indice n.77

EMERGENZA NORD AFRICA (ENA)
AGGIORNAMENTI DALLA LOTTA DENTRO E CONTRO I CIE
lettera dal carcere di saluzzo (cn)
resoconto del presidio del 16 febbraio al carcere di Saluzzo
lettera dal carcere “BUONCAMMINO” di cagliari
lettera dal carcere di teramo
da una lettera dal carcere di bergamo
Resoconto del presidio sotto il carcere di Bergamo del 16 febbraio
Lettera dal carcere di Alba (cn)
trasferimenti dalla sezione AS2 di san michele (alessandria)
Lettera dal carcere di Carinola (CE)
Lettera dal carcere di agrigento
lettera dal carcere di terni
Lettere dal carcere di San Vittore (Milano)
Resoconto del presidio-manifestazione attorno a S. Vittore
Lettera dal carcere di Spini di Gardolo (tn)
Dal carcere di Velletri (roma)
lettera dal carcere di Bollate (mi)
lettera dal carcere di pescara
Sul processo a Trento contro i No TAV
DALLA VALLE CHE RESISTE ALLA LOTTA CHE INVADE L’ITALIA
sugli arresti dopo la manifestazione a cuneo
Milano. 15, 16, 17 Marzo 2013
sul PROCESSO D'APPELLO THYSSENKRUPP
Saronno (MI): Processo per i fatti di Origgio (VA)
IL “METODO MAREDO”: CHOC E SGOMENTO

EMERGENZA NORD AFRICA (ENA)
50.000 persone durante i giorni dei bombardamenti Nato in Libia, nella primavera 2011, sono state rastrellate casa per casa, imprigionate, picchiate, derubate, costrette ad imbarcarsi per una vita dignitosa, inconsapevoli di entrare a far parte di un vortice senza fine che comporta l’espulsione dalla condizione umana, la completa assenza di libertà, una persecuzione della razza.
La situazione dell’isola di Lampedusa a partire dal 12 febbraio 2011 è stata sotto gli occhi di tutto il mondo. Si contavano almeno 4.000 migranti, in media, presenti sull’isola giornalmente, prima tunisini arrivati dopo la ”rivoluzione dei gelsomini”, quindi, a partire dal mese di aprile di quello stesso anno, profughi di diverse nazionalità provenienti dalla Libia, poi, nei mesi di agosto e settembre, in prevalenza di nuovo tunisini.
Nel “centro di primo soccorso ed accoglienza” (CPSA) di Contrada Imbriacola, sono state stipate anche 5.000 persone in un centro la cui massima capienza era di 804 posti.
Il 23 settembre 2011, un rogo scoppiato dopo una serie di proteste costringeva alla chiusura della struttura ed al trasferimento di tutti i migranti in altre strutture di “accoglienza” in diverse regioni d’Italia. Successivamente i tunisini, ma solo quelli giunti fino al 5 aprile 2011 ricevevano un permesso di soggiorno temporaneo, mentre per i sub sahariani che continuavano ad arrivare, dopo un iniziale tentativo di blocco sull’isola, ormai trasformata in una prigione a cielo aperto, scattava l’ammissione alla procedura di asilo e il trasferimento in “centri di accoglienza” ossia di detenzione. Le navi traghetto che avrebbero dovuto garantire una rapida evacuazione dell’isola sono state utilizzate come prigioni galleggianti. Gli autori di abusi ed omissioni sempre più gravi hanno agito con la consapevolezza di una totale impunità. Nel 2011 si è giunti a pagare agli enti gestori anche 46 euro al giorno per un immigrato adulto e fino ad 80 euro al giorno per un minore accompagnato, senza che gli immigrati ricevessero nulla a parte l’annientamento della persona. Molti richiedenti asilo sono rimasti per mesi in uno stato di sospensione di qualsiasi diritto, o in attesa di formalizzare la loro istanza, o in attesa di una decisione della commissione territoriale, in qualche caso senza neppure una identificazione certa e definitiva. La vita dei potenziali richiedenti asilo è stata rimessa alla più totale discrezionalità delle autorità di polizia. Molti rifugiati sono stati deportati al Centro per richiedenti asilo (Cara) di Mineo dove l’iter burocratico per la richiesta di protezione internazionale non era neppure cominciato o le cui pratiche si erano perse per strada.
Alla fine del 2012 si trattava di 18 mila persone, somali, ghanesi, ivoriani, maliani ed altri provenienti dall’estremo oriente come il Bangladesh o il Pakistan, ancora presenti nel sistema di accoglienza gestito dalla Protezione Civile ospitati in luoghi decentrati, come a Eboli, o in diverse province siciliane e calabresi, e le attività di integrazione e inserimento, in tutta Italia, restavano drammaticamente sulla carta.
A Mineo, dove al massimo potrebbero trovarsi 1.800 migranti, ancora alla fine del 2012, si sarebbe arrivati addirittura ad oltre 3.000 persone, alcune in attesa da un anno di un responso sulla loro richiesta di asilo e altre appena arrivate da Lampedusa dopo settimane di accoglienza/detenzione. I rifugiati hanno trascorso due anni nel completo abbandono a se stessi, impacchettati e spediti da una parte all’altra, in luoghi a volte isolati ed inaccessibili, in edifici dismessi non abitabili, affidati ad associazioni, cooperative, enti locali, alle varie caritas, ad alberghi; 46 euro al giorno per persona sono una cifra molto appetibile per fornire due pasti e un letto. Posteggiati e dimenticati da tutti, salvo le questure che conoscevano qualunque spostamento.
Pochi sono coloro che hanno imparato la lingua italiana e ancor meno le persone che hanno usufruito di doti formative con finalità occupazionali, ma anzi alcuni hanno lavorato gratuitamente con il rilascio di un buon attestato di frequenza con lodi d’impegno, correttezza e affidabilità che può solo servire da carta igienica, visto che anch’essa è carente nei luoghi di “accoglienza-persecuzione”.
Ai profughi è impedita la mobilità verso altri paesi Europei perché numerose questure non rilasciano il Titolo di Viaggio, che corrisponde al Passaporto. Chi è approdato è stato obbligato a chiedere asilo, poi ha subito la notevole lentezza dell’iter giuridico (commissioni e questure), poi si è visto rigettare la domanda nella maggioranza dei casi, e poi, dopo l’evidenza della necessità del rilascio di un permesso umanitario, questo è stato concesso solo alla fine dello scorso anno. Molti tuttavia ne sono ancora privi.
L’ ENA ha prodotto una moltitudine di persone disorientate, umiliate e gettate in strada senza alcuna possibilità di poter vivere in libertà. A livello nazionale, oltre 18.000 persone sono state evacuate dai centri che le avevano “ospitate”. In alcune città i rifugiati dei centri si sono opposti alla fine del progetto che non ha dato loro strumenti di autonomia e formazione come previsto, decidendo di restarvi o prendendosi altri spazi. Intanto scoppiano proteste e si verificano occupazioni, da Padova a Senigallia, da Bologna a Roma, in alcuni casi con interventi della polizia in funzione di ordine pubblico. Alcuni migranti che avevano promosso le azioni di protesta sono stati arrestati e denunciati per vari reati.
Il 18 febbraio una circolare del Ministero dell’Interno detta le ultime disposizioni che dovrebbero mettere la parola fine alla “accoglienza” all’italiana capace di gonfiare le tasche di molti imprenditori “umanitari”. Un’esperienza assolutamente non gestita, durata quasi due anni. Un’emergenza indubbiamente complessa, un capolavoro di inefficacia, gestita dal Ministero dell’Interno, dall’Anci (Associazione Nazionale Comuni d’Italia), dalla Protezione civile e dalle Prefetture, fruttata 1 miliardo e 300 milioni di euro. I fondi stanziati sono scomparsi, inghiottiti in un sistema perverso di cooperative e strutture private “UMANITARIE”. La mappa dei contributi d’uscita erogati dalle regioni è varia: si va dalla Lombardia dove i profughi hanno usufruito di una somma pari a 1.000 euro, alle regioni come il Lazio, la Campania o la Puglia dove le cifre sono pari a zero.
Il 28 febbraio scadono i termini dell’accoglienza per i profughi del Nord Africa. Tra le procedure volte a favorire i percorsi di uscita rientrano i programmi di rimpatrio volontari e assistiti, affidati all’Oim (Organizzazione Internazionale delle Migrazioni), ossia la possibilità di tornare al proprio paese di origine con un piccolo contributo economico, ma le cifre sono tutt’altro che chiare. Quel che è certo è che solo una piccola parte dei circa 18.000 profughi potrà usufruire della possibilità di rientro. Anche perché in molti casi tornarsene a casa non è facile: tra le persone accolte ci sono coloro che – perseguitati nei propri paesi per le loro opinioni politiche o religiose – difficilmente potrebbero tornare nei luoghi di origine. Al fine di regolare le modalità di uscita dalle strutture di “accoglienza” stabiliscono la somma di 500 euro. Qualcuno ha preso i 500 euro di “buona uscita” ed è partito verso la continua clandestinità, qualcuno è rimasto fermo ad aspettare, altri lottano e resistono. Persone senza più nulla, senza aver ricevuto accoglienza hanno trovato solo torture, stuprate della propria dignità per essere continuamente perseguitati, internati, schiavizzati dalle “leggi d’uguaglianza” degli interessi tra vari Stati. Leggi razziali in questo “stato democratico”. I campi di concentramento continuano ad esistere nel silenzio totale!

Firenze: i rifugiati occupano un ex albergo
Lamattina del 3 marzo un nutrito gruppo di occupanti del Movimento di lotta per la casa, insieme ai rifugiati provenienti dalla Libia, si è impossessato di un ex albergo vuoto da anni. Tutti gli occupanti provengono dalla Libia, fino a due anni fa avrebbero fatto volentieri a meno di arrivare in Italia senza soldi e senza lavoro. Per chi si fosse già scordato di questa guerra, ci pensiamo noi a rinfrescargli la memoria.
In Libia c’era un dittatore che abbiamo più volte criticato per le sue politiche criminali, sostenute moralmente e finanziariamente dagli ultimi governi italiani. Gheddafi era colui che faceva imprigionare i richiedenti asilo diretti in Europa, e li rispediva al loro paese dopo mesi di prigionia, se non avevano abbastanza soldi per continuare i tristemente celebri viaggi della speranza. Ma la Libia di Gheddafi era anche uno dei paesi più ricchi dell’Africa in cui non mancava il lavoro, le case erano a prezzi accessibili e si stava mediamente bene. Grazie ai nostri bombardamenti adesso questo paese è un cumulo di macerie, e i diversi clan si combattono a vicenda per spartirsi il potere. Interessante notare che la famosa missione di pace per proteggere i civili, oltre a bombardare le postazioni missilistiche del “nemico”, ha raso al suolo tutte le industrie presenti sul territorio per assicurarsi altre generazioni di sfruttati. Arrivati in Italia questi ragazzi sono stati inseriti in programmi imbarazzanti, simili a quelli attuati con l’emergenza dei somali, eritrei ed etiopi, con costi deliranti e con servizi che assomigliano più ad un ospedale che ad un reale percorso di emancipazione. A fine febbraio questi programmi sono terminati, i vari politici e la società civile si sono impegnati con tante belle parole a trovare una soluzione che non arriverà mai. Non siamo rimasti ad aspettare il solito scarica barile ma abbiamo deciso di riprenderci ancora una volta un immobile privato lasciato vuoto da anni per provare a risanare con l’occupazione l’autogestione un’emergenza abitativa che non accenna a diminuire.

Prati di Caprara (Bologna): Emergenza Nord Africa, presidiati dalla polizia
23 febbraio. Racconto di una privata cittadina che fa un sopralluogo a Prati di Caprara, alle porte di Bologna, dove stanno 137 profughi. “Non è stato facile arrivare. Sapevo solo che si trattava di un capannone fatiscente, ma di edifici fatiscenti in questa zona ce ne sono tanti. Chiedo informazioni: un ragazzo mi dice che ogni sera vede “gruppi di persone che entrano da quella torretta laggiù”. Un signore invece mi dice che c’è una porticina da cui vede entrare e uscire gente, ma lui “non sa nulla”. Mi avvicino al luogo indicatomi e mi rendo conto di non averlo notato prima, nonostante ci fossi passata davanti diverse volte. Un motivo c’è: si tratta di una ex caserma, una zona militare con tanto di alte mura e filo spinato. Provo un forte senso d’inadeguatezza, tuttavia trovo il coraggio e chiedo informazioni e sono invitata a entrare.
Centotrentasette persone abitano da un anno e otto mesi in uno stabile senza riscaldamento, lavano i propri panni a mano e dormono in sei (e più) nella stessa stanza. Cercano di scaldarsi con coperte e vestiti raccattati in giro o regalati da amici italiani. Si dividono due bagni sporchissimi e stanze piene di rottami. Non vedo docce, ma c’è un tubo che suppongo sia utilizzato come tale. L’acqua calda è un lusso che non ci si può concedere. Diverse biciclette servono a raggiungere il centro di Bologna, nel disperato tentativo di far passare il tempo. Nella “sala comune”, all’ingresso della caserma, c’è un televisore con davanti quattro sedie, come in una sala d’attesa. C’è anche una porta chiusa con affissi vari cartelli: è l’infermeria, chiusa da più di otto mesi ormai. Mi chiedo se è qui che sono finiti i tre milioni di euro consegnati alla Cri (Croce Rossa Italiana) per la gestione della cosiddetta emergenza Ena (Emergenza Nord Africa).
Non posso fare altro che riconoscere l’enorme forza che ancora hanno, che leggo nei loro occhi e che li spinge a scrivere quanto si legge nel comunicato pochi giorni prima della fine dell’Emergenza Nord Africa: «Ringraziamo per la “lezione di democrazia”, ma non ci scoraggiamo, perché il nostro futuro è qui, in Italia, e possibilmente a Bologna. Forse il Prefetto preferirebbe vederci scomparire nelle campagne di Rosarno, o negli slums di Roma, di cui ha scritto scandalizzato anche il New York Times, sappiamo che molti amministratori confidano che tutto si risolverà perché ci dissolveremo in Europa… Ma noi rifiutiamo di pagare con la prospettiva di schiavitù, illegalità e irregolarità per le nostre vite, le scelte politiche in materia di “accoglienza” e asilo di questo e del precedente Governo, e rivendichiamo il diritto di ricostruire la nostra dignità spezzata».
August mi dice che le persone conoscono la loro situazione, ma non fanno nulla, niente è cambiato da quando sono arrivati: nessuno ha mai ricevuto una vera assistenza, nessuno ha mai potuto lavorare. Francis mi racconta di essere stato volontario, come molti altri migranti, per otto mesi nel Tribunale di Bologna. Gli è stato rilasciato un foglio in cui vengono lodati impegno, correttezza e affidabilità (che presa per il culo). È l’ora di pranzo e noto un via-vai da dentro alla caserma a fuori. Lo spazio è enorme. Al piano di sopra è stata allestita una mensa dove vengono consegnati i pasti dagli “operatori” della Croce Rossa. I ragazzi ricevono quarantacinque euro mensili, in voucher che possono spendere in Coop. August mi racconta che cercano di racimolare qualche soldo vendendo oggetti perlopiù raccolti in strada e che vedo accatastati in diversi angoli della caserma. Nonostante i mucchi di sporcizia, i rottami sparsi ovunque, gli oggetti rotti e abbandonati, si percepisce un vivace tentativo di organizzazione. Dopo la protesta del 16 febbraio, quando i migranti hanno occupato il cortile della Prefettura per chiedere risposte concrete, il capo di gabinetto ha affermato che i rifugiati che lo richiederanno saranno provvisti di un titolo di viaggio, ma “nessuna soluzione abitativa verrà predisposta dopo il 28 febbraio”. Dopo un anno e otto mesi di non-risposte i migranti dovranno lasciare anche questo luogo desolato. Con 500 euro e nulla più.
Il 4 marzo dopo la conclusione del piano emergenza rifugiati del Nord Africa, il 28 febbraio scorso, un ultimo gruppo di cinquanta rifugiati aveva deciso di rimanere nella struttura di Prati di Caprara. Nel primo pomeriggio la polizia ha intimato ai rifugiati di abbandonare la struttura intervenendo sul posto. Il comune di Bologna, interpellato dalla Croce Rossa, dichiara di poter solamente offrire trenta posti letti nel piano di emergenza freddo. I migranti hanno deciso di non accettare una soluzione temporanea e insufficiente e vogliono restare dentro alla struttura chiedendo soluzioni abitative o perlomeno la possibilità di avere più tempo per organizzarsi e far fronte alla situazione. L’ingresso in questo momento è presidiato dagli agenti della polizia, una trentina, che non consentono a nessuno di entrare nella struttura, dove all’interno vi sono i migranti. Praticamente sono imprigionati. Sul posto ci sono gli attivisti del centro sociale TPO.

Pisa: i profughi rimangono in via Pietrasantina
Con la chiusura del periodo di “accoglienza” dei ragazzi fuggiti dalla guerra in Libia due anni fa, un gruppo di profughi è stato messo per due anni in container allestiti in Via Pietrasantina dalla Croce Rossa su suolo comunale, tra un meccanico a lato e una discarica dietro. Totale assenza di riscaldamento, di acqua calda, 2 bagni funzionanti per 40 persone, assenza d’igiene. Il personale della CRI fungeva più che altro da guardiano e albergatore della struttura, pronto a chiederti la carta d’identità quando andavi in visita ai ragazzi o ad essere paternalista verso gli ospiti, non svolgendo pressoché alcuna funzione di operatore sociale. In tale contesto, da circa un anno i ragazzi del Centro avevano stretto solidi rapporti di amicizia con un gruppo di studenti e con le reti associative di Rebeldia (Africa Insieme, scuola d’italiano El Comedor).
Il 27 febbraio alcuni studenti decidono di dormire al Centro con i ragazzi, per capire cosa sarebbe avvenuto il giorno successivo. “Alle 8.30 troviamo 7-8 persone della Croce Rossa che smontano tutto e svuotano il centro”, racconta Fabio, che quella mattina spiega agli operatori pronti a smontare tutto, il non-senso di ciò che stanno facendo. Gli amici dei ragazzi e le associazioni accorrono sul posto per monitorare la situazione. Alla presenza del personale della CRI, il Centro Nord-Sud e l’Assessore provinciale all’immigrazione, l’unica proposta ai ragazzi è il ricatto. Solo oggi e solo con l’uscita dal Centro avrete i 500 euro – la mattina dopo i 500 euro non ci saranno più su ordine della Prefettura. Alcuni se ne vanno da amici, parenti, chissà dove, altri trasferiti in un altro spazio della CRI, mentre altre 10 persone decidono di rimanere con la solidarietà di Africa Insieme-Rebeldia ed Ex Colorificio Liberato. La Croce Rossa infine cede un passo e consegna i 500 euro con l’accordo di una ulteriore notte nel Centro. I rifugiati dopo quella notte decidono di rimanere. Il 5 marzo la CRI ha ufficialmente denunciato l’occupazione e il giorno successivo si è tenuto un presidio sotto il Comune di Pisa.

Aeroporto di Fiumicino (Roma)
Il 14 febbraio un ragazzo di 19 anni, originario della Costa d’Avorio, si è dato fuoco nel settore partenze dell’aeroporto di Fiumicino per evitare il rimpatrio. E’ in gravi condizioni, ma non in pericolo di vita. Un percorso che ha portato all’applicazione del Regolamento di Dublino, che nasceva 10 anni fa nell’intento di garantire che ogni richiesta d’asilo fosse esaminata in Europa, evitando il problema dei “rifugiati in orbita”, ovvero quei rifugiati “rimbalzati” da un paese all’altro dell’Unione e che non trovavano nessun paese che si definisse competente a riconoscere la protezione. Ma il Regolamento di Dublino presuppone allo stesso tempo che si costruisca un sistema comune d’asilo nell’Unione Europea. Ma questo regolamento si basa sugli interessi di alcuni Stati piuttosto che sui diritti delle persone, con dure conseguenze sui richiedenti asilo: le famiglie sono separate, le persone vengono lasciate senza mezzi di sostentamento o detenute e, a dispetto dell’obiettivo del Regolamento, l’accesso alla procedura d’asilo non è sempre garantito. 39.000 domande sottoposte alle Commissioni Territoriali hanno avuto al 90% esito negativo. Una media europea mostra che nel 2009-2010 solamente il 25% delle richieste si sono poi concretamente trasformate in trasferimenti di richiedenti asilo (fonte analisi dati Eurostat).
Il Regolamento di Dublino impone ad un migrante di richiedere asilo nel paese di primo ingresso. Il ragazzo aveva chiesto protezione in Italia, per poi trasferirsi in Olanda. Ma l’Olanda l’aveva espulso, in quanto non era il paese di primo ingresso, mentre l’Italia ha respinto la sua domanda di protezione internazionale. Il decreto di espulsione era frutto di un diniego alla sua richiesta d’asilo, così un giovane è stato rinviato in Italia dall’Olanda il 13 febbraio e il 14 febbraio, con un decreto di espulsione in mano, all’aeroporto di Fiumicino si è dato fuoco.

Taranto: condanne per chi ha sostenuto le rivolte a Manduria dell’aprile 2011
Due coordinatori dello Slai Cobas sono stati condannati a 15 giorni di carcere perché ritenuti responsabili della grande rivolta dei tunisini nel 2 aprile 2011 al C.A.I. (Centro di Accoglienza ed Identificazione) di Manduria. Di seguito riportiamo stralci di un comunicato del collettivo autorganizzato universitario di Napoli.
“Esprimiamo massima solidarietà a Margherita ed Ernesto. Il C.A.I. è una struttura non prevista dall’ordinamento giuridico italiano, quindi temporanea, creata ad hoc per la presunta emergenza immigrazione e che, teoricamente, non prevede la detenzione. In realtà questi centri prendono le forme di veri e propri campi di concentramento. In questi Lager vengono consumate delle violenze inaudite sulla spalle di chi ha sostenuto un viaggio estenuante alla ricerca di una speranza, alla ricerca di un futuro. Persone che finché sono rimaste nel proprio Paese e si sono rivoltate contro i sanguinari dittatori (Gheddafi, Mubarak, Ben Alì..) vengono etichettate come degli eroi da sostenere o civili da difendere. Ma quando, sfiancati dalla guerra e dalla repressione decidono di attraversare il Mediterraneo alla volta delle coste europee, da “civili da proteggere” si tramutano in “una’orda barbarica di clandestini” che ha invaso il “nostro territorio”. Dimenticando che per qualsiasi ragione essi fuggano, le persone del nord-africa scappano da condizioni di vita e di lavoro disumane, delle quali il nostro governo e tutti i governi occidentali sono pienamente responsabili e colpevoli: dalle aggressioni imperialiste mascherate da interventi umanitari, allo stato di iper-sfruttamento imposto dalle imprese europee che in quei paesi delocalizzano la produzione di beni e servizi, al sostegno dei regimi di Ben Alì, Mubarack o Gheddafi, all’appoggio dato alla repressione dei movimenti popolari in Bahrain o nello Yemen. Ed è per questo che diamo tutto il nostro sostegno a chi in quei giorni a Manduria ha lottato al fianco dei “dannati della terra”, per la chiusura dei C.A.I., per la tutela dei rifugiati, e che ha gridato a gran voce NO al razzismo istituzionale, alle politiche di esclusione, allo sfruttamento del lavoro, alle violazioni dei diritti, ad un sistema sociale ed economico che opprime e ci sfrutta. Siamo TUTTI dannati della terra! Solidarietà ai compagni Margherita ed Ernesto!

Bracciante e migrante a ricschio schiavitù
A Rosarno sta finendo la raccolta degli agrumi e i braccianti africani stanno percorrendo la penisola verso i nuovi raccolti. In molti si mettono in marcia verso il Piemonte, verso Saluzzo, in provincia di Cuneo, dove ci sono estesi frutteti. Quest’anno si aspettano flussi record, che difficilmente potranno essere gestiti dalle istituzioni. Già lo scorso anno i migrandi si erano dovuti arrangiare in tendopoli senza servizi essenziali. In questi giorni terminano i progetti dell’emergenza nord Africa, molti dei rifugiati, che hanno già ottenuto i documenti, si dirigeranno verso le campagne piemontesi per cercare un impiego. La stagione del raccolto non è ancora cominciata, ma l’emergenza è già dietro l’angolo.

Milano, marzo 2013


AGGIORNAMENTI DALLA LOTTA DENTRO E CONTRO I CIE
CIE di Ponte Galeria (Roma)
Nella mattinata del 18 febbraio un ragazzo nigeriano si ribella all’espulsione e viene menato dalla polizia. I suoi compagni di gabbia assistono alla scena e decidono di reagire trovando appoggio da tutti i prigionieri di tutte le sezioni: in tutta la struttura scoppia la rivolta. In quel momento gli agenti di sorveglianza erano occupati con una delegazione di giornalisti così, ritardando l’intervento repressivo, le barriere di plexiglas, installate davanti alle reti delle gabbie per scongiurare le evasioni, con le fiamme si sono squagliate ed insieme tutto l’impianto di video sorveglianza. La questura riferisce 100 mila euro di danni e due agenti feriti. I birri trovandosi in difficoltà a gestire tutta la struttura, in assenza di telecamere, decidono di svuotare il CIE: alcuni sono stati espulsi, altri sono stati trasferiti in altri CIE, quindici sicuramente a Bari Palese, altri probabilmente altrove, e infine alcuni sono stati liberati. Nel centro, in attesa dei lavori di ristrutturazione, sembra siano rimasti soltanto una trentina di reclusi. Il ragazzo nigeriano non è stato espulso, nove suoi connazionali sono stati arrestati, probabilmente accusati di essere i promotori della rivolta e sicuramente gli unici identificati prima della distruzione delle telecamere.
Il 6 marzo a Roma donne eritree e somale occupano il centro “d’accoglienza”. Centro di Anguillara sotto sgombero.

CIE di Gradisca di Isonzo (Gorizia): rivolta con evasione
Il 19 febbraio una trentina di reclusi dopo essersi impossessati delle chiavi, hanno tentato la fuga dall’ingresso principale per poi sparpagliarsi in ogni direzione. Per cinque di loro, dopo aver affrontato le forze del manganello con spranghe, si sono dati alla macchia. Altri all’interno delle camere hanno dato fuoco ai materassi, nell’intento, non riuscito, di bruciare la struttura. Per evitare eventi simili, sono stati rimossi i materassi dalle camere dove si trovano gli internati. Il Pronto Soccorso dell’Ospedale di Gorizia è costantemente invaso di prigionieri del CIE, che con gesti estremi di autolesionismo, tentano di scappare.

CIE di Torino: la libertà brucia
22 febbraio. Grossa rivolta al Cie di corso Brunelleschi a Torino. Tutto comincia verso le 9 di sera, quando alcuni reclusi tentano di scappare scavalcando le alte grate, ma vengono ripresi dalla polizia appena prima dell’ultimo muro. Immediatamente scoppia la rabbia in tutto il Centro: alcuni reclusi salgono sui tetti e altri incendiano le camerate di alcune sezioni. La reazione della polizia è durissima, con un massiccio uso di gas lacrimogeni che rendono l’aria irrespirabile anche oltre le mura. Un presidio di solidarietà viene caricato a più riprese lungo via Monginevro, e i celerini rimediano qualche bottigliata e un paio di bombe carta. I reclusi raccontano che grazie all’incendio nell’area blu una sola stanza è agibile, infatti stanotte ci hanno dormito in 20. Stessa situazione nell’area rossa. Nell’area viola sono stati abbattuti dei muri interni. Dopo aver arrestato 5 reclusi nelle aree rossa e viola, la polizia sta distribuendo gli altri negli spazi rimasti agibili.
23 febbraio. Un partecipato presidio ha salutato sabato pomeriggio i prigionieri del Cie di Torino, reduci da una notte di rivolta. La solidarietà dei manifestanti si è fatta sentire con musica, interventi al microfono in italiano e in arabo, battiture sui pali della luce, lanci di palline da tennis contenenti messaggi di solidarietà e i tamburi della Samba Band. La polizia, nonostante fosse presente in forze, non è tuttavia riuscita ad impedire che il presidio si trasformasse in un corteo attorno le mura del centro, fino davanti all’ingresso del Centro e poi di nuovo indietro, bloccando il traffico su via Monginevro e via Mazzarello. Una volta sciolto il presidio, arriva la notizia che la polizia ha arrestato un recluso dell’area viola, colpevole di esser salito sul tetto per salutare i manifestanti. Assieme ai quattro arresti di ieri, con quest’ultimo sale quindi a 6 il numero di reclusi trasferiti nel carcere delle Vallette.
In concomitanza al presidio davanti al CIE, un gruppo di antirazzisti ha fatto visita alla casa del colonnello e medico Antonio Baldacci, responsabile per la Croce Rossa militare del CIE di Torino. Davanti alla villetta è stato steso uno striscione con la scritta: “Baldacci ti ricordi di Fatih? Croce Rossa assassina!” Fatih era un immigrato tunisino senza documenti rinchiuso nel CIE (allora CPT) di Torino. Nella notte del 23 maggio 2008 stava male. Per tutta la notte i suoi compagni di detenzione chiesero inutilmente aiuto. Dichiareranno ad un giornalista: “gridavamo come cani al canile, senza che nessuno ci ascoltasse”. La mattina dopo Fatih era morto. Non venne eseguita nessuna autopsia. Non sappiamo di cosa sia morto Fatih. Sappiamo però che in una struttura detentiva gestita dalla Croce Rossa nessuno lo ha assistito, nessuno gli ha garantito alcuna cura. Due giorni dopo il colonnello e medico Antonio Baldacci dichiarerà: “gli immigrati mentono sempre, mentono su ogni cosa”. Parole che non meritano commento, perché ricordano sin troppo bene quelle degli aguzzini di ogni dove. Il 2 giugno 2008 un gruppo di antirazzisti si reca alla casa di Baldacci per un cacerolazo. Si batterono le pentole davanti alla sua casa, si distribuirono volantini, si appesero striscioni. Una normale protesta di persone indignate per una morte senza senso. Oggi quella protesta di fronte alla casa del colonnello e medico Antonio Baldacci è entrata nel fascicolo del processo contro 67 antirazzisti, che lottarono e lottano contro le deportazioni, la schiavitù del lavoro migrante, la militarizzazione delle strade. Nel CIE di Torino le lotte, le fughe, la gente che si taglia per sfuggire all'espulsione sono pane quotidiano, come quotidiana è la resistenza di chi crede che, nell’Italia dei CIE, delle deportazioni, dei morti in mare, ribellarsi è un’urgenza che ci riguarda tutti. Per questa ragione non accetteremo che le lotte di quegli anni vengano rinchiuse in un aula di tribunale: porteremo le nostre ragioni nelle strade di questa città, porteremo il CIE nel salotto di Torino.
Il 24 febbraio verso le 8 di domenica sera i reclusi dell’area gialla completano il lavoro cominciato nei giorni scorsi dai prigionieri del Cie di Torino, incendiando tutta la sezione. L’intervento della polizia con gli idranti è servito solo a far cessare il fumo, perché le fiamme avevano già bruciato tutto ciò che poteva bruciare. Ora i 35 prigionieri dell’area gialla, alcuni dei quali appena trasferiti lì dalle altre sezioni già bruciate, si trovano sotto la pioggia nel cortile della sezione, perché dentro non è possibile stare. Alle 22.30 nell’area gialla rimangono agibili solo due camere, e per “ripristinare la piena funzionalità” (come ama dire la questura) una ventina di reclusi sono stati sistemati nella sala da pranzo adibita a dormitorio. Pare inoltre che la polizia non sia intervenuta per malmenare i prigionieri. Un veloce presidio di solidarietà si è formato per salutare i reclusi e il calore dimostrato in questi giorni, e da fuori le mura si sentiva fortissimo in un unico coro proveniente da tutte le sezioni: “Libertà! Libertà!”
27 febbraio. Primo di due processi agli antirazzisti che, tra il maggio del 2008 e il maggio del 2009, attraversarono l’esperienza dell’Assemblea Antirazzista Torinese. La morte di Fathi, un immigrato tunisino lasciato senza cure nell’allora “nuovo” CPT di Torino, fu il banco di prova di una relazione politica ancora embrionale.
Il 28 febbraio nel primo pomeriggio un recluso sale sul tetto dell’area viola per evitare l’espulsione, e un gruppo di solidali si raduna fuori le mura per salutarlo e sostenerlo con slogan e petardoni di un certo calibro. Poco distante, un fotoreporter tradito dal flash della fotocamera viene raggiunto, circondato e maltrattato. In seguito si rivelerà essere un collaboratore dei peggiori quotidiani locali. Quando arriva la conferma che l’espulsione del recluso sul tetto è rimandata, i manifestanti si allontanano, ma una dozzina viene bloccata poco distante da diverse volanti della polizia. I fermati vengono portati nel commissariato di via Tirreno, e trattenuti per diverse ore. Verranno rilasciati in serata, tutti tranne una compagna francese: stando alle minacce della polizia, verrà accompagnata alla frontiera con un decreto di espulsione dall’Italia.
Il 1° marzo secondo le edizioni online di alcuni quotidiani locali, nella notte tra giovedì e venerdì ha preso fuoco una cabina elettrica dell’Ufficio Immigrazione della Questura di Torino in corso Verona. Stando ai calcoli dei ragionieri della Questura, i danni dell’incendio ammonterebbero a 70 mila euro. Per poter funzionare, gli uffici sarebbero stati collegati a un generatore di emergenza, gentilmente concesso dall’Iren. L’ipotesi dei giornali è che non si sia trattato di un corto-circuito, o di un fulmine a ciel sereno, ma di una azione legata alle recenti rivolte nel Cie di Torino, e alla minaccia di espellere una compagna fermata il giorno precedente dopo una manifestazione sotto al Cie. La compagna fermata, come già annunciato da qualche agenzia di stampa, è già stata deportata in Francia nel pomeriggio di oggi: sta bene e siamo sicuri che il suo morale sia alto. Rispetto alla giornata di ieri, inoltre, c’è da aggiungere la notizia, sempre riportata da alcuni giornali, che mentre una dozzina di compagni era trattenuta nel commissariato di via Tirreno “un gruppo di anarchici ha rovesciato alcuni cassonetti in corso Regina Margherita, via Fiochetto e via Cigna e poi svuotato degli estintori sull’asfalto”. Nelle aree gialla, rossa e blu, danneggiate dagli incendi di venerdì e in quello di domenica, sono già cominciati i lavori di ristrutturazione, i reclusi continuano a dormire negli stanzoni delle mense. Tra i prigionieri circola la voce che la Questura, per alleggerire la pressione sulla struttura, stia preparando imminenti espulsioni, trasferimenti in altri Centri o liberazioni.
2 marzo. Presidio antirazzista itinerante “Il CIE nel salotto della città”: porteremo quella storia negata e dimanticata in mezzo alla città.
6 marzo. Il Cie di corso Brunelleschi continua ad essere in buona parte inutilizzabile. Nonostante le notizie diffuse dai giornali, le camerate andate a fuoco durante le rivolte del 22 e 24 febbraio sono tutt’ora inagibili. Due dei cinque arrestati sono stati scarcerati: uno è stato liberato con un foglio di via dall’Italia, l’altro è stato riportato al Cie ed espulso immediatamente. I reclusi sono ad oggi poco più di 60 (su 180 posti teoricamente disponibili). Dai giorni delle rivolte almeno 20 sono stati espulsi, 6 o 7 rilasciati con un foglio di via e due dovrebbero essere stati trasferiti a Trapani. In nessuna area, negli ultimi 10 giorni, ci sono stati nuovi ingressi. Da tutte le aree comunicano che da un paio di giorni viene distribuito un riso che “puzza”. Tutti sono sicuri che il pasto sia condito con una forte dose di tranquillanti e qualcuno ha pensato bene di restituirlo dritto sulla testa dei militari che lo consegnavano… Ieri un recluso ha trascorso la notte sul tetto dell’area viola per la paura di essere espulso. Qualche giorno fa aveva ingoiato un grosso numero di pile e lamette, ma, nonostante il parere contrario dei medici, era stato riportato al Cie. Sembra che abbia cercato di impiccarsi sul tetto. Questa mattina è stato riportato in ospedale apparentemente in gravi condizioni per gli oggetti ingeriti.

CIE di Bologna
Il 19 febbraio un’equipe di Medici per i Diritti Umani (Medu) è tornata a visitare il centro di Via Mattei, riscontrando la totale inadeguatezza della struttura a garantire la dignità umana dei migranti trattenuti. Gli operatori di Medu che hanno effettuato la visita si sono trovati di fronte alla mancanza dei minimi requisiti di vivibilità delle zone riservate ai trattenuti: stanze prive di riscaldamento funzionante, finestre e vetri danneggiati, docce inservibili e in alcuni casi con acqua fredda, toilette prive di porte di ingresso, lavandini divelti. Gli spazi interni ed esterni degli alloggi si presentano inoltre in uno stato fatiscente e le condizioni di pulizia sono estremamente carenti. Carenza del vestiario, insufficienza di coperte; fornitura di un rotolo di carta igienica al giorno ogni cinque persone; carenza di spazzolini, dentifricio, assorbenti igienici, ricambio di biancheria, mancanza pressoché totale di attività ricreative. Nulla di nuovo, normale amministrazione! Repubblica ha messo online un reportage girato dall’interno del Cie di Bologna, dove alcuni reclusi si lamentano per il fatto di non essere identificati per nome, ma per numero. “Come ha fatto Hitler agli ebrei”, dice uno. “Qui non ti chiedono ‘Come ti chiami?’, ma ‘Che numero sei?’”, gli fa eco un altro. Nelle camere le “reti” dei letti sono blocchi di cemento appoggiati a terra. “Sembra il cimitero”, dicono. Le finestre sono senza vetri. In alcuni casi si prova a rimediare con giornali e buste di plastica, in altri casi neanche quello. Al momento, la permanenza media effettiva, a Bologna, è di 66 giorni, con picchi di 12-13 mesi. In seguito alla visita di Desi Bruno (garante dei diritti dei detenuti dell’Emilia Romagna), sui giornali usciva la notizia di 4 casi di scabbia.
La Coop. Oasi che gestisce con un bando al ribasso il CIE di Bologna, Modena e Trapani, da mesi non riesce a pagare gli stipendi dei complici di questi lager.
Il 6 marzo due persone si sono cucite le labbra all’interno del CIE. Uno è rimasto così per tre giorni. Il quarto giorno è stata mandata a parlargli una psicologa inviata da Desi Bruno, che lo ha fatto uscire dal CIE: aveva sette giorni di tempo per rimanere in Italia, prima di essere di nuovo “irregolare”. Mentre la donna si è cucita le labbra per l’assenza di un mediatore culturale arabo.
La Cgil di Bologna ha presentato un esposto in procura per chiedere la chiusura del CIE. In settimana tutti i reclusi del Cie bolognese, saranno trasferiti in altri centri, per lavori di ristrutturazione, quindi resterà inagibile dicono per un mese.

CIE di Milo (Trapani): l’orrore continua
Il 19 febbraio alcuni membri delle associazioni Borderline-europe e Borderline Sicilia hanno visitato il CIE di Milo, a poca distanza dalla città di Trapani. La situazione incontrata è di grandissimo disagio. Moltissime persone riportano ferite e traumi non curati, se non con calmanti e aspirine. I membri dell’associazione hanno potuto appurare un’eccessiva somministrazione di calmanti e ansiolitici, utilizzati per “tenere calmi i prigionieri del CIE”. I quali lamentano anche condizioni di sonnolenza a seguito dei pasti. Il cibo che gli viene fornito è in pessime condizioni, riso crudo e sabbia in mezzo all’insalata, e il mattino un bicchiere di latte annacquato con un pezzetto di pane.
I reclusi hanno lamentato il malfunzionamento dell’assistenza sanitaria, spesso non vengono portati in infermeria per giorni nonostante manifestino seri problemi (ci sono alcuni diabetici e persone che presentano arti gonfi e lividi). L’incontro con gli assistenti sociali avviene sporadicamente. La struttura del centro, nonostante sia di recente costruzione, riporta gravi danni, causati anche dall’esasperazione dei migranti detenuti, che li porta a compiere atti dimostrativi contro le strutture ma anche contro se stessi.
Numerosi sono stati infatti i casi di autolesionismo. Non è previsto alcun tipo di attività ricreativa, nemmeno di carattere sportivo e pochissimi sono gli oggetti che ai detenuti è consentito tenere all’interno dei moduli detentivi. Addirittura il possesso di libri sarebbe vietato per il timore che li si possa usare per appiccare incendi all’interno della struttura. Il team di borderline-europe ha potuto riscontrare personalmente segni di pestaggi, provocati da azioni molto violente da parte delle forze dell’ordine.

BARI: condanne per la rivolta dell’agosto 2011
Il 27 febbraio il gup del tribunale di Bari Giovanni Abbattista ha condannato 14 migranti che presero parte alla rivolta del Centro per richiedenti asilo (CARA) di Bari-Palese del primo agosto 2011, dove venne assaltato un autobus dell'Amtab, occupate la tangenziale e una linea ferroviaria, scontri con la polizia che indietreggiava davanti alla pioggia di pietre. In particolare, sono stati condannati rispettivamente a 3 anni e 10 mesi e 3 anni e 6 mesi, due dei tre presunti capi della rivolta. I due sono accusati di istigazione a delinquere finalizzata alla rivolta. Condanne di due anni per gli altri 12 imputati, tutti extracomunitari provenienti da Bangladesh, Pakistan, Costa d'Avorio e Mali. Per quattro di loro il gup ha ordinato la sospensione condizionale della pena, mentre per altri nove, compresi i due presunti capi, il giudice ha disposto l'espulsione dal territorio Italiano. Inoltre gli immigrati sono stati condannati a risarcire la Ferrotramviaria Spa-Ferrovie del nord barese per i danni subiti durante la protesta. Gli imputati, tornati in libertà da tempo, sono stati detenuti nel carcere di Bari per alcuni mesi e poi sottoposti alla misura dell'obbligo di dimora nel Cara di Foggia.

Milano, marzo 2013
lettera dal carcere di saluzzo (cn)
E’ arrivato l’opuscolo 76. Ho letto con attenzione, anche quando parlava delle proteste nel carcere di Saluzzo. La vostra protesta è stata magnifica, noi abbiamo incominciato a battere e a gridare: libertà, libertà!
Qui la maggioranza sono detenuti stranieri, disperati, pieni di psicofarmaci e tutti vorrebbero lavorare, ma il lavoro non c’è.
L’infermeria qui non funziona, per avere determinati farmaci bisogna comprarli.
Non possiamo giocare a calcio, perché nel vecchio campo hanno costruito una nuova sezione del carcere. Dobbiamo giocare nello spazio dell’aria, sul cemento, così ci spacchiamo i piedi.
Il magistrato di sorveglianza, Dott. Salassa, non da’ segni di vita. In tutto il carcere sono solamente 2 che vanno in permesso. Sono qui da 2 anni e non ho mai potuto avere un colloquio con lui, nonostante le mie varie richieste. Per quello che mi riguarda, mi sono stufato, sono depresso, sono deluso. Qui vedo solo poveracci o tossicodipendenti.
Quelli che rubano milioni, qui non ci sono, quelli non vanno mai in carcere. I radicali parlano di amnistia, ma quando ci sarà?
Io non sono nei termini per poter chiedere l’espulsione, perché mi è arrivato un altro definitivo. La Tunisia è nel caos, l’Italia ha la giustizia che non funziona, quando esco dove andrò? Probabilmente in Norvegia o qualche paese del Nord Europa.
Qui lavoro 6 giorni alla settimana e guadagno 100 euro al mese.
Saluto tutti i militanti che lottano per noi detenuti. Grazie per quello che fate per noi.

marzo 2013
Aymene Maazouni, Via Regione Bronda 19/bis - 12037 Saluzzo


resoconto del presidio del 16 febbraio al carcere di Saluzzo
Il trasferimento di Maurizio (Alfieri) dal carcere di Tolmezzo in questo di Saluzzo (costruito di recente nel mezzo di campi di pere, pesche, kiwi…) deciso dal DAP nel tentativo di spezzare le azioni collettive e individuali maturate nei mesi scorsi all’interno del carcere friulano; la raccolta di firme di centinaia di prigionieri di Saluzzo contro le condizioni interne, unita all’imposizione dell’isolamento (14bis) nelle settimane scorse a Maurizio sono il sottofondo del presidio di oggi.
In quasi un centinaio di solidali ci siamo trovati per rendere ancor più diretto il sostegno, la vicinanza solidale con i prigionieri di Saluzzo. La notizia che ci ha colto appena giunti del trasferimento (pare a Terni) di Maurizio avvenuto nella mattinata, non ci ha sorpresi; ha soltanto resa ancor più sentita la nostra determinazione. Ci siamo così portati fin sotto le mura dove è stato possibile parlare, ascoltare, fare battiture, passare indirizzi… in sintonia fra dentro e fuori. Il megafono, l’impianto sonoro hanno facilitato una comunicazione andata avanti per oltre due ore. Verso la fine, la polizia ha cercato inutilmente diforzare lo scioglimento del presidio sparando contro di noi diversi lacrimogeni. Questo clima di reciprocità si è rafforzato quando alla calata delle tenebre nei campi è apparsa la scritta LIBERTA’, gigantesca, infuocata visibile ai prigionieri. Cori, saluti si sono ulteriormente uniti, esplosione di fuochi d’artificio, rendendo ancor più franco e diretto il rapporto fra dentro e fuori. Un solido presupposto per l’impegnativo presente e futuro che si para dinnanzi a noi tutte/i.

Milano, febbraio 2013
lettera dal carcere “BUONCAMMINO” di cagliari
Saludi olga, innanzi tutto spero che la presente vi possa trovare in ottima forma.
Ho letto l'opuscolo n° 76 con i suoi approfondimenti, l'ho ricevuto sempre con grande importanza! Ero convinto di un mio imminente trasferimento nel nuovo carcere di Oristano (a quanto pare quello vecchio con le bocche di lupo è realmente chiuso) ma così non è stato, cosa che invece è avvenuta in diverse circostanze con altri detenuti. Questo nuovo carcere non è ancora a pieno regime, in quanto le sez. AS sono ancora semivuote, e nella media sicurezza non tutte le celle sono occupate.
Anche nell'altro nuovo carcere di Nuchis non sono stati completati i trasferimenti che sono esclusivamente per i circuiti AS, nonostante si trovino anche alcuni detenuti di Media Sicurezza.
Sintomatico è il fatto del vai e vieni (qui a Buoncammino) di numerosi vermi/allievi che diventeranno i futuri aguzzini nelle galere in cui prenderanno servizio.
La prigione di Bancali a Sassari invece, sembra avvolta da un qualche mistero, perché essendo stata terminata già da 5 mesi, non emerge nessuna informazione ufficiale inerente alla sua apertura. Si dice che l'attesa potrebbe derivare dalla lenta formalità che necessita il reparto 41bis e le sue dinamiche, oppure, è la dimostrazione che diventerà una struttura che si aggiungerà a quella ottocentesca orripilante di San Sebastiano e non a sostituirla, e per questo occorrerà del tempo per la formazione delle dipendenze penitenziarie.
L'unico carcere ancora in cantiere è quello di Uta (CA) e i lavori da ultimare riguardano proprio il blocco ancora in costruzione del 41bis. Tra uno sciopero e l'altro da parte degli operai del cantiere, per mancato pagamento degli stipendi e della cassa edile, il penitenziario dovrebbe essere consegnato al ministero verso settembre/ottobre di quest'anno.
Un'isola, la Sardegna, strategicamente importante per lo stato, in cui perpetrare il nuovo modello di annientamento riservato ai prigionieri. L'infame regime di tortura del 41bis, non é con Uta e Bancali che viene applicato per la prima volta in Sardegna, esiste già da tanti anni nel centro clinico di Buoncammino (3 celle a 41bis); nel carcere di Badu 'e Carros, la sezione d'isolamento chiamata "porcilaia" è diventata tutta a 41bis già da un pezzo, e la nuova sezione che è stata costruita è a regime 41bis, nonostante inizialmente l'abbiano spacciata per sezione AS.
Tutto questo è la conferma che basterebbe murare i prigionieri in celle d'isolamento, posizionare le telecamere all'interno e instaurare il regolamento del regime 41bis, che così diverrebbe possibile istituirlo in tutte le carceri (o quasi!), la Media Sicurezza diviene così un campo sperimentale in cui il dispositivo di controllo è instaurato in un regime d'isolamento come approccio normativo.
Anche le nuove galere vanno in questa direzione. Un compagno di detenzione che è stato trasferito a Oristano, mi scrive dei blindi delle celle sempre chiusi, del limite ridotto a pochi pezzi per quanto riguarda il vestiario che si può possedere in cella, delle sezioni con un numero di detenuti non superiore alle 50 unità, non si esce più neanche per la doccia (dato che è presente in cella), del controllo tele-meccanizzato in ogni sua procedura di sicurezza. Le armi del DAP vengono così affilate, evidenziando la differenziazione tra prigionieri e metabolizzando la prassi con la quale il potere carcerario inasprisce la logica punitiva.
Anche qui in terra sarda si sta cercando di affrontare la questione sulla nuova edilizia penitenziaria e sul 41bis, regime di cui la Sardegna ne ha una massiccia presenza, e sarebbe importante da parte dei compagni della penisola che stanno approfondendo il discorso, di socializzarlo in merito.
È utile fare presente come le molteplici iniziative che si possono realizzare mentre il carcere è ancora vuoto (Bancali) o mentre è ancora in costruzione (Uta) (che contengono il 41bis) sono fattori altrettanto importanti su cui bisognerebbe operare. La mia disponibilità affinché questo avvenga è totale!
Intanto mi sono segnato nel calendario la data del 25 maggio in cui ci sarà la manifestazione generale contro il 41bis a Parma, anche se non ci posso andare, sarò comunque presente in altra forma. Un forte abbraccio fraterno a tutti del collettivo.

Presoni de Malukaminu, 24 friaxu 2013
Iosto


lettera dal carcere di teramo
Carissim* compagn*, vi ringrazio per avermi mandato il giornalino che tratta della situazione di lotta in Italia ed Europa oltre che delle carceri.
Vi faccio i miei complimenti e vi esorto ad andare avanti, io nel mio piccolo cercherò di far girare questo giornalino tra gli altri detenuti.
Scusatemi se non mi sono presentato a voi lettori, sono Davide Rosci detenuto nel carcere di Teramo nella cella n. 8 alla 4° SUD. Dal 18 febbraio sono detenuto a seguito degli scontri del 15 ottobre e dirvi che su me e gli altri compagni arrestati si sia scagliata la mano fascista e borghese dello stato è poco.
Con la repressione stanno provando in tutti i modi di soffocare ogni dissenso e se pensano di poterci azzittire sbagliano di grosso.
Fuori dal carcere ho ricevuto molta solidarietà e spero vivamente che il progetto del 9 febbraio [giorno della manifestazione nazionale a Teramo, ndr] di creare un movimento contro la repressione e il fascismo diventi realtà.
Siamo stati troppi anni in silenzio ed è arrivata l'ora di reagire unitariamente e proprio noi detenuti abbiamo capito, attraverso la nostra testimonianza, di smuovere quante più coscienze possibili.
La crisi in atto deve diventare rivoluzione e il lavoro di noi compagni è quello di chiedere a tutti di reagire e chiedere che la pratica di farsi scivolare tutto addossa finisca.
Abbiamo la possibilità di cambiare la situazione di silenzio che da troppi anni c'è in Italia attraverso le varie lotte che svolgiamo nei territori, non sciupiamola.
Giustizia sociale e sviluppo del benessere per tutti è il nostro compito dal quale non possiamo tirarci indietro e anche se oggi siamo sconfitti, di certo non siamo morti!!
Dal carcere di Teramo vedo voglia di fare e di mettersi in discussione.
Scusate se ho fatto questa premessa ma voglio con la mia testimonianza dire a quante più persone possibile che non bisogna arrendersi perché credo, sono convinto, che potremo insieme rompere queste catene.
Tornando a noi, sono a dirvi che la realtà carceraria a Teramo non è delle migliori, anzi, siamo 500 detenuti per un carcere da 400; le celle, che sono per una persona, sono occupate da due detenuti e qui capisci che la funzione riabilitativa è veramente una chimera. La maggior parte dei detenuti è in attesa di giudizio e solo il mio braccio ha le celle chiuse tutto il giorno.
Ho scritto al direttore esternando le mie impressioni cercando di attirare la sua attenzione sul dover dare l'opportunità di impiegare questo tempo per acquisire qualche competenza, magari con dei corsi, ma dubito che avrò risposte...
Non chiedo trattamenti di favore o altro, non è nel mio stile, ma vorrei che un detenuto una volta uscito da qui trovi delle porte aperte nel mondo del lavoro perché qui trovi subito un impiego nel ramo della malavita.
Nella mia cella di 8mq, priva di ogni cosa civile ho trovato nel mio compagno di cella Khamel (tunisino) tanta umanità, la stessa che manca ai giudici che spregianti della vita delle persone condannano noi e i nostri cari.
C’è bisogno di mobilitazione per cambiare questo sistema che vede nel mio braccio un 72enne cardiopatico in carcere, persone che hanno un lavoro e famiglia, in carcere per 4 grammi di fumo e così via.
Dobbiamo solo volerlo. Potete imprigionare il mio corpo, mai la mia mente. Davide.

Teramo, 27 febbraio 2013
Davide Rosci, strada Comunale Rotabile, loc.Castrogno - 64100 Teramo (TE)

All’inizio di marzo Davide è stato trasferito nel carcere di Rieti.
L’indirizzo attuale di Davide è:
Davide Rosci, Via Maestri del Lavoro 2 C - 02100 Rieti

***
Complici di Davide, solidali con Davide
La mattina del 18 febbraio il nostro compagno e fratello Davide, agli arresti domiciliari da 10 mesi per i fatti del 15 ottobre 2011, è stato prelevato dal proprio luogo di lavoro e tradotto nel carcere di Castrogno, a Teramo. Il motivo di questo inasprimento della misura di custodia cautelare è che gli viene contestata una tentata evasione risalente al 26 gennaio.
Sorvolando sugli atti e sugli eventi fattuali che hanno determinato questa accusa, vogliamo concentrarci sul contesto generale e fare una considerazione: quanto avvenuto lunedì scorso è l’ennesima dimostrazione di come lo Stato reagisca, elargendo misure repressive, ogni qual volta intravede forme di dissenso e pratiche di lotta che, avendo come fine il raggiungimento per tutti gli individui di migliori condizioni di vita, ostacolano il suo progetto e sono in palese contraddizione con esso.
La repressione è un’arma che aspira a colpire non solo coloro che si rendono direttamente protagonisti di reali tentativi di rinnovamento politico, economico e sociale, ma anche, o forse soprattutto, un mezzo di controllo delle coscienze, un mezzo attraverso il quale intimorire e far desistere anche chi ha solo pensato o ritenuto potenzialmente plausibile un tale cambiamento.
Le condanne (così come arresti, denunce, avvisi orali, fogli di via, misure di prevenzione ecc.) riguardano sempre meno il caso singolo e diventano sempre più spesso ESEMPLARI. Non mirano a colpire solo l’individuo che viene condannato, in questo caso Davide, bensì puntano ad abbattere gli animi e smorzare le passioni di tutti coloro che, ritenendo necessario il cambiamento, dovrebbero essere scoraggiati dall’intervenire in futuro per paura di incappare nelle stesse condanne.
Ma noi non siamo, e non saremo mai, vittime inconsapevoli della repressione. Non stanno colpendo solo Davide, colpiscono tutti quelli che in questi mesi gli sono stati vicini, colpiscono tutti quelli che con lui hanno solidarizzato. In altri termini colpiscono NOI di Azione Antifascista Teramo, VOI che siete al nostro fianco e TUTTI coloro che si dichiarano COMPLICI E SOLIDALI e lo fanno, non a caso, pochi giorni dopo il corteo del 9 febbraio che, evidentemente, deve aver “messo in guardia” più di qualcuno.
Ma il loro è un tentativo destinato a fallire: non ci fermeranno. Semmai alimenteranno la nostra rabbia e la nostra voglia di continuare a lottare per un futuro meno precario di quello che continuano a prospettarci.
Oggi più che mai complici e solidali con chi non si arrende, con chi reagisce, con chi non si sente sconfitto perché non è stato sconfitto. Oggi più che mai complici e solidali perché sono lo Stato e il Poetre ad avere paura di noi e non viceversa.
DAVIDE LIBERO SUBITO, LIBERI TUTTI SUBITO

febbraio 2013
Azione Antifascista Teramo

***
Torturatori assolti per pestaggi a Teramo
Il primo febbraio il giudice ha chiuso per sempre il caso Castrogno. L’inchiesta sul pestaggio di un recluso e sull’audio shock con la frase «un detenuto non si massacra in sezione, si massacra sotto» è stata archiviata dal gip Giovanni de Rensis che ha respinto la seconda opposizione presentata dal detenuto che accusava di essere stato pestato in carcere. Nell’inchiesta erano indagati l’ex comandante Giuseppe Luzi (nella foto) e quattro agenti di polizia: Donatello Pilotti, Giampiero Cordoni, Roberto Cerquitelli e Augusto Viva (difesi dagli avvocati Nicola De Cesare, Raffaella Orlando, Filomena Gramenzi, Renzo Di Sabatino, Carla Vicini, Antonio Valentini). Quella arrivata a de Rensis era la seconda richiesta di archiviazione. La prima era stata respinta dal gip Marina Tommolini (ora in servizio alla Corte d’appello di Ancona) che aveva disposto ulteriori indagini al pm Irene Scordamaglia . Il detenuto ha sempre sostenuto di essere stato picchiato da alcuni agenti di polizia penitenziaria di Castrogno come atto di ritorsione per una sua resistenza nei confronti di un agente.Va detto inoltre che il detenuto finì a processo (poi assolto) con l’accusa di lesioni e resistenza ad un agente di polizia penitenziaria. L’ex comandante, subito dopo l’esplosione del caso, aveva ammesso che era sua la voce che si sentiva nel colloquio shock registrato sul cd. E lui che diceva: «Il detenuto non si massacra in sezione, si massacra sotto. Abbiamo rischiato una rivolta perchè il negro ha visto tutto». Quel testimone era Uzoma Emeka, detenuto nigeriano morto in carcere un mese dopo i fatti, stroncato da un tumore al cervello non diagnosticato. Qualche giorno dopo la notizia tre compagni furono denunciati per delle scritte in città contro sbirri e politici. Sbirri che oggi sono dichiarati innocenti dalla giustizia statale e, soprattutto, ancora una volta non hanno trovato alcuna opposizione.

9 febbraio 2013
da freccia.noblogs.org


da una lettera dal carcere di bergamo
[...] ti ho scritto anche io tre volte e da te me ne è arrivata solo una a cui ho risposto immediatamente, ma boh, qua la posta è una merda, dovrei aver ricevuto tante lettere ma nada de nada!!!!
A scrivere non sono bravo come S., ma farò del mio meglio, da anarchico, siete dei grandi per quello che fate, tipo propaganda ai colloqui qua fuori ai famigliari…
Grazie per il 31 dicembre e per novembre, abbiamo sentito e risposto… battendo e urlando il più possibile la nostra rabbia per uno Stato italiano che a dir poco è da “vergogna”.
Comunque vi informo che giovedì 24 gennaio 2013 un ragazzo sudamericano si è impiccato (morto), e noi senza BergamoTV (“che hanno oscurato”) non sappiamo neanche se la notizia sia uscita dalle mura.
Poi che dire, se alcuni di “voi” han già provato sulla loro pelle cosa vuol dire essere rinchiusi fisicamente in un posto del genere… Gente che viene picchiata per niente, quando loro ti trattano come se fossi solo un numero, per non parlare degli spazi in cui siamo costretti a stare, in cellini da tre “che sarebbero per uno” e celle da sei “che sarebbero per tre”. Assistenti sociali che non chiamano mai… (psicologi, psichiatri)… Beh, più o meno è sempre la stessa solfa, lavoranti pagati un cazzo… Comunque sappiate che ci hanno bombardato di perquise in cui ti devastano la cella, olio, zucchero e quant’altro, vestiti in terra “tipo bestie” e poi trasferimenti non a caso “ma mirati”. [...]

Bergamo “Lager”, 6 febbraio 2013
C.C. via Gleno, 61 - 24125 Bergamo (BG)


SI VIVE DI INGIUSTIZIE, SI MUORE DI CARCERE
Resoconto del presidio sotto il carcere di Bergamo del 16 febbraio
Come annunciato nel precedente numero dell’Opuscolo (n° 76), a seguito del suicidio di Kelvin, ragazzo dominicano di 23 anni trovato morto nella sua cella lo scorso 24 gennaio, durante la mattina di sabato 16 febbraio si è organizzato un presidio di lotta fuori dalle mura del carcere di Bergamo.
Dopo un’ora e mezza di saluti “col botto”, battiture, slogan e letture di corrispondenze e di comunicati di rivendicazione, un folto gruppo di compagni e compagne, di amici e solidali, con rabbia e determinazione si è conquistato la strada per sfilare in corteo. Aperto da un lungo striscione che gridava “Si vive di ingiustizie, si muore di carcere”, il corteo ha percorso il perimetro del carcere fino a raggiungerne la parte posteriore, per rendersi visibile e farsi sentire anche dai detenuti di quei bracci. Forte e chiara non si è fatta attendere la risposta dei prigionieri, in particolare dalla settima sezione, quella in cui era detenuto Kelvin.
Verso le 14.30, tornati davanti all’ingresso dell’infame struttura e terminati gli ultimi interventi al megafono, la mobilitazione si è sciolta.
Una poco nutrita rappresentanza delle forze dell’ordine, non essendo riuscita a impedire lo svolgersi del corteo non autorizzato, a conclusione del presidio ha tentato di fermare dei compagni di Bergamo, senza risultato. L’arroganza degli uomini della repressione e i tentativi di intimidazione non fermeranno di certo la lotta contro il carcere, né dentro né fuori.
Consapevoli che questa azione ha portato un messaggio forte di solidarietà e di rivolta e ha rappresentato una prova di lotta importante per il contesto bergamasco, ribadiamo che nessuna morte passa sotto silenzio, perché ogni morte in carcere è un omicidio voluto dal sistema! Fuori tutti dalle galere! dentro nessuno, solo macerie!

Gruppo Antiautoritario Contro Carcere e Repressione
Via Furietti 12/B - 24126 Bergamo - gaccr2012@gmail.com
sportello informativo legale gratuito ogni primo GIOVEDÌ del mese dalle 21.30 alle 23


Lettera dal carcere di Alba (cn)
Mi hanno trasferito in un altro carcere che si trova a Alba, posso dirti che è un carcere abbandonato e peggio dell’altro [quello da dove è stato trasferito, Alessandria città, chiamato Don Soria, ndr]. Sono qui da 8 giorni e non mi trovo bene, perché nell’altro carcere ho parlato del ragazzo morto, dicendo alle guardie “lo avete lasciato morire, potevate salvarlo”.
Come ho saputo io e come sanno anche loro, gli hanno dato una dose di terapia troppo forte rispetto a quella normale, così il poverino è morto. Loro inoltre non sapevano che io conoscevo un suo parente. In ogni caso, per farmi star zitto, mi hanno trasferito, così il caso rimane fermo perché non ci sono testimoni.
Vorrei dirti che anche se sono qui faccio il possibile per non star zitto, e anche per aprire di nuovo il caso fino a quando si vedrà la verità. Racconterò tutto quello che è successo, anche quello che sto vedendo, perché se uno muore davanti agli occhi sai come è morto. Ho un’anima, non sto fermo, era un bravo ragazzo, gli hanno rovinato la gioventù; pensa, gli mancavano solo 3 mesi per uscire. Secondo te, quale giustizia è questa? Era con me in cella. Ancora oggi lo vedo sempre, mi sono scordato di me e penso solo a lui. Era un ragazzo dolcissimo… Un gran abbraccio, Rachid.

2 febbraio 2013
Kamal Adil Rachid, via Vivaro, 14 (Località Toppino) - 12051 Alba (Cuneo)


trasferimenti dalla sezione AS2 di san michele (alessandria)
Sergio, Stefano e Alessandro, per iniziativa della Procura di Milano (seppure la stessa non abbia ancora emesso un mandato di cattura nei confronti di quest’ultimo), sono stati trasferiti oggi 6 marzo nel carcere di Ferrara. Sembra che il senso sia quello di evitare rapporti tra loro tre e Alfredo e Nicola, detenuti anche loro nella sezione AS2 di Alessandria.
La competenza per il processo è passata per Stefano, Elisa, Sergio e Giuseppe alla Procura di Milano. Per i primi tre c’è già stato il riesame (per Giuseppe ci sarà a fine mese) che ha dato esito negativo per la loro scarcerazione.
Per Sergio al Tribunale della Libertà di Milano è caduto il punto B dell’ordinanza di custodia cautelare (attentati alla Bocconi e al direttore del Cie di Gradisca) ed è stato introdotto il reato di istigazione a delinquere adducendo come prova gli scritti, i comunicati, le lettere diffuse dal compagno durante la precedente carcerazione per l’operazione Shadow. Ieri c’è stata anche l’udienza per decidere se potrà avere finalmente i colloqui con Katia, cosa per cui è ancora in sciopero della fame.
Per Stefano ed Elisa in sede di riesame è caduto il 280 mentre sono rimasti il 270 e l’istigazione a delinquere. Le motivazioni addotte in sede di riesame per tenerli in carcere riguardano principalmente l’attività del blog Culmine, attraverso il quale gli inquirenti sostengono di aver riscontrato il “contributo ideologico” alla presunta associazione sovversiva, il “superamento dei limiti di comunicazione e conoscenza” oltre a mettere sotto accusa la solidarietà e il supporto ai prigionieri.
Per Paola, Giulia, e Alessandro è arrivata la notifica di chiusura delle indagini per quanto riguarda il 270 avente base in Perugia.
La Cassazione per Alessandro ha stabilito che per entrambe le associazioni la competenza territoriale è della procura di Perugia.
In attesa di ulteriori aggiornamenti.

7 marzo 2013
Cassa di solidarietà Aracnide
da informa-azione.info
***
nuovi trasferimenti e PRESIDIO DAVANTI AL CARCERE DI FERRARA
11 marzo: Abbiamo appreso stamattina che sabato scorso Alfredo, Nicola e Giuseppe sono stati trasferiti anch'essi dall'AS2 di Alessandria a Ferrara. In particolare nel carcere ferrarese è stata approntata una nuova sezione destinata agli anarchici, celle singole e socialità in comune.
In contraddizione con quanto affermato dalla procura milanese che aveva espressamente affermato la volontà di separare i compagni in carcere per l'operazione “Ardire” dai due indagati del procedimento Adinolfi. Non interessa qui approfondire la logica seguita dalle varie procure e quella dell' amministrazione penitenziaria, od analizzare eventuali loro contraddizioni e giochi di potere.
Solidarietà attiva con i compagni in carcere, un forte abbraccio solidale con Sergio in sciopero della fame dal 29 gennaio.
Sabato 23 marzo, ore 12: PRESIDIO DAVANTI AL CARCERE DI FERRARA

11 marzo 2013, Anarchici Ferraresi
fonte: kronstadt21fe@inventati.org

Per scrivergli:
Sergio Maria Stefani, Stefano Gabriele Fosco, Alessandro Settepani, Giuseppe Lo Turco, Nicola Gai, Alfredo Cospito, via Arginone, 327 - 44122 Ferrara


Lettera dal carcere di Carinola (CE)
Cari amici (Olga), vi scrivo a nome di Domingo Francesco, che proprio in questo momento sto leggendo la sua lettera, mi chiede di tenervi informati che sta scontando 15 giorni di isolamento nel carcere di Ucciardone Palermo. Perché fece casino nel tribunale perché gli venne proibito di salutare Maddalena ed è stato denunciato dalle guardie carcerarie. Ora dice Domingo che si trova nel carcere di Ucciardone Palermo e sarebbe sprovvisto di bolli e non avrebbe contatti con altri prigionieri. Chiede se potete fargli avere un po' di bolli e se potete scrivere su Ampi Orizzonti del suo trasferimento. Anche Maddalena Calore l'hanno trasferita nel carcere di Agrigento.
Comunque se scrivete a Domingo fategli sapere che v'ho scritto. Un Abbraccio.

5 febbraio 2013
Rossetti Busa Mauro, via San Biagio, 6 - 81030 Carinola (CE)


Lettera dal carcere di agrigento
Ciao Compà, scusate il ritardo nel confermarvi l'arrivo del materiale richiesto, è perchè ho finito le buste e solo oggi mi sono arrivate! Beddi, vedete che qui mi stan facendo troppo incazzare. Di ciò che vi avevo richiesto, han lasciato entrare solamente il codice, il mio scritto impaginato e alcuni fogli di giornale, mentre il resto è fermo in direzione, in attesa di una decisione. Stessa cosa vale per l'opuscolo di OLGA.
A causa del procedimento aperto dal carcere palermitano (per ciò che è accaduto negli ultimi mesi), ci sono indagini in corso, e ho capito che con questo pretesto han bloccato tutto. Come se bloccare dei libri potesse essere “utile alle indagini”, o “prevenire reati” o garantire la “sicurezza interna”! Ora, io ho fatto richiesta di parlare con chi me li ha bloccati (il direttore) e vediamo... Se a giorni non si presenta mi muoverò in altri modi... Con calma utilizzo le loro fottute formalità (che tanto so già che mai portano a qualcosa) solo perchè così non possono dire che non ci ho provato... Anche perché in nessun altro carcere mi han mai trattenuto libri (neanche sotto le varie censure) [...]
Comunque, oltre a tutto questo, ancora sto in isolamento... Mi han dato altri 10 giorni dopo i 15 accollatami appena finito il 14 bis, per una zuffa con le guardie a Palermo (che ha portato a questo trasferimento. Pensare che avevo sperato che cambiando aria avrei preso un attimo di respiro, e invece...)... Inutile pensare a queste cose in certi luoghi! Qua non la vedo tanto differente da Palermo... Già se inizia così!
Comunque, il giorno 25 febbraio ho udienza a Trapani e chiederò i domiciliari in Sardegna. Quindi aspetto a vedere che deciderà 'sto giudice! […] Ora mi pare di essere nuovamente al 14 bis, non avendo, oltre al fornellino, nemmeno la tv, che per un incidente è da sistemare (e mi vogliono pure far pagare il danno!) […]
Qua la struttura è piccola, poche detenute (le ho viste solidali però!) il freddo costante come in ogni carcere e il trattamento riservatomi è il medesimo da AS2, con le solite dinamiche interne di minaccia di rapporto. Me ne hanno accollato uno per una stronzata che se ve la racconto non si sa se ridere o piangere! […]
Ah, in questo carcere non fanno entrare i bolli per corrispondenza, così se volete rigirare questo fatto oltre alla situazione esposta sopra mi fareste un piacere. […]
Chiudo con una forte stretta sempre colma d'odio per chi reprime e d'amore per la completa Libertà. Madda.

19 febbraio 2013
Maddalena Calore, contrada Petrusa - 92100, Agrigento (AG)

Apprendiamo in seguito che le sono stati negati i domiciliari in Sardegna.
Inoltre da una successiva lettera, datata il 4 marzo, apprendiamo che si trova attualmente in sciopero della fame. Dopo essere stata trasferita dal Pagliarelli di Palermo al carcere di Petrusa, sta scontando ancora un ciclo di 8 giorni di isolamento, dopo averne già fatti prima 15 e poi in 10 (in tutto ormai un mese!). Due settimane fa ha chiesto di parlare con il direttore, al fine di ricevere chiarimenti circa questo prolungarsi della misura punitiva: vuole accertarsi di non essere ancora in isolamento per fatti già scontati, visto che i procedimenti sono tutti partiti da Palermo. Non avendo ancora ottenuto la possibilità di parlare con il direttore, è entrata in sciopero della fame dal giorno 28 febbraio.

7 marzo 2013
da informa-azione.info


lettera dal carcere di terni
Carissimi/e Compagni/e, innanzi tutto mando un forte abbraccio a tutti/e voi, con forte calore fatto di ribellione e Lotta, contro gli "ABUSI E PREVARICAZIONI" fatti da persone prive di Amori e Sentimenti che non rispettano la Dignità Umana e violano la legge.
Vi sto scrivendo da TERNI come voi saprete perché ho saputo dai Compagni/e che il 9 marzo sotto S. Vittore si svolgerà un presidio per sostenere tutti/e i Detenuti/e malati che non vengono curati e sono lasciati soli al loro destino (fatto ripugnante e ignobile)...
Di me ho poco da dirvi, nel senso che già siete al corrente di tutte le cattiverie che mi vengono fatte da alcuni organi dei D.A.P. e il trattamento che mi hanno riservato grazie alle 22 false denunce e l'ignobile "trappola" "architettata a Tolmezzo" ad opera di un Agente "corrotto e spregiudicato" che senza ombra di dubbio era sotto inchiesta per altri fatti, così lo hanno "adoperato e usato contro di me", ma questa cattiveria la pagheranno cara, sia con Strasburgo che con i Giudici in Italia, che già al Tribunale del Riesame "parzialmente" ha riconosciuto questa "infamia". Ma non mi basta.
Vi informo che non ho ricevuto nessun Opuscolo da quando vi ho scritto (2 volte), [...], fatemi sapere qualcosa in merito a questo OK.
Qui a "Terni" con me sono educati e rispettosi, per il resto è un "letamaio", però aspetto solo di sapere se dopo il 14bis verrò trasferito, in caso contrario ci sarà molto da dire e fare.
Termino inviandovi un forte abbraccio unito a tutti/e i Compagni/e che insieme a noi Lottano per degli ideali fatti di Amore, uguaglianza, fraternità, la Solidarietà e Libertà.
Un abbraccio ribelle con ogni bene.
PS: un saluto a tutti i ragazzi di S. Vittore non dimenticatelo al megafono (da parte mia)...

Terni, 28 febbraio 2013
Maurizio Alfieri, Strada delle Campore, 32 - 05100 Terni (TR)
[lettera e busta con visto]

***
sulLa montatura dei ROS sul caso dell'evasione a Tolmezzo
Il 12 febbraio scorso il tribunale del Riesame di Trieste ha annullato l’ordinanza di custodia cautelare in carcere emessa il 2 gennaio dal Gip di Tolmezzo nei confronti di Maurizio Alfieri accusato di tramare una mirabolante evasione in elicottero e di spacciare droga e armi mentre era in isolamento. Cade così, dopo poche settimane, la montatura orchestrata dai Ros e dal procuratore Giancarlo Buonocore contro il prigioniero che per primo aveva avuto il coraggio di denunciare le violenze e le minacce che venivano perpetuate all'interno del carcere di Tolmezzo. Denunce che istituzioni e giornalisti si sono ben guardati dal rendere pubbliche. Dall'altro lato non è stato certo risparmiato inchiostro per cercare di infamare anarchici e no tav che avevano organizzato iniziative di solidarietà con i prigionieri in lotta. Ebbene, se denunce e giornali si possono stracciare e gettare, il carcere e le sue guardie continuano a mietere vittime e a cercare di reprimere chi alza la testa.
Proprio sabato scorso si è tenuto a Saluzzo (CN), dove Maurizio era stato da poco trasferito, un presidio di solidarietà per lui e gli altri prigionieri che da poco hanno iniziato a far sentire la loro voce contro gli orrori del carcere, ma Maurizio non c'era, infatti è stato trasferito in fretta e furia a Terni pochi giorni prima del presidio. Questo dimostra, per chi avesse ancora dubbi o addirittura creduto ai giornali, il metodo codardo e infame con cui l'istituzione penitenziaria cerca di piegare chi osa ribellarsi: se non bastano i pestaggi, allora si creano montature, campagne mediatiche, intimidazioni e continui trasferimenti.
Non ci scandalizziamo se i giornalisti assecondano queste operazioni repressive ricopiando le veline della questura ed omettendo tutte le violenze che avvengono nelle carceri, i fatti sono venuti a galla da soli e confermano che questa lotta è giusta. A pennivendoli e sbirri lasciamo volentieri il loro ruolo di servi, noi continueremo a lottare finché le urla da dentro le carceri non diventeranno un boato che li travolgerà tutti quanti.

22 febbraio 2013
Coordinamento contro il carere e la repressione


Lettere dal carcere di San Vittore (Milano)
[…] Il centro clinico è una specie di spazio (sezione), adibito ad ospedale messo per le persone malate, con gravi patologie (malati di cuore, tumorali ecc) e categorie di malati anche di mente; al 3° piano, dove c’è il C.O.M.P., cosiddetto “reparto psichiatrico”, che te lo raccomando, vengono riempiti di farmaci, tutto il giorno, rendendoli pari a dei “robot”, lasciati x mesi, anni!! Uno schifo!!
C’è addirittura un mio amico, un signore di 73 anni che ha 4 bypass. Lasciato al centro clinico e non a casa da suo figlio! Tranquillamente, come se fosse un detenuto qualunque, fai te!! Lotta dura!! A presto.
P.S. Non sai quante persone subiscono soprusi, negli altri raggi, specialmente al 6°!!!

1 marzo 2013
Alessandro Chiapatti, P.za Filangieri, 2 - 20123 Milano

***
Ciao carissimi compagni, mi fa piacere sentire che non mollate mai per far sentire la mia, la nostra voce. Grazie per quello che fate per tutti noi.
Cari compagni ho ricevuto l’opuscolo che io faccio leggere agli altri per fargli capire che bisogna denunciare, raccontare tutti gli abusi che riceviamo giorno per giorno.
Spero tanto che il giorno 9 marzo farete delle foto per il presidio che farete nel carcere di San Vittore e mi manderete le foto e spero che mi menzionerete nei vostri cuori.
Cosa raccontarvi… devo comprare i medicinali che l’andrologo mi ha prescritto, 120 euro di compresse perché l’ASL non li passa, come devo fare? Vi rendete conto, siamo senza medicinali dentro San Vittore e poi fanno i corsi dei VIP per far vedere che c’è un reinserimento… di che cosa? E’ questo che non riesco a capire.
C’è gente che si sente male senza avere cure, sempre la solita pillola (paracetamolo).
E’ venuto Napolitano, in quei giorni hanno ripulito il 6° raggio a dovere e i lavoranti si sono spaccati i culi a lavare tutto il letame che raccoglie quel raggio; il bello è che pare si mettono le patate sugli occhi… ma non lo vedono le persone fuori che tutto ciò fa male alla società e all’umanita intera?
Vi faccio presente questo: il giorno 17 febbraio 2013 sono andato in permesso per gravi problemi di salute per mia figlia Giulia di anni 11 che soffre di bulimia ed è in cura presso l’ospedale San Paolo di Milano e uno psicoterapeuta per aiuto psicologico. Il magistrato di sorveglianza molto umanamente mi ha concesso 3 ore da passare in famiglia, ora tutti i mesi andiamo a casa mia per tre ore da passare con mia figlia, ci siamo.
Il magistrato scrive in abiti borghesi, e che io queste tre ore le passo in ambiente familiare… com’è finita, così: la mattina mi chiamano, manette, furgone, autista e tre guardie. Arriviamo sotto casa, mi levan le manette e saliamo a casa mia, guardano la casa e mi dicono: dove ci possiamo mettere? Io ho pensato, ma se è un colloquio per la salute di mia figlia per avere un supporto morale per la sua patologia che c’entra che devono stare li con me! Non solo, mia figlia con le solite domande: chi sono? Perché devono stare qui? Ecc. ecc. Proprio ieri ho parlato con mia moglie, l’avvocato e il dottore di mia figlia che così facendo i permessi paiono come se uno è in galera lo stesso, che rapporto devo creare, come posso dargli aiuto alla mia piccola principessa, me lo spiegate?
Ora lotteremo per avere più giustizia verso mia figlia perché lei non c’entra dei miei errori, lei ha bisogno solo di cure e di ambiente giusto per uscire da questo tunnel che lei si è creato ma non davanti agli agenti che paiono lupi che vogliono mangiare la pecora. Ma devono stare attenti che le pecore un giorno si trasformino in lupi per il diritto di famiglia.
Spero che pure tutto ciò lo griderete fuori queste mur maledette e fredde.
Un saluto di vicinanza a tutte le famiglie dei compagni che hanno perso i loro figli, io sono qui a gridare la verità per tutti loro e per noi stessi, non smetterò mai di combattere con voi perché la guerra la dobbiamo vincere tutti insieme. Vi viglio bene cari compagni anarchici.
Vostro compagno Santo Galeano.
P.S. Esprimo la mia vicinanza ai compagni della C.R. di Saluzzo dove io ho sofferto insieme ai compagni Maurizio Alfieri, Dicé Raffaele, Hudarais Massimo [gli ultimi due nomi potrebbero non essere esatti, ndr] compagni miei di isolamento vi voglio bene.

20 febbraio 2013
Santo Galeano, P.za Filangieri, 2 - 20123 Milano



Resoconto del presidio-manifestazione attorno a S. Vittore
L’idea di mettere in piedi una presenza comunicativa fra interno e esterno assieme ai familiari, in questa mattinata e primo pomeriggio ha mosso i primi passi.
Il presidio, in piazza Aquileia, che si trova proprio sotto le mura del carcere, infatti è iniziato attorno alle 11, subito dopo e in contemporanea al volantinaggio ai famigliari che si recano al colloquio. Ci riconoscono, parliamo assieme. Alcuni di loro, soprattutto donne, all’uscita del colloquio si uniscono alla manifestazione. Non siamo tanti/e, ma sufficienti per prendersi viale Papiniano, dove al sabato c’è un grosso mercato. Teniamo in mano davanti a noi uno striscione grande con la scritta “Libertà”. Ci sono anche le casse e il microfono. Partono i primi interventi in cui spieghiamo i perché della manifestazione, della presenza del carcere, per necessità o per scelta, comunque sempre più reale, nella vita disastrosa di gran parte della popolazione. Dell’importanza perciò della lotta contro il carcere, dentro e fuori, nel proseguimento della resistenza generale contro la devastazione complessiva portata avanti dai governi. La gente si ferma, è pensierosa, interessata, anche applaude. Altri famigliari in uscita dal colloquio si uniscono al corteo che avvicinandosi al carcere urla: “Libere/i tutte/i”, “Fuori tutti dalle galere dentro nessuno solo macerie”… Giriamo attorno alle mura del carcere, ricompaiono le scritte cancellate in occasione della visita di Napolitano. Ci fermiamo di volta in volta all’altezza dei bracci terzo, quinto, sesto e femminile; prendono il microfono anche i famigliari; salutano, comunicano con le persone loro care, descrivono le condizioni in cui sono tenute; si moltiplicano gli interventi di sostegno a chi si ribella, tiene alta la testa di fronte a pestaggi, soprusi, ricatti… da dentro rispondono, urlano, probabilmente, se non l’hanno tolta, dall’aria. Sono le 16 passate quando concludiamo con i botti una giornata carica di insegnamenti per il futuro.

Milano, 9 marzo 2013


Lettera dal carcere di Spini di Gardolo (tn)
Hola amici di OLGA e sopratutto un saluto a te F. e spero che stiate bene. Siccome è 3 mesi che vi ho scritto e non ho ricevuto risposta, sicuramente o è andata persa o proprio non vi è arrivata. Comunque qui in questo carcere "modello" del cazzo non funziona più niente, ci saranno almeno 30 celle senza TV tra cui una è la mia, e la loro scusa è che non ci sono fondi per comprarne altre. In solo 2 anni e mezzo hanno già cambiato 3 direttori e già questo spiega tutto e non capisco come in così poco tempo le TV stanno andando a puttane; ci sono parecchie celle chiuse perché hanno già preso le TV e messe in altre celle e così anche dal femminile, tutte quelle disponibili le hanno già portate di qua da noi; insomma carcere "modello" un par di coglioni!! Poi adesso ad ogni colloquio ci fanno perquisizioni totali comprese di flessioni ed io ogni volta ci devo litigare perché mi rifiuto di farle, perché penso che sia un'umiliazione pesantissima e una volta per non averle fatte mi sono preso 4 schiaffi, cioè capito fanno i grandi solo perché sono in 6 o 7 e ovviamente non puoi reagire perché se no ti smontano!
L'unica buona notizia è che a un detenuto che nel 2011 era stato brutalmente massacrato di calci e pugni, l'8 febbraio ha fatto il processo ed il bastardo cane è stato condannato, un punto per noi ragazzi!! Poi parliamo della questione lamette: noi non possiamo comprarcele sulla spesa ma, ogni lunedì, mercoledì e sabato, il barbiere ce le porta su un pezzo di cartone di 60x60 cm con tutte le lamette di tutta la sezione, ed ovviamente se uno vuole le può scambiare a suo piacimento. Possiamo solo mettere il nome e cognome tra le lame ed il pezzo di plastica e poi sono lamette usa e getta che le passa la Caritas al carcere e non hanno neanche un po' di vergogna. Poi le cambiano una volta al mese anche se sono usa e getta cioè ragazzi è uno schifo.
Io dopo uno sciopero della fame per tutte ste cose che non vanno, sono andato dal direttore e mi ha promesso che avrebbe risolto subito il problema, sono passati 4 mesi e non è successo niente, pensate che un paio di settimane fa mi sono trovato una goccia di sangue sul pezzo di carta dove c'è scritto il mio nome e ho fatto subito casino e sai cosa mi hanno risposto? Garofalo fatti la galera e zitto!! Poi siccome non ci sono sezioni apposta per malati di AIDS epatiti ecc. noi viviamo a stretto contatto con un possibile contagio, i più onesti come entrano in cella lo dicono subito e allora si può stare più attenti ma alcuni non dicono niente e ti ritrovi ad uscire di qui con una di queste malattie.
Non è una discriminazione contro questi detenuti ma sarebbe giusto segnalare quando una persona è malata giusto ragazzi?
Cambiando discorso, adesso stanno portando via ogni felpa con il cappuccio, ogni bandiera e ogni vestito non a "norma".
Le prendono e te le mettono in magazzino e ci sono tanti detenuti che sono rimasti senza niente e dopo uno sciopero del carrello di tutta la nostra sezione è venuto il comandante a parlarci e ci ha detto che non gli interessa niente e che chi ha bisogno di vestiti deve andare alla Caritas, booo stanno uscendo tutti pazzi! Poi ci sono sempre un casino di ritardi con la posta, a me per farmi arrivare una raccomandata con ricevuta di ritorno, che in teoria ci vuole max una settimana, me l'anno portata dopo 15 GG. Cioè han pagato 13€ per farmela arrivare subito ed è arrivata così in ritardo.
Poi stanno gonfiando i prezzi della spesa a dismisura, l'anno scorso se vi ricordate c'è stato l'aumento delle sigarette e tabacchi verso maggio se non sbaglio, però a noi ce l'hanno detto a luglio e verso ottobre ci sono arrivate da pagare la differenza di 2 mesi di tabacchi, noi ovviamente abbiamo fatto subito sciopero e una carta con tanto di firme perché è stato un loro errore a non comunicarcelo e loro ci fanno che al posto che scalarceli tutti in una volta lo avrebbero fatto gradualmente; cioè ragazzi cose assurde succedono in sto cazzo di carcere, possiamo fare anche casino o sciopero e loro ci danno un dito e poi in un modo o nell'altro si prendono tutto il braccio. Vi metto dentro una carta con firme che avevo fatto passare per tutto il carcere l'anno scorso e guardate che su 300 detenuti che siamo, solo 100 hanno firmato perché qui se ne salvano un gran pochi, hanno tutti paura, tutti che sono mezzi servi, infamano qualsiasi persona e non guardano in faccia nessuno. [...]

Spini di Gardolo, 6 marzo 2013
Giancarlo Garofalo, via Beccaria, 13 - 38122 Spini di Gardolo (Trento)


Dal carcere di Velletri (roma)
Carissimi/e, così alla fine ho ceduto anch'io accettando l'aiuto di mamma stato.
Ho infatti accettato il lavoro da scrivano di sezione ed ho inoltre ringraziato gentilmente. Quei 33€ mensili, per uno come me che non può vivere di proclami, tantomeno aria, valgono più del semplice e solito piatto di lenticchie tanto spesso ricordato. È giusto che ognuno tenti di sopravvivere utilizzando le proprie forze, che sono le uniche oggettivamente misurabili, non mi sento di aver venduto l'anima al diavolo, sempre che ciò non sia avvenuto a mia insaputa.
L'ultimo opuscolo è piaciuto molto non solo a me, mi pare ci sia l'intenzione di altri detenuti a scrivervi, ci sono belle individualità da scoprire e che vogliono dire la loro. Specialmente, è interessante notare l'entusiasmo che l'opuscolo genera tra alcuni giovani "coatti", di cui conosco la grande generosità che li contraddistingue.
Il carcere di Velletri è sovraffollato nuovamente, il padiglione nuovo è stato aperto qualche mese fa, ma è già full. Così ci sono stati parecchi trasferimenti, si salutano cari amici con cui ci si trovava bene a parlare, condividere la socialità ed altro, il carcere è questo.
Poi è la solita penuria sistematica ed endemica, tanto vale non addentrarci troppo nei malanni della giustizia italiana, sarebbe tempo perso, se però c'è chi ne ha da buttare, compresa la propria vita, potrebbe iniziare radendo al suolo le carceri, altra soluzione non c'è.
A parte il denaro, che comunque per me è importante, non avendo altre fonti di sostentamento extra lavorative, a parte 50€ che mi spediscono i compagni a Natale o giù di lì, mi piace aiutare i detenuti extracomunitari nel fargli le istanze.
Una domandina per parlare con l'educatore, un'istanza per chiedere gli arresti domiciliari o la scarcerazione, la richiesta per telefonare ai familiari a migliaia di chilometri.
Un pezzo di carta esprime molto, speranza, un appiglio per mantenersi vivi, affetti, sentimenti e anche tante illusioni.
Val la pena non deludere nessuno, lasciare ad ognuno di credere in ciò che vuole, anche l'illusione della speranza.
Ecco, per questo mi piace fare lo scrivano di sezione, per la guerra allo stato c'è sempre tempo, magari nei week-end.
Mi piacerebbe vedere pubblicata la lettera. Un abbraccio fraterno. Andrea.

Velletri, 6 marzo 2013
Andrea Orlando, via Campoleone 97 – 00049 Velletri

***
Ciao carissimi compagni e compagne sono un ragazzo di 31 anni, detenuto qui a Velletri dal 30 agosto 2010 con un fine pena 1 maggio 2016 per un cumulo di furti e rapine. Qui a Velletri è un carcere che non funziona quasi niente a partire dalla sanità fino alla più piccola cosa insignificante però che per noi è una cosa grande. Cari compagni spero che vi fa piacere che io vi descriva la mia situazione familiare la quale non è molto gradevole in questo momento. Io ho un figlio di 3 anni che per colpa di qualche mio errore non ho potuto stargli vicino come io desideravo, ho perso i primi suoi 3 anni di vita lo vedo solo al colloquio e quando finisce il colloquio mi prende veramente a male. Inoltre durante questa mia carcerazione, per colpa di un incidente stradale precisamente il 27 febbraio del 2011 ho perso mio fratello di anni 24 di cui aveva un figlio di un anno e una moglie di 21 anni.
Dopo tutto questo i signori magistrati non vogliono concedermi nessun tipo di beneficio visto che ho pure una madre che ha un malaccio brutto, cari compagni e compagne siamo solo anime allontanate dietro queste sbarre in una cella dove è gelida e ci piove dentro.
Carissimi compagni e compagne adesso vi saluto e spero di ricevere il vostro opuscolo. Se qualcuno o qualcuna avrebbe voglia di fare corrispondenza con il sottoscritto a me farebbe molto piacere. W la libertà.

21 gennaio 2013
Simone Benedetti, via Campoleone, 97 – 00049 Velletri (RM)

***
[…] Come forse già saprete, mi trovo attualmente detenuto nel carcere di Velletri per scontare un residuo pena di dieci mesi relativo ai fatti accaduti nel corso della manifestazione del febbraio 2003 a Ferrara (tre anni mi sono stati indultati).
Sono ospitato, si fa per dire, in una sezione attenuata: celle aperte dalle 9 alle 19, socialità in comune e qualche altra piccola agevolazione che rende la prigionia un po’ meno opprimente, anche se nel resto dell’istituto la situazione è diversa. La palazzina in cui mi trovo è di recente costruzione, le celle sono nuove e dispongono di doccia e bidet. Più che la sezione di un carcere sembra il reparto di un ospedale (psichiatrico?). Qui sono reclusi i detenuti con pene inferiori ai 2 anni e che non abbiano subito rapporti o che omunque non siano considerati pericolosi dal DAP.
Il clima che si respira è di rassegnata attesa: della liberazione, dell’applicazione di misure alternative, di un permesso. C’è pochissima solidarietà e molto, molto individualismo, razzismo, nonché una strisciante sottocultura di destra. So che questa sezione non può essere considerata come rappresentativa dell’intero panorama carcerario, ma da quel che mi si dice non è che altrove sia meglio. I detenuti con alle spalle molti anni di galera borbottano stancamente che i tempi son cambiati, che la galera non è più la galera di una volta (si stava meglio quando si stava peggio, magari senza bidet ma con maggior coesione e solidarietà). Io stesso, nel raffrontare questa carcerazione a quella di sedici anni fa, sono giunto alle medesime conclusioni. […]

23 dicembre 2013
Salvatore Gugliara, via Campoleone, 97 – 00049 Velletri (RM)


lettera dal carcere di Bollate (mi)
Cari compagni oggi compio i primi 6 mesi di detenzione in seguito alla sentenza di cassazione del 13 luglio 2012 nonché, i primi 45 giorni maturati di buona condotta.
Ebbene sì, il nostro futuro in carcere, è strettamente legato al calcolo del tempo che passa e alla velocità con cui farlo passare, ai premi, consistenti anch'essi in determinate quantità "di tempo consumato" concesso dall'autorità giudiziaria a sua discrezione in più a quello realmente già passato. Non è più tempo per vivere ma solo tempo per aspettare. Il tempo storico della carcerazione non coincide naturalmente con quello biologico dell'individuo che la subisce, lasciandolo sospeso nell'attesa fatta di noia, ogni tanto interrotta dall'illusione che un improvviso atto di clemenza possa cambiare la nostra sorte e restituirci "la libertà". [...]
Per quanto mi riguarda, dopo 2 mesi trascorsi al vecchio "S. Viur" mi hanno trasferito su istanza con un'assegnazione del DAP al carcere di Bollate o più precisamente alla casa di reclusione. Istituto che nell'arcipelago carcerario nazionale dove la maggior parte delle carceri presentano il dramma del sovraffollamento, si distingue poiché rispetta i parametri per una cosiddetta detenzione dignitosa garantendo spazi vitali ai detenuti. Oggi si sono occupati gli ultimi 2 posti liberi e così siamo al completo.
Tuttavia, secondo una compagna di sventura che ha visitato il carcere di Madrid ove è stata detenuta per 3 anni e mezzo ella sostiene che neanche Bollate è considerabile all'avanguardia sia in termini infrastrutturali che strutturali.
Ma al di là del problema della mera sopravvivenza fisica all'interno delle prigioni, di fatto il vero dramma contenuto dalle mura di cinta è costituito dalla miseria dell'esistenza umana nella società post-industriale a capitalismo avanzato.
Il carcere assume sempre di più le sembianze di un luogo in cui scaricare "l'oggetto/soggetto" sottraendolo alla vista nel tentativo di nascondere le manifeste contraddizioni sociali. Un atto simbolico più che risolutivo ma necessario al finto mantenimento di un ordine costituito nell'entropia capitalista.
La differenza sta nell'aver più o meno coscienza di infrangere una norma; nella precarietà dell'esistere il carcere è uno dei tanti "non luoghi" dove incidentalmente puoi finire. Questa è la mia percezione, l'assoluto smarrimento di una classe sociale dovuto alla sua frantumazione toglie identità pure ai soggetti che prima si collocavano nell'ambito dell'illegalità. Ciò che è certo che tutto ruota intorno al consumismo compulsivo.
Il nuovo soggetto sociale è l'uomo consumatore dato che produttore non lo è più, aggregabile soltanto sul bisogno immediato ed effimero.
Ora chiudo vi mando un forte abbraccio. A presto.

14 gennaio 2013
Marina Cugnaschi, via Cristina Belgioioso, 120 - 20157 Milano


lettera dal carcere di pescara
Carissimi amici prigionieri, sono venuto alla vostra scoperta dell'opuscolo tramite un mio amico prigioniero che da voi riceve l'opuscolo puntualmente tutti i mesi.
Ho 33 anni e sono prigioniero "ostaggio" di questo stato infame dal gennaio del 2008, e il mio fine pena è stimato intorno a novembre 2015, salvo complicazioni.
Fin da quando sono venuto al mondo ho sempre lottato contro l'autorità costituita, perché in essa ho sempre individuato il mio oppressore, ma purtroppo non essendomi mai schierato sia per volontà che per cause di forza maggiore, ho sempre portato avanti la mia lotta in solitudine, cercando di sfogare tutta la mia rabbia ogni qualvolta mi si è presentata l'occasione, sempre con tenacia e soprattutto a testa alta.
Nella prigione in cui mi trovo, "Pescara", ho cercato più di una volta di promuovere iniziative che facessero in modo di spezzare l'egemonia che questi vili schiavi dello stato esercitano contro di noi, ma aimè senza alcun risultato.
Queste carogne sono riuscite a mettere in piedi un'oasi felice per confidenti e infami, che con atteggiamenti vili e diffamatori riescono ad accedere nel circuito dei benefici, ma ancora non hanno capito che il beneficio sta nella lotta e in quello che essa genera, sia per noi ma soprattutto per chi verrà dopo di noi.
Nulla toglie che comunque non bisogna fare di tutta l'erba un fascio, qui ci sono anche dei compagni che comunque non si piegano e che continuano a portare avanti la lotta con dignità e soprattutto a testa alta.
Sto valutando con attenzione se attuare uno sciopero della fame (cosa a cui sono contrario perché sono più per la lotta attiva) per le continue omissioni di soccorso che l'infermeria di questo cesso fa a noi prigionieri ed in particolar modo al sottoscritto.
Ne sarò molto fiero e onorato se voi, quando si presenterà l'occasione, mi sosterrete.
Molti prigionieri in questi luoghi li vedo sempre più pellegrinare verso i luoghi di culto, nulla da dire, ma io gli consiglio che la Bibbia per il prigioniero sta nell'opuscolo, è l'unica medicina che fa bene sia al corpo che allo spirito.
Vi chiedo a gran voce di poter ricevere, come il mio compagno, l'opuscolo, perché questo è l'unico mezzo che è in grado di far uscire la verità fuori da questi luoghi di merda e insieme ad essa l'urlo della lotta. Un abbraccio fraterno a tutti i prigionieri.
Oltre all'opuscolo vi sono infinitamente grato che mi mandaste quanto più materiale possibile.

19 febbraio 2013
Elian Osman, via San Donato, 2 - 65129 Pescara


La disinfestazione non è riuscita
Sul processo a Trento contro compagn* impegnati contro il TAV
Il 27 febbraio, il tribunale di Trento ci ha assolto dall'accusa di "associazione sovversiva con finalità di terrorismo". Il procuratore aveva chiesto dai 3 anni e 4 mesi ai 5 anni, ma il maldestro castello di carte è crollato. Per cui a Massimo è stata revocata la custodia cautelare. Il giorno dopo si sono conclusi i termini anche per l'altra sua custodia cautelare (emessa dal tribunale di Torino per i fatti di Chianocco, cioè la cacciata di una troupe televisiva, il 29 gennaio 2012, da un blocco NO TAV in Valsusa), per cui, dopo sei mesi, ritrova la "libertà" e il suo posto di combattimento… (ah, tanto per cambiare, come molti altri ha il divieto di andare in Valsusa).
Siamo di nuovo assieme grazie alla solidarietà dei tanti compagni, compagne e non solo che sono stati al nostro fianco. A loro la nostra gratitudine e il nostro arrivederci, sulle strade o sui sentieri della rivolta e del mutuo appoggio. Il nostro pensiero è per i compagni e i fratelli ancora imprigionati.
Di seguito la nostra dichiarazione.

Dichiarazione degli anarchici imputati al tribunale di Trento
Il gioco delle parti su cui si basa la Giustizia di Stato prevede che voi ci accusiate e che noi, a testa bassa, veniamo qui a difenderci. Ma noi non accettiamo le parti, sia perché non riconosciamo lo Stato sia perché il gioco è palesemente truccato.
Se avessimo a che fare con reati specifici e con l'esibizione di cosiddette prove, questo processo non sarebbe nemmeno cominciato. E questo non lo diciamo noi. Lo dicono le carte giudiziarie. Nella ordinanza di custodia cautelare che trattiene ancora agli arresti domiciliari uno di noi si definiscono "oscure le ragioni addotte dall'accusa, che si limita a semplici considerazioni astratte".
Nella richiesta di arresti inoltrata dalla Procura si legge: "Deve ritenersi che indizi in ordine alla sussistenza del reato associativo ben possono essere desunti da elementi di prova relativi ai reati-fine, anche quando essi siano stati ritenuti insufficienti allo stesso esercizio dell'azione penale per tali reati". In termini ancora più chiari: l'associazione "è premessa doverosa per valutare con correttezza e valorizzare quali 'indizi' delle circostanze che, diversamente, avrebbero valore 'neutro' dal punto di vista probatorio".
Insomma, senza ricorrere ad una fantomatica associazione di cui la Digos di Trento si è inventata persino l'acronimo ("G.A.I.T.", "Gruppo Anarchico Insurrezionalista Trentino"), ciò che i PM Amato e Ognibene avrebbero in mano è presto detto: un pugno di mosche. E questo nonostante il mastodontico dispositivo di controllo tecnologico messo in campo: 148.990 contatti telefonici, 10 mila contatti ambientali, 18 mila comunicazioni telematiche, 14 mila dati gps, 92 mila ore di video, 12 mila fotografie.
Gli inquirenti stessi, d'altronde, dicono di non possedere né prove né gravi indizi per determinare chi ha compiuto le azioni anonime di cui siamo accusati; da quelle azioni si desumerebbe l'esistenza di un'organizzazione, di cui noi faremmo parte; la nostra partecipazione si desumerebbe, a sua volta, dalle azioni. E così via, in una sorta di cortocircuito logico.
Siamo un bel grattacapo per i loro teoremi. Il codice definisce l'associazione sovversiva un "legame formalmente distinto dai singoli partecipanti", cioè un'organizzazione stabile nel tempo, con un'organigramma, dei ruoli ecc. – caratteristiche, queste, inconciliabili con l'informalità, l'orizzontalità e l'affinità che da sempre caratterizzano i nostri rapporti come quelli di tanti altri compagni. E infatti Digos e Procura si lanciano, sfidando la grammatica non meno che la storia, a ipotizzare un'organizzazione "piramidale e gerarchizzata" compatibile, miracolo!, con lo "spontaneismo anarchico".
I teorici del "G.A.I.T" sono Digos e Procura, non certo noi. Il "G.A.I.T" non esiste di fatto; e questo per il semplice motivo che non può esistere di principio. Un'organizzazione piramidale e gerarchica, con tanto di capi, sottoposti, cassieri e manovali, è la negazione stessa dell'idea, dell'etica e della pratica anarchiche. Simili ruoli e il miserabile mondo che si portano appresso esistono nelle Procure, negli eserciti, nelle istituzioni dello Stato e nella società capitalista, non tra chi di tutto ciò vuole fare tabula rasa. Un'organizzazione nella quale gli individui sono degli intercambiabili strumenti ucciderebbe le nostre idee e i nostri sogni ancora prima che la rivoluzione cominci. Quando parlate di noi, pensate sempre di potervi guardare allo specchio. Ma noi siamo il disordine dei vostri sogni, la negazione vivente del vostro mondo ingiusto, noioso e insensato. Siamo tra quelli che non obbediscono perché si rifiutano di comandare. Siamo tra quelli che in un'aula di tribunale non cambierebbero mai il proprio posto con il vostro.
Il gioco è truccato, abbiamo detto. Non perché questo processo sia più "ingiusto" di tanti altri, ma perché la magistratura non è affatto un'istituzione neutra della società, bensì lo strumento del dominio di una minoranza sul resto della popolazione, degli sfruttatori sugli sfruttati, dei ricchi sui poveri. Un'istituzione fedele nei secoli, come si evince dal nome stesso dato all'operazione poliziesco-giudiziaria nei nostri confronti. Sapete meglio di noi chi usava il termine "zecche" per indicare comunisti, socialisti, anarchici – e a poco è servito il ridicolo latinorum con cui avete mascherato il vostro linguaggio fascista. D'altronde da quell'epoca e da quella scuola viene l'articolo del codice con cui ci avete arrestato (come altri vostri colleghi hanno fatto con migliaia di compagne e di compagni); articolo che la vostra bella democrazia negli ultimi trent'anni non ha fatto altro che aggravare. I dati relativi alle condanne inflitte dal Tribunale Speciale per la Difesa dello Stato istituito da Mussolini non coincidono forse con quelli dei processi per “terrorismo”? Eccoci alla parolina magica.
Lo Stato di Portella della Ginestra, di piazza Fontana, di piazza della Loggia, della stazione di Bologna, dell'Italicus, di Ustica ecc. accusa noi di "terrorismo", cioè di "violenza cieca e indiscriminata il cui fine è conquistare o consolidare il potere politico" (questa era la definizione che si trovava nei dizionari fino agli anni Settanta).
Lo Stato dei bombardamenti in Iraq, Kosovo, Afghanistan, Libano, Libia accusa gli anarchici di voler "affermare coattivamente" i propri princìpi. Lo Stato di piazza Alimonda, della Diaz, di Bolzaneto, di Pinelli, Serantini, Lorusso, Cucchi, Aldrovandi, Bianzino, Lonzi, Mastrogiovanni e tanti, troppi altri accusa noi di "intimidire la popolazione".
Nel mondo reale, che non si vede dai buchi della serratura da cui spiate noi e le nostre lotte, milioni di sfruttati, di poveri, di esclusi sono quotidianamente intimiditi, terrorizzati, avvelenati, uccisi dall'ordine sociale che difendete. Solo in Italia, ogni giorno quattro lavoratori non tornano a casa, e centosessanta persone crepano ogni anno in quelle galere dove ci avete più volte rinchiuso e dove abbiamo incontrato individui solidali e fraterni di sicuro più retti di voi.
Di fronte a questa guerra quotidiana condotta dalla classe proprietaria, vorreste che nessuno se la prendesse con le banche, con le agenzie interinali, con le tecnologie del controllo, con gli strumenti della morte e della devastazione ambientale. La collera è il solo capitale che gli sfruttati abbiano accumulato nella storia. E forse non è lontano il giorno in cui sarà per voi molto difficile attribuire ciò che vi spaventa a un pugno di anarchici; il giorno in cui sarà la popolazione povera e sottomessa a diventare una grande "associazione sovversiva".
Ma torniamo alle carte. Nella fretta di assecondare il volere del ministro dell'Interno, vi siete decisamente lasciati andare. Accusate due di noi di aver orchestrato e diretto gli scontri del 3 luglio 2011 in Valsusa. Siamo dei NO TAV, e non da ieri, questo è vero. Ma ad assediare il cantiere-fortino del TAV a Chiomonte, il 3 luglio 2011, c'erano quarantamila persone; e non, come avete scritto senza vergogna nelle vostre carte, "circa 500 anarchici". Curiosamente, la Procura di Torino non ci accusa di alcun reato specifico per tale giornata, mentre per quella di Trento avremmo pianificato tutto noi. Vi farebbe comodo sostituire una popolazione in lotta, che da vent'anni si oppone alla devastazione ad alta velocità della propria terra, con un pugno di "zecche". Da disinfestare preferibilmente con quel gas CS di cui polizia, carabinieri e finanzieri il 3 luglio hanno sparato 4.357 candelotti. Il movimento NO TAV ha già risposto a giornalisti e magistrati "siamo tutti black bloc", ma l'autonomia e l'orizzontalità di una lotta per la terra, la dignità e la libertà non potete proprio tollerarle.
La Digos si spinge fino a scrivere che i partecipanti ai comitati NO TAV sarebbero, per noi, semplicemente degli "uomini di paglia" e il movimento "un serbatoio di risorse umane da utilizzare". Non ci sono parole per commentare una simile sfrontatezza. Soltanto gli uomini di Stato e i capitalisti considerano le popolazioni "un serbatoio di risorse umane da utilizzare", non certo gli anarchici. "Uomini di paglia", poi, non sono forse i servitori per chi li comanda? Guardate le immagini dei vostri colleghi che alla Diaz hanno massacrato di botte persino delle persone anziane mentre erano sdraiate, e chiedetevi di cosa sono fatti quegli uomini lì.
Tra le vostre falsificazioni e la realtà di una lotta come quella NO TAV, in cui compagne e compagni hanno messo tutto il loro cuore, c'è un abisso – etico, umano, sociale.
Ma la Digos è riuscita ad accusarci perfino di aver strumentalizzato cinicamente la morte di Stefano Frapporti, un muratore di quarantanove anni fermato da due carabinieri in borghese e trovato, cinque ore dopo, morto nella cella numero 5 del carcere di Rovereto. Centinaia di persone – familiari, amici e tanti solidali – hanno manifestato per mesi la propria rabbia in città. Noi siamo già stati condannati per non esserci girati dall'altra parte, mentre l'inchiesta sulla morte di Stefano è stata, come al solito, archiviata. Nelle carte di Questura tutto questo scompare (proprio come sono scomparse le migliaia di persone che si sono battute in Valsusa il 3 luglio 2011): rimangono solo un "piccolo spacciatore" e gli anarchici "strumentalizzatori". Il circolo "Frapporti-Cabana" nato a pochi metri dal luogo in cui Stefano è stato fermato quel maledetto 21 luglio 2009 è la migliore risposta ai vostri insulti all'intelligenza e alla dignità.
Il vostro spazio-tempo non è il nostro. Mentre siamo qui pensiamo alla gioventù ribelle che combatte nelle strade del Cairo. Pensiamo a quelle donne e a quegli uomini che in Grecia sono insorti per vivere senza lo Stato e senza i padroni. Pensiamo ai ragazzi condannati ad anni di carcere per essersi battuti a Genova nel 2001 e a Roma nel 2011. Pensiamo a quelle donne che in India si sono rivoltate contro la violenza maschilista e poliziesca. Pensiamo a tutte le donne e agli uomini morti nel Mediterraneo perché cercavano un po' di pane e di libertà. Pensiamo a tutti quelli uccisi dalle vostre bombe. Pensiamo ai ragazzini palestinesi dagli occhi belli e dai cuori grandi. Pensiamo ai nostri compagni e ai nostri fratelli che resistono a testa alta nelle prigioni e nei lager di tutto il mondo. Pensiamo ai quattro compagni arrestati il 1° febbraio in Grecia e torturati dalla polizia. Pensiamo a tutti i ragazzi pestati nelle vostre caserme e nelle vostre galere. Pensiamo agli schiavi salariati nelle fabbriche militarizzate e nei campi di lavoro cinesi. Pensiamo agli animali, ai boschi, alle vallate e alle montagne che i vostri bulldozer e i vostri profitti devastano.
Pensiamo a tutto questo e non vorremmo vergognarci quando qualcuno ci chiederà, un giorno: "Mentre succedeva tutto ciò, voi che facevate?". Vorremmo poter rispondere: "Abbiamo dato il nostro piccolo contributo con la testa, con il cuore e con le mani".
Siamo il vostro imprevisto, la variabile non contemplata nei vostri calcoli.
Veniamo da lontano, e abbiamo lo stesso sogno che animava i contadini insorti nel 1525 in Germania: omnia sunt communia – visto che vi piace il latino.
Emettete pure le vostre sentenze. Noi voliamo più in alto.

Trento, ventisette febbraio 2013
da informa-azione.info

***
Segue il comunicato dell’assemblea dei comitati No Tav in vista dell’udienza del 27 febbraio.

PRECISAZIONI E SOLIDARIETA'
Mercoledì 27 febbraio si terrà a Trento il processo contro gli anarchici trentini accusati di associazione sovversiva con finalità di terrorismo. Nessuna prova sui fatti specifici contestati, ma generiche accuse di aver compiuto azioni illegali e di aver organizzato e animato le lotte sociali contro il progetto TAV e la base di Mattarello.
Ingenti risorse economiche investite e anni di indagine con pedinamenti e intercettazioni, coordinati dalla procura di Trento, per un inchiesta che da subito si è rivelata debole.
Tra le accuse più assurde che vengono mosse agli attivisti trentini vi è quella di aver organizzato e diretto gli scontri avvenuti il 3 luglio 2011 in val di Susa tra migliaia di attivisti NO TAV e le forze di polizia durante l'assedio al cantiere della Maddalena di Chiomonte.
In merito, il Movimento NO TAV al fine di consegnare alla storia quella che è stata la realtà dei fatti ci tiene a precisare quanto segue:
- la giornata del 3 luglio è stata un espressione della rabbia e indignazione popolare valsusina per la pesante aggressione subita dal territorio della valle e dalla sua gente con lo sgombero della Libera Repubblica della Maddalena e l'installazione del cantiere TAV;
- le migliaia di persone protagoniste dell'assedio hanno risposto alle violenze della polizia che quel giorno ha lanciato più di quattromila proiettili di gas lacrimogeno CS, anche ad altezza uomo;
- numerosi gli attivisti accorsi da ogni parte d'Italia quel giorno per sostenere le istanze, ormai ventennali, del movimento valsusino e per solidarizzare con la popolazione sotto attacco;
- il Movimento NO TAV non ha capi né gregari, ma si avvale della disponibilità e della volontà di tutti coloro che hanno deciso da che parte stare e che lottano per impedire la distruzione dei territori in nome del profitto;
- le azioni di disturbo al cantiere di Chiomonte sono proseguite nei mesi dopo il 3 luglio e continuano tutt'oggi e, a sottolineare l'illegalità e l'illegittimità di quei lavori, ci sono anche gli innumerevoli esposti prodotti dai legali del movimento;
- per i fatti del 3 luglio è in corso a Torino un processo che riguarda 52 persone, e che si configura come un vero e proprio attacco politico al movimento che da anni si batte contro la costruzione dell'inutile nuova ferrovia Torino-Lione.
Esprimiamo solidarietà e vicinanza a tutti coloro che sono colpiti da inchieste della magistratura per aver lottato insieme a noi contro il devastante progetto TAV.

L'assemblea dei comitati NO TAV
Valle di Susa, 24 febbraio 2013


DALLA VALLE CHE RESISTE ALLA LOTTA CHE INVADE L’ITALIA
La Val di Susa esce dall’inverno. Si sgelano i sentieri, riprendono gli appostamenti di fronte al cantiere, per tentare di bloccare i mezzi carichi di materiali che alimentano il cantiere, e riprendono le passeggiate in Clarea, sempre osteggiate con fatica dal vasto assortimento di sbirri, dotati di idranti e lacrimogeni. Ormai, a differenza della scorsa primavera, non si può più parlare di “non-cantiere”. Il cantiere c’è, lavora, prosegue nel suo nefasto distruggere e devastare un’intera vallata e chi la abita, che non rinuncia a lottare, giorno dopo giorno.
Intanto chi si arricchisce e governa per arricchirsi e accumulare potere, prosegue nel suo intento devastatore, presentando il progetto definitivo della tratta ferroviaria Torino-Lione, perché ancora non avevano le idee chiare, pare. Questo avviene a Susa, il 16 febbraio 2013, dove il castello della contessa Adelaide viene assediato, per impedire lo svolgimento del convegno. Il sindaco di Susa accoglie sulla porta i suoi ospiti, tutti selezionati con cura tra “si Tav” di provata fede, imprenditori che cambiano nome alle società al ritmo di un fallimento all’anno, qualche amministratore locale e un pugno di segusini, scelti tra coloro che avevano inviato la mail filtro al comune. In sala il mago Virano, commissario del Governo per la Torino-Lione, illustra il miracolo del supertreno che rende sempre più verde la valle. Un paio di abitanti della Frazione S. Giuliano, destinata ad essere schiacciata dal cantiere Tav, parla dei lacrimogeni che avevano invaso il paese durante l’imposizione violenta di un sondaggio lo scorso 14 novembre. La risposta? Ve li siete meritati.
Se questo era il clima dentro la sala, non migliore era la situazione all’esterno. Tutte le strade di accesso al castello della contessa Adelaide erano chiuse da poliziotti e carabinieri in assetto antisommossa. I primi ad avvicinarsi vengono identificati e perquisiti. Di fronte ad ogni blocco della polizia si costituisce un presidio resistente dei No Tav. L’ingresso e l’uscita delle auto dei papaveri più noti avvengono tra spintoni, qualche colpo di scudo e qualche pedata. La polizia, nonostante l’ampio schieramento di uomini dell’antisommossa, un folto nugolo di digos e ben due vicequestori, deve guadagnarsi passo dopo passo lo spazio per far passare i vari Virano, Saitta (presidente della provincia Piemonte) ed Esposito (accanito esponente del Pd sì-tav).
L’epilogo della serata regala una boccata di buon umore ai No Tav. Usciti tutti i politici, la polizia si accinge a partire. Stranamente il blocco di poliziotti dell’antisommossa sotto l’arco che immette nel piazzale della cattedrale non viene rimosso: i robocop continuano a fronteggiare i No Tav. Poi cominciano ad indietreggiare. I No Tav afferrano le transenne ed avanzano all’interno della piazza, c’è un parapiglia, poi l’antisommossa riprende la marcia del gambero. I digos si rendono conto della figuraccia e saltellano di qua e di là. Finirà con una trentina di robocop in fondo alla piazza, fronteggiati da una quarantina di No Tav che li sbeffeggiano, suggerendo loro di tornarsene a casa. Gli uomini della politica perdono la calma e si lasciano andare a qualche insulto. La comica finale va avanti per circa mezz’ora, finché non arrivano i carabinieri a “salvare” (dal ridicolo) la polizia. L’ultima scena è degna di Stanlio e Ollio. I poliziotti che nessuno minaccia scappano sui loro mezzi, tra le risate generali.
Gli ingranaggi del “si Tav” si oliano di questo, progetti raffazzonati e presentati con scadenze a cantiere già avviato e continue menzogne, come quella della famosa penale da pagare all’Unione Europea, in caso di rinuncia al progetto. È del 13 febbraio 2013 la notizia riportata dalla Federazione Nazionale Pro Natura che smentisce quanto affermato da Virano, il quale sostiene che l’Italia dovrebbe pagare 1 miliardo e seicento milioni di euro, se non porta a termine il progetto, già finanziato dall’Unione Europea. Ma tanto la penale in sé, quanto la cifra precisa, sono smentite dall’Unione Europea stessa e dai fatti: l’articolo 3.4.1. del contratto di finanziamento stipulato tra l’Unione Europea ed i governi Italiano e Francese il 5 dicembre 2008 dice che: “Il beneficiario del contributo può sospendere i lavori se vi sono circostanze eccezionali che li rendono impossibili od eccessivamente difficoltosi, in modo particolare in caso di forza maggiore”. In questo caso, come specificato nel paragrafo seguente, se i lavori non riprendono entro due anni, dalla data originariamente prevista, l’Unione Europea cancellerà il contributo. La restituzione dell’aiuto europeo erogato dal contratto, è ammessa come possibilità, ma è estremamente difficile che l’Unione Europea voglia gravare su Italia e Francia che hanno già un saldo negativo nei suoi confronti e, comunque, l’Unione Europea si è sempre dimostrata estremamente benevola nelle clausole del contratto. Anche la cifra è falsa, poiché da un conteggio accurato risulta pari a meno di 100 milioni in totale per i due paesi.
Le menzogne si consumano nei palazzi del potere, spartite equamente tra commissari esecutivi del progetto, politicanti di primo pelo e relativi scagnozzi, primi tra tutti i magistrati, che, solerti e protetti da poliziotti di ogni sorta, continuano il processo contro i 53 no tav, imputati per la difesa della Libera Repubblica della Maddalena. E così tra febbraio e marzo si svolgono all’aula bunker del carcere delle Vallette due udienze, caratterizzate entrambe da un lungo elenco di nomi delle ditte, delle istituzioni e dei singoli sbirri, che si costituiscono parte civile.
La prima di queste due udienze ha luogo il 14 febbraio: contro di noi, i no tav, si costituiscono, oltre ai 180 sbirri, le ditte della devastazione (per prima RTF), tutti i possibili sindacati e organismi simili di polizia, guardia di finanza e carabinieri sospinti dalla costituzione della presidenza del consiglio unita a quella dei ministeri Difesa, Interni e Economia e Finanza. Tutti costoro esigono una montagna di soldi.
Gli avvocati della difesa fanno notare che la costituzione delle parti civili è stata carente, cioè in quasi tutte non vi è specificato chi si costituisce e contro chi; che le carte sono da fotocopiare, sono voluminose, insomma per visionarle sono necessari giorni, settimane e non ore. A questa richiesta si uniscono anche gli avvocati dell’accusa, cosicché alla fine il tribunale decide di concludere la pagina “costituzione parti civili” nella prossima udienza. Di fronte alla riconferma di questa sede processuale alcuni avvocati chiedono esplicitamente al tribunale di riportare il processo nel tribunale in centro città. Il presidente risponde “non è possibile”, in quanto la corte d’appello (di Torino) ha disposto, dice, che le aule grandi (1 e 2) del tribunale fino all’inizio di luglio devono rimanere a completa disposizione del “processo Eternit”. Gli avvocati allora chiedono una sospensione del processo fino a luglio; la risposta del presidente è perentoria “non è possibile”. Al “pubblico” che applaude l’intervento degli avvocati, sottolinea con stizza “il pubblico non può applaudire”.
La seconda udienza si svolge nella lunga mattinata dell’8 marzo, aula bunker, carcere delle Vallette. L’intera udienza, durata circa 5 ore, è stata completamente dedicata al respingimento della costituzione delle parti civili, proposte nell’udienza precedente dagli avvocati delle “parti lese” (presidenza del Consiglio, ministeri della Difesa, degli Interni, dell’Economia e Finanze e di 180 fra poliziotti, finanzieri, carabinieri con il sostegno dei loro sindacati o semplici organismi di rappresentanza). I nostri avvocati (collegio di difesa) basandosi sulla giurisprudenza riguardante la “costituzione delle parti civili” (sedimentatasi nei codici penale e di procedura penale, in numerose sentenze della Corte Costituzionale e della Corte di Cassazione), sono riusciti a far emergere la singolare e discrezionale sfacciataggine seguita dagli organi dello stato nel costituirsi come parti civili nel processone - relativamente a quanto accaduto in Val Susa nelle giornate del 27 giugno e del 3 luglio 2011.
Lo smontaggio giuridico-politico operato dai nostri avvocati ha lasciato il segno. Rispetto a questo le parti civili avevano a disposizione “solo” il diritto di “replica immediata”, ma hanno chiesto tempo per poter replicare; il collegio di difesa non si è opposto (un nostro avvocato si è detto assolutamente contrario a qualsiasi soluzione che non fosse la “replica immediata”), purché fosse messo a verbale che la replica non doveva “sanare” nulla nella costituzione di parte civile già presentata. Il pm sollecitato dal tribunale non ha aperto bocca: ritenendosi probabilmente soddisfatto di avere a disposizione anche solo la metà delle “parti lese” predisposte dalla procura e sapendo di non avere argomentazioni in merito. Il tribunale dopo una breve camera di consiglio ha fatto sua la proposta del collegio di difesa. Ha fissato dunque che la prossima udienza, di giovedì 14 marzo, sia dedicata all’esposizione delle repliche delle parti civili, alla precisazione insomma di chi potrà costituirsi come tale. Allo stesso tempo ha stabilito una nuova data di udienza, il 12 aprile (mese in cui non ne era prevista alcuna) in cui concludere la fase preliminare del processone e dare così avvio al dibattimento.
Ancora una volta il tribunale ha mostrato di voler accelerare le tappe del processone. Anche nella costituzione delle parti civili, come già nella retata di arresti del 26 gennaio 2012, nello spostamento della sede processuale nell’aula bunker del carcere delle Vallette, nelle carcerazioni e altre “misure preventive”, è emerso che gli organi dello stato tutto, di cui sono parte e complici la procura, il tribunale, la corte d’appello di Torino, cercano di fare del processone un’occasione di rafforzamento dello “stato di polizia”. Di uno stato adeguato al proseguimento della devastazione sociale, ambientale quindi predisposto a respingere, soffocare le resistenze conseguenti, di cui anche l’esperienza del movimento NoTav è per molti versi esempio.
Dare continuità alla pressione sul processone, come sui diversi processi aperti contro chi lotta, è importante al fine di rafforzare il movimento di lotta in generale, per respingere la protervia dello stato che persiste nel voler trasformare la Val di Susa in un territorio militarizzato, in ogni caso considerato “sensibile”. L’impedimento a “dimorare” in valle ha ormai raggiunto circa 400 persone: una cifra impensabile invece purtroppo reale.

La presentazione di costituzione di parte civile da parte della presidenza del consiglio dei ministri, del ministero dell’interno, del ministero della difesa e del ministero dell’economia e delle finanze nei confronti di tutti gli imputati rappresenta una precisa scelta politica volta a colpire duramente ogni forma di lotta sociale e costituisce un gravissimo precedente nella repressione del dissenso nel nostro paese.
Il governo non lamenta danni patrimoniali ma solo danni d’immagine, mentre i vari ministeri presentano il conto dei costi della repressione: circa un milione e mezzo di euro per rifonderli dei costi di personale, automezzi e materiali in dotazione. In pratica dovremmo pagare allo Stato la spesa dei manganelli che ci hanno spaccato in testa e del gas CS che ci hanno fatto respirare. Probabilmente, se nel 2001 ci fosse stato Monti al governo, la famiglia Giuliani avrebbe dovuto rifondere allo Stato il costo del proiettile che i carabinieri hanno sparato in faccia a Carlo.
E’ chiaro che ai nostri governanti (passati presenti e futuri) dell’opinione pubblica europea non gliene importi un accidente, quello che a loro interessa sono solo i potentissimi partner, governi banche imprese e investitori finanziari, a cui avevano gabellato una Valle pacificata e sottomessa dove avrebbero potuto devastare indisturbati e invece si ritrovano a scavare pochi metri di roccia assediati in un recinto di muri e filo spinato, sempre illuminato a giorno, presidiato da ingenti forze militari. La richiesta di costituzione di parte civile da parte del governo, sebbene gravissima sulla deriva repressiva che potrebbe assumere, rende di fatto onore al movimento che è riuscito (e continua) a metterlo in difficoltà. Il Movimento NO TAV è la “madre di tutte le preoccupazioni", come ha dichiarato il ministro dell’interno Cancellieri. L’accanimento della presidenza del consiglio e dei vari ministeri è quindi un sintomo evidente di quanto la Val Susa li spaventi, hanno paura della sua determinazione e dell’esempio pericoloso che il movimento NO TAV costituisce per tutte le situazioni di lotta e di difesa della salute e del territorio sparse nella penisola.
E si allarga infatti a macchia d’olio la resistenza e la lotta della Val Susa, dando forza e coesione ad altre lotte in vari luoghi oggetto di devastazione: dalla Bre-Be-Mi alla Tem in Lombardia, fino al Muos in Sicilia, la lotta si sostanzia di una solidarietà capace di varcare i confini regionali e determinando uno spazio-tempo proprio fatto di resistenza e determinazione. Senza dare veli d'ineluttabilità ai progetti pomposi del Capitale, che poi si riducono al consueto magna magna laddove riescono, sappiamo che una riflessione globale su questo sistema integrato di distruzione possa servire per considerare la propria lotta territoriale come parte di un qualcosa di più ampio. Ci sono tante lotte, più o meno avanzate, che dal confronto con altre realtà possono trarre spunti di riflessione e chissà, anche più forza, tentando qualche passo insieme. Non è un caso che i responsabili della distruzione spesso siano lontani dai luoghi dove operano, ma dove c'é una rete di solidarietà, hanno sempre vicino qualcuno che può denunciarne il ruolo. Dalla riqualificazione urbana con sfratti e sgomberi alla distruzione di valli con espropri e cantieri, dal consumo di suolo che impedisce la piccola agricoltura di prossimità alla speculazione su nuove aree edificabili, dall'aumento dei trasporti e delle produzioni nocive fino al sistema di sfruttamento lavorativo della logistica, fino al progetto di società che si prospetta in futuro, le conseguenze del “sistema Tav” sono molteplici, e sono occasione per tessere dei fili tra questioni che spesso si considerano separate o di ambito locale.
***
27 FEBBRAIO UN ANNO DOPO. LETTERA DI LUCA ABBA’
Ad un anno di distanza dallo sgombero della Baita Clarea e dall'incidente che mi ha visto coinvolto con la caduta dal traliccio, mi rivolgo a tutti coloro che mi hanno seguito e sostenuto in questo anno, dicendo che il mio stato di salute è in lento ma continuo miglioramento, anche se, di fatto, questo episodio ha segnato per sempre il corso della mia vita.
Di ciò posso “ringraziare” le forze dell'ordine presenti quella mattina in Val Clarea, i veri responsabili della mia attuale invalidità che spero sia solo una condizione temporanea.
Ripercorrendo quei momenti grazie ai ricordi e alle diverse testimonianze che mi sono giunte in seguito, ho potuto ricostruire i fatti ed accertare alcune verità che è importante consegnare alla storia perché restino nella memoria collettiva.
Il video girato dalla questura è stato palesemente tagliato e non mostra il momento della folgorazione, con il poliziotto ormai arrivato a pochi metri da me.
Questo agente di Polizia, che grazie agli attivisti di Anonymous ha un nome (Zampieri Andrea, II reparto mobile di Padova), ha avuto la brillante idea di inseguirmi su quel traliccio dove stazionavo tranquillamente a pochi metri d'altezza, costringendomi a salire sempre più in alto per evitare un contatto corpo a corpo.
Dai documenti resi pubblici dagli hacker si scopre che il verbale compilato dal comandante delle truppe quel giorno, Vincenzo Di Gaetano, è pieno di bugie e falsità. I lavori NON sono stati interrotti neppure di fronte a un momento tragico come quello, in cui nessuno sapeva se io sarei sopravvissuto.
Nonostante un esposto presentato dal mio avvocato, la procura torinese nella persona del PM Ferrando non ha mai indagato per chiarire l'operato della Polizia di Stato in quell'occasione.
Di tutto ciò non mi stupisco, perché è sempre più evidente, a chi lo vuole capire, qual è la vera natura del potere politico ed economico, che qui a Chiomonte vuole imporre quest'opera e che dovunque devasta i territori e sfrutta le popolazioni.
Sta a noi continuare a resistere, lottando per il nostro presente e per il futuro delle prossime generazioni, auspicando una vita in armonia con la terra nel segno della libertà.
Un esempio di come si possa fare si è visto nei giorni seguiti a quel terribile 27 febbraio, dove tanta passione e ardore hanno unito migliaia di persone sulle barricate in un'unica forza.
Con quella forza e determinazione sono certo vinceremo anche questa battaglia.

Val Clarea, Chiomonte 27 febbraio 2013


sugli arresti dopo la manifestazione a cuneo
Il 14 luglio durante una manifestazione contro la repressione subita dal movimento No Tav presso il carcere di Cuneo in solidarietà al nostro compagno Mao e a tutti gli arrestati No Tav, quello che era nato come presidio si è trasformato presto in un corteo partecipato e determinato che ha deciso di percorrere la strada che conduce dal carcere alla stazione ferroviaria. Verso la fine del percorso una macchina ha tentato di spezzare il corteo e nel farlo investiva alcuni compagni. Con un assurdo ribaltamento dei fatti a distanza di più di sei mesi, oggi 16 gennaio 2013, quattro provvedimenti di custodia cautelare hanno raggiunto alcuni compagni presenti, accusandoli di “concorso anomalo in rapina”. E’ questa una delle strategie più usate dalle questure negli ultimi tempi per reprimere il dissenso: dal g8 di Genova alla Valsusa passando per i fatti del 15 ottobre: colpire nel mucchio inventandosi reati inesistenti e basati sull’utilizzo indiscriminato del dispositivo del concorso.
Due dei compagni imputati sono ora agli arresti domiciliari. Seguono alcuni stralci da una lettera di uno di loro.

Carissimi, finalmente mi hanno revocato l'odioso divieto di comunicazione e ovviamente colgo al volo l'occasione per salutare e ringraziare tutti i compas, le amici e i sorelli che in questo mese e mezzo hanno fatto sentire la loro solidarietà... c'è poco da fare, scalda il cuore più di una molotow, è un raggio di senso che squarcia l'assurdità del contesto.
Un ringraziamento particolare anche a tutti coloro che si sono sbattuti per permettermi di scrivere la tesi che purtroppo sto per finire.... peccato era un buon passatempo!
Ora dovrò invece mettermi sotto con lo sport perchè sto diventando più largo che alto, non tanto per il tempo di arresti che finora non sono neanche 2 mesi ma più che altro per l'incapacità di gestire un frigorifero borghese sempre pieno come quello dei miei!!
L'assurdità del contesto dicevamo.... bhè la conoscete tutti... il 14 luglio, dopo che noi aspettavamo da oltre 5 mesi la scarcerazione del nostro compagno Maurizio, tenuto prigioniero in regime di isolamento totale, un'automobilista ha pensato bene di non poter aspettare 5 minuti a passare. Taglia il corteo nonostante vi siano compagni in mezzo alla strada davanti alla sua auto e ne nasce un battibecco caratterizzato da una vivacissima stupidità e immaturità da ambo le parti.
Morale: in 4 siamo accusati di concorso anomalo in rapina aggravata!!!
All'inizio non capivo che minchia di reato fosse “concorso anomalo in rapina aggravata”, poi grazie a google ho capito che anomalo significa che andrò in galera anche se non ho fatto un cazzo...bhe in effetti è abbastanza anomalo!!!
Tale reato prevede la colpevolezza del concorrente in un reato diverso (e più grave) da quello assieme effettuato consapevolmente, se il reato più grave ha avuto modo d'essere grazie alla situazione venutasi a creare dal reato meno grave e se lo sviluppo degli eventi era in qualche modo prevedibile (in concreto o in astratto, qui la dottrina della giurisprudenza si divide), ovvero: se non avessimo bloccato il traffico (violenza privata) non si sarebbe potuta verificare la rapina.
Se così fosse, allora dovrebbe esserci anche il procuratore Caselli di fianco a noi al banco degli imputati, perchè se lui non avesse ferocemente represso il movimento NoTav e non avesse ingiustamente imprigionato il nostro compagno Maurizio, non si sarebbe verificato il corteo che non avrebbe creato il blocco che non avrebbe permesso la rapina.
Questo articolo del codice penale sembra la sceneggiatura di una nuova canzone di Jeck nucleare: “alla fiera del tav”. Eppure c'è poco da scherzarci, perchè, come tutti gli altri articoli di concorso, è uno strumento potente nelle mani dei nostri aguzzini; con esso possono liberamente scegliere il reo che preferiscono, indipendentemente dalla responsabilità effettiva dell'individuo nell'accaduto. [...]
Per quanto riguarda la rapina poi non ne parliamo, fatti ingigantiti all'inverosimile da sbirri, pennivendoli e “vittima”, che dichiara di aver riportato privazioni materiali nell'ordine di migliaia di euro in pochi secondi, nonché delle lesioni corporali guaribili in 20 giorni... da primo referto medico si scoprono essere il caro vecchio colpo di frusta, immancabile in ogni trauma stradale (come la capisco, anche a me è successo molte volte... più volte possibili!!!). [...]
I pennivendoli poi non ne parliamo... cazzo se provi a scrivere il mio nome e cognome su google c'è da spaventarsi da quel che esce! Grande fratello di merda! Non che me ne freghi molto ma se volessi riscattare il mio nome sul web dovrei come minimo salvare la vita al papa se no per la rete sarò solo e sempre un violento rapinatore di automobiliste indifese che addirittura estrae dall'auto le sue vittime e le aggredisce a calci e pugni per rubargli la collana!!!
Comunque il primo ostacolo è rimosso; ora posso comunicare e dunque riprendere l'attività politica “da ufficio”... scrivere comunicati, volantini, lettere ai detenuti, insomma sarò un compagno di scartoffie. Spero (ma non credo) di vedervi presto tutti dal vivo
A palle gonfie vi saluto con libero affetto e massima riconoscenza.

marzo 2013
Peppino


Milano. 15, 16, 17 Marzo 2013
Tre giorni di mobilitazione, solidarietà e sport popolare ricordando Dax!
Sabato 16 marzo, a dieci anni dall’omicidio fascista di Davide “Dax” Cesare, una manifestazione nazionale attraverserà le vie della città riportando in piazza valori, pratiche e contenuti che da sempre animano le lotte autorganizzate sul territorio della città di Milano.
Nell’acuirsi della crisi strutturale che alimenta resistenze nei quattro angoli del globo, il ricordo di un compagno deve farsi memoria viva e condivisa, spinta a riprendere in mano le sue battaglie con ancora più rabbia ed entusiasmo. Di fronte alle macerie della governance capitalista le nostre risposte sono chiare e determinate e si fondano su bisogni reali che chiunque può toccare con mano: il diritto ad una casa, una condizione di vita dignitosa, qualsiasi sia la nazionalità o provenienza di un individuo, un’istruzione libera e gratuita, un sistema sanitario accessibile a chiunque e la difesa dei territori dalla devastazione ambientale ed economica.
Il corteo sarà strutturato per spezzoni tematici: i comitati e le lotte territoriali per la casa e contro il razzismo, gli studenti che animano le mobilitazioni delle scuole ed delle università, quindi lo spezzone dello sport solidale e antirazzista e delle palestre popolari, le delegazioni internazionali, lo spezzone contro carcere e repressione e quello skinhead.
Il corteo del sabato pomeriggio si colloca all’interno di una tre giorni di mobilitazione che sarà inaugurata la mattina di venerdì 15 dal corteo studentesco per Dax delle scuole milanesi che si concluderà proprio in via Brioschi e con una serata di incontri e solidarietà internazionale con diverse realtà e movimenti da tutto il mondo. Invece la giornata di sabato, dopo il corteo, si concluderà con un concerto dedicato a Dax delle posse militanti della penisola.
La domenica sarà invece dedicata allo sport popolare con dimostrazioni e tornei presso un parco del quartiere Ticinese: si comincerà dalla mattina e si andrà avanti per tutta la giornata tra tornei di calcetto, di basket e di rugby, dimostrazioni delle palestre di sport da combattimento, spazio bambini e giochi. Uno spazio per ospitare gli incontri, il concerto e la cucina cruelty free sarà allestito per l’occasione, dando vita all’Area Grizzly in uno dei troppi spazi vuoti ed inutilizzati della nostra città.

Appuntamenti:
14 marzo: h17 Incontro “da Valerio Verbano a Dax”, in Uni. Statale; h22 Festa Autofinanziamento in Uni. Statale
Milano. 15, 16, 17 Marzo 2013: TRE GIORNI DI MOBILITAZIONE, SOLIDARIETÀ E SPORT POPOLARE RICORDANDO DAX!
15 marzo: h 9.30 Corteo Studentesco per Dax h9.30 @ L.go Cairol; h 21 ASSEMBLEA INTERNAZIONALE h21 @ Area Grizzly
16 marzo: CORTEO NAZIONALE “Antifascismo è Anticapitalismo” ore 15 P.zza XXIV Maggio; Concerto per Dax con 99Posse, Assalti Frontali e altri @ Area Grizzly
17 marzo: GIORNATA DI SPORT POPOLARE dalle 10 @ Parco Argelati

More info: daxvive.info
Le compagne e compagni di Dax


PROCESSO D'APPELLO THYSSENKRUPP
nessuna giustizia, nessuna pace
Dopo 5 anni dalla strage l'ennesima doccia fredda per i familiari delle vittime e gli ex lavoratori nel processo ThyssenKrupp: derubricato il reato più grave (per l'ad H. Espenhahn l'omicidio volontario diventa colposo), ridotte significativamente le pene per tutti gli altri imputati e concesso anche il dissequestro della Linea 5. Giustamente i familiari hanno occupato l'aula per ore e non sono mancati attacchi al ViceSindaco T. Dealessandri, contestato per il ruolo avuto dal Comune nella vicenda: ritiro dal processo d'Appello (in cambio di un lauto risarcimento) e soprattutto la ricollocazione di decine di ex lavoratori TK nelle municipalizzate del Comune che però, in cambio di un posto di lavoro, sono stati costretti a rinunciare alla costituzione di Parte Civile alimentando così la divisione tra i lavoratori. Una sentenza della giustizia padronale per salvare gli unici responsabili di quelle morti atroci, in una giornata funestata dall'ennesimo lavoratore morto nello stabilimento ILVA di Taranto.
Rinnoviamo ancora una volta la nostra solidarietà e vicinanza ai familiari dei nostri 7 compagni di lavoro e alle famiglie di tutti i morti sul lavoro in questo Paese.
Questa sentenza infanga la loro memoria, quella dei loro familiari, la dignità stessa del lavoro e li uccide nuovamente, aprendo pericolosamente la strada dell'impunità per i loro assassini. Anche il responsabile della sicurezza C. Cafueri, che non dimentichiamo ha indotto (e per questo è indagato in un processo a parte) alla falsa testimonianza numerosi testimoni della difesa, ha visto ridotta la sua pena dopo aver piagnucolato ignobilmente dinnanzi alla Corte. Ci chiediamo con quali considerazioni gli siano state riconosciute le attenuanti!? Probabilmente per i servigi ben svolti per il suo padrone...
Come era prevedibile le richieste di pena “esemplari”, il processo “storico”, “una nuova pagina della giurisprudenza del lavoro”, sono serviti solo a contenere in parte la rabbia e lo sdegno dei familiari, degli operai e della società civile. Questa vicenda ci insegna che la giustizia italiana adotta due pesi e due misure e che la vita dei lavoratori vale meno di zero. Per questo non bisogna accordare nessuna fiducia alla legalità borghese!
Le “condanne” inflitte in primo grado sono arrivate non per la lungimiranza della giustizia ma per la puntuale e sollecita mobilitazione popolare che ha spinto in tal senso il pronunciamento della Corte. Per gli operai é difficile oggi organizzarsi e rispondere in maniera adeguata agli attacchi dei padroni e dei loro lacchè. Vengono infatti promosse a piene mani rassegnazione e sfiducia nei propri mezzi e nelle proprie risorse.
Oggi più che mai, all'indomani di questa vergognosa sentenza, sentiamo la responsabilità di chi ha affrontato una vera e propria “guerra” contro l'ingiustizia e forse non ha combattuto con tutte le armi a propria disposizione. Ma sappiamo di possederne una formidabile: la solidarietà.
Questa vicenda ci insegna che dobbiamo organizzarci meglio e con maggiore determinazione, senza abbassare mai la guardia. Continuare oggi a combattere per i nostri 7 compagni di lavoro della TK, per i morti all'ILVA, per i morti da amianto all'Eternit, per avere giustizia e sapere la verità per la strage di Viareggio e per tutti i morti nei cantieri, sulle strade e nelle fabbriche nel Nord e nel Sud d'Italia significa pretendere che venga riconosciuta la dignità del lavoro (sancita dalla Costituzione) per noi stessi e per le generazioni future, per i nostri figli.
Non ci siamo costituiti nel processo per un tornaconto personale ma per pretendere verità e giustizia in una delle peggiori vicende riguardanti i morti sul lavoro nel nostro Paese degli ultimi trent'anni.
Il Comune ha perpetrato nei confronti di alcuni lavoratori costituiti Parte Civile un atteggiamento vergognoso e discriminatorio, promettendo una ricollocazione mai avvenuta. Fassino ha promesso di sanare questa ingiustizia incontrando gli ultimi lavoratori in mobilità il 30 giugno 2011 e garantendo il proprio impegno nella ricollocazione. Ovviamente solo promesse, come quella ai tempi della campagna elettorale della Gran Torino Capitale del Lavoro...
Vigileremo su cosa verrà fatto dei soldi ottenuti come risarcimento dagli Enti locali, sulle modalità di riqualificazione delle ex aree Thyssen e su chi graveranno gli oneri della bonifica: alla TK o ai cittadini torinesi? Conoscendo Fassino e la sua politica prepariamoci! Non dobbiamo aprire noi lavoratori di nuovo le tasche come abbiamo già fatto con il suo degno predecessore Chiamparino in occasione delle Olimpiadi 2006 e per l'ostensione della sindone (per i quali il Comune di Torino è il più indebitato d'Italia e oggi si tagliano e privatizzano i servizi), o per le spese di militarizzazione della Val Susa per la costruzione della Tav. La nostra non è solo una lotta per la sicurezza nei luoghi di lavoro, per un lavoro sicuro e dignitoso. E' la lotta per affermare il nuovo che avanza, la costruzione di una nuova società.
Il nuovo assetto politico in Piemonte e in tutto il Paese vede un notevole avanzamento di consensi del M5S. I denigratori lo definiscono un non-voto, un voto antipolitico.
Noi guardiamo il risultato di queste elezioni come un segnale del cambiamento sentito e voluto da una buona parte degli italiani: rompere quel meccanismo di concertazione tipico di una classe politica vecchia e corrotta che ha fatto di inciuci, corruzione, clientelismo e promesse mai mantenute il solo e unico modo di intendere la politica. Il M5S, pur con le proprie contraddizioni, ha la possibilità di cambiare da “dentro”, ma anche fuori dai palazzi del potere, nelle piazze, questo sistema ormai in sfacelo che ci ha condotti sin qui, nella peggiore crisi economica, sociale e culturale dal Dopoguerra ad oggi. Ma soprattutto ha l'occasione di mettere al centro della propria agenda politica l'unica misura necessaria per ricostruire il Paese: il lavoro, utile e dignitoso per tutti.
Non saranno certo i Bersani, i Fassino, i Monti, la BCE o la Goldman Sachs a risolvere questa crisi! Dicono di volerlo fare ma non sanno come e nemmeno vogliono. Solo noi cittadini e lavoratori possiamo e dobbiamo essere protagonisti del cambiamento già in atto, che trasformerà questa società gestita da pochi a scapito di molti in una società nuova in cui sia riconosciuta la dignità del lavoro ed ognuno lavori secondo le proprie possibilità ed abbia secondo le proprie necessità. Una società che stiamo già costruendo sulle macerie di questo sistema economico, basato sul profitto e sullo sfruttamento, ormai in declino.
"...il capitale non ha riguardo per la salute e per la durata della vita dell'operaio,
quando non sia costretto a tali riguardi dalla società". (Karl Marx)

Torino, 1 marzo 2013
Ex lavoratori ThyssenKrupp Torino
Saronno (MI): Processo per i fatti di Origgio (VA)
Il 28 gennaio si è tenuto l'udienza preliminaria per i cosiddetti “fatti di Origgio” del 2008.Il processo è a carico di militanti del Si Cobas (allora appartenevano allo Slai Cobas), del CSA Vittoria, di alcune situazioni di movimento e dei lavoratori della Bennet di Origgio accusati di minacce, lesioni e presidio non autorizzato. Erano presenti una settantina di compagni (tra i quali la ventina di imputati), c/o il tribunale di Saronno. I compagni si sono rifiutati di presentare in aula, per questo si è svolto due ore di presidio fuori del tribunale di Dentro, in aula, appena il tempo di avviare le pratiche con la costituzione delle parti civili (si è costituita parte civile la Bennet che richiede un risarcimento per “mancato guadagno” e il processo è stato rimandato il 29 marzo alle 13.30. Fuori, un volantinaggio a tappeto per difendere i diritti di chi ha lottato e continua a lottare per difendere per le proprie condizioni di vita e lavoro.
Milano, febbraio 2013


IL “METODO MAREDO”: CHOC E SGOMENTO
Un anno fa, il 26 novembre 2011, il Gruppo “Steakhaus Maredo” si è sbarazzato di quasi tutto il personale della filiale di Francoforte nella Freßgass’. Per raggiungere questo scopo ha usato il metodo “Choc e sgomento”.
Il 26 novembre 2011 in questa filiale venne a mancare “inspiegabilmente” la corrente. Dopo che tutti i clienti ebbero abbandonato il locale, restato al buio, arrivarono una dozzina di dirigenti, avvocati e addetti alla sicurezza. I dipendenti intimoriti restarono per ore al buio nel locale, senza il permesso di telefonare e senza possibilità di comunicare fra loro. A uno a uno furono interrogati e messi davanti a un’alternativa: presentare volontariamente la lettera di licenziamento e non avere più problemi oppure, in caso contrario, incriminazione e licenziamento in tronco. Circa una dozzina fra colleghe e colleghi non riuscirono a sopportare questa pressione, volevano solo andarsene e si licenziarono. Per causa di questa azione un collega ebbe un collasso, mentre altre colleghe sono tuttora traumatizzate. 14 colleghi presentarono denuncia contro Maredo per sequestro di persona e coercizione. Il Pubblico Ministero sta ancora indagando.
Sorvegliare, spiare, licenziare
Il pretesto di questa azione è che tutti i dipendenti avrebbero rubato. Per “provare” ciò, Maredo – naturalmente illegalmente senza il consenso della commissione interna – aveva in precedenza fatto spiare i colleghi per mesi da due “detectives” e per almeno quattro settimane li aveva fatti osservare ininterrottamente da tre telecamere nascoste. Dopo che ogni mossa era stata ripresa, tutto questo materiale venne esaminato per mesi. Ogni movimento della mandibola, per masticare qualcosa, venne considerato come un furto, vennero riempiti grandi raccoglitori con presunte documentazioni. Il Tribunale del Lavoro di Francoforte si è schierato in prima istanza dalla parte di Maredo. Ma la nostra battaglia continua.
Le vere ragioni per il licenziamento di massa sono in realtà le seguenti.
Le colleghe e i colleghi di Francoforte erano troppo anziani, troppo costosi e troppo indipendenti. La maggioranza di loro conosceva Maredo fin dagli inizi. Hanno ancora vecchi contratti a tempo indeterminato. Perciò sono troppo costosi. Maredo assume oggi il suo personale per euro 7,50 lordi, un basso salario che costringe i colleghi a richiedere anche Hartz. Circa l’80 per cento dei colleghi erano organizzati nel sindacato, una percentuale alta per la gastronomia. Inoltre sostenevano il loro rappresentante, che aveva protestato contro i bassi salari nella commissione per le tariffe contrattuali.
Maredo vuole: zone senza commissione interna e senza sindacati, dipendenti insicuri e
sottomessi, ma soprattutto personale che costa sempre meno.
Questo si spiega perché Maredo appartiene alla società Private-Equity ECM con sede a Francoforte. Queste società di capitale comprano delle “imprese medie” come Maredo, per rivenderle con ampio margine di utile fra 5 o 7 anni.
NOI INVECE CHIEDIAMO: RIASSUNZIONE DELLE COLLEGHE E DEI COLLEGHI LICENZIATI, SCUSE DA PARTE DEI DIRIGENTI, ABOLIZIONE DEI SALARI BASSI.

febbraio 2013
Comitato di solidarietà per i dipendenti di Maredo, Francoforte.
V.i.S.d.P. e contatto: Volkhard Mosler, 0157 -7185 – 9219 volkhard.mosler@gmx.de