/a. Oggi le lettere interne bisogna spedirle, e il tempo di una risposta può essere anche di due settimane, perché l’attesa di una missiva che esce dal carcere ha inspiegabilmente questa durata. Riducendo al minimo l’incontro fisico con le compagne di detenzione, aumentando le distanze tra sezioni differenti, tra maschile e femminile, tra dentro e fuori i legami sono più fragili, aumenta la sensazione di isolamento, diminuisce la possibilità di far girare notizie di maltrattamenti, pestaggi o iniziative di protesta che se comunicare velocemente potrebbero avere una simultanea reazione solidale nelle altre parti del carcere e fuori.
Ma per superare le difficoltà di comunicazione, e gli ostacoli che l’amministrazione penitenziaria frappone internamente tra i detenuti e tra i detenuti e il mondo di fuori è necessaria la consapevolezza che la solidarietà e la determinazione individuale e collettiva sono gli unici strumenti che abbiamo contro le violenze, gli abusi e le umiliazioni che subiamo quotidianamente. Se ci lasciamo drogare tutti i giorni, se accettiamo passivamente le condizioni in cui ci costringono a vivere, se continuiamo ad essere isolate e indifferenti perdiamo la dignità che sola ci rende libere tra quelle mura e non costruiamo nessuna ancora di salvataggio a cui aggrapparci per resistere al mare aperto in cui siamo esiliate.

1 luglio 2013
da informa-azione.info


Sulla manifestazione attorno a S. Vittore del 15 giugno 2013
Questa giornata è riuscita solo in parte a realizzare il dichiarato proposito di unire a sé i familiari che si recano al colloquio, al fine di sostenere chi dentro resiste e si batte contro uccisioni, pestaggi, isolamenti, sanità devastante, tutto ciò compreso assieme ai loro vigliacchi e sporchi intrecci d’ogni tipo, per la riduzione delle condanne, per una liberazione anticipata uguale per tutte/i, contro il potere in apparenza inattaccabile del comando (DAP) sul carcere.
Per raggiungere questo scopo l’orario d’inizio della manifestazione è stato fissato per mezzogiorno, in modo da incontrare direttamente i familiari in entrata e/o in uscita. In effetti c’è stata una maggiore partecipazione dei familiari, anche negli interventi e saluti al microfono, tuttavia l’orario mattutino ha tenuto inevitabilmente lontani/e tante/i compagne/i.
Il piccolo corteo (eravamo circa 80), preceduto dallo striscione “Carceri sicure da morire”, è riuscito ad ogni modo a entrare nel vicino mercato all’aperto a parlare direttamente alla gente, diffondere volantini anche in arabo; a girare attorno al carcere, esprimendo sostegno-solidarietà con valutazioni di analisi, letture di lettere, saluti, slogan come “Fuori tutti dalle galere dentro nessuno solo macerie”.
Questa, in generale, la complessa realtà da tener presente assieme alla possibilità-necessità di far conoscere esistenza e scopi di questi presidi-manifestazioni contro il carcere direttamente alle persone sulle cui spalle il carcere pesa maggiormente: i/le giovani immigrate/i e, le loro famiglie abitanti nei quartieri proletari della città.
Tutto ciò, in fondo, reclama una riflessione teorica-pratica da compiere con una certa speditezza proprio mentre dentro la situazione è in continuo e interessante movimento. Anche a S. Vittore nelle settimane scorse ci sono state proteste (battiture, scioperi del carrello…) per i fattori più diversi.
Milano, luglio 2013
Solidarietà con i detenuti del carcere di Trento
Segue un testo volantinato e attacchinato a Trento e Rovereto, oltre che distribuito ai parenti dei detenuti del carcere di Spini di Gardolo all'entrata e all'uscita dei colloqui.

Negli ultimi mesi i detenuti del carcere di Spini di Gardolo (TN) hanno fatto uscire diverse notizie sulle condizioni di vita e i maltrattamenti da parte delle guardie. I loro racconti parlano di: ripetute violenze psicologiche e fisiche dei secondini verso i detenuti (un esempio su tutti: l’umiliazione della “corsetta” che i secondini pretendono dai detenuti che vanno in socialità. Questa cosa capita a molti detenuti. A chi si rifiuta di far la “corsetta”, suscitando le risatine del secondino di turno, si chiude il cancello e si nega la socialità); minacce ai prigionieri più combattivi; trasferimenti punitivi da una sezione all’altra; licenziamento dal lavoro interno (spesso unica, e minima, possibilità di avere qualche soldo) per chi protesta; ripetute perquisizioni nelle celle; provvedimenti disciplinari; minaccia di sottrarre libri e manifesti; ritardi nella distribuzione della posta; un’ora sola alla settimana per andare in biblioteca; impossibilità di acquistare lamette da barba (con conseguente affollamento dal “barbiere”, il che causa scarsa igiene e perdita di molto tempo sottratto all’ora d’aria); perquisizione totale con i piegamenti prima dei colloqui (un detenuto che si è rifiutato di subire quest’umiliazione è stato preso a sberle dalle guardie, in sei contro uno); 30 celle senza tv; detenuti costretti a rimanere in carcere anche se malati di AIDS o epatiti, e il sabato e la domenica non c’è neanche un medico all’interno del carcere.
Scioperi della fame, scioperi del carrello (cioè il rifiuto del vitto fornito dall’amministrazione del carcere), documenti collettivi sottoscritti da un centinaio di detenuti sono alcune delle risposte a questa situazione assieme ad altre proteste che una parte dei prigionieri ha effettuato contro le condizioni di vita che vengono loro imposte, contro i maltrattamenti dei secondini (ad esempio il mancato soccorso dei detenuti che stanno male) che dentro a Spini di Gardolo la fanno sempre più da padroni.
Lo sanno bene anche i parenti dei detenuti che anche solo durante i colloqui hanno un “assaggio” del trattamento umiliante che i loro cari subiscono dentro le mura carcerarie (ad esempio l’ultima trovata dello “spogliarello” durante la perquisizione per entrare ai colloqui).
Se non vogliamo continuare a subire dicendoci “fino a qui tutto più o meno bene”, cominciamo a confrontarci per risolvere alcuni dei problemi più urgenti della vita carceraria, fino ad arrivare ad affrontare la questione che le racchiude tutte, ovvero la libertà per tutti i detenuti.

28 giugno 2013
anarchici e anarchiche
da informa-azione.info

lettera dal carcere di rebibbia (roma)
Segue una lettera di Francesco, compagno arrestato a Bercellona in seguito alle condanne in merito alla rivolta del G8 di Genova 2001, che è stato estradato verso l'Italia. Dovrebbe essere di transito per il carcere di Rebibbia, attendiamo conferma della destinazione definitiva.

Ciao raga! Come va?? Ho ricevuto e vi ringrazio la lettera con dentro il giornale. Vi allego foglio [una notifica al compagno da parte dei carcerieri di Soto del Real di Madrid, relativa al sequestro in cella di un “cuaderno”, ndr], me l’hanno tolto durante una perquisa in cella. Niente di che… “rientrava” in una giornata di repressione psicologica (che alla fine mi son fatto quattro risate).
Praticamente già avevo capito che la giornata non era di quelle tranquille. Anziché aprire la cella per il passeggio, rimaneva chiusa. Come mai? Dopo 30 minuti in un’ “area” mi hanno fatto ‘sta perquisa. E’ stata un po’ schifosa perché hanno buttato vestiario pulito (anche se non fosse) dentro un secchio con acqua e sapone, e il resto sul pavimento. Ad ogni modo ci sono abituato.
Dopo un’ora venivo convocato, tramite locutorio (vetro divisorio) da vani della polizia spagnola. Mi chiedevano, in cambio di denaro, vestiario e magari possibilità di sconto pena… dove fossi stato, nomi, cognomi, indirizzi (son venuti con la scusa, per farsi autorizzare un colloquio, di una bomba alla cattedrale di Madrid, tutto falso). Mi sono annoiato perché parlavano solo loro due! Dove sono stato? Forse sulla luna? Su Marte? Sapete? Tutto in una volta sono caduto sulla terra a Soto del Real! Poi con ironia mi hanno detto come mi trovavo in quel reparto. Risposta: un bel sorriso! Adios! Si, perché in sostanza sono stato al modulo 15/Fies in cella singola con i ragazzi dell’Eta. Veramente grandi, stragrandi, proprio persone di cuore. Infatti li ringrazierò per sempre, per non aver fatto mancare niente (dico, sigarette, schede per il telefono, bolli ecc. ecc.), ma non solo, soprattutto psicologicamente parlando sono stati di grande aiuto!
Ma ritornando al discorso di prima dei cani di Madrid, cosa volevano?
Ultimamente sono al G8 [una sezione del carcere di Rebibbia, ndr] e oggi sono nella merda, con tutti ‘sti anni! Per la verità ho fatto il vagabondo! Sono stato trasferito qui a Rebibbia venerdì 4 luglio da agenti dell’Interpol. Ora come ora sono alla sezione transiti, che in realtà è isolamento: deve/devono decidere al DAP oppure ‘sto carcere oppure ancora il ministero in quale sezione mandarmi.
Non rimandatemi il giornale tanto l’avevo letto e straletto… 21 ore su 24 in cella senza tv, nada, figuratevi!! Vi chiedevo una cortesia, se potete… Praticamente non ho news della mia compagna dal 1° luglio, ultima telefonata con lei, perché poi è partita alla volta della Sicilia/Catania, non so come sta… se gli han fatto complicità con me una volta arrivata in Sicilia. Insomma, vi scrivo qua un po’ di me poi voi fate come il vostro cuore vi dice…
Un saluto di cuore sinceramente! Francesco.

8 luglio 2013
Francesco Puglisi, via Majetti, 70 - 00156 Roma

***
[…] vi propongo un nuovo scritto di scottante attualità e voglio segnalarvi che il giorno 11 luglio nell’area verde del penitenziario e nell’ambito dell’Estate romana, si terrà una grande festa con ospiti illustri in onore dei bambini sotto i tre anni, che vivono nella sezione femminile con le loro mamme. Agli ospiti sarà offerto in vendita il mio libro “Favole da Rebibbia” (consultabile su internet) ed il ricavato, integralmente, sarà destinato all’acquisto di giocattoli, vestitini, alimenti ecc. per questi bambini sfortunati.

Pietà per i bambini
Tra le tante problematiche che affliggono il pianeta carcere vi è il disagio degli oltre 100.000 bambini che si recano a fare visite al genitore detenuto e diventano vittime di colpe di cui sono assolutamente innocenti. Sconvolti dall’improvvisa assenza, emarginati dalla scuola, sono turbati da quelle rare visite, condite da attese interminabili, perquisizioni, sequestri di giocattoli, pianti e grida disperate. Divengono di colpo poveri, perché è venuta meno l’unica fonte di reddito (lecita o illecita) della famiglia. Non sanno spiegarsi il perché si ciò che è successo, ma ne percepiscono la gravità dalle lacrime che all’improvviso inondano la casa.
Gli incontri con i propri figli sono uno dei pochi conforti concessi ai detenuti e sono l’unico modo per mantenere unita la famiglia.
Il 90% dei penitenziari italiani non permette visite la domenica o compatibili con gli orari della scuola. E stiamo parlando di bambini fortunati, perché italiani, mentre tanti stranieri (oramai il 40% dei detenuti) non vedono per anni i propri familiari, basterebbe skype, e questi nostri fratelli potrebbero, a costo zero, veder crescere i propri figli e rimanere loro vicini, anche se si trovano a migliaia di chilometri di distanza.

Achille Della Ragione, v. Majetti, 70 - 00156 Roma


lettera dal carcere di ferrara
All’associazione ampi orizzonti e specialmente a Olga, un cordiale saluto e tanti auguri di buon lavoro… Vi chiedo scusa per il ritardo della mia risposta, sono un po’ giù dimorale e in pensiero ma vi scrivo lo stesso, almeno così mi distraggo un po’ (come dice il grande Lucio Dalla).
Adesso vi voglio raccontare una piccola cosa mia. Come sapete e vi ho scritto già, sono in carcere da 2 anni, mi hanno arrestato a Ferrara il 14 giugno 2011; sono stato trasferito a Tolmezzo il 10 giugno 2012; poi mi hanno riportato a Ferrara il 3 aprile 2013. Stò qui da due mesi e mezzo circa. In tutto questo tempo ho lavorato un mese, ed è stato ad aprile 2012. L’altro giorno ho parlato con l’ispettore per chiedergli quando, se magari, mi fanno lavorare. La risposta è stata: “Bernawi lo sai come funziona, prima conta da quanto tempo sei qui, poi non ci sono soldi, fai qualche mese volontario e poi devi aspettare”…!?!
Per uno come me che ha la condanna superiore a 8 anni e mezzo ho chiesto il trasferimento in una Casa di reclusione o in una Casa di Lavoro, invece mi trovo qui a sentire queste risposte agghiaccianti da una persona menefreghista. Da 2 mesi e passa faccio richiesta per parlare con il comandante; ma, a dire il vero, so che qui non c’è comandante, qui comandano tutti e se mentre vado in doccia la mattina mi fermo a prendere una cosa da un altro paesano mio, se è di turno una guardia razzista inizia subito a dire “qui non sei a casa tua!” E per questa frase sono venuti due volte a perquisire la cella, pure di domenica, perché gli avevo risposto: “Casa mia, però alla fine ci rimani solo tu”. Per questo, saluto tutti i detenuti e gli dico di tenere duro e di non abbassare mai la testa a queste cosette con la divisa… Grazie di tutto.

luglio 2013

MORIRE A VENT'ANNI...
Volantino distribuito davanti al carcere di Monza
Il 26 giugno 2013, con quasi un mese di ritardo, giunge ai giornali locali la notizia di un ennesimo ragazzo morto di carcere a Monza.
Il decesso di Francesco Smeragliuolo, 22 anni, sarebbe avvenuto l'8 giugno ma la vicenda presenta molti punti oscuri e non è chiara la dinamica del fatto. L'informazione è riuscita solo ora a superare le mura del carcere grazie alla presa di coscienza di sua madre che si è rivolta all'Osservatorio permanente sulle morti in carcere denunciando che suo figlio aveva perso 16 chili in un mese e che nell'ultimo periodo le diceva di non sopportare più le disumane condizioni della sua reclusione monzese.
Secondo l'autopsia sarebbe morto per arresto cardio-circolatorio ed si escluderebbe l'intossicazione da farmaci o droghe.
A noi il fatto è stato comunicato con rabbia qualche giorno prima che uscisse sui giornali in una lettera scritta da un detenuto suo amico. Non avendo però trovato conferme dalla stampa e non sapendo il nome del deceduto, omesso nella lettera, abbiamo deciso di cercare maggiori informazioni prima di fare uscire pubblicamente la notizia... bene adesso è pubblica come pubblico è lo sdegno e la rabbia che sapremo esprimere davanti alle mura di Sanquirico.
Tramite Radiocarcere siamo venuti a conoscenza di maggiori dettagli ma non potendo essere verificati evitiamo di renderli pubblici data la delicata situazione. Aspettando che la corrispondenza galeotta che intratteniamo con i detenuti ci fornisca nuove informazioni in grado di far luce sulla vicenda, invitiamo tutti, parenti e detenuti, a segnalarci qualunque dettaglio sulla morte di Francesco o sulla sua vita reclusa degli ultimi mesi.
In un carcere come quello di Monza, , si continua a morire, condizione comune alle altre strutture penitenziarie. Sono infatti, nel solo mese di giugno, undici i detenuti morti nelle prigioni italiane: quattro per suicidio, tre per malattia e quattro per cause ”da accertare”.
Da inizio anno i detenuti suicidi sono 27 e il totale dei decessi in carcere e’ di 85.
Ma la scia di morte del carcere monzese è lunga e l'ultimo decesso è l'ottavo dal 2002 ad oggi, con un'impennata negli ultimi due anni. Infatti dal 2011 al 2013 sono già sei i morti a Sanquirico, una cifra agghiacciante. Un'altra vittima dello Stato che si va ad aggiungere ad una lista che ogni giorno si allunga sempre più.
E i casi che emergono sono solo la parte più evidente di una serie di soprusi e morti che ogni giorno riempiono le cronache italiane. Mentre i politici approvano il loro piano carcere, l'ennesimo provvedimento tampone, l'ennesimo tentativo di guarire la malattia curando il sintomo, l'ennesima lacrima di coccodrillo di un potere sempre più lontano e estraneo alla vita degli individui, i reclusi muoiono.
Difficilmente lo Stato condannerà i suoi sgherri e il suo sistema di morte che sempre più viene fatto pagare agli emarginati e agli sfruttati in genere.
Massima vicinanza alla famiglia di questo ennesimo morto di stato.
DI CARCERE NON SI DEVE PIU' MORIRE MA NEMMENO VIVERCI!
CON LACRIME DI RABBIA URLIAMO: BASTA CON IL CARCERE! LIBER* TUTT*!

Luglio 2013
CordaTesa - cordatesa.noblogs.org - cordatesamonza@autistici.org


Resoconto dell'iniziativa del 4 luglio a Tolmezzo
Giovedì 4 luglio, presso il tribunale di Tolmezzo, si sarebbe dovuto svolgere il processo a carico di Maurizio Alfieri e Valerio Crivello, accusati di aver reagito alle provocazioni di un infame (collaboratore di giustizia e della direzione penitenziaria) quando si trovavano nella sezione di isolamento del carcere cittadino. Due giorni prima, il tribunale ha revocato l'autorizzazione alla traduzione di Maurizio e Valerio perché in aula non si sarebbe tenuto alcun dibattimento, ma solo un rinvio di data.
La prossima udienza è stata fissata per il 7 ottobre presso il tribunale di Udine. Maurizio sarà presente, mentre per Valerio il Ministero della Giustizia ha disposto la videoconferenza (l'avvocato dovrà capire se la legge garantisce o meno tale potere al Ministero, non essendo Valerio sottoposto al 41 bis). Sarà importante essere presenti il 7 ottobre, per ribadire che i giochetti di tribunale non spezzano la solidarietà.
Per il 4 luglio si è deciso comunque di mantenere l'iniziativa a Tolmezzo. Per tutta la mattinata, di fronte al tribunale, si è svolto un presidio con striscioni, mostre, interventi e
volantini che hanno movimentato un po' la tranquillità cittadina.
Circondati da Digos, sbirri e carabinieri, compagne e compagni hanno ricordato i pestaggi compiuti dalle guardie nel carcere di Tolmezzo (organizzati dal brigadiere Massimo Russo, poi trasferito nel carcere di Udine, coperti dalla direttrice Silvia Della Branca e protetti dalla magistratura). Gli striscioni dicevano "A Tolmezzo i secondini pestano, i magistrati li proteggono" e "Solidarietà con Maurizio Alfieri e con tutti i detenuti in lotta". Le mostre riportavano diverse lettere di detenuti del carcere di Tolmezzo e una serie di testi sugli espropri (tra cui un contributo di Maurizio sulla giustezza di rapinare le banche). Diversi i passanti incuriositi dalle mostre e dagli interventi al microfono.
Per ribadire che nel solidarizzare con Maurizio (ancora in regime di 14 bis nel carcere di Terni) non si dimenticano tutti gli altri detenuti, nel pomeriggio un saluto si è svolto sotto il carcere, a cui i prigionieri hanno risposto calorosamente.
Nel suo piccolo, la giornata ha tenuto vivo quel percorso di lotta e solidarietà cominciato a Tolmezzo e che i trasferimenti di Maurizio e Valerio avrebbero voluto interrompere.
Il 7 ottobre saremo ancora più determinati e più numerosi!
6 luglio 2013
compagne e compagni

***
Di seguito uno dei volantini distribuiti durante la giornata.

Contributo dell'assemblea dei familiari, amici e solidali di Stefano Frapporti al presidio del 4 luglio a Tolmezzo
Siamo qui, oggi, come assemblea dei familiari, amici e solidali di Stefano Frapporti, morto nel carcere di Rovereto il 21 luglio 2009. Da quello che ci è capitato direttamente, abbiamo preso consapevolezza di cosa sono la violenza poliziesca e il carcere, e di come la cosiddetta Giustizia assolva sempre lo Stato (la sentenza sull'assassinio di Cucchi lo dimostra ampiamente).
Nel percorso di questi anni, che ci ha portato a manifestare in diverse città, oltre a Rovereto, abbiamo conosciuto Maurizio Alfieri, un detenuto combattivo e solidale. Grazie alle sue tante lettere al circolo “Cabana” (circolo che abbiamo aperto a Rovereto, intitolato a Stefano Frapporti, il cui soprannome era appunto “Cabana”) abbiamo conosciuto gli abusi e i pestaggi commessi nel carcere di Tolmezzo, per aver denunciato i quali Maurizio ha subìto ritorsioni, trasferimenti e isolamento. Maurizio non perde occasione per ricordare Stefano, come ha fatto di recente anche nel carcere di Terni, coinvolgendo nel ricordo di “Cabana” tanti altri detenuti.
Oggi siamo qui perché le nefandezze compiute nel carcere di Tolmezzo – che la magistratura ha sempre coperto – non passino sotto silenzio.
Oggi siamo qui a fianco di Maurizio, perché chiunque si batta per la libertà, la solidarietà e la giustizia sociale è un nostro fratello.

assemblea dei familiari, amici e solidali di Stefano Frapporti


lettera dal carcere di terni
Carissimi/e Compagni/e, dedico questa lettera a tutti/e i compagni/e sorelle e fratelli che insieme a me lottano contro il sistema barbaro e criminale della repressione ed oggi vi scrivo per informarvi di quanto sta accadendo verso la mia persona da parte di qualche organo della "Procura di Tolmezzo".
Ritengo importantissimo mettervi tutti/e a conoscenza di quello che hanno cercato di fare pensando di aver trovato uno sprovveduto e un pivello che non conosce la legge e da alcuni giorni, soprattutto stamattina, hanno cercato di farmi rinunciare al processo (falso) che hanno costruito contro di me e che si svolgerà il 4 luglio a Tolmezzo, proprio tra qualche giorno, con una manifestazione e presidio dei miei compagni/e dentro il tribunale e fuori dal tribunale.
Ebbene è dal giorno 27 giugno che mi chiedono se voglio presenziare all'udienza, ho risposto subito di si ed ho firmato per presenziare ma da quel momento ogni giorno vengono dall'ufficio matricola a chiedermi se voglio rinunciare ed io ho sempre ribadito che intendo presenziare, così l'ultima novità proprio stamattina giorno 1 luglio, dove un agente di sezione è venuto a chiedermi se rinunciavo al processo, in quanto in matricola avevano ricevuto una telefonata del procuratore di Tolmezzo (che non so chi esso sia) dove mi faceva sapere che potevo rinunciare all'udienza perché non si trattava del processo ma di una udienza per "smistamento atti"!!! Sono dei principianti e ridicoli, questa è una farsa e una presa in giro, anche perché nell'ordinanza che ho in mano c'è scritto che è un processo e i miei avvocati sono a Tolmezzo che mi aspettano, per cui erano sicuri di "fottermi" a farmi firmare una rinuncia, così avrebbero detto che ero stato io a rifiutare il processo e si sarebbe provveduto alla contumacia... Questa è una giustizia che fa un uso improprio della legge, che la usa a suo piacimento, oltretutto è un processo costruito dal sistema repressivo, in sei mesi mi hanno rinviato giudizio e fissato il processo , per cui la giustizia non è una lumaca quando vogliono abbattere chi come me ha scardinato abusi e pestaggi nel lager di Tolmezzo, e che quella procura occultava, anzi, dopo i pestaggi processavano anche i detenuti che avevano subito i pestaggi, per oltraggio e aggressione nei confronti dei loro aguzzini... quello che stanno cercando di fare a me (damnatio memoriae) è uno strumento che usavano secoli fa, quando il potere condannava all'oblio un personaggio pubblico considerato un nemico, per cancellare ogni sua traccia dalla storia dopo la sua morte... Questo sarà un buon motivo per me per ricordargli che non sono solo e che il loro sistema "della santa inquisizione" è ormai noto a tutti/e che io sto subendo ritorsioni per aver reso di dominio pubblico abusi, pestaggi e prepotenze che avvenivano a Tolmezzo, con esposti collettivi e dopo il processo vi farò avere il memoriale che leggerò in aula e che (la procura prevede) capito? Così avrebbe voluto evitare che i loro crimini fossero ancora sui quotidiani e hanno pensato di farmi rifiutare il processo, perché proprio quel processo mostra l'accanimento "terapeutico" falso e ignobile che hanno messo in atto, attraverso un delatore e collaboratore di giustizia, oltre che scagnozzo del comandante di quell'istituto, che accusava me e un altro amico di averlo minacciato e ferito, logicamente ha fatto tutto questo per essere trasferito, così dopo alcuni giorni è stato (premiato) e trasferito...
A Tolmezzo non vogliono processare i loro crimini ed uno stato che non processa se stesso e si assolve dai suoi crimini non è uno stato di diritto e tutto questo è un crimine verso l'umanità e contro l'esistente.
Carissimi/e compagni/e un abbraccio forte e ribelle ad ampi orizzonti e a tutti/e coloro che danno voce e lottano contro il sistema criminale e nazista...
Noi saremo l'ombre delle loro sporche coscienze.
[...] 2 luglio 2013. In questo istante mi hanno comunicato che la procura di Tolmezzo ha revocato la mia traduzione volevano che firmassi, ho rifiutato perché voglio presenziare questi sono abusi di potere, vogliono coprire i pestaggi...

Terni, 1 luglio 2013 [lettera con visto di censura del 2 luglio 2013, numerata n° 304]
Maurizio Alfieri, strada Delle Campore, 32 - 05100 Terni


Niente è finito...
Per la solidarietà agli imputati e ai condannati per il 15 Ottobre 2011
Il 27 Giugno si è svolta a Roma, presso l'università La Sapienza, un'assemblea tra compagn* provenienti da diverse parti d'Italia, per confrontarsi su come far crescere la solidarietà nei confronti di coloro che sono stati colpiti dalla repressione a seguito della giornata del 15 Ottobre 2011. Nella stesso giorno era in calendario la prima udienza del terzo blocco di processi che riguarda i fatti di quella giornata e che vede imputate altre 18 persone; su tutte pesa l'accusa del reato di devastazione e saccheggio e per alcuni anche quella di tentato omicidio.
La prima udienza del processo è stata rinviata al 18 Luglio a causa della costituzione in parte civile della Banca Popolare del Lazio, ultima in ordine di tempo ad aggiungersi a una lista già ampia: i Ministeri della Difesa, dell’Economia e degli Interni; il Comune di Roma, l'Ama Spa (azienda che gestisce lo smaltimento dei rifiuti urbani), l'Atac Spa (azienda dei trasporti pubblici), 2 carabinieri e 12 poliziotti. L’avvocatura dello stato inoltre ha già avanzato la richiesta di un rimborso complessivo di 900.000 euro.
Cogliamo l'occasione per ricordare che giovedì 18 luglio dalle ore 9.30 ci sarà presidio di fronte e dentro il Tribunale a piazzale Clodio.
Durante la manifestazione del 15 Ottobre e nei giorni a seguire decine di ragazzi e ragazze sono finiti nelle maglie della repressione e in seguito alcuni di loro hanno ricevuto pesanti condanne: dai 2 ai 5 anni, reati contestati per il fatto di essere rimasti in piazza San Giovanni durante le cariche della polizia.
Un altro filone di indagine, nel Novembre 2012, apre il processo nei confronti di altre 6 persone, tra cui i ragazzi di Azione Antifascista Teramo, nel quale si è arrivati a condanne fino a 6 anni, attraverso rito abbreviato, per il reato di devastazione e saccheggio. Attualmente, rispetto ai fatti del 15 Ottobre, diversi compagni sono sottoposti a misure cautelari tra cui la detenzione in carcere e gli arresti domiciliari.
Sin dai giorni successivi alla giornata del 15 Ottobre la solidarietà ha iniziato a muovere i suoi primi passi e nessuno degli arrestati e degli imputati è rimasto solo. Da allora tanto si è fatto ma la delicata e complessa situazione richiede ancora di più.
E' necessario andare avanti con maggiore determinazione. E' indispensabile far crescere l'attenzione, stare vicini e sostenere gli imputati in ogni modo possibile.
“Solidarietà” non deve essere un semplice slogan ma qualcosa di concreto e tangibile in grado di muoversi su diversi aspetti: dalla difesa comune in tribunale alla vicinanza nei confronti di chi è privato della propria libertà, senza dimenticare il sostegno economico e materiale che richiede un processo del genere. Per questo sarà importante sostenere la “Cassa di solidarietà 15 Ottobre” e far si che questa sia visibile e presente in ogni città.
Allo stesso tempo vogliamo alzare le nostre voci: devastazione e saccheggio è ciò che viviamo ogni giorno, dalla Val di Susa a Niscemi, in ogni strada dei nostri quartieri e in ogni territorio della penisola. Vogliamo fare in modo che su ogni muro e in tutte le strade, 15 Ottobre, Rivolta e Solidarietà siano parole che compaiano sempre più spesso, acquisendo un significato forte ed effettivo.
La storia di quella giornata ha parlato di una costellazione di ragazzi e ragazze, compagni e compagne, che tanto nelle azioni intraprese quanto nello scontro con le forze dell'ordine hanno preso una posizione netta. Se la rivolta sancisce i campi di appartenenza dello scontro in atto tra sfruttati e sfruttatori, vogliamo rivolgere lo sguardo a quella costellazione e alla rabbia dei tanti che hanno animato la resistenza di piazza san Giovanni. Riportarla nel quotidiano non può essere un ritornello buono da ripetere in ogni occasione, ma deve divenire qualcosa di consistente ed efficace.
In questo senso è necessario andare oltre le scadenze giudiziarie e impedire che la stretta repressiva ci metta con le spalle al muro. Bisogna dotarsi di tempi e ritmi non imposti dagli apparati repressivi e il sostegno agli imputati e il rilancio delle lotte non possono essere sganciati. In un momento in cui la possibilità di vivere come vogliamo coincide sempre di più con la necessità del conflitto, la solidarietà deve esprimersi nelle lotte, essere presente in ogni frammento del nostro quotidiano.
Vogliamo ricominciare a muovere questi passi insieme a coloro che nella giornata del 15 Ottobre e in tante altre battaglie sono stati fianco a fianco, dalla stessa parte della "barricata", con l'obiettivo di costruire e lanciare a Roma, nella seconda metà di ottobre, delle giornate di lotta. Perché la nostra solidarietà passa soprattutto attraverso ciò che siamo in grado di costruire insieme nelle lotte che scandiscono l’esistenza di ognuno di noi: dalla riappropriazione delle case alle lotte sui posti di lavoro, dal carcere ai CIE, dalla difesa dei territori a quella dei quartieri, dove la polizia uccide e rende invivibili i luoghi che abitiamo.
La solidarietà è un'arma che nessun apparato repressivo può sottrarci e per questo bisogna organizzarsi. Creare legami nuovi e rafforzare quelli già esistenti, portare la forza e la potenzialità di queste relazioni nello scontro in atto è un passo imprescindibile verso i prossimi scenari di conflitto.
Lanciamo dunque un altro appuntamento per il 1 Settembre a Roma, per confrontarci, discutere e organizzare le giornate di lotta dell’ottobre romano. Nel frattempo invitiamo i compagni di ogni città a muovere le trame della cospirazione e della solidarietà, a far crescere l'attenzione in vista di un ottobre che riporti di nuovo l'insubordinazione nelle strade e nei luoghi dove lo sfruttamento e l'oppressione sono presenti quotidianamente.

15 luglio 2013
Complici e solidali a Roma

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Resoconto della giornata di mobilitazione del 27 giugno a Roma
Il 27 giugno è iniziato il processo, con “rito ordinario”, contro 18 compagne/i accusati/e di aver preso parte agli scontri del 15 ottobre 2011 a Roma. Sotto il tribunale é stato indetto un presidio.
E’ stata una giornata a suo modo intensa poiché cominciata al mattino sostenuta da oltre un centinaio di manifestanti (compresa la calda presenza di donne e uomini del Coordinamento Comitato Occupanti) con il blocco alternato della strada davanti al palazzo di giustizia di p.le Clodio, con la presenza diretta in aula; con un’assemblea nel pomeriggio all’università Sapienza e infine, la sera, un concerto nella piazza nella stessa università (da dove nel febbraio 1977 gli studenti cacciarono Lama, allora segretario generale della CGIL assieme alla sua polizia sindacale).
Nel presidio di fronte al tribunale è stato innalzato uno striscione con scritto: “Genova 2001 - Roma 15 ottobre 2011 chi devasta e saccheggia le nostre vite è lo stato: Liberi/e tutti/e”.
In aula è presente anche Giovanni, un giovane compagno ancora agli arresti domiciliari a Terlizzi (Bari). Ci parliamo, ci si abbraccia, è ben vivo e speranzoso.
Quella di oggi è la prima udienza, che si conclude subito dopo l’appello perché il tribunale non ha assunto per tempo la notifica della revoca e successiva nomina del proprio avvocato inviata nelle settimane scorse da un compagno “accusato”. Per questo il tribunale ha dovuto concedere 20 giorni per i termini di difesa; necessari, fra l’altro, anche per accettare la costituzione di parte civile della Banca Popolare del Lazio. Così il processo è stato aggiornato al 18 luglio.
L’assemblea anch’essa partecipata e comunicativa ha affrontato il punto dell’incalzante “repressione” ormai evidente in ogni città, piccola o grande che sia, in Valle come in Sicilia, a Roma come a Torino o a Milano. E’ stato chiarito e ribadito che la “mano libera” concessa a polizia, carabinieri, guardie carcerarie ecc. nel “bloccare la socializzazione della memoria”, non riguarda tanto e solo compagne/i, ma altresì sempre più ampie parti del proletariato abitante in precisi quartieri che si battono nelle strade contro la devastazione delle condizioni di lavoro, che tirano avanti con furti, espropri, occupazioni di case, scioperi, proteste anche nelle carceri, in ogni caso colpite da arresti, fogli di via, espulsioni, anni di galera, bastonate, morti (Cucchi, Uva…).
In tanti interventi è stato sottolineato, che senza la costruzione di un rapporto stretto con questa soggettività la lotta contro la repressione e il carcere finisce per scivolare nel nulla di fatto. Un vicolo soffocante dal quale si deve e si può sottrarre la rivendicazione della giornata del 15 ottobre 2011, proprio mentre lo stato tenta di trasformarla invece in momento di “spavento”, di intimidazione delle lotte, di paralisi della memoria.
Nell’assemblea è stata comunicata la notizia proveniente da diverse carceri, di mettere in campo a settembre (nelle carceri, anche in occasione dell’inizio dello sciopero della fame degli ergastolani…), una serie di proteste interne per costruire una rete di solidarietà efficace fra prigionieri/e, presupposto della necessaria riconquista della dignità individuale e collettiva incessantemente presa di mira dall’isolamento, dai pestaggi, dalla censura, dagli assassinii… E’ stato altresì comunicato che su questi aspetti, sul dare efficacia sociale alla lotta contro il carcere, all’inizio di settembre è in preparazione un incontro fra diverse realtà – e che un incontro qualitativamente più ampio farebbe proprio bene a tutte/i.
L’assemblea di Roma ha cmq deciso di reincontrarsi all’inizio di settembre, di essere aperta a proposte territoriali diversificate di lotta contro il carcere da attuare nel corso della mobilitazione proposta dall’interno. Si è concluso di definire con cura il rapporto fra le assemblee nel corso degli incontri estivi, a cominciare dal 4 luglio a Tolmezzo.
L’assemblea ha assunto, il “Né spettatori né vittime”, rispetto al 15 ottobre 2011 e alle conseguenze penali, con cui è stata preparata questa (del 27 giugno) giornata di mobilitazione, proponendosi di socializzare 4 giorni di lotte da attuare nel corso del prossimo ottobre.
Milano, luglio 2013


Qualche aggiornamento sul movimento NoTav
15 giugno 2013. Le “passeggiate” di giorno e di notte al cantiere…
[…] Prosegue il campeggio studentesco notav e questa mattina, gli studenti sono andati in marcia verso il cantiere. Partiti da Venaus e passando da Giaglione, il corteo è arrivato alle reti e da dentro l’agitazione era alle stelle. Non curanti del solito assetto dei guardiani del cantiere i giovani notav hanno incominciato la battitura, ritmo della nostra lotta, e hanno costruito, con pietre e qualche tronco, un impedimento davanti al cancello più vicino alla Baita Clarea, riuscendo a bloccare momentaneamente due cancelli su sette.
Tanto è bastato per far uscire gli agenti che hanno tentato da subito, con manganellate e spinte, di fermare più notav possibile con lo scopo di spaventare, dividere il gruppo ed identificare. Gli studenti hanno tenuto, qualche identificazione c’è stata ma la promessa è di tornare presto…

“Perquisiti 4 notav… per stalking
La mattina presto del 26 giugno 2013 le abitazioni di 4 notav, tra Torino, la Valle e la Valsangone sono state perquisite da agenti della Digos su mandato dei pm Padalino e Rinaudo, nell’ambito di un’inchiesta con il reato di stalking, art 612 bis del codice penale [pedinamento, importunamento = molestia contro le donne, ndc], commesso in Valle di Susa tra febbraio 2012 e maggio 2013. Il range di tempo necessario, secondo la premiata ditta Padalino e Rinaudo, per fare stalking a Tessa Adelmo (*), il famoso operaio del cantiere già famoso alle cronache, perseguitandolo e facendolo sentire sotto minaccia [lui e la famiglia, così dalle carte giudiziarie] a causa della sua attività lavorativa nel cantiere. Pochi sono i commenti da fare in merito, sopratutto su un reato così infamante, nei confronti dei notav.
L’attività della perquisizione in realtà è servita per copiare e/o sequestrare telefoni, tablet e computer dei notav per acquisire informazioni che, ci scommettiamo, saranno considerate “interessanti”. Ci scommettiamo visto che i notav sono particolamente consociuti nel movimento Lele Rizzo, Alberto di Condove, Emanuele di Coazze, ed uno di loro, Pier Paolo Pittavino, è anche consulente per gli avvocati del pool notav nel processo del 3 luglio…
Citiamo un passaggio significativo del decreto di perquisizione: “che tutti gli episodi di cui è stato fatto oggetto sono da ricondurre ad un’unitaria regia da individuare nell’ambito di soggetti che si riconoscono nella lotta alla realizzazione della suddetta linea ferroviaria, in particolare in tutti quelli che si identificano nell’ala violenta del movimento notav” e ancora “che le indagini di p.g. fanno fondamentalmente ritenere che la persona infra indicata abbia avuto un ruolo materiale e/o morale ai fatti per cui è a processo…” e da qui il motivo del sequestro di computer, telefoni o abbigliamento.

(*) Nei bar di Chiomonte si dice che il “povero operaio” in realtà sia un soggetto che abbia difficoltà a lavorare con i colleghi, qualsiasi essi siano, ed i comportamenti conseguenti questa sua difficoltà paiono non essere molto graditi dai colleghi del cantiere TAV che a volte gli manifestano in modo, diciamo deciso, la loro contrarietà. Si dice, sempre nei bar di Chiomonte, che la sassaiola potrebbe essere una di queste manifestazioni di contrarietà al suo comportamento e suo al vizio inveterato per lo sputtanamento-delazione dei colleghi grazie al quale alcuni di questi hanno avuto serie rogne con i datori di lavoro…
Il Movimento NO TAV per forza di cose conosce i nomi e le residenze di chi, in Valle, lavora al cantiere di Chiomonte, come allo stesso modo e per le stesse ragioni coloro che lavorano nel cantiere di Chiomonte conoscono il nome e le residenze degli appartenenti al Movimento NO TAV, non vi è nulla di strano. Sarebbe strano, invece, che il Movimento NO TAV perdesse tempo a pedinare un “povero operaio” senza alcuna importanza ed addirittura gli organizzasse un agguato!

30 giugno 2013. Sabotaggio a una ditta che lavora al cantiere Tav di Chiomonte
Ignoti, nella notte tra il 30 giugno e il 1° luglio 2013, hanno tentato di dare fuoco a due mezzi della Effedue di Susa. Il rogo è stato appiccato con della diavolina, che ha distrutto le gomme dei due mezzi. Solo l'immediato intervento degli operai della ditta ha evitato che il propagarsi delle fiamme provocasse danni più gravi. I carabinieri e la polizia hanno sentito il titolare della ditta, che ha detto di non avere subito minacce e ha presentato denuncia per il danneggiamento.
Le indagini, coordinate dai pm Andrea Padalino e Antonio Rinaudo (gli stessi del processone, di sempre…). (Da lettera43.it)

Piovono fogli di via come…
La mattina di sabato 6 luglio a Torino una cinquantina di notav si trovano alla stazione di Porta Nuova per raggiungere la questura in corteo, prima sotto i portici poi direttamente in c.so Vinzaglio, occupandolo. Apre il piccolo corteo lo striscione: “La valle non si arresta! - Libertà per i No Tav!” L’iniziativa è stata presa dopo i recentissimi fogli di via inviati ad alcuni No Tav abitanti in valle. Ormai i fogli di via inviati a No Tav o vicini al movimento si contano a centinaia. Nel volantino distribuito, “Questi fogli di via sono irricevibili e li rispediamo al mittente” è spiegato:
“…con il Tav stanno ritornando i fantasmi del passato, uguali se non peggiori…In Valle accadono tante cose… accade anche che il 27 giugno 2013, a due anni esatti dallo sgombero violento della Libera Repubblica della Maddalena, due militanti storici e un giovane militante No Tav si vedano notificare un foglio di via dalla propria terra o, per essere esatti, da un pezzo di essa. Banditi dai luoghi della lotta per tre anni, per volontà della questura…
Bisogna ricordarlo, il foglio di via è una privazione della libertà personale comminata senza processo su sola discrezione della questura. Prove, dibattimenti non esistono, digos e funzionari decidono del destino di chiunque, senza appello.
Questa è la nostra valle, questa è la nostra terra e Venaus, Guaglione e Chiomonte [i comuni ai quali i fogli di via vietano l’accesso, ndc] sono i luoghi della lotta.
Tutti/e i resistenti colpiti dai fogli di via continueranno a percorrerli insieme a tutto il movimento No Tav, fino alla vittoria!
Per questo motivo e per ribadire la nostra contrarietà a un sistema di leggi fasciste che sempre più limitano le libertà personali e di circolazione all’interno della nostra valle, oggi manifesteremo sotto la questura di Torino.”
Il corteo è stato fermato dalla polizia sul corso a qualche cinquantina di metri dalla questura. In diversi interventi (c’è il megafono) è annunciato che chi ha ricevuto non accetta e non rispetta nessun divieto, è spiegata inoltre la gravità delle decisioni prese dalla questura contro la libertà di movimento su basi dettate in gran parte da prevenzione e discriminazione. Conseguenza di tutto ciò è la decisione di riconsegnare i fogli di via al mittente. Dopodiché il corteo fa ritorno in stazione.
Giu’ le mani dal Movimento notav! Il movimento e i notav non si fanno intimidire, né con le perquisizioni né con le manette!
luglio 2013
Liberamente estratti da notav.info
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Mi sento (ri)stretta!
Marianna da giovedì è in sciopero della fame: ce l’hanno comunicato i suoi genitori, che ci hanno pure girato il testo che pubblichiamo qui sopra. Pensiamo sia importante farlo circolare il più possibile, e velocemente, giacché il prossimo 19 luglio al Tribunale di Torino ci sarà l’ultima udienza del processo per i fatti dell’11 marzo - per i quali Marianna e Simona in quattro mesi han patito questa girandola di misure cautelari - e sarebbe bello si muovesse per tempo un po’ di solidarietà. Simona, che è ai domiciliari da maggio, ha cominciato lo sciopero della fame pure lei - come ci han raccontato i suoi familiari.
Ora tocca a noi - noi che scriviamo e voi che ci leggete, noi che possiamo uscire di casa, parlare con chi ci aggrada, alzare la voce e battere i pugni sul tavolo - dimostrare che ci siamo.

Oggi, giovedì 11 Luglio 2013, inizio uno sciopero della fame…
Per colpa di un parapiglia con dei poliziotti dentro una camionetta, della conseguente accusa per resistenza ci hanno incastrato in mezzo ad un processo, dentro galere ed ora agli arresti domiciliari con il divieto di comunicare con l’esterno.
Dopo 4 giorni di carcere, 2 mesi di firme giornaliere, e poi ancora 17 giorni di carcere, dopo il rigetto di domande di domiciliari a casa di amici, ho ottenuto gli arresti a casa dei miei genitori, in un piccolo paese della campagna piemontese.
Ritorno nella mia stanza d’adolescente, abbandonata dopo le superiori, ripercorro a ritroso i passi verso l’autonomia che mi ero creata rispetto alla famiglia. I risparmi personali si sono velocemente asciugati, le casse detenuti devono anche aiutare tanti prigionieri messi in condizioni peggiori.
Giudice e Pm non vogliono dare la revoca delle restrizioni. È dal 4 Maggio che non posso parlare a lungo con un amico, se non le parole rubate durante le udienze in tribunale. È più di due mesi che rinchiudo le mie lettere dentro un cassetto, e la postina qui porta solo bollette e depliant con le offerte dell’ipermercato.
Il divieto di comunicazione con l’esterno che mi hanno imposto dovrebbe essere inutile a questo punto, il 19 luglio avremo una sentenza di condanna di primo grado, le dichiarazioni sono state fatte da tutti quanti, non c’è alcuna informazione che potrebbe passare e modificare il racconto dei fatti per i quali stiamo venendo giudicate. Dicono che da qui potrei istigare qualcun altro a commettere dei reati… sono sicura che in giro c’è gente agitata e pronta a far fracasso, ma non aspetta certo che glielo dica io.
In strada la gente si rivolta perché ne ha la necessità personale, si agita con disordine, senza avere sempre chiarezza d’idee e scopi unanimi, senza aspettare la parola di qualcun altro esterno alla faccenda.
Ieri è stata di nuovo rifiutata l’istanza per la revoca del divieto di comunicazione e per il permesso di lavorare in una cooperativa agricola. Dato che ad Agosto il tribunale funziona a regime ridotto dovrò attendere fino a Settembre per poter, forse, vedere un viso amico, per poter lavorare, per guadagnarmi due soldi per fare la spesa.
Sto pensando ora che sarebbe stato meglio rimanere in carcere.
Lì avrei potuto inviare lunghe lettere e riceverne, sicuramente avrei potuto conoscere più a fondo donne con storie interessanti, avrei continuato a condividere tempo e spazio con persone con le mie stesse tensioni, le stesse preoccupazioni, con l’opportunità di stringere complicità ed avere delle idee da costruire insieme. Dentro forse avrei potuto avere la possibilità di incontrare il mio innamorato al colloquio, oppure un amica o un amico, con cui condividevo parte del mio tempo, della mia vita fino all’altro ieri.
Qua, mi ritrovo in un luogo passato, a fare le mie confidenze ad un piccolo cane, a percorrere ripetute volte il perimetro dei muri di cinta, a sentire il tempo sprecato, a far indigestioni di letture per finire a non capire più nessuna parola, a far vorticare i pensieri in maniera dolorosa, perdendo i punti di riferimento, vedendo svanire i progetti e sentendo scivolare via i legami non avendo alcun modo di mantenerli e stringerli, trovando conforto nei momenti di debolezza solo nella vista di piccole formiche che trasportano gigantesche foglie.
In questo limbo, in un isolamento dolce, con la nutella in grossi barattoli di vetro, con coltelli di metallo per pelare e tagliare le patate e con la possibilità di vedere il cielo sopra la mia testa in qualsiasi momento (ciò a differenza della galera), ma senza alcun contatto umano - se non con i miei genitori, che si, son gentili, ma il tempo dello svezzamento è già da tanto tempo tramontato -, senza possibilità di dialogo non ci voglio più stare. Non attendo più carte e scartoffie, risposte ad istanze… non mangio più.
Voglio parlare con i miei amici, abbracciarli, scrivere lettere alle forti donne che ho conosciuto in carcere, voglio poter telefonare a mia zia, ad una mia cara amica del liceo, ad un mio amico che è all’ospedale perché si è rotto il bacino.
Voglio poter lavorare, per essere indipendente a livello economico e non un peso per qualcuno e per prendere aria.
Vorrei essere libera, ma son cascata nella trappola giudiziaria.
Evadendo potrei soddisfare i miei desideri, ma aggraverei la situazione e il gioco non ne vale la candela. L’unico strumento che mi rimane è me stessa.
Non mangio e rido… per non arrabbiarmi troppo.

Marianna, agli arresti domiciliari ad Oglianico

13 luglio 2013
da autistici.org/macerie

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Resoconto del processone contro i No Tav
12a udienza, 21 giugno 2013
All’udienza eravamo presenti dodici “imputati/e” assieme a altrettanto “pubblico”. Invece il loro dispiegamento era, se si può, ancor più numeroso e guardingo del solito.
Al “pubblico” all’entrata, oltre alla solita perquisizione (a imputati/e solo questa), sono stati chiesti e filmati i documenti – una chiara sollecitazione tipo “statevene a casa, altrimenti”… che del resto si è manifestata contro una compagna (Paola). Lei nella borsa aveva una bandiera No Tav, le hanno ordinato di non portarla in aula “nemmeno se chiusa in borsa”; per protesta se l’é infine avvolta sulle spalle, chiedendo di voler entrare. Le è stato impedito di farlo. Allora con la bandiera sulle spalle assieme ad altre/i del “pubblico” ha criticato direttamente l’operato di polizia e carabinieri, esecutori di ordini contrari alla dignità, ai diritti di disoccupati/e, famiglie sfrattate, di gente povera ammalata, di operai/e in lotta… Tutto ciò nel corso dell’udienza, poiché pm e presidente pur su richiesta degli avvocati a far entrare Paola, si sono rifiutati di farlo, dato che “in aula non possono entrare bandiere”; a uno di noi che ha quindi chiesto venissero tolti i (due) crocifissi appesi alla parete centrale, è stato risposto con un sorriso disimpegnato.
All’inizio anche il compagno Alessio ha revocato l’avvocato, dichiarando: “non mi riconosco in quel che accade qui; quel che facciamo in valle non è condannabile dal giudice” assieme a una breve battuta sullo scenario militaresco palpabile nell’aula bunker.
L’udienza è stata quindi sospesa per rintracciare un avvocato di fiducia. E’ ripresa circa un’ora e mezza dopo con le motivazioni delle prove, testi, filmati ecc. portate da difesa e accusa nelle udienze precedenti, esposte dalla corte per dichiararle “accolte” o “inammissibili”. Si dice spesso che le diverse componenti dello stato, alla resa dei conti, non debbono e possono far altro che mettere comunque in salvo se stesse e dunque lo stato. Il tribunale, per es., ha dichiarato “inammissibili… superflui” l’ascolto in aula dei vertici dei ministeri interni, infrastrutture… dei vertici di polizia, carabinieri, guardia di finanza, rispetto a ordinanze, mezzi usati, tipo di lacrimogeni, modelli di controllo delle manifestazioni poiché le richieste di ascolto ecc. risultano “non specificate” nei confronti di ordinanze di per sé generali. In questo modo, in generale, ogni sbirro di truppa è già assolto da ogni possibile “colpa”, e con lui, e prima di lui, chi lo comanda. Di conseguenza: ordinanze, mezzi, tecniche… adoperate dagli sbirri sono legali di fatto, quindi consulenze, perizie su lacrimogeni, referti medici ecc. sono “superflue” e quindi “inammissibili” al processo.
Sul punto se quando “trasferire” il processo in un’aula del tribunale in città, il presidente ha chiesto a difesa e accusa di formalizzare le rispettive richieste. Naturalmente la difesa ha ribadito la necessità di riportare il processo a svolgersi in un’aula normale così da assumere carattere “normale”, i pm invece lo vogliono tenere lì dov’è, gli avvocati delle “parti civili” sono d’accordo con i pm però per comodità preferiscono la sede in città.
All’avvocatessa d’ufficio assegnata ad Alessio sono stati “concessi” 10 giorni per i termini di difesa; così l’udienza già fissata del 28 giugno salta. Il processo riprende perciò venerdì 5 luglio alle 9,30 sempre nell’aula bunker dentro il carcere Le Vallette.

13a udienza, 5 luglio 2013
Venerdì 5 luglio noi “imputati” siamo in 12, il tribunale ha aperto l’udienza disponendo il proseguimento del processo nell’aula bunker. Nei quindici giorni trascorsi dall’ultima udienza il tribunale, in particolare senz’altro il suo presidente, hanno cambiato parere: da dichiarati sostenitori del ritorno nelle aule del tribunale in città sono riusciti a fare proprie le argomentazioni dei pm, cioè di prefettura, questura, carabinieri… procura e chissà chi altri. Infatti, anche per il tribunale, come per i pm, soprattutto nelle udienze del 21 novembre (la prima, dove si creò fra ingabbiati e non un ampio spazio comunicativo…) e del 1° febbraio quando si lesse un comunicato di abbandono collettivo dell’aula bunker, si sono manifestate delle “intemperanze… episodi di scontro con le forze dell’ordine… un aggravio del loro lavoro”, insomma,una minaccia alla “sicurezza” per lo svolgimento del processo. L’aula bunker rispetto all’aula in città indubbiamente facilita il lavoro degli sbirri.
Un avvocato della difesa fa notare al presidente il “cambio di opinione” e nello stesso tempo lascia l’aula, chiedendo il “rinvio dell’udienza per legittimo impedimento” causato dalla distanza dell’aula bunker dal tribunale in città. E’ la prima volta che il presidente minaccia di espulsione le compagne e i compagni del “pubblico” che applaudono il gesto dell’avv. L’intero gruppo di avv. della difesa dichiara al tribunale di condividere la decisione del collega. La corte allora ritorna in camera di consiglio; solo per tornare a ripetere poco dopo il ritornello dell’inesistenza di ogni “legittimo impedimento” o “illegittimità costituzionale”ecc. In tutta questa “contesa”, per la prima volta, tribunale e il trio pm si trovano in sintonia dichiarata; fatto che si esprime anche nel superamento del successivo ostacolo posto dalla difesa, che chiede la “nullità” all’ascolto dei testi, quindi la sospensione dell’udienza, in quanto, non essendole (volutamente) comunicato fino a quel momento il nome del teste da ascoltare oggi, non può formulare domande adeguate…
Avanti così per oltre un’ora, finché verso le 11,30 inizia l’ascolto del primo teste dell’accusa, Petronzi, capo della Digos di Torino. Fino alle 17,30, aiutato da carte geografiche, schermi racconta con linguaggio tecnico-burocratico l’ “operato” della polizia nelle giornate del 27 giugno e del 3 luglio 2011 alla Centrale di Chiomonte. Poca enfasi, tanta ipocrisia per cercare di dare un’impossibile dignità sociale all’agire di polizia e co.
Il processo è stato infine aggiornato all’ultima udienza in calendario, quella del 19 luglio, dato che il 12 c’è uno sciopero degli avvocati (dall’8 al 18 luglio, voluto soprattutto dall’avvocatura civile in segno di protesta contro il ministero della Giustizia che ha deciso di ridurre, mandando a quel paese le associazioni dell’avvocatura civile, le circoscrizioni giudiziarie e di abolire nelle cause civili l’obbligatorietà della “mediazione”).

Milano, luglio 2013


Reggio Emilia città della repressione
Giovedì 20 Giugno 2013, presso il tribunale di Reggio Emilia si è svolto il processo a carico di Ciruz e Riki e sono arrivate le condanne per entrambi. Accusati di aver realizzato scritte murarie in solidarietà al movimento No Tav, il primo è stato condannato a 2 anni e 2 mesi, il secondo invece a 1 anno e 4 mesi. Il comune di Reggio Emilia, costituitosi parte civile, ha ottenuto di farsi risarcire di 10.000 euro, per danni materiali e di immagine.
Una sentenza a dir poco vergognosa: ogni cittadino può accorgersi della sproporzione delle pene in relazione ai reati di cui gli imputati sono stati accusati, anche alla luce di quante e di che tipo di condanne vengano emesse relativamente alle scritte murarie presenti su territorio cittadino. Già, anche perché la realtà legata alle prove che li incriminerebbero, usando un eufemismo, non è del tutto chiara.
Un processo veloce e superficiale, in cui le ragioni della difesa, alla luce delle sentenze emesse, non sono state minimamente ascoltate.
Ancora una volta la maschera è stata gettata e la realtà è sotto gli occhi di tutti: ci si confronta con una società che morbosamente è alla ricerca del crimine e non ha nessuna intenzione di fare una minima autocritica, puntando il dito sempre su altri.
Questa legalità mostra limpidamente come il suo scopo non sia colpire un gesto in quanto tale, ma un’idea. Sono condanne politiche, che incriminano non solamente i nostri due compagni, ma tutti coloro che si oppongono allo scempio di queste grandi opere, Tav in primis. Tutti progetti atti a riempire le tasche di chi da sempre fa soldi a palate, sulla testa di coloro che invece la crisi la pagano tutti i giorni.
Una repressione mossa a colpi di condanne, denunce e manganellate, ma anche a colpi di pistola, come è successo a Mattia nel 2009 quando, durante un’azione antifascista a Reggio Emilia, è stato raggiunto da agenti digos che non hanno esitato a sparare contro la sua auto e a denunciarlo per lesioni giacché uno degli operanti è rimasto contuso nell’operazione aprendo la portiera dell'auto. Il processo al nostro compagno si è svolto il 18 Giugno; dopo parecchie irregolarità che lo hanno preceduto, il giudice di pace non ha preso nessuna decisione in merito ma ha cambiato il capo di imputazione da lesioni colpose a dolose.
Mostrare la propria vicinanza a Mattia, Ciruz e Riki, oltre all’umanità del gesto stesso, sarà sicuramente un ottimo modo per prendere posizione relativamente alla questione.
Il C. A. O. R60 invita inoltre i singoli e le realtà di lotta reggiane a prendere parte all’assemblea contro la repressione, in cui si deciderà come agire, per ribadire il fatto che queste sentenze ingiuste non fermeranno il nostro entusiasmo e la nostra determinazione nelle lotte per un mondo diverso.

28 giugno 2013
Collettivo AutOrganizzato R60
Via Berta 4/c - Reggio Emilia - collettivor60.noblogs.org


trento: CHE LO SFRUTTAMENTO VADA IN FRANTUMI
Nella notte tra il 14 e il 15 luglio, a Trento, sono stati arrestati (e poi sottoposti agli arresti domiciliari) tre compagni con l'accusa di aver danneggiato alcune agenzie interinali. Non ci interessa sapere se sono stati loro. Ciò che sappiamo è che le agenzie interinali sono strutture di caporalato che garantiscono lo sfruttamento di milioni di lavoratori.
Ciò che sappiamo è che sono sempre più odiate. Ciò che sappiamo è che danneggiarle è il minimo. Ciò che sappiamo è che Kamila, Josè e Leo sono compagni nostri, combattivi e generosi. Kamila, Josè e Leo liberi! liberi tutti!

anarchiche e anarchici
di Trento e Rovereto

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Una riflessione sulla “sospensione condizionale della pena”
L’arresto nei giorni scorsi di Kamila, José e Leo a seguito dello sfondamento delle vetrine di un’agenzia interinale a Trento, offre lo spunto per un’analisi dell’istituto della sospensione condizionale della pena.
La sospensione della pena può essere infatti in ogni caso subordinata ad alcuni obblighi: restituzione, risarcimento del danno, eliminazione delle conseguenze dannose o pericolose del reato, lavori socialmente utili. Quando una persona abbia già usufruito della condizionale, l’adempimento di questi obblighi è necessario per poterla ottenere una seconda (ed ultima) volta. Questo è il quadro generale.
Il Pacchetto sicurezza del 2009, nell’ottica di “soddisfare la richiesta di sicurezza avanzata dai cittadini”, ha subordinato l’applicazione della condizionale nei casi di danneggiamento aggravato all’eliminazione le conseguenze dannose o pericolose del reato o allo svolgimento di lavori socialmente utili, anche quando si tratti di prima sospensione della pena. Questo intervento legislativo permette di fare due riflessioni.
Da un lato, leggendo la legge e la relazione di accompagnamento al disegno di legge, salta agli occhi come lo Stato abbia fatto esplicitamente propria la teoria che sta alla base della politica di tolleranza zero sperimentata dall’ex sindaco di New York, Giuliani: qualsiasi forma, seppur minima, di degrado urbano, se non contrastata immediatamente, verrà emulata, generando una spirale di vandalismo che porterà ad un’escalation verso crimini più gravi.
L’intervento sul danneggiamento aggravato si accompagna infatti alla modifica di reati di danneggiamento e deturpamento di cose altrui e di occupazione del suolo pubblico, al fine di “rafforzare la tutela del decoro urbano” per “rispondere all’aggressione della criminalità diffusa”.
Questi reati vengono quindi dichiaratamente elevati a strumento di controllo del territorio per dare un’impressione di ordine e cancellare l’espressione visibile di coloro che vengono presentati come nemici della società. Ciò che si teme è che la progressiva modificazione del paesaggio urbano crei, per un verso, delle piccole fratture che facciano emergere le contraddizioni del sistema in cui viviamo, permettendo a chiunque di prenderne coscienza ed agire di conseguenza, magari proprio replicando l’azione incriminata. Per altro verso, quell’arma a doppio taglio che sono le costruzioni mediatiche del sentimento di insicurezza potrebbe rivoltarsi contro chi l’ha forgiata, facendo perdere ai cittadini, spaventati dalla mancanza di controllo del territorio da parte dello Stato, la fiducia nelle istituzioni.
L’altra riflessione è meno immediata, poiché richiede la conoscenza dei progetti di riforma del codice penale elaborati negli ultimi anni. La subordinazione della sospensione della pena all’adempimento di un obbligo si inserisce infatti all’interno di un filone di pensiero che vuole trasformare questo istituto in una vera e propria sanzione alternativa, con autonoma funzione deterrente e riparatoria. L’obiettivo non è più che una persona si astenga dal commettere un reato per paura delle conseguenze repressive, ma che egli stesso arrivi a ritenere sbagliato quel comportamento.
La condizionale così concepita non rispecchierebbe più un’ottica di punizione, ma diventerebbe un vero e proprio strumento disciplinare, finalizzato alla rieducazione del singolo.
Questo mutamento genetico permette di presentare chi spacca le vetrine di un’agenzia interinale, ad esempio, come un “vandalo”, un soggetto, sicuramente giovane, che non si fa carico delle conseguenze delle proprie azioni, per il quale sia più efficace un intervento di “responsabilizzazione” piuttosto che la minaccia del carcere.
Le azioni, seppur piccole, finalizzate a portare alla luce la realtà dei rapporti di oppressione su cui è basata la nostra società, quale ad esempio il parassitismo delle agenzie interinali che campano letteralmente sulla fatica altrui, vengono quindi banalizzate quali atti distruttivi di figli di papà annoiati, non abituati ad affrontare le conseguenze del proprio agire. Si cerca così di negare l’evidenza della rabbia che, imprevedibile, esplode nei confronti degli sfruttatori.
Nessuno ci risarcirà per tutto quello che siamo costretti a fare per poter vivere, che sia lavorare o rischiare la galera nel prenderci ciò di cui abbiamo bisogno, perché risarcire una vetrina rotta?

luglio 2013
Una compagna di Trento


milano: SE LA RESISTENZA E’ UN REATO, SIAMO TUTTI RECIDIVI!
Sullo sgombero della libreria Ex-Cuem
Nella mattinata del 19 giugno la questura di Milano ha posto agli arresti domiciliari 7 fra compagni e compagne con l’accusa di oltraggio e resistenza aggravata a pubblico ufficiale. I fatti contestati risalgono al 6 maggio, quando a seguito dello sgombero e rioccupazione della libreria occupata ex-Cuem dentro l’Università Statale di Milano, il rettore Gianluca Vago ha richiesto e ottenuto che fosse la celere a sgomberare gli studenti.
Dopo le udienze di riesame, 3 compagni ed una compagna si trovano ancora ai domiciliari con possibilità di comunicare, un compagno è libero ma deve presentarsi tre volte alla settimana per le firme, gli altri due sono liberi ma con l’obbligo di dimora nei loro comuni (provincia di Teramo e provincia di Varese).
La libreria ex-Cuem è tornata in attività dopo le operazioni di restauro (dopo lo sgombero i locali erano stati distrutti, arrivando perfino a bucare il pavimento).
Numerose sono state le iniziative di solidarietà a Milano, Saronno ed in svariate città.
Di seguito il comunicato post-arresti del collettivo Ex-Cuem.

Libreria Ex-Cuem -Università Clandestina
Mercoledì 19 giugno alle 6 di mattina la polizia si è presentata nelle case di dieci ragazzi e ragazze per i fatti del 6 maggio. Sette di loro sono agli arresti domiciliari, tre indagati a piede libero. Le accuse sono resistenza, danneggiamento e travisamento.
Quei giorni li ricordiamo tutti. Il rettore Gianluca Vago decise di sgomberare e distruggere gli spazi della libreria Ex-Cuem. Ci fu subito una reazione: un’assemblea molto partecipata decise di occupare un’auletta inutilizzata all’interno dell’università per proseguire con il progetto della libreria. La polizia autorizzata dal rettore Vago non si fece scrupoli a caricare gli studenti, i solidali e chi in quel momento si trovava nei pressi dell’auletta occupata per sgomberarla.
Nei giorni seguenti ci fu una grossa mobilitazione con cortei in città, fu impedito l’ingresso della polizia nell’ateneo e furono ri-occupati gli spazi della libreria. Allo stesso tempo altre esperienze universitarie si sono mobilitate in tutta Italia: anche a Napoli gli studenti sono stati caricati in piazza, sia dai fascisti che dalla polizia; a Bologna è stato occupato il rettorato; a Roma si sono verificate diverse azioni di solidarietà.
Da quel momento, nonostante l’ostilità e il silenzio dei professori , l’Ex Cuem è stata ricostruita ed è tornata a vivere.
La difesa dell’Ex-Cuem non è una battaglia isolata. Gli attacchi polizieschi e dell’amministrazione universitaria rivolti contro la libreria seguono le stesse modalità che vediamo tutti i giorni in Val Susa, le stesse che hanno portato alle rivolte per Gezi Park a Istanbul e in tutta la Turchia o alla cacciata della polizia a Bologna durante un’assemblea in piazza; le stesse modalità con cui ogni giorno vengono sfrattate le famiglie che non riescono a pagare l’affitto, le stesse con cui la polizia decide di sgomberare chi si organizza e vive in collettività in spazi che sarebbero altrimenti vuoti.
I fermi, gli arresti e le misure cautelari non rappresentano altro che il becero tentativo di fermare un’unica grande lotta che si diffonde e contagia tutti i luoghi in cui l’autorganizzazione a partire dai propri bisogni diviene una bandiera e un’irrinunciabile strumento di lotta.
E’ con gioia e orgoglio che affermiamo che ogni sforzo su questo piano è stato e sempre sarà vano: la consapevolezza del forte legame e dei progetti che tengono unite le nostre battaglie va di pari passo con i legami che abbiamo stretto all’interno della Libreria in un anno di occupazione, così come tra i boschi della Valle o con le famiglie degli sfrattati. La solidarietà è la nostra arma più forte e non esiste arresto che possa minare le sue basi. E’ per questo motivo che a difendere l’Ex-Cuem non c’erano solo i suoi occupanti e gli studenti della Statale, ma anche compagni e compagne e tutti i solidali che si riconoscono in questa lotta.
Ci rinchiudono per aver resistito. Siamo fieri di averlo fatto, siamo in un momento storico in cui il termine resistenza assume un valore per noi totalmente positivo.
Se resistere è un reato, siamo tutti recidivi.
Facciamo un appello a tutti coloro che in questo momento sono sotto attacco a non arrendersi, ad alzare la testa, perché anche se per ora ci hanno tolto i nostri compagni, la battaglia non è finita: per loro e per chi lotta senza paura, diffondiamo la solidarietà.
DOVE DISTRUGGONO RICOSTRUIAMO. QUANDO SGOMBERANO RIOCCUPIAMO. QUANDO CARICANO RESISTIAMO.
CLARA,GRAZIANO, PASCA, FRA, ENRICO, TOFFO E MICH LIBER* SUBITO!


13-14 LUGLIO 2013: LA NOTTE IN BIANCO CONTRO GLI F-35
Appuntamento alle ore 19 di sabato 13 luglio, nella piazza del Municipio di Bellinzago Novarese (poco distante dalla stazione ferroviaria).
Mercoledì 26 giugno è stata rigettata dalla camera dei deputati la mozione che chiedeva di uscire dal progetto F-35 e di utilizzare queste ingenti somme per migliorare l'offerta di servizi come istruzione, trasporti, sanità, cultura, assistenza sociale.
Quindi la maggioranza dei deputati, nonostante le promesse elettorali di molti di loro, ha deciso di proseguire con la fabbricazione e l'acquisto di questi cacciabombardieri di ultima generazione.
Noi invece siamo ostinati e continuiamo ad opporci. Sarà la "lunga notte in bianco contro gli F-35, contro tutte le fabbriche d'armi, contro tutte leguerre".
Andremo davanti all'aeroporto militare di Cameri, davanti all'ingresso del cantiere dove si sta ultimando la costruzione degli impianti per l'assemblaggio dei nuovi micidiali cacciabombardieri di Lockheed Martin.
Perché proprio a metà luglio? Perché i militari, gli industriali e i politici hanno comunicato ufficialmente che dal 18 luglio partirà la costruzione dei primi F-35 "made in Cameri".
Non ci sembra proprio il caso di lasciare in pace chi vuol fare la guerra e chi si prepara a farla nel modo più dirompente e devastante.
Contro tutte le guerre - Contro le fabbriche di morte

Movimento no F-35 del Novarese
info@noeffe35.org


repressione usa in sicilia
Carissimi, il movimento NOMUOS sta difendendo il territorio Siciliano dalle antenne ma anche tutti i territori del pianeta dalla guerra globale USA.
In questi giorni di festa per la decisone del tar siamo restati in allerta per denunciare l'occupazione militare dell'isola e dell'italia... il 10 luglio nella commemorazione dello sbarco USA a Gela abbiamo festosamente ridicolizzato questa finta retorica da liberatori... purtroppo Turi Vaccaro Cordaro, Fratello e compagno nonché amico pacifista é stato arrestato mentre saliva sulla macchina della polizia di cordone alla parata. Accusato infamemente di danneggiamento pluriaggravato (il tetto della macchina non aveva un graffio)... scaraventato a terra compresso da tre agenti e caricato a forza é stato pure denunciato per resistenza a pubblico ufficiale per essersi divincolato e ferito con i suoi piedi nudi due agenti.
Oggi 12 luglio é stato convalidato l'arresto e fissata l'udienza del processo per direttissima per il 19 luglio, rischia da mesi a 3 anni di carcere... Riteniamo scandaloso il livello di menzogna della polizia la condotta intrasigente e abusiva degli stessi e l'ottusità della legge che tiene in carcere un pacifista che non ha fatto niente.
Facciamo appello a una mobilitazione per la liberazione di Turi, per la Liberazione dei nostri territori dai MUOSTRI e per denunciare la repressione dei movimenti e attivisti. Invitiamo a tre giorni di grande mobilitazione dal 17 al 19 luglio con culmine la sera del 18 e la giornata del 19 giorno dell'udienza. Tre giorni per la Libertà della terra degli attivisti e di Turi.

12 luglio 2013
movimento NOMUOS