indice n.71

Libia: elezioni, torture e business
egitto: La farsa della “guerra di potere”
Tunisia: scontri tra polizia e manifestanti a Sidi Bouzid
Lettera dal carcere di Rossano Scalo (CS)
aggiornamenti dalla lotta dentro e contro i cie
lettera dal carcere di cuneo
Resoconto assemblea contro il regime del 41-bis
lettere dal carcere di San Vittore (mi)
lettera dal carcere di Velletri (rm)
lettera dal carcere di Vicenza
lettera dal carcere di Opera (milano)
lettera dal carcere pagliarelli di palermo
lettera dal carcere di rebibbia (roma)
lettera-documento dal carcere “le vallette” di torino
lettera dal carcere di Pöschwies-Regensdorf (svizzera)
Lettera da Savona
Cronache di sommosse e solidarietà dal Belgio e altrove
Billy è stato scarcerato
lettera dal carcere di Marassi (genova)
Lettera dal carcere di Aachen (Germania)
lettera dal carcere di Lenzburg (svizzera)
Lettera dal carcere di rebibbia (roma)
genova 2001: SOTTO IL FUOCO NEMICO
processo ai no tav: Cronaca dell’udienza preliminare
Dalla Valsusa ribelle
COMUNICATO COORD. TRENTINO E MOVIMENTO NO TAV VAL SUSA
VITTORIA DEL MOVIMENTO NOTAV-TERZO VALICO
Genova: DALLE VALLI AI VICOLI: CI RIPRENDIAMO TUTTO
Milano, 19 luglio, via Neera 7, quartiere Stadera: SGOMBERO
Milano: Villa Vegan occupata a rischio sgombero
SUDAFRICA: PIOMBO “DEMOCRATICO” CONTRO GLI OPERAI!
Aggiornamenti dalle lotte nel settore della logistica

Libia: elezioni, torture e business
All'indomani delle elezioni legislative in Libia, i grandi media occidentali, interessati a dare la propria approvazione al nuovo regime politico imposto dalla NATO, hanno annunciato la vittoria dei liberali dell'Alleanza delle forze nazionali, sotto la direzione di Mahmoud Jibril, contrapposta ai Fratelli Musulmani del Partito per la giustizia e lo sviluppo di Mohamed Sawan nelle grandi città, e lo scacco degli autonomisti di Bengasi, scontenti della ripartizione dei seggi all'assemblea costituente, nel loro tentativo di far deragliare il voto (avevano distrutto l'ufficio della commissione elettorale a Adidabia e ordinato la chiusura delle raffinerie di petrolio di Sirte).
I Fratelli musulmani pagherebbero anche il prezzo della loro vicinanza a Seif-el-Islam Gheddafi (attualmente detenuto a Zeitan) dopo che egli aveva fatto liberare 150 di loro nel 2003 (essi avevano boicottato la conferenza dell'opposizione a Londra nel 2005, che aveva fatto appello al rovesciamento del regime), come pure dei loro legami troppo visibili con i Qatar.
Tuttavia, l'avanzata di Jibril, candidato degli Occidentali, presidente del Consiglio nazionale di transizione ed ex patrocinatore delle riforme economiche sotto Gheddafi, è molto relativa. Inoltre solamente 80 dei 200 seggi dell'assemblea costituente sono attribuiti ai partiti, gli altri agli "indipendenti". Questa ripartizione è stata suggerita dagli "spin doctors" americani allo scopo di mettere ai margini i Fratelli musulmani e i salafiti come Abdelhakim Belhadj, e dovrebbe portare in ogni modo a un governo di unione nazionale tra islamisti e liberali allo scopo di elaborare una costituzione che scaturirà solamente nel 2013 sulla base dell'elezione di un'assemblea legislativa definitiva.
Ciò che i media occidentali dimenticano di dire è il fatto che, come in Iraq nel 2004 e ad Haiti sotto l'occupazione dell'ONU, le elezioni sotto i nuovi regimi non sono democratiche poiché tutte le tendenze non sono affatto libere di concorrere allo scrutinio (in particolare i partigiani del vecchio regime) e che il regno delle milizie compromette la libertà di espressione e di pensiero.
All'inizio di luglio, Amnesty International ha pubblicato un rapporto su fatti dei mesi di maggio e giugno scorsi intitolato "Lybia: rule of law or rule of militias?".
Il rapporto cita in particolare il caso di Hasna Shaeeb, una donna di 31 anni, prelevata dal suo domicilio di Tripoli nell'ottobre scorso da uomini in tenuta militare e trasferita nell'ex Ufficio dei fondi di dotazione islamica nella capitale. E' stata accusata di essere leale a Gheddafi e un cecchino. E' stata fatta sedere su una sedia con le mani legate dietro la schiena e sottoposta a scariche elettriche sulla gamba destra, alle parti intime e alla testa. Le guardie hanno minacciato di introdurre sua madre nella cella e di violentarla, e le hanno versato addosso dell'urina.
Dopo averla liberata dalla sedia, i suoi torturatori non erano in grado di aprire le manette con la chiave, e hanno allora usato una pistola e le schegge della pallottola sono penetrate nella sua carne. Liberata dopo tre giorni, Shaeeb ha fatto constatare da un medico le sue ferite e si è rivolta alle autorità. Queste non hanno fatto nulla, mentre Shaeeb riceveva minacce per telefono da parte del miliziano che l'aveva arrestata e la facciata di casa sua veniva mitragliata. Ciò che rende singolare la storia di Shaeeb è solamente il fatto di avere presentato una denuncia formale, mentre molti altri non hanno potuto farlo. Il governo dichiara di detenere 3.000 prigionieri nelle carceri e le milizia altri 4.000. Le torture a morte sono frequenti.
Molto lontani dalle preoccupazioni di Amnesty International, gli ambienti di affari internazionali sono soddisfatti della transizione politica attuale in Libia. Così, Mario Zotelle, direttore della "Joint Lybian Construction Company" (JLCC), un consorzio di società dipendenti da Asamer Holdings (con sede in Austria) è intervenuto a Dubai il 27 giugno su invito della Camera di commercio e industria di quel paese la settimana scorsa nel quadro della conferenza "Forum sullo sviluppo futuro della Libia 2012: infrastruttura e ricostruzione" davanti a 150 rappresentanti di 60 compagnie d'Europa, dei paesi del Golfo e d'Africa. "Noi riponiamo importanti aspettative su queste elezioni, ha dichiarato, e sul nuovo clima politico che dovrebbe instaurarsi per creare un quadro istituzionale e commerciale più forte". "La Libia ha bisogno di riforme dell'educazione, ha aggiunto, allo scopo di rispondere alla richiesta di professionisti. Occorre anche una riforma del settore bancario e della sicurezza garantita in tutto il paese. I trasporti e la fornitura di elettricità e di gas dovrebbero essere migliorati. Ma il potenziale per le imprese e la partecipazione degli investimenti nella ricostruzione del paese è importante".
Asamer possiede e gestisce tre cementifici in Libia. Durante la "rivoluzione", Asamer ha sostenuto i lavoratori e gli insorti di Bengasi, con la fornitura di aiuto umanitario. La compagnia ha pagato nel 2011 i salari ai suoi lavoratori malgrado l'arresto della produzione durante la crisi. Asamer ha investito più di 100 milioni per aumentare gli standard di efficienza energetica, la produzione, la qualità e le norme del lavoro e per installare un sistema di protezione dell'ambiente.
La conferenza di Dubai è stata introdotta da Charles Gurdon, direttore dell'agenzia inglese di consulenze Menas che aveva tra l'altro fatto del "lobbying" a favore del Consiglio nazionale di transizione nel New York Times nell'agosto 2011. Charles Gurdon sarà anche presente il 6-8 novembre 2012 al vertice del petrolio e del gas di Vienna a fianco dei responsabili di Total, di Repsol, di Haliburton, ecc., ossia dei rappresentanti di 27 paesi (in particolare il 30% delle compagnie petrolifere nazionali del mondo). Una conferenza che sarà sicuramente interessante seguire per comprendere le strategie petrolifere internazionali nella regione...
10 luglio 2012
da marx21.it, in resistenze.org


egitto: La farsa della “guerra di potere”
Il dibattito politico egiziano, a lungo conteso tra il movimento rivoluzionario e il nuovo-vecchio regime, pare che adesso avvenga prevalentemente tra i Fratelli Musulmani ed il Consiglio Supremo delle Forze Armate, cioè quell’organo che ha governato il paese dalla caduta di Hosni Mubarak fino all’elezione del nuovo presidente poche settimane fa.
Dopo che, lo scorso giugno, sono stati resi noti i risultati elettorali, è venuta alla luce una situazione che ha dell'inverosimile: oggi non si capisce più nelle mani di chi sia il potere, se siano quindi ancora i militari a governare oppure se è il il neoeletto Morsi con i Fratelli Musulmani a decidere le sorti del paese. Già nel periodo di transizione molti erano stati i tentativi messi in campo dalla leadership militare per mantenere il proprio potere: accanto allo spregiudicato uso della forza, diverse volte ha tentato di approvare unilateralmente leggi “sovracostituzionali” per poi arrivare - nel bel mezzo delle consultazioni elettorali - alla dissoluzione del parlamento egiziano.
Anche la lunga attesa dei risultati delle elezioni presidenziali, in quell’intera settimana in cui il paese era rimasto con il fiato sospeso per i risultati della competizione tra Shafiq e Morsi, aveva fatto destare i sospetti che il prolungamento dei tempi fosse servito a mettere in campo trattative segrete tra i Fratelli Musulmani e le alte sfere militari per la spartizione del potere.
Queste ultime settimane sembrano confermare questi timori: Morsi si batte, apparentemente scontrandosi con i militari, per il ripristino di quel parlamento formato per la grande maggioranza da salafiti e islamici moderati.
Una sorta di scontro, quello tra i militari e Morsi, che ad oggi appare funzionale soltanto a riempire il dibattito politico per oscurare le ragioni della rivoluzione.
Intanto la piazza ci restituisce un'immagine in completo contrasto con quella a cui la rivoluzione ci aveva abituati: in piazza Tarhir si alzano slogan religiosi, si sostiene il ripristino del parlamento egiziano, si appoggiano le azioni “di forza” mostrate da Morsi. Di fronte a tutto ciò viene spontaneo chiedersi che fine abbia fatto quel movimento rivoluzionario che, con le sue battaglie, per lungo tempo ha dettato le sorti del paese.
Dopo la “sconfitta” degli ideali rivoluzionari - prima nelle elezioni legislative, poi in quelle presidenziali - il movimento si trova ad oggi in una situazione alquanto critica con forti spaccature interne.
Alcuni rimpiangono la mancata costruzione di una qualche forma di alleanza tra laici e liberali, unione che avrebbe potuto permettere la vittoria di un candidato meno vicino agli interessi islamici e a quelli moderati.
Altri, secondo la logica del “meno peggio”, in queste ultime settimane si sono recati in piazza Tahrir per sostenere Morsi; altri ancora, invece, accusano il neopresidente di esercitare un eccessivo potere, al punto da non rispettare il potere giuridico che, anche se in maniera del tutto controversa, aveva deciso la dissoluzione del parlamento.
Nel frattempo una parte del movimento prosegue con il lavoro di radicamento nelle fabbriche e nelle università. In questo scenario coloro che, all'interno del movimento, sono consapevoli di assistere ad una messinscena del potere, hanno sempre meno voce. Lo pseudo-scontro tra i due principali attori del dopo-rivoluzione – Morsi e il regime militare – appare orchestrato ad arte per scongiurare dure contestazioni che il popolo egiziano potrebbe mettere in atto. Una parte del movimento - vista anche la perdurante censura mediatica e la potente macchina organizzativa messa in campo della fratellanza musulmana - non sembra rendersi conto della farsa che si sta consumando. Oggi, nonostante i pericoli che una ripresa dello scontro potrebbe portare in termini di repressione, probabilmente sarebbe necessario rimettere in moto, dal basso, un nuovo conflitto.
L'Egitto di questi giorni ci mostra che, anche laddove una rivoluzione sia stata avviata in maniera determinata, è difficile mantenere vivo lo spirito rivoluzionario, anch'esso troppo spesso attanagliato da quegli stessi poteri che da decenni guidano il paese.

11 luglio 2012
da infoaut.org


Tunisia: scontri tra polizia e manifestanti a Sidi Bouzid
Duri scontri tra polizia e manifestanti nella città madre della rivoluzione in Tunisia. A Sidi Bouzid ancora una volta centinaia di persone si sono radunate questa mattina nei pressi dell'edificio che ospita il governatorato, rappresentante locale del governo guidato dagli islamisti moderati di Ennahdha. Al grido di “dégage” e “il popolo vuole la caduta del regime” la manifestazione era determinata ad entrare nel palazzo dell'istituzione quando alcuni plotoni di polizia si sono schierati poco distanti dal sit-in ed hanno iniziato a sparare lacrimogeni e pallottole di plastica. Si sono contati subito i primi feriti e gli scontri hanno avuto inizio. Testimoni in loco parlano di diversi arresti, e manifestanti inseguiti fin dentro le proprie case dalla polizia che non ha esitato a sfondare porte e terrorizzare madri e bambini. Altri arresti sono stati eseguiti al pronto soccorso colpendo i manifestanti che attendevano le cure mediche per le ferite riportate durante gli incidenti. La maggior parte è riuscita a sfuggire, lasciando però nella mani della polizia quanti non hanno potuto prendere la fuga.
La tensione monta in Tunisia dove le manifestazioni, al di là del blackout dei media occidentali, non cessano di moltiplicarsi e di puntare con estrema risolutezza contro il partito islamista al potere e le istituzioni. Dopo le elezioni dello scorso autunno il governo non ha mai mostrato l'interesse e la disponibilità di realizzare parti del programma rivendicato nel processo rivoluzionario del popolo tunisino che ha portato alla destituzione di Ben Ali. Questa nuova borghesia islamista non ne vuole sapere di “lavoro, giustizia sociale, dignità” e mentre per il proprio leader Rached Ghannouchi i media e i sindacati “minacciano l'unità del paese”, il partito continua ad accaparrasi con grande rapacità di tutti i posti di comando e di rilievo nelle istituzioni pubbliche e ai vertici delle imprese.
Ennahdha non ha mai mostrato rispetto ma anzi ha continuato ad oltraggiare i ceti popolari e il proletariato giovanile tunisino disconoscendo ogni sua rivendicazione e ogni suo bisogno. Il partito sta andando dritto per la sua strada tentando di far approvare leggi costituzionali “per la complementarietà della donna all'uomo” mentre tra Sidi Bouzid e Gafsa manca l'acqua.
Sembra che gli islamisti tunisini sognassero un percorso facile sul modello che ha portato Erdogan a riformare in senso neoliberista – islamista la laica, ma non meno aperta al libero mercato, Turchia d'un tempo. Ma Erdogan non ha conquistato il potere appropriandosi di un insurrezione e reagendo con violenza ad un processo rivoluzionario che tenta di farsi largo. E forse la differenza tra la Turchia di Erdogan e la Tunisia di Ennahdha inizia a palesarsi non solo agli occhi della piazza tunisina, ma anche agli occhi di qualche raffinato analista espressione dei ceti cittadini che con una certa laissez faire hanno sostenuto fino ad oggi gli islamisti, le cose iniziano a farsi preoccupanti. Si mormora infatti che i consigli degli esperti turchi all'elites al potere in Tunisia stiano provocando seri problemi al partito più che i vantaggi promessi. D'altronde la foto dei locali del partito saccheggiato giorni fa dai manifestanti a Sidi Bouzid, come fosse la sede del vecchio partito di regime, ha duramente incrinato nel paese la sua immagine. Oggi poi la manifestazione a suon di “dégage” violentemente repressa... Insomma non è un caso se per i prossimi giorni è già stata annunciata una ricca agenda di manifestazioni di contestazione al regime e di solidarietà a Sidi Bouzid, città ribelle.
9 agosto 2012
da infoaut.org


Lettera dal carcere di Rossano Scalo (CS)
[...] Sono Dridi Sabri detenuto presso la C.R. di Rossano Calabro. Sono detenuto da quasi 5 anni ingiustamente... Purtroppo ho subito molte sofferenze io e la mia famiglia ma soprattutto il mio bambino e tuttavia non ho perso la speranza che arriva un giorno se cambieranno le cose, e grazie a dio che è iniziato il 2011 con la caduta del dittatore Ben Ali e il suo governo criminale, come sapete benissimo.
Non dimentico mai la vostra solidarietà e il vostro coraggioso appoggio durante il processo e soprattutto il giorno del verdetto e non dimentico le urla e la grinta in quel giorno pieno di buio […]. Un grande saluto a tutti e ragazze e specialmente al vecchio bianco!

17 luglio 2012
Didri Sabri, Ciminata Contrada Greco, 1 – 87067 Rossano Scalo (CS)
***
Le ultime righe si riferiscono ad un processo contro alcuni arabi, in prevalenza di origine tunisina, che si è protratto per circa un anno a Milano a partire dall’aprile del 2009 e che abbiamo deciso di seguire in seguito ad alcune lettere giunteci dal carcere di Asti dove è presente una sezione speciale di transito per quei detenuti accusati di terrorismo internazionale.
Sugli opuscoli relativi a quel periodo abbiamo condiviso le nostre valutazioni insieme al resoconto delle udienze e per questo non stiamo qui a ripeterle. Saremmo invece curiosi di conoscere quali potrebbero essere oggi le argomentazioni dell’accusa che allora vertevano essenzialmente su di una supposta organicità degli imputati alle organizzazioni dei Fratelli Musulmani e di Ennahda che recentemente hanno vinto le elezioni rispettivamente in Egitto e in Tunisia. Senza entrare nel merito di tali formazioni ci basta qui riaffermare che quel processo, come molti altri in precedenza, altro non erano che merce di scambio fra il governo italiano e i governi di Ben Alì e di Mubarak, oltre che un terreno favorevole all’approfondimento della repressione e un’ottima occasione di carriera per toghe, sgherri e scribacchini dell’antiterrorismo nostrano. Con un solo balzo questi paladini della Giustizia sono passati dalla difesa delle “democrazie” di Gheddafi e di Ben Alì, all’esaltazione delle primavere arabe con in primis la “rivoluzione” libica, all’appoggio incondizionato al terrorismo della NATO. Non ci aspettavamo niente di diverso.


aggiornamenti dalla lotta dentro e contro i cie
Milano, Cie di via Corelli
Ultime udienze e sentenza del processo ai rivoltosi del Cie via Corelli con accusa di devastazione e saccheggio, 11-12 luglio.
In queste udienze sono stati ascoltati i teste della difesa, che hanno convocato la consigliera regionale di Sel, un esponente dell’ associazione "per i diritti e le garanzie nel sistema penale" Antigone e la dirigente del consiglio direttivo Arci. Questi testi, che in passato con non poche difficoltà hanno visitato i Cie, hanno fatto emergere nei minimi particolari le condizioni di prigionia, in particolare quello del Cie di Milano. Ne è emerso la grande difficoltà a visitare l’interno di questi lager, il degrado della struttura con assenza di arredi, muri cosparsi di muffa, “sala benessere” (mensa) con sedie legate al tavolo, tipo quelle da campeggio, tutte rotte e sporcizia ovunque, la tv ricoperta da grate metalliche e l’impossibilità di scegliere i canali voluti, come anche la macchina automatica per le bibite ingabbiata e non funzionante. La presenza di quattro telefoni fissi nei corridoi non funzionanti; la Croce Rossa Italiana (CRI), che gestisce questo posto di tortura, da una tessera telefonica da 5 euro alla settimana, ma non utilizzabile per telefonare all’estero (dal 2010 è stato vietato l’utilizzo dei telefonini cellulari). Docce non funzionanti e quelle utilizzabili con pochissima acqua, che crea immediatamente allagamento in tutto il bagno, con un forte odore di sporco e muffa. Totale assenza di vita sociale, completamente isolati ed impossibilità di contatti con l’esterno. L’assistenza giuridica, lo sportello informativo, la presenza di un interprete e la procedura per richiedere asilo politico sono solo scritti sulla carta ma in concreto non esiste nulla di ciò, i reclusi sono in totale abbandono di sé stessi e molti non sanno nemmeno il motivo per cui si trovano lì, non viene comunicato loro nulla, inconsapevoli delle procedure delle quali potrebbero usufruire. Nella normativa c’è anche la fruibilità di un servizio psichiatrico esterno, ma nessuno ha mai visto qualcuno, mentre l’abuso di psicofarmaci avviene ogni giorno all’insaputa dei reclusi che spesso porta ad una dipendenza che annienta.
La CRI gira con il mazzo di chiavi per aprire e chiudere le porte blindate, veri e propri carcerieri. Gli spazi sono limitatissimi, l’aria è in una zona ristretta sotto il sole cocente d’estate e le intemperie d’inverno, incorniciata da alte reti metalliche, tutto è ingabbiato, con assenza di sedie e tavoli ed impossibilità di attività ricreative. Ognuno abbandonato nella sua disperazione. C’è solo la possibilità di giocare a carte.
Tutto è video sorvegliato, tranne nelle camere da letto, dove sono presenti solo i materassi sopra reti metalliche, mentre intorno al perimetro della struttura c’è la presenza di un allarme sensore.
“Impressionante la violenza delle forze dell’ordine in tenuta antisommossa in numero superiore ai detenuti presenti”, dice una teste che ha avuto modo di sentire le urla e poi l’arrivo dell’autoambulanza, da quel giorno le è stato sempre negato il permesso di visitare l’interno del carcere.
La responsabile dell’Arci ha dichiarato la deposizione di una denuncia fatta nel 2011. Nell’esposto si denunciava il pestaggio da parte della polizia di un cinese in seguito ad una perquisizione, l'incompatibilità delle condizioni di salute di un marocchino operato all'anca con applicazione di protesi nel Cie dove non è possibile fare riabilitazione, la presenza di una persona con capelli e spalle bruciati, i numerosi episodi di autolesionismo e tentati suicidi, con totale assenza di cure mediche, solo psicofarmaci. Naturalmente l’inchiesta è stata archiviata.
Poi è stato il turno di Massimo Chiodini direttore del Cie e responsabile della Croce Rossa, deposizione alquanto vomitevole e calunniatrice, ha affermato di non conoscere i diritti degli immigrati e di non aver mai letto la circolare ministeriale dei diritti e dei doveri dello straniero all’interno del Cie, oltretutto ha avuto il coraggio di dire che all’interno della struttura c’è una ludoteca e una biblioteca con libri in lingua e la presenza di interpreti, di assistenza umanitaria, di sostegno sociale, psicologico e legale, cosa di cui non appare nemmeno l’ombra.
Altra deposizione aberrante quelle della Dot. Angela Pria capo dipartimento libertà civili e immigrazione del Ministero dell’interno, posizione altolocata nei gradini superiori delle loro autoritarie gerarchie di merda. Ha affermato tranquillamente di non aver nessuna responsabilità nella gestione dei Cie: “ogni struttura è a gestione autonoma locale, quindi di quello che succede nel territorio io non so nulla e non è di mia competenza, non diamo disposizioni e non comunichiamo con la prefettura, interveniamo se ci vengono segnalate disfunzioni, io detto le linee guida poi se vengano o no rispettate non è mia la responsabilità”. Insomma ognuno fa ciò che vuole tanto è tutto protetto dalle alte mura e reti metalliche e nessuno è responsabile.
18 luglio, ultimo giorno del processo con verdetto finale. Mancava la presenza di un imputato, che si è sentito male ed è stato portato all’ospedale per accertamenti sulle condizioni di salute. Le arringhe degli avvocati han fatto emergere le condizioni disumane dei Cie e del VI raggio del carcere di San Vittore, denunciandoli come luoghi dell’illegalità totale dove lo stato si contraddice nei fatti e nelle normative; han fatto decadere sia l’accusa di devastazione e saccheggio che di incendio doloso, in quanto non c’è stata una minaccia all’incolumità pubblica e la mancanza di arredi conferma l’impossibilità del saccheggio; dalla testimonianza dell’ingegnere dei vigili del fuoco si è evinta l’inesistenza dell’incendio, non si è verificata la propagazione del fuoco ma solo fumo; l’attribuibilità dei fatti di complotto; l’avvenuto arresto illegittimo, emerso dalle dichiarazioni delle forze dell’ordine e dei loro responsabili; l’assenza di interpreti; l’assenza di elementi di colpevolezza da parte di tutti gli imputati, a parte i due ragazzi che rivendicano l’accensione del fuoco al proprio materasso. In conclusione chiedono per tutti gli imputati l’assoluzione per non avere commesso il fatto.
La sentenza: l'accusa per devastazione e saccheggio è decaduta per insussistenza del fatto, gli imputati sono stati accusati di danneggiamento aggravato (in quanto struttura statale). Un ragazzo è stato assolto, a quattro è stato dato 1 anno e 3 mesi, a tre invece 7 mesi. Tutti hanno già scontato 6 mesi e con la condizionale sono tutti liberi. Erano felicissimi, ma purtroppo il viaggio và all’incontrario e da San Vittore, vengono trasportati in questura dove restano fino al giorno successivo, tutti dentro una gabbia. Il giorno seguente tre vengono riportati al Cie di via Corelli, gli altri cinque al Cie di C.so Brunelleschi a Torino, dove vengono tenuti in isolamento. Dopo una settimana una persona è ancora in via Corelli, mentre altri sono stati portati al Cie di Trapani e alcuni rimpatriati in Tunisia. I quattro ritornati in Tunisia sono ora liberi, per gli altri la tortura continua.
L’accusa di devastazione e saccheggio è decaduta e non poteva essere altrimenti, ma la loro libertà è ancora tortura e supplizio. Questi posti non dovrebbero esistere eppure continuano ad esserci e ne costruiranno altri, soldi sperperati per torturare, annientare e confinare. Nessuna miglioria ma l’abbattimento di tutti i muri!
Il 14 luglio tre persone della sezione C tentano la fuga ma purtroppo viene prontamente repressa e riportano i reclusi nella sezione.
Il 21 luglio ritentano la fuga in cinque ma anche questa volta subito soffocata dalle forze dell'ordine che però questa volta rispondono con violenti pestaggi ferendo a sangue una persona che naturamente non viene soccorsa, gli altri detenuti protestano facendo battiture fino a quando riescono a far portare il ferito in infermeria.
Il 27 luglio ad una persona, credendo di essere rimpatriata, come aveva chiesto, viene fatto fare un giro fino all'aerorto di Malpensa ma poi viene riportata al Cie. Purtroppo non si riesce ad avere notizie più dettagliate e a capire la dinamica. Ritornato al Cie, disperato tenta il suicidio, gli altri reclusi riescono a salvarlo e tranquillizzarlo.
Si apprende che due sezioni del Cie Corelli per motivi di ristrutturazione rimangono inagibili, attualmente la capienza è di circa 81 detenuti.

Torino, Cie di C.so Brunelleschi
Il 24 luglio nell'area gialla rinchiudono un ragazzino di 16 anni - i minorenni non dovrebbero essere reclusi ma a volte capita - così un recluso sale sul tetto e brucia alcuni vestiti e dei materassi e tutta l'area in solidarietà comincia a protestare. La polizia interviene con gli idranti ed i reclusi rispondono lanciando pietre sugli agenti. Nel pomeriggio un gruppo di solidali si raduna fuori dal Cie e comincia a scandire slogan, fare battiture accompagnate da petardi. Il recluso sul tetto era già sceso. Intanto anche nell'area blu cominciano a protestare perchè anche lì c'è la presenza di un minore. I reclusi raccontano ai solidali presenti fuori dalle mura che da 20 giorni quattro di loro sono in sciopero della fame per protestare contro l'ufficio immigrazione che li tiene reclusi, senza espellerli, nonostante abbiano il passaporto o il permesso di soggiorno scaduto. Quando tutto è in calma apparente anche l'area viola protesta, ormai il presidio fuori si è sciolto, quindi la polizia entra nella sezione in tenuta antisommossa e reprime la contestazione, nessun ferito.
5 agosto. Notte turbolenta al Cie in seguito al pestaggio di un ragazzo all'interno dell'infermeria del centro. I reclusi dell'area gialla, viola e rossa cominciano a bruciare i materassi. La polizia interviene lanciando grosse quantità di gas lacrimogeni, ma senza entrare nelle sezioni. Anche i vigili del fuoco intervengono, usando gli idranti contro i reclusi. Il casino dura all’incirca dall’una di notte alle cinque della mattina. Alla fine, tra i reclusi non ci sono né feriti né arresti. Tre di loro però, salgono sui tetti dell’area gialla, e dichiarano di non voler scendere prima di aver parlato con qualcuno dell’ufficio immigrazione.
06 agosto Una decina di solidali si raduna davanti al Cie bloccando il traffico e facendo battiture sul cancello del vecchio ingresso del centro di detenzione, dopo poco si crea un corteo che percorre un breve tratto di strada e poi si dilegua. Dopo un'ora la sede della Croce Rossa viene imbrattata da scritte e macchie di vernice. Una delle telecamere viene sradicata dal muro. Alle otto di sera, la polizia interviene nelle sezioni del Cie per effettuare una perquisizione. Inoltre, due reclusi dell’area gialla vengono messi in isolamento e altri tre vengono spostati in altre aree. Si viene inoltre a sapere che, a causa del forte acquazzone del pomeriggio, i tre recusi sul tetto sono scesi.

Bologna, Cie di Via Mattei
Agenzie stampa riportano che il 29 luglio poco dopo le 2 un gruppo di cinque detenuti ha tentato di scavalcare la recinzione della struttura, uno di loro é riuscito a scappare, ed é tuttora ricercato. Gli altri, invece, sono caduti dalla recinzione, riportando lievi ferite: trasportati in ospedale per le cure del caso, il più grave ha riportato una frattura al bacino.
L’ultima evasione è avvenuta a metà di questo mese, in trenta erano riusciti ad allontanarsi, 25 dei quali ripresi quasi subito.
Il Consorzio L'Oasi di Siracusa, già subentrato il mese scorso al Cie di Modena, ora è anche gestore del Cie di Bologna con una base d'appalto di 28 euro per detenuto.

Cie di Gradisca d’Isonzo (Go)
25 luglio. Dopo le proteste in seguito alla visita di una delegazione parlamentare organizzata dal Partito Democratico, i migranti sono stati sottoposti a una dura perquisizione e sono rimasti per giorni chiusi nelle loro celle. “Vi siete comportati male”, sarebbe stato detto loro. Anche la giovane compagna, incinta di sette mesi, di uno degli scioperanti ha subìto un trattamento umiliante, completamente spogliata e perquisita per poter ottenere solo cinque minuti di colloquio, divisi da un vetro. Un’umiliazione raccontata tra le lacrime, alla sua uscita. Intanto continuano gli scioperi della fame, iniziati dal 18 giugno da circa 48 reclusi, nonstante sia tempo di ramadan, di giorno oltre al rifiuto del cibo non assumono nemmeno acqua. Nonostante negli ultimi giorni le condizioni di salute siano preoccupanti non sono stati portati in ospedale ma solo monitorati dal personale sanitario. In questa settimana ci sono stati due tentativi di rivolta ed un ragazzo si è rotto i calcagni per aver tentato di evadere.

Cie di Trapani-Milo, ennesima fuga di massa
Nelle prime ore della giornata del 9 luglio circa 200 reclusi hanno preso d'assalto i cancelli, fronteggiati da circa venti uomini di guardia e da successivi rinforzi. Forti le tensioni e gli scontri con le forze dell'ordine, ma non vi sono stati feriti. Alla fine circa settanta migranti, di nazionalità tunisina, sono riusciti a fuggire.
Il 24-25 luglio 70 reclusi tentano l’evasione ma le forze del disordine questa volta intervengono con bombolette spray urticante accecando temporaneamente chi tentava di fuggire, solo uno è ora uccel di bosco! Il giorno dopo ritentano l’evasione ma il numeroso dispiegamento di sbirri li fa retrocedere, però uno riesce a dileguarsi.
Il 3 agosto continuano le evasioni e in 5 riescono a darsi alla macchia. Horria!
Cie di Serraino-Vulpitta (Tp)
Aperto dal 1998 è chiuso da inizio luglio in seguito a una rivolta. Speriamo che non riapra mai più. Nei giorni successivi alla chiusura si è registrata eccezionalmente una situazione si sovraffollamento al Cie di Trapani Milo (224 detenuti su una capienza di 204). A quanto pare sono sempre attivi gli accordi presi tra Italia e Tunisia durante l’emergenza del 2011 e perciò continuano le espulsioni sistematiche in Tunisia al ritmo di 60 alla settimana, attraverso due voli in partenza dall’aeroporto di Palermo.
Per quanto riguarda gli enti gestori, emerge il prepotente ingresso del consorzio siracusano Oasi nella gestione di Trapani Milo, Bologna e Modena, appalto vinto proponendo una diaria molto più bassa delle precedenti (28 euro al giorno per detenuto).

Cpa di Pozzallo (Ragusa)
20 agosto. 70 reclusi appena arrivati da Lampedusa si sono rivoltati contro la minaccia di un imminente rimpatrio. La loro risposta è stata distruggere ogni cosa: videosorveglianza, porte e finestre, suppellettili, uffici, estintori, materiale informatico della polizia, impianto elettrico sradicato e usato come fune per calarsi dal tetto su cui si erano asserragliati. Alla fine, 70 prigionieri riescono a fuggire, 30 vengono ripresi, 14 arrestati. Alcuni poliziotti sono rimasti feriti e diverse aree della struttura sono inagibili.

Ultime dal confine
6 luglio, Tunisia: naufragio a Monastir, 3 morti in mare. Sulla barca erano saliti in 22 e stavano raggiungendo una nave madre al largo, a bordo della quale avrebbero dovuto proseguire la traversata per la Sicilia. Ma la barca si è rovesciata subito dopo essere salpata, e soltanto un tempestivo intervento della guardia costiera tunisina ha evitato una tragedia di maggiore portata. Il bilancio tuttavia è gravissimo. Tre dei passeggeri infatti sono morti annegati prima dell'arrivo dei soccorsi.
10 luglio, Libia. Dopo 15 giorni alla deriva, viene soccorso al largo delle coste tunisine l'unico superstite di un equipaggio partito dalla Libia per Lampedusa. Morti gli altri 54 passeggeri.
12 luglio, Venezia. Ritrovato in un traghetto greco al porto di Venezia il corpo senza vita di un giovane soffocato sotto il camion dove si era nascosto per imbarcarsi nel porto di Igoumenitsta.
4 agosto, Sicilia. In meno di 24 ore la Guardia Costiera ha soccorso, in due distinte operazioni, 184 migranti a bordo di due imbarcazioni in difficoltà al largo delle coste siciliane, in particolare a 12 miglia a sud-est dalla costa di Pozzallo e a 60 da quella di Lampedusa.
9 agosto, Calabria. 160 persone sbarcano al porto di Crotone, molti siriani ma anche afghani e pakistani. I due scafisti sono stati bloccati dalla Guardia di finanza mentre, dopo lo sbarco, tentavano di allontanarsi a bordo di un gommone.

Milano, agosto 2012

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Marsiglia - Aggiornamenti da dentro e fuori il Cie del Canet
Martedì 7 agosto, ore 18: presidio davanti al CIE. La stessa notte, perquisizione generale; per tutta la notte gli sbirri hanno impedito ai detenuti di dormire. Da giorni è vietato portare del cibo per i detenuti, durante i colloqui.
Mercoledì 8 agosto. Un detenuto, che ha fatto un mese di galera a Marsiglia, a causa di due rifiuti di imbarcarsi, torna al centro.
Alla sera, un gruppo di persone si presenta sotto il centro e tira dei fuochi d’artificio, in solidarietà con i detenuti.
Venerdì 10 agosto. Nel centro sono vietati gli accendini. Per accendere le sigarette, i detenuti devono suonare al citofono affinché gli sbirri vengano ad accenderle. Gli sbirri si accorgono che un detenuto nasconde un accendino; glielo confiscano e lo pestano. Il detenuto non si arrende: suona al citofono per mezz’ora senza interruzione, finchè uno sbirro arriva, lo butta a terra, lo schiaccia e gli dice che non gli darà da accendere.
Sabato 11 agosto. Un tunisino che si era già rifiutato di imbarcarsi viene espulso. Per farlo, gli sbirri lo imbavagliano e lo legano con del nastro adesivo. La detenuta che era fra la vita e la morte ha appena subito il trapianto del fegato, è sempre all’ospedale.
Lunedì 13 agosto. Un detenuto che 10 giorni prima ha inghiottito una pila non ha ancora avuto cure mediche. È malato e costretto a letto.
Anche un altro detenuto è malato: deve prendere un trattamento due volte al giorno, ma mattina e sera deve fare casino perché gli diano le sue medicine. Come forma di protesta, beve dei prodotti per le pulizie (candeggina e detergente). Gli sbirri lo pestano, gli danno dei prodotti per farlo vomitare e lo chiudono in isolamento per 8 ore.

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Marsiglia: presidio al tribunale
La sera di mercoledì 8 agosto vengono lanciati dei petardi davanti al CIE (prigione per stranieri senza documenti) del Canet, a Marsiglia. Due persone vengono arrestate. Dopo 40 ore di fermo di polizia, passano davanti al procuratore e al giudice delle libertà. Ne escono con l’obbligo di firma una volta alla settimana e il divieto di avvicinarsi ai CIE. Sono accusati di “aver messo in pericolo altre persone (rischio immediato di morte o di ferimento grave) attraverso la violazione manifestatamene deliberata di una regolamentazione di sicurezza o di prudenza”. Ciò mentre gli stranieri clandestini sono quotidianamente messi in pericolo dalle politiche migratorie: migliaia di morti durante l’attraversamento delle frontiere, repressione poliziesca, retate, pestaggi, sfruttamento, reclusione, etc.
Questo processo ha luogo in un momento di estrema tensione al CIE: pestaggi sistematici, camicie di forza chimiche, rifiuti di imbarcarsi, atti di resistenza individuali o collettivi, presidi, etc. Una detenuta ha sfiorato la morte, lasciata in isolamento, ha dovuto subire un trapianto di fegato in seguito ad un’intossicazione. Aveva già rifiutato due volte di imbarcarsi. Al suo arrivo all’ospedale, il suo corpo era ricoperto di lividi ed i polsi portavano i segni delle manette.
I “colloqui selvaggi” (parlare, gridare, fare rumore, petardi, fuochi d’artificio…) sono una pratica corrente di solidarietà con i detenuti. Se oggi le accuse [nei confronti de* due compagn*, NdT] sono così pesanti, è dovuto alla volontà di fermare la mobilitazione e mettere la pressione su tutti quelli che agiscono contro questo centro.
Sosteniamo i due accusati. Continuiamo questa lotta.
Presidio al tribunale, venerdì 7 settembre alle 8, 30.
20 agosto 2012
da non-fides, in informa-azione.info


lettera dal carcere di cuneo
Da San Vittore al Cerialdo di Cuneo
Due carceri, due regimi (quotidianità) penitenziari che definiscono grosso modo la linea seguita oggi dallo stato, su questo suo importante apparato.
San Vittore è un campo di concentramento, in particolare i suoi V e VI raggio. In quei raggi su ogni piano sono utilizzabili 22-23 celle costruite per portare alla redenzione 2 persone per cella, quindi per contenere in totale 44 persone per piano, 176 per raggio; invece oggi si è in 6 per cella, 150 per piano, 520 per raggio.
Le 20-30 persone arrestate ogni giorno-notte a Milano e provincia in gran parte vengono spinte lì, qualcuna alla sezione giovani-adulti del I raggio. Pochi altri con mandato d'arresto per 416 bis o 270 o sequestro o traffico internazionale di stupefacenti vengono invece portati direttamente ad Opera.
Pure se ne entrano meno di 20, diciamo 18, sono sempre una cifra superiore, ogni mese, a 500 persone. Un buon 80% di esse non è italiana ma proviene da ogni luogo del mondo, in gran parte tuttavia dai paesi del Maghreb o dall'Europa dell'Est.
Dunque in quel carcere dalle celle strette costruite su più piani appositamente per il carcere cellulare, sono ammassate, in una condizione che igienicamente e spazialmente non le contiene, persone che al massimo vi rimangono, la gran parte, tre mesi. Nei loro confronti non c'é alcuna preoccupazione di recupero, il carcere non cerca con loro il rapporto individualizzato per spezzarne la resistenza e riportarli all'ordine. Fa però attenzione con ricatti e agevolazioni ad accattivarsi di volta in volta quei 4-5 prigionieri che vorrà sfruttare come lavoranti, in genere mai italiani se non come scrivani.
L'ammassamento inevitabile, incessante riguarda ogni raggio, dalle celle ai passeggi, dalle docce alle file per la matricola, per l'infermeria, per i colloqui. I passeggi sono il contrario di quel che dovrebbero, al loro interno si può camminare solo con attenzione, lentamente per non urtare ogni altro. A San Vittore insomma è difficile fare la ginnastica, anche perché i cortili sono senza acqua corrente, i cessi sono otturati e infestanti. Nelle celle non c'é spazio che per la pazienza, un sentimento tanto generico da non risolvere nulla, nemmeno lo scoppio della violenza fra concellini, a far dir loro: qui sono finito in una catastrofe. Ciò reso ancor più vero dal sentirsi in mezzo a tanta estraneità e durezza.
La grande maggioranza delle persone dirottate a San Vittore sono arrestate per spaccio, traffico di stupefacenti, ma soprattutto di ridotte quantità. Persone giovani delle quali tante anche desiderose di lavorare, di far denaro per mettere in piedi per esempio un negozio di kebab; ma anche licenziate e costrette a mettere insieme la giornata per la via extralegale. Persone per le quali in Italia, così vuole lo stato, non c'é più posto. Le pene cui vanno incontro stanno tra 8 mesi e 2 anni, comunque più alta che in ogni altro paese europeo. Inoltre a San Vittore non viene venduto nessun giornale estero, non ha luogo nessun collegamento con canali televisivi esteri. Porta chiusa. Tutto ciò unito alla recente legge che permette alle persone qui immigrate di poter scontare la condanna, dagli ultimi due anni in giù, nel paese di origine, chiarisce quanto la linea seguita a San Vittore sia perfettamente compresa nella politica dell'immigrazione voluta dallo stato: intimidire le persone, lasciare loro solo spiragli obbligati per l'abbandono dell'Italia. Su questo trova spazio legale anche la violenza esercitata dalle guardie con mani, piedi per far capire ai prigionieri come funziona lì: che non si può salutare dal passeggio altri che sono in cella, che non si può richiedere-volere ciò che loro non consentono o non hanno voglia di consentire, per esempio recarsi in infermeria, in doccia o altrove; che non si può insistere su quello che loro dicono non ci sia, per esempio la lampadina della cella.
Nei 5 mesi che sono rimasto lì, proprio al VI piano terra, mi sono reso conto che la dittatura fra C.I.E. E carceri come San Vittore e Le Vallette va meglio considerata per rendere più concreta la possibilità di smantellare i C.I.E. stessi. In fondo, nelle grandi carceri giudiziarie metropolitane tante persone immigrate sono lì per la stessa causa per la quale possono essere portate nei C.I.E.: la mancanza del permesso di soggiorno. Lì ci sono perché oltre a quello che è chiamato reato di clandestinità sono “colpevoli” di spaccio o altro. Chi si rivolta in un C.I.E. viene trasferito in quelle carceri, non il contrario. Chi immigrat* si ribella alla miseria e occupa per esempio un alloggio, o espropria, o manifesta senza autorizzazione... finisce in quelle carceri.
Per rafforzare, unire le potenzialità della popolazione immigrata alle lotte generali contro lo sfruttamento, le discriminazioni esistenti nel rapporto di lavoro, nella possibilità di trovar casa, scuola, asilo bisogna stare con loro nei quartieri, conoscerne le condizioni reali. Lì si scopre la cappa del grande carcere giudiziario e si riesce a trovare la strada per ribaltarne le pestifere condizioni e, chissà mai, giungere a realizzare liberazioni o renderle possibili. Non penso, in conclusione, che il C.I.E. non sia importante nella catena statale del controllo, della discriminazione, della divisione; penso piuttosto che il grande carcere giudiziario annulla in gran parte la funzione di un C.I.E., l'iniziativa contro di esso è più facilmente percepibile da chi vive nei quartieri.

Luglio 2012

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Il Cerialdo
Il nome viene dalla zona di Cuneo che si trova a nord della città. Qui intorno al 1970 iniziarono i lavori per la costruzione di un carcere, la cui effettiva edificazione riprese nel '76 e si concluse l'anno successivo. Queste notizie le ho apprese nella carcerazione precedente iniziata (1974) proprio nel vecchio carcere in città a Cuneo, ricavato circa 80 anni prima da un convento.
Il Cerialdo mezzo costruito allora era abitato da sinti e rom.
Nel 1977 quando al generale Dalla Chiesa venne dato il compito di adeguare le carceri a sopprimere le rivolte interne, a colpire chi fuori aveva iniziato a dar vita alla lotta armata, il carcere di Cuneo fu tra quelli prescelti per assolvere a quei compiti. In quelle carceri, in un primo tempo Trani, Termini Imerese, Fossombrone (Pesaro), l'isola dell'Asinara (Porto Torres, Sassari), Novara e Cuneo, vennero ricavate sezioni in cui era annullata la possibilità di ricevere i 45 giorni di liberazione ogni anno, ogni attività culturale, la censura sulla posta, il vetro divisorio ai colloqui.
L'art. dell'ordinamento penitenziario applicato che prevedeva tutto ciò si chiamava art. 90. In quelle sezioni il generale assieme al ministero delle carceri decise di portarci tutti i compagni arrestati fuori, i compagni cresciuti nelle rivolte, i ribelli. Così ci trovammo circa in più di mille messi sotto stretto controllo, limitati negli spazi, nella socialità, in quelle sezioni o carceri definite “speciali”.
Le carceri speciali non erano uguali nelle loro funzioni, la quotidianità aveva qua e là delle diversità volute. Ad esempio all'Asinara era impensabile giocare a calcio nei passeggi, impossibile avere con sé più cambi vestiario, mentre a Cuneo era possibile... Allora chi era a Cuneo, sempre per esempio nella testa del ministero, poteva essere condizionato-ricattato: il carcere può darti delle cose, delle agevolazioni ma tu devi cedere parti della tua militanza. La possibilità era visibile, il personale, guardie e loro direzione, attento a coglierne ogni segno. Me ne accorsi quando venni portato qui a Cuneo nel 1982 dove rimasi fino al 1992 in quella sezione dove dal 1992 ne é stata ricavata una a regime 41-bis.
Tornato qui adesso, una continuità con quel tempo l'ho ritrovata, rinnovata dalla presenza del 41-bis, nell'ossessione, per esempio, di rendere impossibile lo scambio di libri fra noi in aula del tribunale, le difficoltà per portare la biro nella gabbia di quell'aula. Come anche nella limitazione delle cose che puoi tenere in cella: loro registrano tutto ciò che ognuno si porta dietro affinché non superi le quantità da loro fissate, per esempio 3 paia di pantaloni, 1 giubbotto... Prima di consegnarti un libro arrivato per pacco o colloquio, ne registrano il titolo e segnalano la presenza di dediche o altro. Il tutto senza ruvidezza ma con precisione, pure nella registrazione di nome ed indirizzo di chi ha compiuto la spedizione. Inutile dire che tutto questo è difficile incontrarlo in altre carceri, men che meno a San Vittore.
Quel che è stato per me estremamente sorprendente però è la quotidianità, l'ambiente materiale che hanno preso forma e sostanza in un nuovo padiglione interno al Cerialdo dove la sezione del giudiziario è stata chiusa ed è lì abbandonata. Il nuovo padiglione, aperto l'anno scorso, comprende 4 piani, 18 celle ciascuno da 4 posti (72 x 4 = 288 posti), con l'attenzione a non affollare, a lasciare vuota qualche cella. Sono rimasto 6 giorni, il tempo di capire poco una delle sperimentazioni del ministero. Un'eguale sezione, mi spiegava Juan, è in funzione a Trento, condotta con le medesime regole. L'edificio non è un blocco di cementazzo come Opera o Le Vallette, somiglia anzi ad una scuola del Corvetto [quartiere popolare di Milano, NdR], così come gli interni, atrii di ingresso, scale, corridoi. Le celle sono pavimentate, piastrellate: c'é un angolo cucina con il lavabo lungo, acqua calda e fredda, un bagno con doccia; la finestra, seppur sbarrata anche con una lastra di ferro forata, è un rettangolo i cui lati lunghi sono messi in orizzontale e a portata di gomiti quando si è seduti. Niente a che vedere con la cella buia, pestilente, somiglia ad un monolocale di edilizia popolare. Qui il cambio lenzuola è una volta alla settimana, a San Vittore una volta al mese.
Esclusa la cella, tutti gli spazi, passeggio compreso, sono controllati da telecamere a 360 gradi le cui registrazioni convergono nella sala comando di ogni piano dove una guardia guarda tutto attraverso i relativi monitor. In questa ci sono anche i comandi per aprire le porte delle celle. Quando un prigioniero, per esempio, deve/vuole andare all'aria, la guardia dalla cabina chiama la cella, quindi in ogni cella c'é un microfono mediante il quale si riceve il segnale di comunicare la decisione di scendere all'aria. All'orario stabilito la porta viene aperta dalla cabina e deve essere richiusa, così la “regola”, non imposta, fatta passare dalle guardie per un'ovvietà.
Non mi ero mai trovato in una condizione in cui non potevo considerare la cella la mia tana, il luogo nostro più sicuro nel carcere. Mi sono come sentito dentro un appartamento in affitto, a me estraneo. Non è un'ovvietà, non chiudersi la porta dietro comporta le diffide, poi il rapporto e infine l'isolamento. L'intera memoria del controllo, dei ricatti, delle concessioni in cambio di... trova in questo santuario di implacabile automatismi e occhi ed orecchi elettronici, nella stessa ventennale presenza della sezione 41-bis (con le celle per il processo in videoconferenza, i colloqui separati dal vetro e chissà che altro), una ridefinizione allargata e di attacco. Mette sin dall'inizio difficoltà alla socialità anche spicciola fra prigionieri, assieme alla coscienza ribelle. Sia chiaro tutto non è cos' piatto; pochi giorni prima che arrivassi un piano per alcuni ha fatto lo “sciopero del carrello” per l'amnistia.
Possono essere considerate le carceri del futuro, sui tetti dell'edificio sono montati dei pannelli fotovoltaici. Una rivolta che si concluda sui tetti qui è totalmente esclusa.
In queste carceri, dove anche il cibo e la sua distribuzione come qualità – inimmaginabili a San Vittore – poco hanno da invidiare ad un ospedale, l'aggressione all'autodeterminazione, alla capacità di pensare e agire dei prigionieri è andata avanti. La violenza del carcere mirata a cambiare la testa a chi ci finisce dentro, a conformarlo così all'ordine statale, trova nel carcere automatizzato, lindo, probabilmente imparato dagli USA, uno scatto rabbioso. Penso che sarà necessario essere pronti a muoversi contro punizioni, isolamento messi in campo per colpire gesti di protesta; ma la lotta all'isolamento separata da quella contro il 41-bis e in generale dalla differenziazione dei prigionieri in “circuiti”, ecc., perde ogni senso. Oltre a ciò abbiamo bisogno di un riferimento di liberazione generale che potrebbe essere l'amnistia generalizzata senza altri intrugli, come dicono in Francia, “l'amnistie plénière”.
Infine due righe sulla sezione del 41-bis. La guardo da neanche tanto lontano. Alle finestre delle celle singole, una trentina in ognuno dei tre piani, sono state applicate delle bocche di lupo di plastica con un'apertura di 5 cm alla base e 15 cm alla parte superiore. Per esperienza posso dire che in quelle celle non entra aria sufficiente per riempire i polmoni e svuotarli per la ginnastica, nemmeno per la pulizia del pavimento. Molto più ariose quelle abbattute dalle rivolte del 1969-1972 che conquistarono anche l'abbattimento di questo mezzo di tortura.
Le ore d'aria sono 2, striminzite, una al mattino, l'altra di primo pomeriggio. I prigionieri, non più di 100, si incontrano solo all'aria, al massimo in 5 in passeggi inevitabilmente impediti alla ginnastica.
La sala per seguire il processo “a distanza” è stata ricavata nelle salette dove un tempo si svolgeva la socialità, così il posto del telefono.
Dunque il prigioniero non esce dalla sezione, dal piano, se non una volta al mese per recarsi al colloquio separato dal vetro, la stessa adoperata al tempo della sezione speciale. I prigionieri ogni mattino presto, quando sono all'aria, nel tardo pomeriggio, si salutano chiamandosi amichevolmente l'un l'altro. Il presidio di luglio sotto il carcere molti al 41-bis lo hanno salutato con fischi acuti.

Agosto 2012
Maurizio Ferrari, via Roncata, 75 – 12100 Cuneo


Resoconto assemblea contro il regime del 41-bis
Mercoledì 11 luglio a Parma c’è stato l’incontro tra alcuni compagni per discutere la proposta e la possibilità di costruire un iniziativa contro il regime di 41 bis ed il carcere, a Parma. Erano presenti diversi compagni/e appartenenti dell'assemblea di lotta “Uniti contro la repressione” Modena, Bologna, crema, Milano, Padova) oltre a diverse realtà di Parma, come Raf, Insurgen city e Carc.
Come prima cosa è stata presentata l'assemblea, poi si è parlato della volontà di rilanciare il percorso di lotta contro 41 bis e carcere e di sviluppare iniziative in solidarietà ai prigionieri rivoluzionari. In particolare, per quanto riguarda la proposta di una mobilitazione a Parma, si è discusso della possibilità di costruire insieme un'iniziativa come un corteo o un presidio (da valutare) sotto al carcere di via Burla.
Dal dibattito è emerso che si vuole privilegiare il percorso di costruzione di questa mobilitazione, sia a livello nazionale che a livello locale delle singole realtà interessate. La proposta è stata accolta con grande interesse. I compagni di Parma si sono riservati di parlarne in maniera più approfondita tra loro e di coinvolgere eventualmente altre realtà cittadine interessate, per poter così costruire insieme un percorso in città precedente all'iniziativa. Visti i tempi e la mole di lavoro, per la mobilitazione si è pensato indicativamente alla primavera prossima, come possibile data. Se ne riparlerà comunque all'assemblea a Padova il 22 settembre, a cui sono stati invitati i compagni di Parma. Quest’ultimi ci hanno invitato a partecipare, a metà settembre, ad una due giorni antifascista con un banchetto informativo.

luglio 2012
lettere dal carcere di San Vittore (mi)
Cari compagni/e, Ho ricevuto oggi l'opuscolo n° 70, e volevo avvisarvi, visto che il mese scorso non vi ho scritto, che ho ricevuto anche il n° 69. Allora ho saputo di Mau che non si trova più qui a San Vittore, ma si trova a Cuneo, so che gli censurano la posta, insomma si sono proprio accaniti su di lui. Ma Mau è Mau. Non mollerà mai e so anche che sicuramente non gli farete mancare la vostra solidarietà e vicinanza. Come non ce la fate mancare a noi.
Sabato 30 vi abbiamo sentito e ci siamo fatti sentire anche noi. Da allora non si è fatta più nessuna battitura eppure la situazione non è cambiata di una virgola.
Come immagino sappiate, Pannella ha indetto sti quattro o cinque giorni di protesta per l'amnistia ed il sovraffollamento. È iniziata ieri, il 18, e finirà il 22. La protesta consiste in battiture, che si erano programmate dalle 18.00 alle 20.00, ma che si ripetono spontaneamente durante tutta la giornata; poi si fa lo sciopero del carrello, cioè non si accetta il cibo della casanza e si mangia solo quello che ti arriva da fuori o che acquisti con la spesa. Per le celle che non hanno la possibilità di fare la spesa, e che non hanno colloqui, i lavoranti sono passati, cella per cella, per procurargli qualcosa da mangiare. Io personalmente partecipo a questa forma di protesta ma con qualche riserva. Innanzi tutto non deve essere un parlamentare, che se ne sta bello e beato fuori di qua, a decidere quando si deve protestare; qua c'è da fare casino ogni giorno. Poi non sono d'accordo con lo sciopero del carrello: se proprio vuoi fare un danno all'amministrazione carceraria oltre allo sciopero del carrello andava fatto anche lo sciopero della spesa.
Va beh, tanto non cambierà niente neanche stavolta. A me intanto mi hanno spostato al terzo raggio, al secondo piano, in attesa che mi trasferiscano alla "nave". Sono in mezzo a detenuti imbottiti di farmaci e giusto ieri ho assistito ad un pestaggio di una guardia, con altri quattro, ad un detenuto che mi sembrava strafatto.
Ora vi saluto.

19 luglio 2012
Adamo D'Aulisa, p.zza Filangeri, 2 - 20123 Milano

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Ciao cari amici e compagni di Ampi Orizzonti, innanzi tutto voglio ringraziarvi per l'opuscolo n.70 di giugno anche per il sostegno e per tutto ciò che fate per noi...
Cari vi scrivo per raccontare due cose che mi hanno deluso, la prima è che da due mesi non possiamo comperare due bombolette di gas, siamo costretti a comperarne solo una, se come tutte le celle non siamo ricchi ci sono celle che hanno uno o due che fanno la spesa e quattro che non hanno soldi. Poi per cenare ne servono ogni giorno due; fra una spesa e l'altra passano tre o quattro giorni, noi che facciamo ramadan con due non ce la facciamo quattro giorni. Va bene solo per un giorno poi tre giorni di sofferenza.
Spero che non duri tanto questa ingiustizia...
La seconda riguarda i giudici: sono arroganti, sono il braccio dello stato e uno stato come questo è il vero criminale. I giudici non ascoltano, non sentono i nostri dolori, spesso non guardano neanche in faccia e non conoscono le persone che devono giudicare; ti sbattono in carcere senza farsi scrupoli. Tanto loro sono sempre ben pagati e hanno, o cercano di farsi, una bella reputazione. Più ci penso e più mi viene rabbia!
Per me e migliaia di persone che subiscono questa giustizia fatta male (famigliari e amici). Dico questo con umiltà perché il giorno 4 luglio era nato il mio secondo figlio, era un taglio programmato, dall'ospedale hanno mandato il fax al carcere, dopo di che avevo presentato una richiesta di un permesso per andare all'ospedale ma è successo che mi hanno respinto la richiesta...
Cordiali saluti, grazie di cuore a tutti perché siete ricchi e belli dentro, alla prossima.

23 luglio 2012
El Harda Abdelkhalak, piazza Filangeri, 2 - 20123 Milano

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Le rivendicazioni delle proteste attuate in questi ultimi mesi a San Vittore rivendicano : l’acqua nei passeggi; l’attivazione e disinfettazione dei gabinetti dei passeggi; la separazione dell’ora d’aria dall’ora della doccia; di essere meno di quattro persone per ogni cella; il cambio lenzuola da mensile a quindicinale; l’igiene nella distribuzione del vitto soprattutto della colazione; l’amnistia ampia per tutti; contro le continue violenze inflitte dalle guardie.


lettera dal carcere di Velletri (rm)
Carissimi/e compas, eccomi qui nuovamente in proseguo alla precedente, salutandovi e ringraziandovi perché mi siete sempre vicino, chi con un'amicizia epistolare, un pacco libri o un vaglia frutto di una colletta; la vostra presenza c'è e rende la mia prigionia meno dura.
Per quanto riguarda il fronte carceri, nella fattispecie Velletri, ci sono delle novità.
Innanzitutto si sta organizzando uno sciopero della fame di quattro giorni per il 18 luglio. E’ un'iniziativa congiunta ad altri istituti e promossa dai Radicali; sciopereremo anche per la spesa e carrello vitto. Io sono però il solito pessimista, considerato che dalla spesa si è volutamente omesso caffè, zucchero e tabacchi, la dice lunga sull'effettiva mancanza di coscienza delle proprie forze. Dubito che i detenuti possano resistere quattro giorni senza cibo, anzi, ne ho la certezza, i precedenti poi non smentiscono considerando poi che tabacco, cibo e televisione sono l'oppio su cui si regge tutto il sistema carcerario... forse ho dimenticato gli psicofarmaci. Staremo a vedere.
A tal proposito sono tornate utili le lettere che mi giungono da alcuni compagni; venivo, infatti, informato delle varie iniziative negli altri istituti come San Vittore e Cremona, i detenuti di Velletri mi chiedono tutte le informazioni possibili. Metto in rilievo, inoltre, l'importanza dell'opuscolo senza il quale vivremmo nella più totale censura.
Ho letto il testo autobiografico di Claudio Lavazza, molto bello, ho ricercato il suo indirizzo anche in "Solidarietà" ma non l'ho trovato.
Rifacendomi a ciò che vi comunicavo nella precedente, alle ore lavorative decurtate dalla direzione istituto per mancanza fondi, stamane alla mia cella è venuto a piangere lo scrivano (quello paraculo che ha sempre remato contro le istanze collettive dei detenuti), mi pregava di comunicarvi quanto aveva guadagnato.
Non certo per ragioni umanitarie (vada a farsi fottere), vi invio la lista stipendi lavorativi definitivi, giugno 2012: scrivano € 25 (€ 190 giugno 2011); jolly € 25; portavitto € 40; spesino € 65 (€ 350 giugno 2011), buon lavoro a tutti! [...]
Vabbè, tutto qui. Vi voglio bene e vi abbraccio calorosamente. Un abbraccio fraterno.

giugno 2012
Andrea Orlando, via C. Leone 97 – 0049 Velletri

lettera dal carcere di Vicenza
Care compagne e compagni, tenevo ad informarvi innanzitutto sul ricevimento del vostro opuscolo "69 maggio 2012". Ero detenuto a San Vittore quando ne ho fatto richiesta (dietro consiglio di un altro detenuto "No Tav", Maurizio) ma mio malgrado, il 20 aprile, sono stato trasferito, essendo "definitivo", al c.c. di Vicenza "Pio X".
Devo dire che prima non vi conoscevo e oggi non posso farvi che i miei complimenti per l'impegno ed il messaggio che diffondete. L'opuscolo mi è stato recapitato qui a Vicenza (senza problemi o censure) e sinceramente l'ho letto con molto interesse ed attenzione. Voglio mettervi al corrente del fatto che anche qui, le condizioni dei detenuti sono inumane come nella maggior parte dei luoghi di pena italiani.
Per riuscire a mandare un messaggio all'esterno ci siamo riuniti (quei pochi compagni) e abbiamo indetto uno sciopero della fame (che si riduce al rifiuto di mangiare la sbobba che ci passa l'amministrazione penitenziaria) per i giorni 18, 19, 20 e 21 luglio, poiché in quei giorni il prof. Puggiotto, docente di diritto dell'università di Ferrara, presenterà al presidente Napolitano, relazione sullo stato delle carceri e detenuti. Mando a voi, a titolo informativo, il testo della protesta.

20 luglio 2012
Nicola Demuro, via Della Scola, 150 - 36100 Vicenza

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È ormai trascorso un anno da quando il presidente Napolitano ha dichiarato la "prepotente urgenza" con cui deve essere affrontata la condizione delle carceri "che ci umilia di fronte alla comunità internazionale" uno stato di illegalità più volte sanzionato dalla "corte europea" e contrario al dettato costituzionale che, all'art. 27, prevede che "le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tenere alla rieducazione del condannato".
L'attuale situazione delle carceri, a causa del sovraffollamento, costringe "detenuti" e "personale di polizia penitenziaria" a subire condizioni di vita disumane e degradanti senza che il parlamento affronti "il problema". Per queste ed altre ragioni i detenuti della casa circondariale di "Vicenza Pio X" aderiscono allo sciopero della fame indetto dalle associazioni di volontariato, sindacali e Radicali Italiani per i giorni 18, 19, 20 e 21 luglio 2012, affinché il parlamento adotti con "prepotente urgenza" le misure necessarie per fronteggiare "l'emergenza carceri" con provvedimenti straordinari quali amnistia e indulto, che servano da traino per una seria "riforma della giustizia".
Non è prevista nessuna "battitura" o "manifestazione violenta", bensì un assordante silenzio di riflessione. Negli stessi giorni verrà consegnata al presidente, Giorgio Napolitano, la relazione del prof. Ruggiotto, docente di diritto dell'università di Ferrara, sottoscritta da più di 100 giuristi e costituzionalisti, quale documento di base per l'applicazione di amnistia, indulto e riforma della giustizia.

I detenuti di Vicenza
Vicenza, 11 luglio 2012

NB: Il testo è correlato delle firme della quasi totalità dei detenuti delle 4 sezioni.
Una copia del suddetto sarà inoltrata alla direzione del carcere.
No all'isolamento!!

lettera dal carcere di Opera (milano)
[...] Ogni volta che ho mandato la cartolina ho ricevuto quel numero così questo (67) marzo. E come vedi mi viene dato in ritardo, non so il perché. Ora non ti posso dire se ho ricevuto quelli di gennaio e febbraio, che quando li leggo li metto in biblioteca, e vengono presi da altri compagni.
Sono due mesi che sono stato declassificato. E devo fare sei mesi di osservazione, per essere definitivo declassificato. Non posso più lavorare al computer.
Ma sono stato messo alla MOF come imbianchino ma c'è poco lavoro.
Il centro clinico qui, dicono che funziona abbastanza bene, tutti i giorni vanno a fare i controlli. Ma dalla mia finestra della cella lo vedo e non c'è mese che non vedo la macchina nera che entra, tutta scura, che a mio parere è funebre.
Non so dirti quanto personale c'è. Io ci vado una volta all'anno per fare i controlli (le lastre ai polmoni) purtroppo fumo, sono alla norma. Qui dove mi trovo, il medico viene, le infermiere/i sono tutti stranieri.
Ma ti posso dire due cose che so, la prima è che una persona che lavorava con me come imbianchino, è uscito, ha fatto dei controlli, gli hanno salvato la vita. Lui aveva dei disturbi ma i controlli che gli facevano dicevano che non era niente di grave. L'altro stava male, gli usciva anche il sangue dal naso, ma qui niente. È andato a Palermo per un processo e li si sono accorti che aveva un male al cervello, alla fine lo hanno fatto uscire, dopo una settimana è morto. Qui non si erano fatti i controlli.
Una cosa è certa, muoiono molte persone, per malattie, e qualcuno si è impiccato, da quando sto qui, quasi sette anni, sono morte quindici persone. Ma solo che non viene data la notizia. Qui l'unica cosa ottimale, che in cella si sta in due ma per il resto è zero, questo è un mio parere.
Ci sono sezioni che fanno sciopero e altre no. Non si è più uniti come una volta. Anche se io penso che gli scioperi della fame (finta fame) non servono a nulla. Gli scioperi che non creano problemi, a loro, non interessano. Ma se sarebbe uno sciopero vero della fame sarebbe veramente diverso. O fermare tutti i lavori, e le scuole, o altre cose, li darebbe fastidio, ma so pure che è una teoria tutto questo. Si deve arrivare allo stremo, ma non qui ma nei posti dove sono cinque o dieci persone in una cella. Ma un carcere solo non basta, ma se la farebbero tutti i carceri grandi allora la cosa cambierebbe molto.
Le cose sono cambiate, non si vuole perdere i 90 giorni oppure i permessi oppure si viene trasferiti più lontani ecc. ecc.
Quello che ho ottenuto con le mie lotte da solo, è stare in cella da solo, solo quello. Ora c'è la possibilità di iniziare il prossimo anno ad uscire qualche volta in permesso se le cose vanno bene.
Ma sono sempre io, non mi sono piegato in 33 anni fatti in carcere, e non lo farò mai, se avrò la possibilità si uscire bene, se non l'avrò rimango sempre lo stesso, potete mettere anche sull'opuscolo con lettera firmata. Per il resto si cerca di vivere.
Ho mandato una cartolina a Maurizio F. ma non ho ricevuto risposta.
Un saluto a tutti gli amici di Ampi Orizzonti. Buon pomeriggio; un caro abbraccio; ciao.

20 luglio 2012
Antonio Cianci, via Campolongo, 40 - 20090 Opera


lettera dal carcere pagliarelli di palermo
Ciao. Un saluto a te e a tutte le compagne e i compagni. Ho ricevuto l'opuscolo e leggendo vedo che c'è sbando totale nelle carceri italiane. Anche qui dove sono io c'è tanta schifezza. Quelli che sono le più alte cariche qui non ti danno niente ma ti rubano tutto quello che gli capita sotto le mani. Adesso qui vendono il tabacco “hold holburn” per 7,20 al pacco. In altre parti in Italia costa non più di 4 euro. Io mi sono lamentato; ho scritto due lettere al direttore del carcere e ho protestato contro questo furto di stato ma come sempre il “signore” non mi ha risposto. Qui se ti lamenti contro loro, non sei buono.
Le carceri italiane sono davvero uno schifo. Qui ci vuole una rivolta, bruciare tutto e poi loro vermi del DAP quando sono costretti si muovono.
Io come sempre vivo qui dentro in assoluta povertà come gli altri 99% dei detenuti. Qui dentro è brutto per gli italiani e gli stranieri che non hanno nessuno da fuori per aiutarli. Qui dentro a volte è difficile trovare anche solo un francobollo. Per le altre cose è tutto sempre uguale, io aspetto risposta per l'estradizione ma non arriva mai. Se sei povero e senza un avvocato di fiducia è tutto molto difficile, è meglio fidarsi dei coccodrilli che del ministro di “giustizia”. Spero che questa lettera vi trovi tutti in buona salute.
Saluto tutti voi compagne e compagni.

22 luglio 2012
Jasmir Sabanovic, via Bachelet 32 - 90127 Palermo


lettera dal carcere di rebibbia (roma)
Oggi, 20 Agosto 2012, apprendiamo dello stato di detenzione di Salvatore Gugliara nel carcere di Rebibbia- Roma, dove si trova dalla prima settimana di Agosto a causa di un residuo pena di 10 mesi da scontare; contestualmente veniamo a conoscenza della sua iniziativa individuale di intraprendere uno sciopero della fame le cui motivazioni vengono espresse nello scritto che di seguito pubblichiamo. Le notizie da dentro ci fanno intendere che fino ad ora non vi siano altri detenuti che si sono mobilitati insieme a Salvatore, che invece, a dieci giorni dal suo inizio, continua lo sciopero della fame. A presto aggiornamenti. Alcune/i solidali.

Il sottoscritto Salvatore Gugliara, attualmente ristretto nel carcere di Rebibbia, nel pieno possesso delle mie facoltà mentali, dichiaro di avere iniziato a partire dalla data di oggi uno sciopero della fame ad oltranza per denunciare le condizioni di detenzione e la reiterata violazione dello stesso regolamento penitenziario in questo istituto e, più in generale, negli altri istituti di pena italiani. In specie, per quanto riguarda Rebibbia intendo denunciare con tale forma di protesta estrema il sovraffollamento, le condizioni igieniche, l'utilizzo di spazi di socialità come celle, i ritardi nell'assistenza sanitaria di prima emergenza specie nelle ore notturne, la riduzione delle ore d'aria.
NON UN PASSO INDIETRO FINO ALLA VITTORIA!
AMNISTIA GENERALIZZATA PER TUTTI I DETENUTI!

Carcere di Rebibbia, 11 agosto 2012
Salvatore Gugliara, via Bartolo Longo 82 - 00156 Roma

23 agosto 2012
da informa-azione.info


lettera-documento dal carcere “le vallette” di torino
I prigionieri della XII Sezione Blocco 3, vogliono segnalare con questo documento, i disagi che rendono difficili le condizioni già di per sé invivibili all'interno dell'istituto del Carcere de Le Vallette. Ci premuriamo di indicare la mancanza di qualità e l'insufficiente quantità del vitto. A tutelare gli interessi dei prigionieri é preposta una Commissione degli stessi come organo di controllo. Quest'organo di controllo però, agisce male o peggio non agisce affatto a tutela dei prigionieri. Arriviamo a questa conclusione in quanto nonostante le reiterate proteste, nulla é stato fatto per rendere il vitto migliore.
Facciamo inoltre presente che i prezzi del sopravvitto sono troppo alti anche a fronte di una situazione economica non facile per le famiglie che ci aspettano e sostengono. Generi di prima necessità come quelli alimentari costano di più rispetto ai prezzi correnti al di fuori del carcere. Stando al D.P.R. 230 del 30 Giugno 2000, i prezzi del sopravvitto devono essere corrispondenti a quelli dell'area commerciale più vicina al carcere. Ci chiediamo allora come sia possibile che dall'oggi al domani un genere necessario come la carta igienica, passi da Euro 1,39 a euro 2,85 e per poi attestarsi a Euro 1,93 solo dopo svariate proteste? Rincaro inspiegabile e inammissibile a fronte di qualità e quantità della merce rimaste invariate.
Il terzo punto riguarda la mancanza delle più elementari forme di agibilità nei luoghi vissuti collettivamente dai prigionieri. Ci riferiamo in particolare ai passeggi che non dispongono di acqua corrente e di bagni funzionanti, da anni ormai. Vogliamo quindi l'immediato ripristino dell'acqua corrente e dei bagni in tutti i locali adibiti al passeggio all'aria dei prigionieri.
La XII Sezione inoltre ritiene opportuno, data l'eccessiva calura, di usufruire di una doccia supplementare giornaliera. Chiediamo che le nostre richieste vengano valutate e ci sia data risposta entro e non oltre una settimana.

Luglio 2012
I Prigionieri della XII Sezione, Blocco 3

***
Apprendiamo che Alessio Del Sordo, in carcere per l'operazione repressiva contro il movimento No Tav del 26 gennaio 2012, è stato trasferito dal carcere di Torino presso il carcere di Prato. Per il momento non conosciamo ancora le motivazioni alle quali si sono appigliati i ragionieri delle pene e dei supplizi per giustificare il suo trasferimento e rispetto a questo seguiranno aggiornamenti. Per scrivere e fare sentire la propria solidarietà al compagno:

Alessio Del Sordo, C.C. via La Montagnola 76 - 59100 Prato

Dalle parole di Alessio, da due lettere di luglio, si può capire che il suo trasferimento, come quello di altri priginieri avvenuto negli ultimi mesi, è certamente un’azione di rappresaglia dovuta alle proteste e alle rivendicazioni portate avanti all’interno del carcere di Torino.

[…] stamattina la totalità della XII sezione ha deciso di non risalire dal passeggio per protestare e per ottenere una doccia supplementare data la calura eccessiva. Dopo aver rifiutato più volte di risalire e di andare solo in due a parlare con l'ispettore di turno. Dopo un'oretta e mezza abbiamo accosentito ad andare in cinque mentre gli altri ci aspettavano all'aria. Abbiamo detto come la pensiamo sull'insostenibile situazione in cui ci troviamo. Ovviamente la guardia ha cercato di impapocchiarci di chiacchere. Non abbiamo ottenuto nulla tranne di parlare con il Direttore. Abbiamo fatto un documento firmato da tutta la Sezione. Niente di rivoluzionario, ma comunque é la prima volta che tutta la Sezione si muove così compatta. […] Intanto un paio d'ore d'aria conquistate solo con un po' di decisione e determinazione collettiva fanno bene al morale di tutti. […]

***
[…] Qui le cose continuano, per ora stiamo in sciopero del carrello, e facciamo tre battiture giornaliere organizzate, aderendo così ad una iniziativa in tutte le carceri italiane. So che aderiscono completamente a Fossano, Saluzzo e S. Maria Capua Vetere, grazie alla corrispondenza con altri prigionieri.
Discutendone siamo tutti consapevoli qui che sciopero del carrello e battiture non servono ad una ceppa. Per iniziare a rompere i coglioni per bene sarebbe buono cominciare con lo sciopero della spesa, lo sciopero totale dei lavoranti, e lo sciopero dei colloqui con gli avvocati. Questo solo per parlare di iniziative tranquille, perché a fare a pezzi una sezione, non ci vuole nulla. Bloccare la rete fognaria, e manomettere i tubi caldaia e i pannelli elettrici tra una cella e l'altra é un gioco da ragazzi. Se solo volessimo noi carcerati potremmo radere le sezioni.
Il problema rimane la diffusa paura ad utilizzare pratiche spicce. Un po' per i fottuti rapporti che non permettono di accedere alla scarcerazione anticipata, un po' perché chi ha famiglia, non vuole essere trasferito lontano da casa. Continuo a sostenere che l'arma del trasferimento sia la migliore in mano al D.A.P.
Comunque ho il mio daffare quotidiano a martellare i miei compagni di carcere sulla necessità di essere incisivi, altrimenti stiamo a pisciare la paglia. Non é facile, ma non mollo anche perché non volevano, le guardie, farci passare con una coperta, all'aria. Ci serviva per giocare a carte. Dopo l'ennesima risposta negativa, ci siamo messi spontaneamente a far casino in sezione. Coperta stesa immediatamente all'aria. E ancora non avevo preso il caffé (oramai vado giù in un altra sezione a fare colazione, ovvero la mia scodella di caffè amaro). Cominciassimo tutte le mattine cosi' sarebbe buono.
La cosa più faticosa é discutere continuamente di cose per me assodate da tempo ma che molti non hanno mai sentito. In più ogni nuovo arrivo in sezione deve essere ragguagliato su quel che é stato fatto finora e si deve capire che tipo é. Intanto si é riformato un altro bel gruppo e credo che ricominceranno gli sballamenti. L'andazzo é questo, cercano di bloccare sul nascere la conflittualità, ma più i mesi passano più l'esperienza si accumula. […]

Carcere di Torino, 22 luglio 2012


lettera dal carcere di Pöschwies-Regensdorf (svizzera)
Sulla morte di Samuel Luis Nicola, 31 anni
La notizia è girata tra i più alla pausa delle 9.00 “El Faraon”, come era meglio conosciuto, è morto. Subito l'incredulità, seguita pure dalla rabbia, e molta, perchè da subito è chiaro a tutti che Luis “non è morto”, ma è stato lasciato morire!
Da una settimana lamentava dolori alla pancia, ma come sempre avviene, alla visita medica è stato trattato con la solita sufficenza. Da qualche giorno non mangiava, non riusciva nemmeno a bere, diceva. Poi giovedi 9 agosto si è sentito male, tanto che un altro detenuto lo ha dovuto accompagnare sin in infermeria. Qui ancora una volta, quello che il dottore si è limitato a fare è rifilargli una medicina e rispedirlo in cella. Che stava male era chiaro, glielo si leggeva in faccia. Giovedi notte nuovamente si sente male, I suoi vicini di cella lo sentono chiamare il soccorso e dire che si sente morire. Nella notte chiama la guardia notturna dalla cella, chiedendo soccorso. Come risposta riceve che deve aspettare la mattina seguente. La mattina seguente lo trovano morto nella cella.
El Faraon era un ragazzo in forma, non fumava, non si drogava e nemmeno mangiava carne. Da una settimana lamentava dolori alla pancia. Era un ragazzo allegro, di quelli con la battuta sempre pronta ed un sorriso. Dal 2010 era rinchiuso a Regensdorf dove giovedi la pena è stata tramutata in una sentenza di morte dai suoi carcerieri.
Il giorno seguente il comportamento dei secondini è stato come se nulla fosse successo, e purtroppo pure questa è stata la reazione di diversi detenuti. La direzione ha fatto appendere nelle sezioni un annuncio funebre dove insieme all'ipocrita dispiacere, annuncia che ci sarà un'autopsia ed un'indagine della procura per stabilire le cause della morte, ovvero quello che si annuncia già da subito come un tentativo di far ricadere le cause di morte su Luis stesso. Qui è invece chiaro il perchè Luis è morto: gli è stato rifiutato soccorso, è stato lasciato morire.
Da questa parte del muro non si è cosi ingenui da non sapere che anche in caso di indagine, le istituzioni si spalleggiano volentieri.
Da parte dei detenuti, specialmente di quelli più vicini ed amici di Luis, ma non solo, ci si è trovati a parlare e discutere dell'accaduto e di come rispondere. Che quanto è successo a El Faraon non è un incidente ma una situazione in cui tutti ci si potrebbe trovare da un momento all'altro, è qualcosa di cui si ha coscienza. Non è d'altronde la prima volta che avviene una situazione del genere. Quello che qua dentro più è emerso è la volontà che questo fatto esca fuori da qui, che produca delle conseguenze e non, come in tutte le altre occasioni di condanna a morte per sentenza delle guardie, passi come una fatalità, l'ennesima. Per questo si chiede diffusione della notizia e vigilanza che questa morte non venga ancora una volta insabbiata e dimenticata, lasciata all'oblio che è proprio dell'istituzione carceraria.

Regensdorf (Zurigo), 10 agosto 2012


Lettera da Savona
Carissimi guerrieri... sono Ruggia Stefano, detenuto agli arresti domiciliari, di Savona. Finalmente ho ottenuto l'affidamento in prova e mi hanno ridato un po' di libertà dopo 2 anni di detenzione. Ora ho gli orari la sera da stare a casa dalle 20 alle 6 del mattino dopo e una sfilza di obblighi da seguire su ordine del tribunale di sorveglianza e mi comporterò bene perché la libertà non ha prezzo! Ho faticato e passato tanti brutti momenti per arrivare a questo obiettivo, perché lo stato italiano pensa di rieducare la gente ammassandola nei carceri, in celle che sembrano solo ripostigli! Quando si tratta di condannare ci vanno a nozze ma quando è necessaria l'amnistia fanno i finti sordi! Grazie per l'opuscolo di maggio!!!
In questo numero ho letto con piacere che il 30 giugno farete un presidio davanti al carcere di San Vittore e stessa cosa avete fatto il 31 maggio al carcere della Dozza a Bologna. Sono al vostro fianco col cuore!!! È come se fossi lì fuori con voi!!! La lotta è l'unica via. Non ho idee politiche o colori da sventolare ma sono per le cose giuste: per il rispetto della dignità umana, l'onore e per la voglia di cambiare le cose a costo di fare rivolte! Sono troppe le situazioni sbagliate in Italia e finiremo come la Grecia tra un po'! Ma vabeh, parliamo d'altro va, voglio cogliere l'occasione per mandare un abbraccio a tutti quei detenuti in Italia che ogni giorno sopportano le squallide situazioni di sovraffollamento ed altro nelle squallide prigioni di questo Stato che funziona come la "manovra Monti": una merda! Coraggio Ragazzi!!! Non siete soli.
Carissima associazione Ampi Orizzonti, che dio vi benedica e ricordate: siate il cambiamento che volete vedere nel mondo. Con stima e amicizia.
PS: mi mandate l'indirizzo del carcere della Dozza col prossimo opuscolo?
Ah, dimenticavo: l'opuscolo sta avendo un forte interesse anche fuori dai carceri, tra le persone "normali" a cui li giro dopo averli letti con piacere, perché sono una finestra sul mondo dei detenuti e sulle loro/nostre storie di vita dura e quotidiana. Mai farsi abbattere! Un abbraccio

luglio 2012
Stefano Ruggia, via Gnocchi Viani, 67/18 - 17100 Savona


Cronache di sommosse e solidarietà dal Belgio e altrove
Da alcuni mesi, la tensione sale nelle carceri di Bruxelles. Una, Forest, sta per crollare; l’altra, Saint-Gilles, che è accanto alla prima, serve sempre più da scatola di sardine. Lo Stato ha trasferito centinaia di detenuti da Forest a Saint-Gilles, spostando il problema.
Il problema, creato dallo Stato, sono prigioni piene da scoppiare e, ancor di più, la prigione in sé.
Quelli che non sanno ancora che nelle prigioni di Bruxelles la situazione è invivibile scelgono di essere ciechi oppure sono volontariamente sadici. A quattro in una cella, i materassi per terra, un secchio come cesso (a Forest), mancano i vestiti, mancano piatti e posate, nessuna cura per i prigionieri che soffrono di tubercolosi, appena un’ora di passeggio, pieno di scioperi dei secondini e gli sbirri che li rimpiazzano, con il pugno di ferro: niente ora d’aria, nessun colloquio, nessuna doccia, nessuna attività.
Sabato 21 luglio, a Saint-Gilles un detenuto ha appiccato il fuoco al materasso della cella d’isolamento in cui era rinchiuso. È rimasto ferito. Il delegato sindacale Lardinois voleva ancora soffocare la conflittualità esistente, dicendo che non c’era “nessuna particolare tensione, solo delle motivazioni personali”. Ma non hanno potuto fare finta di niente a lungo. La sera del lunedì 23 luglio, la stazione della metropolitana Albert, da cui tutti i giorni i secondini passano andando a fare il loro sporco lavoro, è stata riempita di scritte (sui muri, sulle macchinette per i biglietti…). Vi si poteva leggere, fra l’altro: “Le prigioni in fiamme, con i secondini dentro”, “Secondino suicida, a metà perdonato” e qualche nome di delegato sindacale delle guardie, accompagnato da “carogna”. Una scritta anche per la catena di supermercati Delhaize (“sfruttatori”) – quel giorno era uscito un articolo di stampa che diceva che i detenuti di Saint-Gilles pagavano i prodotti della spesina fino al 30% più caro che fuori, e il fornitore è, in particolare, Delhaize.
Il mattino di venerdì 27 luglio scoppia una sommossa durante il trasferimento di un detenuto. I media non danno altre informazioni, per impedire che ciò possa incitare altri rivoltosi. Sappiamo solo che tutti i secondini sono usciti dalla prigione, per paura che, per una volta, i ruoli si invertissero, che fossero loro a farsi aggredire. Più di 750 prigionieri si sono ritrovati con i soli tre secondini rimasti al loro posto. La polizia rifiutava di andare a rimpiazzare i secondini, si lamentava dicendo che non poteva venire di nuovo, che già non riesce a gestire i casini fuori. Hanno finito per mandare una ventina di poliziotti, dopo qualche ora. Domenica 29 luglio, un detenuto attacca due guardie. I due rimangono leggermente feriti.
Il fatto che Saint-Gilles stia esplodendo è una cosa importante. È una forma di solidarietà diretta espressa contro quello che sta succedendo a Forest. Forest è in condizioni pietose, lo Stato rifiuta di chiuderlo e continua a rinchiudervi centinaia di accusati in attesa di processo, clandestini ingabbiati per della sciocchezze e soprattutto perché non hanno i buoni documenti in tasca, persone arrestate sui trasporti pubblici, che sono diventati un vero e proprio dispositivo securitario (con le porte-tornello, le carte d’abbonamento con chip RFID integrato, le telecamere, i controllori, le guardie private ed i poliziotti che vi circolano). Al contrario, Saint-Gilles vuole presentarsi come una prigione tutta rimessa a nuovo ed ha appena aperto una nuova ala. Le rivolte dei detenuti aprono una netta fessura in questa mascherata e rimettono sul tavolo la vera questione: al di là delle condizioni schifose della detenzione, è la stessa prigione che bisogna combattere. [...]

Qualche ostilità da queste parti…
10 giugno, prigione di Bruges – Una trentina di detenuti rifiuta di tornare in cella dopo l’ora d’aria. Scatenano la loro rabbia contro le recinzioni, l’arredo del cortile, le telecamere. Un principio d’incendio accompagna qualche rivendicazione che esprime i bisogni vitali dei prigionieri. Si scontrano con i secondini e poi con i poliziotti venuti a dare manforte, armati fino ai denti e con i cani. Gli sbirri si schierano anche intorno alla prigione, per paura di evasioni.
Metà giugno, Saint-Gilles – All’annuncio dell’ennesimo sciopero (questa volta dei servizi amministrativi e psico-sociali), alcuni prigionieri rifiutano di tornare in cella. Si barricano in cortile per resistere all’assalto della polizia antisommossa. Un cannone ad acqua viene chiamato per sedare la rivolta, alcuni sbirri sono appostati anche nei quartieri intorno.
25 giugno, Marche-en-Famenne – Sei ordigni esplosivi vengono ritrovati sul cantiere della futura prigione. Erano stati piazzati sulle gru e non hanno potuto causare danni. I lavori sono stati sospesi per qualche ora.
29 giugno, vicino alla prigione di Forest – In diversi punti dell’avenue Albert e della rue de la Jonction è stato versato dell’olio sulla carreggiata, con l’intenzione di perturbare il funzionamento della prigione. Al di sopra delle chiazze, sono state piazzati tre striscioni, su cui si poteva leggere, fra l’altro: “Secondino = Boia – Noi vogliamo vivere!” e “La nostra passione per la libertà è più forte delle vostre sbarre”. La pulizia ha richiesto parecchie ore. [...]

Qualche ostilità al di là delle frontiere…
Aprile, Rennes (Francia) – Alcuni detenuti si impadroniscono delle chiavi di un secondino ed aprono le porte delle celle. Scoppia una sommossa: dei prodotti sono versati al suolo, telecamere distrutte, un inizio di incendio.
Inizio maggio, Lille (FR) – Alcuni detenuti si barricano in un’officina e si armano con utensili trovati sul posto. Due giorni prima, un detenuto aveva attaccato due secondini.
2 maggio, Ducos, Martinique – Dopo una perquisizione, dei detenuti si barricano in un settore della prigione e devastano l’arredo.
Tutta l’inizio dell’estate, Roanne, (FR) – Una manifestazione fuori viene in appoggio alle rivendicazioni dei detenuti. Un prigioniero incendia la sua cellula, ci sono alterchi fra detenuti e secondini. Il rifiuto di abbandonare il cortile da parte di alcuni detenuti in regime speciale è seguito da un pestaggio da parte dei secondini armati di manganelli. Altri prigionieri lanciano proiettili dalle celle e filmano la scena, che verrà poi largamente diffusa fuori. Fuori vengono attaccati dei manifesti con i nomi dei secondini picchiatori. Nonostante il trasferimento dei detenuti ribelli e la sostituzione del direttore per placare gli animi, la tensione continua a salire.
14 giugno, Arco, Italia – Vengono incendiati 9 veicoli della ditta Marr, che si arricchisce fornendo cibo a diverse prigioni.

5 agosto 2012
da non-fides.fr


Billy è stato scarcerato
Ciao a tuttx, domenica 19 agosto sono uscito. Il giudice (bava alla bocca!) come con Silvia pure a me ha concesso il rilascio condizionale ai 2/3 della pena. Ritrovare il calore dei compagni e delle compagne, ritrovare sguardi e discorsi per me cosi preziosi è gioia allo stato puro. Nonostante l'isolamento che in questo tempo ci è stato imposto non c'è stato mai davvero un solo attimo in cui ho avuto la sensazione di essere da solo. Dalle lettere, dalle notizie di benefit e iniziative, dalle notizie di azioni che arrivavano, l'energia era quasi palpabile, un esperienza forte, nonostante tutto. Per questo, per la forza ed il calore, per il coraggio ricevuto, non posso non dire grazie. Grazie davvero.
Naturalmente nulla è finito, anzi, è solo un nuovo inizio lungo “questo sentiero fuori dalla strada maestra”.
Ora manca Costa, e Marco porcodio !! Tutta la solidarietà agli/e indagati/e e perquisiti/e dell' operazione “Mangiafuoco” e a tutti/e i/le ribelli dentro. Grazie.

agosto 2012
Billy [Luca Bernasconi]

***
Op. Mangiafuoco: contro l'ecologismo radicale anarchico
A meno di due mesi dall'operazione "Ardire", con otto arresti tra compagni e compagne e l'imbastimento di un assurdo teorema accusatorio, volto principalmente, nei fatti, a punire e disgregare la solidarietà internazionale ai prigionieri anarchici e la controinformazione, la macchina inquisitoria e repressiva del ROS dei carabinieri, in accordo con il pm di turno, ha fatto irruzione alle 4 del mattino dell'8 agosto 2012 in diverse abitazioni di compagni e compagne in Italia e secondo quanto diffuso dai media di regime, anche in Germania. In questo caso, partendo da indagini su specifici sabotaggi anonimi rivolti contro proprietà materiali di soggetti implicati nello sfruttamento e nella mattanza di animali non-umani e nella devastazione del pianeta, l'operazione denominata "Mangiafuoco" mostra come reale intento l'intimidazione di compagni e compagne da anni impegnati nella critica radicale di un modello di società, e ancor prima di civiltà, incentrato sulla mercificazione, il saccheggio e la distruzione non di "proprietà materiali", bensì del vivente tutto: dai piccoli mammiferi scuoiati per addobbare ricche signore, alla trasformazione della Terra, attraverso pratiche come l'estrazione di carburanti fossili, lo sviluppo di nocività radioattive, biotecnologiche o nanotecnologiche, in un ambiente morto e completamente antropizzato. [...]

9 agosto 2012
da informa-azione.info
lettera dal carcere di Marassi (genova)
Un grande saluto a tutti e a tutte! L'opuscolo è arrivato sano e salvo. Fortunatamente qui mi arriva tutta la posta!
Sarà strano ma questi quaranta giorni d'isolamento mi sono volati via! Il morale è alto e io tengo duro a testa alta! La solidarietà è davvero tanta e di certo solo non mi sento!
Anche la mia mamma, seppur lontana visto che abita a Catania, resiste con dignità e forza adesso, come anche gli altri, sono in attesa dell'esito del riesame. Poi credo verremo trasferiti in prigioni muniti di sezioni AS2.
Devo ammetterlo non mi sarei aspettato di leggere OLGA da prigioniero, ma va bene pure così! A breve finirò un testo (due pagine circa) dove tento di dare le mie impressioni sulla prigionia e sulle anomalie società-carcere, spero esca fuori qualcosa di comprensibile!! Magari ve lo farò inoltrare così lo leggete! :-)
Beh che dirvi... vi tengo nel cuore e annullo la mia segregazione!
Sempre a testa alta!

23 luglio 2012
Giuseppe Lo Turco, via Marassi, 2 - 16139 Genova


Lettera dal carcere di Aachen (Germania)
“L’anarchia tornerà ad essere sinonimo di giovinezza. Tornerà a dare calci allo stato dalle cose che ci soffocano e ci schiacciano; per resistere e RESISTERE SEMPRE. Per difendere tutto ciò che è nostro: libertà, diritto alla vita, diritto a tutto ciò che è indispensabile tanto materialmente che spiritualmente.
E se nella lotta cadiamo, almeno avremo la soddisfazione di cadere con le nostre armi in pugno. E con la giovinezza (quella che non si conta con gli anni, ma con l’ardore sempre nuovo per ogni resistenza ed ogni attacco) marceremo verso il culmine di Ardire... Anarchia!”, Mario Vando.
[...] Compagn@, che i mass-media siano parte integrante dell’organico del potere è risultato più chiaro che mai in questa occasione Almeno,io mi sono chiesto come sia possibile che nell’istante stesso (13 giugno) cento poliziotti stanno assaltando le case (e altri spazi di movimento) di decine di compagni e/o delle loro famiglie già ci sia nel web del ruffiano Silvio Berlusconi, “l’ordinanza di custodia cautelare” pronta per essere scaricata in formato pdf???…Soprattutto tenendo conto che molti degli imputati non avevamo avuto la possibilità di sapere sopra su cosa fosse questo assalto…
Già molto prima di questa “primizia” (accusatoria) e in maniera intermittente lungo gli ultimi anni, altri “pennivendoli” di regime (così come altri “elementi” del “movimento” italiano, svizzero e tedesco) mi (e ci segnalavano ora come “teorico”, ora come “militante” e/o attivista della Federazione Anarchica Informale ecc.. senza dimenticare gli insulti e squalifiche da parte del “movimento”: “infiltrat* della polizia”, “provocatori”, “agenti della reazione”, ecc… Ovviamente, e per dotare “di qualche sostanza” una tale “accusa”, era necessario inventare e “trovare” alcuni “complici” sul suolo italiano… ed è qui che inizia la ricerca, sempre nei circoli dei soliti noti come non poteva essere differentemente, anarchici dichiarati, individualisti impenitenti, iconoclasti irredenti, solidali e nichilisti: in tutta sicurezza nessun/a pacifista Tolstoiana in questi giorni dove il pacifismo (scadente) si è imposto come imperativo ideologico in tutti gli “ismi”…
Certamente i servi del potere sono stati incaricati, incentrati e concentrati a colpire vari miei fratelli e sorelle sul suolo italiano… Compagni come Elisa e Stefano che da molti anni si sono curati di riempire la “mia” cella di calore e affetto; di farmi partecipe delle lotte che si tenevano in lungo e in largo nel mondo; di inviarmi riflessioni e discussioni sulle più svariate questioni che potessero interessarci come anarchici; così come testi, notizie, lettere riguardanti le nostri fratelli carcerati, e sulle diverse montature e processi repressivi per apprendere da essi e affilare le nostre armi per la guerra sociale (o antisociale) in corso…
Senza parlare di Giuseppe Lo Turco messo dentro perché “diffonde e traduce” “controinformazione” del “movimento”! E cosa si può commentare/dire di Sergio Maria Stefani e Alessandro Settepani “colpevoli” di partecipare ad uno sciopero della fame! In quanto a Paola, Katia e Giulia: di cosa per la barba di Bakunin le si “accusa”???
In fondo.. io non sono avvocato e gli aspetti tecnici e giuridici del linguaggio del potere sono cose che disprezzo apertamente e per questo non vado a “valutare” il “battibecco” di sbirri e imbroglioni.

“CULMINE”
Io consideravo Culmine come una casa, una “voce” nel mondo digitale, per far confluire inquietudini e speranze… Uno spazio dove si poteva “insultare, bestemmiare, sputare” tutti coloro che ostentano il monopolio dell’ “informazione” e “La violenza”.. E questo, in questi tempi di “incertezza” e “crisi varie” è qualcosa che è più perseguitato e “punito” dei satrapi e della corruzione.
[...] Perché ai nostri giorni è molto “pericoloso” parlare e diffondere l’ideologia anarchica; il famoso FAI DA TE… Non aspettarti che nessuno, dopo possa metterti un collare e farti passeggiare come “un cagnolino ammaestrato” al guinzaglio. Sii poeta ed espropriatore come Renzo Novatore.
Aver “gestito” questo è un altro “dei delitti” commessi da Elisa e Stefano: “Delitto” aggravato con l’”isolamento giudiziario”, la censura sistematica e la più vile delle vendette che questi topi in uniforme hanno per chi fa uso (abuso?) dei “sacrosanti diritti”, che presumibilmente hanno “i cittadini” di uno “stato democratico”; come il “diritto” di informazione ecc… E sì… le carceri della democrazia si caratterizzano per il loro amore per i “diritti umani”, che i suoi carcerieri difendono a colpi di manganello, isolamento, censura, furto, violenza ecc… che bella la democrazia!! Speriamo mi diano altri 30 anni per finire di reinserirmi!
“Non piangere perché non vedi il sole, perché le lacrime ti impediranno di vedere le stelle…” Jacques Mesrine (Istinto di Morte).

[...] Per me è molto chiara quale sia stata la funzione di questa buffa operazione denominata “Ardire”: montata ed orchetrata per “Managers dell’intrattenimento mediatico”; togati/e (come la Comodi) con ansie pazze di scalare i gradini delle loro disgustose carriere; così come i criminali in uniforme (come tutt* i/le criminali!) come Gianpaolo Ganzer con l’aspirazione a “riabilitarsi” per il suo passato di “cammello”…
La funzione è di rimuovere coloro che disturbano diffondendo controinformazione; impedire il comunicare sul nuovo anarchismo rivoluzionario ed essere solidali: tanto nelle lotte antagoniste radicali quanto con i/le prigionier* antiautoritari(e) che proliferano in lungo e in largo nel mondo; seminare “cesoie” tra le diverse realtà del movimento combattivo per pretendere di ridurci ad essere “spettatori” e “consumatori” dei presunti “battibecchi” decontestualizzati, manipolati, tergiversati; esagerati ed apertamente bugiardi, che appaiono nei loro “fascicoli” giuridici; frutto di intercettazioni ambientali, chiamate telefoniche (che ovviamente sapevamo fossero intercettate), di corrispondenza e di testi insorti durante gli ultimi anni di multipli dibattiti/lotte e contesti a livello internazionale… Quanto dev’essere grande la frustrazione di quest* imbecilli dell’ “intelligenza militare” e della magistratura italiota!!! Più di 10 ANNI e non solo non sono riusciti a “rinchiudere” nessun(a) compagn* della Federazione Anarchica Informale (sul suolo italiano) se non e nemmeno a RINCHIUDERE l’avanzata di una proposta di lotta e di organizzazione che è tanto degna e legittima come lo possono essere altre…
Inutile ed assurdo è entrare a valutare e/o argomentare sui deliri e le stronzate scaricate in queste 227 pagine… Insomma mi ci pulisco il culo con l’ “ordinanza” come in passato ho fatto con le sentenze dei magistrati post-franchisti…

“Epopea d’amore la nostra.
Giocare intorno al fuoco che prova sforzi sovrumani per bruciarci; Volare, come una farfalla intorno alla fiamma; Creare il pericolo; Correre per i precipizi più difficili per allenare i muscoli; Creare la forza; E corriamo sempre con lo stesso fervore, con lo stesso ritmo; Agire. Al di sopra di tutte le critiche. Al di sopra della “morale”. Al di sopra del male. Al di sopra della vita. Per la vita. E siamo solo all’inizio. Andremo così, verso la meta irraggiungibile: Creando, Conquistando. Amando. L’impossibile. L’intangibile. La vita.’Nella morte per la vita’. Nella morte, per l’amore…“. (Severino Di Giovanni).

[...] In ciò che mi si riferisce non ho mai occultato (tutto il contrario) le mie “simpatie” e l’affetto per le organizzazioni informali (stabili e con “acronimi”) come la FEDERAZIONE ANARCHICA INFORMALE, la CCF, le CARI-G. Praxedis Guerrero (tra le molte altre), così come con tutta quella “galassia” di Gruppi Insurrezionalisti (alcuni sporadici nello spazio/tempo) ed individualità che hanno fatto dell’AZIONE, LA TEORIA e LA COMUNICAZIONE la base e la quintessenza del proprio essere; e dalle quali e con le quali affrontare il sistema di dominio e le sue molteplici appendici repressive…
Non saranno i quasi 30 ANNI che ho trascorso sequestrato e/o le loro minacce di più “processi”/”carcere” ed isolamento ciò che mi faranno rinunciare alle mie IDEE e SENTIMENTI… Voglio chiarire/specificare che le mie IDEE non si basano “solo” in ciò che ho letto e dibattuto durante tutti questi anni da solo e/o accompagnato; se non e fondamentalmente, su ciò che ho VISSUTO ed OSSERVATO in prima persona nei loro campi di concentramento e di sterminio proletario. Da questo è da dove ho estratto tutta la mia forza, il mio amore ed il mio odio… di cosa cazzo devo io “pentirmi”? Di esser stato testimone dell’eccezione di tanta cattiveria e perversione? Di aver resistito (E resistere) un sistema concepito per triturare fino all’ultimo alito di vita? Di sognare, e nel mezzo delle mie limitatissime possibilità dire/gridare: bene, fanculo dio e viva l’anarchia!!!?
Trasgredire con le parole come con l’atto; andare più in là delle carceri “ideologiche” che come una tela di ragno cercano di intrappolarci a tutt* per assorbirci l’individualità e farci “sfilare” marzialmente con una “bandierina” in mano e la testa vuota ripiena degli slogan del momento…
So che per me (come per molt* altr*) non esiste la possibilità di uscire dal carcere basandoci sulle loro leggi… perché la loro legalità richiede la mia rinuncia alla mia identità politica… ed ovviamente chi rinuncia alla propria identità politica non solo tradisce se stesso, ma anche tutt* quell* che ci hanno preceduto in questo lungo cammino per la dignità e la libertà. Non c’è nulla di eroico né di “martire” (di quest* il cimitero è pieno) in questa considerazione. Lo credo sinceramente e con tutto il mio cuore e perciò sono disposto ad accettare di “pagare il tributo” per essere coerente con me stesso e con quanto penso/sento…
[...] Desidererei che non si confondesse la cosiddetta “Operazione Ardire” con la presunta disarticolazione della FEDERAZIONE ANARCHICA INFORMALE; questo è ciò che piacerebbe (nei loro sogni bagnati) alla coppia Ganzi-Comodi!!!
Ignoro che nel mezzo io possa essere il responsabile nella “creazione”, “organizzazione”, e/o “pianificazione” della FAI/FRI e/o le sue “campagne” ed “azioni”… ma se ciò fosse così potrei solo dire che mi sentirei molto onorato ed orgoglioso di ciò…
[...] Voglio approfittare di queste lettere per abbracciare tutt* i/le mie(i) “co-imputati” (che parola di merda!) nella cosiddetta “Operazione Ardire” (a quell* conosciut* e sconosciut*) con FORZA e AMORE; di cella in cella; di cuore in cuore… a Marco Camenisch (e che ci mettiamo tutt* subito in movimento per strapparlo dalle grinfie dell’oligarchia atomica e capitalista dello Stato svizzero…) dal quale tanto ho appreso e tanto apprezzo. Abbracciare i/le nostr* fratelli/sorelle incarcerat* in Messico e Mario López (Tripa) desiderando per lui che si rimetta presto e ci continui a regalare “carezze di carta” che ispirino bagliori nelle notti complici. A Felicity Ryder; fuggi compagna, fuggi! Che le sporche mani dei “valletti” non ti tocchino mai!!! Anche in Messico, un forte abbraccio rabbiosamente anarchico a te, Gustavo Rodriguez (necessario e sveglio il tuo apporto scritto contro gli/le “imbecillis” che dobbiamo continuare a sviluppare), e tutt* i/le nostr* fratelli/sorelle guerrier* in questa latitudine del Globo Terracqueo. In Bolivia a Henry Zegarrundo, sequestrato nelle segrete di Evo Morales e la sua “guardia rossa”… ed un occhiolino amoroso a “Las Noctilucas Descarriadas” che saluto col cuore in mano… In Cile, a tutt* coloro che già “conosco” (a breve scrivo, ricevo la posta… bacetti a Nahual…) ed a quell* che continuano “liberi” a lanciare sabbia negli ingranaggi del sistema) ancora so che è da tanto, tantissimo tempo che non do “segni di vita”… Impossibile gestire tanta corrispondenza!!!! E volando dall’altra parte del mondo, in Indonesia, vi saluto ed abbraccio; Eat e Billy, degni ed orgogliosi militanti della FAI, e non solo!
E come ormai è d’abitudine, i/le fratelli/sorelle della CCF che fanno impallidire i boia togat* ed uniformat* con la loro attitudine combattiva e degna… il loro nuovo testo: “Il caos è alle porte” mi fa sentire orgoglioso di essere anarchico…
Con fratelli/sorelle e compagn* come voi è impossibile non camminare eretto e lo sguardo attraversando i muri e le uniformi che oggi “contengono” la nostra avanzata… NON CI FERMERANNO! VIVANO I/LE COMPAGNI/E! VIVA L’ANARCHIA!

Gabriel.

PS. 1: Annuncio da qui ai/alle compas che non penso (perché non posso) che parteciperò a nessuno sciopero della fame per questioni di salute, ma che l’appoggerò nel mezzo delle mie possibilità: rifiutando il cibo del carcere, scrivendo, non so… facendo quel che si può…
PS. 2: Questo testo è stato scritto prima che fosse pubblicata la lettera aperta al movimento italiano di Stefano Fosco, alla quale risponderò a breve. Dal momento che rimane chiaro che non voglio che si usi il mio nome come nemmeno che nessuno cerchi di nascondersi dietro di esso, specialmente per sostenere posizioni che non condivido per niente.

16 agosto 2012
da informa-azione.info

Gabriel Pombo da Silva, c/o JVA Aachen, Krefelderstrasse 251 - 52070 Aachen (Germania)
lettera dal carcere di Lenzburg (svizzera)
Carissime/i compas, ringrazio per l'opuscolo n. 70 e, di un tantino fa, 69!
Allego info 2 (n1 ho appena inavvertitamente cancellato dalla macchina infernale).
Con un caro abbraccio solidale, Marco.

INFO N.2 SULLA RECENTE MONTATURA (veramente ardita) ANTIANARCHICA ROS(ef)- NON BRUTTI (MA CALZA) MA ... COMODI ... (CALZANO PURE :-) ) E DINTORNI
Nel frattempo ho ricevuto una lettera d'Elisa e ieri una di Stefano ambedue dopo circa 10 giorni. Come saprete erano tuttora in "isolamento giudiziario" e sottoposti alla censura, in attesa del "riesame" e/o trasferimento in altra struttura. Probabilmente allungano i tempi per la mancanza, a Pisa, di struttura AS e perciò "giustificazione" di un isolamento totale meno giustificabile/gestibile che in una struttura AS. In ogni caso, come segnala Stefano e per quanto ho visto nelle patrie (italiane) galere, è un periodo d'isolamento d'accanimento (antianarchico...) particolare. E oggi ricevo il comunicato del 9 luglio d'Elisa che m'illumina il cuore!
Tuttora non ho avuto alcunché di notifica o altra notizia "ufficiale" del mandato d'arresto mentre i pennivendoli di regime locale verso fine giugno in tedesco mi hanno "onorato" insieme a Gabriel e la compagna Andi del SRI di un paginone scandalistico di difficile equilibrismo tra devozioni professionali al regime e dolorose constatazioni della vacuità dell'ordinanza (incautamente esposta in rete... :-) ) e non mancando di ri-sbandierare lo spettro delle possibili liberazioni di Gabriel e del sottoscritto. Da parte del lager Lenzburg non manca una "strana" sequela di misere provocazioni, perquisizioni e minacce di sanzioni attorno e dopo la "grande notizia". "Puntuale" e appena arrivato anche il rigetto di seconda istanza della mia "liberazione condizionale".
Mi sto organizzando per un'iniziativa non rivendicativa (sciopero della fame +/- 20 giorni) di solidarietà (riferimento e motivazione principale la repressione e non per ultimo l'ardita Ros(ef)- ... Comodi) e di partecipazione e questa volta con appendice di denuncia dei "giri di vite" generalizzati attuati in questo ed altri carceri Svizzeri, che inizialmente avevo previsto +/- inizio-metà agosto ma che con questa vi informo che con la massima probabilità attuerò nelle due ultime settimane d'agosto (a partire dal 20 agosto) un po' causa "buco" estivo, poi per una eventuale migliore coincidenza con l'organizzazione d'iniziative esterne e, anche se questo non è una proposta per un'iniziativa collettiva da dentro, una migliore informazione e valutazione previa delle compagne prigioniere e dei compagni prigionieri.
Vi prego perciò di divulgare questa "info 2". Gratamente, con Solidarietà e Amore.

18 luglio 2012
Marco Camenish, RE 75, CH-5600 Lenzburg


Lettera dal carcere di rebibbia (roma)
A tutti i compagni e le compagne.
Cinque minuti di libertà... in carcere!
In data 1 agosto 2012, al mio cinquantesimo giorno di isolamento presso la casa circondariale Don Bosco di Pisa, sono stata trasferita al carcere di Rebibbia di Roma sezione massima sicurezza. l’isolamento è finito! L’“animale sociale”, come qualcuno definisce l’essere umano, ora può stanarsi... la galera rimane la galera!
Venerdì 3 agosto scopro che è stato accolto il ricorso che il difensore aveva, a suo tempo, avanzato pretendendo la nostra scarcerazione (mia e di Stefano): il divieto d’incontro tra imputati e avvocato, ordinato dalla P.M. prima dell’interrogatorio, era immotivato e ledeva il diritto alla difesa. l’intero procedimento a nostro carico è nullo... sono libera... 16,45... ma... la libertà non può certo essere cosa desiderabile da “anarco-terroristi”... così, nell’ufficio matricola dello stesso carcere in cui teoricamente la mia reclusione terminava, due Ros provvedono tempestivamente ad arrestarmi per la seconda volta... 16.50... “pericolo di fuga”! Beh, infilarsi tra le sbarre di un ufficio penitenziario con un agente e due carabinieri presenti è un’abilità che devo ancora acquisire, lo confesso! Non voglio annoiare nessuno mettendomi a spiegare le motivazioni giuridiche ( che tra l’altro ben poco mi interessano) dell’effettiva illegittimità del fermo (il “Corriere della sera” di sabato 4 agosto ha dedicato un breve articolo all’accaduto). Lunedì 6 agosto l’ennesimo giudice ha disposto la conferma dell’arresto reiterando il pericolo di fuga (troppi “anarco-insurrezionalisti” pronti a offrire appoggio tra Cile, Messico, Grecia e altri luoghi). Con questa mossa (ardita) l’accusa e i suoi pupilli confermano i loro sporchi giochi dimostrando il loro reale timore di vederci fuori dalle patrie galere... ma eccomi qua, col morale più alto che mai! Se pensano che questi metodi, e conseguenti inghippi burocratici, mi demoralizzino o sfiniscano si sbagliano di grosso. Su questo fronte la galera non ha alcun effetto “rieducativo” o “riabilitativo”... W l’anarchia!

Elisa Di Bernardo, prigioniera politica anarchica e vegana
c/c Rebibbia femminile, Via Bartolo Longo, 92 - 00156 Roma

11 agosto 2012
da informa-azione.info

SOTTO IL FUOCO NEMICO
Comunicato di solidarietà ai compagni ed alle compagne condannati per i fatti del G8 di Genova.
Venerdì 13 luglio la Corte di Cassazione di Roma ha condannato 5 dei 10 compagn* accusati di devastazione e saccheggio per i fatti della rivolta contro il G8 di Genova del 2001. Per i restanti, il processo dovrà rifarsi da capo.
Tanti gli anni inflitti, a dire il vero quasi confermati in toto quelli del Secondo grado, scalati di qualche mese, niente più. Le più alte condanne per azioni di piazza mai subite… Noi tutti/e eravamo a Genova, nel luglio 2001… chi fisicamente, chi col pensiero… È come se avessero condannato noi tutti/e…
Che dire… Marina ed Alberto sono stati prelevati dalle loro abitazioni e sono stati rinchiusi in carcere. A Ines, avendo una bambina molto piccola, per il momento è stata sospesa la pena. Vincenzo e Jimmy sono in fuga per la libertà.
Rispettiamo totalmente le decisioni di Marina ed Alberto, anche se ci piange il cuore sapere che due meravigliosi ed agguerriti compagn* del loro peso siano rinchiusi in un carcere… I “se” ed i “ma” lasciano il tempo che trovano, toccherà a noi portare attiva solidarietà, non solo parole. Per l’affetto che ci lega da moltissimo tempo, particolarmente, a Marina.
Di analisi, dopo Genova, ne sono state fatte e scritte tante, forse anche troppe. Come se ci fosse il bisogno di spiegare le motivazioni della rivolta ed in qualche modo, cercare di farle passare in secondo piano, perché il VITTIMISMO di una parte di “movimento”, ha pienamente caratterizzato e condizionato lo stato delle cose.
Ci associamo pienamente al pensiero espresso tramite il comunicato diffuso a Genova ed apparso questi giorni su internet dal titolo Genova è finita? Niente è finito..., un comunicato che non lascia dubbi su quello che “è stato Genova”, sarebbe dovuto essere “il dopo” ed invece cosa è stato… In fondo ne riportiamo lo scritto.
A te, Marina, compagna di vita e di mille avventure, sorella maggiore di tanti di noi… ed a te Alberto, va il nostro forte abbraccio ed il pensiero rivoluzionario.
A Vince ed Jimmy, lunga vita UOMINI LIBERI.
Libertà per Maurizio e Alessio, ancora detenuti per la resistenza No Tav
Libertà per Billy e Costa, segregati nelle carceri svizzere
Libertà per Ale, Elisa, Giulia, Katia, Paola, Peppe, Sergio e Stefano inquisiti e segregati dallo Stato unico e vero terrorista.

3 agosto 2012
Coordinamento No Tav Bergamo

***
genova 2001: Nonostante tutto…
Ieri sera, nonostante tutto, fratello, ci speravo questa sera di poterti sentire sorridere... e invece... non gli è bastato giudicare il tuo assassinio come legittimo. Dopo undici anni, si sono voluti prendere altre vite. E non quelle di chi ha ucciso, torturato, massacrato, o quelle di chi ha ordinato i massacri o di chi ha assicurato protezione. Si sono presi ancora una volta le vite dei nostri compagni, dei nostri fratelli e sorelle.
Hanno chiamato "devastazione e saccheggio" un po' di vetri rotti, alcuni dei quali causati - forse - dai 10 imputati.
Hanno chiamato "falso" il coma, le ossa e i denti rotti, il sangue, le torture e le minacce causate dalle forze dell'ordine che non hanno voluto identificare.
Hanno chiamato legittimi il buco che un proiettile ha creato nella tua testa, la devastazione che un defender ha fatto sul tuo corpo, la ferita che una pietra ha causato sulla tua fronte, mentre eri steso tra decine di scarponi, quando il tuo cuore ancora gridava. Hanno dichiarato legittimo il saccheggio della tua vita. E oggi legittimano il saccheggio di altre vite.

13 luglio 2012
Elena Giuliani
da cavallette.noblogs.org


processo ai no tav: Cronaca dell’udienza preliminare
La retata del 26 gennaio 2012 che ha portato in carcere, ai domiciliari, a diversi obblighi e divieti ben 46 compagni/e, sta procedendo nel percorso penale assegnatole. I primi tre mesi per le indagini preliminari hanno confermato i “motivi” di arresto, obblighi ecc.., pur modificando via via il modo di eseguirli. Così, naturalmente sempre dietro istanza, tanti/e di noi sono passati/e dal carcere ai domiciliari, dagli obblighi di dimora alla firma; anzi, in ultimo, dal carcere a poche settimane di domiciliari e subito in “piena libertà”. Questi passaggi non erano affatto scontati ma sono piuttosto una conquista della mobilitazione e dell’ampia ed estesa risposta di solidarietà contro lo scopo della retata: spezzare la resistenza, il movimento No Tav (“cercando di dividerlo in buoni e cattivi”), il suo contagio nel paese e cercare di intimorire chiunque protesti contro le imposizioni dettate dall’alto sulla testa delle persone.
Infatti, la pronta e profonda lotta contro gli arresti, la solidarietà con chi era finito/a nelle grinfie della procura di Torino, esplosa in tante città e forme diverse, senz'altro ha portato più di una riflessione negli apparati di controllo e carcerazione. Così quando il 6 luglio è iniziato l'ultimo atto che apre le porte all'udienza preliminare, in carcere eravamo rimasti in tre ai quali erano state rigettate le istanze di scarcerazione.
L'udienza preliminare è stata fissata abbastanza in fretta perchè il suo scopo è vagliare se le indagini consentono il “rinvio a giudizio”, fissare la data di inizio del processo e accettare o meno – chi eventualmente ne faccia richiesta – il “patteggiamento” o il “rito abbreviato” (in breve: queste soluzioni prevedono l'una il dimezzamento, l'altra la riduzione di un terzo della pena prevista dal codice penale, ma allo stesso tempo presuppongono l'assunzione della colpevolezza, come nel caso del “patteggiamento” o, comunque, una sorta di mediazione preventiva con lo stato e di accettazione dei ruoli e delle regole processuali). 45 imputati su 46 non hanno accettato patteggiamenti o riti abbreviati, optando per una battaglia processuale che verrà condotta su ogni singolo aspetto. E tutto ciò doveva avvenire, come è stato, entro il 26 luglio, altrimenti l'intera baracca sforava la scadenza termini (prevista in 6 mesi per la fissazione del processo, dopodichè nei successivi 6 mesi, cioè entro il 26 gennaio 2013, deve essere concluso il processo altrimenti scatta la scadenza dei termini di “custodia cautelare”) ciò che comporta la scarcerazione. Altra caratteristica dell'udienza preliminare è di essere sede di verifica delle procedure non delle responsabilità penali; perciò è considerata ambito di “camera di consiglio” per definizione “esclusa al pubblico”. Questo è stato sufficiente a tener fuori dall'aula quel giorno persone solidali, compagni/e venuti in gran numero a manifestare apertamente la solidarietà a chi oggi è finito/a nell'inchiesta e chi no. Il tempo dell'udienza preliminare, 6 giorni, è stato importante anche perchè ha consentito almeno di vedersi e scambiarsi battute fra “coimputati/e”, soprattutto a quelli detenuti a cui è stato possibile confrontarsi nel gabbiotto.
Nell'ultima udienza è stata anche avanzata istanza per la liberazione generalizzata. Come nella precedente è stato adoperato il solito metodo selettivo, Juan, ad esempio, è stato inviato ai domiciliari mentre ad Alessio e Maurizio l'istanza è stata rigettata.
L'udienza preliminare si è conclusa il 19 luglio con l'assunzione totale delle prove ecc. delle indagini, con l'accettazione come parte civile di tutti i sindacati possibili di polizia (è la prima volta che avviene un riconoscimento così massiccio e motivato – sono 180 tra poliziotti, finanzieri, carabinieri entrati nel processo come “parte lesa”) ed ha anche fissato l'inizio del processo: 21 novembre 2012. Inoltre, è stata rigettata la richiesta di un avvocato, di esaminare almeno i filmati nella loro interezza, dato che quelli a disposizione oscurano le violenze delle forze dell’ordine in maniera palese: dimostrando ancora una volta la totale parzialità dei Tribunali e non è quindi la violenza in sé ad essere giudicata ma la risposta a questa che non è digerita dallo Stato.
Il dato che tutti/e (ad eccezione di uno) andranno al processo per rivendicare, ragionare e resistere alla violenza dello stato, ognuno/a secondo il proprio vissuto e modo di sentire, non era un fatto scontato. Ciò è molto importante, in quanto fa mantenere salda l’identità politica degli imputati/e, del movimento NO TAV e tutte le resistenze in corso. Chi ci processa ne avrebbero fatto volentieri a meno. La stessa vicinanza dall'inizio del processo alla data della scadenza dei termini la dice lunga sull'annacquamento dei propositi iniziali dello stato. In ogni caso si ha il tempo di prepararsi e così sconfiggere definitivamente il loro disegno; di contribuire invece a rafforzare il movimento complessivo della rivolta.
Milano, luglio 2012
***
Di seguito, pubblichiamo una dichiarazione letta dagli imputati-e presenti in aula e ormai a piede libero, l’ultimo giorno dell’udienza preliminare che manifesta vicinanza a chi ancora ha custodie cautelari in carcere e domiciliari a 6 mesi dalla retata.

Noi imputati NO TAV inquisiti in questo procedimento protestiamo contro la permanenza di misure cautelari che vedono 3 di noi comparire ancora in stato di detenzione carceraria durante le udienze preliminari.
Ad 1 anno di distanza dai fatti contestati, dopo 6 mesi dall’arresto, riteniamo un accanimento punitivo il mantenimento di queste misure nei confronti di 3 imputati che, per posizione personale e per reati contestati, non sono diversi dagli altri a piede libero.
La loro permanenza in carcere riveste solo una funzione d’immagine a fini puramente mediatici per rafforzare le tesi della procura torinese.
Lo stesso discorso vale anche per gli altri 3 imputati ancora agli arresti domiciliari
Noi tutti siamo parte di un grande movimento collettivo che si batte contro un’opera inutile, devastante e nociva per un intero territorio e la comunità che lo abita.
Si parte e si torna insieme!


Dalla Valsusa ribelle
Quello che è successo nell’ultimo mese in Valsusa è indicativo della forza, dei limiti e delle prospettive del movimento NO TAV.
Il campeggio di lotta a Chiomonte è stato e continua ad essere un’occasione di confronto e di iniziativa. Oltre ai valsusini hanno partecipato e stanno partecipando compagni provenienti da tutta Italia e dall’estero. Si è discusso della lotta contro le infrastrutture in Francia, della mobilitazione ventennale contro il Castor in Germania, di antimilitarismo, della difesa della foresta di Khimki in Russia, di autorganizzazione nelle montagne basche e sulle Alpi, di TAV e banche, della situazione in Kurdistan e in Afghanistan…
A fianco di tutto questo, si sono sperimentate diverse pratiche di lotta: dal presidio davanti all’Italcoge di Susa (con violazione pubblica dei fogli di via da parte di alcuni banditi NO TAV) alle iniziative a sorpresa contro gli hotel che ospitano le truppe di occupazione. E soprattutto si è dimostrato che il cantiere in Clarea non è affatto inviolabile: in maniera eclatante il 21 luglio, quando sono andati giù recinzioni, muri e fari, ma anche in altre passeggiate a sorpresa, quando il numero di forze di polizia non era in grado di controllare tutta l’area. Azione diretta contro il cantiere, dunque, ma anche un inizio di non-collaborazione verso la logistica che lo mantiene.
L’annunciato sgombero del campeggio non è avvenuto, segno del timore, da parte di politici e questura, delle reazione in Valle (e non solo) in caso di operazione poliziesca.
Esempio raro del rapporto di forza tra un movimento di lotta e lo Stato.
Anche i controlli asfissianti attorno al campeggio (con identificazioni a tappeto ed espulsioni di una dozzina di compagni francesi), se nei primi giorni hanno creato una situazione di stato d’assedio, hanno poi spinto i NO TAV a trovare nuove modalità di azione, più agili e meno annunciate. E in più hanno cominciato ad esasperare la gente di Chiomonte e degli altri paesi, come sempre quando lo Stato non può più concentrare uomini e mezzi solo nel cantiere. Il centinaio di persone che ha assediato per un’ora la caserma di Susa il 6 agosto (in occasione del fermo di due compagni romani) ha sfidato le truppe di occupazione a casa loro e ridato morale ai NO TAV.
Il tentativo di dividere il movimento non ha funzionato: le migliaia di valsusini presenti alla marcia da Giaglione a Chiomonte del 28 luglio sono state una risposta assai eloquente.
Partecipare al campeggio di Chiomonte è importante per diversi aspetti: per dar manforte alle iniziative e per proporne altre, ma soprattutto per ragionare in prospettiva: dal processo ai NO TAV che si aprirà il 21 novembre alla continuazione delle campagne di lotta sia in Valle sia fuori. La lotta NO TAV può essere il detonatore di un movimento generale, la scintilla di un’insofferenza che cresce ma che stenta a rompere l’isolamento. Avere delle idee per quest’autunno è fondamentale. Non si tratta più di essere semplicemente solidali con la Valle che resiste, ma di trovare i terreni di generalizzazione e di convergenza pratica tra le varie lotte. Resistere in Valle ed essere dappertutto: un incubo per i tecnocrati al governo, una possibilità per noi.

Chiomonte, 9 agosto 2012
Da informa-azione.info

***
Val Susa: militarizzazione, altre denunce e obblighi di dimora
La “nuova” strategia contro i No Tav è chiara. Strangolare il movimento in una morsa militare, estendendo l’occupazione a strade e paesi. Il 25 luglio, mentre a Torino si riuniva il comitato per l’ordine e la sicurezza, sei blindati carichi di poliziotti e carabinieri dell’antisommossa e alcune auto piene di digos che salivano in alta valle sui curvoni del Belvedere, sopra Susa, hanno invertito la marcia, si sono messi di traverso per fermare una decina di auto che procedeva nella direzione opposta. La statale 24 che porta al valico del Monginevro è stata bloccata a lungo. Una decina di energumeni intorno all’auto di due donne che avevano osato protestare.
Era il giorno – pubblicizzato su tutti i siti e le liste – per le azioni di contestazione No TAV verso le truppe di occupazione, le ditte collaborazioniste, i partiti che vogliono imporre con la violenza il Tav. Per bloccare l’iniziativa sono arrivati al sequestro preventivo dei manifestanti. Un assaggio di quello che ci aspetta nei prossimi mesi.
Alla riunione del comitato per l’ordine e la sicurezza hanno partecipato il sindaco di Torino Fassino, il presidente della Provincia Saitta, il questore, i comandanti di carabinieri e guardia di finanza, oltre al capo della Procura Caselli e al suo vice Beconi. Questi due in veste di “esperti”. Alla faccia della separazione dei poteri e della neutralità della magistratura.
Martedì 31 luglio, con puntualità e precisione sono stati recapitati 12 avvisi di garanzia con tanto di misure restrittive della libertà a 12 No Tav. Il pubblico ministero aveva chiesto che fossero arrestati, ma il Gip ha preferito misure restrittive più lievi. Tutti e 12 sono accusati di resistenza, lesioni e violenza a pubblico ufficiale per la giornata di lotta alle reti dell’8 dicembre scorso. Una giornata durissima per i No Tav che scelsero di andare in Clarea. Gli uomini in divisa ebbero ordine di colpire e fare male: ci furono numerosissimi feriti di cui tre molto gravi. Un No Tav padovano ci ha rimesso un occhio, uno di Venaus ha perso l’udito da un orecchio, dopo essere stato a lungo in prognosi riservata.
La Procura torinese continua nel suo lavoro di cane da guardia del partito trasversale degli affari.

agosto 2012
Liberamente estratto da anarresinfo.noblogs.org


COMUNICATO COORD. TRENTINO E MOVIMENTO NO TAV VAL SUSA
A pochi giorni dal campeggio No Tav, che inizierà giovedì a Marco di Rovereto, l’arresto di Massimo Passamani, i domiciliari per Daniela Battisti e le perquisizioni a una decina di attivisti No Tav trentini, è un tentativo di gettare paure sull’intero movimento No Tav. L’operazione, mentre il movimento trentino No Tav sta crescendo e maturando (a maggio a Trento più di 1.000 persone hanno partecipato al corteo contro l’opera), è palese: si spera così di screditare il movimento, di additarlo come pericoloso e violento, di far credere alle persone che partecipando alla lotta No Tav sarebbero “manovrati dagli anarchici”. Dalla Val Susa al Trentino invece il movimento No Tav sta dimostrato di riuscire ad essere un luogo in cui nessuno manovra nessuno, ma tutti si lotta insieme, ciascuno con i propri mezzi, contro opere inutili e devastanti e contro la prepotenza di chi le vorrebbe imporre. A dimostrazione della pretestuosità degli arresti basti pensare che questi sono stati disposti dalla procura il 2 agosto: un mese fa. L’attesa, a fronte del presunto “pericolo terrorismo”, fino a due giorni prima del campeggio, fa pensare che a far paura non siano i terroristi, ma piuttosto la varietà e la determinazione dell’intero movimento. Massimo, Daniela, e tutti gli altri indagati, al nostro movimento hanno dato e continuano a dare tanto sia in valsusa che in trentino. Per questo gli siamo vicini adesso e speriamo di averli presto liberi accanto a noi.
Non ci facciamo intimorire da queste operazioni, vi aspettiamo tutti giovedì sera alle 20 assemblea di apertura del Campeggio No Tav Trentino ai Giardini Polifunzionali di Marco di Rovereto. E per chiunque avesse dubbi riguardo la partecipazione, rompete gli indugi, perchè mai come ora il segnale che vogliamo dare è quello della serenità delle nostre ragioni, della partecipazione e della determinazione a bloccare queste opere, perchè ne va del nostro futuro e della nostra dignità.

28 agosto 2012
Coordinamento No Tav Trentino, Movimento No Tav Valsusa
da lavallecheresiste.info


Per scrivere a Massimo:
Massimo Passamani, via Paluzza, 77 - 33028 Tolmezzo (UD)


VITTORIA DEL MOVIMENTO NOTAV-TERZO VALICO
La prima tornata di espropri si conclude ad un mese esatto dal suo inizio, il 10 luglio. Possiamo finalmente accantonare la scaramanzia e dire che ovunque il Cociv abbia effettuato il primo tentativo per entrare in possesso dei terreni le popolazioni si sono schierate con successo a difesa dei propri territori: a Serravalle, Arquata, Gavi, Borgo Fornari, Pontedecimo, Trasta, Fegino, Campomorone e Isoverde nemmeno un lembo di terra è stato portato via, più di cento espropri sono stati respinti.
Come abbiamo già avuto modo di raccontare giorno dopo giorno, la cosa che più fa piacere è vedere la capacità della gente di organizzarsi e rispondere a tutte le esigenze dei presidi, mettendo in moto un meccanismo di solidarietà che va oltre il motivo per cui si stava in strada, riscoprendo una socialità che alcuni avevano dimenticato, condividendo le proprie informazioni in un processo di crescita costante. Quello che invece ci stupisce è la velocità con cui questo è successo. Anche grazie alla copertura mediatica di spazi come questo si è innescato un circolo virtuoso che ha portato ai presidianti notizie di quelli della settimana prima, alzando il morale e invitando a partecipare a quelli successivi.
Ai comitati, che sono stati un elemento catalizzatore di questo processo, si è affiancato un numero sempre maggiore di persone, che oggi li rafforza con riconoscenza.
Quello che monta con forza è un vero movimento popolare, che rifiuta il meccanismo di delega ai propri rappresentanti, salvo rare e preziose eccezioni anche quelli locali purtroppo troppo spesso conniventi, e dal basso reclama il proprio diritto a difendere il territorio e la salute da chi vorrebbe monetizzarli come una qualsiasi risorsa economica. Infatti, in un momento in cui bisognerebbe stare al fianco della gente c’è una buona parte delle istituzioni che tifa per la distruzione di questo momento di aggregazione popolare. Ci sono giornalisti che stravolgono gli eventi, ci sono politici che commissionano articoli infamanti e lavorano di concerto con opachi organi dello stato per creare una tensione di cui nessuno sente il bisogno. Insomma c’è la macchina del fango ad esprimersi al suo massimo livello, perché è considerato intollerabile che dei cittadini difendano i propri diritti dall’assalto della speculazione.
Per loro il messaggio è scontato: non possono fermarci. Come dei ladri sono passati nei dintorni di ferragosto, pensando di sorprenderci, e hanno fallito. Proveranno a settembre, pensando che con le scuole aperte e la fine delle ferie ci sia meno gente. Falliranno. Riproveranno poi col freddo pensando che prima o poi cederemo. Ci scalderemo con legna e vin brulè, e falliranno nuovamente. L’unica cosa su cui possono contare è che noi li aspetteremo e ogni volta saremo di più. Ad ogni passo la loro maschera si sfalda e mostra all’intero paese la vera natura di un consorzio che assomiglia più che altro ad uno zoo. Da segnalare inoltre che a causa dell’arroganza di lorsignori nel tentare gli espropri il sindaco di Voltaggio si è schierato contro l’opera e diversi giornalisti hanno cambiato registro cominciando a raccontare la realtà per quella che è, non per come la vorrebbe il loro editore.
Vittoria su tutta la linea, quindi, almeno per il momento. Ma non illudiamoci, la tregua non sarà lunga e bisogna coinvolgere ancora molta gente. Da oggi si riparte con la normale attività dei comitati, le iniziative sul territorio, le migliaia di volantini, le assemblee, nell’attesa di mostrare nuovamente in piazza quanto siamo cresciuti e determinati, finchè questo progetto non sarà definitivamente richiuso in un cassetto.

11 agosto 2012
da notavterzovalico.info


Genova: DALLE VALLI AI VICOLI CI RUBATE LE CASE CI RIPRENDIAMO TUTTO. AVANTI TUTTA!
Con questa frase partiva il corteo da Via dei Giustiniani dopo lo sgombero della casa per arrivare in Piazza delle Vigne 4 nel nuovo stabile occupato.
Mai come ora è più reale ed attuale questo concetto a Genova, dove, se da un lato in Val Polcevera il Cociv tenta di espropriare le case per fare spazio a cantieri di un'opera tanto faraonica quanto inutile, nel centro storico è avvenuto lo sgombero della casa con un'operazione meschina e affatto casuale. Non a caso, gli occupanti, da subito vicini e impegnati nel blocco degli espropri di terreni e abitazioni nelle valli, hanno in questi mesi creato un forte legame con la popolazione dando manforte alla loro lotta. Questo ha creato timore negli uffici questurini, che temendo una seconda Val Susa, hanno attuato lo sgombero.
Hanno creduto con questa operazione di poter bloccare il nostro impegno nella lotta contro il terzo valico e l'alta velocità. In realtà, impedirci di essere partecipi fisicamente agli espropri non ha indebolito la lotta nelle valli, rafforzandone anzi i rapporti e la solidarietà di chi ha visto in noi amici e compagni con cui si è intrapreso un percorso mirato al blocco dei cantieri e alla salvaguardia di questa vallata, già fortemente colpita da cementificazione e industrializzazione negli anni 80.
La nostra posizione non è limitata al blocco degli espropri ma è spinta dalla contrapposizione al progetto alta velocità, una mastodontica opera di cui è chiara l'inutilità per i cittadini delle valli, mentre si apre la possibilità di creare una grande cassa per le tasche dei soliti speculatori del cemento.
Ma più di questo, è nei gesti quotidiani di questa lotta che abbiamo stretto un rapporto forte e concreto con gli abitanti delle valli, nei pranzi e cene allo stesso tavolo, nella condivisione dei momenti di attesa, cercando un passatempo mentre si aspetta l'arrivo di Cociv, Digos e forze dell'ordine, contaminando e facendosi contaminare, rafforzando sempre più la certezza di aver trovato nuovi complici, alleati nel percorso che abbiamo deciso di intraprendere.
Abbiamo deciso, tornando alla città, di rioccupare per rilanciare la nostra intenzione di prendere i luoghi lasciati all'abbandono in attesa di speculazioni, migliaia di alloggi mai assegnati, e palazzi storici in rovina. In risposta all'operazione poliziesca messa in atto ci siamo ripresi spazi che ci sono stati tolti per continuare a vivere in comune.
Nonostante la repressione dello stato, non finiremo mai di reagire e riappropriarci di tutto quello di cui sentiamo la necessità, quello che ci siamo presi finora è solo una parte di quello di cui abbiamo bisogno.

I compagni e ele compagne di Giustiniani 19
10 agosto 2012
da informa-azione.info

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Ci togliete la casa, ci riprendiamo tutto: Occupato vico Untoria 3
Oggi 12 agosto prendiamo possesso dei sei appartementi di Vico Untoria 3, nel Ghetto del centro storico genovese. Li occupiamo perché siamo tutti senza una casa, da quando, martedì 7 agosto, le autorità genovesi hanno deciso di sgomberarci dalla casa occupata di Via dei Giustiniani 19. Li occupiamo perché non possiamo permetterci un affitto e perché riteniamo giusto e legittimo non pagarlo nel momento in cui decine di migliaia di spazi, abitativi e non, vengono lasciati vuoti e inutilizzati dalle amministrazioni pubbliche, dalla Chiesa e da ricchi privati di vario genere per mantenere alti i livelli del mercato immobiliare. Li occupiamo perché vogliamo continuare a vivere insieme, perché crediamo che l’autorganizzazione e la condivisione reale siano anch’esse modi per fronteggiare la miseria materiale e affettiva a cui l’attuale società costringe tutti quanti.
Occupiamo questo edificio consapevoli che a fine mese partirà un bando di concorso per la sua assegnazione. I proprietari, Ri.Genova e il Comune, diranno che rubiamo le case ai poveri, che ostacoliamo un progetto sociale, un esempio concreto di sana gestione della “cosa pubblica”. Non è così. Abbiamo letto il bando e abbiamo capito le reali intenzioni del Comune e di Ri.Genova su questo edificio e sulla generale riqualificazione di questa fetta di centro storico.
Abbiamo capito che per la giunta Doria, quella dell’amministrazione partecipata, la giunta vicina ai cittadini, per avere “diritto” ad una casa bisogna, sostanzialmente, non essere poveri. Di fatto bisogna avere tutte quelle garanzie sociali che da anni stanno venendo meno come un lavoro fisso e un reddito stabile. E’ necessario non avere debiti con Equitalia o enti affini, non aver subito sfratti per morosità (proprio nella città che ne presenta, con il 73%, la più alta percentuale d’Italia); meglio ancora essere una coppia etero e un nucleo familiare tradizionale.
Tutti questi criteri di assegnazione evidenziano uno scollamento dalla realtà sociale fatta di precarietà, disoccupazione, indigenza e la volontà di escludere una buona fetta di popolazione con bisogni e necessità urgenti, dettati proprio da quelle condizioni materiali e umane non considerate prioritarie dal Comune. Si escludono anche tutte quelle forme di convivenza e condivisione non normate, liberamente scelte e praticate come sostegno e appoggio reciproco alternative alla famiglia tradizionale. Si tratta di una scelta precisa che mostra quale tipo di riqualificazione l’amministrazione vuole attuare, guardando anche agli altri interventi che si stanno portando avanti.
Il quartiere del Ghetto, oggi presentato come una delle zone buie del centro storico, in mano al degrado, allo spaccio e alla criminalità, con un’altissima precentuale di immigrati, dovrebbe subire quella serie di interventi urbanistici tipici ormai di moltissimi centri cittadini d’Europa e nota come gentrification: rimessa a nuovo estetica, innalzamento dei prezzi immobiliari e commerciali, espulsione dei suoi storici abitanti e comunità popolari ed inserimento di nuove fasce di popolazione abbienti per rimodellarne il volto. Non vi sarà alcun posto, nel Ghetto del futuro, per chi lo vive, lo anima e lo valorizza con la sua presenza. Piuttosto diventerà una vetrina chic per i turisti, con la sua particolarità storica mantenuta solo di facciata, abitato da manager e ricchi con pruriti alternativi. Un processo di questa portata non si realizza da un giorno all’altro. Non sarebbe possibile, oggi, alzare di molto il valore immobiliare reale di questo quartiere. E, soprattutto, nessun ricco vi si inserirebbe, ora. Ecco il perché di un bando simile. Inserire una fascia di popolazione intermedia che contribuisca a modificare a poco a poco la realtà sociale, spostando progressivamente i poveri lontano dal centro e ammassandoli nelle periferie.
Noi rifiutiamo di accettare la completa distruzione della comunità umana, del carattere popolare dei quartieri che ancora la conservano. Pensiamo che solo i rapporti reali e concreti della gente che li abitano possano valorizzarli e renderli vivi. Noi non riconosciamo all’amministrazione comunale alcuna leggitimità per decidere sui nostri e altrui bisogni. Per queste ragioni ci riprendiamo una piccola parte di ciò che è anche nostro.
Noi siamo gli invendibili, gli incollocabili, quelli che, come tanti, non corrispondono ai criteri dell’assegnazione. Da oggi siamo qui. Il bando è chiuso.

giustiniani 19 in esilio
da informa-azione.info


Milano, 19 luglio, via Neera 7, quartiere Stadera: SGOMBERO
Dalla Milano che sgombera, notizie di violenza, devastazione e saccheggio a opera della sbirraglia, che prende ordini dalla giunta color arancio del sindaco Giuliano Pisapia, nello specifico per quanto ci riguarda in questo caso, dall'assessore alla casa, demanio e lavori pubblici, Lucia Castellano. La forza gentile del potere che sventola la sua bandiera su Milano prosegue sulle orme lasciate dall'ex vicesindaco Decorato e vediamo benissimo come qui di gentilezza certo non si tratta.
Ancora una volta, come sempre nella storia dei tempi, il potere prende la sua unica forma possibile: abuso della libertà dell'individuo, nel nostro caso, libertà di avere una casa da abitare.
È giovedì 19 luglio e siamo nel quartiere Stadera, periferia sud di Milano. Lo stabile di via Neera 7 è sotto sgombero. Sono presenti i funzionari Aler, perecchi, addirittura una trentina, e quaranta operai della De Corato traslochi. Stanno per sgomberare, di nuovo! Sì perché la settimana precedente c'era già stata una visita spiacevole alle scale A e B dello stesso stabile, che erano state svuotate dei propri abitanti, considerati abusivi. Alcuni della scala B erano riusciti a resistere, presidiando le proprie case, sino a questo mattino. Per completare l'opera e sgomberare le scale C e D, pensano di cavarsela con qualche promessa di futura assegnazione, ma gli abitanti non ci cascano. Ben presto arrivano compagne e compagni, in supporto agli abitanti. Così la situazione si complica e arrivano gli sbirri. I servi del potere accorrono in via Neera con un blindato, tre camionette, agenti in borghese, in divisa e in tenuta anti sommossa, pattuglie dei vigili e l'immancabile digos, che si affretta a raggiungere i colleghi non appena la situazione si ispessisce. Le compagne e compagni che hanno raggiunto la palazzina si barricano in prossimità del cancello, insieme agli abitanti.
Questi ultimi hanno abitato queste case, oggetto di uno dei tanti progetti di ristrutturazione e ammodernamento degli stabili popolari, di cui, come al solito, non si è fatto niente per un anno. Anche di recente, all'inizio del mese di agosto, leggiamo sulla stampa di regime che proprio l'assessore Castellano si vanta di nuovi fondi dedicati a queste fantomatiche ristrutturazioni, ormai mere giustificazioni accampate dai vari governanti, per proseguire con gli sgomberi e buttare la gente per strada, lasciando case abbandonate e vuote, chiuse e lamierate per bene, per disincentivare nuove occupazioni: "…abbiamo appena stanziato 5 milioni e 750 mila euro per potenziare la ristrutturazione degli sfitti”, così si gongola la Castellano. Il nuovo appalto sarà suddiviso in 4 lotti uguali, da 1 milione e 450 mila euro circa, e assegnato a quattro ditte diverse.
Via Neera, invece, fino alla mattina del 19 luglio ancora vive, abitata da numerose famiglie, 60 persone solo nelle scale C e D. Questi 60 non ci stanno, vogliono avere una casa dove poter condurre la propria vita e allora si barricano nel cortile e nelle case. Con l'aiuto delle compagne e dei compagni si costruiscono barricate con alcuni cassonetti e materiali recuperati al momento, si gridano slogan di invettiva contro la sbirraglia, respingendo più volte i tentativi degli sbirri di penetrare nel cortile. Per un certo periodo la situazione è in bilico, tra tentativi di trattativa e qualche manganello che sventola nell’aria. Ad un certo punto sembra che le varie promesse degli infami alerini siano riuscite a far breccia, si è raggiunta una trattativa, pare si sia ottenuto un rinvio dello sgombero, insomma una vittoria, anche se parziale. Gli sbirri si ritirano! Ma poi, no. Tornano, con i rinforzi, che assediano anche l’ingresso posteriore, e senza annunci o preamboli parte la carica, verso le 11.30 e ci mettono un po' prima di sbaragliare abitanti e compagni, ma riescono a raggiungere il cortile. Da qui inizia la mattanza: gli sbirri disperdono le persone a suon di manganellate e bastonate, raggiungono l'accesso alle scale, buttano per terra e picchiano coloro che in ogni modo cercano di impedire loro di raggiungere le abitazioni ai piani e infine arrivano agli appartamenti. Da qui nessuno più li vede, nemmeno i solerti giornalisti-sciacalli accorsi per fotografare un po' della gentilezza amara di questa giunta perbenista e riformista. Quindi sono liberi di fare ciò per cui sono stati chiamati: picchiano uomini, donne, bambini; devastano le abitazioni e tutto ciò che trovano al loro interno; saccheggiano, deturpando gli oggetti di proprietà degli abitanti e lanciano ciò che riescono dalle finestre, al resto ci pensa un mezzo pesante con ragno meccanico, portato dagli operai delle ditte al soldo di aler e comune.
Il Corriere - solerte servitore, tra gli altri, di coloro che quotidianamente usurpano di violenza la nostra libertà - scriverà che sono stati gli abitanti a lanciare gli oggetti dalle case, per impedire alle FFOO di raggiungere le case; peccato che ci sono le prove, fotografiche, che immortalano gli agenti intenti a lanciare mobili dalle finestre. È Il Giornale - altro quotidiano servitore del regime - che racconta di come tre donne sono state portate via in ambulanza per un malore, peccato che il "malore" è stato loro provocato dalle botte dei manganelli e delle scarpe degli sbirri, come racconteranno le dirette interessate, sfigurate, gonfie e livide, e i referti dei medici.
A Milano d'estate il clima si surriscalda e un urlo di rabbia percorre la città. Rabbia per questo ennesimo sgombero, giustificato dalla necessità di mettere in sicurezza lo stabile, ristrutturarlo e poi assegnarlo a coloro che ancora, illusi, contano i propri punti sulle liste di attesa compilate dagli infami dell'Aler. Rabbia per tutti gli sgomberi, che ultimamente si fanno più corposi, perchè la nuova giunta preferisce concentrare le forze, muoversi per settori della città, "epurando" le palazzine occupate da - a detta loro - criminali della peggior specie. Come per via Montello 6, sgomberata con altrettanta brutale violenza il 20 giugno, tanto da guadagnarsi un nomignolo, che battezza il nuovo modus operandi della lady Castellano, il "metodo Montello" ovvero: tanti sbirri in versione robocop; nessuno sconto alla violenza, nemmeno per i bambini e per le loro madri, manganelli che roteano e colpiscono le facce e i corpi di chi commette il crimine tanto efferato di abitare una casa vuota e abbandonata a se stessa; devastazione di tutto ciò che capita tra le mani e tra i piedi degli agenti, saccheggio dei beni e del mobilio degli abitanti, colpevoli di abitare una casa abbandonata.
E affinché questa rabbia non rimanga sola, occorre organizzarsi in modo autonomo e indipendente da qualsivoglia sportello, comitato o rappresentanza di vario colore e bandiera; aumentare i picchetti antisfratto, che consentono agli abitanti dei vari quartieri di conoscersi, di ampliare la rete di solidarietà, perché se il potere vuole procedere per zone, facciano pure, noi, dalla nostra, abitiamo la città, tutta; non delegare ad altri, persone o istituzioni, associazioni benevole o individui estorsori, la risoluzione del problema abitativo, che sempre più spesso non può attendere le liste di attesa dell’Aler infame; non rassegnarsi di fronte ad uno sgombero, la case ci sono, tante e vuote, aspettano solo di essere abitate.

Milano, agosto 2012
Un’abitante di una casa liberata


Milano: Villa Vegan occupata a rischio sgombero
A metà luglio 2012, agli indirizzi di residenza di due delle abitanti della Villa Vegan occupata di Milano, si presentano pattuglie di carabinieri che consegnano dei fogli di “chiusura indagini” relative all'occupazione del posto. Ricordiamo che la Villa è uno spazio anarchico vegan, occupato da ben 14 anni, nel corso dei quali è sempre stata punto di riferimento per iniziative, concerti, benefit, mobilitazioni e dibattiti relativi a molti aspetti della lotta antiautoritaria al dominio, rifiutando sempre qualunque tipo di rapporto con le istituzioni. Tra le lotte portate avanti, quelle per la liberazione animale e della terra, contro la civilizzazione, Cie e carceri, repressione, sessismo, capitalismo ecc. Inoltre in Villa sono presenti anche una ciclofficina, una sala prove/registrazioni e un orto, attività autogestite e al di fuori di logiche di mercato.
Da 14 anni questo posto è il crocevia di tantissime compagne e compagni da tutto il mondo, che contribuiscono ad uno scambio di esperienze politiche e legami di affetto e affinità a livello internazionale.
In questo spazio hanno trovato una nuova vita anche molti animali salvati dagli orrori degli allevamenti, oltre ad altri animali in difficoltà: cani, gatti, galline, tacchini, anatre, conigli che dopo una vita di prigionia e schiavitù vivono ora liberi nel parco della Villa, senza che nessuno più li consideri oggetti o risorse da sfruttare.
Dalla lettura dei fogli dell'inchiesta veniamo a sapere che la denuncia parte su richiesta della direttrice del Settore Demanio e Patrimonio Comunale di Milano MARI LAURA, come prima misura in vista di un futuro sgombero: “Il Comune chiede che, previa identificazione degli occupanti, vengano adottate tutte le misure idonee all'estromissione degli occupanti dall'immobile, al fine di realizzare quanto prima l'interesse pubblico attraverso il suo utilizzo secondo la destinazione attribuitagli”.
Le indagini sono state effettuate dalla Digos di Milano che in più occasioni ha fatto appostare vicino all'ingresso del posto due dei suoi uomini per spiare e registrare gli ingressi e le uscite, ed in una occasione è riuscita ad introdurre due agenti di polizia locale nel parco con un sotterfugio, riuscendo ad annotare le targhe delle auto e a riconoscere l'identità di quattro dei numerosi abitanti della casa, gli stessi a cui poi ha fatto recapitare le denunce.
Oltre alla denuncia per l'occupazione c'è un'esilarante aggravante per “deterioramento dello stato dei luoghi” con la costruzione di un forno a legna, da cui in effetti abbiamo sfornato tantissime buone pizze fuorilegge!
E' chiara la volontà da parte del Comune di sgomberare la Villa, per questo inizieremo sin da ora a mobilitarci con iniziative contro gli sgomberi e la repressione. Se credono che li lasceremo agire con tranquillità nel riprendersi questo spazio liberato, per farne l'ennesimo mostro di cemento frutto della speculazione edilizia, si sbagliano di grosso. Siamo pront* a resistere fino alla fine per impedire lo sgombero di quelle che non sono solo quattro mura ma è un'esperienza di complicità e di lotta vissuta quotidianamente. Di fronte all'avanzata dell' urbanizzazione e l'annientamento di ogni spazio non funzionale al profitto siamo pront* a difendere ogni albero che si trova in questo parco, e la libertà degli animali che qui hanno trovato casa.
In caso di effettivo sgombero, invitiamo fin da ora le compagne e i compagni di ogni dove a raggiungerci subito e nei giorni successivi per una mobilitazione incisiva e duratura! Nessuno sgombero senza risposta! La via della libertà giace nella rovina delle nostre città!

30 luglio 2012
Villa Vegan Occupata, Via Litta Modignani 66 - Milano


SUDAFRICA: PIOMBO “DEMOCRATICO” CONTRO GLI OPERAI!
Erano in 3.000, i poliziotti del governo democratico del Sudafrica, che sono andati a sparare sui minatori in sciopero della Company britannica Lonmin, a Marikana, 100 chilometri a N/O di Johannesburg.
Secondo fonti sindacali, 36 operai sono rimasti sul terreno, uccisi dal piombo del governo guidato dall'ANC (African Natinal Congress), il partito del Nobel Nelson Mandela: “l'antirazzista”, “il democratico”, “il perseguitato per la giustizia”... Un nero come carta “democratica” giocata dalla borghesia di fronte all'esplodere di contraddizioni del sottosuolo capitalista, non più contenibili dentro l'involucro dell' “apartheid”...
Ma di quale “giustizia” si parla ora? Non certo quella di rivendicare, come fanno i minatori della Lonmin di Marikana, un salario appena decente (400 euro al mese). Non certo quella di ribellarsi al caporalato schiavista ed al crumiraggio istituzionale del sindacato di regime NUM (National Union of Mineworkers), legato all'ANC.
Tutto questo, nel Sudafrica “democratico”, non è ammesso, e si paga con la vita. Stiamo parlando del Sudafrica, una della “medie” potenze capitalistiche emergenti, non del Burundi! Un paese che detiene l'80% delle riserve mineraie mondiali di platino, e di cui la stessa Lonmin ne produce il 12%.
Questo sciopero, iniziato il 10 agosto, aveva già lasciato sul terreno 10 vittime (tra cui 2 poliziotti fatti a pezzi a colpi di machete), dovute allo scontro tra il già citato sindacato crumiro NUM ed il più radicale sindacato AMCU (Association of Mineworkers and Costruction Union).
Ma questo sciopero, dichiarato “illegale” dalla Company, oltre ad abbattere del 6,33% le azioni della Lonmin, rischiava di “inceppare” un meccanismo che per nulla al mondo può fermarsi: quello di trarre lauti profitti da un settore che, in tempi di crisi, sta “tirando” al massimo: quello appunto delle materie prime.
L'oro, l'argento... il platino. Guadagni sicuri, sui “beni rifugio” che riempono i forzieri e che non sono sottoposti alle fluttuazioni del capitale finanziario.
Dunque, allo sciopero si risponde col piombo, com'è nella tradizione e nelle politiche borghesi. Altra materia prima pure questa, che essendo però meno “pregiata”, viene più “produttivamente” scaricata addosso agli operai che lottano!
Un'altra pagina di sangue contro la nostra classe, che si aggiunge alle altre ormai numerosissime pagine che solcano paesi come la Cina, l'India, il Brasile, tutto il Sud Est asiatico... dove il proletariato, tutt'altro che “scomparso”, sta già solcando col sangue la strada della ripresa della lotta di classe. Ponendo, nella prassi quotidiana, il problema della sua organizzazione rivoluzionaria.
Ma anche da noi, nell'Occidente dell'imputridimento imperialista e della crisi sistemica, questi eventi devono servire da sprone e da insegnamento.
La classe proletaria, in questi anni, è stata dispersa, frastagliata, girata come un guanto, polverizzata nei mille rivoli del precariato., della flessibilità, del super sfruttamento..ma non è scomparsa!
Da tempo, nelle Logistiche del Nord Italia, settori limitati ma significativi di immigrati cercano di alzare la testa, al di fuori e contro ogni logica spartitoria, concertativa e collaborazionista dei sindacati istituzionali.
Ricevono anche loro, seppur non ancora a quei livelli di scontro, la stessa risposta “democratica”: cariche della polizia, manganellate, arresti, espulsioni...
E' ora di fare tutti un salto di qualità politico. L'unico in grado di “mettere insieme”, nella comune lotta contro il capitalismo, realtà così distanti!
Questo è il nostro modo di esprimere la piena solidarietà di classe ai nostri compagni operai del Sudafrica, vittime del profitto e dello Stato borghese:
Onore ai compagni lavoratori sudafricani di Marikana, caduti nella lotta per la difesa della loro condizioni di lavoro!

17 agosto 2012
comunisti per l'organizzazione di classe, gruppo comunista rivoluzionario
sottoscritto anche dal Sindacato Intercategoriale Cobas



Aggiornamenti dalle lotte nel settore della logistica
Il 20 luglio il tribunale del Lavoro di Milano ha respinto il ricorso d'urgenza degli operai di Basiano (Milano). Questo è ciò che recita il dispositivo:
1) Essere licenziati non è motivo sufficiente per chiedere un pronunciamento urgente. Quindi il ricorso ai sensi dell'art.700 è infondato
2) Una lettera che preannuncia la cessazione del rapporto di lavoro 15 giorni dopo ....è solo una dichiarazione d'intenti dell'azienda (di Alma in questo caso) e non corrisponde ad un licenziamento vero e proprio. Quindi non è possibile dichiarare illegittimo l'operato di Alma
3) L'art 42 bis del CCNL vincola solamente la ditta appaltante (e non quella subentrante) a inserire nel contratto d'appalto un impegno a dare preferenza, nel nuovo appalto, ai lavoratori già operanti
4) Nessuno ha finora dimostrato che nell'appalto tra Gigante e Italtrans è stata inserita la norma prevista dall'art. 42bis
5) Il fatto che nel cambio d'appalto non siano state rispettate le regole da parte di Alma prima (mancata convocazione di un tavolo sindacale per gestire il cambio) e da parte del Gigante dopo (mancato inserimento di una norma vincolante per la ditta subentrante) svincola allo stato attuale Italtrans dal dover assumere gli 89 operai licenziati
Dalla battuta di arresto di oggi, emergono comunque indicazioni chiare e utili per impostare il passaggio successivo e cioè la causa ordinaria che verrà preparata nei prossimi giorni: é l'intero cambio d'appalto che va messo in discussione chiamando in primo luogo il Gigante a rispondere nella violazione dell'art.42bis
Ma soprattutto la sentenza di oggi riapre necessariamente uno scenario di lotta che si deve svolgere sostanzialmente fuori dalle aule istituzionali
Il 28 luglio il tribunale del riesame ha deciso di revocare tutte e 19 le misure cautelari per gli operai arrestati a Basiano. Certamente un'iniezione di fiducia per tutti coloro che convintamente hanno deciso di fronteggiare i padroni del Gigante, l'Italtrans che ne gestisce l'appalto e i loro servi della cooperativa Bergamasca che organizza il crumiraggio sulle pelle degli operai. Certamente una vittoria parziale, dato che le accuse verso gli arrestati restano in piedi e sono anche pesanti.
Lunedì 6 agosto, alle ore 20, tutti gli operai del magazzino TNT di Bologna della cooperativa Global Service sono usciti dal magazzino e sono entrati in sciopero. Una risposta unitaria con picchetto davanti al magazzino dalla durata di 4 ore, tanto è bastato ai padroni della cooperativa per accettare la nostra proposta di piattaforma.
In massa 180 lavoratori al grido di “sciopero” sono usciti dal magazzino lasciando allibiti i capi della cooperativa ed i dirigenti della Tnt. Il picchetto in quattro ore bloccava circa trecento tir, l’entusiasmo dei lavoratori era alle stelle. Alla fine il 100% delle loro richieste venivano accettate (La Tnt, memore dello sciopero e picchetto di quindici giorni fatto nel mese di luglio del 2011 nel magazzino di Piacenza ha favorito questo esito). Su un solo punto ci si è soffermati di più al tavolo della trattativa: quello relativo alla cacciata di tre caporali dal magazzino; alla fine si è arrivati ad una mediazione, che è consistito in un primo richiamo nei loro confronti (un “cartellino giallo”), ma al quale sarebbe seguito un sicuro provvedimento di espulsione se non si comporteranno nei termini previsti dal contratto.
Il 9 agosto è arrivata la lettera di licenziamento di Safar Abdessamad, uno dei sei delegati SI.Cobas della cooperativa Quick Trade, che ha l'appalto alla Stef Italia di Tavazzano (Lodi). Il licenziamento è parte di un'offensiva anti-sindacale condotta ormai da mesi con tutti gli strumenti possibili, dai ricatti alle promesse individuali, dalle concessioni sindacali tramite l'ausilio della CGIL fino alle procazioni di luglio contro 4 dei sei delegati.
Due di loro hanno preferito prendere una buonuscita e lasciare l'azienda. Altri due hanno scelto di continuare a lottare ed è così che si è arrivati al licenziamento di Safar (accusato di aver minacciato un preposto) a cui, con tutta probabilità, seguirà nei prossimi giorni quello di Aribi (attualmente sospeso cautelativamente con le stesse motivazioni). L'intento è evidente: sbarazzarsi di un sindacato come il SI.Cobas che non è disposto a barattare i diritti dei lavoratori con gli interessi aziendali e che mantiene oltre 100 iscritti, nonostante l'offensiva a tappeto degli ultimi due mesi
Dalla riunione sindacale urgente convocata dai delegati SI.Cobas arriveranno indicazioni più precise su uno sbocco inevitabile. E' solo questione di definire la data imminente per un'azione decisa e all'altezza della situazione.
Il 21 agosto. Ai caporali della cooperativa Ala di Bollate (Milano) non sono bastati i licenziamenti politici di tre lavoratori di due settimane il 20 agosto, sono passati alle aggressioni fisiche nei confronti di un lavoratore iscritto al sindacato intercategoriale Cobas.
Durante la pausa pranzo il “caporale” Vito Cippone e il suo sgherro Lorenzo, servendosi di un lavoratore soggiogato ai ricatti della Direzione aziendale, hanno architettato un’aggressione ai danni di un operaio attivo nella lotta. In seguito alle percosse ricevute, il lavoratore visitato al pronto soccorso di Rho, ha avuto una prognosi di 7 giorni. La vile provocazione non è andata a buon fine, grazie alla calma del lavoratore che, si è limitato ad allontanarsi dall’aggressore.
Nel frattempo i lavoratori hanno scioperato e solo l’intervento delle forze dell’ordine, che si sono attivate per una mediazione e strappato un incontro per martedì 28 con la padrona, hanno convinto i lavoratori a sospendere la loro azione che comunque continuerà. Se sarà necessario la lotta si intensificherà e i lavoratori sostenuti dal sindacato ed il collettivo La Sciloria metteranno in campo iniziative più radicali che investiranno oltre alla coop. ALA anche la Cotril, azienda committente diretta responsabile di questa situazione di supersfruttamento, paghe irregolari e quella di far lavorare i lavoratori in condizioni di salute disastrose e sotto una struttura insalubre con tetto in eternit.

Milano, agosto 2012